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Uzbekistan: architettura, arte e storia sulla via della seta – 2019 – 3a tappa: SHAKHRIZABZ

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9 MAGGIO

SHAKHRISABZ

Dopo la colazione partiamo e faremo una sosta a SHAKHRISABZ dopo 264 km di percorso. Il paese è costituito per la maggior parte da deserto ma con molte fattorie per coltivazione di cotone nell’ovest ed è ricco di risorse minerarie come petrolio, gas e oro. Shakhrisabz è una delle città più belle e colorate dell’Uzbekistan e si trova a 80 km a sud di Samarcanda, oltre il valico di Takhta-Karacha. Oggi è più famosa grazie ad Amir Temur (Tamerlano), nato il 9 aprile 1346, nel vicino villaggio di Hodja-Ilgar da un nobile proprietario terriero. Dopo la conquista nel 1380, trasformò Shakhrisabz, il cui nome originario era Kesh, nella sua residenza e ordinò di costruire il palazzo, noto come Ak-Saray (Palazzo bianco).

Arriviamo nell’enorme piazza Amir Temur che è veramente splendida. Fu costruita per collegare il complesso Ak-Saray con gli altri monumenti storici. Particolare attenzione fu data alla progettazione del paesaggio con fontane, pergolati, luoghi culturali, che indubbiamente attirano l’attenzione dei visitatori.

Nel centro dell’immensa piazza (che un tempo era occupata dall’intero palazzo) sorge una statua del sovrano posta con lo sfondo delle vestigia del  palazzo Ak-Saray. Tamerlano aveva fatto scrivere a caratteri cubitali sul  portale allo scopo di impressionare i visitatori stranieri:

“Se avete dei dubbi sul nostro potere, guardate i nostri edifici”

Oggi questa frase è rivolta ai turisti di tutto il mondo

Ma chi era Tamerlano?

Timur Barlas o Temur-i lang (Temur, soprannominato “lo zoppo” per una ferita alla gamba destra ricevuta in battaglia insieme ad altre ferite che avevano invalidato l’uso del braccio destro.), italianizzato in Tamerlano, visse per quasi settant’anni, affermandosi come il conquistatore più feroce della storia. Se dobbiamo credere a quanto raccontavano i suoi nemici, il “signore della guerra”, che nel XIV secolo creò un impero che si estendeva dalla Cina fino al cuore dell’Asia Minore, fu proprio il più sanguinario di tutti i tempi. Tra le pratiche più ricorrenti c’era la decapitazione di massa…… Il gusto della battaglia era in lui così forte che persino quando tornava a Samarcanda, per celebrare le sue vittorie, preferiva accamparsi fuori dalle mura anziché alloggiare in un lussuoso palazzo. Il 19 gennaio 1405, in procinto di intraprendere una nuova guerra, che avrebbe dovuto portarlo alla conquista della Cina, Tamerlano morì, non in battaglia, ma nel suo letto, vecchio e consumato dalla malattia.

Cosa aggiungere…

PALAZZO AK-SARAY

Shakhrisabz è, soprattutto, associata al palazzo Ak-Saray. Molte leggende incredibili sono legate alla storia della costruzione del palazzo e, secondo una di esse, dopo che i principali lavori di costruzione erano stati completati, Timur cominciò a dire agli artigiani di sbrigarsi e finire il rivestimento decorativo del palazzo ma non vedendo progressi ordinò che l’ architetto l’iraniano Mukhammad Yasuf Tabriz fosse portato davanti a lui, ma questi era scomparso dopo aver appeso una catena al centro dell’arco principale del palazzo. Poiché nessun altro artigiano di pari bravura poteva essere trovato, l’edificio rimase incompiuto. Qualche tempo dopo, tuttavia, riapparve improvvisamente l’architetto e, dopo essersi assicurato che la catena sull’arco d’ingresso si fosse abbassata, quindi le fondamenta si erano ben assestate, fece riprendere i lavori per decorare l’edificio. Quando Timur chiese una spiegazione della sua strana scomparsa e improvvisa ricomparsa, l’architetto rispose: “Non ho osato disobbedire al comando del mio sovrano, ma non potevo portarlo a termine senza una sicurezza di stabilità. In entrambi i casi mi aspettava una punizione severa, dal momento che un edificio così maestoso doveva avere fondamenta ben salde, altrimenti tutte le decorazioni su di esso si sarebbero perse”. Il grande sovrano apprezzò la saggezza e l’intraprendenza dell’ architetto.

Sfortunatamente della grandiosa opera sono sopravvissute solo tracce delle sue due torri, alte 65 metri e decorate da mosaici in ceramica, blu, bianca e oro.

Acquistiamo da un venditore locale una ricostruzione fatta al computer del probabile aspetto del “palazzo bianco”.

NECROPOLI DI DARUS-SIADAT

Il complesso di Darus-Siadat era destinato all’intera dinastia dei Timuridi e fu fondato dopo la morte prematura del primogenito di Timur, Jehangir, nel 1376.

Dietro il Darus Siadat c’è una sala sotterranea  con una porta di legno che conduce alla cripta di Tamerlano, scoperta nel 1943.

La stanza è semplice ad eccezione delle citazioni Karaniche sugli archi, che recitano come segue: “La Supremazia appartiene solo ad Allah. Lui è Eterno “, e” Tutto è buono nelle mani di Allah, è onnipotente”. Al centro della stanza c’è il sarcofago di marmo, ricoperto da un’enorme lapide sempre di marmo monolitico, che spessa 11 centimetri, con 5 anelli di ferro attaccati agli angoli e al centro. Sulla pietra sono state trovate incisioni calligrafiche che hanno permesso agli archeologi di attribuire la tomba a Tamerlano. In realtà il suo corpo fu poi  trasportato a Samarcanda e sepolto nel mausoleo Gur-e Mir e non nella natale Shakhrisabz.

Ma si incontrano altre meraviglie architettoniche;

MOSCHEA DI KOK GUNBAZ

Fu costruita nel complesso commemorativo nel 1435-1436 ed è la più grande moschea del venerdì di Shakhrisabz costruita da Ulugbek. La costruzione della moschea è coronata da un’ enorme cupola ricoperta di piastrelle di ceramica blu che hanno dato il nome alla moschea: Kok Gumbaz significa appunto “cupola blu”.

Attorno al tamburo della cupola c’è l’iscrizione con piastrelle smaltate bianche: “La sovranità appartiene ad Allah, la ricchezza appartiene ad Allah”.

Lo spazio interno  è quasi quadrato con  quattro nicchie profonde orientate verso ogni angolo della terra e le pareti coperte di stucchi di ganch e riquadri dipinti con intricati ornamenti in tinte oro e colori accesi che recano elementi floreali, cipressi, palmette e fantasiosi arabeschi.

MOSCHEA KHAZRETI-IMAM

Costruzione della fine del XIX sec. tipica dell’ Asia Centrale con una sala di preghiera invernale interna e un talar di ingresso.

E’ presente sul piazzale un albero ultrasecolare che a detta di una targa in marmo è lì dal 1370  mentre  su una targa sempre in marmo è inciso un bel pensiero:

ISLAM KARIMOV

Karimov, Presidente uzbeko, era per metà uzbeko, da parte di padre, e per metà tagiko, da parte di madre. Crebbe in un orfanotrofio statale sovietico e studiò poi ingegneria meccanica a Tashkent. Già membro del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, presiedette la repubblica dell’Uzbekistan da quando questa si rese indipendente, nel 1991, sino alla propria morte.

Pranziamo in ristorante e riprendiamo il viaggio verso Samarcanda che dista ancora circa 160 km. Sulle montagne c’ è ancora la neve.

Dal finestrino osservo la steppa e vorrei criticare: la steppa è vuota, la steppa non ha vita, dove sono i cammelli? dove le greggi? Ma no qualcosa c’ è! Qualche cammello lo vedo! Qualche gregge di pecore nere lo vedo! Ma  vedo anche una fila interminabile di casette rurali linde e pulite dal tetto di lamiera, con stalle lunghe e basse, del periodo sovietico.

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Uzbekistan: architettura, arte e storia sulla via della seta – 2019 – 4a tappa: SAMARCANDA

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Bella e maestosa ha un potere meraviglioso e attraente. Poeti e storici del passato la chiamavano “Roma d’Oriente, la bellezza dei paesi sublunari, la perla del mondo musulmano orientale”. La sua posizione geografica vantaggiosa nella valle di Zarafshan pone Samarcanda al primo posto tra le città dell’Asia centrale. Oggi Samarcanda è inclusa nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 2001 per i suoi monumenti unici di architettura antica, famosi in tutto il mondo.

9 MAGGIO

Si inizia la giornata con una visita emozionante: IL REGISTAN.

Ricordiamo il significato di Registan:

Il Registan era una piazza pubblica, (viene in mente l’ agorà greca e il foro romano) dove persone si riunivano per ascoltare i proclami reali, annunciati da squilli di tubi in rame enormi chiamati dzharchis ma anche un luogo di esecuzioni pubbliche. Era anche utilizzata per parate militari, addestramento e cerimonie e spesso nelle vicinanze era presenta lo “Zindan” (prigione).

Su tre lati la piazza è occupata da grandi madrase, di cui i due i portali si fronteggiano riproponendo la singolare disposizione urbanistica identificata con il nome di kosh che come abbiamo visto a Bukhara ha avuto un largo impiego. Registan si riferisce alla sabbia presente che doveva assorbire il sangue che scorreva durante le esecuzioni,  da cui il nome  Registan, “luogo di sabbia” quando questo spazio creato nel XIV secolo (progettato da Timoer Lenk) divenne la scena per le esecuzioni pubbliche. E’ una delle piazze più belle del mondo, grandiosa e intima, più grande di un campo da calcio e pavimentata con mosaico in piastrelle di marmo.

Il complesso è composto da tre madrase:

MADRASA DI ULUGH BEG (XV secolo)

MADRASA DI SHIR-DAR (XVII secolo)

MADRASA DI TILA-KARI (XVII secolo.

Tutte sono riccamente decorate, con splendidi motivi geometrici che sembrano moltiplicarsi all’infinito e con gli arabeschi si avvolgono come rami, piastrelle smaltate turchesi, verdi e gialle. L’ evidente inclinazione di alcuni dei minareti è stata causata dai numerosi terremoti che hanno devastato la zona. È stupefacente quanto il complesso sembra formare una sola unità anche se c’è un periodo di oltre duecento anni tra la costruzione della prima e l’ultima madrasa.

MADRASA DI ULUGH BEG

Nipote di Tamerlano, noto matematico e astronomo, assunse il potere  nel 1409 e nel 1417, diede l’ordine di costruire la madrasa alla quale in seguito sarebbe stato dato il suo nome. La facciata della Madrasa si affaccia sulla piazza, completata con due alti minareti posti negli  angoli e rivestiti di  mattoni smaltati che creano splendidi disegni. Il portale della madrasa è adornato con motivi di stelle a dieci punte che simboleggiano il cielo e l’astronomia. A quel tempo, era il più grande istituto scientifico-educativo di Samarcanda dove si insegnava filosofia, astronomia, matematica, teologia.

MADRASA DI SHIR-DAR

Cupole a costoloni su alte torri sorgono accanto ai due piani della facciata ai lati del portico mentre iscrizioni islamiche, decorazioni geometriche e floreali adornano l’interno.

Lo stile è una imitazione della Madrasa di Ulugh begh costruita tra il 1619 e il 1636 e il suo nome Shir Dor significa “decorato con le tigri” infatti sui timpani dell’arco del portale sono rappresentate tigri con due “soli” antropomorfi che attaccano un daino.

MADRASA DI TILLA-KORI

Il suo nome significa “ricoperta d’oro” e funziona anche come una moschea. A metà del XVII secolo, la moschea costruita precedentemente da Tamerlano e dedicata alla sua consorte Bibi-Khanym era in rovina quindi Yalangtush-biy la fece costruire sul Registan e venne usata anche come madrasa. La facciata principale dell’edificio è realizzata su due livelli con il portale centrale che presenta una nicchia e due ingressi che conducono al cortile interno, la cupola blu della moschea a sinistra del portale e due minareti su entrambi i lati. La costruzione equilibra magnificamente le due madrase più grandi senza disturbare l’unità dello stile architettonico.  La ricca doratura della cupola e del mihrab superò tutti gli altri famosi edifici dell’Asia centrale.

Ci spostiamo al complesso architettonico voluto da Tamerlano e chiamato Gur-i Amir, tomba dell’ emiro.

MAUSOLEO DI GOUR-EMIR

Inizialmente comprendeva una madrasa edificata per il suo amato nipote Moukhammed-Sultan Mirza ed  intesa come un luogo di apprendimento per i bambini della nobiltà di Samarcanda e una khanaka. L’equilibrio tra forza e raffinatezza è ulteriormente accentuato dai due mausolei che fiancheggiano il Gour-Emir su entrambi i lati pur tuttavia, Tamerlano non visse per vedere il mausoleo finito; morì nell’inverno del 1405 e anche se avesse già preparato un mausoleo nella sua nativa Shakhrisabz, fu Gur Emir che divenne la sua tomba e luogo di sepoltura dei suoi discendenti, infatti qui riposano i suoi due figli  Shahrukh e Miranshah e i nipoti Muhammad Sultan Mirza, Ulugbek ma anche il suo mentore spirituale Mir Said Baraka.

La pianta ottagonale del mausoleo è sormontata da un altissimo tamburo circolare su cui si innalza una formidabile cupola maiolicata ingentilita da 64 nervature che creano giochi d’ ombra. Al centro della sala vi sono i cenotafi che commemorano oltre Tamerlano, Miran shah suo terzogenito, il nipote Moukhammed-Sultan Mirza, Mir Syyd Baraka, Abdurakham Mirza e suo nipote e grande statista Ulugh Beg. Internamente il Gur-e Amir appare come una vasta ed alta sala dotata di nicchie profonde sui lati e variamente decorata.

La lapide del santo Sayyd Umar è collocata al centro in un arco identificato da un palo portante in cima una coda di cavallo.

Incontriamo un gruppo di donne, una ci dice in uzbeko, poi in russo: “da dove venite?”…poi le altre donne aggiungono …”non capiscono neanche il russo”…

Sosta pranzo in hotel con una gradita sorpresa: la “FRANCOROSSO” ci offre due splendide torte!

Visita alla famosa fabbrica di carta di seta MEROS fondata dai fratelli Mukhtarov, sita a Konigil, un villaggio vicino a Samarcanda.. Grazie ai loro sforzi, la fabbrica locale ha riportato in vita un’antica tradizione basata sulle vecchie tecnologie di Samarcanda ed è interessante notare che la produzione è manuale e possiamo osservare il processo di fabbricazione della carta dal vivo.

L’ ambiente è davvero pittoresco: alberi ombrosi, il vicino fiume Siab con acqua gorgogliante che motorizza il mulino che aziona le presse martellanti e una piccola sala all’ingresso per accogliere i visitatori con un dolce tartaro a base di miele e frutta secca accompagnato da tè.

La tecnologia di produzione della carta di Samarcanda è la seguente.

La corteccia di gelso è considerata una materia prima  che viene pulita e fatta bollire in un grande recipiente per circa cinque ore, poi viene battuto  per rendere omogenea e consistente la poltiglia  risultante che viene successivamente posta in una vasca con acqua e filtrata su un grande foglio di flazelin (tulle), pressata su piastre e quindi ricoperta con un foglio successivo di flazelin e una miscela di gelso setacciata e così via.

La carta viene rimossa dalle piastre e asciugata in posizione verticale per un giorno e risulta molto robusta. Per rimuovere la ruvidezza della carta, il maestro cartaio la lucida su un tavolo di granito con un corno d’osso ottenendo la sua famosa levigatezza.

Ci rechiamo ad assistere ad uno spettacolo al teatro El Merosi.

“L’ EREDITÀ DEI POPOLI” è un fuori programma a cui aderiamo con piacere; racconta l’Uzbekistan tramite la danza e dei magnifici costumi. Il teatro El Merosi propone un viaggio nelle mode e nelle danze che si affermarono in diverse epoche dell’antica Samarcanda. A ispirare gli stilisti che hanno confezionato questi costumi, sono stati i ritrovamenti archeologici ma anche grazie agli affreschi antichi.

La rappresentazione si compone di 11 quadri riferiti a momenti storici:

  1. Saci e Massageti (Sciti) VII-III sec. a.C.-Erano europoidi, parlavano lingue indo-iraniche ed erano eccellenti guerrieri ed arcieri equestri.
  2. Achemenidi VI-IV sec. a.C.-La dinastia dei re dell’ antica Persia.
  3. La dea Anhita-Nella mitologia zoroastriana la dea dell’ acqua e della fertilità.
  4. Il regno di Kushan-Formatosi agli albori del I sec. d.C. raggiunse il massimo sviluppo di prosperità ma anche dello schiavismo.
  5. Danza dei sogni-(La ragazza Sogdiana)-I Sogdiani erano gli antenati dei moderni uzbeki ed erano intermediari commerciali sulla Via della Seta.
  6. L’ impero Sogdiano-Riferimento scenico agli affreschi di Afrasiab l’ originaria fondazione di Samarcanda chiamata Maracanda dagli antichi greci.
  7. Calendario-Gli abiti danno un’ idea del cambio delle stagioni e sono ricostruiti secondo i materiali dell’ “Avesta”, raccolta dei testi sacri zoroastriani, il più antico monumento dell’ antica letteratura iraniana.
  8. Il Munogiot-La danza classica uzbeka su canto Tanovor (La parola composta da due parti: “Tan-corpo o anima“, e “ovar”-piacere, cioè piacere dell’ anima e del corpo.
  9. I Timuridi-Dinastia turca dell’ Asia Centrale (1370-1507) fondata da Amir Timur (Tamerlano).
  10. Lazghi-La danza della Corasmia, focosa, energica e molto appassionata, molto ritmata e alla fine irrefrenabile.
  11. La cerimonia di nozze del XIX sec. è rimasta invariata fino ad oggi. I matrimoni uzbeki si distinguono per la grandezza dei particolari e dei riti.

Dopo un riposino in hotel ci accingiamo a gustare il famoso “PLOV” la versione uzbeka del “Pilaf” (termine inglese  preso in prestito direttamente dal turco “pilav”), orgoglio della cucina uzbeka ma sembra appartenesse alla cucina reale dei Gran Moghul dell’ India (1526-1857).

Consiste principalmente in carne fritta o bollita, cipolle, carote e riso; la variazione consiste nell’aggiunta di uvetta, berberis, ceci e frutta. L’ incarico della preparazione è quasi sempre maschile. I cuochi sono soliti preparare il Plov su una fiamma viva, e nelle occasioni speciali arrivano a servire fino a mille persone con un unico calderone, che può contenere circa 100 Kg di riso. Ecco spiegato il motivo di tanto vanto: ci vuole una certa forza per girare 100 Kg di riso! Ci ospita un locale posto in una casa tagica dove ci viene spiegata la preparazione.

Assaggiamo anche un buon vino uzbeko che non è niente male! Si torna in hotel.

10 maggio

Oggi una serie di visite interessanti. Si inizia con la:

MOSCHEA BIBI KHANYM

La costruzione della moschea che  doveva essere la più bella e più grande del regno, impiegò cinque anni dal 1399 al 1404 e fu dedicata alla moglie preferita di Temur, Bibi Khanym, che era una principessa cinese. Costituita da un cortile rettangolare di 109 per 167 metri, circondato da lussuose gallerie, le cui arcate contenevano più di trecento colonne di marmo, minareti che torreggiavano su ciascun lato, muri esterni lunghi circa 167 metri e larghi 109 metri, pareti scintillanti e un imponente portale della moschea decorato con marmi.

Purtroppo Il complesso non riuscì a svolgere in pieno il suo ruolo per colpa dei molti terremoti tanto che nel 1646 le funzioni del venerdì furono trasferite nella moschea ubicata nella madrasa TILLA-KORI che fa parte del complesso del Registan.  La costruzione conservava un Corano  (Corano Osman), secondo la tradizione uno dei più antichi corani della storia, che è ora a Tashkent ma il suo leggio in marmo, a cui vengono attribuiti poteri magici, è ancora lì.

SIAB BAZAR

Il mercato centrale di Samarcanda si trova vicino alla moschea di Bibi-Khanum. Non ha più i suoi vecchi edifici, ma è ancora possibile trovare qui lo spirito del vecchio centro commerciale e la cultura della grande città, con frutta secca e noci, dolci tradizionali, così gustosi che i residenti della capitale vengono fin qui per acquistarli.

Attraversando il portale d’ ingresso, ci ritroviamo in un’atmosfera diversa, quasi magica, con molti colori vivaci, un baccano di voci di clienti e commercianti che affollano il mercato  per comprare e vendere iniziando prima dell’alba e finendo in tarda serata. I numerosi chai-khanas (padiglioni per bere il tè) sono pieni dell’atmosfera dell’ospitalità tradizionale di Samarcanda.

E infine, il caratteristico pane di Samarcanda “obi-non”, cotto in forni d’argilla.

Cos’è un mercato orientale senza assaggiare ?! lì, come in qualsiasi altro bazar, i venditori di buon cuore non solo ti permetteranno di assaggiare il prodotto prima di acquistarlo, ma anche di insistere in quanto la principale caratteristica di un bazar orientale è quella di contrattare, un’abitudine che gli abitanti asiatici hanno formato dall’infanzia. l mercato di Siab ha un’altra caratteristica: questo è il posto dove puoi trovare le ultime notizie e gli eventi che si verificano in città. Gli uzbeki sono molto socievoli e le persone vengono coinvolte in conversazioni anche con estranei.

Poco distante c’è la

MOSCHEA DI HAZRAT-HIZR

E’ un’ antica moschea dedicata al profeta al-Khidr costruita nell’ VIII secolo poi incendiata e distrutta dalle orde di Gengis Khan nel XIII secolo e da allora rimase un rudere fino al 1854 quando venne ricostruita. Negli anni ’90 del secolo scorso un ricco cittadino di Bukhara finanziò il restauro e oggi può essere considerata una delle più belle moschee della città. Nel piazzale superiore, da cui si ha una suggestiva vista panoramica della città, si trova la tomba del presidente e grande statista e politico Islam Karimov.

 La prossima tappa è il museo archeologico che ospita alcuni reperti dell’antica Afrosiab, conquistata da Alessandro Magno nel 329 a.C. e, in seguito, distrutta dai mongoli di Gengis Khan nel 1220.

Di Afrasiab sono state ritrovate le mura e vari edifici, in uno di esso fu scoperto un grande affresco (visibile nel museo) che rappresenta una carovana di importanti personalità e ambasciatori in visita al re e, seppure parziale e danneggiato, rende l’idea tramite un accurata ricostruzione dell’importanza della città.

Torniamo indietro e superando la già vista Moschea di HAZRAT-HIZR, entriamo nel sito della

NECROPOLI DI SHAKHI ZINDA  OVVERO “DEL RE VIVENTE”

Uno dei monumenti architettonici più misteriosi e unici di Samarcanda  luogo di sepoltura di persone reali e nobili, consiste di file di raffinate tombe di colori  scintillanti, combinate armoniosamente in una composizione vivace e commovente, con i mausolei  raggruppati lungo la stretta via medievale, costruiti uno dopo l’altro tra l’ XI e XV sec.

 Seguendo la piantina ecco la sequenza dei monumenti:

planimetria tratta da “Medioevo- Samarqanda” di Franco Brun

Una composizione vivace e commovente, vari mausolei sono raggruppati lungo le strette vie medievali tanto che viene anche chiamato “cimitero di strada”.

Tutti sono quadrati, con una cupola, il cui ingresso è segnato da un portico, ricchi di decorazioni architettoniche, maioliche e mosaici.

Riprendiamo il percorso che in pullman stavolta ci porta all’

OSSERVATORIO DI ULUGH BEG

La meraviglia  dell’Uzbekistan medievale, una costruzione unica per il suo tempo, fu costruita da Mohammed Taragai Ulugh Begh, nipote di Amir Timur ,  nel 1428-1429 in cima a una collina. La costruzione aveva una forma rotonda, 46 metri di diametro e 30 metri di altezza e un enorme sestante era posto nella sala principale per le osservazioni della Luna, del Sole e di altre stelle della volta celeste.

La meraviglia  dell’Uzbekistan medievale, una costruzione unica per il suo tempo, fu costruita da Mohammed Taragai Ulugh Begh, nipote di Amir Timur ,  nel 1428-1429 in cima a una collina. La costruzione aveva una forma rotonda, 46 metri di diametro e 30 metri di altezza e un enorme sestante era posto nella sala principale per le osservazioni della Luna, del Sole e di altre stelle della volta celeste.

Fra gli altri strumenti usati nell’osservatorio vi erano la sfera armillare e l’astrolabio di cui osserviamo delle riproduzioni nell’ annesso museo.

La precisione delle osservazioni degli astronomi di Samarcanda è sorprendente, perché sono state realizzate senza l’ausilio di strumenti ottici, ad occhio nudo. Le tavole astronomiche contengono il coordinamento di 1018 stelle. Con incredibile precisione, il calcolo  fatto da Ulugh Beg della lunghezza di un anno , che era pari a 365 giorni 6 ore 10 minuti 8 secondi poco si discosta da quello fatto in tempi moderni che è di 365 giorni 6 ore 9 minuti 9,6 secondi, quindi l’errore è solo meno di un minuto. Sfortunatamente solo la parte sotterranea del sestante e la base dell’edificio sono state salvate: pochi anni dopo, nel 1449, il centro scientifico fu distrutto da fanatici religiosi e fu riscoperto solo nel 1908 dall’archeologo russo V.L. Vyatkin. Anche la preziosa biblioteca  saccheggiata. Peccato. Mi ha tanto ricordato l’ osservatorio Jantar Mantar a Jaipur in India.

Si continua con la visita della fabbrica di tappeti “Khudjum”, dove vengono prodotti rigorosamente artigianalmente veri capolavori tessuti su telai verticali o orizzontali  utilizzando solo fili di seta naturale.

Nel laboratorio tante ragazze lavorano ai telai ma noto che sono sedute su una panca molto scomoda….

Sfortunatamente,  alla meta’ del XIX secolo la tecnologia di produzione di questi articoli unici fu quasi persa e solo alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, con un compito faticoso, il commercio dimenticato è stato ripreso gradualmente a Margilan, Khiva e Samarcanda. A sorpresa ci portano alla famosa piazza Registan illuminata: quanta bellezza tutta insieme! Vero gioiello situato nel cuore dell’antica città di Samarcanda, ha guadagnato la sua fama mondiale grazie al grande complesso architettonico che è diventato un monumento dell’architettura orientale.

Domani partiamo  con il treno veloce  Afrosiab che sfreccerà con punte fino a 254 km/h lungo i circa 320 chilometri tra Samarcanda e la capitale Tashkent dove arriveremo dopo  2 ore e 10’.

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Uzbekistan: architettura, arte e storia sulla via della seta – 2019 -5a tappa: TASHKENT

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11 maggio

Arriviamo in serata all’Hotel Miran, favoloso ed elegante e ci tocca una suite di 65 mq! E’ pur vero che ci è capitato altre volte ma stavolta è veramente incredibile!

La cena è ottima ed è allietata da due suonatori di musica uzbeka.

12 maggio

Ultimo giorno in Uzbekistan. Dopo una lauta colazione ci rechiamo in bus al complesso monumentale di Khast Imam con la madrasa di di Barak Khan.

Questo complesso è il centro religioso della città fondato nel XVI sec vicino alla tomba di uno dei primi imam della città di Tashkent, il famoso scienziato Hazrati (nome completo – Abu-Bakr Muhammad Kaffal Shashi), poeta e studioso del Corano e di Hadith. (Adith: Nella tradizione canonica musulmana, breve narrazione relativa a detti o fatti del Profeta).

Nel piccolo museo di questo complesso è ospitata una ricca collezione di manoscritti orientali ed è conservato il Corano di Osman, la principale fonte islamica e il più antico testo a noi pervenutoci (scritto nella metà del VII secolo). E’ una copia rivestita in pelle di daino composta da 353 fogli di pergamena di grandi dimensioni. Una leggenda narra che il califfo Osman fu ucciso intento alla sua lettura macchiando con il suo sangue il libro sacro.

L’antico manoscritto di enormi dimensioni, contenente 353 pagine di pergamena con il testo originale del Corano fu conservato per secoli nelle città di Medina, Damasco e Bagdad. Da Damasco, durante il regno di Timur, il Corano di Osman raggiunse l’Uzbekistan, poi fu inviato a Mosca alla fine del XIX sec, dove fu tenuto fino alla rivoluzione. Dopo fu portato nel 1924 a Taskent, omaggio di Lenin ai musulmani uzbeki.

FOTO FATTA DI NASCOSTO….ERA PROIBITO FOTOGRAFARE…ANCHE SE POI SU INTERNET SI TROVANO TANTE FOTO ANCH’ ESSE RUBATE!

ANTICA IMMAGINE DI MAOMETTO

Madrasa di Barakh-khan

Fu costruita nel XVI secolo da Suyunidzh-khan, nipote di Ulugbek ed è diventato il luogo dell’amministrazione spirituale dei musulmani dell’Asia centrale. Vi si trova una ricca biblioteca di manoscritti orientali.

Concludiamo così la visita al museo ed alla Madrasa e ci indirizziamo in piazza Amir Timur (Tamerlano), realizzata nel 2009, che si trova nel centro della città e in origine era un piccolo parco con  platani centenari e al centro la statua equestre di Tamerlano. Su di essa convergono ampi viali e vi si affacciano i più importanti edifici della città come l’Università degli studi di Giurisprudenza, il museo di Amir Timur  e il grandioso Forum Palace che ospita importanti eventi.

Questo moderno edificio, realizzato nel 2009, presenta una grande cupola sormontata da figure di cicogne, raggiunge i 48 metri di altezza e con prospetti  dominati da alte colonne che riprendono nel disegno la tradizione uzbeka.

Facciamo una pausa per il pranzo a base di insalata di riso, involtini e minestra di verdure con spezzatino.

Una visita alla metropolitana.

Tashkent ha una metropolitana che si articola in tre linee (rossa, blu e verde) realizzate dai sovietici e in servizio dal 1977. Partiamo dalla stazione di Chorsu (linea blu), dalle pareti finemente rivestite in marmo chiaro e da uno splendido soffitto.

Raggiungiamo la fermata di Kosmonavtlar.

Sulle pareti della Kosmonavtlar, interamente ricoperta di piastrelle che sfumano dal celeste al turchese fino ad un blu intenso, sono rappresentati alcuni astronauti russi e usbeki.

Ritorniamo in superficie e ci dirigiamo verso la nostra prossima meta: piazza dell’indipendenza.

 PIAZZA DELL’INDIPENDENZA (PIAZZA MUSTAKILLIK)

Dopo il terremoto del 1966, la città fu ricostruita e arredata secondo la tipica pianificazione sovietica: ampi viali, edifici imponenti, parchi verdi e immense piazze. L’ex Piazza Rossa di Tashkent esempio del vecchio stile sovietico con un tocco moderno è ora conosciuta come Piazza dell’Indipendenza.

E’ il luogo preferito dei residenti di Tashkent sia per le numerose fontane che per i giardini curatissimi. L’area della piazza è di quasi 12 ettari.

Nel periodo sovietico la piazza prese il nome di Lenin ed è in questo periodo che assunse l’odierno aspetto. Nel 1991, con la dichiarazione di indipendenza, la piazza assunse il nome di Piazza dell’ Indipendenza e il monumento a Lenin fu sostituito con un globo su cui è segnata la pianta dell’ Uzbekistan.

In una verde e tranquilla area troviamo il monumento dedicato alle madri dei 400.000 soldati uzbeki morti per la patria nella seconda guerra mondiale; ai lati dell’area, lungo delle gallerie in legno, sono riportati, in una serie di nicchie, dei libri con pagine in lastre metalliche, ove sono incisi i loro nomi….

Una visita veloce al:

CENTRO DI ARTI APPLICATE

In Uzbekistan viene prestata grande attenzione allo sviluppo dell’artigianato tradizionale e il Centro di Arti Applicate di Abul Kasim, è stato istituito nell’ambito di questa iniziativa e qui si possono trovare le opere di abili artigiani e abili  ricamatrici: tappeti, scialli, sciarpe, borse ricamate in stile tradizionale. L’edificio stesso è un monumento storico costruito nella metà del XIX secolo e qui si trovava il santuario, dove secondo la leggenda, erano conservati pochi peli dalla barba del “Profeta”.

Dopo pranzo ci rechiamo in hotel per preparaci alla partenza per l’ Italia.

Il nostro volo parte alle 15.05 (ora locale) con arrivo a Milano alle 19.15 (ora locale). Circa 7 ore di volo per coprire  4808.29 chilometri.

CONSIDERAZIONI FINALI

Come risultato dell’espansione della Russia durante gli anni ’60 e ’70 del XIX secolo, una grande parte dell’Asia Centrale, inclusa un’importante parte dell’Uzbekistan, fu incorporata nell’Impero russo. Tra il 1922 ed il 1991 l’Uzbekistan era una delle 15 repubbliche che facevano parte dell’URSS. Gli uzbeki avevano  iniziato a divenire padroni del loro stato già  in pieno regime sovietico grazie alla loro forte crescita demografica ed iI processo di democratizzazione con la disintegrazione dell’URSS condussero l’ Uzbekistan ad ottenere la piena indipendenza e la sovranitа’ nel 1991. Cambia la cultura  in tutto il paese. Nelle scuole le classi in russo sono quasi totalmente scomparse mentre prima erano quelle di maggior prestigio, oggi si studia quasi esclusivamente in uzbeco, come è naturale che sia anche se si studia  ancora  il russo, ma la maggior parte degli insegnamenti sono fatti in uzbeco. Le scritte in russo che vedo in giro, la gente che parla in russo,  mi fanno pensare ad un popolo che ha perso la sua identità e sottomesso….Questo potrebbe portarvi ad immaginare un popolo triste e chiuso, in realtà è esattamente l’opposto. Gli uzbeki sono solari, sempre sorridenti e super accoglienti. Credo di non aver mai visto nella mia vita un paese più accogliente dell’Uzbekistan: tutti ti guardano incuriositi  e ti parlano con molta educazione; nei mercati ti invitano ad assaggiare i loro prodotti, ti chiedono da dove vieni e dove andrai e sono delusi quando vedono che non parli in russo (mi è capitato a Samarcanda), si fanno fotografare insieme a te e sono sempre pronti ad aiutarti. Gli uzbeki sono un popolo molto ospitale e amichevole.

Se decidete di visitare questo paese speciale, sappiate che il miglior periodo di viaggio in primavera va da inizio maggio a fine giugno e in  autunno da settembre a novembre.

L’Uzbekistan è un paese favoloso e mi ha veramente sorpreso.

Una vera testimonianza della storia di molti popoli e imperi.

ALCUNE NOTIZIE SULL’ UZBEKISTAN

POOLAZIONE:        28.929.716 abitanti (2014).

DENSITÀ DI POPOLAZIONE:       65 abitanti per chilometro quadrato.

CRESCITA NATURALE DELLA POPOLAZIONE       0,94% (2014)

TASSO DI NATALITÀ PER 1000 ABITANTI:                17.02 (2014)

TASSO DI MORTALITÀ PER 1000 ABITANTI:              5,29 (2014)

L’ASPETTATIVA DI VITA:      73,3 anni-uomini 70.3 e donne 76.5 anni (2014)

Circa l’80% della popolazione è uzbeka.

Inoltre, ci sono grandi gruppi di russi, kazaki, tagichi e tartari.

La maggior parte della popolazione (88%) è musulmana (sunnita), in minore percentuale i cristiano- ortodossi  russi (9%). Il restante 3% aderisce a una religione diversa.

La bandiera nazionale della Repubblica è rettangolare, con tre strisce orizzontali: blu, bianco e verde.

 -Il blu è il simbolo del cielo e dell’acqua, che sono la principale fonte di vita.

-Il bianco è il tradizionale simbolo di pace e felicità.

-Il verde è il colore della natura, la nuova vita e un buon raccolto.

-Due sottili strisce rosse simboleggiano il potere della vita.

-La luna, simboleggia la nuova Repubblica indipendente.

-Le dodici stelle rappresentano i segni spirituali.

Le stelle rappresentano anche le tradizioni storiche del popolo uzbeko, come il vecchio calendario del sole ma possono anche indicare gli stati che precedentemente esistevano sul territorio dell’Uzbekistan.

La valuta è il “SUM” presente solo in banconote e poiché il cambio con l’euro è molto favorevole vi troverete con una mazzetta di sum enorme e non saprete dove metterla: pensate che una birra costa 20.000 sum!

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Rodi tra storia e natura – 2018 – 1a parte

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Rodi, l’ isola magica, l’ isola dei cavalieri famosa fin dall’antichità per il mitico Colosso, una delle sette meraviglie del mondo antico, la più grande del Dodecaneso. La città vecchia, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, è una delle città medievali meglio conservate d’ Europa e al suo interno si incontrano Oriente ed Occidente. Fuori dalle sue mura c’è la parte moderna della capitale che rivela il suo aspetto cosmopolita tra magnifiche spiagge, splendido mare, incredibili scorci cittadini, piatti deliziosi ed una esuberante vita notturna. Il nostro viaggio sarà dedicato alla visita di Rodi città, un’escursione a Lindos costruita ad anfiteatro e dominata dall’acropoli situata sulla collina che domina la baia ed un’altra escursione nella valle delle farfalle che vengono qui per riprodursi, una sorprendente riserva naturale unica nel suo genere tra ruscelli e piccole cascate.

15 settembre

Dopo la notte passata a Roma come nostra abitudine, partiamo da Fiumicino con un volo Blue Panorama alle 11.30 ed atterriamo all’aeroporto Diagoras di Rodi alle 15.00. Raggiungiamo il nostro Hotel Esperia in posizione centrale perfetta, a piedi si raggiunge comodamente sia la zona nuova che quella storica di Rodi. Siamo al quarto piano nell’ala più distante dalla strada sottostante che ospita negozi e ristoranti quindi abbastanza rumorosa. Presente anche una bella hall ed una piscina…che certamente non useremo!

Sistemati i bagagli ci rechiamo al vicino ufficio turistico che troviamo chiuso…..apre lunedì….allora giriamo un poco nelle strade vicine all’hotel in cerca di un ristorante e ce ne capita uno che ci sembra accattivante in Nikiforou Mandilara il “GYROS ART” attratti anche dalla simpatia del solito personaggio che adesca i clienti! Infatti non abbiamo sbagliato ed il primo approccio con la cucina locale è veramente magnifico!

La lauta cena si prolunga abbastanza e torniamo in hotel per un salutare riposo.

16 settembre

Stamani meta Mandraki. E’ una delle più amate e gettonate tra visitatori e turisti.

Percorrendo il frangiflutti passiamo davanti a tre mulini a vento di epoca medievale, che venivano utilizzati per macinare il grano portato a Rodi dalle navi mercantili.

Il porto ha una storia antichissima, perchè qui attraccavano navi ed imbarcazioni ben 2500 anni fa, ed è qui che, secondo quanto riferiscono storici antichi e leggende, torreggiava l’imponente statua del Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie dell’antichità.

Vicino c’ è il Forte S. Nicola costruito intorno al 1400 e rafforzato nel 1460 che è anche un faro. Dopo l’assedio di Rodi nel 1480 il Gran Maestro d’Aubusson aggiunse un bastione attorno alla torre trasformandolo in una fortezza di guardia sul mare. Questa fu la chiave per la difesa della città sia nel primo assedio infruttuoso del 1480 sia nel secondo e conclusivo avvenimento del 1522-23. Notiamo una notevole presenza di gatti e una specie di rifugio per loro con tanto di cartello che invita a lasciare donazioni o cibo.

Ripercorriamo il molo all’indietro dirigendoci verso l’ingresso vicino alla Torre di S. Paolo che porta al fossato medievale.

Le fortificazioni della città consistono in una cintura difensiva attorno alla città vecchia composta per lo più da una fortificazione  composta da un terrapieno rivestito in pietra con bastioni, fossato, controscarpa e spalto. La parte di fortificazione che si affaccia sul porto è invece costituita da un semplice muraglione merlato, mentre sui moli sono poste torri e forti di difesa. Il fossato è immenso e in parte scavato nella roccia, di una larghezza tra i 30 e i 45 mt con una profondità che varia da 15 a 20 mt ed ospita centinaia di palle di cannone in pietra.

L’opera di fortificazione iniziò nel 1312 ma di questo parleremo in seguito.

Percorriamo il fossato osservando l’imponete sagoma del Palazzo del Gran Maestro e passando sotto il ponte che conduce alla Porta d’Amboise risaliamo fino alla Porta di S. Antonio arrivando a  Piazza Kleovoulou su cui incombe una parete armata di cannoni, incrociamo delle zingare e usciamo dalla Porta d’Amboise e percorrendo la strada esterna  raggiungiamo  Piazza Eleftherias dove troviamo gente in attesa di una sfilata d’auto. Pare che siano presenti anche Ferrari. L’attesa è lunga, sotto un sole cocente, poi arrivano le auto, qualche Ferrari, qualche Porsche e una Mustang precedute da un corteo di “Vespa” della Piaggio e di “Harley Davidson”. Ci aspettavamo di più! Mah!

Inizia la pavimentazione in un acciottolato detto a “lingua di gatto”, presente in altre città europee mediterranee, che darà molte sofferenze ai nostri piedi! In compenso spesso formano belle decorazioni.

Prima di proseguire qualche notizia sui Cavalieri di Rodi.

Proseguendo si arriva a Piazza Symis dove si trovano i resti del Tempio di Afrodite e l’Albergo della Lingua d’Alvernia. Più avanti si trova la piazza Argirokastrou con al centro una fontana composta da una fonte battesimale e da una colonna e su un lato l’Ospedale vecchio fatto costruire intorno alla metà del XIV sec. dal Gran Maestro Roger de Pins, di cui è visibile lo stemma in una lastra incassata nella facciata. Gli ottomani lo utilizzarono come Armeria. Siamo allietati dalla musica di una elegante flautista!

Oltrepassato un arco troviamo a sinistra la chiesa di Nostra Signora del Castello e il Museo Archeologico che visiteremo in altri giorni, mentre a destra si apre la via dei Cavalieri (Odòs Ippotòn) una strada lunga 200 metri dove vivevano e lavoravano i Cavalieri.

(Le residenze o alberghi sono i palazzi di rappresentanza delle varie “Lingue” in cui erano divisi i cavalieri a seconda della loro nazionalità. Furono istituite nel 1319 dal Gran Maestro Elione di Villeneuve ed erano originariamente in numero di 7: Provenza, Alvernia, Francia, Italia, Aragona, Alemagna, Inghilterra-con Scozia e Irlanda). Nel 1462 Castiglia e Portogallo si separarono dalla Lingua d’Aragona e costituirono l’ottava)

Le alte mura su entrambi i lati sono incorniciate da codici di pietra scolpiti. Sul lato destro troviamo dapprima la residenza dei cavalieri d’Italia, terminata nel 1519. All’interno di un arco carenato, tra le finestre del piano superiore, si notano le armi del Gran Maestro Ilario del Carretto. Proseguendo, sempre sul lato destro, si trova la Residenza dei Cavalieri di Francia. Quindi la chiesa della SS. Trinità che risale ai tempi del Gran Maestro Beranger (1365-1374).

Sull’angolo un baldacchino con una statua di Maria. Sopra il portale, sormontato da arco ogivale, stemma dei cavalieri d’Inghilterra e di Francia e stemma papale. Altri stemmi sono sulle facciate delle Residenze.

La via termina con una loggia posta di traverso (XV sec.) che conduceva ai resti della chiesa di S. Giovanni Battista in Collachium, una basilica a tre navate con tetto a capriate e volte innervate da costoloni sul transetto e sull’abside. Edificata nel XIV sec. era la chiesa principale dell’Ordine.

Entriamo nel quartiere turco e  vediamo i resti della Scuola Islamica su cui incombe la Torre dell’ Orologio costruita  sulle fondamenta di una precedente torre bizantina nel 1852 da un Pascià dell’impero Ottomano. E’ il punto più alto della città di Rodi e consente una meravigliosa vista a 360 gradi della città vecchia e delle sue antiche mura.

Si raggiunge la cima della torre tramite una stretta e ripida scala a chiocciola, ma la fatica è ampiamente ricompensata dal panorama mozzafiato assolutamente da non perdere.

Vicino c’è la Moschea di Solimano il Magnifico detta anche la Moschea Rossa dal colore delle sue pareti venne costruita nel 1522 in onore della vittoria del sultano sui Cavalieri. Restaurata nel 1808 con materiali originali dell’epoca, rimane una delle piu’ spettacolari attrattive della citta’ con il suo slanciato minareto.

Ci incamminiamo per Odòs Socratus un’ animata via commerciale su cui si affacciano numerosi negozi e la moschea di Mehmet  Aga e facciamo una sosta al Socratus Garden, un caffè-giardino appartato pieno di verde e fontane che si trova nella parte superiore della via. Una coppa di ottimo gelato per Bianca ed una banana split per me!

Ecco poi i Bagni Turchi, la Moschea del Sultano Mustafà e quella di Rejab Pasha e risalendo per Via Pitagora si arriva a Piazza Platonos dove sono concentrati tre music bar per i turisti più giovani e dove la moda e la tendenza sembrano di rigore. Si prosegue per piazza Ippocrate dove  si affaccia l’edificio “Castellania” fatto costruire dal Gran Maestro d’Amboise ai primi del XVI sec noto anche come come Loggia dei Mercanti, restaurato in epoca italiana. Uno scalone conduce ad un ampia terrazza, la finestra è ripartita da una croce decorata con i gigli di Francia. Alla sua sinistra armi del d’Amboise. Nell’architrave della porta d’ingresso un angelo sostiene le armi dell’ordine e del Gran Maestro, a sinistra quelle di Villiers de l’Isle d’Adam. Sul lato meridionale tre doccioni a forma di animale. Oggi la scalinata esterna che conduce al piano superiore è luogo di raduno di turisti che si rilassano osservando la vivace piazza il cui centro è ornato da una piccola fontana di epoca ottomana.

Un’altra piazza importante del quartiere turco è Platia Evreon Marytron, con al  una piccola fontana con statue di cavallucci marini in bronzo e circondata da numerosi ristoranti e bar. Nell’ aiuola vicina una stele ricorda l’ eccidio di ebrei nel 1944.

Attraverso la Porta Marina usciamo fuori dal centro antico e ci troviamo sul lungomare con in fondo il molo di Naillac ad est della Porta di San Paolo con  la sua Torre costruita tra il 1396 e il 1421 dal Gran Maestro Philibert de Naillac. Era usata come torre di guardia.

FINE 1a PARTE

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Rodi tra storia e natura-2018-2a parte

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Rodi, l’ isola magica, l’ isola dei cavalieri famosa fin dall’antichità per il mitico Colosso, una delle sette meraviglie del mondo antico, la più grande del Dodecaneso. La città vecchia, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, è una delle città medievali meglio conservate d’ Europa e al suo interno si incontrano Oriente ed Occidente. Fuori dalle sue mura c’è la parte moderna della capitale che rivela il suo aspetto cosmopolita tra magnifiche spiagge, splendido mare, incredibili scorci cittadini, piatti deliziosi ed una esuberante vita notturna. Il nostro viaggio sarà dedicato alla visita di Rodi città, un’escursione a Lindos costruita ad anfiteatro e dominata dall’acropoli situata sulla collina che domina la baia ed un’altra escursione nella valle delle farfalle che vengono qui per riprodursi, una sorprendente riserva naturale unica nel suo genere tra ruscelli e piccole cascate.

17 settembre

Palazzo del Gran Maestro

L’edificio originale andò distrutto nel terremoto del 1856 e quello che vediamo oggi è una ricostruzione del 1940. Nasce come Fortezza nel XIV secolo per poi essere ricostruito durante l’occupazione italiana e destinato ad accogliere Vittorio Emanuele III e Mussolini ma nessuno di essi si recò mai a Rodi; il restauro, tuttavia, si completò solamente nel 1940, a pochi anni dal Trattato di Parigi. Preziosi mosaici dell’isola di Kos abbelliscono le sale che custodiscono magnifici vasi giapponesi, doni dell’ Imperatore Hirohito al Duce.

Al suo interno presenta un grande cortile porticato, lastricato con pietre   provenienti dall’ Odeon di Coo.

Gli interni sono decorati da reperti provenienti soprattutto da Rodi e Coo e da mobilio italiano.

Il primo salone ha stalli di coro cinquecenteschi e un mosaico tardo-ellenistico sul pavimento. Simile è il secondo salone.

Nella sala di Laocoonte troneggia una copia dell’omonima scultura.

L’attigua Sala della Medusa ha un mosaico ellenico con la testa della gorgone, vasi cinesi e islamici. La seconda sala a volta trasversale, già ufficio del governatore, è pavimentata con un mosaico paleocristiano del  V secolo, proveniente da Kos. La sala più grande è detta “dei Colonnati”, dalle due file d’archi poggianti su colonne che ne reggono il soffitto, ciascuno su un diverso capitello antico di spoglio; vi si trovano mosaici paleocristiani del V secolo. Il mosaico più prezioso è forse quello delle Nove Muse, nella sala omonima. Dopo che i turchi ebbero assoggettato l’isola nel 1522, il palazzo fu adibito a prigione, la cappello divenne stalla e la chiesa una moschea. I Cavalieri si trasferirono nella vicina Malta donata loro dall’imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V e da allora furono chiamati Cavalieri di Malta.

Con l’aggiunta di 2 euro si acquista il biglietto per accedere al percorso sulle antiche mura. Orario massacrante: dalle 12.00 alle 15.00….sotto un sole cocente….Poveri noi!

Come la maggior parte delle mura difensive furono realizzate con la tecnica della muratura a sacco che consente di disporre di una grande massa capace di resistere al cannone e mura esterne lisce per impedirne la scalata. Il panorama sulla città premia la nostra fatica.

Usciamo dalla Porta Akandia e attraversando un piccolo un parco arriviamo alla chiesa di S. Maria del Borgo, o meglio quello che resta, distrutta probabilmente durante l’assedio del 1522. Ne restano in piedi solo le tre absidi e una cappella laterale sul lato sud. Era una basilica a tre navate di cui quella centrale presentava volte a crociera e tre absidi pentagonali  con semicupole.  Sono visibili i basamenti delle quattro colonne che la dividevano da quelle laterali.

Torniamo sul lungomare ammirando La Porta della Vergine Maria e quella di Arnauld prospicente il Kolona Port e costeggiando il Porto di Mandraki arriviamo alla Moschea Murad Reis del 1522, circondata da un boschetto di eucalipti e palme che ospita tombe di dignitari turchi tutte rivolte rigorosamente ad est. Le varie steli in marmo sono caratterizzate da una pigna per le donne ed un turbante per gli uomini. VI è sepolto Murad Reis comandante della flotta del Saladino. Bianca trova il tutto un po’ lugubre come visita….

Nei dintorni c’è il Palazzo del Governo e il monumento dedicato al Colosso di Rodi ed una specie di cassa armonica ma in muratura.

Visitiamo la Cattedrale dell’ Annunciazione che sorge sulle fondamenta della Chiesa di San Giovanni dei Cavalieri che andò completamente distrutta nel 1856 quando il deposito di polvere da sparo ospitato nei sotterranei esplose. Quando fu ricostruita divenne la cattedrale cattolica dell’arcidiocesi di Rodi, ma nel 1947 fu convertita in chiesa greco-ortodossa. La luce del tramonto che penetra dalle finestre produce particolari giochi di luce sui lampadari di cristallo.

Torniamo stanchissimi in hotel….poi a cena. Giornata piena e faticosa!

18 settembre

Anche oggi una giornata faticosa: il giro delle mura fatto esternamente prima però un “caffè greco” al Socratus Garden poi la visita alla chiesa di S. Maria del Castello.

CHIESA DI S. MARIA DEL CASTELLO

Originariamente a pianta cruciforme e coperta da cupola risale al XI-XII sec ma è stata fortemente rimaneggiata dai cavalieri e presenta oggi marcati lineamenti gotici. Sotto il Gran Maestro Hèlion de Villeneuve (1319-1346) fu infatti trasformata in basilica a tre navate con transetto, la cupola e le volte a botte furono sostituite da volte a crociera innervate da costoloni e assunse il ruolo di cattedrale del rito latino.

Nella parte occidentale della navata centrale sono ancora visibili affreschi, quelli in migliori condizioni raffigurano S.Lucia che richiama chiaramente la scuola senese del XIV sec. e fu probabilmente eseguito nel 1320 da un artista italiano. Sono anche esposti dipinti molto interessanti.

L’annesso museo di arte bizantina è purtroppo chiuso…Ripercorriamo la Via dei Cavalieri e passando per la Porta di S. Antonio usciamo attraversando la Porta D’Amboise e immettendoci sulla strada esterna che costeggia le mura.

Inizia la sequenza dei bastioni e delle porte principali.

PORTA D’AMBOISE

E’  una grandiosa porta dominata dal palazzo del Gran Maestro. È dotata di una tripla cinta difensiva con cammini di ronda, due torrette rotonde ed accesso coperto. Sono in sito i resti di antiche porte in legno borchiato. Fu completata nel 1512. Sulla porta esterna un rilievo di angelo e gli stemmi del gran maestro Emery d’ Amboise.

TORRE DI SPAGNA E TERRAPIENO DI SPAGNA

Posto nella zona sudovest delle mura a fianco della porta di Sant’Atanasio era affidato ai cavalieri della lingua di Spagna.

PORTA DI S. ATANASIO

Prende il nome dalla chiesa che vi si trova addossata all’interno delle mura. D’Aubusson la fece chiudere nel 1501, per questo la porta mostra un minore livello di fortificazione. E’ quella da cui entrò Solimano dopo la caduta della città facendola riaprire per l’occasione e poi facendola murare di nuovo. Sul lato esterno lo stemma di d’Aubusson all’interno lo Stemma dei Savoia e del governatore Alessandro De Bosdari.

Attraverso la porta entriamo in città per vedere una piccolissima chiesa, quella di S..Atanasio, diversa da tutte, a una navata stretta e rettangolare con volta a botte.

All’interno non c’e’ praticamente nulla in termini di panche o sedie ne’ di finestre, sembra un bunker; sul fondo si intravede una specie di altare in diagonale con una nicchia in muratura che era in effetti il Mihrab che, all’interno di una moschea o di un edificio, indica la direzione (gibla) della Mecca e un altarino in legno con le solite candele e immagini antiche sacre. Molto interessante nella sua semplicità.

PORTA DI ARNALDO

E’ una piccola e doppia porta risalente al 1391 che dà accesso all’ospedale di San Giovanni, oggi Museo Archeologico di Rodi.

TERRAPIENO D’INGHILTERRA

Posto nel lato sud delle mura tra le porte di Sant’Atanasio e di San Giovanni, il terrapieno d’Inghilterra era affidato ai cavalieri della lingua di Inghilterra.

PORTA DI S. GIOVANNI  (detta anche Porta Rossa)

Sopra la porta, accanto a quelle dell’ordine, stemma del d’Aubusson. Era difesa da quattro torri rettangolari e un forte bastione esterno. Una doppia diga sopravanzava le mura su ambo i fianchi della porta. Attraverso questa porta fecero ingresso le truppe italiane nel 1912. Sulla sinistra una targa, ora rimossa ma il cui incasso è ancora visibile, ricordava l’evento.

BASTIONE DEL CARRETTO

Detto anche Bastione d’Italia fu gravemente danneggiato durante l’assedio del 1480 ed interamente ricostruito tra il 1515 e il 1517 secondo le indicazioni dell’ingegnere militare vicentino Basilio della Scola e dedicato all’allora Gran Maestro. Un massiccio torrione è protetto da un grandioso bastione circolare (15 mt di diam.) su cui è incassato lo stemma di Fabrizio del Carretto.

TORRE DELLA VERGINE MARIA

Fatta edificare nel 1441 da Jean de Lastic, le cui armi sono scolpite accanto a quelle dell’ordine sotto un bassorilievo raffigurante la Vergine incassato nel muro esterno, è rinforzata da un bastione provvisto di bocche per l’artiglieria.

PORTA DELL’ ARSENALE

Venne costruita nel 14 secolo dal Gran Maestro Juan Fernadez de Heredia come testimonia lo stemma sopra di essa. Nel 1908 l’amministrazione ottomana fece abbattere le due torri laterali per allargare la strada di accesso al porto di Kolona. Oggi grazie al collegamento diretto con la Porta della libertà consente anche il rapido transito degli autoveicoli tra il porto di Kolona e la città nuova.

PORTA MARINA

Costituiva l’accesso principale alla città dal porto. Le sue torri difensive hanno un compito più di rappresentanza che di difesa, visto l’esiguo spazio tra lo specchio d’acqua ed il porto nessun esercito sarebbe mai riuscito a sferrare un attacco da questo lato delle mura.

PORTA DI AKANDIA

Venne aperta nel 1935 dall’amministrazione italiana per collegare il porto commerciale alla zona sudest di Rodi oltre la città medievale.

PORTA DELLA LIBERTA’

Fu aperta dagli italiani nel 1924 che le assegnarono il nome sentendosi liberatori dell’isola dai turchi. È la porta principale di accesso al porto di Kolona e di collegamento tra i porti di Kolona e Mandraki. Pur essendo moderna è costruita rispettando nelle grandi linee i canoni architettonici delle porte medioevali. La strada che l’attraversa prosegue attraverso la Porta dell’Arsenale.

Per oggi ci basta….Domani escursione a Lindos una suggestiva località lungo la costa est di Rodi situata su una scogliera che vanta una sua propria Acropoli.

FINE 2a PARTE

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Rodi tra storia e natura-2018-3a parte

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19 settembre

ESCURSIONE A LINDOS

Il molo di imbarco si trova prospiciente l’edificio ettagonale Nea Agorà che ospitava quello che un tempo era il mercato del  pesce. Sotto i portici che corrono lungo il lato affacciato sul porto ci sono caffè e negozi vari.

Alle 9:00 ci imbarchiamo sulla motonave ad idrogetti Discovery per recarci a Lindos che raggiungeremo in circa due ore fermandoci per un bagno in questo splendido mare.

Occupiamo due posti sul ponte superiore per godere appieno del tragitto. In verità la costa è abbastanza brulla, quasi senza verde, ma il suo aspetto selvaggio ha un certo fascino.

Tappa nelle acque color verde smeraldo della baia di Anthony Quinn, set originale del film “I cannoni di Navarone”del 1961, che venne girato proprio su questa spiaggia che, al termine delle riprese, venne acquistata dal protagonista principale: Anthony Quinn, appunto. Nel 1990 lo stesso attore restituì la spiaggia all’ isola, che però ne ha mantenuto il nome. La baia si adagia tra due crinali ricchi di vegetazione mediterranea. Il verde è finalmente presente! Uno specchio di mare dai colori cangianti in blu, turchese e verde, una piccola spiaggetta di sabbia e ciottoli, alcuni gruppi di rocce e scogli levigati dal vento e dal mare, il tutto incastonato in una cornice naturale di grande effetto scenografico, con le alte colline circostanti verdeggianti di pini e macchia mediterranea.

Siamo quasi emozionati, non facciamo un bagno dal nostro soggiorno a Creta del 2011 o meglio ci siamo bagnati a Cuba nel 2017 ma senza entusiasmo in quanto come sulla riviera Romagnola bisognava percorrere qualche centinaio di metri per trovare un poco di mare profondo. Cambio il costume bagnato e lo stendo al sole ma una folata di vento lo fa volare via lasciando così un mio ricordo in questo splendido mare!

Ancora in navigazione verso Lindos dove arriviamo intorno alle 11.30.

Dal mare la vista è spettacolare! Case bianche costruite ad anfiteatro sulle pendici della collina sulla cui cima si staglia l’Acropoli ad un centinaio di mt d’altezza.

Il pendio sale gradualmente da nord a sud ed è intervallato da quattro pianori. Già sul primo prendiamo fiato e godiamo della bella vista panoramica. Il tratto più faticoso è la scalata al Castello dei Cavalieri Gerolosomitani. Arrivati in cima attraversiamo la porta d’ingresso e già ci sentiamo immersi nell’antichità! Altari, piedistalli,un muro su cui poggiano 26 colonne restaurate tutto rappresenta i resti della “stoà” ellenistica. L’ imponente tempio dorico dedicato ad Athena Lindia si innalza sul quarto pianoro e si staglia su un cielo azzurro e terso.

Davanti a noi si apre un magnifico panorama sui tetti di Lindos e sulla baia di S. Paolo. Piccola caduta sulle vestigia archeologiche….. ma senza conseguenze per me e per l’attrezzatura fotografica, solo sbucciature alle ginocchia e contusione al mignolo destro. Mè andata bene!

Lindos conta 800 abitanti e nel suo centro storico non esistono auto! Per la discesa optiamo per un mezzo congeniale di trasporto nell’ isola: l’asino! Piacevole il percorso ma faccio un piccolo errore, pronuncio la parola greca “PAME” che significa “ANDIAMO e l’ asinello inizia ad accelerare! Per fortuna il suo padrone lo ferma in tempo!

Un tratto lo facciamo a piedi e vediamo la piccola chiesa di S. Giorgio tutta bianca.

Riprendiamo la navigazione e facciamo un’altra sosta alla baia di Anthony Quinn per un secondo bagno. Goduria al massimo! Finalmente ancora sale sulla pelle! Proseguiamo costeggiando la spiaggia di Tsambika caratterizzata da un larghissimo litorale incastonato tra due imponenti promontori rocciosi e le terme di Kallithea le quali contrariamente a quanto può far supporre il nome, non sono una Spa né un centro termale. La denominazione “terme” deriva dal fatto che nell’antichità qui sgorgavano acque termali, ma al momento non esistono stabilimenti che le sfruttino. Arriviamo a Rodi intorno alle 18.00 pienamente soddisfatti. Non ci resta che una bella doccia e poi a cena.

20 settembre

Escursione alla Valle delle Farfalle.

Unica al mondo, la Valle delle Farfalle deve il suo nome all’enorme numero di farfalle che in estate affollano l’area di Petaloudes, dal significato in greco, appunto, di farfalla, a 27 chilometri da Rodi città e a 5 chilometri a sudest del villaggio di Theologos, nella parte occidentale dell’isola tra ruscelli e cascate.

Questa Valle è tra i luoghi più attraenti dell’isola e permette di camminare fra ruscelli, cascate e una ricca vegetazione. L’enorme numero di farfalle, milioni, è richiamato in estate, soprattutto nel mese di agosto. Appartengono alla specie della “Panaxia quadripunctuaria”, sono prevalentemente notturne e per questo motivo si riposano durante il giorno e grazie all’umidità e alla vegetazione presenti nella zona  si accoppiano e sono obbligate ad emigrare due volte l’anno e spesso devono coprire lunghe distanze che richiede tanta energia.

Considerando che nel periodo trascorso nella valle non si nutrono, si comprende come la quantità di energia a loro disposizione sia molto limitata, ecco perché ne vedremo tante ferme sugli alberi a riposare. Un opuscolo datoci all’ingresso invita ad evitare ogni sorta di rumore e a parlare a bassa voce per non disturbarle.   Un piccolo fiume, chiamato Pelecanos, scorre giù per una valle stretta, che termina con una cascata che cade in una piscina verde. La foresta di zitia, una specie di albero, espelle un’uva aromatica che si dice attiri le farfalle.

La valle si estende in una superficie di circa 60 ettari ed è parte dell’area protetta che prende il nome Natura 2000. Un percorso  lungo 1,3 km conduce in salita, attraverso sentieri e ponticelli, fino al monastero di Panagia Kalopetra ad un’altitudine di 370 mt. Passeggiare lungo la gola verdeggiante tra piccole cascate, stagni e farfalle è piacevole anche se abbastanza stancante. Ultimi 300 mt e siamo al monastero. Costruito nel 1780 nella stessa posizione di quello originale che risaliva al 13° secolo. Fu fondato da Alexandros Ypsilantis durante il suo esilio a Rodi. Ypsilantis era un principe greco, sovrano della Valacchia e della Moldavia, impegnato in varie guerre contro gli ottomani.

La Chiesa è molto semplice a unica navata con 2 cupole dipinte di blu con stelle bianche, le pareti sono semplici, il lampadario placcato oro è unico, le lampade sospese  d’argento e i candelabri in bronzo sono molto belli, l’iconostasi è  in legno scolpito e belle sono le varie icone e le pitture sparse sui muri. Al centro del piazzale un bellissimo arancio.

Da quassù, possiamo godere di una magnifica vista sulla vallata, sulle coste di Rodi e su alcune delle isole del Dodecanneso, così come sulla costa turca.

In verità la discesa preferiamo farla con il trenino che collega fino allo stazionamento del bus che in perfetto orario, alle 15.30 ci riporta a Rodi. Una bella sgroppata! Preferiamo dopo una veloce colazione riposarci un poco in albergo. Riprese le forze andiamo in giro per acquistare i souvenirs da portare in Italia e poi c’ incamminiamo lungo la costa verso la zona a nord della città ovvero la punta estrema dell’isola. Molti gli stabilimenti balneari e molto vento!

Un fugace sguardo al Casinò decisamente retrò e poi ci dirigiamo verso l’ Acquario che non visiteremo in quanto mi sono informato e non è per niente interessante. Ne abbiamo visti di migliori! Inizialmente nato come Istituto biologico marino, è un acquario greco, istituito nel 1930 nella città di Rodi, sotto la dominazione del Regno d’Italia, costruito dall’architetto Armando Bernabiti.

Invece siamo curiosi di vedere la scultura dedicata a Diagora il famoso pugile greco del quale ho trovato cenni storici.

“Diagora di Rodi era figlio di Damagete. Apparteneva alla nobilissima famiglia degli Eratidai, che occupava un ruolo importante nella vita politica e sociale di Rodi. Era famoso per la formidabile possanza fisica e per il talento atletico, che gli permisero l’eccezionale impresa di vincere in tutti i quattro giochi panellenici, oltre che in numerosi agoni locali.  Diagora ebbe tre figli maschi, i quali nello stesso giorno vinsero le olimpiadi, uno nel pugilato, uno nel pancrazio ed uno nella lotta. Stando ad, Aulo Gellio la gioia di Diagora per i trionfi dei figli fu tale, che dopo aver ricevuto i loro abbracci morì. Diagora ebbe anche una figlia, Callipatera, celebre per aver trasgredito il divieto di partecipazione femminile ai giochi olimpici: scoperta, fu perdonata in onore del padre, dando origine al regolamento della nudità olimpica.” FONTE WIKIPEDIA

Sul molo davanti a noi si infrangono le onde. Una turista disattenta fa un bagno inaspettato!

21 settembre

Andiamo e Elli Beach per un bel bagno. Purtroppo non troviamo la sabbia ma tanti, tanti ciottoli! Che sofferenza! Non che amiamo la sabbia ma i ciottoli proprio non li sopportiamo! Nostro malgrado ci adattiamo pur di fare un bel bagno in questo mare che, anche sotto costa, è comunque splendido! Stabilimento attrezzato in modo esemplare!

Ritorno in hotel per una doccia poi una abbondante spuntino e ci rechiamo al Museo Archeologico ospitato nell’ex ospedale dei Cavalieri di S. Giovanni posto all’inizio della Via dei Cavalieri. Eretto nel XV sec ma completato dopo ben 40 anni grazie all’arrivo del Gran Maestro D’Aubusson, è un edificio piuttosto semplice con un grande cortile porticato e si svolge su tre piani. Otto semplici archi sostengono la facciata esterna con un unico elemento centrale che rompe questa rigorosità: un arco gotico decorativo incassato.

Nel cortile si trova la statua di un leone con una testa di toro tra le zampe.

All’interno dell’edificio vi e’ una vasta collezione di epitaffi del periodo post-Classico, Ellenistico, Romano e dei Cavalieri di San Giovanni cosi’ come anche un enorme numero di interessanti statue incluse due Kouros e due Afrodite (la piu’ piccola delle quali I sec a.C. e’ nota come Afrodite di Rodi) ed un’ampia collezione di urne e vasi.

Una stele funeraria del V sec raffigura due donne (probabilmente madre e figlia) i cui nomi secondo l’iscrizione riportata sulla pietra erano Krito e Timarista.

Ci sono reperti provenienti dalle antiche Ilyssos e Kamiros, sculture dei periodi arcaico, classico, ellenistico e romano, oltre a mosaici dell’età ellenistica della città. Nella grande sala dei pazienti, sono esposte lapidi scolpite di Cavalieri, emblemi cavallereschi e un sarcofago romano usato per la tomba del Gran Maestro Kornegian.

Una parte è dedicata alla ricostruzione di una casa medievale.

La cena stasera è anche un commiato dai nostri amici del ristorante: Manolis, Giorgio, Spuros, il proprietario e Marianna coi quali facciamo un breve video. Spuros ci illustra il funzionamento della “Coppa di Pitagora”, chiamata altresì  coppa di Tantalo, è un particolare tipo di bicchiere che deve essere riempito con moderazione, ovvero il bicchiere che non consente di bere troppo.

La coppa di Pitagora è un recipiente progettato per contenere una quantità ottimale di liquido. Questo costringe, quindi, le persone a sorseggiare con moderazione e a non alzare troppo il gomito. Se il consumatore è troppo avido e versa la bevanda oltre il limite, infatti, la coppa riversa tutto il suo contenuto all’esterno.

Domani si torna in Italia.

22 settembre

Preparativi per il viaggio ed in attesa del taxi che ci porti all’aeroporto facciamo un bel fish-pedicure in un elegante locale vicino all’hotel. Visto il martirio causato ai nostri piedi dai km percorsi sull’acciottolato di Rodi  i pesciolini pulitori avranno di che cibarsi!

Corsa in aeroporto ma……l’ aereo ha un ritardo di tre ore! No comment….

IMPRESSIONI, PURAMENTE PERSONALI, SU RODI

Viaggio voluto soprattutto per visitare la città antica con il centro storico medievale veramente interessante. Lindos e la Valle delle farfalle sono state un’accoppiata vincente. Formulare un giudizio su Rodi mi è difficile…È bella, a tratti molto bella, ma le manca qualcosa per essere bellissima. Snervante la moltitudine di negozi e ristoranti che ti trovi intorno, anche troppi, ma poi ho capito che il caos fa parte di Rodi. Non ho apprezzato la poca cura dell’ambiente urbano come le strade e i marciapiedi maltenuti. Ma il mare limpidissimo e pulito, i panorami mozzafiato hanno riempito in parte queste lacune.

 

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Myanmar (Birmania) – tra pagode, religione e natura – 1a tappa: Yangon

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8 dicembre

Dopo la notte trascorsa in hotel a Malpensa ci imbarchiamo sul volo della Qatar Airways destinazione Doha in Qatar dove faremo scalo per poi volar e a Yangon con aereo della stessa compagnia.

(Da notare che la Katar Airways è stata premiata come migliore compagnia area dal 2015 al 2019. L’ aeromobile Airbus 350-1000 che ci ospita costa 366,5 milioni di dollari ed è all’ avanguardia nel trasporto passeggeri. Il servizio di ristorazione a bordo è studiato con attenzione in ogni minimo dettaglio e la presenza di uno schermo tv interattivo  intrattiene piacevolmente il passeggero.)

9 dicembre

YANGON

Partiamo alle 9.40 ora italiana e dopo lo scalo a Doha in Qatar atterriamo a Yangon, capitale del Myanmar, alle 5.35 ora locale. Incontriamo la nostra guida Zaw Min Oo che ci fa subito una ottima impressione. Subito l’ impatto visivo con il longyi la gonna indossata da tutti, uomini e donne. E’ un quadrato di tessuto, indossato principalmente in Birmania della larghezza di circa 2 metri e altezza di 80 centimetri che viene indossato intorno alla vita, e scende fino ai piedi. Si mantiene tramite alcune pieghe su se stesso, e senza nodi.

Dopo la pratica doganale per l’ ottenimento del visto che costa 50 $, ci rechiamo al nostro albergo, il Park Royal, veramente notevole (vi è allestito un immenso albero di Natale), per sistemare i bagagli e subito iniziamo la nostra avventura a Yangon. Yangon, alias Rangoon, non è più la capitale del paese, che dal 2007 è stata trasferita nell’anonima città di Naypyidaw in posizione geograficamente centrale, ma rimane il punto di partenza e di arrivo di ogni viaggio in Myanmar. La città, vastissima, si estende su 350 kmq e conta 6 milioni di abitanti. Il traffico è caotico e disordinato, con ingorghi e rallentamenti frequenti, malgrado la totale assenza di moto e motorini in quanto  con una trovata geniale, i militari al potere hanno proibito la circolazione dei motoveicoli a Yangon, di fatto limitando moltissimo gli spostamenti delle persone e evitando di conseguenza assembramenti organizzati.  A Yangon è anche proibito suonare il clacson, provvedimento questo dalle finalità alquanto misteriose. Un particolare che subito salta agli occhi è il groviglio di cavi onnipresenti lungo le strade, appoggiati a pali in legno e a volte in ferro o in cemento….

La città è comunque il centro culturale, artistico e religioso del paese, mentre per l’attività governativa tutto è stato trasferito a Naypyidaw.

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PREMESSA

La pagoda (“paya”)

Il termine pagoda viene tradotto in birmano con la voce paya che a sua volta significa stupa.

In realtà il termine “paya” vorrebbe dire semplicemente “cosa sacra”. Infatti i birmani lo usano anche per le statue di Buddha, i templi e i luoghi di culto in generale e per una vasta iconografia religiosa che comprende animali e idoli oggetto di venerazione.

Le paya a loro volta possono essere:

zedi – edificio emisferico, a bulbo o campaniforme senza spazi interni che contiene reliquie.

patho – edificio a pianta quadrata o rettangolare, in pratica un tempio, anche se non sempre abitato dai monaci

Nella comune accezione del termine però possiamo dire che con il termine stupa si intende lo zedi mentre con tempio ci si riferisce al patho. Il termine paya invece indica tutti e due, ma anche addirittura tutto l’insieme di edifici religiosi che circondano lo stupa centrale.

Le cose si complicano quando si diversifica lo stupa ( nel suo significato di zedi) in sikhara e stupa vero e proprio.

Lo sikhara è una piramide curvilinea costruita sopra il sancta sanctorum, elemento architettonico del tempio indiano (induista o jainista) a forma di torre. In pratica rappresenta la montagna degli dei nel tempio indù. Questo lo troviamo dal V al XI secolo, passando da una torre a terrazze, a quella a sezione semiellittica a quella a gradoni.

Lo stupa vero e proprio invece è un monumento e luogo sacro del culto buddista, spesso attorniato da un tempio o da un monastero. In pratica un tumulo emisferico sormontato poi da uno o più ombrelli. Questo lo troviamo a partire dal III sec. A.C. ai tempi di re Ashoka.

Per i monasteri invece il termine è “kyaung”.

Inizia la nostra visita a Yangon

Vediamo la Sule Paya, una piccola pagoda situata nel centro di Yangon, conosciuta in birmano come Kyaik Athok Zedi, circondata da strade trafficate, un mercato e edifici di epoca coloniale come l’edificio della corte suprema e il municipio di Yangon.

Misura 44 metri di altezza ed è molto venerata perché conserva una reliquia del Buddha. Yangon è l’unico luogo al mondo dove trova una grande pagoda al centro di una rotonda stradale, nel punto dove confluiscono Maha Bandoola road e Sule Pagoda road. Indubbiamente una soluzione urbanistica unica al mondo. La pagoda ha pianta ottagonale (particolare architettonico raro) e si trova nella zona sud della città, vicino alla confluenza dello Yangon River con il Bago River. Oltre al suo significato come punto di riferimento e luogo di incontro, forse la sua funzione più banale è come il punto da cui vengono misurati tutti gli indirizzi a nord. Ci dirigiamo verso il monumento che celebra l’indipendenza della Birmania, ottenuta nel 1948 e poi ci incamminiamo verso il centro  incrociando botteghe, venditori ambulanti e vari street foods. Dire che Yangon è un gigantesco mercato all’aperto è la descrizione precisa.

EDIFICI DI EPOCA COLONIALE                                                                                                       

Di tutte le città del sud est asiatico, Yangon ha il più alto numero di edifici dell’era coloniale. Centinaia di strutture della fine del XIX secolo rimangono su un’area di diverse miglia quadrate nel centro della città. Nel 1852 gli inglesi presero gran parte della Birmania tra cui Yangon che divenne capitale dello stato e costruirono un gran numero di grandi, imponenti, maestosi edifici. Dopo che il governo birmano trasferì la capitale a Naypyidaw nel 2005, molti edifici dell’era coloniale furono abbandonati e ora sono in cattivo stato di conservazione. Al fine di proteggere i rimanenti edifici storici di Yangon, il governo birmano ha istituito la “Lista del patrimonio della città di Yangon” che contiene un gran numero di edifici storici, principalmente scuole ed edifici governativi dell’era coloniale britannica, nonché templi e pagode che non possono essere demoliti o modificati senza approvazione. Recentemente è stata istituita una moratoria che proibisce la demolizione di tutti gli edifici di età superiore ai 50 anni.

Ora una visita molto interessante:

PAGODA CHAUK HTAY GYI 

Oggi inizia il rito dei “piedi scalzi” ma proprio “scalzi”….ovvero anche senza i calzini per accedere alle pagode! Un cartello avverte che sono vietati scarpe, calzini, pantaloni corti, e “spaghetti blouses”….ovvero camicette con spalline sottili!

La Pagoda Chauk Htat Gyi di Yangon è nota per l’  enorme statua di Buddha sdraiato lunga 65 metri. L’immagine altamente venerata è ospitata in un grande capannone, dal design molto discutibile, a nord del lago Kandawgyi. L’impressionante immagine di Chauk Htat Gyi Buddha lunga 65 m, alta 16, con un viso di 7, 3 m per 2,7 m di naso e 50 cm di occhi.

Il braccio destro del Buddha sostiene la parte posteriore della testa. Ha un viso delicato con tratti vagamente femminili e decorato con colori molto espressivi, faccia bianca, labbra rosse, ombretto blu, ciglia lunghe 33cm, tunica dorata e unghie rosse. Le piante dei piedi contengono 108 segmenti nei colori rosso e oro che mostrano immagini che rappresentano i 108 lakshanas, ovvero segni di buon auspicio del Buddha.

Vicino c’è un monumento con santuari, uno per ciascuno degli otto giorni della settimana in astrologia asiatica (il mercoledì è diviso in due parti: mattino e sera) dove i locali pregano l’ immagine appartenente al giorno della loro nascita.

Comunque, per vostra utilità, ecco l’elenco dei giorni della settimana, con i simboli associati:

Lunedì (Luna, tigre)

Martedì (Marte, leone).

Mercoledì mattina (Mercurio, elefante con le zanne)

Mercoledì pomeriggio (luna crescente, elefante senza zanne)

Giovedì (Giove, ratto)

Venerdì (Venere, porcellino d’India)

Sabato (Saturno, serpente o naga)

Domenica (Sole, garuda, il mitico uccello-monte del dio indiano Vishnu)

Alcune targhe incise in inglese e birmano contengono informazioni sul buddismo e sugli insegnamenti del Buddha.

E’ presente anche un dipinto murale di Buddha e una fila dei suoi seguaci che sembrano uscire dal dipinto.  Chiromanti e indovini si affollano all’ingresso del capannone, cercando clienti a cui predire il futuro.

Pranzo in ristorante e dopo ci aspetta la meraviglia delle meraviglie:

PAGODA SHWEDAGON: IL CAPOLAVORO DEL BUDDHISMO

Il gioiello più grande del mondo

Shwedagon è per quasi tutti la prima meraviglia che gli occhi del visitatore ammirano al loro arrivo a Yangon. Situata a ovest del Royal Lake, sulla collina Singuttara di 114 acri a Yangon, la Pagoda è il sito buddista più sacro e impressionante per il popolo  del Myanmar e quando si parla della Pagoda ci si riferisce in realtà a un grande complesso architettonico, all’interno del quale ci si perde tra decine di pagode più piccole, statue di Buddha e templi che riflettono l’era architettonica che copre quasi 2.500 anni. La Pagoda è al centro delle attività religiose e della comunità: il trambusto di devoti e monaci che lavano le statue, offrono fiori, adorano e meditano.

Da un umile inizio di 8,2 metri oggi si erge per circa 110 metri, ricoperta d’oro con un peso stimato in  venti tonnellate del metallo prezioso.

Tutta la struttura si caratterizza per l’opulenza e la ricchezza di dettagli, che testimoniano perfettamente lo stile architettonico e artistico della cultura birmana.

Ma la Pagoda Shwedagon è anche e soprattutto spiritualità e fede. Al suo interno sarebbero conservati otto capelli del Buddha, e ogni fedele dovrebbe compiere un pellegrinaggio qui almeno una volta nella vita. Ogni giorno, centinaia di fedeli si recano alla Pagoda Shwedagon e pregano nel santuario corrispondente al proprio giorno di nascita.

LA SUA STORIA

Secondo la leggenda, circa 2,500 anni fa, due fratelli mercanti – Tapussa e Ballika – incontrarono il Buddha durante un viaggio in India. L’Illuminato diede otto dei suoi capelli e disse loro di custodirli all’interno di un tempio situato ad Okkalapa (odierna Yangon) alla sommità di Singuttura Hill, nello stesso luogo in cui erano custodite le reliquie delle sue tre precedenti reincarnazioni. Rientrati a Okkalapa, come indicato dal Buddha, il sovrano locale fece costruire una pagoda – stupa – alla sommità di Singuttura Hill per custodire le preziose reliquie. Tuttavia, gli storici ritengono che la pagoda originaria sia stata edificata dalla civiltà Mon in un periodo compreso dal VI al IX secolo d.C. A causa dei frequenti e violenti terremoti, la pagoda è stata ricostruita ed ampliata varie volte nel corso del secoli. 

Rivestimento della pagoda

Il rivestimento con fogli d’oro della pagoda principale ebbe inizio nel corso del XV secolo. In particolare, la regina Shinsawbu decise di applicare una quantità d’oro pari al proprio peso corporeo (circa 40kg). Successivamente, suo figlio Dhammazedi decise di seguire l’esempio della madre ma offrendo una quantità d’oro pari a quattro volte il peso proprio peso corporeo e della moglie…

La Pagoda Shwedagon rappresenta  un patrimonio unico del Myanmar raggruppando architettura, scultura e arte. il monumento più importante di Yangon e il luogo di pellegrinaggio più sacro per i buddhisti del Myanmar. È chiaramente una delle meraviglie del mondo religioso ed è visibile da tutta la città anche di notte.

Pagoda Naugdawgyi

Il complesso della Pagoda Shwedagon comprende anche un secondo imponente stupa dorato, la Pagoda Naugdawgyi, situata nel settore settentrionale del complesso denonimata anche La Pagoda del Fratello Maggiore, in onore ai due fratelli – Tapussa e Ballika – che, di ritorno dal loro viaggio in India, portarono gli otto capelli donati dal Buddha.

Il primo giorno si conclude con una“esuberante  e “fantastica” cena nell’ Hotel Park Royal, comprensiva di pesce scelto al momento e cucinato alla griglia.

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Myanmar (Birmania) – tra pagode, religione e natura – 2a tappa: Bagan

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BAGAN

Sulla sponda sinistra del fiume Irrawaddy, ai piedi del monte Popa, picco vulcanico meta di antichi pellegrinaggi, si estende una pianura bruciata dal sole e costellata a perdita d’occhio da oltre 5.000 pagode, stupa e monasteri buddisti, glorie dell’impero di Bagan. Qui, tra il 1044, anno di ascesa al trono del re Anawratha, e il 1287, data di arrivo dei mongoli, sorse una splendida capitale. Il grandioso complesso archeologico di Bagan (o Pagan), forse il luogo più attraente del Myanmar, è quanto resta di oltre 13.000 edifici religiosi costruiti all’epoca. Alcuni di questi sono ora solo misere, ma evocative rovine, altri hanno conservato intatto il loro splendore. I templi più importanti sono quelli di Ananda, il Thatbynnyu, quello di Htilominlo e lo Shwezigon che, con la sua elegante cupola dorata a forma di campana, diventò il prototipo di tutti gli stupa del Myanmar. Il sito è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Anche Marco Polo rimase colpito dalla suggestiva bellezza di Bagan, che descrisse con queste parole:

“Il re ha voluto costruire queste torri per celebrare la sua magnificenza e per il bene dell’anima sua e vi dico che a vederle sono le più belle cose al mondo e quelle di maggior valore”.

10 dicembre

In un aereo ATR-42 della Myanmar Airlines, ornato da addobbi natalizi, raggiungiamo Bagan. Ci porteranno i bagagli direttamente in albergo mentre noi iniziamo la visita.

Prima tappa:

MERCATO DI NYAUNG OO  

La vera Bagan è nella zona nord est dove è ubicato il mercato ortofrutticolo, “odoroso ”mercato generale” (soprattutto nella zona dove vendono pesce di fiume), un dedalo di sentieri tra mille bancarelle. La  sua visita permette di avvicinarsi alla realtà popolare della regione. Ricco di movimento e di gente, enorme, dove si trova di tutto, dalle verdure, alla frutta, alla carne, al pesce e ad articoli di vario genere, un mercato vivace dove i locali vanno a fare i loro acquisti.

Il mercato è diviso in due parti: il vecchio mercato si trova all’interno di un cortile dove arrivano anche i taxi e dove i camioncini scaricano e caricano le merci ed è pieno di mercanzie: dai bei manufatti in bamboo, alla frutta e alla verdura.

Nel nuovo invece si trova veramente di tutto: riso, pesce secco, uova, pesce fresco, pollo, frutta, verdura, vestiario ma anche laboratori di oreficeria. Magnifico da fotografare per i colori e per ammirare la popolazione sempre cordiale.

Presenti tanti monaci adulti e anche  quelli bambini, in giro per ricevere offerte. In seguito parleremo più a fondo dei monaci buddhisti presenti quasi ovunque.

In pullman ci dirigiamo alla:

PAGODA SHWEZIGON  “LA PAGODA D’ORO DELL’ISOLA”

Pagoda a pianta quadrata rilucente d’oro che si trova nella parte nuova di Bagan verso la cittadina di Nyaung. Fu costruita come il più importante santuario reliquiario di Bagan, un centro di preghiera e riflessione per la nuova fede Theravada che il re Anawarahta aveva stabilito a Bagan. È una bellissima pagoda iniziata dal re Anawrahta ma fu completata dal re Kyanzittha (1084-1113). Fu costruita per custodire una delle quattro repliche del dente di Buddha che si trova a Kandy, nello Sri Lanka, e doveva segnare il limite settentrionale della città. Nota: narra una leggenda che se si visitano tutte e quattro le repliche dei denti in un giorno, può portare prosperità e fortuna. La graziosa forma a campana della pagoda divenne un prototipo praticamente per tutte le pagode successive in tutto il Myanmar. E’ situata su tre terrazze sovrapposte con placche smaltate poste  nei pannelli attorno alla base della pagoda che illustrano scene delle precedenti vite del Buddha, noto anche come 550 Jatakas (vedi: https://en.m.wikipedia.org/wiki/Jataka_tales). Nei punti cardinali, di fronte alle scale della terrazza, si trovano quattro santuari, ognuno dei quali ospita un Buddha in piedi in bronzo alto quattro metri ultime immagini sopravvissute dell’antichità. Oltre a classificarsi come una delle pagode più antiche di Bagan, Shwezigon è nota come il sito in cui i 37 nat pre-buddisti (gli spiriti) furono inizialmente approvati ufficialmente dalla monarchia e le loro immagini possono essere viste in un capannone posto a sud-est.

QUALCHE CENNO SUI “NAT”

Molto tempo prima dell’introduzione del buddismo in Birmania tra i popoli nativi era largamente diffuso l’animismo. Uno dei culti più antichi nell’animismo birmano è appunto quello dei Nat. Originariamente, ogni villaggio aveva i suoi spiriti. Ogni albero e ogni campo era abitato da un Nat locale. C’erano i Nat del raccolto, i Nat del vento, i Nat della pioggia. La maggioranza dei Birmani, tuttavia, venerava Nat particolari, riconosciuti in tutto il paese per i loro poteri. È stato così per più di 1500 anni. Oggi sono 37 i nat che vengono ancora venerati e rappresentano parte integrante delle credenze religiose del popolo birmano, che li placa e li onora con offerte di fiori, denaro e cibo, poste su speciali altari. Secondo una credenza popolare  coloro che sono in contatto diretto con i Nat possono guarire la malattie e prevedere il futuro. Indovini, profeti e guaritori sono germogli naturali di questa credenza.

Una breve sosta fotografica al

TEMPIO THATBYINNYU

Il nome significa “tempio dell’onniscienza” e la sua costruzione fu iniziata durante il regno del re Alaungsithu, circa a metà del XII secolo, la costruzione fu edificata poco distante dal tempio di Ananda (la cui costruzione iniziò meno di un secolo prima). Il tempio ha una forma a croce irregolare e asimmetrica, la struttura è basata su due piani, e la statua principale del Buddha è sul secondo di questi. Curiosa la presenza di una serie di stupa dorati agli angoli di ogni piano terrazzato: ognuno di essi veniva messo dagli ingegneri per indicare un consumo di 10.000 mattoni. Forse per conteggiare bene la parcella da inviare al re…. Il tempio raggiunge un’altezza massima di 61 metri (201 piedi), il più alto della zona. È uno dei primi templi a doppio piano, ma la disposizione è diversa da quella dei successivi templi a doppio piano, come se fosse ancora un esperimento nella nuova forma.

Pranzo in ristorante e poi visita alla fabbrica di elementi laccati Myint Lacquer Workshop.

La prima testimonianza scritta dell’origine e dell’uso della laccatura in Birmania è stata descritta in un testo cinese che la menzionava in quanto veniva usata dal popolo pyu già dal II sec.a. C. per decorare. (vedi:  https://it.wikipedia.org/wiki/Pyu)

Gli abitanti delle foreste usano anche la linfa della lacca da applicare sui vasi come rivestimento impermeabile. Su un’intelaiatura di bambù si aggiungono diversi strati di resina che viene fatta solidificare In una cantina perché al sole si scioglierebbe. Le decorazioni vengono fatte con un punteruolo appuntito e richiedono abilità estrema perché gli errori non si possono correggere. I manufatti più belli (scatole, piatti, ciotole, portagioie) sono fatti con 24 strati di lacca sovrapposti, costano molto, e sono conservati in un’area sorvegliata. La lavorazione della lacca  è una peculiarità delle botteghe artigiane di Bagan.

Si continua con visita ai templi.

TEMPIO ANANDA

Il tempio di Ananda è considerato uno dei capolavori dell’architettura Mon. Conosciuto anche come il più fine, più grande, meglio conservato e più riverito dei templi di Bagan, fu costruito intorno al 1105 dal re Kyanzittha. Durante il terremoto del 1975, subì notevoli danni ma fu completamente restaurato e nel 1990, nel 900 ° anniversario della costruzione del tempio, le guglie del tempio furono dorate.

C’è una leggenda secondo cui c’erano 8 monaci che un giorno arrivarono a palazzo chiedendo l’elemosina e raccontarono al re che una volta vivevano nel tempio della grotta di Nandamula in Himalaya. Il re fu affascinato dal racconto e  i monaci con i loro poteri meditativi mostrarono al re il mitico paesaggio del luogo in cui si trovavano prima del loro arrivo. Il re Kyanzittha fu affascinato dalla vista e decise di  costruire un tempio che sarebbe stato il più ammirato nel mezzo delle pianure di Bagan. La struttura del tempio è quella di un semplice tempio a corridoio. La piazza centrale quadrata con lato di 53 metri mentre la sovrastruttura si eleva in terrazze fino a 51 metri dal suolo. Le vie di accesso rendono la struttura una croce perfetta, ogni entrata è coronata da uno stupa finial (pinnacolo). Al centro del tempio, quattro Buddha in piedi di 9,5 metri rappresentano i quattro Buddha che hanno raggiunto il nirvana.

Sono originali solo le due statue in stile Bagan rivolte verso nord e sud; entrambi mostrano il dhammachakka mudra, una posizione della mano che simboleggia il primo sermone del Buddha, le altre due statue sono state rifatte e sostituiscono quelle distrutte dagli incendi. Tutti e quattro hanno corpi in teak massiccio, sebbene sembri che l’immagine meridionale è fatta di una lega di bronzo. Da notare che se si sta vicino al contenitore delle donazioni di fronte al Buddha meridionale originale, il suo viso sembra triste mentre da lontano tende a sembrare sorridente.

Le statue in piedi orientali e occidentali sono realizzate in stile Konbaung o Mandalay.

Si dice che una piccola sfera simile a una noce tenuta tra il pollice e il medio dell’immagine rivolta a est assomigli ad una pillola a base di erbe e possa rappresentare il Buddha che offre il dhamma (filosofia buddista) come cura per la sofferenza. Il Buddha esposto a est presenta l’ abhaya mudra con le mani tese nel gesto di “nessuna paura”. Entrambe le braccia pendono ai lati dell’immagine con le mani aperte, un aspetto sconosciuto alla scultura buddista tradizionale. La festa del tempio di Ananda cade alla luna piena di Pyatho (di solito tra dicembre e gennaio, secondo il calendario lunare) e attira migliaia di locali da vicino e lontano. Fino a mille monaci cantano giorno e notte durante i tre giorni del festival.

Pranzo in ristorante poi le visite continuano.

TEMPIO DI HTILOMINLO

Situato a nord-est di Old Bagan, è uno dei templi più imponenti di Bagan. Fu commissionato nel 1218 dall’omonimo sovrano. Htilominlo era uno dei cinque figli del sovrano Narapatisithu e quest’ultimo, per scegliere quale tra i suoi figli sarebbe stato il prossimo sovrano del regno, li dispose in cerchio e fece ruotare un ombrello che si fermò fortunosamente indicando Htilominlo, che non poteva regnare essendo il più giovane,  ma la fortuna….forse un po’ spinta lo indicò…. Il Tempio fu realizzato in mattoni e rivestito interamente con stucco. Presenta  quattro ingressi, uno per lato, posti in corrispondenza dei principali punti cardinali.  L’estremità superiore del Tempio è caratterizzata da una Sikhara (struttura ornamentale tipica dell’India settentrionale)  alla sommità del quale c’è il tradizionale pinnacolo ornamentale a spire concentriche (Hti) L’interno della struttura è caratterizzato da una serie di corridoi che conducono al santuario principale, ognuno dei quali è ornato con immagini del Buddha.

Una visita interessante:

TEMPIO MANUHA 

E ’ancora in uso e si trova al centro del villaggio di Myinkaba.. Anche se risale alla seconda metà dell’anno mille risulta in ottimo stato. Questo tempio è dedicato al re Manuha, il re tenuto prigioniero a Bagan dal re Anawrahta. La leggenda dice che a Manuha fu permesso di costruire questo tempio nel 1059 e che lo costruì per rappresentare la sua sofferenza nel vivere in cattività. Al suo interno vi sono, da un lato, tre statue dorate di Buddha in piedi e, dall’altro, una statua di Buddha sdraiato, completamente circondate dalle pareti in modo molto ravvicinato, proprio per dare l’idea della sofferenza nella prigionia e nella costrizione.

Tutte le statue sembrano troppo grandi per gli ambenti che le ospitano e le loro posizioni anguste e scomode rappresentano lo stress e la mancanza di conforto che il “re prigioniero” dovette sopportare. Tuttavia, si dice che solo il Buddha sdraiato, nell’atto di entrare nel Nirvana, abbia un sorriso sul volto, dimostrando che per Manuha solo la morte è stata una liberazione dalla sua prigionia.

Ci rechiamo su una collina su cui si trovano piccoli stupa dalla quale assisteremo al fantastico tramonto sulla valle dei templi di Bagan. Spettacolo da brividi!

Domani saremo a Mandalay passando per Inwa, Sagaing e Mingun  (280 km)

 

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Myanmar (Birmania) – tra pagode, religione e natura – 3a tappa: Inwa-4a tappa: Mingun

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11 dicembre

INWA

Insieme ai nomi di Innwa o Ava, la città fu anche chiamata Ratnapura che significa “Città delle gemme”. Nel 1636, il re birmano di Taungoo decise di trasferire la capitale in Inwa. Quindi, nel 1752, Inwa fu licenziato a causa della rivolta di Mon contro il dominio birmano. Diversi anni dopo, il re della dinastia Konbaung sconfisse il lunedì e ristabilì la corte a Inwa. Quando gli inglesi occuparono il Myanmar inferiore, dopo la seconda guerra anglo-birmana, il Myanmar superiore fu popolarmente chiamato Regno di Inwa quindi, durante il regno del re Bagyidaw (1819-1937), la Corte fu trasferita di nuovo a Inwa nel 1823. Quando arrivò il terribile terremoto del 1839, la vecchia capitale imperiale fu completamente danneggiata e alla fine fu abbandonata. Oggi sono rimasti diversi resti delle imponenti mura e di altri monumenti dell’antica capitale, come la Torre di Guardia, meglio nota come Torre Pendente, per la sua inclinazione.

In calesse ci dirigiamo ad Inwa. Prima di partire siamo letteralmente assaliti da un nugolo di venditori di souvenirs che con un’ insistenza a volte fastidiosa ci offrono le loro merci. Buon viso a cattivo gioco… La più accanita delle venditrici ci segue in bicicletta!

Incredibile! Il mezzo di trasporto non è dei più confortevoli  ma siamo abituati in quanto in altre nazioni l’ abbiamo usato. Il panorama che si snoda ai nostri occhi è prettamente agricolo ma a volte intervallato da qualche candida pagoda.

Arriviamo al:

MONASTERO DI BAGAYA

Il monastero, che fu costruito con 267 pali giganteschi in legno di teak, ha una struttura di grandi dimensioni: 57 metri di altezza e 31 di larghezza. Questo magnifico monastero usurato dalle intemperie si trova nel mezzo di ampie risaie, con palme, banani e cespugli verdi spinosi raggruppati in abbondanza attorno alla sua base ombrosa. Il monastero è decorato con splendide opere architettoniche birmane come sculture, arabeschi floreali, ornamenti con figurine curve e rilievi di uccelli e animali, nonché piccoli pilastri decorati sul muro.

Ci sono fedeli in preghiera…

Ci spostiamo al:

MONASTERO DI MAHA AUNG MYE BONZAN

Monastero in mattoni ben conservato della dinastia Konbaung, noto anche come Brick Monastery, è un edificio ben conservato decorato con intricate sculture in stucco. Fu costruito dalla regina Me Nu, moglie del re Bagyidaw della dinastia Konbaung nel 1818 e mentre a quei tempi era consuetudine costruire monasteri in legno che però spesso venivano distrutti da incendi o sono stati molto danneggiati, pertanto questo monastero fu fatto in mattoni ma nello stesso stile dei monasteri in legno del suo tempo. Ha un tetto a più livelli e le sue decorazioni in stucco sembrano sculture in legno come quelli dei monasteri in legno.

Due grandi Chinthes, i leoni mitologici birmani, proteggono l’ingresso, come nel caso della maggior parte dei templi birmani ed intorno sono presenti numerosi stupa bianchi di diverse dimensioni sormontati da hti dorati. Il monastero fu danneggiato durante il grande terremoto del 1838 e fu rinnovato quattro decenni dopo.

Proprio di fronte al monastero c’è la Pagoda Htilaingshin, imbiancata a calce e sormontata da uno stupa rivestito di foglia d’oro; risale al periodo di Bagan. Sorge su un basamento a cui è necessario accedere a piedi nudi.

Continuiamo verso Sagaing dove pranziamo in un caratteristico ristorante.

Pranzo al ristorante Min Wun Walley  che ci offre una vasta gamma di piatti birmani.

Da notare gli accendisigari appesi e avvicinabili a strappo!

Una parentesi simpatica: lungo la strada una sfilata di camioncini zeppi di ragazzi e ragazze che accompagnati da una musica moderna diffusa da giganteschi altoparlanti si lasciano andare a balli frenetici!

Altra parentesi simpatica: invito un altissimo turista australiano di nome Mal a inviare un saluto alla nostra Italia! Speriamo bene….

Si prosegue per il villaggio di Mingun.

MINGUN e le grandi costruzioni del re megalomane

Se non fosse stato per il re Bhodawpaya nessuno oggi conoscerebbe questo paesino.

PAGODA DI MINGUN

Nelle intenzioni del re Bhodawpaya questa doveva essere la pagoda più grande del mondo. Secondo il progetto finale, su una base rettangolare di 50 metri x 70 si doveva elevare al cielo uno stupa alto 150 metri. Ma fu costruita male, mettendo strati paralleli di mattoni uno sopra l’altro senza incastri né connessioni in grado di dare stabilità all’immane costruzione. Oltretutto, la pagoda rimase incompiuta a un terzo dei lavori, perché il re megalomane aveva esaurito le risorse finanziarie. Il colpo finale glielo diede il disastroso terremoto del 1838, che provocò crolli e crepe in diverse parti della struttura, rischiando di ridurla a una montagna di mattoni.

Del mastodontico parallelepipedo che oggi rimane in piedi, colpisce la grandiosità e il biancore degli ingressi.

La cosa che fa più impressione non è la pur imponente e maestosa struttura, quanto la sua fragilità di fronte alla potenza dei terremoti che sono riusciti a “trafiggerla” e le cui tracce a forma di fulmini sono più che evidenti. Resta comunque un monumento di grande suggestione. Vicine alla pagoda erano state poste due enormi statue di leone, altro esempio della megalomania del re Bhodawpaya, che quando erano integre avevano la testa rivolta verso il fiume. Oggi di queste rimane in piedi solo il gigantesco….“fondoschiena”, che tutti si affrettano a fotografare.

Ora una curiosità:

LA CAMPANA DI MINGUN

Una enorme campana bronzea di 90 tonnellate e 4 metri d’altezza, tutt’ora in grado di suonare. Una foto e un video ricordo davanti all’enorme campana è d’obbligo. I birmani dicono che è lacampana più grande del mondo, ma ne esiste una nel Cremlino di Mosca di dimensioni maggiori, 216 tonnellate, denominata la “ZARINA DELLE CAMPANE”.

Quella russa però non suona in quanto durante un incendio scoppiato nel 1737, un grosso pezzo di 11,5 tonnellate si staccò mentre era ancora nella fossa di colata..(……) Accanto alla campana gruppi di bambini saltellano nella speranza che gli diate qualcosa: biscotti, matite o shampoo.

Anche io provo a suonarla!

Continuando la visita e si rimane quasi abbagliati dal riflesso bianco della grande:

PAGODA BIANCA  HSINBYUME

Fatta costruire dal re Bhodawpaya e dedicata all’amata consorte Hsinbyume. Somiglia a una enorme torta di panna montata, ma ha un effetto incredibile, soprattutto nel tardo pomeriggio quando i raggi del sole filtrano tra le statue ai lati della scalinata che porta alla sommità.

Dall’alto si gode un bellissimo panorama della foresta, della Pagoda di Mingun e del fiume.

Si arriva a Mandalay in motonave, mentre le ombre della sera calano sul fiume Ayeyarwaddy.

Il fiume che scorre da nord a sud attraverso tutto il Myanmar è il più grande del paese e la più importante via navigabile commerciale. Originato dalla confluenza dei fiumi N’mai e Mali, scorre relativamente in linea retta Nord-Sud prima di sfociare attraverso il Delta dell’Irrawaddy nel Mare delle Andamane. Il suo bacino di  di circa 404.200 chilometri quadrati copre gran parte del Myanmar. Dopo il poema di Rudyard Kipling, viene talvolta chiamato ” La strada per Mandalay “.Già nel VI secolo, il fiume era utilizzato per il commercio e i trasporti e avendo sviluppato una vasta rete di canali di irrigazione, il fiume divenne molto  importante per l’ Impero britannico quando ebbe colonizzata la Birmania. Il fiume è ancora vitale oggi, poiché una quantità considerevole di merci (di esportazione) e traffico si sposta lungo il fiume e il riso viene prodotto nel suo delta. Fonte Wikipedia

Durante la traversata la nostra simpatica guida Zaw Min Oo, fornito di attrezzatura audio, si lascia andare in un simpatico karaoke cantando canzoni italiane. Ci spiega poi che suona la chitarra e la tastiera e ama molto la nostra musica e ha imparato l’ italiano proprio ascoltandola.

Approdiamo quando è già notte in un caratteristico porticciolo e dopo ci trasferiamo all’ Hotel Hilton, si proprio un Hilton! Wow! Nella hall un grande albero di Natale!

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Myanmar (Birmania) – tra pagode, religione e natura – 5a tappa: MANDALAY -6a tappa.: AMARAPURA – 7a tappa: PINDAYA

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12 dicembre

MANDALAY-La città quadrata

Capitale culturale e religiosa della zona settentrionale del Paese, posta lungo le sponde del fiume Irrawaddy, Mandalay un tempo era conosciuta come la “città d’oro” del re Mindon, l’ultimo regnante birmano prima dell’occupazione britannica. Molte sono le attrattive artistiche ed architettoniche della città, nonostante i danni subiti durante l’assedio britannico e la Seconda Guerra Mondiale. Da sapere che Mandalay è la città birmana dove ci sono più monasteri (circa 150) e più monaci (70-80.000).

Primo giorno a Mandalay, seconda città del Myanmar (quasi due milioni di abitanti considerando l’agglomerato urbano) che è una città strana, senza piazze né curve, una città quadrata con tante strade verticali e orizzontali che si intersecano tra loro a angolo retto. La città è davvero brutta, ma racchiude una quantità di meraviglie e di tesori stupefacenti. Il primo di questi che visitiamo è la:

PAGODA KUTHODAW

È ai piedi della collina che domina Mandalay una meraviglia della tradizione buddhista. Lo stupa centrale è circondato da ben 729 stupa più piccoli, ognuno dei quali custodisce una tavola di marmo scolpita.

Il re Mindon fece incidere su lastre di alabastro tutti i 729 kyauksagu, le regole del canone buddhista tripitaka. Un’opera gigantesca che richiese l’impegno di 200 monaci per mesi e mesi. La descrizione del sito è descritta su un’ altra lastra, che fa aumentare il numero totale a 730. Merita sicuramente l’appellativo di “libro più grande del mondo” con cui viene comunemente presentato.

Tra le file di stupa crescono grandi alberi secolari di magnolia (starflowertree), alla cui ombra famiglie di birmani vengono spesso a fare il picnic, mentre i bambini giocano a nascondino tra le file degli stupa, sembra che l’albero più vecchio dovrebbe avere 250 anni.

Vicino si trova la Pagoda Sandamuni commissionata dal sovrano Mindon Min nel 1874 per commemorare il Principe Kanaung, erede al trono assassinato nel 1866 da altri due figli del sovrano. La splendida chedi dorata rappresenta la struttura più antica della Pagoda.

La struttura è caratterizzata da un imponente basamento quadrato a tre livelli concentrici, ornato con una statua del Cinthe(creatura della mitologia Induista-Buddhista con il corpo di un leone e la testa di un drago). La terrazza superiore della chediè accessibile attraverso quattro ripide scale – una per lato – orientate verso i punti cardinali principali. In mezzeria di ogni scala c’è una sorta di porta ornamentale decorata superiormente con una miniatura della chedi. La parte in elevazione della struttura presenta la classica “forma a campana” (sezione circolare), decorata con una serie di spire concentriche e dal tradizionale pinnacolo ornamentale (Hti).

Una visita interessante:

SHWENANDAW KYAUNG O “IL MONASTERO DEL PALAZZO D’ORO”

Proprio davanti all’entrata dell’università si trova questo edificio in legno di teak decorato in modo molto complesso che è stato spostato al di fuori del parco del Palazzo Reale  ed è l’unico edificio principale originale rimasto. E’ l’unico monastero in cui non c’è neanche una statua di Buddha ed è adornato con mosaici di vetro e strutture in legno finemente intagliato.

Prima faceva parte degli appartamenti personali dei sovrani, fino a quando il re Thibaw decise di traslocarlo in un’altra zona. Questa fu la fortuna dell’edificio: è l’unica costruzione in legno che si è salvata dall’incendio di Mandalay alla fine della seconda guerra mondiale, e meno male perché è davvero una meraviglia.

Ora una visita particolare:

PAGODA MAHAMUNI

La struttura religiosa più frequentata di Mandalay, luogo sacro che contiene una sfolgorante statua di Buddha tutta d’oro. I devoti adoranti(solo uomini, le donne non hanno accesso alla cella statuaria perché considerate impure) la ricoprono in continuazione di foglie d’oro, al punto che ormai è diventata una specie di pallaluccicante in cui si fa fatica a distinguere il volto dell’ “Illuminato”.

Le foglie sono effettivamente d’ oro e dello spessore ciascuno di un millesimo di millimetro. Si acquistano a pochi euro ma noi siamo molto scettici e contrari a queste esternazioni fanatiche e pertanto evitiamo di partecipare al rito….All’ alba, un gruppo di fedeli prescelti si raduna per lucidare amorevolmente la statua e pulirle i denti con lo spazzolino!. I birmani la considerano una specie di Lourdes d’Oriente, capace di  e guarire storpi e malati.

In ogni caso la testa del Buddha emerge quasi a fatica da un corpo straordinariamente rigonfio e goffo, non tanto perché anche qui è rappresentato grasso, ma perché foglietto dopo foglietto nei secoli lo spessore si è accumulato lo stesso; ed è oggi circa di 20 cm; il che significa che per ogni quadratino che viene appoggiato lì  sopra gli altri, altri 20.000 hanno fatto lo stesso gesto in quel punto, e considerando la superficie pur sempre gigantesca della statua, questo significa che almeno qualche milione di persone è passato di qui a incollare il proprio foglietto d’oro devozionale.

Nei dintorni c’è un piccolo mercato dove acquistiamo tre caratteristiche marionette manovrate per mezzo di fili. Le marionette di Mandalay appartengono a un’ arte popolare che stava rapidamente scomparendo ma per fortuna un team privato di artisti professionisti ha cercato di ripristinarla. Il teatro delle marionette del Myanmar (YokeThay) – un tempo un prezioso passatempo reale – è uno spettacolo non solo di bambole di legno manovrate da fili, ma di sostituti umani simili alla vita. Le aggiungeremo a quelle trovate in Uzbekistan.

Seguendo il corso del fiume, giungiamo ad Amarapura, una piacevole cittadina sulle rive di un lago, che si distingue per il ponte pedonale U Bein, lungo 1,2 km, il più lungo del mondo ed interamente realizzato in legno di teak.

AMARAPURA, la città immortale

Fondata nel 1783, è stata in diversi periodi capitale sotto vari re, del palazzo reale però rimangono in piedi solo pochi ruderi. Oggi è nota per il fiorente artigianato tessile che produce manufatti in seta e cotone, e per i raffinati longyi cerimoniali. In altri laboratori artigiani si fanno sculture di legno e di avorio.

Visita al:

MONASTERO MAHAGANDAYON

Il monastero, dove vivono più di 700 monaci, quasi tutti giovani. Situato nelle vicinanze del Lago Taungthamam, è una rinomata scuola buddhista e centro di meditazione. Aperto al pubblico, ogni mattina numerosi turisti si radunano per vedere i monaci che, rigorosamente in fila, accedono alla mensa del monastero. Arriviamo alle 10, appena in tempo per assistere alla sfilata dei monaci che vanno a consumare il secondo e ultimo pasto della giornata. L’accesso al refettorio però non è consentito.

Alcune informazioni sulla vita monastica:

Le regole a cui devono sottostare i monaci sono ferree:

– abbandonare il nome anagrafico e assumerne uno nuovo

– vivere delle offerte dei fedeli, raccolte tutte le mattine attraverso un giro di  questua. Per i laici è un onore essere misericordiosi verso i monaci. La raccolta di elemosine mattutina viene chiamata “dhana” ed è una tradizione buddista tramandata da secoli. Se si vuole si può contribuire acquistando beni da offrire ai monaci. Si dice che è un’occasione unica. Con il dhana si acquisiscono dei meriti lungo il percorso verso il nirvana……

– sveglia alle 4

– colazione alle 5 e pasto alle 10.30

– mangiare in silenzio assoluto e mai dopo le 11

– non possedere nulla di personale: solo le tuniche, la ciotola per le elemosine (thabeit), il filtro per il cibo in modo da non ingerire nessun essere vivente, un rasoio, un ventaglio o ombrellino, un paio di ciabatte

– non rubare, non uccidere, non esercitare la magia, praticare l’astinenza sessuale

– dedicare le ore del pomeriggio e della sera alla lettura dei testi sacri e alla preghiera ( ma non è proibito leggere il giornale, come fa il monaco della foto)

– mai lavarsi controcorrente nei fiumi (regola in apparenza strana che serve per il

mantenimento dell’atarassia sessuale)

– dormire per terra

Le regole valgono sia per gli uomini che per le donne.

Eccoci ora alla più grande attrattiva di Amarapura:

IL PONTE PEDONALE U-BEIN

Lungo 1,2 km e costruito interamente in legno di teak, su 1050 pali alti 4 metri,  collega il paese alla tozza pagoda Kyauktawgyi sull’altra sponda del lago Taunghtaman. Il ponte è un luogo d’incontro per abitanti e visitatori: qui si passeggia, si incontrano gli amici, ci si ferma per uno spuntino o si incontrano personaggi particolari come quello che ci appare: un anziano suonatore di chitarra dalla flebile voce. Sotto il ponte donne immerse fino alle spalle nell’acqua pescano manovrando con abilità due corte canne di bambù e ogni tanto si fermano per fumare una sigaretta o prepararsi una pasticca di betel*. Tutto l’occorrente lo tengono nello stesso cesto dove gettano i pesciolini pescati. Il ponte è particolarmente suggestivo all’alba, quando c’è un grande viavai di gente in bicicletta che attraversa il lago, e al tramonto quando con il fresco della sera il ponte si popola, mentre il sole cala.

Un incontro…

Di lontano si vede  la bianca pagoda di Pahtodawgyi, in stile Shwedagon con al centro un bello stupa alto 76 metri.

*betel*: diffusissimo tra uomini e donne di tutte le età, è un miscuglio da masticare ricavato dalle noci di areca e inserito insieme a tabacco ed altri ingredienti in una foglia di betel, pianta comunemente chiamata pepe di betel (Piper betle) insieme a calce spenta….. Quest’ultima induce il rilascio di alcaloidi, i quali hanno un effetto stimolante. La noce così preparata, quando viene masticata, stimola la produzione di saliva e la tinge di rosso. I masticatori di noce di betel sputano frequentemente (si trovano spesso macchie rosse lungo le strade) e presentano denti macchiati di nero. La dipendenza dal betel può provocare l’ insorgenza di tumori alla bocca e malattie epatiche.

Partenza per Pindaya.

La strada che conduce a Pindaya  è un sottile nastro d’asfalto delimitato ai due lati da terra battuta. La guida ci dice che è in fase di ristrutturazione. Il viaggio è lentissimo, perché la carreggiata è così stretta da non consentire il passaggio di due veicoli contemporaneamente, così quando c’è un incrocio qualcuno deve spostarsi di lato e cedere il passo. In compenso, anche su questa strada si paga il pedaggio, come su tutte le strade birmane.

Una sosta per il pranzo e nei pressi vediamo ragazzi giocare a chinlone, una via di mezzo tra uno sport e una danza. Viene giocato da sei persone poste in cerchio che si passano una palla fatta di rattan colpendola con i piedi cercandola di non farla cadere per più tempo possibile. Ci sono più di 200 tipi di tiri con i piedi e le ginocchia. Quella che vediamo è la variante  simile al sepak tawkraw malese che inserisce una rete tra i giocatori divisi in due squadre e le regole sono simili alla pallavolo ma la palla però viene calciata e non lanciata con le mani.

Immancabile presenza di belle pagode

Riprendiamo il viaggio con “sosta fisiologica” in un terrificante wc da dimenticare….non ha neanche la doccetta per il bidet, usata in molti punti di toilette anche modesti!

Finalmente, dopo una cinquantina di chilometri percorsi in due ore…., si arriva a Pindaya, un piccolo centro che si specchia nelle acque del laghetto Pone Ta Loke, contornato da giardini dove crescono ficus giganteschi. Il paesaggio è certamente bucolico fatto di terra rossa e morbide colline ma arida per la maggior parte dell’ anno per poi esplodere con un aspetto lussureggiante nelle più importanti zone agricole dello stato, dopo la stagione delle  piogge. Lungo la strada che da Pindaya conduce a Mandalay abbiamo incontrato questo monastero arroccato su una alta collina sul cui fianco si appoggiano 9 statue di Buddah in piedi. Il monastero è raggiungibile salendo una lunga scalinata oppure utilizzando una strettissima strada. Poiché dovevamo percorrere ancora un lungo tratto di strada per arrivare a Mandalay, abbiamo preferito ammirarlo dal basso e scattare alcune fotografie.

L’attrazione di Pindaya è la grotta carsica Shwe Oo Minn,  all’interno della quale, tra stalattiti e stalagmiti, sono conservate circa 9000 statue di Buddah.

Arriviamo in serata e grazie alla nostra,  guida abbiamo la visita dedicata solo al nostro gruppo!

GROTTA DI SHWE OO MIN

E’ un importante luogo di pellegrinaggio per i buddisti birmani e uno spettacolo attraente e insolito per i turisti. La grotta si trova su una collina calcarea nella Birmania centrale, non lontano dal Lago Inle. Si racconta che all’ ingresso della grotta, fin dal III secolo a.C., ci fosse una pagoda e che gli abitanti del posto raccontassero ai pellegrini la leggenda del Ragno Gigante che abitava nella grotta. Un giorno il ragno catturò una principessa locale tenendola prigioniera ma, secondo la leggenda, un Principe armato di arco e frecce uccise il ragno, salvando così la Principessa. Lungo la salita di accesso all’ ingresso, percorso che ci permette di ammirare la vallata sottostante in una serata di plenilunio,  c’è una scultura di un ragno gigante e un Principe che punta il suo arco verso di esso. La collina contiene tre grotte, solo una delle quali è aperta al pubblico.

Questa caverna, lunga circa 150 metri, contiene migliaia di immagini di Buddha in vari stili e di epoche diverse dalla prima dinastia di Konbaung ai giorni nostri. Evitiamo i 500 gradini che portano in cima e con un modernissimo ascensore con pareti di cristallo arriviamo all’ ingresso.

Ogni piccolo angolo, a volte angusto, della grotta ospita immagini di Buddha fino al soffitto tra stalattiti e stalagmiti. Nel corso di diversi secoli, migliaia di immagini di Buddha sono state collocate all’interno della grotta e il loro numero, ormai circa 9.000, è in costante aumento. Non si sa con certezza quando le prime immagini furono collocate all’interno della grotta, ma le più antiche con iscrizioni risalgono alla dinastia Konbaung della seconda metà del XVIII secolo. Le immagini del Buddha sono in stili diversi e rappresentano le varie epoche in cui sono state realizzate. Molte sono placcate in oro, altre in legno di teak, marmo, bronzo o altri materiali, alcune molto piccole, altre a grandezza naturale o enormi.

Cena nel ristorante “Greentea” accolti da una scritta dedicata  al nostro tour-operator FRANCOROSSO, diventato stranamente “FRANCOROFFO”, e  da un gruppo di musicisti locali, poi trasferimento all’ Hotel Sanc Tum Inle Resort posto proprio sulla riva del lago Inle.

Altro hotel eccezionale! L’ abbiamo fotografato! Costruito intorno a un imponente edificio circondato da ameni giardini con sentieri ombrosi e costituito da palazzine isolate a due piani. Stanze spaziose con annesso terrazzino.

Domani escursione sul Lago Inle, una delle principali attrazioni del Myanmar.

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Myanmar (Birmania) – tra pagode, religione e natura –8a tappa: Lago Inle

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13 dicembre

LAGO INLE

Il lago Inle, il secondo in Myanmar, lungo circa 20 km e largo circa 11 nel punto di maggiore ampiezza è situato tra le montagne dello Stato Shan, a un’altezza di 920 metri s.l.m.

E’ il territorio del Popolo Intha, i “FIGLI DEL LAGO” che hanno incominciato a vivere sull’ acqua non solo costruendoci sopra le proprie case su palafitte, ma realizzando un mosaico di orti galleggianti che coprono gran parte della zona meridionale lacustre e producono ingenti quantità di frutta, verdure e fiori. Ma un altro importante aspetto economico della zona è la pesca praticata dai pescatori che usano in modo magistrale reti e nasse manovrate con una gamba e remando con l’ altra, stando in bilico su barche di teak lunghe e strette.

L’insieme, abbinato alla scenario delle acque calme del lago contornate da montagne, genera un effetto coreografico notevole: sono fotografati da tutti i turisti che vengono a visitare il lago. Per loro l’acqua è tutto: elemento di vita, fonte di sostentamento, territorio, campagna da coltivare, mercato galleggiante. Potrebbero costruire villaggi lungo le sponde del lago, e invece innalzano complessi edifici anche multipiano su palafitte, che richiedono conoscenze approfondite di ingegneria e di geologia del fondale. Qui studiano, pregano, giocano, imparano un mestiere, e ovviamente sin da piccoli si impratichiscono con la curiosa e caratteristica tecnica di remata con una sola gamba.

Dopo colazione ci rechiamo all’ imbarcadero privato dell’ hotel dove sono già lì ad attenderci le barche, lunghe e strette, che possono contenere 4-5 persone ciascuna. Sono mosse dai caratteristici motori con l’elica fissata in fondo a un lungo albero, adatta ai bassi fondali. Fa abbastanza freddo. Attendiamo l’ arrivo della nostra guida che subito ci assegna i posti nelle barche.

Inizia la traversata diretti a sud che ci porterà prima all’ incontro coi pescatori intha per le foto di rito e poi dopo una navigazione di circa un’ ora alla Pagoda Phaung Daw Oo percorrendo uno stretto canale con ai suoi lati i famosi “orti galleggianti”.

Per accedere alla Pagoda dal lago , è necessario destreggiarsi fra le dozzine di barche accatastate lungo il molo, anche in bassa stagione. In verità la pagoda non mi ha molto impressionato nella sua architettura mentre invece è interessante la storia che la avvolge.

Questo complesso contiene i famosi cinque Buddha d’oro, che ora non sono altro che cinque grumi d’oro poiché le lamine d’ oro aggiunte da decine di persone le ha rese irriconoscibili. Detto questo, c’è per fortuna una foto d’ epoca di come erano. La storia narra che le 5 statue di Buddha sfilavano sul lago portate da una barca che sfortunatamente affondò. In seguito quattro furono recuperate tranne la quinta che  miracolosamente fu ritrovata  nella Pagoda. Da notare che le donne che vogliono donare la foglia d’ oro devono chiedere l’ assistenza di un uomo……

Riprendiamo la navigazione verso sud diretti ad una fabbrica di tessuti fatti di seta di fili di loto nel villaggio di Inpawkhone, ammirando pagode, vegetazione lussureggiante e le particolari case su palafitte. Vediamo una cassetta postale anch’ essa su palafitte!

SETERIA KHIT UNN YNN

Nella seteria la guida ci illustra le varie fasi di lavorazione dei tessuti.

Dagli steli di fiore di loto appena raccolto si estrae a mano la finissima fibra naturale. L’accurato processo di preparazione per ottenere la fibra da filare è un’antica tradizione locale che richiede un’abilità speciale trasmessa dalle donne di generazione in generazione. Nei mesi tra maggio e dicembre, vengono raccolti i fiori di loto  che sono subito trasportati fino ai laboratori di tessitura del villaggio. Per evitare inesorabili deterioramenti, entro 24 ore dalla raccolta mani abilissime devono operare in modo preciso per ottenere la fibra grezza. Per estrarre i finissimi filamenti di fibra, le donne raggruppano 4-5 steli di fiore di loto per volta, li recidono e su una tavolo inumidito, manipolano le fibre aggiungendone altre per inspessire il filo. Si ottiene così un filato progressivamente sempre più lungo e consistente da avvolgere su bobine. Lavato in acqua bollente e tinteggiato in un altro laboratorio, il processo di preparazione della filatura è concluso e si procede alla tessitura.

Le tessitrici ripetono il disegno sulla tela “a memoria”.

In costoso tessuto di seta di loto vengono realizzati diversi manufatti raffinati e morbidi per sciarpe, scialli, tonache di autorevoli monaci buddisti, teli dorati da avvolgere attorno alle statue di Buddha come decorazione in occasioni particolari. Altre tessitrici utilizzano filo di seta di loto insieme a quello di baco oppure di cotone. In Myanmar, è opinione diffusa che indossare un lussuoso manufatto in filo di seta di loto induca uno stato di tranquillità e agevoli la meditazione spirituale. Compro tre sciarpe: una per mia moglie, una per mia figlia ed una per mia nipote.

Di nuovo in navigazione stavolta verso nord diretti  a Nam Pan dove assisteremo alla preparazione manuale delle sigarette: in Myanmar le fumano più le donne che gli uomini!  Durante il tragitto tra case su palafitte molto pittoresche, incrociamo due turiste, uniche incontrate, su una barca presa probabilmente a noleggio.

La miscela delle sigarette è costituita solo per il 25% di tabacco, il resto è composto da foglie di tamarindo sminuzzate. La miscela viene compattata, profumata (con anice, banana o menta) e avvolta in una foglia di cheroot (tabacco dolce per sigari) mentre il filtro è fatto con foglie di mais.

Le sigarette vengono vendute anche singolarmente. Le operaie lavorano a cottimo: una donna guadagna 1000 kyat (un dollaro) ogni 200 sigarette arrotolate e le più brave sono talmente rapide che possono farne più di 1000 al giorno. Si fanno anche sigari al 100% di tabacco, ma sono considerati troppo forti per essere fumati, perciò li usano solo per le offerte votive.

Tutte le lavoranti hanno sulle guance il thanaka, una pittura giallo brillante spesso applicata con disegni particolari  e usata da donne e bambini ma spesso anche dagli uomini. Si ottiene dalla corteccia della “limonia acidissima”, un alberello simile al sandalo che cresce solo nel sudest asiatico.

THANAKA

Un tronchetto inumidito della pianta  si strofina da un lato a lungo su un piatto di legno o su una pietra. Dopo alcune energiche strofinate la polpa del legno forma con l’acqua un fluido giallastro del tutto simile a un fondotinta, che si può applicare direttamente sulla pelle. Con l’aiuto poi di un pennello o di un pettine si fanno fregi o disegni per migliorare la decorazione. Per le ragazze birmane è il cosmetico principale, quello di tutti i giorni. Lo considerano anche una crema solare a buon mercato. In più dicono che è miracolosa per rendere la pelle più radiosa e splendente, proteggerla dalle impurità e per eliminare macchie e brufoli.

Dopo il pranzo in ristorante, ancora in navigazione in uno stretto canale situato nella parte sud del lago Inle, lungo un percorso che in alcuni tratti ricorda l’atmosfera di Apocalypse Now, il famoso film di Francis Ford Coppola con Marlon Brando, verso il villaggio di Inthein dove si trova la “la collina dei mille stupa” , considerata un sito religioso archeologico.

Qui infatti, giace un numeroso assembramento di stupa costruiti nell’arco di circa 500 anni, dal XIV al XVIII secolo, seminascosti dalla vegetazione tropicale, alcuni in buono stato, altri invece   danneggiati o quasi completamente distrutti da terremoti, intemperie e incuria.

Purtroppo avvengono maldestri tentativi di recupero tuttora in corso:

Gli stupa di mattoni vengono ricostruiti in cemento azzurro o bianco, che non ha niente a che vedere con il materiale preesistente.

Altra parte interessante della visita a questo luogo è la discesa per il lungo porticato coperto delimitato da colonne (circa 700 metri) che parte dalla sommità della collina e lungo il quale si affacciano centinaia di bancarelle che vendono di tutto, ovviamente con prevalenza di souvenir per turisti (marionette, scatole laccate, cartoline, magneti da frigo, arazzi, acquarelli e dipinti vari).

Spulciando bene tra la mercanzia esposta si possono fare acquisti interessanti ma noi stiamo cercando una statuetta di Buddah in ottone o uno stupa sempre in ottone che però non riusciamo a trovare…Come anche non troviamo una bandiera del Myanmar da aggiungere alla nostra collezione…Mi sa che la troveremo su Amazon! Torniamo al nostro hotel godendoci un fantastico tramonto sul lago.

Cena e riposo dopo una giornata molto impegnativa. Domani tappa a Loikaw.

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Myanmar (Birmania) – tra pagode, religione e natura –9a tappa: Loikaw -10a tappa: Yangon

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14 dicembre

In tarda mattinata partenza per Loikaw, la capitale dello stato di Kayah, uno degli stati più piccoli del Myanmar dove fino al 2012 era proibito l’ accesso agli stranieri a causa dei continui scontri tra il governo e i vari gruppi etnici che volevano l’ indipendenza. Il principale gruppo etnico è il kayah che ha tra i sottogruppi i kayan (noti comunemente come padaung) con le loro famose donne dal collo lungo. Attraversiamo una splendida campagna incontaminata e giungiamo in città. Sosta in hotel, il Famous, non dei migliori ma accettabile, e con la sorpresa di trovare un albero di Natale e un presepe nella Hall!

Pranziamo in un tipico ristorante  e poi raggiungiamo il villaggio di Pemsong, nella comunità di Pan Pet per incontrare le famiglie locali e conoscere il loro stile di vita.

Tanti bambini ci circondano e poi, entrati in una casa, tra polli, un maiale nero chiuso in un recinto, nell’ aia mi accingo, o meglio tento, di pigiare in un mortaio di pietra i chicchi di riso per produrre farina, con un enorme e pesante pestello in legno che una donna usa con grande abilità. Io e Bianca ci proviamo….con scadente risultato…

 

La giornata continua  nel villaggio di Rang Ku, con l’incontro con le famose “signore Padaung” (Padaung=collo di rame), meglio conosciute come “donne giraffa” ma io preferisco il termine “dal collo lungo”….…

LE “SIGNORE PADAUNG”     

Quelle che si vedevano in altre parti del Myanmar sono state costrette a emigrare in cerca di guadagno, grazie alla fama che il loro aspetto così singolare raccoglieva  tra i turisti. In sostanza, fungono da specchietto per allodole per attrarre compratori nei negozi di souvenir e artigianato locale prendono uno stipendio dai proprietari. Ma nel villaggio di Rang Ku sembra una situazione diversa in quanto non si è assaliti dai venditori di souvenir che in modo discreto aspettano i clienti. Una volta gli anelli al collo erano il destino di tutte le donne Padaung, quasi una condanna a vita…. Oggi tocca solo ad alcune “prescelte”.

Il primo anello viene posto all’età di 5-6 anni, poi ogni anno se ne aggiunge uno fino ad un massimo di 25-26 e un peso totale di 6 kg. L’apposizione degli anelli non provoca, come potrebbe sembrare a prima vista, un innalzamento del mento. In realtà sono la clavicola e la scapola ad abbassarsi. Comunque sia, l’effetto è quello allungare il collo a dismisura.

Qui gentilezza  e sorrisi sono davvero di casa e ci hanno fanno sentire non turisti ma ospiti graditi. Infatti ci accoglie nella sua misera ma dignitosa casa Daw Muu Than, un‘ arzilla e simpatica “signora” che è quasi una vedette e che ben si presta a raccontarsi e a rispondere alle nostra domande anche grazie ad una interprete in quanto qui si parla una lingua diversa dal birmano.

Il marito è uno sciamano! Ma che dire della sua gentilezza quando presentandomi e chiedendole quanti anni mi dava mi dice: 50!!!! Ma poi argutamente presentandole Bianca chiede se è mia figlia!!!! Che cara! Mi avvicino, l’ abbraccio e le bacio la mano!

 Poi si fa una grattatina con un apposito attrezzo appuntito che inserisce tra gli anelli e il collo…

Un bel ricordo….Veniamo salutati da un’ esibizione di danza effettuata da donne del luogo.

Prima di tornare in hotel passiamo per il lago Naung Tung, molto suggestivo al tramonto, e lungo la riva vediamo dei ragazzi con due elefanti…così in giro come si fa con un cagnolino….. e tre bambini adorabili, due femminucce con già al collo i cerchi dorati ed un maschietto con un’ aria birichina.

Il più famoso punto di riferimento religioso di Loikaw è la bizzarra  Pagoda Taung-kwe, costruita scenograficamente  su un promontorio roccioso che domina il lato sud del centro città. Forse è la  costruzione religiosa più stravagante del Myanmar, con una serie  di strati di rocce costellati da decine di stupa dorati e santuari colorati, i il tutto collegato da scalinate tortuose e passerelle aeree. Abbastanza kitsch per i miei gusti!

Cena in ristorante. Domani trasferimento in aereo a Yangon.

15 dicembre

YANGON

Ultimo giorno in Myanmar.

Sveglia quasi all’ alba…..Il nostro aereo per Yangon parte alle 8.30…Lungo la strada davanti all’ hotel sfilano monaci per la questua mattutina.

L’ aeroporto di Loikaw  è molto modesto eppure fino a qualche tempo fa era il migliore del Myanmar! In attesa dell’ imbarco assistiamo all’ arrivo di una personalità religiosa con tanta gente ad attenderlo con due fastosi ombrelli processionali.

Dopo poco più di un ora arriviamo a Yangon.

Sosta in Hotel, lo stesso favoloso del primo giorno e poi visita all’ Elefante Bianco, che direi è più rosa…

Per risollevarci andiamo alla  gioielleria e negozio souvenir MIN THIHA, uno dei gioiellieri più seri, forte di un’esperienza familiare di quasi 15 anni.

Si contratta poi si spuntano 584 dollari con aggiunta-regalo di un’ arpa birmana in miniatura e un CD di musica locale.

Torniamo per il pranzo in Hotel,  poi andiamo in giro per gironzolare nella zona che ospita il:

IL MERCATO DI BOGYOKE

Il mercato è stato istituito negli anni 1994-1995, da quando il Myanmar ha iniziato ad aprire relazioni commerciali con molti altri paesi. Ci sono tanti piccoli negozi di pochi metri quadrati ma anche alcuni di una certa importanza e vi si trovano prodotti molto diversi, adatti alle preferenze e alle condizioni economiche dei clienti; ovviamente non mancano i negozi di abbigliamento. Alcuni negozi di antiquariato vendono vecchie monete, banconote, francobolli. La nuova ala del mercato ospita negozi che vendono medicine, generi alimentari, indumenti e merci straniere. Il mercato è anche noto per i suoi cambiavalute del mercato nero.. Numerosissimi i punti vendita di street-food.

Questo mercato è il più grande centro commerciale di pietre preziose in Myanmar e il loro prezzo varia da pochi dollari a migliaia di dollari.

Sul ponte pedonale in legno che attraversa i vecchi binari del treno, si trovano in vendita noodles, fritture ma anche parti di maiale (intestino, lingua, orecchie, ecc.), bolliti o fritti e poi conditi con salsa piccante al peperoncino.

Tornati all’ hotel abbiamo tempo per visitarlo in modo più approfondito. E’ proprio eccezionale!

Poi a cena, sempre abbondante e raffinata! Pesce da scegliere e cotto al momento come il primo giorno ma anche ottimo piatto di carne!

Arriva anche l’ anello che doveva essere rimpicciolito!

Domani altra levataccia….l’ aereo per Doha parte alle 7.50 ora locale!

16 dicembre

Arriviamo al’ aeroporto di Doha, uno dei più premiati del mondo, che è veramente magnifico e in attesa dell’ imbarco che avverrà tra circa 5 ore (sic), giriamo un po’ e troviamo un bar cha fa il caffè con miscela italiana della “ILLY”! Finalmente! Abbiamo il tempo di acquistare un modellino di un aereo della QATAR AIRWAYS e poi finalmente ci imbarchiamo!

Si parte alle 16.05 ora locale e atterriamo a Malpensa alla e 20.30 ora locale. Il nostro treno parte domani alle 15,25 quindi passeremo la notte all’ Hotel Moxy a pochi minuti dal Terminal 2. Cena minima in quanto la Qatar Airways ci ha sommerso di cibo, bevande e dolcini! Notte tranquilla anche se il fuso orario si fa sentire come anche il jet-leg!

17 dicembre

Partiamo con Italotreno  alle 16.15 e arriviamo a Napoli alle 20 53. Metro e finalmente a casa! Un altro viaggio da raccontare!

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Isole Azzorre e Portogallo ai tempi del Covid (agosto 2021)

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  1. A) INFORMAZIONI GENERALI:

IMPORTANTE: come sempre avviso che l’itinerario ha 30 pagine … almeno sapete … di che morte morire se iniziate a leggere … In corsivo ho fatto copia incolla di tutte informazioni raccolte prima della partenza e poi durante la vacanza. In carattere normale (da pag.20 in poi) è narrato il nostro viaggio. Mi spiace ma racconto anche qualcosa di personale che a chi legge non interessa. E’ l’unico itinerario che scrivo quindi deve essere anche un nostro ricordo. Portate pazienza  … Indico anche i prezzi dei ristoranti con quello che abbiamo preso così si ha idea di quanto si spende in ogni posto.

Quando: 19 giorni dal 05.08.2021 al 23.08.2021.

Perché questo viaggio: anche quest’anno siamo stati obbligati a restare in Europa per via delle restrizioni dovute al Covid. Tra tutte le mete papabili, le Azzorre e l’Islanda erano in cima alla classifica perchè volevamo un viaggio itinerante, come facciamo di solito, ed entrambe le destinazioni rispecchiavano quello che volevamo fare. Abbiamo poi scartato l’Islanda in quanto già visitata nel 2007, anche se è talmente bella che a breve vorrò tornare. Volevamo vedere qualcosa di nuovo quindi le Azzorre facevano il caso nostro. Mi hanno sempre colpita per le immagini dei vulcani e della vegetazione rigogliosa, per il mare arrabbiato e i fari, per i cetacei (è uno dei posti migliori al mondo per il whale watching) e perchè è uno di quei posti dove non c’è il turismo di massa e si ha la sensazione di essere in un mondo a sè.

Avendo prenotato ai primi di luglio, abbiamo dovuto scegliere le isole in base alla disponibilità dei voli interni e degli hotel. Mi sarebbe piaciuto unire anche Flores e un giorno a Corvo (ed eventualmente non fare nessun giorno in Portogallo), ma non siamo riusciti a trovare disponibilità nè sul volo nè per il pernottamento. Un altro problema è stato l’affitto dell’auto. A Faial e Pico siamo riusciti ad accaparrarci a fatica le ultime macchine disponibili. Per un attimo avevamo anche pensato di rinunciare al viaggio in quanto non se ne trovavano più. Abbiamo poi saputo che, per via del Covid, molte compagnie hanno ridotto il parco macchine per non dover pagare assicurazioni. Non è stato facile organizzare ed incastrare tutto … ma la tenacia paga sempre …..

Nostro figlio Matteo, anche quest’anno ci ha dato buca … quindi è venuta solo nostra figlia Martina. I prezzi sotto riportati sono da considerarsi per 3 adulti.

Itinerario: 1 notte a Porto poi 11 notti alle Azzorre (3 a Faial, 3 a Pico e 5 a Sao Miguel) ed infine 6 notti in Portogallo

Voli (€ 2.244):

Voli Ryan abbiamo dovuto aggiungere 3 valige e l’assegnazione posti, i voli Sata invece hanno compreso un bagaglio da stiva a testa ed i posti.

€ 228 Ryanair: Malpensa/Porto

€ 774 Tap Portugal+Sata Azores: Porto/Lisbona/Faial

€ 267 Sata Azores: Pico/Sao Miguel

€ 471 Ryanair: Sao Miguel/Lisbona

€ 504 Ryanair: Porto/Malpensa

Hotel (€ 2.417):

prenotati su Booking o Air B & B. Avendo timore di dover annullare tutto per via del Covid, abbiamo scelto soluzioni che non richiedessero pagamento al momento della prenotazione e con annullamento a ridosso della scadenza (a parte Air B &B che chiede una caparra ma se si annullava nei tempi consentiti, veniva rimborsata). Le Azzorre non sono molto ricettive quindi in condizioni normali, bisogna prenotare con largo anticipo.

1) Portogallo:

– Porto: Park Hotel – 1 notte – € 81 – solo pernottamento – camera tripla

(http://www.parkhotel.pt/en/Menu/Hotels/Porto-Aeroporto.aspx)

Prenotazione: booking – pagato qualche giorno prima

Giudizio: la struttura è basica ma pulita. La si raggiunge a piedi dall’aeroporto. Comoda se si ha il volo presto al mattino. C’è il ristorante all’interno

2) Alle Azzorre:

– Faial: Vila Belgica ad Horta – 3 notti – € 150 a notte – B & B – due camere doppie

(http://www.azoresvilabelgica.com7)

Prenotazione: booking – pagato in loco con bonifico

Giudizio: ci siamo trovati molto bene. E’ una casa privata, semplice ma pulita con giardino molto curato, dove vive la proprietaria, una signora belga graziosissima. Ha dedicato una parte della struttura al b & b. Le nostre due camere erano al piano superiore, con il bagno in comune. Sullo stesso piano c’è la cucina dove la signora prepara un’ottima colazione (lo yogurt lo produce lei). Si ha libero accesso al frigo per lasciare le proprie cose. E’ un ambiente familiare.

– Pico: Casa Dos Caldeiras a Lajes do Pico – 3 notti – € 98 a notte – B & B – camera tripla – casa con cucina

(https://www.bedandbreakfast.eu/bed-and-breakfast/lajes/casa-dos-caldeiras/5387762/)

Prenotazione: booking – pagato qualche giorno prima

Giudizio: è una casa privata molto bella, curata nei dettagli, dove ci sono 4 camere private con bagno e poi in comune la cucina, salotto e dehor. La colazione è compresa nel senso che il proprietario porta ogni mattina pane fresco, affettati e formaggi, latte, yogurt ecc ecc e poi ognuno se la prepara da solo. Si deve avere solo l’accortezza di lasciare tutto pulito e lavato. Ci sono diverse cose, anche vino, succhi, tè, pasta e generi vari, che si possono prendere senza problemi. Se si vuole si può cucinare per conto proprio anche il pranzo e la cena. Per questo sarebbe perfetta per un gruppo di 8 amici perchè la si affitterebbe tutta.

– Sao Miguel: Azor Eco Lodge a San Vincente Ferreira – 2 notti –  € 159 a notte – self catering – appartamento con cucina

https://www.airbnb.pt/rooms/25249155?source_impression_id=p3_1626638312_izQre1VcW3deJE%2FA

Prenotazione: Air B & B  – acconto quando prenotato – saldo pagato qualche giorno prima di arrivare

Giudizio: molto accogliente. E’ una casa privata. I proprietari hanno creato, per gli ospiti, al pian terreno, un piccolo angolo super curato, tutto in legno. L’interno ha la camera matrimoniale in un locale a parte mentre il salotto/cucina (attrezzata) ha un letto a castello. L’esterno, sempre in legno, ha il tavolo e la griglia sotto il pergolato, e il laghetto con i pesci. I proprietari abitano al piano superiore. Sono persone squisitissime e distinte. La moglie, una donna super dinamica, parla solo portoghese … un fiume di parole portoghesi … ma si fa capire alla perfezione. Il marito parla inglese ma è sopraffatto dalla moglie … Siccome il nostro volo è arrivato in ritardo (noi eravamo in contatto con il figlio Andre) e il coprifuoco era alle 22, con conseguente chiusura di tutti i locali, ci hanno fatto trovare in forno le pizze …. poi in frigo c’erano due tipi di latte (normale e soia), il succo fresco di ananas fatto dalla signora …. ed una tarte tatine sempre fatta da lei. Si hanno a disposizione tè e caffè. L’accoglienza quindi è stata spettacolare.

– Sao Miguel: Casa Do Miradouro a Nordeste – 2 notti –  € 115 a notte – self catering – appartamento con cucina

(https://mt.airbnb.com/rooms/11394757?source_impression_id=p3_1626638608_NoREwaSEuwuUKpX7)

Prenotazione: Air B & B  – acconto quando prenotato – saldo pagato qualche giorno prima di arrivare

Giudizio: molto bello ed accogliente. Si tratta di una struttura divisa in due appartamenti con il giardino. Il nostro, molto grosso, aveva la cucina attrezzata, il salotto con il divano letto ed una camera matrimoniale. Si aveva la possibilità di pranzare o cenare all’esterno. Al mattino ci hanno fatto trovare il pane fresco appeso alla maniglia della porta. Era tutto pulito e curato.

– Sao Miguel: Aparthotel Barracuda a Sao Roque – 1 notte –  € 104 – solo pernottamento – camera tripla con cucina

(https://www.booking.com/hotel/pt/aparthotel-barracuda-sao-roque.it.html)

Prenotazione: booking – pagato al momento della prenotazione

Giudizio: avevamo bisogno di un hotel  non distante dall’aeroporto, avendo il volo la mattina seguente molto presto. Abbiamo scelto questo perchè direttamente sulla spiaggia. Semplice ma pulito. Il rumore delle onde ci ha cullati tutta  la notte.

3) In Portogallo:

– Peniche: Hotel: Ilheu 25 Peniche House – 2 notti –  € 157 a notte – con colazione – camera doppia + 1 singola

(https://www.booking.com/hotel/pt/ilheu-25.it.html)

Prenotazione: booking – pagato qualche giorno prima

Giudizio: molto bello e pulito. La colazione, molto buona, viene servita a bordo piscina.

– Alcobaca: Challet Fonte Nova – 2 notti –  € 131 a notte – con colazione – camera tripla

(https://challetfontenova.pt/en/)

Giudizio: bellissimo. E’ una villa antica dove sono stati mantenuti gli arredi. La nostra camera era una suite. Prenotazione: direttamente con loro – dato dettagli carte credito – pagato in loco

Pulitissimo e silenzioso. La colazione è stata spettacolare con porcellane anche queste antiche.

– Costa Nova do Prado: Family Hostel Costa Nova  – 1 notte –  € 112 – solo pernottamento – camera tripla

(https://www.booking.com/hotel/pt/family-hostel.it.html)

Prenotazione: booking – pagato qualche giorno prima

Giudizio: struttura pulita e graziosa. E’ un ostello ma noi avevamo la nostra camera familiare con bagno interno. Si trova proprio sulla via principale dove ci sono tutte le casette pitturate con righe verticali.

– Porto: Park Hotel – 1 notte – € 81 – solo pernottamento – camera tripla

(http://www.parkhotel.pt/en/Menu/Hotels/Porto-Aeroporto.aspx)

Prenotazione: booking – pagato qualche giorno prima

Giudizio: la struttura è basica ma pulita. La si raggiunge a piedi dall’aeroporto. Comoda se si ha il volo presto al mattino. C’è il ristorante all’interno.

Auto affittate (€ 1.295):

Abbiamo fatto molta fatica a trovare un auto quanto a Faial quanto a Pico. La macchina è fondamentale per visitare le isole in autonomia. Abbiamo prenotato:

– Faial: € 195 per una Yaris – pagato in loco – Auto Turistica Faialense (https://www.autoturisticafaialense.com/)

– Pico: € 230 per una C3 – pagato in loco – Tropical Rent a car (https://rentacartropical.com/)

– Sao Miguel: € 354 per una Yaris ibrida – pagato quando prenotato – Autatlantis Rent a Car (https://www.autatlantis.com/)

– Portogallo: € 523 per una Micra – pagato quando prenotato – su Rental Car (https://www.rentalcars.com/it/) affittata da Alamo

Km. percorsi e costo gasolio (tot.€ 226):

– Faial: km. 324 – gasolio € 27

– Pico: km. 419 – gasolio € 51

– Sao Miguel: km. 534 – gasolio € 39

– Portogallo: km. 983 – gasolio € 109

Ristoranti e bar (€ 1.422)

Alle Azzorre bisogna prenotarli minimo 24 ore prima altrimenti si rischia di cenare dopo le 22/23. Considerate che il lunedì sono quasi tutti chiusi. In Portogallo c’è molta più scelta ma i turisti sono tanti quindi conviene farlo anche qui con anticipo. Alle Azzorre i prezzi dei ristoranti sono molto più bassi del Portogallo. Ad esempio mezzo litro di birra costa 1,5/2 euro, in Portogallo 5, come da noi e un piatto di pesce era sui 10/15 €.

Altre spese: Whale Watching a Pico € 130 (prezzo totale per 2 persone); parcheggio Malpensa € 42; Uber due volte a Porto ed una a Lisbona € 84; market € 96; varie € 78

Clima: abbiamo sempre trovato bel tempo, a volte qualche nuvola. L’unico neo sono state le caldere …. tutte sempre avvolte dalla nebbia con pioggerellina nebulizzata (a parte Faial … dove proprio pioveva). Si passava dai 15 gradi in alto per arrivare sul mare, ad una manciata di km., dove c’erano 25 gradi ed il sole ….. quindi abbigliamento a cipolla e un buon k-way per pioggia e vento.

Fuso: il Portogallo 1 ora in meno rispetto all’Italia, le Azzorre 2 ore in meno.

Covid: per l’ingresso alle Azzorre era richiesto o il vaccino, o il tampone fatto prima di partire (in alternativa si poteva farlo appena fuori dall’aeroporto) e poi al 6° giorno dall’arrivo un nuovo tampone. Negli hotel e ristoranti non ci hanno mai chiesto il Green Pass. In Portogallo invece, senza questo non potevi accedere nè ad hotel nè a ristoranti. Abbiamo dovuto compilare il PLF per l’arrivo a Porto (valido anche per le Azzorre) e poi uno per l’Italia in rientro.

Opinione generale: siamo tornati super soddisfatti. Le isole sono un piccolo paradiso. La vegetazione è bellissima, fiori e piante ovunque. I vulcani sono affascinanti come i fari costruiti sulla scogliere di lava vicino ad un oceano arrabbiato. I paesaggi sono puntinati di casette indipendenti una più graziosa dell’altra, soprattutto a Pico dove sono costruite con roccia lavica ed hanno i serramenti colorati. Abbiamo visitato solo 3 isole… ma stiamo già facendo un pensiero sul visitarne altre a breve. Il Portogallo terraferma è sempre bello (lo avevamo visitato nel 2004 con il camper quando i nostri bimbi avevano 4 e 2 anni) e non ci ha delusi nemmeno questa volta.

  1. B) INFO GENERALI SULLE AZZORRE

1) Siti internet:

https://www.ontravelazores.com/azores-archipelago

https://www.atlanticoline.pt/en/tariffs/ (prenotare traghetti)

https://www.italianialleazzorre.com/

https://www.portogallo.info/azzorre/

https://www.visitportugal.com/it

https://www.azores-islands.info/

https://trails.visitazores.com/en (sentieri trekking)

https://www.ibiblio.org/lighthouse/azo.htm (fari)

https://ecobnb.it/blog/2020/12/imperdibili-cascate-azzorre/?fbclid=IwAR276609wMpnkvwiNSt-TNb5Sk2S6z01MywU3NGtpRWBUXQ4RaSFgQMvvVs (cascate imperdibili)

2) info generali:

Le Isole Azzorre (portoghesi), riconosciute Geoparco dall’UNESCO, sono un gioiello nel mezzo dell’Oceano Atlantico a metà strada tra gli Stati Uniti e dell’Europa, a 1403 chilometri dalle coste del Portogallo e a 880 chilometri da Madeira. Si trovano all’intero di una zona vasta circa 600 chilometri. Montuose e selvagge, il Monte Pico con i suoi 2351 metri è la cima più alta del Portogallo, le Azzorre sono isole di una bellezza unica Costituite da crateri sono interessate da splendidi fenomeni vulcanici come fumarole, acque bollenti, solfatare, da una natura esuberante e rigogliosa e da piccoli e interessanti villaggi. Queste isole aspre e impervie, famose per l’anticiclone omonimo che può decidere le previsioni meteo per l’Europa (Italia compresa), sono ingentilite da una folta vegetazione, con cespugli di ortensie e altri coloratissimi fiori. Delfini e balene si aggirano per le acque delle isole, facendo la gioia dei turisti che riescono ad avvistarli durante una gita in barca. Le isole Azzorre hanno un clima subtropicale oceanico, con un ridotto sbalzo di temperatura tra estate e inverno: si va da una media diurna di 15/17 °C  in inverno a 24/26 °C nei mesi più caldi. I trenta gradi si raggiungono assai di rado, in compenso le temperature notturne non scendono mai al di sotto 7/8 gradi. Il periodo consigliato per visitare le Azzorre va da giugno a settembre. L’arcipelago costituisce uno degli angoli più remoti e meno conosciuti di tutta l’Europa. Le isole Azzorre con Madeira, Canarie e Capo Verde costituiscono la regione geografica della Macaronésia, che significa “Isole beate” o “Isole fortunate”, così chiamate perché situate oltre lo stretto di Gibilterra. Alcuni ritenevano che fossero “fortunate” perché le divinità accoglievano qui gli eroi con capacità eccezionali. Per qualcuno sono un residuo dell’antico e mitico continente di Atlantide. Infatti, tra l’isola di Terceira e quella di S. Miguel, sul fondo dell’Atlantico, sommersa dalla sabbia, è stata trovata nel 2013 una Piramide alta 60 metri a pianta quadrata, traccia di una civiltà antecedente alla scoperta delle isole. In realtà si tratta di terre di recente formazione, catapultate in superficie da un’intensa attività vulcanica sottomarina. La loro natura vulcanica è evidente un po’ ovunque: dalla soffice sabbia scura delle spiagge alle innumerevoli colate di lava, dai crateri ai laghi, dai geyser alle sorgenti termali. Tutti elementi questi, che determinano l’aspetto ambientale e paesaggistico dell’arcipelago. Scoperte nel 1427, le Azzorre hanno sempre vissuto una vita tranquilla e appartata, lontano dagli eventi del mondo, conservando intatte nel tempo le vecchie abitudini e le tradizioni del passato, anche se ha ospitato la flotta di Cristoforo Colombo di ritorno dal suo primo viaggio in America.

Le isole sono 9:

São Miguel, l’isola più grande e anche quella più turistica, è ricoperta da foreste lussureggianti subtropicali tanto da averle fatto guadagnare l’appellativo di Isola Verde e vanta due bellissimi laghi e sorgenti termali nella valle di Furnas. La sua capitale, Ponta Delgada, è anche la porta d’accesso all’arcipelago grazie all’aeroporto. Lungo le coste ripide e rocciose dell’isola si affacciano pittoreschi villaggi e città storiche. Alcune belle calette di sabbia si trovano lungo la costa meridionale, la più dolce. Sao Miguel si trova a poco più di 2 ore di volo da Lisbona.

Santa Maria, la terza isola più piccola, la più meridionale e la più orientale delle Azzorre, è un’isola tranquilla ricca di baie protette, spiagge di sabbia bianca lambite da acque calde e un incantevole paesaggio collinare. Conosciuta come Isola Gialla, Santa Maria vanta una graziosa capitale, Vila do Porto, e alcuni pittoreschi villaggi come Santa Bárbara, Santo Espírito, São Pedro e Almagreira. Un piccolo aeroporto rende i collegamenti più facili.

L’isola di Terceira è la terza per dimensione dell’arcipelago e ospita la capitale storica delle Azzorre, Angra do Heroísmo, risalente al 1534, oggi inserita nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Le fortificazioni di San Sebastiano e San João Baptista, databili al 1600, sono esempi unici di architettura militare. La pianta della città è stata realizzata in base ai venti. I villaggi dell’isola si trovano lungo la costa meridionale, la più dolce, e sono strettamente legati con il mare, mentre l’entroterra è disabitato e selvaggio.

Faial Tra le isole delle Azzorre più amate, Faial è famosa per il suo meraviglioso vulcano, la Caldeira, circondato da bellissime ortensie blu (dal colore di questi fiori è soprannominata l’Isola azzurra). Nella parte occidentale si trova il Capelinho, un piccolo vulcano dal paesaggio lunare, mentre la parte orientale offre un paesaggio incantevole caratterizzato da dolci pendii. La rinomata baia di Port Pim, luogo storico delle balene, è l’ideale per fare un bagno e prendere il sole ed eccezionali  le grotte di Costa da Feteira e il belvedere di Monte da Guia. La vivace capitale di Horta è stata per secoli un importante porto per il commercio tra l’Europa e l’America e custodisce un’atmosfera unica.

Pico, Il vulcano Pico L’isola di Pico, nota per il monte il più alto del Portogallo, il Vulcano Pico, da dove godere di una vista unica sul gruppo centrale dell’arcipelago, è ricca di laghetti e vanta una vegetazione rigogliosa e unica. L’isola, la seconda per estensione delle Azzorre, è coltivata a vite, fichi e frutteti. La città di Lajes, la vecchia Sao Luis fondata nel 1460, si trova all’interno di una bella baia protetta. Ai balenieri dell’isola di Pico Herman Melville ha dedicato il romanzo Moby Dick. Da non perdere le escursioni di whale watching. E’ soprannominata l’Isola grigia

Sao Jorge è l’isola più solitaria e incontaminata dell’arcipelago delle Azzorre ed è raggiungibile con 3 ore di traghetto da Pico. Quasi tutti i villaggi dell’isola di San Giorgio si trovano ai piedi di alte scogliere nelle piccole pianure costiere. Oltre alla meravigliosa ricchezza naturalistica, l’isola è famosa per le migliori escursioni nelle Azzorre, Sao Jorge offre viste stupende sulle altre isole dell’arcipelago

Flores, Portogallo Il villaggio di Fajazinha Profonde valli e alte vette caratterizzano il lussureggiante centro dell’isola di Flores, la più occidentale delle Azzorre insieme. Ricca di fauna tanto da prendere il nome di fiore, l’isola è la più piovosa dell’arcipelago. Lungo le coste drammatiche di Flores si possono ammirare centinaia di pittoresche cascate e di particolare bellezza le Lagoas, la zona con 7 laghi di origine vulcanica.

Graciosa, Conosciuta anche come l’Isola Bianca, Graciosa è la più settentrionale del gruppo centrale dell’arcipelago ed è un luogo di tranquillità e pace. Graciosa è la seconda isola più piccola dell’arcipelago e gode del clima migliore grazie all’assenza di veri e propri rilievi dato che la sua caldera raggiunge sono i 402 metri sul livello del mare. Ampie valli, dolci pendii terrazzati e pittoreschi mulini a vento caratterizzano il suo paesaggio. Grazie al suo clima secco i villaggi si trovano non solo sulla costa ma anche nell’entroterra. Le abitazioni tradizionali della capitale Santa Cruz risplendono nella loro imbiancatura a calce. A sudest di Graziosa si trova un grande cratere vulcanico che al suo interno custodisce un’enorme grotta, il Furna do Enxofre, e un lago vulcanico sotterraneo.

Corvo è l’isola più piccola dell’arcipelago delle Azzorre, un verdeggiante cono vulcanico che sembra sbucare dal nulla tra le acque dell’Oceano Atlantico. Vila Nova do Corvo è l’unico insediamento dell’isola, una pittoresca cittadina dove vive solo qualche centinaio di persone, contraddistinta da case con facciate di pietra scura. Isolata e tranquilla Corvo è abbellita da piccoli mulini a vento.

4) Spiagge:

Le isole Azzorre anche se non sono particolarmente famose per le spiagge offrono alcune delle migliori condizioni al mondo per il surf, il windsurf e il kitesurf. La temperatura dell’acqua è mite durante tutto l’anno grazie all’azione della Corrente del Golfo. Le isole dell’arcipelago hanno per lo più spiagge di sabbia scura, a causa della loro origine vulcanica, e rocciose. L’isola di Santa Maria racchiude le spiagge più belle dell’arcipelago delle Azzorre, con distese di sabbia chiara bagnate da acque calde. Tra le spiagge migliori troviamo Sao Lourenco, a forma di anfiteatro e circondata da vigneti, le spiagge di sabbia bianca e piscine naturali vicino ad Anjos a Vila do Porto, Praia Formosa e Maia. La spiaggia di sabbia nera di Praia do Populo si trova sull’isola di Sao Miguel, vicino alla cittadina di Sao Roque, a circa 15 minuti di auto da Ponta Delgada. Vicino al bellissimo villaggio di pescatori di Calorua si trova la spiaggia di Ribeira Quente. Gli amanti degli sport d’acqua apprezzeranno in particolar modo le onde invernali, cave e impegnative, ideali per ogni surfista.

5) Cetacei: https://www.italianialleazzorre.com/avvistamento-balene/

L’arcipelago delle isole Azzorre è considerato oggi uno dei più importanti santuari di balene nel mondo. Le specie avvistabili sono oltre 24, tra specie residenti e specie migratorie: oltre un terzo di tutte le  specie esistenti al mondo. I cetacei possono essere osservati durante tutto l’arco dell’anno, visto il loro grande numero  nell’arcipelago: oltre alle colonie residenti, come quelle dei delfini comuni e dei tursiopi in compagnia dei quali è possibile nuotare, esistono balene che passano alle Azzorre lungo la loro rotta di migrazione. Le stenelle maculate sono più frequenti in estate, la balenottera azzurra è facilmente avvistabile verso la fine dell’inverno. Capodogli, balenottere boreali, e balene con fanoni sono più frequenti in estate. Nel corso delle uscite la percentuale di avvistamento è vicina al 98%. Tra tutte le specie avvistabili citiamo le principali: il Capodoglio (Physeter macrocephalus), la Balenottera azzurra (Balaenoptera musculus), La Balenottera comune (Balaenoptera physalus), la Balenottera boreale (Balaenoptera borealis), la Balenottera minore (Balaenoptera acutorostrata), la Megattera (Megaptera novaeangliae), il Delfino comune (Delphinus delphis), il Tursiope (Tursiops truncatus), la Stenella maculata atlantica (Stenella frontalis), la Stenella striata (Stenella coeruleoalba), il Globicefalo di Gray (Globicephala macrorhynchus), il Grampo (Grampus griseus), l’ Orca (Orcinus orca). Nei periodi estivi è possibile incontrare alcuni dei cetacei meno conosciuti e rari come i i misteriosi Zifidi, dotati di solo due denti nella mascella inferiore (spesso solo nel maschio della specie). Tra gli Zifidi, che si immergono a grandi profondità come il Capodoglio, segnaliamo l’Iperodonte boreale (lungo fino a 9 metri!), il Mesoplodonte di Sowerby e lo Zifio. I cetacei sono specie protetta ed è proprio per questo che le uscite in mare per la loro osservazione seguono regole stringenti: non più di tre imbarcazioni sui luoghi di osservazione, silenzio, rispetto: si  deve navigare parallelamente ai cetacei, ad una velocità costante e a più di 50 metri di distanza (100 metri se esistono piccoli) e il periodo d’osservazione non può superare i 30 minuti. In passato le isole Azzorre erano uno dei più importanti luoghi di caccia di questi maestosi animali marini. La caccia alle balene sull’isola di Pico iniziò nel 1873, per oltre un secolo produsse i migliori balenieri del mondo. Ne scrisse anche Melville in “Moby Dick”. Nel 1987 Il governo di Lisbona firmò il trattato internazionale di protezione dei cetacei, mentre già dal 1984 aveva proibito la vendita e la trasformazione di olio, farine e prodotti derivati, decretando quindi nei fatti l’inutilità della caccia alle balene. Con il definitivo abbandono della caccia l’arcipelago azzorrino ha saputo convertirsi in uno dei luoghi più incredibili per l’avvistamento delle balene e l’osservazione naturalistica di questi unici e magnifici giganti del mare. Sono ancora molti, ed estremamente interessanti i musei balenieri, i centri di interpretazione e i punti di avvistamento delle balene: piccoli luoghi emozionanti e ricchi di storia.

Tra tutte le isole dicono che Pico, a Lajes, sia il posto migliore dove avvistarle.

6) Cibo:

La cucina tipica delle isole Azzorre è molto ricca e varia. La sua ricchezza nasce dalla tipicità del territorio che, grazie ad un clima e ad una natura generosa, offre una incredibile varietà di materie prime eccellenti e genuine. Dal momento che per noi Italiani questo è un argomento sensibile, lo diciamo subito: non avrete problemi col mangiare e bere alle Azzorre!

CARNE E PESCE: Le carni, bovine, ovine e suine, sono autoctone e non esistono allevamenti intensivi ma solo provenienti da animali allevati nei pascoli all’aria aperta. Il pesce e i frutti di mare, naturalmente, essendo l’arcipelago una delle porzioni di oceano più pescose al mondo, offre una varietà incredibile.

FORMAGGI: La selezione di formaggi locali è molto ricca e tra i tanti citiamo il Queijo da ilha (formaggio dell’isola) tipico delle Azzorre e preparato con solo latte fresco di capra e il più celebre Queijo di São Jorge.

FRUTTA E VERDURA: L’incredibile clima temperato della zona regala una produzione di verdura e frutta che solitamente si trova solo a diverse latitudini: crescono e si raccolgono più volte all’anno verdure per noi invernali come quelle tipicamente estive come i pomodori. La frutta regala dagli agrumi alle fragole e frutti di bosco agli esotici ananas e banane.

PIATTI TIPICI: Tra i piatti più famosi ricordiamo il Cozido das Furnas, fatto con carni miste e verdure e cotto in pentole calate in sacchi sprofondati nel calore delle bollenti sorgenti geotermiche, la Sopa do Espírito Santo (Soup of the Holy Ghost) o la Massa Sovada (pane dolce Portoghese) o ancora la famosa pimenta da terra (pasta di peperone rosso dolce), solitamente abbinata al formaggio bianco fresco o le zuppe di pesce e crostacei cotte con acqua di mare o i pesci alla griglia. Anche la pasticceria locale è molto ricca ed ogni luogo vanta almeno due o tre dolci caratteristici.

VINO E LIQUORI: Sulle isole di Pico, principalmente, ma anche di Terceira e Graciosa, si produce un buon vino locale ed esistono anche birre artigianali e vari tipi di liquori.

THE’: Da citare a parte la produzione di un ottimo tè locale: le Isole Azzorre sono infatti l’unico luogo in Europa dove cresce e si coltiva il tè.

7) vegetazione: le isole sono verdissime e piene di fiori. Ci sono ad alto fusto cedri, faggi e pini. Mentre a basso fusto cespugli di piante di orecchie di elefante  e poi fanno da padrone le ortensie e gli hedychium. Questi ultimi raggiungono l’altezza di due metri e hanno lunghi fiori gialli. Le foglie sembrano vagamente quelle del banano. Sono originari dell’Himalaya e sono stati portati qui a scopo ornamentale … ma essendo infestanti … ne sono andati ovunque. Si riproducono come la menta, tramite le radici. Sono uno spettacolo.

 

  1. C) INFORMAZIONI SU FAIAL – AZZORRE

http://www.civediamoquandotorno.it/2019/01/23/faial-cosa-fare-e-vedere-sullisola-azzurra-delle-azzorre/

https://www.portogallo.info/azzorre/faial/

https://www.italianialleazzorre.com/le-isole-azzorre/

 

L’isola di Faial è una delle più apprezzate dai turisti in visita alle Azzorre. Il motivo è semplice: natura incontaminata, paesaggi da favola e spiagge.

Faial è la terza isola più popolosa delle Azzorre con quasi 15.000 abitanti, ed è parte del gruppo centrale dell’arcipelago, all’angolo più occidentale del cosiddetto “triangolo“, che comprende anche São Jorge e Pico, quest’ultima a soli 6 km da Faial. L’isola fu scoperta nel 1427 e colonizzata nel 1432 da alcuni coloni fiamminghi; prende il nome dalla presenza di molti alberi di faggio, faias appunto, sull’isola. Faial si caratterizza anche per un enorme numero di ortensie, di un intenso colore blu, che sono spesso fonte di abbellimento per case, strade ed edifici pubblici. Faial è proprio soprannominata per questo “l’isola azzurra”. Durante il XVII secolo l’isola divenne un porto commerciale molto importante, grazie alla sua posizione che la rese un porto sicuro fra Europa e America.

L’isola è piccolina con i suoi 21 km di lunghezza e 14 km larghezza tanto che l’intero perimetro potrebbe essere percorso in auto nel giro di un paio d’ore. Il punto più alto dell’isola (1043 m.) è situato in corrispondenza di Cabeço Gordo, nella zona di Caldeira

Faial offre molti spunti interessanti per vivere un soggiorno intenso e attivo. Oltre a caratterizzarsi per una particolare conformazione del territorio, legata chiaramente alla sua origine vulcanica, l’isola si contraddistingue per i suoi porti e i suoi magnifici scorci di mare, tanto che da sempre Faial è un punto di riferimento per i marinai delle Azzorre e non solo. Come per tutte le isole dell’arcipelago, il consiglio è quello di non limitarsi alla zona costiera, ma di esplorare anche quello che Faial nasconde nelle sue campagne e nelle sue vette

Il modo migliore per conoscere l’isola di Faial è quello di girarla a piedi. Vi sono moltissimi sentieri per il trekking, alcuni anche molto lunghi, tra cui quello che collega i 10 vulcani di Faial, coprendo in tutto un percorso di ben 27 km. Il consiglio è quello di iniziare da Caldeira e terminare a Porto do Comprido. Avventuratevi anche per il Trilho dos Caminhos Velhos, ovvero un percorso che lega gli antichi sentieri utilizzati dagli abitanti del nordest dell’isola. Un altro percorso molto interessante è la salita al Monte Da Guia, dal centro di Horta. Si tratta di una escursione che dura circa 2 ore.

Da vedere senso orario partendo da Horta:

1) HORTA

– Da visitare assolutamente è la Marina. Si resta incantati da tutti quei colori e testimonianze dei navigatori di tutto il mondo e dai tanti disegni fatti con cura che venivano realizzati dai marinai come simbolo di buon auspicio. Un altro punto emblematico della capitale di Faial è il Peter Café Sport, una vera e propria istituzione. Luogo di ritrovo di marinai e lupi di mare nel passato, oggi ci sono solo turisti che siedono ai tavoli di legno di questo colorato Pub ma l’atmosfera che vi si respira è ancora in grado di evocare grandi traversate e avventure (per cena prenotare).

I murales della marina di Horta. L’isola di Faial è famosa per i suoi murales. Tutto ebbe inizio alcuni anni fa dall’iniziativa di un membro di un equipaggio di una barca a vela, ancorata a Horta, di realizzare un dipinto, in ricordo del suo soggiorno a Faial, lungo la banchina del porto. Questo primo dipinto è stato seguito a ruota da molti altri ancora. Si tratta di un mosaico di colori, dove si richiamano i nomi delle imbarcazioni, che nel tempo hanno attraccato a Horta. Una leggenda si è diffusa qui nei tempi: le imbarcazioni che non lasciano un ricordo del loro passaggio sull’isola, andranno incontro a mala sorte!

– punti panoramici: Per ammirare una vista mozzafiato sulla città occorre scalare il Monte da Guia, un antico vulcano che ha avuto origine nel mare e che successivamente si è unito all’isola di Faial, oppure andare sul promontorio Ponta da Espalamaca, un promontorio sopra la città di Horta che permette di osservare dall’alto l’intenso movimento delle navi nel porto, oppure dal Miradouro di Nossa Senhora da Conceição

– Fabrica da Baleia de Porto Pim. La Fabrica da Baleia de Porto Pim vi permetterà di scoprire la vita dei balenieri e il processo di lavorazione per la produzione di oli e farine ricavati dai cetacei, soprattutto capodogli. Conserva tutte le macchine utilizzate nella caccia alla balena, un settore attivo sull’isola fino alla fine del ventesimo secolo e vitale per l’economia di Faial. Consigliatissimo (https://www.oma.pt/fabrica.php) orari: da lunedì a venerdì dalle 10 alle 18. Nel we bisogna prenotare. Costo 4 €

Museo Scrimshaw Complementare alla Fabrica da Baleia, il Museo Scrimshaw presenta un’interessante collezione di opere realizzate con parti di balene o comunque ispirate al ricordo di questi cetacei. Questi manufatti sono stati scolpiti e realizzati dalle abili mani dei pescatori dell’isola; il museo è collegato al Peter Cafe Sport, un bar iconico per tutti i marinai e balenieri del mondo.

– Museo di Horta. Parte della storia di Faial può essere infine scoperta al Museo di Horta, ubicato nell’ex Collegio dei Gesuiti, al cui interno sono ottimamente conservate collezioni di documenti, etnografia, oltre a fotografie e opere d’arte

2) SPIAGGIA CONCEICAO: nella baia di Horta, a nord.

3) SPIAGGIA PORTO PIM e FABBRICA DELLE BALENE (sud-est): Se ci si trova ad Horta, la spiaggia più vicina è Porto Pim, che si distingue rispetto al resto dell’isola per la sabbia fine e chiara. Si snoda molto delicatamente nel mare, ed è quindi un luogo ideale per i bambini piccoli. A Porto Pim è anche possibile visitare la ex fabbrica delle balene, oggi trasformata in Museo. Tutto è rimasto com’era. Ci si aspetta quasi di vedere arrivare da un momento all’altro la barca dei balenieri di ritorno dalla caccia, con le lunghe lance a cui veniva arpionato il grande pesce. È ancora presente il vecchio impianto di trasformazione che lavorava le carni delle balene. I cetacei venivano utilizzati anche per estrarne l’olio, che veniva poi usato per lubrificare i macchinari e generare energia sull’isola.

Ottima per una birra al tramonto

4) PISCINA NATURALE  POCA DA RAINHA (sud)  

5) PISCINA NATURALE CASTELO BRANCO (sud)  

6) PISCINA NATURALE  VARADOURO (sud ovest) 

7) FARO CAPELO (ovest)

8) PORTO DO COMPRIDO (ovest): – faro in disuso (salita € 1) (il biglietto si compra nell’antistante museo del vulcano). Si sale attraverso una piccola scala a chiocciola composta da 140 gradini; la fatica verrà premiata da un panorama mozzafiato. La permanenza in cima al faro è limitata a 10 minuti. Nessuno vi verrà a tirare giù ma è giusto dare la possibilità a tutti di salire e godersi con la dovuta tranquillità le altissime scogliere di roccia e sabbia nera che si tuffano nel mare blu. Un contrasto cromatico pazzesco, messo ancora di più in risaltato dalla spuma bianca delle onde che si infrangono a riva.

– piscina naturale, ottimo luogo dove rilassarsi e vivere un po’ la vita di mare che questa isola delle Azzorre è in grado di offrire.

9) VULCAO DOS CAPELINHOS (ovest): In cima alla Península do Capelo si trova il Vulcão dos Capelinhos. L’insieme si è formato nei millenni a causa della sovrapposizione degli strati di lava causati da eruzioni successive. Di recente il vulcano è stato attivo tra il 1957 e il 1958: la lava si accumulò vicino al camino, e ciò diede vita ad un isolotto unitosi a Faial. Il faro e alcune delle case distrutte dall’eruzione accentuano il carattere aspro di un paesaggio davvero unico nelle Azzorre. La salita al faro offre un panorama mozzafiato del paesaggio vulcanico e circostante. Inoltre è possibile visitare il Centro di Interpretazione del Parco Naturale (€ 10 compresa la salita al faro), il quale permette di conoscere i fenomeni geologici e vulcanici delle isole Azzorre. La visita al vulcano e al Centro hanno un accesso limitato: se si desidera effettuare la visita è consigliato prenotarla anticipatamente.

– Il museo è stato costruito sotto il faro colpito dall’eruzione. E’ possibile accedere alla hall di accesso dove è presente un bar e dove è possibile andare alla toilette. L’ingresso al museo è a pagamento.

– Si può visitare gratuitamente la parte bassa del faro invece se si vuole salire è a pagamento. Un posto unico nel suo genere.

– E’ l’ultimo dei vulcani emersi dal mare nelle Azzorre, solo 60 anni fa. Infatti è ancora tutto terroso, senza alcuna vegetazioni. Molto interessante il vicino Centro di Informazione sui vulcani. Vicino c’è anche una bella “piscina naturale” per un bagno rinfrescante in acqua relativamente calda.

– Un luogo lunare , pieno di lava, mare vento e natura. Suggestivo da ogni posizione e la passeggiata fino in cima è da fare assolutamente.

– Visita molto interessante, con spiegazioni esaustive in un ottimo inglese sull’eruzione vulcanica che ha portato alla nascita del promontorio di Capelinhos. Dura circa un’ora, interessante anche per i bambini. 

10) I VULCANI AD EST DI CAPELINHOS: sono Cobeço Verde, Cobeço do Canto, Cobeço do Fogo e Cobeço dos Trinta. Si possono raggiungere con i trekking o in auto (Cobeço do Verde).

11) SPIAGGIA FAJA  a PRAIA DO NORTE (ovest): è una ampia spiaggia di sabbia nera; qui il mare è meno calmo e le onde si fanno alte fino a riva. La spiaggia è libera; nelle vicinanze vi è però anche un posto ristoro, docce e servizi igienici. Bisogna considerare che il versante settentrionale è battuto da forti venti e le onde impetuose rendono impossibile la balneazione. Non per niente è soprannominata costa brava (costa selvaggia).

12) PORTO CEDROS (nord) 

13) PISCINA NATURALE PORTO DA EIRA (nord)

14) PORTO DO SALAO (nord): piccolo porto con piscina naturale

 15) FARO RIBEIRINHA (est): diroccato

 16) PISCINA NATURALE POCA DA RIBEIRINHA (est)

 17) SPIAGGIA DE PEDRO MIGUEL (est): Se siete in cerca invece di un’oasi di pace, allora rifugiatevi a Praia de Pedro Miguel. E’ un posto isolato, dove difficilmente i turisti arrivano in massa. Attrezzatevi di pranzo a sacco e passate qui una bellissima giornata di mare

 18) SPIAGGIA ALMOXARIFFE (est): interessante la spiaggia di Almoxariffe, che si trova ad est di Horta. E’ una spiaggia di sabbia molto popolare, accessibile da un viale, con tanto di parcheggio, ristoranti e bar. Qui potrete nuotare con una magnifica vista sull’isola e sulla montagna di Pico.

 19) CALDEIRA  (Cabeco Gordo) (centro): Situata nel centro geografico di Faial, la Caldeira è un enorme cratere vulcanico (diametro 2 km e profondo circa 400 metri alto circa 1 km). E’ osservabile in tutta la sua grandiosità dal punto più alto dell’isola, il Cabeço Gordo a 1043 mt. Spesso è circondata dalla nebbia e ciò non permette di ammirare come si deve questo luogo magico. E’ molto bello percorrere la strada tra le ortensie che conduce ai punti panoramici da cui ammirare il cratere in tutta la sua ampiezza. Sulla Caldeira vi è una vegetazione lussureggiante: vi si trovano diversi alberi come cedri, ginepri e faggi, mentre a terra vi sono felci e muschi. I turisti che visitano questa zona di Faial tendono a parlare a bassa voce, come a rispettare la maestosità di questi posti, dove il silenzio è d’obbligo.

La Caldeira si raggiunge attraverso una strada abbastanza tortuosa ma durante la salita sarete deliziati da un susseguirsi ortensie in fiore, talmente grandi che non crederete ai vostri occhi. Ad un’estremità del parcheggio principale, è ben visibile l’imbocco di un piccolo tunnel che conduce ad una terrazza panoramica che si affaccia sul cratere del vulcano, incorniciata dalla verdissima vegetazione e cespugli di ortensie che lo ricoprono fino sul fondo.

Ma il modo migliore per assaporare la Caldeira da diverse angolazioni e percepirne la vastità è attraverso un suggestivo trekking lungo 8 km con poco dislivello che si snoda lungo l’intero perimetro (più o meno 2 orette e mezzo di camminata tranquilla). Il sentiero non presenta particolari difficoltà, certo bisogna essere un minimo allenati e indossare scarpe adatte, in alcuni punti il terreno è un po’ sdrucciolevole e se ha appena piovuto può essere fangoso. Chi fosse invece interessato a scendere fin dentro il cratere, dovrà prendere parte ad una visita guidata, che dura praticamente tutta una giornata.

Un operatore è Our Island (https://ourisland-azores.com/day-tours/caldeira-descent/). Dura 5 ore e la lunghezza è di 4 km. Costo per 3/4 persone € 60 a testa – per 5/7 € 45 a testa.

 20) SPIAGGIA FAJA  a PRAIA DO NORTE (ovest): è una ampia spiaggia di sabbia nera; qui il mare è meno calmo e le onde si fanno alte fino a riva. La spiaggia è libera; nelle vicinanze vi è però anche un posto ristoro, docce e servizi igienici. Bisogna considerare che il versante settentrionale è battuto da forti venti e le onde impetuose rendono impossibile la balneazione. Non per niente è sopranominata costa brava (costa selvaggia).

21) JARDIM BOTANICO DOS FLAMINGOS (centro): Piccolo ma mantenuto con grande cura. Dopo un breve filmato introduttivo si visitano le varie sezioni del giardino botanico dove sono presenti sia le specie autoctone sia quelle introdotte in seguito alla colonizzazione. Vi è anche una zona dedicata alle piante aromatiche ed officinali e una serra di orchidee, purtroppo ad agosto non erano fiorite. Scopro cosi che le ortensie che hanno reso cosi famosa l’isola sono considerate infestanti!  Il giardino botanico di Horta è estremamente importante, l’unico di tutto l’arcipelago, dedicato allo studio scientifico, classificazione e conservazione di tutte le specie botaniche. È una sorta di “grande archivio” in cui sono catalogate tutte le piante presenti alle Azzorre e in caso di necessità può aiutare alla reintroduzione di esemplari a rischio estinzione, come è recentemente accaduto con i fiori “non ti scordar di me”.  La visita vi terrà occupati per circa un’oretta.

 22) BALENE: Le Azzorre sono attualmente uno dei più importanti ‘santuari’ di balene del mondo. Gli avvistamenti sono garantiti al 98%. Tra specie residenti e migratorie, comuni o rare, si possono avvistare qui 24 differenti tipi di cetacei: numero impressionante, dato che corrisponde ad un terzo delle specie esistenti, in un unico ecosistema. Con maestose balene e simpatici delfini, intorno alle nove isole l’Atlantico è ancor più magico, adattando ai nostri tempi, in cui conservazione è la parola-chiave, l’antico grido di  “Balena a vista!”.

– miglior periodo dell’anno: I cetacei possono essere osservati tutto l’anno, dato il grande numero di specie esistenti nell’arcipelago. Oltre alle colonie residenti, come quelle dei delfini comuni e dei tursiopi, in compagnia dei quali è possibile nuotare, esistono balene che passano alle Azzorre lungo la loro rotta di migrazione. Le stenelle maculate sono più frequenti in estate. La balenottera azzurra è facilmente avvistabile verso la fine dell’inverno. Capodogli, balenottere boreali, e balene con fanoni sono più frequenti in estate. Una cosa è garantita: in qualunque stagione, ci sono sempre scoperte da fare.

– età raccomandata: Non c’è un’età raccomandata per apprezzare questo dono della natura, ma dato che un’uscita in mare dura più o meno tre ore, l’età minima raccomandata è di cinque anni.  Un mare in buone condizioni per un adulto, a volte può essere diificile da sopportare per un bambino piccolo.

– cosa portarsi dietro: La macchina fotográfica o la cinepresa sono imprescindibili. Ci sono momenti che nella vita accadono solo una volta, e registrarli in immagini significa fissare la memoria di un incontro unico. Per chi non è abituato al mare, una compressa contro il mal di mare prima di partire può garantire che la giornata sia sempre piacevole. È opportuno portarsi dietro acqua e cibi leggeri quali frutta, panini o barrette energetiche.

– se non c’è stato avvistamento: È raro che non si verifichi avvistamento. Nel 98% delle uscite sono osservati  balene ou delfini, in qualunque stagione dell’anno. La sicurezza di avvistare queste creature è così tanta che alcuni operatori restituiscono il denaro dei biglietti qualora non si avvistino  delfini ou balene.

– alternative alle uscite in mare: Quando le condizioni del tempo o del mare non sono adeguate, le uscite in mare possono essere posticipate o cancellate. Non rattristatevi: anche rimanendo in terra, è possibile sapere di più sulla ricca storia azzoriana legata alle balene. Esistono vari musei e centri di interpretazione, principalmente sulle isole di Pico e di Faial, che costituiscono un rifugio accattivante e interessante nelle giornate di maltempo.Un’altra ipotesi è quella di visitare i posti d’avvistamento delle balene sparsi, in punti strategici, sulle varie isole. Una parte di queste casette, che in altri tempi servirono per la caccia, è stata restaurata, ed ospita di nuovo occhi addestrati a scrutare l’orizzonte alla ricerca di cetacei. Generalmente questi posti d’osservazione sulla costa sono situati in luoghi che offrono panoramiche sorprendenti.

 OPERATORI:

– AZORES EXPERIENCES (http://www.azoresexperiences.com)

– DIVE AZORES (http://www.diveazores.net)

– NORBERTO DIVER (http://www.norbertodiver.pt)

– PETER WHALE WATCHING (https://www.petercafesport.com/)

 23) IN BREVE:

– piscine naturali: Varadouro, Castelo Branco, Porto do Comprido vicino all’area del vulcano Capelinhos, Porto da Eira, Poça da Ribeirinha e Poça da Rainha.

 – spiagge: Porto Pim, Praia do Almoxarife, Praia da Conceição, Praia da Fajã invitano a ritempranti bagni di mare 

24) CIBO:

Il polpo al tegame cotto nel vino, comune ad altre isole dell’arcipelago, è uno dei piatti più tipici di Faial. A tavola, la predominanza del mare si rivela nel brodo di pesce e nella caldeirada (pesci in guazzetto).

Pane e dolci di mais sono gli accompagnamenti giusti. Quanto alle carni, la morcela e la linguiça tanto possono essere uno spuntino o un pasto, ma in quest’ultimo caso vengono servite con l’ igname. La ricetta della molha de carne (una specie di ragù), prevede spezie quali il pepe, il cumino e la cannella per insaporire la generosa salsa in cui viene cotta la carne di manzo. Fra i dolci, sono tipiche le fofas: i dolcetti di pasta aromatizzata al finocchio sono cotti in forno prima di essere farciti con una crema a base di tuorli d’uovo, latte, zucchero, farina e buccia di limone.

 25) TREKKING: (https://trails.visitazores.com/en): ce ne sono diversi. Il sito elenca tutto nel dettaglio con tanto di mappe): ce ne sono diversi. Il sito elenca tutto nel dettaglio con tanto di mappe

  1. D) INFORMAZIONI SU PICO – AZZORRE:

http://www.civediamoquandotorno.it/2019/04/04/azzorre-cosa-fare-e-cosa-vedere-sullisola-di-pico/

https://www.portogallo.info/azzorre/pico

https://www.visitazores.com/en/experience-the-azores/whale (whale watching)

https://ourisland-azores.com/tour/private-tours-in-the-azores/#area (tour operator per scalata)

https://www.italianialleazzorre.com/

https://ritaglidiviaggio.it/2021/04/21/azzorre-10-cose-da-fare-isola-di-pico/

 Pico è una vera e propria gemma, che risplende nell’arcipelago delle Azzorre. Un’isola tutta da scoprire, tra camminate in montagna e panorami mozzafiato. E’ lunga 46,2 km e larga 15,8.

Ogni isola delle Azzorre ha il proprio fascino. Ci sono attrazioni da vedere e posti da esplorare. Pico è la seconda isola più grande dell’arcipelago ed è soprannominata “isola grigia” perché è la più vulcanica di tutto l’arcipelago. Paesaggi di ogni tipo di formazione di lava dominano il paesaggio, in contrasto con l’azzurro dell’oceano e il bianco della schiuma delle onde. È l’isola più meridionale del Gruppo Centrale dell’arcipelago, ed uno dei vertici del cosiddetto “triangolo”; dista appena 6 km dalla sua più immediata vicina Faial. Il suo punto più alto, con ben 2350 metri sopra il livello del mare, è anche il punto più alto di tutto il Portogallo: si tratta della Montanha do Pico. Il terreno vulcanico di Pico è ricco di nutrienti; questo fatto, unito al microclima caldo e secco e alle colline riparate dai venti grazie alla costruzione di piccoli muri a secco di pietra, hanno fatto sì che le viti del vitigno Verdelho abbiano trovato ottime condizioni per maturare e produrre i tipici vini dell’isola. Il paesaggio di Pico è un susseguirsi di vigneti, che danno vita ad un vino fresco e leggero, che si abbina alla perfezione alle specialità gastronomiche dell’isola, così come ai piatti a base di pesce e frutti di mare. Anche il famoso vinho de cheiro delle Azzorre, simile al vino fragolino, si produce a Pico. E’ un vino utilizzato dagli abitanti dell’isola soprattutto durante le feste. Nel 2004, l’UNESCO ha inserito nella lista dei suoi Patrimoni dell’Umanità il Paesaggio della Coltivazione della Vigna dell’isola di Pico, motivando l’ingresso come risultato di pratiche di coltivazione antiche mescolate all’unicità del paesaggio naturale.

Pico è il miglior posto dove fare escursioni per avvistare le balene.

Pico non è senz’altro l’isola più adatta se si è in cerca di distese di sabbia dove potersi rilassarsi al sole. Qui infatti non ci sono vere e proprie spiagge, ma piccole strisce di sabbia o pietra che si affacciano sul mare, dove le acque sono più calme oppure piscine naturali, molto adatte per la balneazione dei bambini, che costituiscono concretamente le zone dove poter fare il bagno sull’isola.

Da vedere senso anti – orario partendo da Madalena:

1) MADALENA(ovest)

Principale città e porto peschereccio di Pico è Madalena, dove arrivano le navi provenienti dalle altre isole. In questo tratto di mare è possibile vedere gli isolotti di EmPé e Deitado. Da non perdere la visita ad Arcos do Cachorro, un gruppo di formazioni rocciose di origine vulcanica composte da nicchie e tubi lavici che nell’insieme creano un agglomerato di sculture di solidificato lavico.

– museo del vino (http://www.museu-pico.azores.gov.pt/museu/museu-do-vinho/)

– spiagge di Areia Larga e AreiaFunda

– mulino: si trova nelle vicinanze del porto e nei pressi di due opere di street art molto interessanti. Si tratta di un mulino piuttosto grande, dipinto di bianco e di rosso e circondato da uno dei tipici muretti dell’isola.

– ristoranti: I migliori ristoranti, oltre che quelli più semplici da raggiungere, sono concentrati nella zona di Madalena, il capoluogo dell’isola. Io vi consiglio O Ancoradouro, visto che l’ho provato e mi sono trovata molto bene. Anche la location con vista panoramica sul mare è decisamente promossa.In questo ristorante ho assaggiato la zuppa di pesce, piatto che troverete in numerosi menù delle Azzorre, insieme alla zuppa della casa, che spesso è di verdure. E poi ho provato la cataplana di pesce, un delizioso piatto portoghese con cui ci si può tuffare nei profumi del mare e nei sapori dell’Oceano Atlantico. Il nome deriva dalla particolare pentola utilizzata per cucinare i frutti di mare: un recipiente bombato di rame o alluminio dentro il quale la cataplana viene servita direttamente a tavola. Il piatto è per due, ma noi abbiamo fatica a finirlo in tre persone.

 2) RISTORANTE CELLA BAR a Madalena

recensioni non splendide – merita anche solo una visita per l’architettura o un aperitivo

Il Cella Bar è un bar-ristorante dal design unico. Aperto nel 2015 a Lugar de Barca, nella zona vitivinicola occidentale a poca distanza da Madalena, il capoluogo dell’isola, questo bar è costruito in legno locale come fosse un’enorme botte. La struttura originaria in muratura è stata ristrutturata e ad essa è stata collegata una particolare costruzione in legno dalla forma sinuosa che vuole ricordare le botti in legno dove invecchia il vino.

Fernando Coelho, dell’atelier FCC Arquitectura e Paulo Lobo si sono occupati del design degli interni mentre Paulo Neves ha realizzato la scultura esterna. Il risultato è davvero originale. Buona la cucina. C’è una meravigliosa terrazza sul tetto affacciata sull’oceano. Un posto perfetto per un aperitivo all’ora del tramonto.

Il Cella Bar p anche vincitore nel 2016 del premio “Edificio dell’anno” di ArchDaily, celebre rivista di architettura.

 3) CRIACAO VELHA (ovest)

– mulino molto bello tra i vigneti con il vulcano di Pico sul retro

– Si chiama Grutadas Torres e si trova a dieci minuti a piedi a sud di Madelena, nella zona di CriaçãoVelha ed è uno dei più grandi condotti al mondo scavati in profondità dalla lava vulcanica. Una grotta di lava è una formazione geologica di origine vulcanica formata dal flusso e dal raffreddamento di fiumi magmatici sotterranei. Grutadas Torres ha un’altezza compresa tra 1,1 e 15 metri e si trova a un’altitudine di 300 metri. Grutadas Torres è una delle 17 grotte dell’isola di Pico delle 30 grotte presenti nell’arcipelago. Con una lunghezza stimata di oltre 5,2 km è la più lunga grotta di lava delle Azzorre.Visitabile solo con visita guidata, Grutadas Torres, classificata come monumento naturale regionale nel 2004, è lunga circa 5 chilometri, ma sono percorribili soltanto poco più di 800 metri. Al suo interno si possono ammirare stalattiti e stalagmiti laviche e formazioni-scultura uniche. L’ingresso della grotta è aperto verso il cielo e vi si accede dopo aver percorso un viale alberato attraversato il Ponte Algar.Aperta al pubblico dal 2005, la grotta è preceduta dall’ingresso al centro visitatori, costruito in rocce basaltiche per essere integrato con l’ambiente, ha caratteristiche architettoniche innovative, tanto da Ha ricevuto il Premio dell’Unione europea per l’architettura contemporanea Mies van der Rohe Award 2007.L’unicità della grotta risiede nel suo imponente schema di drenaggio. La lava liquida che gocciola dal tetto si è stratificata in pittoresche stalattiti e stalagmiti e in molte altre formazioni. All’interno il tunnel, l’umidità è notevole poiché l’acqua gocciola dal tetto e si registra una temperatura costante di 16 ° durante tutto l’anno. Uno degli aspetti più interessanti è il pavimento della grotta, che presenta una crosta liscia e sottile, al di sotto della quale la lava continuava a fluire, assumendo la forma di una corda o di una superficie aspra, spinosa e irregolare, con sporgenze aguzze.Un altro aspetto interessante, rispetto ad altre grotte in giro per il mondo, è che questa non è illuminata artificialmente. Una decisione presa per preservare la grotta così come è stato scoperta. Il percorso non è attrezzato ed è per questo che l’entrata è consentita soltanto accompagnati da una guida. Si consigliano buone scarpe da trekking, visto che il pavimento è sempre bagnato e molto scivoloso. All’ingresso vengono forniti pila e casco di protezione. Il biglietto d’ingresso costa 8 euro.

L’accesso alla grotta è gestito dall’associazione alpinistica “Os Montanheiros“.

 

– Vigneti coltivati nella roccia basaltica, suddivisi in lotti (currias) fatti di bassi e stretti muretti di pietra (paredes, murinhos)., spaccati ed impilati senza l’uso di malta, che proteggono le piante dal vento del mare senza togliere loro il calore del sole e realizzano una sorta di gigantesco labirinto di pietra in riva al mare, all’interno del quale oggi è bello perdersi. Un vino che è il risultato dei terreni di lava e di pratiche di coltivazione antichissime, iniziate alla fine del XV secolo, con i primi insediamenti in questa zona e arrivato più tardi ad essere esportato in Europa e In America, apprezzato sulle tavole degli zar di Russia.

La coltivazione della vite di Pico e i suoi vigneti così particolari che formano il Paesaggio della Coltivazione della Vigna dell’isola di Pico sono stati classificati, nel 2004, Patrimonio dell’Umanità Unesco. Il microclima secco e caldo e il terreno vulcanico ricco di sostanze nutritive, garantiscono la maturazione del vitigno verdelho, un vino secco, leggero e fruttato da abbinare a un piatto di pesce o di frutti di mare, oltre al vinho de cheiro (vino fragolino), tipico dei giorni di festa.

Il Museo del Vino è ospitato in un antico convento a Madalena e contiene una collezione di attrezzi agricoli, alambicchi e botti. La Cooperativa Vitivinícola di Ilha do Pico ha lanciato nuovi vini, come il “Lajido”, erede del “verdelho”, e vini da tavola, sia rossi che bianchi.

I Paesaggi della Coltivazione della Vigna dell’isola di Pico si possono ammirare lungo la costa e parte dell’entroterra daCricaoVelha a Lajido.

 4) MONTANHA DO PICO(centro ovest)

Pico, come tutte le Azzorre, si caratterizza per i suoi fenomeni di vulcanesimo. Intorno alla capitale Madalena si sviluppa un complesso di vulcani, di cui fa parte anche il Monte Pico. Non potrete perdervi la vista di questo imponente vulcano. In vetta al monte, vi è anche una vasta area dove si susseguono fenomeni di vulcanesimo secondario. Qualsiasi sia il modo in cui esplorerete questa zona, non dimenticatevi di assistere a questi fenomeni naturali. La montagna più alta del Portogallo è uno strato-vulcano con un’altezza di 2.351 metri. Allo stesso tempo è la montagna più alta della dorsale medio-atlantica e il vulcano più alto d’Europa. In cima c’è un cratere vulcanico con un diametro di oltre 500 metri e una profondità di 30 metri. Al suo interno si trova il Piquinho (Pico Pequeno), un piccolo cono vulcanico alto 70 metri che segna la vetta vera e propria. Scalare questa montagna è un’esperienza indimenticabile da non perdere quando si visita Pico.

durata 9 ore – dislivello 1120 mt. – lunghezza 10 km.

– con guida Pico Sport (http://pico-sport.com/product/climbing-mount-pico/) € 75 a testa

Al mattino presto trasferimento alla base della montagna. Dopo un briefing con la tua guida e una breve visita del centro visitatori, inizi a scalare la montagna più alta del Portogallo. L’ascesa non è facile poiché si cammina su pietre vulcaniche rotte, ma impressionante. Una volta arrivati in vetta e se il tempo lo permette si ha una vista impressionante delle isole vicine. Dopo la discesa rientro a Madalena. Alla base ricevi un certificato

Rates Include:

Transfer to/from Madalena to the base of Mt. Pico

Guided tour at the visitor centre

Park fees for Mt. Pico national park

Multilingualhiking guide

Certificate

– con Our Island (https://ourisland-azores.com/day-tours/pico-mountain-climb/ )3-4 pax 95€ per person – 5-7 pax 82€ per person – il resto come sopra

Riassumendo al volo:

nuovi orari di apertura della Casa da montanha:

1-30 aprile: lun-gio h. 08:00 alle 20:00 (due ore in più rispetto all’anno scorso), sempre aperta dalle 8:00 del venerdì mattina alle 20:00 della domenica.

1 maggio – 30 settembre: apertura 24 ore su 24.

Limite giornaliero: 320 salite (160 persone alla volta), che può essere abbassato in base allo stato del sentiero e alle condizioni meteo.

Che io sappia, è possibile prenotare in anticipo SOLO tramite organizzazione/guida autorizzata.

Se si decide di salire senza guida, bisogna recarsi alla Casa da Montagna nel giorno prescelto e registrarsi (serve a te per sicurezza – ti danno informazioni e GPS – e a loro per sapere quante persone ci sono su), e sono loro a dirti se ci sono posti disponibili per quel giorno oppure no (ecco perché è consigliabile andarci la mattina presto). Tieni presente che alcune guide fanno la scalata con pernottamento in quota e discesa la mattina, quindi anche recandosi sul posto la mattina presto non si parte da “zero presenze”.

*** IMPORTANTE ***

Sia che si prenoti in anticipo con la guida, sia che si decida di salire in autonomia, è possibile che, a causa delle condizioni meteo, la salita venga rimandata. Calcolare qualche giorno di “bonus” per poterla recuperare eventualmente in seguito.

 5) FARO DE SAO MATHEUS – PONTA DA FACA

 6) MULINO TERRA DO PAO (non lo abbiamo visto)

7) MULINO SAO JOAO entroterra (non lo abbiamo visto)

8) MULINO SAO JOAO – PONTA RASA

9) MULINO SILVEIRA(non lo abbiamo visto)

10) LAJES DO PICO (centro sud)

E’ la zona più anticamente abitata dell’isola, il cui capoluogo è l’omonima cittadina di Lajes. Visitate i sei villaggi tradizionali che la compongono: São João, Lajes, RibeirasCalheta do Nesquim, Piedade e Ribeirinha. E’ una zona che sembra essere rimasta un po’ nel passato; le attività economiche, oltre al turismo, girano intorno all’allevamento di bestiame e alla produzione di latticini. Il villaggio di Lajes do Pico ha una forte tradizione di pesca, in particolare del tonno, e da molti anni è il centro della caccia alle balene. Ad agosto c’è la settimana dei balenieri, con stand gastronomici ed eventi

– mulino

– MuseudosBaleeiros: il Museo delle balene custodisce le antiche barche da caccia. E’ un museo interattivo, adatto a grandi e piccoli.

– spiagge:Baixa da Ribeirinha, Baia de Canas e BaidadasLajes.

11) MULINO FETAIS (non lo abbiamo visto)

12) FARO PONTA DA ILHA (est)

13) MULINO PRAINHA (est)

14) PARQUE FORESTAL PRAINHA DO NORTE(centro nord)

Questo parco occupa una superficie di 15 ettari. Il terreno è formato da colate di basalto, risultanti dall’eruzione del 1562. E’ coperto da vegetazione autoctona come erica azorica, faggio, specie invasive, Pittosporo ondulato e pino. I diversi fiumi del ParqueforestalPrainha do Norte, affiancati da piante ornamentali, fanno venir voglia di passeggiare nei numerosi angoli della riserva anche ai più sedentari. In alternativa, sarà possibile godersi il magnifico paesaggio oppure utilizzare le strutture ricreative messe a disposizione dei visitatori, come ad esempio area pic-nic, parco giochi, centro sportivo e un vasto prato.

C’è un faro

15) CAIS DO PICO

– museo sulla caccia alle balene

16) SAO ROQUE (nord)

– mulino: È un piccolissimo mulino rosso posto su un alto basamento vicino al lungomare: la sua posizione sopraelevata lo rende visibile anche a grande distanza.

– spiagge Barca, Cabrito e Arcos

 17) LAGOA DO CAPITAO (centro nord)

Un piccolo specchio d’acqua ai piedi del vulcano Pico. Il lago si raggiunge comodamente percorrendo la ER3, fino ad imboccare una stradina secondaria ma ben segnalata. Arrivati al lago potete lasciare l’auto nel comodo e ampio parcheggio e con una breve passeggiata sulla collina che sovrasta il Lago potrete ammirare un incantevole vista sulla costa nord dell’isola e su Sao Jorge. Posto perfetto per un pic-nic nella natura.

18) SANT’ANTONIO (nord)

piscine naturali

19) PAESINI LAJIDO – CACHORRO e CAIS DO MOURATO (ovest)

Questi villaggi tipici, ubicati in prossimità dei vigneti, perché sono talmente belli e pittoreschi da meritare e un’attenzione specifica. Le case sono tutte in pietra scura, la pietra lavica che caratterizza l’isola, spesso circondate da muretti costruiti con la stessa pietra, in alcuni casi tenuta insieme da malta bianca. Ogni casa si accende di colori vivaci grazie alle porte e alle finestre, dipinte di rosso, di verde o di azzurro, tutti colori capaci di esaltare la tonalità grigia della pietra lavica. Questi villaggi assomigliano a piccole opere d’arte e sono tenuti con una cura quasi maniacale da parte degli abitanti.Concedetevi assolutamente una passeggiata rilassante a Lajido, che rappresenta un po’ il villaggio-simbolo di questo paesaggio vitivinicolo. Qui si trova anche il Centro de Interpretação da Paisagem da Cultura da Vinha da Ilha do Pico, che purtroppo non ho potuto visitare perché chiuso in periodo di Covid. Poi fate un salto a Cachorro, che vale la pena di visitare anche per gli scogli di lava a picco sull’oceano che regalano scorci pittoreschi. C’è una bella passeggiata che permette di ammirare gli scogli, le grotte e alcune formazioni laviche dalle forme esotiche, una delle quali a forma di cane ha dato il nome a questo luogo. Infine, Cais do Mourato, meno famoso degli altri due, può essere una bella scoperta e regala scenari stupendi di fronte all’oceano. I villaggi sono tutti piccolissimi, una manciata di case e nulla più, a volte una chiesa, dipinta anch’essa con i colori e la tecnica tipica, ma permettono di immergersi nella cultura dell’isola.

20) STRADA ENTROTERRA (da Madalena al faro Ponta da Ilha) (centro)

Dalla base della montagna di Pico, continuando a percorrere verso est la strada secondaria che attraversa l’isola all’interno e non la litoranea, si ha la possibilità di attraversare un paesaggio fatto di prati e colline a perdita d’occhio. Non ci sono paesi, ma soltanto paesaggi caratterizzati dal colore verde tipico delle Azzorre, mucche al pascolo e, di tanto in tanto, alcuni laghetti vulcanici, che caratterizzano questa zona interna dell’isola.Ovviamente la possibilità di godere della bellezza di questo paesaggio dipenderà come sempre dalle condizioni meteo, che soprattutto nella zona interna delle isole è estremamente variabile e spesso caratterizzata da una fitta nebbia o da rovesci di pioggia. Il lago più famoso e conosciuto è il Lago do Capitao, ubicato proprio alle pendici del monte Pico. È il più facile da raggiungere e arrivati qui si può anche fare una semplice passeggiata per ammirarlo da un punto sopraelevato.La strada poi prosegue verso est inoltrandosi nel paesaggio di colline e mucche. Alcuni laghetti sono molto piccoli e non sono segnalati nemmeno sulla mappa, ma riuscirete a scorgerli mano a mano che avanzate lungo la strada. Una zona panoramica è quella intorno al Lago de Peixinho e al Lago da Rosada. Qualche chilometro più avanti vi troverete di fronte a un bivio: viste le condizioni meteo noi abbiamo preferito scendere a sinistra lungo la costiera all’altezza di Ribeirinha per tornare indietro verso Santo Amaro. Se il meteo lo consente, però, potrebbe valer la pena al bivio andare a destra verso la Caldera (segnalata da un cartello) e arrivare fino al Faro di Ponta da Ilha, all’estremità esta dell’isola.

21) BALENE:

– a Madalena:

Pico Sport (http://pico-sport.com/)

CW Azores (https://www.cwazores.com/it/) € 69 – 3/4 ore (sono italiani, consiglio questo)

 – a Lajes do Pico:

Acqua Acores: https://aquaacores.pt/ – dura 3 ore – ore 9.00 – 14.00 o 17.30 – si può prenotare una barca privata

Alta stagione (01/07 – 31/08)

semirigido: Per persona fino a 3 persone  65,00 euro – Gruppo ≥ 4 persone  55,00 euro

cabinata: Per persona fino a 3 persone  75,00 euro – Gruppo ≥ 4 persone  65,00 euro

Include : briefing e debriefing, osservazione delle balene, uccelli marini, tartarughe, pesci e tour lungo la costa meridionale dell’isola di Pico.

22) VINO

Terra di tradizione vinicola, a Pico si producono bianchi, rossi e rosé piuttosto apprezzati in tutto l’arcipelago. Poco a poco, si è tentato di recuperare il prestigio del vino proveniente dal vitigno verdelho, migliorandone la produzione ed innovando i prodotti.“Basalto”, “Lajido” e “Terras de Lava” sono i nomi commerciali dei vini di Pico: tutti richiamano l’intensità di quel rapporto uomo-natura che l’isola coltiva. La Cooperativa Vitivinicola dell’isola di Pico, ad Areia Larga, concentra la produzione locale, già basata su vitigni nuovi, e può essere visitata. Le acquaviti di fico e di nespola hanno anch’esse i loro estimatori, e si possono vedere antichi alambicchi di rame ancora in funzione. L’ angelica e i liquori di frutta sono proposte più dolci.L’isola è sempre stata una grande produttrice di frutta, e sono famosi i suoi fichi, dalla polpa rosso vivo. Il miele di fiori di pitosforo (incenso) e il formaggio di latte bovino a pasta morbida, o Queijo do Pico – DOP, occupano un posto di rilievo nella lista dei piaceri gastronomici isolani.

23) TREKKING: (https://trails.visitazores.com/en): ce ne sono diversi. Il sito elenca tutto nel dettaglio con tanto di mappe

  1. E) INFORMAZIONI SU SAO MIGUEL – AZZORRE:

https://forgetsomeday.com/sao-miguel-azores-portugal/

https://www.visitazores.com/it/the-azores/the-9-islands/sao-miguel/geography

https://www.italianialleazzorre.com/sao-miguel-isola-verde/

http://www.civediamoquandotorno.it/2019/04/19/azzorre-cosa-fare-e-cosa-vedere-sullisola-di-sao-miguel/

https://ritaglidiviaggio.it/2021/04/16/azzorre-cosa-vedere-isola-di-sao-miguel/

Un vivace giardino nel bel mezzo dell’Atlantico. Non è certo un caso se l’isola di São Miguel, nell’arcipelago delle Azzorre, è conosciuta anche con il soprannome di “Isola Verde”. L’isola è la più grande e la più popolata dell’intero arcipelago, e qui risiede anche la Presidenza della Regione autonoma delle Azzorre. E’ lunga circa 65 km. e larga 16. Sao Miguel conta circa 150 mila abitanti, di cui 50.000 residenti a Ponta Delgada, la più grande città delle Azzorre. Lo scenario che offre São Miguel, così diversificato, è un piacevole risveglio per i visitatori, grazie ai bellissimi laghi, alle spiagge sabbiose, le colline, le alte montagne, le pianure verdi e l’oceano blu. São Miguel mantiene ancora quel fascino unico di un tempo, quando la vita trascorreva serenamente e senza fretta. L’isola è facilmente raggiungibile grazie ai buoni collegamenti aerei, e ci sono molte cose da fare e da vedere, a cominciare da alcuni paesaggi vulcanici che lasciano davvero senza fiato.

Da vedere senso anti – orario partendo da Ponta Delgada:

1) MIRADOURO DA ILHA SABRINA (ovest)

2) PONTA DO FERRARIA (ovest) 

– faro

– piscina naturale in mare con acqua calda solo quando c’è la bassa marea

– Piscine naturali molto particolari dove le acque calde termali si mischiano a quelle dell’oceano che invade l’insenatura creando una miscela di acqua dalla temperatura variabile dove lasciarsi cullare grazie anche alla presenza di corde e funi posizionate in maniera strategica che permettono di stare “in ammollo” senza essere strattonati dalla corrente o finire spiattellati sulle rocce. Una serie di ripidi tornanti conduce alle Termas da Ferraria, dove posteggiamo l’auto. Da qui un sentiero conduce alle piscine naturali. Sono presenti un bar, docce e spogliatoi ad uso gratuito.  Fate attenzione a camminare scalzi sugli scogli, io vi consiglio di acquistare prima di partire le classiche scarpette da scoglio

– termas da Ferreira (http://termasdaferraria.com/)

3) MOSTEIROS (ovest) 

– paese di pescatori

Una delle zone che ricordo con più piacere. Mosteiros offre sia una spiaggia di sabbia e sassolini dove l’acqua dell’oceano non è troppo profonda, sia una spiaggia tra le rocce vulcaniche dove si formano alcune piscine naturali, alcune hanno una profondità tale che è possibile tuffarsi. Proprio di fronte alla spiaggia, in mezzo al mare si ergono due massi granitici giganteschi che hanno dato il nome al paese. Tutto il comprensorio è sorvegliato dai bagnini a differenza di Ferraira dove non c’era alcun tipo di sorveglianza. Ci sono anche alcuni chioschi con tavolini dove è possibile acquistare bibite, toast o gelati e docce per sciacquarsi.

4) SUNSET POCO DA PETRA (ovest)

punto dal quale vedere il tramonto

5) LAGOA DE SETE CITADES (centro ovest):

Dentro un grande cratere, la natura di questo fantastico posto regala due splendidi laghi, il Lago Verde (profondo 19 mt.) e il Lago Blu (profondo 33 mt.). Si possono affittare i kayak.

La miglior vista in assoluto sui due laghi di Sete Cidades la si può apprezzare dal Miradouro da Vista do Rei. 

Il posto è bellissimo ricco di miti e leggende che riguardano la sua forma a clessidra. Una leggenda popolare racconta la storia di una bellissima ragazza, promessa sposa di un principe, che s’innamora di un contadino di Sao Miguel. La ragazza però è destinata a sposare il principe per volere del padre. La notte prima delle nozze, la ragazza saluta il suo amato per l’ultima volta. I due si stringono in un forte abbraccio versando un mare di lacrime. Le lacrime versate formeranno i due laghi: azzurro come gli occhi della giovane e verde come gli occhi del ragazzo. Saranno così vicini per sempre ma divisi dal ponte.

6) CAPELAS (nord)

 Un ex villaggio di balenieri. Sono principalmente due le maggiori attrazioni di Capelas, una recente ed enorme piscina naturale collegata al mare ma sovra affollata e il piccolo ex porticciolo dei balenieri, raggiungibile grazie ad una stradina tortuosa e cosi stretta che a fatica passa una macchina. Vi consiglio di lasciare l’auto all’inizio della discesa. C’è un mulino

7) CALHETAS

piscina naturale

8) RIBEIRA GRANDE (nord)

Si trova nella parte nord dell’isola di Sao Miguel. Oltre ad un’architettura meritevole di grande attenzione, questo luogo si fa apprezzare anche per dei paesaggi naturali che lasciano davvero a bocca aperta. Punto imprescindibile del vostro tour deve essere la Chiesa dello Spirito Santo, ma non mancate di recarvi anche al Giardino Municipale e alla Sierra de Agua de Pau.

– visita alle cantine del liquore La Mulher De Capote (http://www.mulherdecapote.pt/)

– spiaggia di Santa Barbara famosa per le competizioni mondiali di surf – sabbia nera e mare cristallino

9) FARO DO CINTRAO (nord)

10) CASCADA DO SALTO DO CABRITO (centro)

Si trova sulla En5-2A. Dopo il parco termale Carldera Velha. Spettacolare cascata raggiungibile comodamente in auto.Qualche passo tra le rocce e ci si trova in questo paradiso. Bellissimo ed adrenalinico fare il bagno sotto alla cascata fredda.

11) TERME CALDERA VELHA (all’aperto) (centro) – sulla EN5-2A

(https://parquesnaturais.azores.gov.pt/pt/parques/9/centro/21)

Queste terme sono una delle immagini più ricorrenti quando si cercano informazioni su Sao Miguel. Due vasche di acqua termale caldissima, una con tanto di cascata, immerse in una foresta lussureggiante. L’ingresso è a pagamento, 3 € per la sola passeggiata, 8 € per chi vuole fare anche il bagno. La location è sicuramente suggestiva, ci sono anche due vasche con acque la cui temperatura è compresa tra 60 e 100 gradi e un apposito cartello invita a non avvicinarsi troppo

12) LAGOA DO FOGO (centro) 

– punto panoramico Miradoro Do Pico da Barrosa, da questo si può scendere al lago

13) TERMAS DO CALEIRAS DO RIBEIRA GRANDE (centro)

(https://termas-das-caldeiras-thermal-baths.negocio.site/)

storico edificio termale di Caldeiras di Ribeira Grande, risalente al 1811 circondato da alberi e campi fumant

14) VALLEY OF LOMBADAS (centro)

A sud di Ribeira Grande si trova un’altra delle affascinanti attrazioni naturali dell’isola, la valle di Lombadas, raggiungibile tramite una strada secondaria molto panoramica che porta alla Lagoa do Congro. Prima di raggiungere la valle, si passa per Caldeiras, un antico centro termale dove si possono osservare prove di attività vulcanica vivente ed è ancora possibile fare il bagno nelle calde sorgenti. La strada in salita dietro le Termas das Caldeiras e che passa per la Barrage Dam, lascia il posto a splendidi panorami sulla costa nord fino alla punta occidentale dell’isola. Si trova un punto dal quale si vede la cascata della foto. La valle di Lombadas, dichiarata riserva naturale, è un paesaggio affascinante, piuttosto selvaggio e incontaminato, con sorgenti di acqua minerale e vegetazione lussureggiante. È anche il punto di partenza per una delle passeggiate più spettacolari dell’isola, che conduce per circa 4 ore su un sentiero segnato intorno alla valle fino alla vetta alta 880 m del Monte Escuro attraverso un deserto abbagliante dove cresce una vegetazione endemica in abbondanza. Raggiungendo la cima della vetta, tutti i tuoi sforzi sono ricompensati con panorami mozzafiato sull’inaccessibile natura selvaggia di questa valle con la sua aspra bellezza.

15) FURNAS  e le sue caldeiras (centro)

– zona termale: Terme Poca da Dona Beija

– caldeiras: fumarole

– Vedere scheda a parte per il Trekking

– Miradouro do Pico do Ferro (punto panoramico sul lago)

Una zona dell’isola dove la terra letteralmente ribolle. Qui la gente del posto, soprattutto i ristoranti, portano a cuocere il Cozido das Furnas, un piatto tradizionale di carni miste e verdure che viene cotto sfruttando il calore del sottosuolo. Si scavano delle buche dove vengono depositati enormi pentoloni che rimangono sotto terra per 6/7 ore. Ogni buca è contraddistinta da un cartellino con il nome del ristorante (o del proprietario in caso di privati). Fatevi trovare alle caldeiras attorno alle 12- 12,30 quando i diversi ristoranti vengono a recuperare il proprio pentolone.  Le fumarole si intravedono subito e grazie a passerelle in legno è possibile passeggiare in sicurezza in mezzo a questa cucina a cielo aperto, vedere l’acqua che ribolle nel sottosuolo e il fumo che fuoriesce. Sembra di essere in un girone dantesco, davvero suggestivo. Si paga un biglietto di ingresso ma la cifra è irrisoria, 1 € a testa e vale per tutto il giorno, quindi potrete anche tornare in diversi momenti della giornata. È decisamente uno spettacolo naturale tutto da vedere.

16) PARQUE TERRA NOSTRA (centro)

Giardino botanico con piscina della giovinezza

Il costo di ingresso è di € 8 a persona e potete rimanere anche l’intera giornata. È un parco molto grande con diverse vasche con acqua caldissima e getti per la cervicale.  Ovviamente dotata di bagni, docce e spogliatoi. La vasca più grande al centro del parco, essendo acqua ferrosa, ha un colore giallino poco invitante ma una volta dentro non vorrete più uscire.  Attenzione, macchia po’ la pelle ma nulla di permanente. Abbiate l’accortezza di usare un costume dai colori scuri e magari non il vostro preferito. Una volta lavato con sapone torna come prima ma non si sa mai. Il parco è veramente molto bello e ben curato, con una vegetazione rigogliosa. L’unico aspetto negativo è la presenza di un solo bar – ristorante molto caro, quindi vi consiglio di portarvi tutto dall’esterno, soprattutto se avete intenzione di fermarvi per pranzo. Passiamo un paio d’ore in ammollo, trascorrendo in pomeriggio particolarmente piacevole e rilassante.

17) FABRICA DE CHA DO PORTO FORMOSO (nord)

La fabrica di tè di Porto Formoso è più piccola e molto meno pubblicizzata ma a mio avviso è imperdibile. Dopo tutto, quando vi ricapita di visitare una piantagione di tè in riva all’oceano atlantico? Grazie al fatto che la fabbrica è piccola e poco affollata si respira un’aria che richiama i tempi coloniali. Qui a differenza della fabbrica di Gorreana, non è possibile visitare la fabbrica in autonomia, ma lo ritengo un plus. Un addetto vi accompagnerà spiegandovi i diversi processi di lavorazione del tè e le differenze tra le varie tipologie. Seppur breve la visita guidata è stata molto utile. Ci spiegano che la tipologia di tè coltivata in questa piantagione è una sola ma il differente trattamento a cui sono sottoposte le foglie determina l’intensità della bevanda. Tè nero: Broken Leaf, Pekoe , Orange Pekoe. L’orange Pekoe si ottiene dalla lavorazione delle foglie più piccole e giovani, è un tè leggero ed aromatico. Il Pekoe ha un gusto più deciso ed è meno aromatico. Si ottiene dalle seconde foglie. Il Broken ha gusto più persistente e si ricava dalle terze foglie. Si tratta di tè a produzione limitata destinati principalmente al mercato locale. Alla fine del tour guidato, che è gratuito, viene offerta una tazza di tè della tipologia broken leaf in una saletta raccolta e accogliente. Qui è anche possibile acquistare le 3 varietà di te nero prodotte a prezzi minori di quelli del supermarket e ovviamente non me lo faccio ripetere due volte. Non lasciate la fabbrica prima di essere saliti sulla terrazza panoramica dove potrete godere della vista della piantagione che degrada verso l’oceano offrendo un paesaggio da cartolina. Consiglio a tutti la visita alla fabbrica e piantagioni di Porto Formoso, non solo agli amanti di questa straordinaria bevanda.

18) MIRADOURO DE SANTA IRIA (nord)

Stupenda la vista sull’oceano e sulle scogliere, il contrasto di colori tra il blu dell’oceano e il verde della vegetazione e delle piantagioni di the è meraviglioso.

19) LAGOA DE SAO BRAS (poco distante dalla costa nord)

20) GORREANA TEA FACTORY ( nord)

– piantagione di delizioso the con annesso percorso di trekking tra le piantagioni dai profumi e paesaggi d’oriente

– È la più antica dell’isola, fondata nel 1883, qui cresce l’unico tè d’Europa e solo per questo merita una visita. Dopo un video introduttivo in cui viene spiegato come il tè è arrivato fino all’isola di Sao Miguel, è possibile visitare in autonomia la fabbrica, sempre del rispetto dei macchinari e dei lavoratori presenti. Si possono osservare le macchine che setacciano le foglie di tè appena raccolte, l’essiccatore e quelle che le sminuzzano prima di essere impacchettate nelle singole bustina. Entrando nella fabbrica si è subito pervasi dall’aroma calda e avvolgente delle foglie di tè. Dopo la visita è possibile gustare una tazza di tè all’interno della fabbrica stessa o nella zona adibita a punto vendita. Ma la vera attrattiva di questa fabbrica sono le piantagioni vere e proprie, all’interno delle quali si snodano dei veri e propri sentieri e non è difficile imbattersi negli addetti che tagliano le siepi o raccolgono le preziose foglie. Vi consiglio di percorrere il sentiero ad anello che gira attorno a tutta la piantagione, si tratta di 4 km che vi terranno occupati per circa 1 ora e mezza ed offrono scorci panoramici molto particolari. La piantagione è curatissima, sembra quasi disegnare la collina. L’ordinata e armoniosa disposizione delle piantine da tè, quasi geometrica, rende la passeggiata molto rilassante. Cercate di arrivare di prima mattina per evitare le comitive con bus, gli spazi interni sono molto piccoli e anche la passeggiata nella piantagione si può apprezzare nei momenti di minor affluenza.

– unica coltivazione in Europa introdotta nel 1820 da Jacinto Leite che portò i semi dal Brasile, dove era comandante delle Guardie Reali alla corte di Dom Joao VI. La leggenda narra che l’imperatore cinese Shen-Nung nel 2737 a.C. era solito bere acqua bollita credendo che fosse salutare. Un giorno nell’acqua caddero alcune foglie di tè che diedero un sapore aromatico alla bevanda. Fu l’inizio della storia del tè. In occidente arrivò soltanto nel XV secolo quando i missionari per primi portarono il tè in Europa. Furono gli olandesi e gli inglesi però che iniziarono su grande scala il commercio del tè in Europa durante il XVII secolo.

21) CASCATA DA PRAIA DA VIOLA CON MULINI (nord est)

Praia da Viola è una piccola spiaggia (poco frequentata) di sabbia grossolana fiancheggiata da una scogliera dalla quale sgorgano diverse sorgenti d’acqua. Si trova nella parrocchia di Lomba da Maia, in una zona tranquilla. La spiaggia ha ancora alcune pietre rotolate. Lungo la spiaggia, alla foce del fiume, è possibile vedere una piccola cascata, ex libris del luogo e della parrocchia. Offre piacevoli momenti di piacere, soprattutto per chi ama stare a pieno contatto con la natura in un luogo riservato, tranquillo e piacevole. Praia da viola è parte integrante del percorso pedonale che inizia a Porto Novo, situato a est di Lomba da Maia, segue la costa verso la parrocchia, e termina presso la chiesa di Nossa Senhora do Rosário.Lungo il percorso incontrerete gli antichi mulini ad acqua di Nateiro che, alimentati ad acqua, trasformavano il grano e il mais in farina che poi serviva per fare il pane. Vicino alla spiaggia si trovano alcuni ruderi dei mulini ad acqua Viola.

22) RIBEIRA DOS CALDEIROES NATIONAL PARK (nord est)

Sulla strada principale che corre lungo la costa di Nord-est questo piccolo parco merita una sosta. curatissimo con cascate e vecchi mulini. consente di fare a piedi una bella passeggiata su sentieri ben tenuti e sostare in un prato per un momento di relax. presenza di servizi sanitari pulitissimi e un piccolo shop-bar dove gustare i gelati locali. ingresso gratuito. Questo parco è diviso nettamente in due parti, la parte a monte è più selvaggia e sembra proprio di essere nella giungla. All’inizio c’è una bella cascata ma inoltrandosi un po’ se ne trova un’altra ancora più paradisiaca. La parte a valle invece comprende alcuni vecchi mulini ad acqua non più funzionanti ma comunque caratteristici

23) SALTO DA FARINHA (nord est)

uno dei luoghi più belli di questa zona

24) NORDESTE (est)

Nordeste è il comune più affascinante dell’isola di Sao Miguel, e al contempo la sua località più selvaggia: qui infatti si trovano una successione di montagne, gole profonde e fiumi.

25) FARO PONTA DO ARNEL (est)

il più importante faro dell’isola. la strada per scendere è molto ripida. conviene lasciare la macchina nel parcheggio 500 mt. sopra

26) PICO DA VARA (centro est)

vulcano più alto dell’Isola

27) MIRADOURO DA PONTA DO SOSSEGO (est)

caratterizzato da un giardino molto curato con fiori e piante di mille colori attrezzato con gazebi in legno dotati di acqua corrente, barbecue, tavoli in legno, contenitori per la raccolta differenziata, insomma tutto l’occorrente per una grigliata in grande stile. Merita una visita.

28) MIRADOURO DA PONTA DA MADRUGADA (est)

29) LOMBO GORDO (sud est)

spiaggia poco frequentata

30) AGUA RETORTA (sud est)

the

31) RIBEIRA QUENTE (sud est)

spiaggia frequentata

32) AMORA (sud est)

spiaggia poco frequentata

33) FARO PONTA GARCA (sud)

34) RIBEIRA SECA (sud)

spiaggia di sabbia

35) ISOLOTTO DI VILA FRANCA DO CAMPO (sud)

Situato davanti alla località di Vila Franca do Campo, a circa 1 km dalla costa, è quanto rimane del cratere di un vulcano sommerso. È considerato una delle maggiori attrazioni turistiche dell’isola di São Miguel, soprattutto da quando vi si è svolta una delle gare del Red Bull Cliff Diving – il campionato mondiale di tuffi dagli scogli. È stato classificato come Riserva Naturale, le pareti del cratere sono ricoperte da vegetazione endemica, mentre all’interno c’è una piscina naturale di forma quasi perfettamente circolare, che comunica con il mare attraverso uno stretto passaggio. Questa apertura, chiamata Boquete, è rivolta verso nord, ossia verso la costa dell’isola, cosi che l’ondulazione marina non entra all’interno dell’isolotto. L’acqua cristallina e la piccola, ma incantevole spiaggia, sono magnifiche per il nuoto e i tuffi. Attualmente, i bordi del cratere comprendono due isolotti, quello Pequenino (piccolino) situato sulla costa nord-orientale e quello Grande che corrisponde alla maggior parte di superficie emersa. Blocchi di roccia basaltica predominano nelle zone più soggette all’ondulazione, come il canale d’entrata e varie fessure, che vengono chiamate golas (gole), dalla quali esce l’acqua del cratere. A sud dell’isolotto si ergono due scogli vulcanici, che il mare e il vento hanno scolpito in modo singolare. Sono il rifugio di molti uccelli marini che visitano l’isolotto, come la berta maggiore, e la sterna, fra gli altri. Nei mesi da giugno a settembre, dal molo di Tagarete, parte un traghetto che collega Vila Franca do Campo e l’isolotto. Dopo un breve e piacevole viaggio sulle acque limpide dell’Oceano Atlantico si sbarca sulla piccola isola, nella quale ci si accorge subito di quanto siamo piccoli, noi uomini, dinanzi a quanto offre la natura. È uno di quei luoghi che solo quando si vedono con i propri occhi si può capire quanto siano favolosi..

Le barche partono ogni ora e impiegano 10 minuti. Costa € 8 A/R – a biglietteria apre alle 9.45 e la prima barca parte alle 10

36) VILA FRANCA DO CAMPO (sud)

– spiaggia frequentata

37) ERMIDA DE NOSSA SENHORA DA PAZ (poco distante dalla costa sud)

Il santuario merita di essere visto non tanto per la piccola chiesetta, che per altro ho trovato chiusa, ma per la particolare scalinata in cui sono riprodotti su meravigliosi azulejos tutte le scene della via crucis. La scalinata è inoltre circondata da una miriade di ortensie e dalla chiesetta si può apprezzare un panorama mozzafiato, compresa l’isoletta vulcanica che sorge di fronte alla città. La leggenda narra che un pastore avesse trovato in questo punto l’immagine di una Madonna e l’avesse portata in una chiesa giù in paese. L’ indomani l’immagine era ricomparsa nel luogo del ritrovamento e cosi per alcune volte. Fu chiara la necessità di costruire un santuario dedicato alla Madonna proprio in questo punto. Leggende a parte se siete in zona merita una visita. È un angolo molto scenografico.

38) CALOURA (sud)

bel paesino

39) PRAIA DO POPULO (sud)

spiaggia frequentata di sabbia nera

40) LAGOA

piscine naturali

41) ANANAS ARRUDA (a nord di Ponta Delgada)

coltivazioni Ananas con visite guidate

42) PONTA DELGADA (sud)

pulsa di vita grazie alle strade intrise di negozietti e mercati

– Portas de Cidade sono il punto di partenza ideale per andare alla scoperta della città, si riconoscono subito per via dei tre archi che collegano la zona rivierasca e la Praça da República.

– Igreja Matriz de São Sebastião

– Igreja de São Pedro

– Igreja São José

– Convento e la Capela de Nossa Senhora da Esperança

– Tesouro do Senhor Santo Cristo dos Milagres

– Museu Carlos Machado

– Jardim José do Canto

– girando per la città fate attenzione ai bellissimi murales di un artista belga che durante il progetto annuale Walk & Talk, ha disegnato 1000 cuori in tutta l’isola!

43) BALENE:

da Vila Franca do Campo: garantito al 98%.

– Terra Azul: https://www.azoreswhalewatch.com/ – € 64 – 3 ore – orari: 8.30 / 14.30 / 15.40

– da Ponta Delgada: https://www.mobydick-tours.com/ – partenze 9.00 e 14.00

45) IN BREVE:

– piscine naturali: Ponta da Ferraria – Mosteiros – Capelas – Calhetas – Lagoa

– terme: Caldeira Velha, con l’acqua trasparente che scorre lungo le venature color ocra nella roccia nera, il Parco Terra Nostra, un giardino botanico senza uguali dove scorre acqua ferrosa di color giallastro, Poça da Beija, con pozze cristalline e fanghi tonificanti, lo storico edificio termale di Caldeiras di Ribeira Grande, risalente al 1811 circondato da alberi e campi fumanti, l’ “idropoli” di Furnas con decine di sorgenti termali, fumarole e acque bicarbonate effervescenti naturali

– spiagge: frequentate (Pópulo, Vinha da Areia e Ribeira Quente) – poco frequentate (Amora, Viola, Lombo Gordo o Mosteiros)

– fabbriche the: Agua Retorta –  Fábrica de Chá do Porto Formoso – Gorreana Tea Factory

46) CIBO:

Fra le varie coltivazioni introdotte alla Azzorre, il tè ha acquistato una grande importanza. Le piantagioni della fabbrica Gorreana e quelle di Porto Formoso, che si stagliano contro l’orizzonte come mari increspati da onde di foglie verdi, sono realtà uniche in Europa.

Visitando le fabbriche-museo si impara la storia di questa coltivazione e quella dell’evoluzione delle macchine utilizzate, prima della meritata tazza che permette di degustare questo squisito prodotto azzorriano.

A Furnas, le pentole colme delle diverse carni e dei molti vegetali che costituiscono il famoso cozido (un peculiare bollito misto), vengono chiuse in sacchi ed interrate nel suolo di alcune zone ad alta attività geotermica. La cottura richiede circa cinque ore: ma prima di assaporare questo appetitoso piatto confezionato al calore naturale della terra, vale la pena di recarsi a vedere l’estrazione delle pentole, issate da braccia vigorose che sollevano le pesanti pentole attaccate ad una corda.

Un’altra tradizione di São Miguel è la coltivazione di frutti esotici come l’ananas, l’anona, l’araçá e il maracujá: tutti frutti ottimi da consumare freschi, ma utilizzati anche per confezionare liquori. Le serre di ananas, diffuse nelle zone di Fajã de Baixo, Lagoa e Vila Franca do Campo, continuano ad applicare metodi antichi che possono essere scoperti nel corso di una vista guidata.

Nella gastronomia locale sono moltissimi i piatti a base di svariati tipi di pesce, ma tutti condividono una caratteristica: la freschezza assoluta del prodotto. Anche i frutti di mare sono molti, e alcuni di essi sono davvero una curiosità: si pensi alle cracas (balani), crostacei che vanno cucinati nell’acqua del mare. La carne proveniente dai bovini allevati nei pascoli all’aria aperta è tenera e saporita. Nel piatto degli antipasti, la famosa pimenta da terra (pasta di peperone rosso dolce) è solitamente abbinata al formaggio bianco fresco, ma è anche tipica di molte ricette isolane. Il bolo lêvedo, un pane schiacciato leggeramente dolce, tipico di Furnas, è molto diffuso e può essere presentato a qualunque pasto. Fra i prodotti di pasticceria, hanno meritato una fama speciale le queijadas di Vila Franca do Campo, paste a base di latte. I fumatori possono concedersi, dopo un buon pasto, un sigaro o una cigarrilla fabbricati a partire dal pregiato tabacco locale.

47) TREKKING: (https://trails.visitazores.com/en): ce ne sono diversi. Il sito elenca tutto nel dettaglio con tanto di mappe): ce ne sono diversi. Il sito elenca tutto nel dettaglio con tanto di mappe

 

  1. F) INFORMAZIONI SUL PORTOGALLO TERRAFERMA:

 

https://www.turismoenportugal.org/

https://www.portogallo.info/

http://www.lighthousesrus.org/showSql.php?page=CE/Portugal (fari)

https://siviaggia.it/posti-incredibili/foto/10-luoghi-portogallo-favola/117616/attachment/001-sintra-t/

 

1) LISBONA

https://www.lisbona.info/cosa-vedere-lisbona/ 

non sto ad elencare tutto quello che c’è da vedere a Lisbona ….. guardare il sito sopra 🙂 🙂 

2) CASCAIS

Boca do Infierno (grotta dove il mare entra con molta violenza e faro Guia

 3) CABO RASO

C’è un faro. Da qui c’è un’ottima visuale su Cabo da Roca e sul suo faro. Ci sono dei bunker in parte sommersi. costruzioni quasi sommerse dal mare

 4) PRAIA DO GUINCHO

è stata anche set di un film di James Bond. È una spiaggia amata molto anche dai surfisti, per le alte onde che qui offre il mare. Questa spiaggia è molto frequentata soprattutto durante la stagione estiva.

 5) CABO DA ROCA

https://www.lisbona.info/dintorni-lisbona/cabo-da-roca/

 Un faro a picco sull’oceano e falesie alte più di 100 metri dove le onde si infrangono con fragore. Siamo a Cabo da Roca, il punto più a ovest dell’Europa continentale e uno dei promontori portoghesi più suggestivi da visitare. Circondato da una natura selvaggia, isolato dalle grandi città nonostante sia in realtà facile da raggiungere, non ancora – fortunatamente – deturpato dal turismo di massa, Cabo da Roca è il posto per chi vuole sentirsi ai confini del mondo. Fino al XIV secolo si credeva davvero che questa fosse la fine del mondo: anche se ora sappiamo bene che non è così, è difficile non farsi prendere dalla forza di questo paesaggio drammatico, lasciar cadere i pensieri razionali e farsi cullare dal rumore fragoroso delle onde. Soffrite di vertigini? Non abbiate timore. Discreti parapetti in legno naturale vi permettono di godere della vista mozzafiato in totale sicurezza. Chi non ha paura può seguire uno dei numerosi itinerari a piedi che si snodano lungo la costa. Dopo la visita portate a casa con voi un originale souvenir: richiedete il certificato che attesta la vostra presenza nel punto più occidentale d’Europa.

Le sue coordinate, 38º 47´ di latitudine nord e 9º 30´ di longitudine ovest, sono ben note ai navigatori che si avventurano lungo la costa portoghese: essendo il punto più occidentale d’Europa, Cabo da Roca è un importante riferimento per la navigazione marittima.

 Curiosità

– Pochissimi sono gli edifici presenti a Cabo da Roca: il faro, le rovine di un forte risalenti al XVII secolo, una caffetteria e un negozio di souvenir

– Il faro di Cabo da Roca è il più antico del Portogallo

– La luce del faro può essere vista a una distanza di 46 km

– La citazione sul monumento di pietra che segna il punto più a ovest del continente europeo “Dove la terra finisce e comincia il mare” è del poeta portoghese Luis Camones, vissuto nel Cinquecento

– Il forte vento rende difficile la sopravvivenza della vegetazione: solo piante molto basse resistenti alla salinità riescono a crescere in questa zona

 6) PRAIA DA URSA

Situata in prossimità di Cabo da Roca, la Praia da Ursa è accessibile mediante una strada in terra battuta, seguita da un sentiero sinuoso e scosceso che termina infine in questa spiaggia tranquilla e poco frequentata. Nonostante il percorso pericoloso, gli sforzi sono ricompensati dal superbo paesaggio che finalmente si svela ai nostri occhi e domina le enormi formazioni rocciose della spiaggia, il cui nome nasce proprio da uno di questi scogli, simile a un orso.  Anche solo una sosta per vederla dall’alto.

7) PRAIA DA ADRAGA

8) SINTRA

https://www.viaggiaescopri.it/cosa-vedere-a-sintra/

https://www.lisbona.info/dintorni-lisbona/sintra/

E’ una delle perle del Portogallo. Atmosfera da fiaba, palazzi storici e panorami mozzafiato vi incanteranno.

A soli 30 km da Lisbona, Sintra sembra appartenere a un’altra dimensione. Questa piccola cittadina dall’aristocratica bellezza incanta ogni anno migliaia di visitatori che vengono ad ammirarne il ricco patrimonio artistico e culturale. E non solo loro. Il fascino decadente di Sintra ha ammaliato nei secoli sovrani e letterati. Il poeta romantico Lord Byron l’ha definita Eden glorioso, mentre secondo lo scrittore Hans Christian Andersen, Sintra è il posto più bello del Portogallo. Difficile dargli torto: eleganza e stravaganza, sfarzo e modestia convivono armoniosamente nelle viuzze del centro e nei palazzi, castelli e ville della città. La più grande opera d’arte di Sintra è però la natura, una cornice dalla straordinaria bellezza che la rende semplicemente unica. Panorami mozzafiato con vista sull’oceano, un cielo di colore rosa, lussureggianti foreste vi attendono in una delle città più romantiche del mondo.

È incredibile come una cittadina così piccola raduni una tale quantità di palazzi di interesse storico e culturale. In realtà non dovrebbe stupire se si pensa che Sintra è stata in passato una meta molto amata da re, nobili e ricchi borghesi che proprio qui hanno voluto costruire la propria casa di villeggiatura. Per il suo ricchissimo patrimonio architettonico, perfettamente armonizzato con il contesto naturale della zona, Sintra è stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità. Visitate le affascinanti attrazioni che vi elenchiamo qui sotto, le più famose di Sintra, ma ricordatevi di prendervi un po’ di tempo per gironzolare tra i vicoli e le stradine del centro.

– Palácio Nacional de Sintra

Il primo edificio storico che si nota arrivando a Sintra-Vila, la zona centrale di Sintra, è il Palacio Nacional de Sintra, un palazzo reale medievale che è stato nel tempo ampliato e modificato. Questo edificio meraviglioso era residenza estiva del re Manuel I ed è stato progettato per diventare il corrispettivo portoghese dell’Alhambra di Granada. Noto anche come Palácio da Vila, domina sulla città con i curiosi comignoli della cucina, alti 33 metri, e l’ampia piazza. Merita una visita per le deliziose sale interne e per l’impressionante collezione di azulejos, le coloratissime piastrelle tipiche del Portogallo. Rimarrete senza parola ad ammirare ambienti orientaleggianti, sale e cortili arabi con fontane gorgoglianti, pagode cinesi e cucine dai camini immensi. Non perdete:

* Sale arabe e patii ispano-moreschi: il palazzo è progettato su livelli diversi e al suo interno racchiude angoli orientaleggianti che richiamano le atmosfere delle Mille e una notte.

* Sala das Sereias: dedicata alle Sirene è completamente rivestita di magnifici azulejos. Camera di Alfonso VI: qui il sovrano venne rinchiuso per 9 anni. Si narra che i segni di usura sul pavimento siano il risultato dell’incassante antirivieni del re.

* Sala delle Gazze: sul soffitto sono dipinte 136 gazze con una rosa in bocca a simboleggiare i pettegolezzi delle dame di corte.

* Sala dei Blasoni: impressiona i turisti il soffitto a cassettoni con i blasoni delle 74 famiglie nobili del Portogallo.

* Sala dei Cigni: era il salone dei banchetti.

– Palácio Nacional da Pena

L’immagine più famosa di Sintra è il Palácio da Pena, un castello fiabesco dalle pareti color pastello giallo, rosa e violetto, arroccato in cima a una vertiginosa collina da cui si gode una vista mozzafiato sull’oceano. Accade di rado che un’immagine da cartolina ormai abusata riesca ancora ad emozionare, ma per quante cartoline, poster o video abbiate visto prima della partenza niente vi può preparare alla bellezza di questo palazzo ottocentesco. Fu Ferdinando di Sassonia Coburgo-Gotha, marito della regina Maria II, a desiderarlo: innamoratosi del luogo, acquistò un antico monastero che all’epoca sorgeva su quelle terre e affidò all’architetto Ludwig von Eschwege il restauro del convento. L’eccentrico palazzo che oggi possiamo visitare, in cui convivono in singolare armonia stili diversi come il gotico, il barocco, il rinascimentale e l’arabo, è il risultato dei molteplici gusti dei sovrani che qui si sono succeduti. Bizzarri accostamenti di eleganza e kitsch caratterizzano le sale interiori, dove sono custoditi non pochi oggetti curiosi. Fra guglie smaltate, ponte levatoio alla Walt Disney, minareti, cupole moreschi, colori pastello, c’è perfino un mostro marino a guardia del portone d’entrata: sembra di essere in un parco divertimenti. Gli interni invece sono un assembramento di oggetti di uso quotidiano dei molti proprietari del castello. Dalle terrazze e dalle guglie del castello si godono panorami meravigliosi sulle montagne della sierra e sull’oceano!

– Parque da Pena

Non perdetevi una passeggiata rilassante nel Parque da Pena: 220 ettari di meravigliosi giardini con piante esotiche, sequoie giganti, fontane, belvederi, specchi d’acqua, un giardino delle camelie e perfino un romantico chalet fatto costruire da Ferdinando per amare segretamente la contessa Edla che sposò poi in seconde nozze.

– Castello dei Mori

Un altro castello arroccato sulle colline circostanti Sintra è il Castelo dos Mouros, ben più antico rispetto al Palácio da Pena. Costruito dagli arabi nel VIII secolo, venne raso al suolo dall’esercito di Afonso Henriques dopo la liberazione di Lisbona nel 1147. Oggi restano poche rovine abbarbicate su uno sperone di roccia che domina Sintra e la sua valle. Non perdetevi la visita anche solo per la vista spettacolare che regalano: nei giorni tersi si vede anche l’Oceano! Per raggiungere il castello occorre intraprendere un meraviglioso sentiero in mezzo ai boschi: non perdetevi la possibilità di fare una splendida passeggiata; lungo il sentiero potrete ammirare anche una cisterna araba e le vestigia di una chiesa, entrambe ricoperte di vegetazione.

– Quinta da Regaleira

 http://www.regaleira.pt/pt/ – orari 10-18.30 – € 10 visite autonome con audioguida – dura circa 1 ora e mezza – no zaini

Preparatevi all’inaspettato. La Quinta do Regaleira è una villa ottocentesca in stile manuelino circondata da stravaganti giardini con elementi che si rifanno alla mitologia, alchimia, massoneria, e mescola insieme gli stili più bizzarri: mistico, romantico, gotico, medievale e rinascimentale. Nacque dalla fantasia visionaria di un ricco collezionista di libri e farfalle grazie ai proventi dei suoi commerci di caffè e pietre preziose con il Brasile. La facciata è interamente ricoperta da sculture simboliche e sembra uscita da un nero romanzo gotico mentre il giardino spirituale e romantico è un invito a perdersi alla scoperta di tutti i richiami filosofici e massonici. Rappresenta infatti il percorso spirituale dell’uomo, chiamato anche “percorso degli iniziati”, che vi porterà fino alla Discesa agli Inferi, un pozzo a forma di torre capovolta profonda 27 metri con 9 piani come i nove gironi dell’inferno che si percorre con una scala a chiocciola. Al fondo oltrepassati i gironi del Purgatorio si risale dalla Strada del Paradiso per arrivare al laghetto paradisiaco che sarà la vostra ricompensa. Da non perdere per la sua visionaria originalità: rilassatevi fotografando le graziose fontane o passeggiando oziosamente tra i vialetti.

– Convento dos Capuchos

Costruito su un ripido costone di roccia, il Convento dos Capuchos (o Convento del Sughero) è stato abbandonato dagli ultimi 6 monaci nel 1834. La sua particolarità è di essere ricoperto internamente da sughero per riparare i monaci dalla perenne umidità. In totale antitesi con lo sfarzo delirante degli altri palazzi della valle e con il lusso della chiesa, questo convento è un mondo in miniatura, dove tutto ha dimensioni minuscole per ricordare l’infinita piccolezza dell’uomo e per invogliare alla povertà, all’ascetismo e alla meditazione. E’ un luogo pieno di fascino e di raccoglimento.

– Parque de Monserrate

Un’altra passeggiata romantica che vi consigliamo di intraprendere, se avete più di un giorno a disposizione per visitare Sintra e i suoi dintorni, è il Parque de Monserrate. Adagiato sul fianco di una collina il parco è stato modellato dalla fantasia stravagante dei suoi proprietari che fecero costruire al suo interno un palazzo in stile moghul. Il parco racchiude un museo botanico, giardini esotici con specchi d’acqua, stagni, cascate, cappelle e sentieri pittoreschi. E’ un vero paradiso per gli amanti della natura ma portatevi scarpe adatte per camminare!

9) AZENHAS DO MAR, Sintra.

È una famosa località balneare situata a Colares, nel comune di Sintra. Si trova su un promontorio a picco sul mare ed è caratterizzata da edifici bianchi, ma anche da palazzi storici con facciate abbellite dai tipici azulejos

10) PENICHE e CAPO CARVOEIRO

https://www.portogallo.info/portogallo-centrale/peniche/

Con le sue spiagge meravigliose, un vivace porto e deliziosi ristorantini di pesce Peniche è una cittadina da non perdere se amate il mare… e non solo! La graziosa Peniche sorge lungo uno spettacolare promontorio a picco sul mare e vanta una spiaggia cittadina particolarmente suggestiva, con molte altre di pari o superiore bellezza nei dintorni. Il porto cittadino, attivo e vivace, conferisce alla cittadina una caratteristica atmosfera. Protetto da una cinta muraria, il centro storico conserva alcuni storici palazzi e la tradizione del merletto, ancora oggi portata avanti con orgoglio dalle donne di Peniche, mentre la fortezza cinquecentesca custodisce le tristi testimonianze dei detenuti politici di Salazar. Amatissima dai surfisti, che qui trovano condizioni ottimali per praticare il loro sport preferito, Peniche è una meta ideale anche per chi vuole abbinare ore di relax in spiagge stupende a visite culturali, rilassanti passeggiate e succulente cene a base di pesce e crostacei.

– L’attrazione più spettacolare di Peniche è senz’altro lo scenografico promontorio su cui sorge la cittadina, che si può esplorare percorrendo a piedi o in auto un circuito di 6 km. Salite in cima a Capo Carvoeiro, il punto più alto del promontorio, per godere di un’eccezionale vista su Peniche e la vicina isola Berlengas e fotografare un suggestivo faro. Anche il centro cittadino di Peniche è interessante da esplorare a piedi: passeggiando per il centro storico vi imbatterete nelle celebri merlettaie di Peniche, spesso radunate davanti alla Escola de Rendas de Bilros, che con una sorprendente abilità manuale realizzano in poco tempo elaborati ed elegantissimi merletti. Degna di nota anche la Capela de Nossa Senhora dos Remédios, tappa degli annuali”círios”, ovvero pellegrinaggi dedicati al culto mariano.

La Fortezza di Peniche: L’estremità meridionale della penisola di Peniche è dominata dalla Fortaleza, un’imponente fortezza costruita fra il XVI e il XVII secolo come parte del sistema difensivo della costa che comprendeva anche le fortezze sulla spiaggia di Consolação e sull’isola di Berlengas. Nel XX secolo la sua funzione mutò radicalmente e la fortezza fu trasformata in una prigione per i detenuti politici del regime di Salazar. Oggi la fortezza ospita una mostra dedicata al periodo della Resistenza e ai suoi protagonisti, con toccanti testimonianze dei detenuti nella prigione; è inoltre possibile visitare le celle dei prigionieri politici, comprese le celle di isolamento. Un’altra ala della fortezza è invece occupata dal Museu Municipal, che espone una raccolta di reperti storici cittadini di diverse epoche.

Spiagge di Peniche:  La maggior parte dei turisti sceglie Peniche per trascorrere una giornata di relax al mare: è un’ottima scelta dal momento che i dintorni di Peniche abbondano di spiagge dall’aspetto selvaggio, particolarmente suggestive. Alcune di queste, come la baia di Consolação, sono più riparate e quindi adatte anche a famiglie, ma la maggior parte delle spiagge in questa zona è esposta a forti venti, con le condizioni ideali per praticare surf e bodyboarding. Non a caso proprio qui si tengono importanti competizioni internazionali come Rip Curl Pro Portugal, tappa del World Surf League Tour. La più famosa spiaggia per surfisti della zona è la spiaggia di Medão Grande, più nota come spiaggia Supertubo, soprannome che si è guadagnata per le alte onde dalla perfetta forma a tubo. Per la sua bellezza mozzafiato merita di essere vista anche da chi non ha mai preso in mano una tavola da surf, né conta di farlo. Un’altra spiaggia da non perdere è quella di Baleal, un’isola a 5 km nord-est da Peniche collegata alla terraferma da una strada rialzata.

 – Isola di Berlengas

Una gita molto popolare da Peniche è quella alla vicina Isola di Berlengas, la più grande di un arcipelago a 10 km dalla cittadina che fa parte di una riserva naturale. Il numero massimo di persone ammesse sull’isola ogni giorno viene stabilito dalle regole della riserva, il che vi assicura di visitare un’isola tranquilla, senza confusione e con un paesaggio incontaminato. Potrete fare stupende passeggiate, visitare suggestive grotte naturali o la fortezza di São João Baptista. Questo edificio è tanto austero quanto affascinante. Ora l’antico forte è stato trasformato in ostello, ma faceva parte del sistema difensivo: la sua posizione su uno sperone di roccia collegato alla terraferma da un ponte lo rendeva quasi inaccessibile

In gommone veloce ci vogliono 20 minuti. Quando si parte da Peniche bisogna sedersi sul lato destro della barca per vedere le scogliere di Peniche.

https://viamar-berlenga.com/en/tickets/ – € 25 non so se barca veloce o lenta

10:00 Peniche → Berlenga | 15:00 Berlenga → Peniche       

12:15 Peniche → Berlenga | 18:00 Berlenga → Peniche

https://www.feelingberlenga.pt/en/ – € 27 solo trasferimento

barca veloce in 20 mimuti

09:30 Peniche → Berlenga | 13:45 Berlenga → Peniche       

14:30 Peniche → Berlenga | 18:30 Berlenga → Peniche

barca lenta in 45 minuti

09:00 Peniche → Berlenga | 13:30 Berlenga → Peniche       

14:30 Peniche → Berlenga | 18:45 Berlenga → Peniche

https://julius-berlenga.com.pt/viagem/ – sito non chiaro

11) OBIDOS

https://www.portogallo.info/portogallo-centrale/obidos/

Sede del festival più goloso del Portogallo, Obidos è un’affascinante cittadina medievale a solo un’ora da Lisbona. Stupenda di giorno, magica di notte.

Quante donne possono dire di aver avuto in regalo un borgo? Poche probabilmente, e una di queste è la regina Isabel che ricevette in dono Obidos dal marito, il re Dionigi I. Chissà se si deve al tocco femminile di Isabel, certo è che Obidos è diventato uno dei più bei borghi del Portogallo: il romantico centro storico, arroccato in cima a un collina dominata da un castello medievale, è un labirinto di vie ciottolate e casette bianche, con balconi ornati di fiori, porte colorate e decorazioni manueline. Passeggiare lungo le mura del castello o per le vie del borgo è sempre un’esperienza affascinante, ma se volete un tocco di romanticismo in più fatelo nelle ore del tramonto, quando il paese si svuota e il cielo si colora di suggestive sfumature rosa.

Cosa vedere a Obidos:

– Mura: La principale attrazione turistica di Obidos sono le mura del borgo: erroneamente considerate le mura del castello, risalgono al periodo della dominazione dei Mori mentre il castello fu costruito nel Duecento per volontà del re Dionigi I. In origine il castello era un’edificio austero, più una fortezza che un palazzo, con numerose torri, merli e ampi portoni; assunse l’aspetto di un palazzo soltanto nel Cinquecento, con l’aggiunta di elementi manuelini, ed oggi è uno degli hotel più lussuosi del Portogallo. Camminare lungo le mura è una passeggiata affascinante, durante la quale potrete godere di una vista mozzafiato sulla città e sulla campagna circostante.

– Chiese: Ci sono un paio di interessanti chiese da visitare a Obidos, tra cui: Igreja de Santa Maria, patrona della città. Da ammirare lo splendido soffitto affrescato. Igreja da Misericórdia, il cui interno è interamente decorato da piastrelle del Seicento. Igreja de São Pedro, basilica gotica a tre navate. Santuário do Senhor da Pedra, al di fuori delle mura. In stile barocco, ha pianta esagonale.

– Il cioccolato di Obidos: A Obidos si tiene un prestigioso evento enogastronomico, il Festival del Cioccolato, che si svolge ormai da più di 15 anni; il cioccolato è anche il curioso (e goloso!) materiale usato per realizzare le tazzine in cui viene servita la ginjinha, il liquore alla ciliegia tipico di Obidos

12) PRAIA DA FOZ DO ARELHO

bella spiaggia

13) SAO MARTINHO DO PORTO

Un pittoresco villaggio di pescatori a 13 chilometri di distanza da Nazarè con una spiaggia graziosa.

14) NAZARE’

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A Nazaré, pittoresca cittadina lungo la costa, tutto rimanda all’oceano: le chiassose pescivendole, le colorate tende sulla spiaggia, le onde da record…

Nazaré è considerata la più pittoresca località costiera della regione dell’Estremadura, nel Portogallo centrale. Dominata da un gigantesco promontorio a picco sul mare, la cittadina si divide nettamente in tre quartieri: Praia, che come suggerisce il nome è il più vicino alla spiaggia, Sitio, il promontorio, e Pederneira. Ci sono interessanti chiese e monumenti da visitare, ma il fascino di Nazaré sta nel suo profondo e indissolubile legame con l’oceano: un mare forte, talvolta impietoso, con onde da record dei primati che possono affascinare e al tempo stesso incutere timore (ma solo se non siete surfisti). Le immagini più tipiche di Nazaré sono le tende colorate in riva alla spiaggia, affascinante contrasto con il blu dell’oceano, e le pescivendole che ancor oggi, come vuole la tradizione, indossano sette gonne. Nei weekend dei mesi estivi è ancora possibile assistere al rito dell’Arte Xávega, ovvero la pesca con la sciabica: non perdetevi il momento in cui le reti cariche di pesce vengono ritirate dall’acqua e le venditrici fanno eco agli sforzi dei pescatori con le loro urla per attrarre l’attenzione dei clienti.

La vista più suggestiva di Nazaré, nonché il nucleo originario della città, è il promontorio O Sitio, uno gigantesco spuntone di roccia a strapiombo sul mare la cui altezza varia considerevolmente a seconda della fonte che consultate: l’ufficio del turismo dice 318 metri, secondo altri è alto 110 metri. Qualunque sia l’altezza giusta, è sicuramente uno spettacolo impressionante. Non perdetevi la stupenda vista panoramica che si può godere dalla cima del promontorio: se non ve la sentite di camminare fin lassù potete prendere una comodissima funicolare e magari poi scendere a piedi. Sulla sommità del promontorio potrete visitare la Fortezza di São Miguel Arcanjo, costruita nel 1577 per difendere la zona dai pirati e fotografare il suggestivo faro che dall’inizio del Novecento indica la via alle navi di passaggio, con un fascio di luce visibile a 24 km di distanza. Altri due suggestivi punti panoramici nella città di Nazaré sono il Belvedere di Pederneira e quello di Suberco.

– Surf: Nazarè è il paese delle onde più alte del mondo. A vederli lì, in mezzo alle onde, aggrappati alla tavoletta in attesa di partire sembrano naufraghi un po’ spaesati. Poi, quando decidono che è il momento, quello giusto, diventano qualcosa a metà tra l’eroe e il folle, e non è detto che le due cose non coincidano. Nazarè da qualche anno diventata la vera Mecca dei surfisti estremi. Quello che sfidano l’oceano, il buon senso e alle volte anche la fisica cavalcando le onde più grandi mai surfate al mondo.

Post del 2018: L’ultima impresa è di qualche settimana fa: un surfista portoghese delle Azzorre, Hugo Vau, uno con la faccia da pugile che per vivere fa il pescatore ad Angra do Heroismo, ha cavalcato «the Big Mama», un gigante d’acqua alto circa 35 metri. L’ufficialità del Guinness dei record non è ancora arrivata, ma questa dovrebbe essere l’onda più alta mai domata al mondo. Sempre qui, sempre a Nazaré.

Il record precedente era dell’hawaiano Garrett McNamara, che lo scorso anno aveva surfato un’onda di 30 metri. Prima ancora, nel 2014, Andrew Cotton era fermo a 27; il brasiliano Carlos Burle a 24. Il primo a intuire le potenzialità di Nazaré fu proprio Garrett McNamara, superstar della tavola. Fu lui il primo a venire qui, nel 2011. Allora cavalcò un’onda di 23,77 metri, posizionando di fatto Nazaré sulle mappe del surf globale.

Soprattutto tra novembre e fine maggio c’è  la stagione delle grandi onde. Coesistono al punto che nel cinquecentesco forte di São Miguel Arcanjo, alla fine del promontorio che domina Nazaré, è stato allestito il Surfer Wall of Fame. Dove vengono conservate come reliquie le tavole dei più importanti surfisti arrivati fin qui a domare le onde e dove, in una sala a parte, viene spiegato il perché della formazione delle onde al largo di Nazaré.

Perché proprio a Nazaré si formano queste onde mostruose? La spiegazione è a suo modo facile, basta sapere un minimo di geologia marina. La Praia do Norte di Nazaré è il punto finale del più esteso canyon sottomarino d’Europa. Lungo 230 chilometri e profondo circa tremila metri, si esaurisce a un chilometro dalla spiaggia, all’altezza del promontorio che domina la cittadina del Portogallo. I venti invernali che sferzano l’Atlantico da inizio novembre fino a maggio generano in superficie queste onde, che invece di rallentare quando si avvicinano alle acque più basse vicino a riva accelerano perché il canyon crea un effetto imbuto che le fa impennare fino ad altezze mai registrate altrove. La risacca fa il resto, sommando ancora qualche paio di metri, come se non fossero abbastanza.

 E il bello è che per alcuni puristi del surf queste non sarebbero neanche onde, ma solo un rigonfiamento. Viste dal faro in fondo al promontorio sono comunque impressionanti, chi le cavalca dice che hanno una violenza e una velocità mai viste. E chi li guarda sta ancora lì a chiedersi se questi surfisti siano eroi o pazzi.

– Spiagge di Nazaré: La frequentatissima spiaggia cittadina di Nazaré (Praia di Nazaré) è un lungo arenile di sabbia dorata a forma di mezzaluna, famoso per le altissime onde che fanno la gioia di surfisti e bodyboarders e per le pittoresche tende dai vivacissimi colori che vengono noleggiate per la giornata. A nord del promontorio si trova la meno affollata Praia do Norte: non attrezzata, ha un aspetto selvaggio reso particolarmente suggestivo dalle impressionanti onde che per la presenza di una profonda gola sotterranea raggiungono altezze da record. Nel 2011 si registrò un’onda alta addirittura 30 metri! Fare il bagno a Praia do Norte è estremamente pericoloso, meglio lasciare queste acque a surfisti esperti e godersi lo spettacolo delle onde gigantesche sdraiati sulla sabbia, in sicurezza e relax.

15) BATALHA

La località di Batalha crebbe di pari passo con il Mosteiro de Santa Maria da Vitória, la cui costruzione ebbe inizio nel 1386, in seguito a un voto di D. João I, re di Portogallo, che promise alla Madonna di edificarlo qualora il Portogallo fosse riuscito a sconfiggere la Castiglia nella battaglia di Aljubarrota, il 14 agosto del 1385. Ogni anno, nel mese di agosto, accanto al monastero, si realizzano grandi festeggiamenti per commemorare la vittoria.

Opera d’arte del gotico portoghese e Patrimonio dell’Umanità, il Mosteiro da Batalha è un magnifico esempio architettonico in cui si mescolano le diverse influenze corrispondenti al suo lungo periodo di edificazione, che abbraccia diversi regni.

All’interno, vanno citate la Capela dos Fundadores, con le sue splendide vetrate, le Capelas Imperfeitas ou inacabadas, cappelle mai terminate e profusamente decorate con elementi dello stile manuelino e gotico fiammeggiante,e la Sala do Capítulo.

Intorno al monastero vi sono alcuni edifici settecenteschi, uno dei quali trasformato in Pousada; merita inoltre una visita l’Igreja Matriz, con un bellissimo portale manuelino.

16) FATIMA

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Il Santuario di Fatima è uno dei più grandi santuari religiosi d’Europa dopo Lourdes, e si erge dove ai tre pastorelli nel 1917 apparve la Madonna.

Solo un evento eccezionale poteva trasformare Fátima, un paesino sperduto nelle campagne dell’Estremadura senza alcuna particolare attrazione, in una destinazione turistica capace di attirare più di sei milioni di visitatori ogni anno. Eccezionale lo fu davvero, anzi potremmo dire miracoloso: l’evento di cui parliamo è naturalmente la celeberrima apparizione della Vergine Maria che avvenne proprio a Fatima nel 1917. Un secolo dopo pellegrini da tutto il mondo continuano a venire fin qui per rendere omaggio o chiedere grazie alla Santissima Madre di Dio, facendo di Fatima una delle più importanti mete di pellegrinaggio mondiali. L’industria del turismo ha saputo approfittare di questa grandissima opportunità, sviluppando una serie di strutture ricettive pensate per ospitare centinaia di pellegrini, nonchè una lunga fila di negozi di souvenir di dubbio gusto come madonnine e busti del papa fosforescenti. Suo malgrado Fatima è diventata al tempo stesso il regno del sacro e del kitsch. Seguite la vostra personale inclinazione: date ascolto ai sentimenti religiosi o datevi al piacere terreno dello shopping.

– Basilica di Nostra Signora del Rosario

La Basilica di Nostra Signora del Rosario, il più imponente e centrale tra gli edifici che compongono il Santuario di Fatima, consiste in una torre e in una navata di circa 65 metri di altezza, decorata da una corona in bronzo di 7000 chilogrammi. Il suo architetto fu l’olandese Gerardus Samuel van Krieken, che giunse in Portogallo alla fine del 1800 per insegnare arte. Ma morì prima della consacrazione dell’edificio. All’interno della basilica, oltre il portico principale, vi è un mosaico che rappresenta l’incoronazione della Madonna da parte della Santissima Trinità, benedetto da Papa Pio XII, che anche per questo venne chiamato Papa di Fatima. Molti degli eventi relativi alle apparizioni mariane di Fatima sono rappresentate nelle vetrate della basilica, mentre i 15 altari della chiesa sono dedicati ai 15 misteri del rosario. Ai quattro angoli della basilica vi sono le statue dei 4 grandi apostoli del rosario: San Antonio María Claret y Clará, San Domenico di Guzmán, San Giovanni Eudes e Santo Stefano, re di Ungheria.

– Basilica della Santissima Trinità

La Basilica della Santissima Trinità è una chiesa e basilica minore costruita all’interno del Santuario di Fatima. Venne consacrata nel 1953, e fin da subito ci si rese conto che le sue dimensioni erano troppo piccole per contenere l’enorme afflusso di pellegrini che si recavano a Fatima per onorare la Madonna. Per questo, nel 1974 Monsignor Luciano Guerra propose la costruzione di una nuova basilica, ma i lavori iniziarono soltanto nel 2004, quando l’architetto greco Alexandros Tombazis completò il progetto e venne posizionata la prima pietra. Dalla fine dei lavori, la Basilica della Santissima Trinità è stata designata come GECA, acronimo portoghese che significa Grande Espaço Coberto para Assembleias (grande spazio coperto per assemblee), a causa della sua importanza e maestosità. La sua architettura modernista è molto particolare e contrapposta agli stili classici delle chiese che siamo abituati a vedere: per questo motivo risulta essere una tra i monumenti più interessanti dell’intero Santuario di Fatima.

– Cappella delle Apparizioni

La Cappella delle Apparizioni fu costruita negli anni ’20 del secolo scorso nell’esatto luogo in cui i tre pastorelli affermarono di aver ricevuto le apparizioni della Madonna nel 1917. Secondo la storia, fu proprio la Vergine a comunicare loro la sua volontà di costruire una cappella in suo onore. I lavori di costruzione della Cappella iniziarono per mano del muratore Joaquim Barbeiro nel 1919, e soltanto 2 anni dopo venne celebrata la prima messa. Ma il 6 marzo 1922 alcuni anticlericali la fecero esplodere con una bomba, fatto questo che non scoraggiò la comunità, che soltanto pochi mesi dopo iniziarono i lavori per la ricostruzione. Oggi, la Cappella delle Apparizioni è il sito più importante del Santuario di Fatima, ed è visitata da almeno 5 milioni di pellegrini l’anno

17) SAN PEDRO DE MOHEL

Faro Penedo Da Saudade

18) FIGUEIRA DA FOZ

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Grossa cittadina molto frequentata. Fanno la corrida. Il mercato al coperto è molto bello in Av.Foz do Montego (avevamo comprato le bocce per Matteo).

19) SERRA DE BOA VIAGEM

Un’ attrazione imperdibile nei dintorni di Figueira da Foz è la Serra de Boa Viagem, un suggestivo promontorio ricoperto di vegetazione mediterranea dove potrete fare splendide passeggiate, ammirare panorami spettacolari e fare un picnic. Questo promontorio arriva fino a 262 mt di altitudine. Circa l’83% della sua superficie è alta tra i 150 ei 250 mt. Nel suo punto più occidentale si trova Cabo Mondego con il faro

20) COIMBRA

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Famosa per la sua antica università, Coimbra è una città dall’atmosfera vivace e ricca di attrazioni, perfetta per una gita o un soggiorno indimenticabili. Solo gli studenti cantano “Coimbra ha più fascino nell’ora dell’addio”: i turisti se ne innamorano e non vorrebbero più andarsene. Adagiata sulle rive del fiume Mondego, Coimbra fu la capitale del Portogallo per oltre cent’anni e vanta l’università più antica del Portogallo nonché una delle più antiche d’Europa. La sua storia secolare non ha intrappolato Coimbra in uno statico passato: il presente è vivace e ricco di fermenti culturali; edifici moderni come il Pólo II dell’Università, il ponte pedonale Pedro e Inês, il padiglione Centro de Portugal nel Parque Verde del Mondego sono l’orgoglio della Coimbra di oggi. Vi segnaliamo qui di seguito le attrazioni da non perdere a Coimbra, ma la città ha molto altro da offrire: potrete spendere una giornata intera soltanto passeggiando nel centro storico, prendendo un po’ di fresco in uno dei suoi eleganti giardini e concedendovi una crociera sul fiume; non mancate di assaggiare i pastéis de Santa Clara o le arrufadas, dolci tipici di Coimbra, in uno dei caffè della Baixa.

– L’Università di Coimbra

L’Università, fondata nel 1290, è l’attrazione più famosa di Coimbra. La sede storica sorge nell’Alta di Coimbra, il nucleo antico della città, e comprende eleganti ed austeri palazzi medievali e rinascimentali raccolti intorno al Páteo das Escolas e dominati da un’imponente torre la cui campana scandisce i ritmi della vita accademica. L’edificio più visitato è la magnifica Biblioteca Joanina, che conserva più di 300 mila volumi dal XVI al XVIII secolo, disposti su elegantissimi scaffali decorati con talha dourada (legno intagliato ricoperto da una lamina d’oro).

L’Università è una tappa inserita in pressoché tutti i tour guidati della città di Coimbra. Non è strettamente necessario visitare la sede storica dell’Università per rendersi conto dell’importanza che questa ha ricoperto e ancora ricopre nella storia della città. Potrete incontrare studenti universitari un po’ ovunque: i più tradizionalisti indossano il tradizionale traje académico, composto da un mantello e un abito nero, una camicia bianca e in alcuni casi un copricapo o uno stemma. Se visitate Coimbra nel mese di maggio potrebbe capitarvi di assistere alla Queima das Fitas, il vivace rito con cui i neolaureati festeggiano la fine degli studi. Uno degli eventi culmine delle celebrazioni è il Fado de Coimbra, una serenata che gli studenti cantano sulle scalinate della Sé Velha, la cattedrale della città.

Come visitare l’università di Coimbra: Ad eccezione della biblioteca, l’ingresso al campus universitario è gratuito e si può visitare autonomamente; se preferite un tour guidato, ce ne sono tre al giorno.

21) PIODAO

Questa cittadina del distretto di Coimbra, nel Portogallo centro-settentrionale, è famosa per i suoi antichi edifici, tutti costruiti di pietra di granito e scisto, tanto da essere annoverata tra i villaggi storici protetti e di interesse pubblico da essersi aggiudicata il premio ‘gallo d’argento’ (galo de prata), attribuito ai villaggi più tipici del Paese

22) AVEIRO

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Le guide turistiche l’hanno battezzata “Venezia del Portogallo”, ma Aveiro è una città con una sua distinta personalità. Ancora poco nota al turismo di massa, l’affascinante Aveiro è una tappa da inserire in ogni tour del Portogallo centro-settentrionale: non avrà il fascino romantico di Lisbona o il carattere fiero di Porto, ma di certo Aveiro ha una sua distinta personalità ed attrazioni uniche in tutto il Portogallo. Adagiata tra il mare e la laguna (ria) è attraversata da canali – chiamata perciò la Venezia del Portogallo – che un tempo venivano solcati dai coloratissimi moliceiros, barche tradizionali dalla forma affusolata originariamente usate per la raccolta delle alghe e del sargasso. Oggi i moliceiros sono la principale attrazione turistica della città, usati per emozionanti crociere sul fiume che fanno la felicità di tutti i turisti ed immortalati ogni giorni da innumerevoli scatti. Un’altra caratteristica che ammalia i visitatori di Aveiro sono gli elegantissimi edifici in stile art nouveau sparsi per il centro, tanto importanti per l’identità cittadina che l’amministrazione locale organizza tour guidati a tema. Se invece avete una passione per l’architettura contemporanea fate una passeggiata nel modernissimo polo universitario, che comprende edifici progettati dai più famosi architetti portoghesi: una sorta di museo all’aria aperta che espone alcuni tra gli esempi più significativi dell’architettura contemporanea nazionale.

Non lasciate Aveiro senza aver assaggiato gli ovos moles, dolce tipico della città dai semplici ingredienti (uova e zucchero) che vengono venduti in confezioni di legno a forma di botte o avvolti in un’ostia.

– Mercato del pesce: Una delle attrazioni più vivaci di Aveiro è il pittoresco mercato del pesce che si trova nella piazza omonima (in portoghese Praça do Peixe): qui a partire dalla mattina presto i pescatori vendono ai ristoratori il pesce catturato durante la notte. Il mercato del pesce e i ristorantini nei dintorni sono la scelta migliore per chi vuole provare le specialità locali a base di anguilla come lo stufato, il fritto o l’anguilla in salsa escabeche.

23) COSTA NOVA DO PRADO:

paese carinissimo caratterizzato dalle casette pitturate di vari colori a righe verticali. Ci sono un faro ed una bella spiaggia.

– Riserva naturale delle dune de São Jacinto: Non lontana dal centro cittadino si trova la riserva di São Jacinto, un’oasi naturale stretta tra il mare e la laguna. Grazie a una rete di passerelle in legno è possibile ammirare lo straordinario paesaggio della riserva senza calpestare le magnifiche dune alle sue spalle. Per raggiungere la spiaggia bisogna prendere un piccolo traghetto dal porto di Costa Nova oppure circumnavigare la laguna arrivando fino a Q.ta das Ricos

24) CAPELA DO SENHOR DA PEDRA a Vila Nova de Gaia

con l’alta marea diventa un’isola

25) CASA DO PENEDO a Fafe.

https://www.casadopenedofafe.com/ 

È soprannominata la casa dei Flintstones ed è stata costruita nel 1974 come rifugio per le vacanze di una famiglia del posto. Negli ultimi anni ha attirato l’attenzione dei turisti in quanto è perfettamente integrata nell’ambiente naturale. Nascosta tra le montagne nel Nord del Portogallo, si trova vicino al comune di Fafe. Le è stato dato questo nome perché è stato costruito da quattro grandi massi che fungono da fondazione, pareti e soffitto della casa.

26) PORTO:

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Porto è una città che non può proprio mancare nella lista dei posti da vedere di ogni viaggiatore. Una volta arrivati sarà facile capirne il perchè.

Porto è una splendida città del nord del Portogallo: definita anche “la capitale del Nord“, in contrapposizione con la più centrale Lisbona, ne eredita in parte alcune delle caratteristiche distintive. Porto è una vera gioia per gli occhi, una città in grado di conquistare fin dal primo momento, grazie ai suoi saliscendi, alle sue case decadenti ma dall’atmosfera magica e soprattutto grazie al quartiere della Ribeira, dal quale si ammira un panorama pazzesco e le barche che passano sotto il Ponte Dom Luis I, una costruzione in ferro realizzato da un vicino collaboratore di Gustave Eiffel. La città non è grossa e se non fosse per le ripide salite si potrebbe girare tranquillamente a piedi senza difficoltà. Ad ogni modo, camminando per i vicoli stretti della città si avrà modo di ammirare la quotidianità, tra panni stesi e scalinate che conducono in quartieri dove il tempo sembra essersi fermato.

In uno spazio così ristretto come quello occupato dal centro della città di Porto vi sono davvero numerose cose da fare e da vedere, che la rendono una meta ideale per un weekend lungo o come tappa iniziale per un tour del Portogallo del Nord.

– La Ribeira: La Ribeira è il quartiere più pittoresco di Porto, e allo stesso tempo il più visitato dai turisti. Si adagia sulle sponde del fiume Douro, ed è un susseguirsi di stradine scoscese, case decorate dai tipici azulejos e, nella zona più turistica, di ristoranti che servono le specialità gastronomiche della zona. E’ un piacere trascorrere il tempo alla Ribeira, seduti al tavolino di un bar o direttamente sul molo, a guardare le barche che attraversano il fiume Douro o semplicemente a contemplare lo scorrere della giornata degli abitanti del posto.

– Ponte Dom Luís I: Il Ponte Dom Luis I, icona e simbolo della città di Porto, collega le due sponde del fiume Douro in corrispondenza del quartiere della Ribeira. La sua costruzione ebbe inizio nel 1881 per mano dell’ingegnere Theophile Seyrig, stretto collaboratore di Gustave Eiffel. E la struttura a dire il vero ricorda in qualche modo le opere di Eiffel, grazie all’abbondante uso del ferro, materiale così tanto caro al famoso architetto francese. Il Ponte Dom Luis I, oltre ad elemento architettonico dallo spiccato gusto estetico, ha anche una certa funzionalità per la città di Porto, in quanto è aperto sia al traffico stradale che, dal 2003, alla metropolitana cittadina sul livello superiore.

– Le cantine di Vila Nova de Gaia: Lungo la Avenida de Diogo Leite, situata sulla sponda opposta del fiume Douro, amministrativamente già parte della città di Vila Nova de Gaia, si apre un paradiso per gli appassionati del vino: qui infatti si trovano le cantine di tutti i produttori del famoso vino Porto, esportato in tutto il mondo. Presso ciascuna di esse è possibile prendere parte a visite guidate a orari predefiniti in diverse lingue, durante le quali verrà mostrata la storia, il processo di lavorazione del vino, le cantine, e al termine del tour verrà offerta una degustazione.

– Cattedrale di Porto: La Cattedrale di Porto è la principale chiesa cattolica della città. Si trova su un’altura e dalla sua piazza si ha un panorama meraviglioso di Porto, del fiume Douro e della zona delle cantine. Fu costruita nel XII secolo ma fu pesantemente ristrutturata nei secoli successivi. Oggi è possibile entrare tranquillamente all’interno della Cattedrale di Porto per ammirarne gli interni, ma vale la pena anche soltanto visitarla da fuori e rilassarsi per qualche minuto sulla terrazza belvedere.

– Stazione di São Bento: La maggior parte delle stazioni ferroviarie sono solo luoghi di passaggio, da lasciare il più in fretta possibile. Altre sono così belle che invitano a una sosta: una di queste è São Bento, la stazione principale di Porto, collocata nel centro cittadino. L’aspetto esterno è armoniosamente integrato con l’atmosfera decadente che permea la città portoghese. Ma è l’interno il vero capolavoro: le pareti della sala di ingresso, lunga 42 metri e larga 14, sono interamente ricoperte di azulejos, le tipiche piastrelle portoghesi bianche e blu. Ne sono state usate più di 20.000 per creare spettacolari mosaici raffiguranti scene chiave nella storia del Portogallo come battaglie, ingressi trionfali, matrimoni e scene di vita popolare.

– Avenida dos Aliados: La Avenida dos Aliados è un ampio viale situato in quello che oggi è il cuore della città di Porto, non lontana dalla Ribeira. Qui si affacciano strutture imponenti e importanti, quali banche, hotel di lusso e il municipio cittadino, inconfondibile con la sua torre alta ben 70 metri e che richiama da vicino l’architettura delle Fiandre e del nord della Francia. Alla fine della Avenida dos Aliados, tra negozi di souvenir e caffè all’aperto, si trova Praca da Liberdade, una bella piazza al cui centro si erge la statua di Re Pedro IV a cavallo.

-Strade pittoresche: Se avete poco tempo da dedicare alla visita della città vi indichiamo le vie più caratteristiche per non perdere il meglio di Porto.

+ Rua de Santa Catarina: è la strada principale della città alta, su cui si affacciano bellissimi palazzi ricoperti di azulejos e tanti negozi.

+ Praça da Ribeira: tutte le stradine che partono e si sviluppano da questa deliziosa piazzetta della città bassa sono pittoresche e caratteristiche. Da non perdere il lungo fiume con la fila di case a volta e archivolto dove ci sono bar e ristorantini.

+ Rua dos Mercadores: è la strada più antica della città e da qui parte un dedalo di stradine, scale, passaggi e un incredibile assembramento di case colorate e popolari.

+ Rua da Flores:  tra palazzi barocchi, belle chiese e dimore borghesi ammirerete una delle più belle vie della città

– Livraria Lello e Irmão (R. das Carmelitas 144)  (https://www.livrarialello.pt/)

Nascosta nell’affascinante parte antica della città di Porto, la Livraria Lello & Irmão è una storica libreria aperta nella seconda metà dell’Ottocento dove ancora oggi si respira un’atmosfera d’altri tempi. Diventata famosissima in tutto il mondo, è stata costretta a mettere un biglietto d’ingresso per limitare il numero delle persone al suo interno. Pur avendo una lunghissima storia e un’architettura singolare (bellissime sono la facciata esterna e la magnifica scala interna in legno), la fama della Livraria Lello & Irmão è legata principalmente alla saga di Harry Potter. Il numero dei visitatori è spropositatamente aumentato quando si è sparsa la voce che la Rowling abbia preso ispirazione proprio da questo luogo a lei noto e caro per molti degli ambienti in cui si svolgono le vicende del celebre maghetto. I pochi euro di ingresso possono essere facilmente recuperati perché vengono convertiti in uno sconto sull’acquisto di libri. Ma anche se non trovate un libro di vostro gradimento, non rimpiangerete i soldi spesi perché Lello & Irmão è un luogo davvero speciale.

– Torre dos Clérigos  (http://www.torredosclerigos.pt/en/): La Torre dos Clérigos è un altro dei simboli di Porto. Progettata dall’italiano Niccolò Nasoni attorno alla metà del 1700, è una torre in stile barocco alta 76 metri. Si può raggiungere la vetta percorrendo una stretta scala a chiocciola di 225 gradini: inutile dire che una volta giunti in cima, lo splendido panorama a 360 gradi che si può ammirare ripagherà ampiamente di tutti gli sforzi fatti.

– Capela Das Almas: La Capela Das Almas, dedicata a Santa Caterina, è uno dei monumenti che potrebbe sfuggire ad un viaggiatore distratto in visita a Porto: si trova non lontano dal mercato do Bolhao, ma in una zona frequentata più da persone del posto che dai turisti. Niente di più sbagliato però, in quanto è uno degli edifici più incredibili che si possa ammirare in città. E’ una piccola chiesa le cui mura esterne sono totalmente coperte di piastrelle di ceramica bianche e blu, che ritraggono scene come la morte di San Francesco d’Assisi o il martirio di Santa Caterina. Queste incredibili decorazioni risalgono all’inizio del secolo scorso per mano dell’artista Eduardo Leite, mentre le vetrate della facciata sono opera di Amandio Silva e vennero realizzate durante il XIX secolo.

– Mercado do Bolhão: Nelle vicinanze della Avenida Dos Aliados si trova questo splendido e caratteristico mercato, dove è possibile osservare in maniera privilegiata la vita di tutti i giorni degli abitanti della città. Frutta, carni, pesce, ma anche souvenir, prodotti per la casa, liquori e prodotti di gastronomia locale, sono tutti in vendita nel questo piccolo ma accogliente Mercado do Bolhão, a pianta quadrata e a tetto scoperto. L’esterno, in ferro battuto, è davvero pregevole, mentre nei dintorni si trovano alcune delle strade dello shopping più interessanti di questa zona di Porto

  1. G) ITINERARIO GIORNO PER GIORNO:

1) 05 agosto 2021 giovedì: Malpensa – Porto

Finalmente si parte… Fino all’ultimo abbiamo avuto timore che qualche regola venisse modificata e che questo ci avrebbe obbligati ad annullare tutto, più che altro perchè era un viaggio un pò articolato con diversi spostamenti. Lasciamo la macchina al Travel Parking vicino a Malpensa (http://travelparking.it/) al costo di € 42 per 7 giorni. Nostro figlio Matteo, tornerà dopo una settimana da Zante quindi recupererà lui la macchina.

La fila per il check-in della Ryan è eterna. Chi va all’estero è super controllato… controllano PLF del Portogallo e analizzano nel dettaglio i Green Pass. Finalmente alle 10.30 il volo parte. Durerà un paio d’ore siamo a Porto. All’arrivo tiriamo indietro di 1 ora l’orologio. Recuperiamo le valige e andiamo a piedi al nostro hotel che si trova proprio di fronte all’aeroporto:

Hotel: Park Hotel (http://www.parkhotel.pt/en/Menu/Hotels/Porto-Aeroporto.aspx) – € 81 – una tripla solo pernottamento

Prenotato su booking e pagato qualche giorno prima di partire

Chiamiamo Uber (€ 16) e ci facciamo portare al ponte Dom Luis. Lo raggiungiamo in una ventina di minuti. Andiamo dall’altra parte del fiume Douro, dove ci sono le cantine del porto. Pranziamo al ristorante della cantina Sandeman (€ 56 per 3 tagliatelle con il pesce). Abbastanza buono. Iniziamo poi il giro della città. Raggiungiamo la parte alta del ponte dove ci sono un paio di punti panoramici notevoli. Attraversiamo il ponte e gironzoliamo tra punti d’interesse e vie caratteristiche. La zona lungo fiume è la più tipica. Ci sediamo per un aperitivo a base di sangria al bar Café do Cais con degli stuzzichini, proprio lungo il fiume. Chiamiamo alle 19.30 Uber (€ 16) per tornare in hotel. Questa mattina ci siamo alzati di buon’ora e domani mattina la sveglia suonerà prestissimo… quindi andiamo a dormire quasi subito.

2) 06 agosto 2021 venerdì: Porto – Azzorre (isola Faial)

Alle 2.30 la sveglia suona… raggiungiamo velocemente l’aeroporto. Il nostro è l’unico volo in partenza alle 5.00 quindi ci sono poche persone. Questa tratta è operata dalla Tap Portugal e dura una cinquantina di minuti. Facciamo colazione all’arrivo a Lisbona. Alle 8.00 ripartiamo con la Sata Azores, bell’aromobile. In fase di atterraggio vediamo il vulcano di Pico coperto sulla sommità dalle nuvole. Ci sembra la Table Mountain con la “tovaglia” che la copre quasi sempre. Il volo dura 2 ore e mezza. Atterriamo a Faial con un bel sole. C’è vento ma fa caldo. Tiriamo indietro l’orologio ancora di un’ora. Siamo a – 2 dall’Italia. In uscita dall’aeroporto controllano il green pass, chi non ha fatto il vaccino o il tampone in partenza, lo deve fare qui e chi non ha il vaccino, lo dovrà rifare tra 6 giorni. In un banco nell’aeroporto vediamo il rental car,  Auto Turistica Faialense (https://www.autoturisticafaialense.com/). Paghiamo € 195 e poi andiamo a recuperare la nostra Yaris. Macchina perfetta e pulita. Lasciamo l’aeroporto ed imbocchiamo la strada che costeggia il mare… e raggiungiamo Horta. In questi pochi km. decidiamo che le Azzorre già ci piacciono. Si ha una sensazione di pulito e di tranquillità. Horta è la cittadina più grande con un paio di belle chiese ed il porto. Esteticamente le chiese delle Azzorre si somigliano tutte. Andiamo direttamente al nostro B & B.

Hotel: : Vila Belgica ad Horta – € 150 a notte, rimarremo 3 notti – due camere doppie – B & B

(http://www.azoresvilabelgica.com7)

Prenotato su booking e pagato all’arrivo.

La casa si trova fuori dal centro di Horta, sulla collina. Si ha una bella vista della baia. Il giardino è curato. La proprietaria, una signora belga, è super gentile e disponibile. Ci fa sentire a casa. Lei ed il compagno abitano in un’ala mentre nell’altra hanno 4 camere al pian terreno e 3 al primo piano, destinate agli ospiti. Al piano superiore c’è una cucina dove si possono lasciare le proprie cose in frigo, e dove lei prepara la colazione. Noi avremo due delle 3 camere al piano superiore. Il bagno è esterno alle camere ma è solo nostro. E’ tutto pitturato di nuovo, il mobilio e i serramenti sono un pò datati. Ci troveremo davvero bene e le colazioni saranno ottime. Lasciamo i bagagli, ci cambiamo ed andiamo in centro. E’ ora di pranzo quindi ci sediamo nel dehor del famoso Peter’s Cafè (https://www.petercafesport.com/en/). Vorremmo provare il Gin de mar il loro fiore all’occhiello, ma non ce la sentiamo di bere un super alcolico (anche se dicono che non sia forte) a mezzogiorno. Il pranzo sarà ottimo (€ 30) per una Azorea Salad e due insalate Codfish con ceci. I camerieri non sono il massimo della simpatia. Sapendo che i ristoranti hanno poca ricettività cerchiamo qualcosa per cena. Andiamo a piedi anche alla spiaggia di Porto Pim dove ci sono due ottimi ristoranti, ma sono pieni per questa sera. Facciamo diverse telefonate e alla fine troviamo solo da Tasca (sta per taverna) O’Capitolio. Da qui in poi prenoteremo da un giorno con l’altro se non addirittura due giorni prima, per stare tranquilli quindi il filo conduttore della vacanza sarà… cercare dove cenare ….

Iniziamo poi il tour dell’isola. Percorriamo i 23 km. che ci separano dalla nostra destinazione, con calma. Ogni collinetta è un cono vulcanico, ci sono coltivazioni, animali al pascolo, casette graziose e soprattutto le famose ortensie azzurre, che danno il soprannome all’isola (isola azzurra). Facciamo diverse soste fino ad arrivare al vulcano di Capelinho. Questo è uno di quei luoghi che io definisco “posto wow”. Siccome l’eruzione di questo vulcano, che ha aumentato le dimensioni dell’isola, è recente, la vegetazione non è ancora cresciuta. Il vulcano ha una forma singolare ed il bellissimo faro in disuso rende tutto più affascinante. Non visitiamo il museo ma saliamo sul faro (si acquista il biglietto al museo al costo di 1 €). La scala a chiocciola è tenuta molto bene. Quando usciamo all’esterno facciamo fatica a stare in piedi per il forte vento. Tempo di salire ed il meteo cambia. Il sole viene coperto dalle nuvole rendendo il paesaggio ancor più surreale. Scendiamo e torna nuovamente il sole. Saliamo al punto panoramico dal quale c’è un bel colpo d’occhio e poi andiamo alla piscina naturale. Il mare è mosso e c’è l’alta marea ma qualcuno fa il bagno. Pier e Martina entrano in una pozza laterale dove l’acqua entra ma non c’è l’accesso diretto al mare. Io immergo solo i piedi …. e mi basta. Il sole è caldo. A Faial ci sono diverse spiagge dove, se il mare non è troppo mosso si può fare il bagno ma nonostante questo ci sono diverse piscine naturali (su altre isole, come Pico, si può fare il bagno solo in queste). Le piscine o sono delle insenature dove hanno piazzato le scalette per accedervi o sono delle pozze che con la bassa marea rimangono separate dal mare e l’acqua è ferma. Rientriamo poi in hotel facendo sosta al market Continente per prendere qualcosa da bere ed il pranzo di domani visto che vogliamo fare un trekking. Per cena andiamo quindi da Tasca O’Capitolio. Spenderemo € 28 per due grigliate miste e per me giusto due cosine che sono riusciti a mettermi insieme visto che non mangio carne … questo posto è specializzato proprio per le grigliate. Pier e Martina hanno detto che era molto buona. Facciamo due passi. Il paese è tranquillo. Il cielo si copre e cade un pò di pioggia nebulizzata quindi torniamo in hotel.

3) 07 agosto 2021 sabato: Azzorre (isola Faial)

Di notte ha continuato a piovere e smettere. Usciamo sul terrazzo e vediamo una bella alba. C’è un silenzio assordante… il sole fa capolino tra le nuvole riflettendo fasci di raggi sul mare. Il vulcano di Pico è coperto da una lunga nuvola arrotondata. Facciamo un’ottima colazione e poi, vestiti da trekking usciamo. Sosta veloce ancora al market e poi imbocchiamo la strada che porta alla Caldeira di Cobeço Gordo. Se ieri avevamo visto molte ortensie, questa strada in alcuni lunghi tratti ha dei muri su entrambe i lati della carreggiata. Ci sono anche molti faggi, cedri e delle felci giganti che sembrano palme. La padrona di casa ci ha detto che riuscire a vedere la caldera, senza nuvole, è un evento eccezionale. Parcheggiamo tra le ortensie… facciamo un breve tratto sotto una piccola galleria e…wow… la caldera in tutto il suo splendore… la vediamo completamente solo 5 minuti… poi la nebbia, portata dal vento, scende al centro. Avevamo visto una cosa identica a Ngorongoro dove la nebbia che entrava nel cratere, sembrava una cascata. Scenografico… ma non vediamo più nulla. Sapendo che il tempo qui è ballerino, non demordiamo ed imbocchiamo il sentiero a sinistra per iniziare il percorso ad anello sul bordo della caldera. Saliamo fino ai ripetitori senza pioggia poi inizia a scendere qualche goccia. Sempre ottimisti… andiamo avanti fino a quando ci rendiamo conto che non è pioggia nebulizzata che a breve verrà portata via dal vento… ma pioggia vera e propria. Siccome il giro è circa 5 km e la visibilità si sta sempre più riducendo, torniamo indietro. Arriviamo alla macchina zuppi, nonostante i k-way. Le scarpe da trekking impiegheranno non poco ad asciugarsi… Vedendo come siamo messi torniamo in hotel… e troviamo il sole!!!! Perfetto così stendiamo tutto ad asciugare e pranziamo con le nostre cose sulla terrazza davanti alla cucina della colazione. Questa pioggia sarà l’unica che prenderemo in tutta la vacanza. Un paio di altre volte ha gocciolato ma eravamo in fase di spostamento quindi non ci ha limitato in nulla. Dopo un pò di relax andiamo alla scoperta del lato est dell’isola. Questo lato ha alte scogliere al contrario di quello occidentale che è quasi tutto a livello mare. Andiamo al faro Ribeirinha. Purtoppo è diroccato. Al suo posto c’è un lungo palo con un punto luce. Che tristezza. Io adoro i fari ma questi poco per volta verranno sostituiti da nuove tecnologie che richiedono meno manutenzione. Sarà difficile che ne verranno costruiti di nuovi. Mi piacciono perchè hanno delle belle strutture e perchè vengono sempre costruiti in posti spettacolari. Raggiungiamo Porto do Salao. Scendiamo al mare percorrendo un ripido sentiero di cemento. Ci sono ovunque rocce di lava nera che fanno risaltare l’azzurro del mare. Ci sono delle piscine naturali ed una di marea per i bambini ma ora è quasi tutto coperto da grosse onde. Il mare è molto arrabbiato e si infrange con una forza pazzesca contro la roccia lavica. Molto bello. Andiamo a Porto da Eira e poi rientriamo in hotel passando per una bella strada nell’entroterra sulle pendici del vulcano. Qui ci sono boschi di piante a tronco alto. Torniamo in hotel per il tempo di una doccia e poi andiamo a cena al ristorante O Escondrijo a Cedros, sul lato nord-est dell’isola. Abbiamo prenotato ieri sera ma siamo solo noi ed altre 3 persone. Questa sarà la cena più particolare della vacanza. Il locale ha una terrazza che confina con una vegetazione lussureggiante e si sente un ruscello che scorre. Sembra di essere ai tropici. Ci sono solo 3 tavoli. E’ tutto pulito e in ordine. Il proprietario Hans, a piedi nudi … cucina cibo vegano con prodotti del suo orto e cose comprate molto semplici. Se lo cercate su facebook vedete i piatti che crea. C’è solo un menù sorpresa che cambia ogni giorno in base a quello che gli va di creare e sperimentare. Si parte dall’aperitivo e si arriva al dolce. L’unico neo sono le bevande. Porta acqua e poi due caraffe con tisana di finocchio e camomilla … tutto super salutare … ma un bel bicchiere di vino sarebbe stato meglio … Lui ci racconta di sè. E’ una persona semplice e particolare ma affascinante. Quando è ora di pagare ci dice che non vuole niente perchè la sua soddisfazione è vedere i clienti contenti. Alla fine, dopo varie trattative, ha detto di dargli quello che volevamo. Gli abbiamo messo in una cassettina 50 € ma non sappiamo se erano troppi o troppo pochi. Noi non siamo vegani ma abbiamo apprezzato tutto quello che ci ha servito. Diciamo che è da provare e poi in un contesto di un’isola fuori dal mondo, ci stava cenare in un ristorante fuori dal mondo. Soddisfatti torniamo in hotel.

4) 08 agosto 2021 domenica: Azzorre (isola Faial)

Dopo la solita ottima colazione e con il sole partiamo per i vulcani della parte ovest. Facciamo tutta la costa fino a Capelinho e poi saliamo in macchina fino a Cobeço Verde. Da qui si ha una bella visuale su Cobeço do Canto e Capelinho. Alle spalle si vede Cobeço do Fogo e la Caldeira ovviamente tra le nuvole. I vulcani sono ricoperti di vegetazione, soprattutto ortensie e heydichium. Torniamo sulla litoranea facendo sosta a tutti i punti panoramici (miradouro). Andiamo appena dopo Faja, alla Praja do norte o Baia da Ribeira da Cabras. La spiaggia è, come tutte le altre, di sabbia nera. Il mare è arrabbiato e appena oltre iniziano le scogliere a strapiombo. Risaliamo e ci fermiamo al Miradouro da Ribeira das Cabras dal quale si vedono i 4  vulcani che ho nominato sopra. Ci sono 29°. Prima di tornare in hotel andiamo al market e poi pranziamo ancora sulla terrazza della nostra camera. A metà pomeriggio facciamo un giro per il porto di Horta per vedere i dipinti dei turisti che arrivano qui in barca. Caratteristico. Andiamo poi sul monte da Guia, alla sinistra di Horta. C’è una bella chiesetta e si ha una bella visuale su Horta e sulla spiaggia di Porto Pim. Dall’altro lato si vede la caldera del vulcano da Guia. Un lato è crollato e il mare l’ha riempita. E’ un cerchio a 3/4 quasi perfetto. Andiamo poi alla Praia de Almoxarife. Ci sistemiamo sulla destra quasi alla fine della spiaggia. La sabbia è nera ed il contrasto con il mare blu, che si intravede nelle grosse onde, è bello. Martina fa il bagno. Il cielo è velato ma si sta bene. Per cena andiamo da Atletico, il miglior ristorante dell’isola, prenotato il giorno del nostro arrivo. Ceneremo davvero bene con calamari enormi alla griglia e zuppe di pesce (€ 81). Ci portano come digestivi due liquori tipici, licor de amora e licor de nevada. Il primo è alla mora, il secondo non lo abbiamo capito. Comunque sono buoni. Questa è l’ultima sera su quest’isola. Ci spiace partire. Ci siamo trovati bene.

5) 09 agosto 2021 lunedì: Azzorre (isola Faial – isola Pico)

Ci svegliamo con la pioggia. Prima di lasciare l’hotel smette ed esce il sole. Facciamo gasolio (€ 27) per consegnare la macchina con il pieno. Abbiamo fatto 324 km. La lasciamo al porto dove ci imbarcheremo per Pico (guardando il mare, i traghetti partono a sinistra del porto). Facciamo il chek-in come per un volo e lasciamo le valige. Siccome è presto, andiamo a piedi in centro a bere un caffè. Torniamo in tempo per imbarcarci. Questo traghetto lo abbiamo prenotato prima di partire al costo di € 11 per tutti e 3 (https://www.atlanticoline.pt/en). Ci sediamo all’esterno. La traversata è piacevole, dura solo 30 minuti. Nonostante il mare non sia agitato come ieri e non ci sia vento, la barca balla parecchio. Il dilemma è sempre stato se prenotare l’escursione per vedere le balene da Madalena (dove attracchiamo con il traghetto) oppure da Lajes. Vedendo com’è il mare e che le onde arrivano da nord, dico a Martina che ci conviene andare a Lajes, che si trova a sud dell’isola di Pico in modo tale che si è protetti dalle onde dall’isola stessa. Più tardi vedremo un gommone del whale watching che attracca e 4 persone si sdraiano direttamente a terra stravolte. Devono aver patito il mal di mare in maniera esagerata quindi ho idea che il mio ragionamento sulla location della prenotazione sia ragionata. Arriviamo al porto. Mentre aspettiamo che scarichino le valige dalla barca, Pier va a prendere la macchina (una C3). L’abbiamo prenotata da Tropical Rent a car (https://rentacartropical.com/) al costo di € 230. La paghiamo ora. Parcheggiamo in centro. Ci sono diversi posti in cui prenotare il whale watching o il bagno con i delfini. La chiesa che si affaccia sul mare, è graziosa. Cerchiamo un ristorante e scegliamo Via Bar & grill che si trova proprio nell’insenatura di mare dove c’è la chiesa. C’è una terrazza all’aperto… ci sono 32° ed un bel sole. Prendiamo 3 insalate miste con formaggio (€ 29). Iniziamo poi il giro dell’isola in senso antiorario. Se Faial mi è piaciuta perchè è un piccolo gioiellino, Pico mi è piaciuta per i mulini, le colate laviche, le viti coltivate tra i muretti di pietra lavica e le case, sempre in pietra lavica, con i serramenti colorati. A posteriori credo che quest’isola è quella che mi è piaciuta di più. Io valuto il mio gradimento in base a quante foto sento la necessità di fare. E a Pico ci sono tanti spunti fotografici. Usciti dal nostro ristorante a Madalena andiamo a vedere solo da fuori il Cella Bar. Struttura singolare. C’è la possibilità di fare il bagno in quel punto. Andiamo, costeggiando il mare, a Criacao Velha. La lava arriva a strapiombo sul mare. C’è un mulino molto fotogenico tra i vigneti. Le viti vengono coltivate tra muretti di pietra lavica. Sullo sfondo il vulcano di Pico senza una nuvola. Si vede il Pichiño (la piccola punta che si trova sul piano più alto del vulcano). Lo vedremo così per due giorni. Sulla strada vediamo tante casette, sempre di pietra lavica, molto ben tenute con i serramenti colorati (rosso, arancione, verde, viola, gialli, bianchi). Ci fermiamo in tutti i punti panoramici, ai mulini e al faro Ponta da Faca. Arriviamo a Lajes do Pico. Paese grazioso con un porticciolo dal quale partono i whale watching ed un mulino. Andiamo a prenotare per domani la gita in mare da Aqua Azores (https://aquaacores.pt/). Io sono molto combattuta perchè il mare mi da fastidio quindi al momento prenota solo Martina. Costa 65 € a testa. Hanno posto solo nel primo pomeriggio con il gommone semirigido. Andiamo poi al  nostro hotel.

Hotel: Casa Dos Caldeiras  a Lajes do Pico – € 98 a notte, rimarremo 3 notti – camera tripla – B & B

(https://www.bedandbreakfast.eu/bed-and-breakfast/lajes/casa-dos-caldeiras/5387762/)

Prenotato su booking e pagato qualche giorno prima dell’arrivo.

Telefoniamo al proprietario che nel giro di pochi minuti arriva ad aprirci. Ci fa vedere la casa. Molto bella e molto curata. Come ho scritto sopra ci sono 4 camere private con bagno e poi in comune la cucina, salotto e dehor. La colazione è compresa nel senso che il proprietario porta ogni mattina pane fresco, affettati e formaggi, latte, yogurt ecc ecc e poi ognuno se la prepara da solo. Si deve avere solo l’accortezza di lasciare tutto pulito e lavato. Ci sono diverse cose, anche vino, succhi, tè, pasta e generi vari, che si possono prendere senza problemi. Se si vuole si può cucinare per conto proprio anche il pranzo e la cena. Per questo sarebbe perfetta per un gruppo di 8 amici perchè la si affitterebbe tutta. La gestione della cucina non ci fa impazzire soprattutto per via del Covid. Per questo motivo avrebbero dovuto prendere un addetto alla colazione, ad orari stabiliti e che mettesse mano solo lui al cibo. Nel frigo ci sono diverse cose aperte che non sappiamo nè di chi siano nè da quanto sono lì. Quando andiamo via sono ancora nello stesso posto… Quindi, non convinti, la prima mattina Pier va in centro in una pasticceria e prende delle brioches che mangeremo in cucina facendoci solo the e caffè… poi, dopo aver visto una coppia di francesi che era lì con noi, toccare tutti i panini prima di scegliere quelli che più li aggradavano e aprire e toccare altre cose, … siamo stati ancor più contenti della scelta fatta. Le altre due colazioni le andremo a fare in pasticceria direttamente. Non siamo fobici per il Covid ma l’igiene viene come prima cosa. Dicevo della casa, davvero molto bella, si affaccia su un prato coltivato a mais e con molte piante orecchie di elefante. La nostra camera è al piano di sopra. Ci sistemiamo e poi, dopo aver fatto una ricerca alternativa al ristorante prenotato (troppo lontano) ed avendo trovato posto in uno dei pochi aperti, usciamo per andare a cena. Andiamo a Sao Mateus al ristorante O’ Galeao. Si tratta di una piccolo locale con il dehor. Hanno tutti i tavoli impegnati e fanno addirittura il doppio turno. Il proprietario è gentilissimo. Ha lavorato in Italia e parla un pochino di italiano. Siccome cucinano tutto al momento, ci dice che per la nostra zuppa di pesce ci vuole una mezz’ora, nel mentre ci porta delle lapas (patelle) buonissime. La zuppa viene servita direttamente nella pentola … pentolone … si poteva mangiare in 6 … molto a malincuore non riusciremo a finirla. Ci porta poi i liquori bevuti all’Atletico di Faial, Amora e Nevada. Spenderemo € 68. Torniamo poi diretti in hotel.

6) 10 agosto 2021 martedì: Azzorre (isola Pico)

Sveglia alle 4.30, sarà così tutte le mattine, per due galli che cantano… sembra di averli in camera… Come ho scritto Pier va in pasticceria a prendere le brioches e facciamo colazione in hotel. Partiamo poi per il punto più ad est dell’isola. Ci sono coltivazioni di mais, banane, ananas. Ci sono scogliere alte e facciamo diverse deviazioni per scendere al mare. Arriviamo fino al faro Ponta da Ilha. Parcheggiamo e andiamo a vederlo dalla parte del mare. Si cammina sulla lava. Ci sono i segni gialli e rossi del sentiero da trekking che finisce qui. Sulla spiaggia c’è una grotta, ovviamente di lava lavorata dal mare. Bel posto. Telefono al whale whatching per prenotare anche per me. Il mare non mi sembra impossibile e non c’è vento che lo ingrosserebbe. Dopo Riberinha imbocchiamo la strada che porta sull’altopiano centrale. Ci sono pascoli con molte mucche. Quassù c’è quasi sempre la nebbia. Ci sono 16° mentre, quando raggiungiamo il mare … 32. Arriviamo al porto di Lajes. Paghiamo l’escursione in totale 130€. Dopo una breve spiegazione andiamo al gommone. E già qui mi rendo conto che abbiamo fatto una stupidata a prenotare. Il gommone ha 3 file sulle quali sedersi e ci stanno 10 persone a fila. Ci si siede a cavalcioni in uno spazio di 60 cm. Ogni posto ha uno schienale dove si attacca con le mani chi si siede dietro…. mi devo legare i capelli altrimenti arrivano in faccia a Martina che è seduta dietro … e li ho lunghi fino alle spalle … giusto per dare un’idea di quanto si è attaccati. Le mie ginocchia toccano quelle del vicino. Da questa posizione non ci si può muovere. Chi è in mezzo è pigiato da entrambi i lati. Il responsabile ci dice che quando c’è un avvistamento su un lato, le persone della prima fila si devono abbassare sul bordo del gommone, quelli della seconda, devono stare seduti e quelli della terza alzarsi in piedi. Così facendo tutti hanno una bella visuale. Peccato che questo non verrà rispettato quindi le uniche 4 balenottere e due delfini che vedremo (oltretutto da lontano e dal lato opposto al nostro) non possiamo dire di averli visti perchè c’erano tutte le teste delle persone che erano sempre in piedi …. Loro nuotavano e quando cercavamo di avvicinarci, si immergevano. Quindi consiglio di prenotare sull’altro tipo di barca che è un cabinato dove puoi muoverti e non hai il vincolo della posizione e poi porta meno persone. Altra nota dolente è che ci sono 5 gommoni rigidi e due cabinati che cercano cetacei in questo tratto davanti a Lajes. Vediamo lo sbuffo di due capodogli da lontanissimo ma quando siamo arrivati vicini, con i motori a palla … questi, sentendosi braccati, si sono inabissati all’istante. Avevamo visto i capodogli alle Vesteralen. La barca, solo la nostra, si spostava con il motore al minimo e poi lo spegneva quindi ne avevamo visti parecchi a meno di 10 metri. Quello è stato avvistare cetacei, non questo. La cosa positiva è stata vedere l’isola dal mare e per di più senza neppure una nuvola nè sul vulcano nè sugli altipiani centrali. Alle 17 siamo al porto. Pier ci aspetta. Lui, dopo aver vomitato l’anima quando siamo andati a vedere gli squali bianchi (non ne ha visto neppure uno… e ne avevamo 5 che ci giravano intorno alla barca… nostro figlio Matteo si era addirittura calato nella gabbia …) ha deciso che qualsiasi attività in mare l’avrebbe evitata… quindi ha fatto un trekking lungo il mare. Andiamo a prendere l’aperitivo poi in camera a sistemarci ed infine a cena. Questa sera abbiamo prenotato da Riberinha, a Lajes. Molto recensito. Prendiamo 3 zuppe, un piatto di tonno e due di calamari alla griglia, tutti serviti con verdure e spendiamo solo € 39. Il locale è semplice ma abbiamo mangiato bene. Facciamo due passi lungo il mare fino al mulino. Il sole è tramontato da poco e ci sono dei bei colori. Il vulcano è sempre senza nuvole.

7) 11 agosto 2021 mercoledì: Azzorre (isola Pico)

Sveglia puntuale alle 4.30… nervoso… anche se questi galli svegliano solo me … Usciamo per colazione. Andiamo alla pasticceria dove Pier ha preso le brioches ieri (Pasteleria & Aromas Sabores, in R. Cap. Mor Garcia Gonçalves Madruga, la seconda parallela al mare). Spenderemo in 3 € 8 prendendo due brioches a testa più il bere ….Tutto buono e la proprietaria molto gentile. Partiamo alla scoperta della costa nord, da Cais do Pico a Prainha. Imbocchiamo la R2-2 che passa da una parte all’altra dell’isola. Sull’altopiano centrale ci sarà nebbia quasi tutto il giorno e il vulcano non riusciremo a vederlo. Anzichè andare a perdere tempo e sprecare soldi ieri in barca, avremmo dovuto venire a visitare questa zona con il sole. Le nuvole vanno e vengono e quando esce il sole, quell’attimo, il paesaggio diventa di un verde squillante. Ci sono molte ortensie, pini e tante mucche. Questo altopiano ha molti laghetti ed il più famoso è il lagoa do Capitao. Nelle giornate terse il vulcano si specchia nell’acqua. Quando arriviamo esce il sole un attimo. Molto bello. Ci sono delle papere alle quali Martina da un pò di pane. Scendiamo poi sul mare dove c’è il sole ed arriviamo fino a Cais do Pico dove c’è un museo sulle balene. Paghiamo 2 € a testa io e Pier e Martina solo 1. Interessante il filmato. Ci sono anche foto d’epoca e uno scheletro di capodoglio. Andiamo al centro informazioni chiedendo se a Pico esiste una spiaggia di sabbia. La ragazza ci indica Canto da Areia, appena dopo Prainha quindi ci dirigeremo là. Ci fermiamo al mulino che c’è a Sao Roque, passiamo per il Parque Florestal da Prainha dove ci sono molti fiori ed un altro mulino, fino ad arrivare alla spiaggia. Stiamo qui un’oretta. Martina fa il bagno. La sabbia non è solo nera, ha qualche pagliuzza dorata. Sono appassionata di sabbia e la colleziono quindi la guardo sempre con interesse. Per pranzo andiamo da Petipé, un chiosco sul mare appena prima di Santo Amaro. Questo posto ha ottime recensioni e la proprietaria è molto gentile. Prenderemo 3 insalate con quinoa e altre cose al prezzo di € 40. Passiamo poi per Prainha dove vediamo il mulino e poi ci indirizziamo all’altopiano. Volevo tornare a Lagoa do Capitano ma non c’è il sole quindi lo vedremmo nelle stesse condizioni di questa mattina. Imbocchiamo quindi la strada che va verso est e che arriva quasi fino al faro da Ilha. L’idea era di percorrerla tutta ma ci sono le nuvole quassù quindi ne facciamo solo un tratto fino al Lagoa Seca e poi Lagoa do Caiado. Qui scendiamo e facciamo due passi. Questo paesaggio sembra Norvegia o Canada. Da questa mattina c’è vento e man mano che la giornata passa, aumenta sempre di più. Ci sono 14° … Torniamo poi in hotel dove la temperatura tocca i 30. Andiamo a cena in un altro posto ben recensito che però da fuori non è un granchè, Tasca, tra il nostro hotel e Lajes. Ovviamente prenotato due giorni fa… Prenderemo 2 grigliate di carne, 1 spedino di pesce, 1 piatto di lumachine di mare al prezzo di € 43. Chiediamo se hanno i liquori Amora e Nevada ma dicono di no. In cambio ne portano uno di loro produzione che non danno solitamente ai clienti quindi ci dicono che è offerto. Molto gentili e il cibo buono. Andiamo a dormire presto perchè l’effetto gallo su di me incomincia a farsi sentire …..

8) 12 agosto 2021 giovedì: Azzorre (isola Pico – isola Sao Miguel)

Questa mattina frego il gallo… alle 4.25 mi sveglio per i fatti miei… e lui ancora dorme… dopo 5 minuti però inizia giornata… fuori piove… Andiamo a fare colazione nella solita pasticceria. La proprietaria ha avuto l’accortezza, senza sapere se oggi saremmo tornati o meno, di procurarsi una cosa che ieri mattina aveva chiesto Martina e lei non aveva, mi sembra si chiami Freddo Cappuccino. Sono piccoli gesti che però fanno piacere. Torniamo in hotel a prendere le valige e partiamo. Abbiamo il volo per Sao Miguel questa sera. Torniamo a Lagoa do Capitao ma addirittura pioviggina e il vento è fortissimo… Andiamo alla Casa do Montana, dove si parte per scalare il vulcano. C’è una nebbia tale che riusciamo a vedere a pochi metri. Troviamo molte mucche sulla carreggiata. Scendiamo un secondo al parcheggio che è deserto. In giornate come questa vietano la salita. Già si rischia di trovare un peggioramento quando si parte con il sole … è per questo che forniscono un gps … figuriamoci partire con vento, nebbia e pioggia … sarebbe da pazzi. Scendiamo a Madalena. Qui c’è il sole ma sempre tanto vento. Il mare è da paura … Andiamo a vedere i carinissimi paesini di Lajido, Arcos e l’arco vulcanico a Cabrito. Quasi tutte le case sono di lava con i serramenti colorati. La lava fa da padrona. Il mare si infrange contro le scogliere con una forza pazzesca. Andiamo poi a pranzo a Madalena al Cafè Cinqo. Prendiamo 1 kebab e due insalate miste a € 35. Facciamo poi gasolio € 51 per 417 km. percorsi sull’isola ed andiamo in aeroporto. Chiamiamo la responsabile dell’auto che arriva quasi subito e poi andiamo a fare il check-in. Da qui oggi deve partire il nostro volo per Sao Miguel ed uno per Lisbona. Mezz’ora prima di partire ci dicono che il volo è annullato e che partiremo da Faial … sul subito non capiamo … poi ci spiegano che i due aerei che sono arrivati a prenderci, non sono riusciti ad atterrare a Pico per il vento forte e che ce l’hanno fatta sull’isola di Faial. I due aeroporti sono stati volutamente costruiti in posizioni opposte e sempre protetti dal vulcano in modo tale che si riesca ad atterrare sempre in uno dei due. Ci dice che questa è una cosa che capita spesso. E qui inizia la nostra folle avventura in mezzo al delirio di alcune persone… visto che i responsabili danno per scontato tutto… i turisti un pò di meno… avrebbero dovuto dare qualche spiegazione in più. Recuperiamo i bagagli e cerchiamo di salire sul pullman. Sono due ed alcune persone si agitano pensando che questi partono e non tornano a recuperarci… faranno due giri e porteranno tutti al porto… nessuno verrà dimenticato… al porto ci caricano come sardine sul traghetto che avevamo preso 3 giorni fa, i bagagli li caricano uno ad uno… noi non troviamo posto dove sederci… e per fortuna … stiamo in fondo nella zona centrale. Posto perfetto. Si parte. Appena usciamo dal porto un’onda pazzesca entra nella barca e bagna tutte le persone sul lato sinistro del traghetto. Noi ci ancoriamo alla scala che viene usata per scaricare le persone quindi siamo proprio in mezzo alla barca e possiamo tenerci con entrambe le mani. Qui sarà una cosa che capita spesso altrimenti non ci avrebbero fatti uscire in mare… ma posso dire di aver avuto paura. Le onde arrivano da sinistra e per mantenere l’equilibrio ci dobbiamo piegare prima su una gamba e poi sull’altra. Quando prendevamo l’onda la barca si piegava a destra poi tutta a sinistra e vedevamo l’onda seguente, enorme, che arrivava ed entrava nella barca… Non sto esagerando…. questa è la descrizione esatta. Abbiamo fatto quasi tutta la traversata così poi quando siamo arrivati sotto costa di Faial, abbiamo virato a sinistra e prendevamo le onde da davanti, anche qui entravano nella barca. Si vedeva il panico negli occhi delle persone. Una volta al porto, recupero bagagli e di nuovo su un altro pullman fino all’aeroporto. Altro check-in e finalmente, con 3 ore di ritardo … saliamo sul nostro aereo …. micro aereo …  Ci sono 8 file e l’ultima, dove siamo seduti noi, ha 5 posti, come i pullman. In meno di 1 ora siamo a Sao Miguel. L’aeroporto orami è deserto. L’addetto del rental car ci ha aspettati. Abbiamo affittato da Autatlantis Rent a Car (https://www.autatlantis.com/) e pagato € 354 al momento della prenotazione, per una yaris ibrida. Appena abbiamo saputo di tutto il tour de force che avremmo dovuto fare, abbiamo avvisato André, il figlio dei proprietari del lodge dove avevamo prenotato. Lui ci ha detto che non c’erano problemi se non per il fatto che su quest’isola, per via del Covid, tutti i ristoranti chiudono alle 22 e che quindi sua mamma ci avrebbe organizzato la cena. Noi gli abbiamo detto di non preoccuparsi e che ci saremmo aggiustati. Per questo cerchiamo un Mc Donald giusto per prendere due cose al volo e mangiarle a destinazione. Arriviamo che sono le 22.30 e la proprietaria… ci ha preso le pizze e non ha voluto neppure che gliele pagassimo. Troppo gentile!! Come ho scritto all’inizio, la nostra camera è al piano terra della loro casa, una casa indipendente con giardino. Hanno ritagliato questo angolino tutto in legno per gli ospiti. Esternamente ci sono un gazebo con tavolo e griglia ed un laghetto con i pesci. La casa ha un locale unico come sala-cucina e c’è un letto a castello mentre la camera matrimoniale è in una stanza a parte. La proprietaria ci ha fatto trovare anche una tarte tatin di mele, due estratti di ananas, latte normale e di soia. Doccia, ceniamo e a dormire… giornata impegnativa ….

Hotel: Azor Eco Lodge a San Vincente Ferreira – € 159 a notte, rimarremo 2 notti – appartamento in self catering (https://www.airbnb.pt/rooms/25249155?source_impression_id=p3_1626638312_izQre1VcW3deJE%2FA)

Prenotato su Air B & B – pagato acconto quando prenotato – saldo pagato qualche giorno prima di arrivare

9) 13 agosto 2021 venerdì: Azzorre (isola Sao Miguel)

Dopo colazione fatta con la buonissima tarte tatin della proprietaria, facciamo una videochiamata con nostro figlio Matteo. Ieri sera tardi è tornato da Zante e questa mattina è andato a prendere i nostri labrador in pensione… Ora siamo più tranquilli sapendo che tutti sono rincasati senza problemi. Partiamo poi per visitare la zona ovest passando dall’entroterra. Ci sono nuvole alte ma si intravede il sole. Ci fermiamo per una foto al Coal Peak Viewpoint. Si ha un bel colpo d’occhio su un piccolo cratere, sui prati pieni di mucche ed in lontananza il mare. Anche su quest’isola, chiamata isola verde, il verde … fa da padrone. Parcheggiamo sulla strada, appena fuori dal cancello per visitare i Lagoa das Empadadas. Ci sono dei facili sentieri che li collegano. Ci sono piante particolari e molto muschio. Non riusciamo ad apprezzare tanto il posto perchè c’è la nebbia. Da quel poco che vediamo, ci sono scorci molto belli. Ci spostiamo poi al parcheggio per visitare il Miradouro da Boca do Inferno. Bisogna camminare un bel pezzo prima di arrivare al punto panoramico, fa freddo, ci sono 16°, c’è vento e pioviggina …. Il muschio ricopre tutto, anche i punti griglia e i tavoli da pic-nic. Quando arriviamo a destinazione … siamo completamente avvolti dalla nebbia …. fa sorridere la foto attaccata su un cartellone che mostra quello che si dovrebbe vedere … secondo me l’hanno messa apposta perchè ben poche persone hanno il privilegio di vederlo dal vivo …. quindi uno immagina com’è… che nervoso… questo e Lagoa do Fogo, sono i due punti più famosi e belli dell’isola… Ci spostiamo poi sempre più in basso, verso ovest. Ci fermiamo al Miradouro do Cerrado das Freiras. Qui la nebbia non c’è e si vede un timido sole. Finalmente un bel colpo d’occhio sulla caldera di Sete Cidades. I due laghi effettivamente hanno colori diversi. Bello. Appena oltre sosta al Miradouro da Lagoa de Santiago. Anche questo è un lago che si è creato in una caldera. Le pareti del vulcano  sono completamente coperte da vegetazione. Passiamo solo in macchina per Sete Citades e puntiamo al mare. Ci fermiamo al bellissimo Miradouro da Ponta do Escalvado dal quale si ha un gran colpo d’occhio sulle scogliere, sul mare azzurro e su Mosteiros. Qui c’è vento ma non c’è neppure una nuvola e ci sono 28°… Raggiungiamo Mosteiros e andiamo a pranzo al ristorante Ilheu. Spenderemo € 28 per due piatti di merluzzo fritto e verdure ed uno di maiale con verdure. Pranzo buono sulla terrazza vista mare. Andiamo poi fino alla punta più a nord dove c’è il Sunset Steve’s Bar dove dicono si possa mangiare e bere qualcosa guardando il tramonto. Ci sono diversi tavoli da pic-nic. Parcheggiamo vicino al mulino e andiamo a vedere le piscine naturali Caneiros. Si creano delle pozze chiuse e ci sono le scalette per entrare in acqua. Ci sono onde grosse. Le persone restano in acqua fino a quando la marea sale ed il mare incomincia ad entrare. Poi diventa pericoloso. Ci spostiamo poi alla spiaggia a sinistra delle piscine. Ci sono i bagni ed i bagnini. Rimaniamo un attimo a prendere il sole e poi andiamo a vedere la bella Praia de Mosteiros. Ci sono onde enormi, mare cristallino. A destra della spiaggia ci sono due rocce verticali nell’acqua. Bello. Rimaniamo un attimo qui a guardare le onde poi ci spostiamo a Ferraria dove ci sono le terme e le piscine naturali calde dovute all’attività vulcanica. Ci sono diverse persone immerse ma vedendo che il mare si sta facendo sempre più grosso, il bagnino fa uscire tutti. Sao Miguel è diversa da Faial e Pico dove c’è meno turismo per la poca ricettività. Qui c’è davvero tanta gente. Andiamo al faro di Ferraria (bello ed in una bella posizione sulle scogliere e tra i campi di mais). Rientriamo quindi in hotel. Per cena avevamo prenotato a Ponta Delgada. Quando arriviamo scopriamo che non ci hanno tenuto il tavolo all’esterno (volevamo stare fuori) ma in un posto terribile, dentro. Quindi ce ne andiamo. Passeremo tutti i ristoranti del centro… tutti pieni e con lunghissimi tempi di attesa. Troviamo poi da Adega Regional un tavolo che verrà disponibile dopo un’ora. Non abbiamo alternative, facciamo un giro e attendiamo. Il centro di Ponta Delgada è carino. Torniamo poi al ristorante. Sono quasi le 22 ma fino a quell’ora ci si può sedere e non si hanno vincoli di lasciare il tavolo per il coprifuoco. La cena sarà molto buona, dovesse interessare hanno anche il barracuda. Spenderemo € 45 per 3 piatti di ottimi calamari alla griglia più verdure.

10) 14 agosto 2021 sabato: Azzorre (isola Sao Miguel)

Ci alziamo e notiamo una sedia fuori dalla porta d’ingresso. La proprietaria ci ha portato pan cake con marmellata e yogurt. Il bello è che la colazione non è compresa ma lei ce l’ha preparata ugualmente. Carichiamo la macchina e andiamo a salutare. Vediamo una massa nera che ci viene incontro. Io faccio un gridolino e loro pensano che ho paura quindi richiamano l’ammasso di pelo e mi dicono che è brava… il mio però era un gridolino di gradimento… perchè si trattava di una labrador nera anzianotta come la nostra Sunny… ci fa le feste e poi se ne va. Nel mentre rimaniamo a parlare con il marito (che parla inglese) … mentre la moglie … che non lo parla …. friggeva perchè non riusciva ad intervenire nei discorsi ….. Persone molto piacevoli. Partiamo puntando al mare. Andiamo a Ribeira Grande a vedere la bella spiaggia di Santa Baarbara dove fanno le gare di surf. C’è qualche ragazzo che cavalca le onde. Sono tutti con la muta. Andiamo poi a vedere la cascata Salto do Cabrito. Si raggiunge velocemente dal parcheggio. Bella. Ci sono i classici fiori gialli che crescono addirittura sulle pareti rocciose ripide. Proseguiamo poi per il Lagoa Do Fogo, il punto più famoso dell’isola. Dicono che sia davvero bello. C’è un lago in fondo alla caldera e sullo sfondo si vede il mare… così dicono… perchè noi abbiamo visto solo nebbia e vento forte… Siamo un pò jellati con queste caldere… Torniamo sul mare … dove c’è ovviamente il sole ….per andare a vedere il faro do Cintrao. Ci fermiamo al Miradouro Viewpoint do Ponta do Cintrão dove si ha un’ottima visuale sulle scogliere. Ci sono molte mucche che pascolano tranquille. Andiamo alla fabbrica di tè Gorreana (https://gorreana.pt/en/). Visitiamo il museo, assaggiamo il loro famoso tè (gratuito) e poi facciamo un giro per conto nostro, nella piantagione. Ci è piaciuto molto e i cespuglietti sono molto fotogenici. Inizia poi la follia di trovare un posto per pranzo. Questa cosa ci ha parecchio stressati. Avremmo fatto meglio a fare la spesa al market tutti i giorni e pranzare vista mare. Riusciamo a trovare a Calhau da Maia al O’Sagitario. Spendiamo € 34 e mangiamo malissimo. Andiamo poi alla cascata Salto da Farinha. Avevamo letto che la strada era molto ripida e che conveniva lasciare la macchina al parcheggio sopra… ma noi ovviamente, provare per credere … scendiamo. Va tutto bene fino a quando vediamo una curva a gomito (oltre c’è lo strapiombo sul mare). Questo fa si che non si può neppure prendere un minimo di rincorsa… quindi facciamo un tratto in retro, fino alla curva precedente, e parcheggiamo. Scendiamo a piedi. Qualche macchina sotto c’è… ma avranno sicuramente tribulato a salire. C’è un campeggio. Raggiungiamo la cascata percorrendo un sentiero immerso nel verde. Sarà una delusione, la location è bella… ma la cascata ha solo un rigagnolo che scende. Pier va ugualmente sotto il getto a fare la doccia… Abbiamo poi cercato su internet e molte immagini la ritraevano con una grande portata… spettacolare… pazienza. Risaliamo alla macchina … impiegheremo quasi 1 ora a fare tutto. Andiamo poi al Parque Natural da Ribeira dos Caldeirões (http://ribeiradoscaldeiroes.com/o-parque-natural/). L’ingresso è gratuito. Ci sono sacco di macchine e siamo un pò stanchi quindi rimandiamo la visita a domani. Andiamo diretti a Nordeste dove dormiremo.

Hotel: Casa Do Miradouro a Nordeste –  € 115 a notte, rimarremo 2 notti – appartamento self catering

(https://mt.airbnb.com/rooms/11394757?source_impression_id=p3_1626638608_NoREwaSEuwuUKpX7)

Prenotato: Air B & B  – acconto quando prenotato – saldo pagato qualche giorno prima di arrivare

Chiamiamo il nostro contatto che arriva in 5 minuti. E ci da le spiegazioni del caso. Dice che tutte le mattine troveremo il pane fresco attaccato alla porta d’ingresso. La casa ha due appartamenti. Uno più piccolo sulla strada ed il nostro che è vista mare. C’è un locale unico con cucina e sala (Martina avrà il divano letto matrimoniale) e poi camera matrimoniale in laterale con una finestra enorme sul giardino. Tutto è pulito e curato. Fuori abbiamo un tavolo con sedie ed ombrellone. Usciamo a guardare il panorama. Dove siamo noi c’è il sole che sta calando alle nostre spalle mentre sul mare piove. Si vedono le colonne d’acqua. Questo crea un arcobaleno dai colori nitidissimi. Pier e Martina vanno a fare due passi mentre io organizzo le valige e faccio un minimo di bucato. Usciamo poi per andare al market a fare la spesa per cena. Ceneremo qui, sul tavolo all’esterno e poi faremo una partita a carte.

11) 15 agosto 2021 domenica: Azzorre (isola Sao Miguel)

Siamo stati cullati tutta la notte dalla pioggia. Questa mattina è ancora uggioso. Partiamo per Furnas costeggiando il mare. La strada è lunga e tortuosa. C’è tantissima vegetazione. Non ci fermiamo ai punti panoramici perchè pioviggina e c’è la nebbia. Ci fermiamo a Provoaçao a fare la spesa per la cena. La piazza centrale è graziosa. Andiamo poi a Furnas. Dire che c’è il mondo è riduttivo. E’ pieno di pullman… parcheggiamo in centro e vediamo le Caldeiras da Furnas. Il sito è piccolo e si gira velocemente. Ci sono tante fumarole. In una, in una parte più nascosta, i ristoranti cucinano il mais bollito. Lo mettono in sacchi di juta. Ci sono anche diversi banchetti dove poterlo mangiare per strada. Ci spostiamo poi al Lagoa Das Furnas. C’è il sole. Il lago è molto bello e c’è un sentiero che lo costeggia tutto. Considerate che la parte destra ha l’accesso a pagamento, € 3 a testa, anche se si passa a piedi. Noi andiamo lì a parcheggiare. Anche qui ci sono le fumarole ed il terreno è molto caldo, al punto tale che viene cucinato il piatto tipico di Furnas, il cozido (carne e verdura), in pentoloni posizionati sotto terra. Ogni punto cottura ha un cartellino con scritto il nome del ristorante. Caratteristico. Se qualcuno è interessato, si può raggiungere a piedi il punto panoramico Miradouro do Pico do Ferro, da quello che vediamo il sentiero è ripido. Volendo si può anche visitare il parco Grenà (€ 10 a testa, l’ingresso è vicino alle fumarole e c’è un sentiero che porta ad alcune cascate nel bosco). Facciamo una camminata lungo il lago. Siccome è un pò tardi, abbiamo fame quindi decidiamo di andare a pranzo a Furnas… da panico… ovunque è strapieno, passiamo tutti i ristoranti, non troviamo nulla ed in più piove. Trovo finalmente un tavolo da Miroma. Ormai c’è più poca gente seduta anche perchè sono le 14.30 passate. Dopo mezz’ora che nessuno ci considera nonostante faccio più volte un cenno alla cameriera (maleducata), mi alzo a chiedere di portarci quanto meno il menù… dopo altri 20 minuti ci alziamo e ce ne andiamo. Posso capire se fossero stati nel pieno del servizio… ma ormai la gente o è tutta sistemata o se ne è già andata. Faccio due righe di conti, la costa nord è a pochi km. quindi decidiamo di cercare qualcosa là. Mentre viaggiamo faccio delle telefonate e trovo da O’ Corderinho a Lomba da Maia, vicino a dove abbiamo pranzato ieri. Mangeremo meglio di ieri ma sempre male (€ 30). L’unica cosa positiva è che è uscito il sole… Andiamo ancora al Parque Natural da Ribeira dos Caldeirões. Ci sono delle rive completamente ricoperte di fiori gialli. Il posto è turistico ma con un parco molto ben tenuto, ci sono due cascate, quella più a monte molto bella, e dei mulini ad acqua. Faccio qualche foto e poi torniamo in camera in tempo per vedere un altro arcobaleno. Ceniamo ancora lì. Notte, come sempre, super silenziosa …

12) 16 agosto 2021 lunedì: Azzorre (isola Sao Miguel)

Dopo colazione partiamo. Andiamo fino al Faro Ponta do Arnel. Consiglio di parcheggiare sulla strada e scendere poi a piedi. Alcune macchine di pescatori osano… ma la strada è ripidissima. Il faro è molto bello. Anzichè fare la strada di ieri, porta via molto più tempo per le curve fino a Provoaçao, passiamo da nord. Dopo Loba da Maia imbocchiamo la strada fatta ieri al contrario, la EN4-2 ma poi, anzichè andare a Furnas, giriamo sulla EN4-2A. Raggiungiamo il Lagoa Do Congro. Anche se pioviggina parcheggiamo e scendiamo nella caldera completamente coperta da vegetazione fitta. Impiegheremo in tutto 40 minuti a scendere e salire. Il sentiero è fangoso per la pioggia. Una volta arrivati al lago vediamo alcuni ragazzi che fanno il bagno. Raggiungiamo poi il mare con il sole. Andiamo a vedere il Faro Ponta Garça. Oggi non è visitabile. Carino, in mezzo al mais. Cerchiamo poi una spiaggia. Scegliamo Praia de Água D’Alto, Grande. La spiaggia è bella con le onde grosse. Ci riposiamo un’oretta ci facciamo una doccia e poi ricomincia il problema pranzo… Avevamo ottime recensioni del ristorante sulla piscina naturale di Caloura. Arriviamo là… almeno 40 persone in coda… il posto è bello e la terrazza si affaccia sul mare… Arriviamo fino a Lagoa dove troviamo posto… ovvio … sono le 15 al ristorante Borda d’Água. Mangeremo bene (€ 53) per per un piatto di patelle, 3 insalate di polipo e un piatto di pollo. Arriviamo poi al nostro hotel.

Hotel: Aparthotel Barracuda a Sao Roque – € 104 – camera tripla con cucina – solo pernottamento –

(https://www.booking.com/hotel/pt/aparthotel-barracuda-sao-roque.it.html)

Prenotazione: booking – pagato al momento della prenotazione

La struttura è vecchiotta. L’abbiamo scelta perchè volevamo un pernottamento non troppo distante dall’aeroporto in vista del volo di domani mattina presto. Non c’era molta disponibilità in zona e vedendo la location sulla spiaggia (nel senso che è proprio in spiaggia, dalla porta posteriore dell’hotel si passa direttamente sulla sabbia), lo abbiamo prenotato. La camera è una tripla con una piccola cucina. Il bagno è microscopico ma è tutto pulito. Scendiamo in spiaggia. C’è il mondo. Questa sera abbiamo prenotato in un ristorante di sushi, il Colmeia (https://www.acolmeia.com/). Ha ottime recensioni. Non è un all you can eat. Mangeremo benissimo (€ 66).

13) 17 agosto 2021 martedì: Azzorre (isola Sao Miguel) – Portogallo (Peniche)

Questa notte il mare arrabbiato ci ha cullati durante il sonno. Sembrava di averlo in camera… in effetti era a meno di 20 metri… La sveglia suona alle 4 … Andiamo poi a fare benzina (€ 39 per 444 km. fatti sull’isola, sicuramente si risparmia con una macchina ibrida). Con il buio pesto raggiungiamo velocemente l’aeroporto. Lasciamo l’auto dove l’abbiamo presa. C’è un responsabile che la controlla. Check-in, colazione e imbarco sulla Ryan. Partiamo puntuali alle 6.15. Un paio d’ore atterriamo a Lisbona. Portiamo avanti di 1 ora l’orologio. Andiamo al banco della Alamo dove abbiamo affittato una Micra per € 489 – pagato quando prenotato – su Rental Car (https://www.rentalcars.com/it/). E’ la prima volta che troviamo tutto computerizzato. Al banco ci sono vari computer dove gestisci la prenotazione. Aggiungiamo 17 € di telepass e poi ci addebiteranno 17 €  di autostrade. Danno una password. Andiamo poi al piano superiore. C’è un computer e vicino tanti cassettini. Digitiamo la password e si apre un cassetto con la chiave e il numero del parcheggio dove si trova la ns auto. Comodissimo. Partiamo direzione Cascais. Sosta veloce al faro e alla Boca do Infierno e poi andiamo a Cabo Raso. Qui c’è un faro (brutto) e ci sono dei bunker, della guerra, costantemente battuti dalle onde. C’è vento. Da questo punto in poi mi viene una certa nostalgia. In questi posti eravamo stati nel 2004 con il camper, i nostri bimbi avevano 4 anni (Matteo) e 2 (Martina). Praticamente una vita fa… Da Cabo Raso si vede Cabo da Roca in lontananza. Ricordavo la bella spiaggia do Guincho… solo che allora non c’era nessuna struttura e non c’era nessuno. La cosa che più mi ha lasciata stupita è la quantità di persone che troveremo. Posso capire che tutta l’Europa è costretta a rimanere in Europa per le vacanze, per via del Covid, ma non mi sarei mai immaginata così tanta gente. Andiamo a pranzare al Bar Do Guincho. Siccome è presto… troviamo posto. Mangeremo benissimo (polipo con patate, hamburger con verdure e pesce più verdure) a € 53. Il bar è proprio sulla bellissima spiaggia. Quando andiamo via vediamo una fila pazzesca di persone in attesa di un tavolo… Andiamo quindi a Cabo da Roca. Anche qui è cambiato tutto. Il certificato ufficiale di essere stati nel punto più occidentale d’Europa, lo abbiamo già fatto… quindi non entriamo negli uffici. Facciamo due passi e poi… facendo fatica a restare in piedi per il vento… andiamo a Peniche dove dormiremo due notti.

Hotel: Ilheu 25 Peniche House – € 157 a notte, rimarremo 2 notti – camera doppia + 1 singola – B & B

(https://www.booking.com/hotel/pt/ilheu-25.it.html)

Prenotazione: booking – pagato qualche giorno prima

Anche qui a Peniche, ricordavo la pace e il poco turismo… invece troviamo il mondo. Andiamo in un market ad acquistare un dolce per questa sera… abbiamo un appuntamento importante… Andiamo in hotel. Il proprietario è presente in struttura solo per il chek-in. Ci controllano il green pass (come tutti gli hotel altrimenti non puoi pernottare da nessuna parte) e ci sistemiamo in camera. Noi abbiamo una doppia mentre Martina una singola. La struttura sembra nuova, molto curata. Ha la piscina. Facciamo una doccia e poi andiamo a Cabo Cavoeiro dove… abbiamo appuntamento con i nostri carissimi amici Tiziana, Agata e Stefano che sono qui con il camper!!! Ho un attimo di malinconia …anzi un grande attimo… il loro camper è uguale a quello che avevamo noi …. Mobilvetta Kea M74 … che abbiamo venduto 3 anni fa … quando la nostra vita da camperisti è finita per via degli impegni dei nostri figli… e qui, nel 2004 avevamo dormito con un EVM… loro sono partiti da casa con il nostro tavolo da camper e le nostre sedie nel gavone… ma qui non riusciamo a mangiare giù quindi ceneremo sul camper. Vedremo il tramonto senza scendere per il vento pazzesco. Rimaniamo a chiacchierare fino a mezzanotte. Domani loro avevano dei programmi, noi altri… ma alla fine decidiamo di lasciarli da parte e di trovarci al campeggio di Lisbona dopo pranzo… per fare un pomeriggio + cena insieme nella capitale. Ci ritiriamo poi nelle nostre camere in hotel.

14) 18 agosto 2021 mercoledì: Portogallo (Peniche)

Colazione ottima a bordo piscina con una signora preposta a questo, molto gentile. Dovevano fare una cosa identica all’hotel di Pico… andiamo poi di nuovo al faro di Cabo Carvoeiro. Tiziana & family non ci sono più perchè andavano a Capo da Roca, per poi aspettarci a Lisbona. Facciamo soste sulla penisola di Peniche. Le scogliere sono a strapiombo sul mare… che è agitatissimo. In lontananza si vedono le isole Berlenga, dove avrei voluto andare oggi… se Martina ed Agata non avessero scelto la città … 🙂 🙂 🙂 Andiamo a fare due passi sulla penisola di Paopa. Adesso troviamo ponticelli che consentono di arrivare in punta. Ho la fissa di cercare il lavatoio dove avevamo fatto il bucato nel 2004 e lo troviamo!!! Tutto intorno è cambiato ma mi ricordavo la zona. Era un lavatoio molto bello, con le piastrelle colorate di blu. Mi era rimasto impresso perchè, mentre Pier caricava acqua nei gavoni, io avevo lavato i vestitini dei bambini ed avevo chiacchierato piacevolmente con due signore del posto che andavano lì quotidianamente. Ricordi ….. belli ma che creano nostalgia… Andiamo a vedere la spiaggia a sud di Peniche, chiamata Supertubo, per le grandi onde perfette per il surf …. ma il mare è piatto e non c’è nessuno che surfa. Per pranzo andiamo in un ristorantino La Boca (€ 34) dove mangeremo molto bene. Andiamo poi a Lisbona. Puntuali alle 14 ci troviamo con Tiziana e family fuori dal campeggio. Chiamiamo Uber, due macchine. Ci prendono a macchina, 7 €. Velocemente arriviamo in centro. Noi eravamo già stati mentre per Tiziana è la prima volta. Loro rimarranno qui anche domani quindi approfondiranno ed oggi vedremo velocemente le cose più importanti (con il tuc-tuc che ci è costato € 70 per tutti e ci ha portati in giro per 1 ora facendo varie soste). Portiamo Martina ed Agata nelle vie dello shopping … e si divertono a fare acquisti … che poi dovranno anche portarci a casa in camper …. altrimenti le nostre valige, già piene … non si chiudono più. Per cena andiamo da Alfaia dove mangeremo bene a € 80. Prendiamo il baccalà. Facciamo ancora due passi e poi chiamiamo Uber (10 €) per tornare. Ci salutiamo con i nostri amici. Noi abbiamo ancora quasi 1 ora di macchina per rientrare a Peniche.

15) 19 agosto 2021 giovedì: Portogallo (Peniche – Alcobaça)

Dopo colazione lasciamo l’hotel. Ci siamo trovati bene. Andiamo ad Obidos. Lo ricordavo bello e particolare e anche questa seconda visita, riconferma l’idea. Ci sono diversi negozietti (il più caratteristico vende scatole di sardine e libri…). Facciamo un tratto sulle mura e poi ripartiamo diretti al mare. Arriviamo a Foz do Arelho. Anche qui è pieno di persone. Tutti sono in spiaggia, prima della duna sul mare, dove c’è il delta del fiume che crea una zona perfetta per i bambini con l’acqua bassa e tranquilla. Noi pranziamo in un ristorante vista mare, l’Onda Bar, dove spenderemo 38 € per 3 ottime insalate di mare. Andiamo poi in spiaggia ma oltre la duna, dove praticamente non c’è nessuno. Le onde sono molto grosse. Nessuno fa il bagno. Rimaniamo qui un’oretta tranquilli. Andiamo poi verso nord passando per Sao Martinho Do Porto. La spiaggia si trova in una baia quasi completamente chiusa sul mare. Impieghiamo quasi un’ora per passare il paese dalle macchine che ci sono… Arriviamo poi al nostro pernottamento ad Alcobaça. Avevamo una prenotazione a Nazarè, l’unica decente che rimaneva… ma che comunque non ci convinceva. Giorni fa abbiamo cercato altro. Quando abbiamo visto le foto del Fonte Novao, anche se non sul mare, non abbiamo esitato a contattarli.

Hotel: Challet Fonte Nova –  € 131 a notte, rimarremo 2 notti – camera tripla – B & B

(https://challetfontenova.pt/en/)

Prenotato direttamente con loro, dato dettagli carta credito, pagato all’arrivo

Si tratta di una villa antica con arredi di un tempo. Molto elegante e curato. La nostra camera è grandissima. La proprietaria ci consiglia un ristorante dove prenotiamo subito. Prima di cena facciamo un giro per il centro, la cattedrale è molto bella, e poi andiamo ad occupare il nostro tavolo da Antonio Pedreiro. Per fortuna che avevamo deciso di cenare all’interno perchè fuori fa davvero freddo, chiedono il green pass …. mangeremo benissimo. Prendiamo un tagliere di antipasti con salsine varie ed assaggini poi un maiale con mele, un polipo ed una bistecca. Tutto davvero ottimo (€ 76).

16) 20 agosto 2021 venerdì: Portogallo (Alcobaça)

Colazione spettacolare curata nei minimi dettagli. Andiamo poi diretti a Fatima. Quando eravamo stati nel 2004, la piana davanti alla chiesa era un cantiere unico e non c’era nessuno… i bambini dormivano sul camper quindi eravamo venuti a turno fino alla cappella della apparizioni, ed eravamo da soli… Oggi ci sono tanti fedeli e la cosa pazzesca è che, nonostante la folla, regna il silenzio. Andiamo a Bathala per vedere la meravigliosa cattedrale. Pranziamo al Sandwich Club by Mosteiro do Leitão, 2 insalatone con pesce ed un panino ad € 26. Puntiamo poi al mare. Andiamo in spiaggia a Legua. C’è un bar e ci sono poche persone. Ci spostiamo di un centinaio di metri ed abbiamo tutto il resto della spiaggia per noi. Relax per un’oretta e poi torniamo in hotel. Per cena andiamo a Nazarè. Avevo visto le immagini di un ristorante nella parte alta, la più bella, con i tavoli su una terrazza a strapiombo sul mare. Il ristorante si chiama Arimar. E’ l’ultimo prima della discesa che porta al faro. Vedremo un tramonto meraviglioso. La cena sarà davvero buona due super spiedini di pesce (li portano appesi ad un trespolo verticale), una zuppa di pesce con granchio (sea food rice), il dolce e una brocca di sangria (€ 84). Torniamo poi in hotel super soddisfatti.

17) 21 agosto 2021 sabato: Portogallo (Alcobaça- Costa Nova do Prado)

Altra ottima colazione e poi lasciamo l’hotel. Andiamo a Nazarè, sempre nella parte alta, e scendiamo fino al faro (ingresso 1 €) . All’interno c’è un mini museo con le tavole da surf di chi ha vinto i mondiali. Ci chiediamo come è possibile che nel 2004 nessuno ci avesse parlato delle onde giganti e dei folli surfisti… poi leggendo scopriamo che questo posto è diventato famoso nel 2011. L’onda più alta cavalcata ha raggiunto l’altezza di oltre i 30 mt. Vediamo anche un video molto interessante sul perchè si creano queste onde paurose in inverno. Decidiamo di verificare quando saranno i mondiali del prossimo anno e di fare una capatina qui. Tanto con la Ryan si arriva a Lisbona in un attimo. La Praia do Norte ora ha il mare quasi piatto. E’ difficile immaginare, vedendo la pace ora, di come possa essere con l’inferno di onde e vento… Proseguiamo. Facciamo sosta veloce al faro San Pedro de Mohel e poi andiamo a Figueira da Foz solo per vedere il mercato coperto dove eravamo stati l’altra volta. Sempre bello con una quantità notevole di pesce. Oggi siamo in vena di amarcord …. pranziamo poi lungo la strada in un bar del quale non ricordo il nome. Passiamo per la Serra de Boa Viagem per vedere il faro a Cabo Montego ed andiamo in spiaggia alla Praia do Areão. Solita oretta sciallati e poi andiamo a Costa Nova do Prado. Il nostro pernottamento è sulla via principale.

Hotel: Family Hostel Costa Nova  – € 112 – camera tripla – solo pernottamento

(https://www.booking.com/hotel/pt/family-hostel.it.html)

Prenotazione: booking – pagato qualche giorno prima

E’ un ostello super pulito e ben tenuto. Ci sono anche camere con più letti ma la nostra è una family room solo per noi con il nostro bagno. Pier e Martina rimangono qui mentre io vado a fare foto. Le casette dipinte a righe verticali sono uno spettacolo. Per cena andiamo sul mare, nella piazza del faro. Il ristorante si chiama Praia do Farol. Ceneremo molto bene con la zuppa di pesce, calamari e tonno alla griglia con verdure, dolce e vino (€ 72). Ricordavamo che in questo posto c’era la nebbia la sera e al mattino (avevamo dormito vicino alla spiaggia con il camper) e le cose non sono cambiate. Quando usciamo non riusciamo quasi a vedere la luce del faro. Notte tranquilla.

18) 22 agosto 2021 domenica: Portogallo (Costa Nova do Prado – Porto)

Facciamo le valige e lasciamo l’hotel. La via tanto frequentata ieri, ora è deserta. La nebbia sembra quella nella pianura padana a novembre. Andiamo vicino al mare e facciamo colazione in un bar. Sulla via del ritorno faccio ancora qualche foto alle casette e poi andiamo ad Aveiro. Passeggiamo tra le via di quella che viene definita la Venezia del Portogallo. Il paese è carino e originale con le barche dei raccoglitori di alghe che portano i turisti a fare un giro … ma paragonarlo alla nostra Venezia… Andiamo poi al mare alla Praia do Furadouro. Pranziamo al ristorante Bamboo, molto buono (1 pasta al nero di seppia e due insalatone con il salmone € 40) e poi andiamo in spiaggia. Pier e Martina fanno il solito pisolino mentre io fotografo. Ci sono i pescatori che recuperano le reti in mare con le imbarcazioni tipiche del posto e poi dividono il pesce direttamente sulla spiaggia. Le onde sono grosse e ci sono decine di gabbiani che cercano di rubare il pesce. Ripartiamo e puntiamo a Vila Nova de Gaia dove c’è la chiesetta Capela do Senhor da Pedra, direttamente sulla spiaggia e con l’alta marea diventa un isolotto. Quando eravamo stati qui la spiaggia era deserta … ora … c’è il solito mondo …. Non ci fermiamo neppure e andiamo in hotel a Porto.

Hotel: Park Hotel –  € 81 – camera tripla – solo pernottamento

(http://www.parkhotel.pt/en/Menu/Hotels/Porto-Aeroporto.aspx)

Prenotazione: booking – pagato qualche giorno prima

Portiamo Martina e le valige e poi andiamo a restituire la macchina. Prima facciamo benizina (in tutto € 109 per 983 km.). Torniamo in hotel a piedi. Ci sistemiamo e chiamiamo Uber (€ 13) per andare in centro. Abbiamo prenotato al ristorante di sushi Battousai (https://battousaisushicafebar.business.site/?utm_source=gmb&utm_medium=referral). E’ un piccolo localino con soli 4 tavoli ed il proprietario cucina tutto sul momento. Non è un all you can eat. Mangeremo davvero bene come quella sera a Sao Miguel (€ 65). Andiamo poi a piedi fino al fiume Douro. Il ponte è illuminato e si sono tantissime persone. Alcuni artisti di strada suonano musiche molto belle. Per un attimo mi sembra di essere tornata alla vita di sempre e che quello che stiamo vivendo per via del Covid, sia solo una cosa lontana. Ho una sensazione di anormalità anche se in realtà questa sarebbe la vita normale … quella che abbiamo sempre vissuto e che spero potremo ritornare a vivere ancora quanto prima. Richiamiamo Uber che con 22 € ci porta in hotel. Litigo con le valige per riuscire ad incastrare tutto … cercando di rispettare i pesi di ognuna.

19) 23 agosto 2021 lunedì: Portogallo (Porto) – Italia (casa)

La sveglia suona alle 6.00 questa vacanza è stata caratterizzata dalle sveglie folli per i voli… andiamo a piedi in aeroporto per il volo che parte puntuale alle 9.30. Un paio d’ore dopo siamo a Malpensa. Spostiamo in avanti di un’ora. Matteo che ci viene a prendere all’aeroporto… e di corsa a casa dai nostri labrador che, come sempre, non sanno più a chi scodinzolare per la gioia.

E anche questa è andata, ed è andato tutto super bene. La ricorderemo come una vacanza molto bella in un posto che (parlo delle Azzorre), ci è entrato nel cuore.

Video con qualche mia foto: https://www.youtube.com/watch?v=3zwM3DnhHpA

PS: se qualcuno vuole qualche info non esiti a scrivermi: african.dreams2019@gmail.com.

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Peloponneso: là dove tutto è cominciato.

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Tanti anni fa il Peloponneso è stato il nostro “imprinting” con la Grecia, Paese che è diventato fin da subito il nostro luogo del cuore e dove dobbiamo ogni tanto tornare.

A causa delle restrizioni dovute al Covid per il secondo anno consecutivo vince la Grecia tra le diverse ipotesi, ma vogliamo cambiare dopo la vacanza dello scorso anno alle Cicladi.

C’erano alcuni posti che da tantissimo mi portavo dentro, non essendo riuscita a visitarli allora, come Monemvasia, Mystras, Voidokilia, e che mi ripromettevo di visitare prima o poi. Questa è stata l’occasione perfetta. Quindi un po’ di approfondimento sui luoghi da vedere, l’aeroporto più comodo, le nuove regole sui documenti da compilare per recarsi all’estero, che rispetto allo scorso anno sono aumentate, e siamo pronti per il nostro programma di viaggio tra Laconia e Messenia:

5 notti nel Mani

4 notti a Elafonissos

1 notte a Monemvasia

1 notte a Mystras

5 notti in costa Navarino

1 notte a Kalamata

MANI

L’aeroporto di Kalamata è perfetto per visitare il sud del Peloponneso. Una bella strada costiera ci porta, tra bellissimi panorami, deliziosi paesini (come Kardamyli dove ci fermiamo a pranzo) e salite tortuose, ad Areopoli, la nostra base per visitare la zona.

Areopoli è una cittadina graziosa, fatta di case in pietra nel tipico stile architettonico della zona (dimenticatevi case bianche e porte azzurre), tranquilla, ma col giusto movimento e una serie di locali per passare piacevolmente le serate.

Il Mani, in pratica la penisola centrale del Peloponneso, è un territorio aspro e selvaggio ma estremamente affascinante. Le distanze tra i vari luoghi da visitare sono brevi ma il tempo che serve a percorrerle è lungo. Meglio non fare programmi dettagliati ma lasciarsi guidare dalle proprie sensazioni. Noi abbiamo passato ore piacevolissime in alcune delle tante calette di ciottoli bianchi e acqua cristallina della costa occidentale, scelte a caso, vedendole dall’alto mentre passavamo. Basta lasciare l’auto e cercare un sentierino che le raggiunga.

Poi ci sono i piccoli villaggi che incantano, come Gerolimenas, un piccolo porto e una spiaggetta con acqua verde smeraldo, Porto Kagio, uno sterrato alcune case e acque trasparenti o Limeni dove si scende da una scala (non ci sono spiagge) e si nuota davanti alle case. Noi lo abbiamo fatto un paio di sere al tramonto fermandoci poi per un’insalata greca nella taverna sovrastante. E’ stato bellissimo.

Sul lato est della penisola abbiamo trascorso piacevolmente alcune ore nella bella spiaggia di Skoutari, caratterizzata dalla deliziosa chiesetta bizantina a pelo d’acqua, concludendo con una passeggiata sul lungomare di Gytheio.

Da non perdere poi una visita a Vathya, il villaggio di torri in pietra, l’immagine iconica del Mani, e le grotte di Dirou, visitabili in barca e a piedi, che ci hanno veramente sorpreso.

Abbiamo dedicato alcuni giorni a questa zona, ma penso che varrebbe un’intera vacanza di due settimane.

ELAFONISSOS

Pochi minuti di traghetto dalla località di Pounta e si arriva in questo piccolo paradiso. Già durante la traversata si inizia a percepire cosa ci aspetta, ma una volta raggiunta la famosissima Simos Beach si rimane veramente a bocca aperta.

Le sfumature del mare sembrano finte tanto sono belle, la sabbia è bianchissima e non ci sono troppe persone. Semplicemente il paradiso, rovinato purtroppo dal fortissimo vento che non è mai calato durante tutto il nostro soggiorno.

Oltre a Simos Beach a Elafonissos c’è solo un’altra spiaggia (se si esclude la spiaggetta del paese), Panagitsas anch’essa comunque bellissima e dalla quale si ammirano tramonti favolosi.

Esiste solo un piccolo paesino al porto, con un grazioso lungomare ricco di negozietti e ristorantini, alcuni deliziosi e romantici, con i tavolini sulla sabbia, a un metro dall’acqua.

A conti fatti, per noi, quattro giorni fermi ad Elafonissos, nonostante la bellezza del luogo, sono risultati un po’ troppi. Non siamo da “stessa spiaggia stesso mare”, ma qui non si può fare altro e l’ultimo giorno abbiamo veramente iniziato a sentirci un po’ in gabbia. Tre giorni sarebbero stati più che sufficienti.

MONEMVASIA

Prendiamo il primo traghetto del mattino e, percorrendo una tortuosa strada di montagna, in un’ora e mezza siamo a Monemvasia, piccolo borgo di origine medievale costruito ai piedi di un promontorio roccioso e collegato alle coste della Grecia tramite un sottile lembo di terra.

Con un po’ di fortuna si riesce a parcheggiare lungo la strada che la collega alla costa, altrimenti un servizio di navetta fa continuamente la spola dai parcheggi alla porta principale del paese. Volendo si può anche percorrere la strada a piedi, sarà circa 1,5 km.

Si tratta di una roccaforte circondata da mura e non visibile dalla terraferma. E’ suddivisa in due parti: città bassa in buona parte ristrutturata con piazzette, chiese e numerosi negozi, ristoranti e bar, e città alta completamente in rovina fatta eccezione per la chiesa di Agia Sofia. Abbiamo passeggiato per la città bassa al mattino poi siamo saliti nella parte alta al tramonto. Vista bellissima ma la chiesa chiude alle 15,30.

A ora di cena il paese si è riempito all’inverosimile e solo con un’enorme colpo di fortuna abbiamo trovato posto in uno dei tanti caratteristici ristoranti con terrazza sul mare.

Una tappa da fare sicuramente Monemvasia, magari sostando, come abbiamo fatto noi, una notte.

Un tantino presa d’assalto in Agosto, ma sicuramente molto affascinante.

MYSTRAS

Si passa da Sparta, nome tanto famoso quanto è anonima la città, e in pochi chilometri si arriva al paesino di Mystras, alle porte dell’omonimo sito.

Si tratta di un affascinante complesso di rovine bizantine formato da chiese, fortezze, palazzi situati in un contesto spettacolare.

A mio parere un sito da non perdere assolutamente, forse una delle tappe più belle del viaggio. Si sviluppa sul fianco di una montagna, ci sono due ingressi, uno in basso e uno uno alto, se si alloggia in paese conviene trovare un passaggio per l’ingresso alto in modo da effettuare la visita tutta in discesa (il sito è molto vasto e in forte pendenza) e rientrare a piedi al proprio alloggio.

Per la visita servono circa 3 ore, anche qui preferibilmente al tramonto.

Per il resto Mystras non offre altro che una cena in uno dei pochi ristoranti sulla minuscola piazzetta.

COSTA NAVARINO

L’ultima tappa della nostra vacanza è stata nella regione della Messenia. La base scelta è Pylos. Ci arriviamo dopo una sosta ed un bagno rinfrescante nelle piscine naturali delle cascate di Polylimnio, anche se la discesa e soprattutto la risalita sono stati una bella fatica.

Pylos è un paesino piacevole, il centro si sviluppa attorno ad una grande piazza con platani enormi sotto ai quali la sera si accendono le luci di tanti bar all’aperto. Non ci sono spiagge, ma l’accesso al mare è facilitato da alcune piattaforme con scalette. Insomma una specie di enorme piscina sotto casa dove gli abitanti dalle prime luci dell’alba al tramonto passano ore ed ore galleggiando e chiacchierando nelle sue acque tiepide.

Costa Navarino ha una vocazione decisamente vacanziera con le sue lunghe spiagge di sabbia che digradano molto dolcemente in acque calde e tranquille. Ovviamente il must in zona è la meravigliosa spiaggia di Voidokilia, con la sua perfetta forma ad “omega”. Ha atteso pazientemente tanti anni il suo turno e finalmente ce la possiamo godere pienamente.

E’ semplicemente meravigliosa. Consiglio di andare al mattino presto nella parte opposta al parcheggio, anche se sembra lontanissima. La prima parte verso le 13/14 si trasforma in un vero e proprio carnaio, unico caso di assembramento che abbiamo trovato in tutta la vacanza.

Tutta la costa di questa regione è caratterizzata da spiagge di sabbia con accesso facile. Un’altra che sicuramente non va persa è la parte finale di Chrisi Ammos dopo Divari Beach proseguendo sulla stradina sterrata fino di fronte all’isola di Sphaktiria (che si può anche raggiungere con una breve nuotata). Un’oasi di pace e uno specchio d’acqua calda e tranquilla.

Ma in questa regione c’è tanto di più oltre al mare: deliziosi paesini come Koroni e Methoni con la sua bellissima fortezza. E siti archeologici interessanti tra i quali il Palazzo di Nestore e soprattutto l’imperdibile Antica Messene, degna dei famosissimi siti del nord del Peloponneso e nella quale abbiamo concluso la nostra bella vacanza.

BREVI CONSIDERAZIONI FINALI

Ovviamente anche quest’anno la Grecia ha pienamente soddisfatto ogni nostra aspettativa. Abbiamo ritrovato quei luoghi che tanti anni fa ci hanno affascinato. Ben lontani dall’immaginario collettivo di Grecia autentica da cartolina, tuttavia autentici e genuini al 100%.

Dopo l’esperienza recente alle Cicladi è stato un piacere riscoprire che si può ancora cenare spendendo veramente poco. Per quanto riguarda gli alloggi l’offerta è varia, da semplici studios economici a hotel di charme. Solo ad Elafonnissos l’offerta è limitata e conviene prenotare con largo anticipo.

Le note dolenti invece sono iniziati col noleggio dell’auto. I prezzi erano alle stelle. Dopo una lunga ricerca ho trovato CarHellen che con un costo praticamente dimezzato offriva noleggio e assicurazione all inclusive senza anticipo, senza franchigia e senza dover presentare carta di credito. Il servizio è stato ottimo. Come detto tra tutti i luoghi visitati quello che sicuramente in futuro potrebbe meritare un’altra vacanza è stato il Mani, ma ovviamente sono solo gusti personali, ogni luogo in cui siamo stati ci ha regalato qualcosa.

L’ultimo pomeriggio, per ragioni logistiche, lo abbiamo trascorso a Kalamata, ma non ci è sembrata particolarmente interessante. Può andare bene appunto se il volo richiede di dormire nei pressi dell’aeroporto, altrimenti si può tranquillamente passare oltre.

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Trentino e Alto Adige agosto 2021. Tanti laghi, ospitalità e paesaggi mozzafiato

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Noi, da sempre, siamo amanti del mare, soprattutto in estate, ma in questo periodo molto particolare, con tante mete bloccate dalla pandemia e altre con il concreto rischio di cambio di regole o comunque con limitazioni a visite e spostamenti, abbiamo deciso di usare la settimana che di solito ci prendiamo a fine agosto per visitare una delle regioni più belle d’Italia, il Trentino Alto Adige, che avevamo iniziato a visitare a piccoli mordi e fuggi da quando nostra figlia si è trasferita a Trento per lavoro.

Questa volta, abbiamo a disposizione quasi una settimana intera, arrivando domenica 22 agosto e dovendo rientrare sabato 28 agosto. Come nella altre occasioni, decidiamo di soggiornare all’Agritur Ponte Alto, di Povo, alle porte di Trento, scelto la prima volta perché molto vicino all’appartamento dove vive mia figlia, ma sempre confermato anche nelle altre occasioni perché ci siamo sempre trovati molto bene.

L’Agritur Ponte Alto è a conduzione familiare accanto a un grande vigneto, dalle cui vigne i proprietari producono un vino molto apprezzato. Ottima accoglienza e disponibilità da parte dei gestori. Camera moderna, ben attrezzata, colazione ottima preparata in loco. Ideale come punto di appoggio per visitare il tutto il Trentino e l’Alto Adige. Ospitano senza problemi anche il nostro cane, di taglia medio grande, che non sempre viene accettato.

La domenica è solo di riposo e ci concediamo dei giri in zona con la famiglia al completo e riunita in questa settimana. Da lunedì 23 partiamo con il nostro programma di escursioni che è abbastanza fitto anche se non esasperato. L’idea è di vedere tanto ma senza arrivare stanchi morti a casa alla sera. Purtroppo, quasi ogni giorno, le ore che avevamo pensato di lasciare al riposo, le abbiamo passate in coda in macchina, perché in questa settimana tutto il Trentino è ancora pienissimo di turisti e, considerando magari anche il fatto che i residenti locali sono tornati al lavoro con l’apertura di tutte le attività dopo le chiusure di ferragosto, soprattutto verso le 18 le strade attorno a Trento sono completamente bloccate da auto in coda.

Lunedì 23 agosto facciamo la prima escursione in Alto Adige e la meta è il lago di Carezza. Ci si arriva in poco più di un’ora da Trento. Si esce a Bolzano Nord e si prosegue verso Nova Levante. Il lago è ad una decina di minuti dal paese. Proprio di fronte al lago c’è un grande parcheggio, non avevamo prenotato, ma arrivando alla mattina, relativamente presto, ci sono tantissimi posti ancora liberi. Il costo è molto basso, considerando il luogo di grande rilevanza turistica, 1 euro all’ora.

Proprio di fronte al parcheggio, attraversata la strada, si percorre un breve tunnel, che porta da un lato ad una zona con negozietti di souvenir e un paio di ristoranti per turisti e, dall’altro, proprio al lago incastonato tra i monti.

Il lago di Carezza è piccolino, si gira tutto in una quindicina di minuti ma la sua grande bellezza sta nei colori, una serie di tonalità dello smeraldo. Infatti, grazie ai colori riflessi nella luce del sole viene chiamato anche “Lago dell’Arcobaleno”. Il lago non ha emissari visibili, ma viene alimentato da sorgenti sotterranei che portano l’acqua dalle cime del monte Latemar. Il livello d’acqua quindi varia di continuo e secondo la stagione: normalmente in tarda primavera raggiunge il livello più alto con 22 metri di profondità, grazie al scioglimento della neve, in ottobre invece il livello più basso con appena 6 metri. A fine agosto quindi il lago lo troviamo con relativamente poca acqua ma restano i riflessi favolosi degli abeti e delle montagne sulla superficie del lago.

Lago di Carezza

Ci fermiamo nel balconcino creato appena sopra il lago per fare decine di fotografie approfittando anche del fatto che a quell’ora il grosso dei turisti devono ancora arrivare. Il lago è incantevole ma non possiamo non notare subito la quantità impressionante di alberi abbattuti in tutta la montagna sovrastante. Qua la tempesta Vaia, nell’ottobre del 2018 ha fatto danni notevolissimi nell’ecosistema, causando la caduta di milioni di alberi, i cui fusti recuperati si vedranno accatastati uno sull’altro in pile altissime in tutti i sentieri attorno al lago.

Iniziamo il giro attorno al lago di Carezza, ma a metà percorso iniziamo a vedere diversi sentieri che portano verso la cima del monte oppure verso altre zone. Prendiamo il sentiero in direzione del Lago di Mezzo, che raggiungiamo in pochi minuti, ma che troviamo completamente prosciugato. E’ diventato praticamente un prato, sembra quasi incredibile che in inverno l’erba che stiamo calpestando possa diventare un lago anche profondo alcuni metri, ma il motivo è lo stesso che causa la grande differenza di profondità del lago di Carezza nelle varie stagioni, ovvero la mancanza di immissari, e l’arrivo di acqua da sorgenti sotterranee.

Superato il lago di Mezzo, continuiamo in salita e camminiamo per un’oretta in un sentiero piuttosto facile verso la cima del Latemar. Il panorama è splendido con i grandi abeti che si ergono altissimi. Qualcuno ci supera passando i bicicletta e sono in tanti a camminare come noi, altri, a dire il vero, molto più attrezzati, con bastoncini, vestiti e scarpe da trekking. A noi basta passeggiare e goderci lo spettacolo delle montagne circostanti.

Rientriamo dal lato opposto del lago e, ormai affamati, andiamo a pranzare nel ristorante snack bar appena dopo il tunnel che porta verso il parcheggio. Si fa un pranzo veloce come tutti i turisti e poi decidiamo di andare verso la parte opposta rispetto al lago per attraversare un caratteristico ponte sospeso nella direzione di un vecchio mulino. Camminiamo ancora mezz’oretta nei boschi e poi rientriamo verso il parcheggio, ma prima di ripartire decidiamo ancora di fare qualche foto al lago di Carezza con le luci del pomeriggio, e quindi ombreggiatura diversa rispetto al primo mattino. I turisti sono nettamente aumentati e quindi ribadisco il consiglio di cercare di andare al mattino presto per godersi al meglio la bellezza del lago.

Prima di rientrare verso Trento, il nostro programma prevede due tappe, la prima nel paesino di Nova Levante, che è sulla strada del ritorno e ci era sembrato molto caratteristico. Ci fermiamo al primo parcheggio gratuito che troviamo e facciamo tutto il paese a piedi in poche decine di minuti di passeggiata. La casette sono davvero caratteristiche e anche il panorama che si può ammirare è molto bello.

Ripartiamo e la prossima tappa di giornata è la città di Bolzano. Ci fermiamo nel parcheggio sotterraneo a pagamento in zona centrale e in pochi minuti di camminata siamo nella centralissima Piazza Walther, con la grande statua in marmo bianco dedicata a Walther von der Vogelweide che ha dato il nome alla piazza. Attorno tanti negozi eleganti e caffè con tanti turisti che sono seduti a godersi il sole di questo pomeriggio di fine agosto.

Ci prendiamo un gelato e ci sediamo anche noi in una panchina della piazza e poi continuiamo un po’ a caso a passeggiare per le vie centrali di Bolzano. Attraversiamo via dei Portici e vediamo il Municipio e piazza delle Erbe, poi torniamo indietro e facciamo visita al Duomo prima di rientrare verso Trento trovando traffico molto intenso come praticamente succederà tutti i giorni della nostra vacanza.

Martedì 24 agosto abbiamo già il programma fissato da tempo e siamo diretti al lago di Tovel. Qua i parcheggi non sono tantissimi e quindi nei giorni precedenti ho prenotato il parcheggio più vicino al lago online per non avere brutte sorprese. Il lago lo abbiamo già visto altre volte nelle precedenti visite in Trentino, ma ha sempre un fascino molto particolare e i colori riflessi nel lago cambiano decisamente tra una stagione e l’altra. In autunno avevamo ammirato i tanti colori delle foglie che si riflettevano nell’acqua e le montagna circostanti innevate. Oggi il cielo azzurro e gli arbusti verdi sono i colori dominanti.

L’anello attorno al lago si percorre in un’oretta, ma noi ci prendiamo tutto il tempo che serve per fare foto, ammirare il panorama, sederci qualche minuto in una delle due spiaggette in riva al lago. Abbiamo anche i due cani (il nostro e quello di mia figlia) con noi che si divertono a passare tra un tuffo nel lago e una corsa nella montagna.

lago di Tovel

A circa metà dell’anello attorno al lago facciamo, per la prima volta, un sentiero verso la montagna che porta ad una cascata naturale, non fortissima, visto il periodo, ma comunque decisamente in linea con il paesaggio circostante. Continuiamo poi il giro ci fermiamo anche altre volte in riva al lago per fare fotografie e, alla fine, ci fermiamo a mangiare allo chalet proprio alla chiusura del percorso ad anello del lago. Lago di Tovel, davvero uno dei più belli della zona, incastonato tra le montagne, per colori, paesaggio e atmosfera. Non diventa più rosso dal 1964, quando, in determinato periodi dell’anno cambiava colorazione a causa di un’alga che affiorava in superficie e che ora si è estinta, ma è sempre un luogo pieno di fascino.

Tornando a Trento cambiamo la strada fatta in andata e attraversiamo in paesino di Tuenno, altro luogo incastonato tra i monti, nella Val di Non, dove non c’è angolo di collina che non sia pieno di meleti, con i frutti che iniziano ad assumere forma e colore e con la sensazione che la grande “macchina” della raccolta delle mele stia per partire. Il tempo di gustarci un gelato e poi non ci resta che cenare in famiglia, prima di riposarci in vista della nuova giornata.

Mercoledì 25 agosto abbiamo una giornata molto impegnativa, perché decidiamo di spostarci a sud, ai confini tra Trentino e Veneto per visitare, nell’ordine il lago di Ledro, la città di Riva del Garda, le cascate del Varone e il lago di Tenno. Sono tutte nella stessa zona, partendo presto al mattino, come siamo soliti fare, è fattibile, ma, purtroppo, dovremo fare ancora una volta i conti con il traffico, che ci ha costretti per parecchio tempo a stare fermi in coda.

Prendiamo quindi l’autostrada in direzione sud e usciamo a Rovereto Sud per poi andare in direzione Riva del Garda. In poco più di un’oretta arriviamo sulla riva del lago di Ledro. Lo scenario cambia completamente rispetto a Carezza o Tovel. Non siamo più in un lago di montagna, ma in un lago piuttosto grande, l’anello attorno al lago è di circa 10 Km. Ci sono tante persone che si apprestano a percorrerlo a piedi, ma molti di più in bicicletta, infatti il percorso attorno al lago è tutto perfettamente percorribile in bicicletta e in molti approfittano della bellezza del paesaggio per fare questa escursione in bici.

Il lago è un posto tipicamente turistico e attrezzato perfettamente di conseguenza. A pochi metri dalla grande spiaggia principale ci sono diversi campeggi, tutti pienissimi di turisti, molti dei quali tedeschi o olandesi, alcuni campi da tennis, noleggio di canoe, pedalò, barche e altri natanti, ci sono perfino mini club e animazione in stile villaggio turistico con musica a tutto volume. Insomma sono lontanissimi dalla quiete e dal silenzio dei laghi di montagna, ma il posto è comunque molto bello, l’acqua del lago è limpidissima e molti ne approfittano per fare il bagno. Si possono anche noleggiare ombrelloni e lettini, insomma un luogo attrezzato per una vacanza a tutti gli effetti.

Noi preferiamo non fermarci alla prima spiaggia e iniziamo a percorrere il sentiero che porta nell’anello attorno al lago. Superata la parte piena di campeggi e attività sportive si sale sulla collinetta sopra al lago e la vista dall’alto è magnifica. La temperatura è ideale e si cammina bene, bisogna solo fare attenzione alle tante biciclette che passano veloci nella stessa pista pedonale e ciclabile. Dopo un paio di chilometri di passeggiata torniamo indietro perché gli impegni della giornata sono tanti. Prima di riprendere la strada in macchina ci fermiamo però a riposarci una mezz’oretta sulla spiaggetta principale, nonostante la musica dell’animazione del campeggio arrivi molto alta, è molto rilassante stare sulla riva del lago coricati sulla sabbia. Il Lago di Ledro è quindi soluzione per chi cerca una vacanza tranquilla in riva al lago e comunque con diverse escursioni naturalistiche in zona.

E’ già passato mezzogiorno da quasi un’ora, la fame inizia a farsi sentire ma decidiamo di confermare il nostro programma e di andare a cercare qualcosa per pranzo a Riva del Garda. I chilometri di distanza da Ledro non sono tanti, ma il solito traffico congestionato ci costringe in macchina quasi un’altra ora prima di trovare posto in un parcheggio libero non lontano dal centro della cittadina posta nel lato più a nord del lago di Garda.

E’ molto tardi per pranzo ma tutti i locali sul lago sono aperti e quindi c’è solo l’imbarazzo della scelta. Decidiamo di fermarci al primo che ci ispira e finalmente riusciamo a pranzare. La cittadina di Riva del Garda è molto carina, con ancora tanti turisti e tante barche che partono per scendere lungo il grande lago. Decidiamo poi di salire con un ascensore fino ad un punto panoramico dove si può ammirare tutta la città e soprattutto gran parte del lago. Anche qua facciamo una mezz’oretta di coda prima di poter salire (con il Covid al massimo possono salire nel grande ascensore solo 10 persone alla volta), ma la giornata limpida aiuta e quindi decidiamo di aspettare il nostro turno e facciamo bene perchè lo scenario è veramente incantevole. Dal punto sulla collinetta dove parte l’ascensore si arriva in poche decine di metri anche ad una antica fortezza, parzialmente ricostruita, niente di particolarmente rilevante dal punto di vista storico, ma comunque la location risulta particolarmente suggestiva.

Dopo il punto panoramico facciamo un giro nel centro della cittadina per poi riposarci con un gelato su una panchina in riva al lago. Siamo ampiamente in ritardo sulla tabella di marcia ma non vogliamo correre quindi prendiamo in tempo che ci serve e poi torniamo a prendere la macchina per dirigerci alle vicine Cascate del Varone.

Non serve prenotare, l’ingresso è continuo, prima di entrare facciamo un salto nel market accanto all’ingresso per comprare gli impermeabili usa e getta, definiti indispensabili da tutti i commenti perché all’interno è praticamente impossibile non bagnarsi durante il percorso di visita alla cascata. La visita è molto veloce, ci sono solo due punti di osservazione da vicino della cascata, il primo, poco dopo l’ingresso dal basso e il secondo dall’alto, però è veramente molto bello e suggestivo.

Arriviamo quindi in pochi minuti alla grotta inferiore, qua si osserva la cascata nel suo punto di arrivo, 40 metri sotto la partenza e il getto è veramente forte e impetuoso. I colori artificiali che vengono proiettati sulla cascata creano un effetto scenografico notevole. Il frastuono dell’acqua che cade a terra è fortissimo e molto suggestivo. Attraverso un percorso obbligato fatto di stradine e ponticelli si esce dalla piccola grotta e si riprende la strada in salita verso la grotta superiore.

Per arrivare in alto si attraversa il giardino botanico, con centinaia di piante e fiori che accompagnano il cammino dei turisti attraverso oltre cento scalini che portano alla grotta superiore. A questo punto si entra in un tunnel scavato nella roccia lungo una quindicina di metri e ci si ritrova a pochi passi dall’origine della cascata, che sgorga fortissima dalla roccia anche qua immersa in una scenografia colorata che va a completare ottimamente il paesaggio naturale già decisamente suggestivo.

Inutile dire che siamo completamente bagnati e che l’impermeabile cerato era assolutamente indispensabile anche in estate. Il percorso viene completato in meno di mezz’ora, ma la cascata del Varone è sicuramente uno dei luoghi più originali e suggestivi che si trova in Italia, siamo soddisfatti di essere venuti.

Orami è già pomeriggio inoltrato, ma abbiamo ancora una tappa di questa lunga giornata passata nel basso Trentino, il lago di Tenno. Non è molto lontano come chilometri, ma, come al solito, il traffico intenso ci costringe a quasi un’altra ora di spostamento in macchina e arriviamo a Tenno che sono già le 18 passate, ma per fortuna il tempo è bello e fa ancora caldo.

Il parcheggio a pagamento, proprio sopra il lago, almeno a quest’ora, ha diversi posti liberi, poi si scende al lago con una serie di scalini che portano sulla riva. Prima di scendere però ci godiamo il panorama bellissimo dall’alto dello splendido lago dai colori magnifici che sembrano nati dalle prove di un pittore, caratterizzato da una isoletta al centro del lago, raggiungibile a nuoto dai più temerari.

Scendiamo e c’è ancora gente sulla riva qualcuno sdraiato a rilassarsi, qualcuno sta facendo il bagno. Non è attrezzato come il lago di Ledro o come i laghi di Caldonazzo e di Levico che avevamo visitato nella precedente visita in Trentino, ma è veramente un posto rilassante, che trasmette una sensazione di calma e tranquillità.

Facciamo tutto il giro attorno al lago nel percorso di un paio di chilometri che è quasi tutto attorno alla riva, ma per alcuni tratti entra nel bosco in diversi saliscendi molto suggestivi. Ormai sono oltre dieci ore che siamo in giro e la stanchezza si fa sentire, quindi prima di rifare la scalinata che porta al parcheggio, ci corichiamo qualche decina di minuti nella spiaggetta principale del lago, ormai quasi completamente svotata di turisti. Peccato aver avuto poco tempo a disposizione, ma il lago di Tenno è stata una delle più piacevoli scoperte della vacanza. Molto meno rinomato dei più noti laghi di montagna, a noi è piaciuto veramente tanto, proprio per la sensazione di tranquillità e simbiosi con la natura che riesce a proporre.

lago di Tenno

Ormai è davvero ora di tornare a Trento, proviamo una strada diversa per tentare di evitare un po’ di traffico. Passiamo tra l’altro accanto al lago di Toblino, caratterizzato dalla presenza dell’omonimo castello che sembra proprio nascere dalle acque del lago. Non c’è tempo ovviamente di fermarsi. Arriviamo a Trento dopo circa un’ora di strada, è un orario praticamente in cui i ristoranti chiudono, ma per fortuna siamo “ospiti” di nostra figlia, che, pur essendo appena rientrata anche lei dal lavoro, ci fa trovare la cena pronta. E’ stata davvero una giornata intensa quando invece nella previsioni doveva essere quasi un riempitivo tra un appuntamento importante e l’altro.

E giovedì 26 agosto è invece una di quelle date già fissate da tempo nel calendario, perché prevede la visita più aspettata di tutta la vacanza, quella al lago di Braies. E’ forse il posto più turistico di tutto il Trentino Alto Adige, abbiamo già prenotato il parcheggio da tempo, il più vicino era già esaurito un mese prima, troviamo posto al grande P2. Ci sarebbe anche un più piccolo P3 ad un chilometro dal lago. Gli altri parcheggi sono più lontano e si arriva poi solo con bus o navette. Senza prenotazione del parcheggio o di un hotel non si entra in macchina nei 5 Km attorno al lago.

Partiamo presto al mattino, l’autostrada A22 è, come al solito trafficata, ma abbastanza scorrevole almeno fino a Bolzano, l’ultimo tratto che porta all’uscita di Bressanone è molto rallentata ma i problemi di traffico arrivano una volta usciti dall’autostrada e diretti in Val Pusteria, in direzione di Braies. Qua il traffico è davvero intenso e, a tratti, si viaggia a passo d’uomo. Dopo Brunico proviamo a cambiare strada seguendo le indicazioni di Google Maps che ci propone un’alternativa con una decina di minuti in meno di tempo per arrivare a destinazione, ma il traffico è sempre simile, brevi tratti a 30-40 all’ora e altri tratti a passo d’uomo. Da Trento in condizioni ideali ci si dovrebbe arrivare in meno di due ore, adesso siamo quasi a quattro ore di macchina, davvero un’eternità, però alla fine, ci siamo e a pochi centinaia di metri dal grande parcheggio P2 appare il grande lago di Braies incastonato nei monti in tutta la sua bellezza.

E’ naturalmente pieno di gente, ma a parte la lunga coda per prendere le barchette di legno, lo spazio intorno al lago è molto vasto, così ci si riesce a spostare bene senza troppi problemi. Iniziamo il giro in senso antiorario come suggerito per evitare assembramenti, ma non tutti lo fanno. Siamo a oltre mille quattrocento metri di altitudine ma fa ancora piuttosto caldo. Per fortuna è bel tempo, c’è il sole e solo qualche nuvola bianca fa capolino tra le vette dolomitiche circostanti con un effetto ancora più scenografico.

L’aspetto che risalta maggiormente, oltre alla posizione proprio nella conca tra le alte montagne, sono le acque di un colore tra il turchese e il verde smerando che riflettono le montagne ancora parzialmente innevate. La passeggiata attorno al lago è di 4 Km. Ma vale la pena prendersi tutto il tempo possibile per fermarsi in più punti a fare fotografie e soprattutto a godersi il panorama.

lago di Braies

Sul lato destro del lago si trova subito una piccola chiesetta, poi un tratto piuttosto largo con una spiaggetta dove molti turisti si coricano per prendere un po’ di sole, fermarsi a mangiare qualcosa o semplicemente ammirare il panorama. Anche noi ci fermiamo e improvvisamente veniamo colpiti dal classico scampanellio che annuncia l’arrivo delle mucche e pochi minuti dopo infatti vediamo arrivare placidamente diverse mucche che, noncuranti dei tanti turisti che si avvicinano, attraversano la spiaggetta e si fermano sul bordo delimitato da un recinto. Nell’ora successiva arriveranno dal monte parecchie decine di mucche sempre anticipate dai campanacci che portano al collo. Sono sicuramente abituate alla presenza di tanti turisti perché si lasciano avvicinare e sembrano quasi posare per le tante foto ricordo.

Continuiamo il giro del lago e la parte sinistra è più impegnativa rispetto al primo tratto, è molto più stretta e con alcuni tratti in saliscendi su terreno piuttosto friabile. Si dovrebbe andare tutti nello stesso senso antiorario, ma spesso si incrociano turisti che provengono in senso opposto e questo rende un po’ fastidioso l’incrocio con altre persone. Si cammina accanto alle rocce e qualche sassolino mi cade anche in testa e sulla fronte facendomi spaventare un pochino e lasciandomi un piccolo taglietto come ricordo della gita al lago.

Cambiando visuale e prospettiva cambiano anche i colori del lago con un diverso riflesso nelle acqua. Anche il sole ovviamente ora cambia le ombre che si riflettono sul lago. Da questo diverso punto si notano anche punti particolari che dal lato opposto non potevano essere visti. Finiamo il giro senza renderci conto dell’orario, sono ormai le 15 passate e abbiamo saltato completamente il pranzo, anche se, prevedendolo avevamo fatto una colazione molto abbondante. Però ormai la fame si fa sentire e quindi decidiamo di prenderci panini e salumi nel chiosco del parcheggio P3 facendo il sentiero che dal lago porta al terzo parcheggio.

Dopo esserci rifocillati torniamo al lago perché resta ancora da fare il giro in barca, passaggio obbligato per tutti i turisti al lago di Braies. C’è ancora coda ma meno del mattino. Purtroppo il tempo è peggiorato, ora si è rannuvolato e il lago riflette meno le montagne circostanti, però, dopo quasi un’ora di coda siamo ben felici di salire sulla barchetta che ti proietta in quella specie di mondo incantato e fiabesco che è il lago di Braies.

Il noleggio della barchetta a remi è piuttosto caro, 19 euro per mezz’ora o 29 euro per un’ora, ma, almeno una volta, vale la pena farlo anche per vedere il lago da un’altra prospettiva ancora, dal centro. Remare è molto semplice, anche divertente, può farlo tranquillamente e senza pericoli anche chi non ha nessuna esperienza. Certo un pochino di attenzione deve essere fatta, perché le barchette in acqua sono tante, almeno una quarantina e c’è sempre un minimo di rischio di scontrarsi con un’altra anche se il lago è grande e quindi basta cercare di stare a distanza di sicurezza.

Oltre alle nuvole ora fa anche un pochino freddo, a star fermi sulla barchetta serve la felpa che per fortuna avevamo portato. Finiamo la nostra mezz’ora remando un po’ per uno e riportiamo a riva la barca pronta per essere nuovamente assegnata ai prossimi turisti in coda. Facciamo un passaggio al piccolo negozietto di souvenir e quando ormai sono quasi le 18 rientriamo al parcheggio, per riavviarci verso Trento.

Il viaggio di ritorno è sempre pieno di traffico, meno che al mattino, ma siamo sempre fermi per molti tratti e in altri viaggiamo a passo d’uomo. Non servono le quattro ore dell’andata, ma tre abbondanti sì. Complessivamente sette ore di auto per spostarci all’interno della stessa regione sono davvero tante. La visita al lago di Braies vale la pena di un viaggio tanto lungo ed estenuante, ma, se possibile, il consiglio è quello di visitarlo in un periodo dell’anno meno battuto dal turismo, anche se poi, ovviamente, va messo in conto il rischio meteorologico di trovare freddo, pioggia o neve.

Arrivati alla nostra base, siamo talmente stanchi che non abbiamo nemmeno fame, mangiamo giusto qualcosa di veloce e poi andiamo a letto per riprendere il giorno seguente una nuova escursione in quello che sarà l’ultimo dei giorni pieni della nostra vacanza in Trentino Alto Adige.

Venerdì 27 agosto è una altra giornata con molte mete. La prima è il lago di Molveno. Ci siamo stati molte altre volte, sempre solamente in riva al lago, questa volta vogliamo anche fare qualche escursione nei dintorni. Ci sforziamo ancora una volta di svegliarci molto presto per provare a evitare un po’ di traffico, che invece, almeno nell’ultimo tratto, ancora una volta ci costringe quasi a passo d’uomo.

Il lago di Molveno è un luogo molto elegante, ben curato, con tutti i confort che ogni turista potrebbe chiedere. La spiaggetta è anche attrezzata, volendo, si possono noleggiare lettini e sdraio, ci sono pedalò, barche di ogni genere e dimensioni, veicoli elettici da noleggiare, insomma tutto quello che si può chiedere ad un posto turistico. La giornata è un po’ ventosa e le nuvole non permettono si fermarsi a prendere il sole, ma comunque, almeno al mattino, si presta bene a fare lunghe camminate e quindi ne approfittiamo per prendere il primo sentiero che si addentra nel bosco dietro al lago.

lago di Molveno

Il percorso è in leggera salita, c’è molta gente a camminare e anche molti in bicicletta, quasi tutte con pedalata assistita in realtà. La strada è uno sterrato ben tenuto, ogni tanto arriva anche qualche macchina di personale che effettua manutenzioni. Noi camminiamo ad andatura lenta senza faticare troppo, dopo un paio di chilometri, arriviamo ad un bivio e decidiamo di addentrarci nel bosco, sempre seguendo il nuovo sentiero che ci porta ai resti di una antica fortezza proprio sopra un punto del lago da cui si può ammirare una vista fantastica dall’alto di tutto il lago di Molveno.

Dopo una breve sosta rifacciamo il percorso inverso e torniamo in un’altra oretta di cammino verso la riva turistica del lago e decidiamo di fare anche oggi una escursione in barca, scegliendo questa volta un veicolo elettrico. C’è da prenotare e aspettare una mezz’oretta, lo facciamo distendendoci a riva, anche se il tempo oggi è forse il peggiore della settimana, c’è freddino e anche i pochi temerari che al mattino facevano il bagno, ora si sono coperti. Finalmente arriva il nostro turno e proviamo questa barchetta elettrica per mezz’ora girando in mezzo al grande lago. A parte il tempo non proprio ideale, l’escursione e piacevole e rilassante e permette anche in questo caso una vista diversa dei luoghi circostanti, tra l’altro senza fare nessuna fatica visto che il natante si guida semplicemente con un joystick e un volante in modo veramente molto semplice.

Come il nostro solito arriviamo tardissimo a quella che dovrebbe essere l’ora di pranzo, non abbiamo né tempo né voglia di cercare in giro e ci fermiamo nei tavolini di uno dei tanti snack bar sulla riva del lago e ordiniamo qualcosa di veloce. Finito di mangiare torniamo rapidamente alla macchina perché i nuvoloni neri minacciano anche pioggia che però, almeno nel nostro percorso di giornata non cadrà mai.

Nel pomeriggio la prima tappa è al Santuario di San Romedio, che è nella direzione del ritorno verso Trento. Non è proprio nella stessa strada, ma comunque almeno un tratto si deve fare e non allunghiamo di molto. Ci siamo già stati a luglio, facendo la splendida camminata nella roccia che parte dal museo retico di San Zeno e arriva proprio all’inizio della salitella che porta al Santuario. Sono quasi tre chilometri in un sentiero che è un vero e proprio Canyon scavato nella roccia. In alcuni tratti chi è alto di statura deve fare molta attenzione a non sbattere la testa e per quasi tutto il percorso chi soffre di vertigini non deve guardare in basso verso lo strapiombo, ma per tutti è un’esperienza straordinaria, sembra proprio di camminare in una grotta scavata nella roccia, in un cunicolo fiabesco e segreto che non si sa mai cosa prevede alla curva successiva. Il panorama è davvero mozzafiato e l’altezza notevole. Non è pericoloso (a parte il rischio di sbattere la testa in altezza), ci sono diverse protezioni e, in alcuni tratti, anche una corda per aiutarsi a camminare, ma i continui saliscendi e alcuni passaggi molto stretti consigliano prudenza nell’affrontarlo.

Per percorrere tutto il sentiero con calma e godendosi il panorama serve un’ora abbondante. Questa volta non abbiamo tutto questo tempo e allora prendiamo la strada (piuttosto stretta essendo a doppio senso) che porta fino al parcheggio gratuito proprio all’inizio della stradina in salita ripidissima che conduce al Santuario. In dieci minuti di camminata arriviamo davanti al Santuario proprio nel momento in cui è previsto il rifornimento di cibo per l’orso Bruno che è ospitato nell’eremo di San Romedio dal 2013. L’orso, sequestrato in un circo che lo maltrattava, ha trovato la sua nuova casa nell’eremo di San Romedio dove viene nutrito e coccolato dal frati e dai volontari che lo seguono e può liberamente girare nell’amplissimo bosco recintato attorno al Santuario.

Chi visita il Santuario può quindi casualmente vedere anche l’orso quando è nella zona visibile del bosco e le maggiori probabilità sono proprio a metà pomeriggio quando viene dispensato il cibo (frutta e verdura in quantità notevolissima, vista la sua stazza). Anche oggi quindi si è radunata una folla di curiosi sperando di vedere l’orso e l’attesa non è stata vana. Proprio quasi in contemporanea con il nostro arrivo, l’orso ha fatto la sua comparsa sotto la staccionata di protezione intento a divorare le angurie, le mele e gli altri frutti messi a sua disposizione.

Orso San Romedio

Ammirato il grande orso nel suo ambiente “quasi” naturale, visitiamo con piacere ancora una volta la splendida chiesetta del Santuario proprio nel cucuzzolo della montagnola a sovrastare l’intera valle. Nel primo cortile e nella lunga scalinata interna che porta alla chiesa è pieno di ex voto, molti dei quali dedicati a bambini che evidentemente sono venuti al mondo in circostanze difficili e i genitori hanno portano il loro ringraziamento al Santo. La chiesa è piccola e raccolta ma molto bella con sensazione di grande spiritualità. Salando ancora si arriva al punto panoramico più alto dove si sovrasta tutta la valle.

Il nostro pomeriggio prevede anche la visita alla città di Trento. Come al solito anche oggi siamo in ritardo sulla tabella di marcia, ma è l’ultima possibilità per vedere un po’ della città di “adozione” di nostra figlia e quindi, al ritorno, non ci fermiamo a Povo, ma arriviamo al centro di Trento.

Dopo il solito traffico che, all’ingresso di una città che ha ripreso il ritmo lavorativo di fine estate e con ancora parecchi turisti, riusciamo a trovare parcheggio nel grande spiazzo gratuito di via Sanseverino e poi in una decina di minuti a piedi siamo in pieno centro e giriamo un’oretta tra le vie centrali a piedi, vedendo il Duomo di San Vigilio, la grande piazza di Palazzo Pretorio, Piazza Fiera e tutte zone turistiche.

E’ solo un assaggio della città che torneremo a vedere sicuramente nelle visite successive ma troviamo un luogo molto vivo e ben curato, ospitale e pulito, una bella città, che fa da collegamento tra il nord Italia industrializzato e il nord dell’Europa.

Come al solito torniamo a cenare tardissimo, ma era l’ultima sera trentina. Sabato 28 agosto è il giorno del ritorno a casa. Lasciamo l’agriturismo Ponte Alto al mattino dopo colazione, ma decidiamo di tornare verso casa facendo una tappa sul lago di Garda per spezzare il viaggio. La scelta è molto ampia. Siamo già stati a Riva, sicuramente questa volta andremo in una sponda veneta. Dopo aver valutato Peschiera, Bardolino, Sirmione e altro, decidiamo per Lazise, con il consiglio dell’amica giramondina che riuscirà a raggiungerci per passare qualche ora in compagnia.

Parcheggiamo vicino al centro in un grande spiazzo a pagamento e in pochi minuti siamo davanti al grande Castello Scaligero con la porta che immette nel centro storico del paese, pienissimo di turisti, coni tanti negozietti e i tanti locali che propongono prodotti locali più o meno originali.

Iniziamo a camminare nel lungo lago e ci fermiamo in una delle tante spiaggette con i cigni che si avvicinano fino al bordo del lago incuranti dei turisti. Il tempo vola velocemente e piacevolmente passeggiando chiacchierando con i nostri amici e resta solo il tempo di ricercare un locale per mangiare i classici bigoli e poi non ci resta che chiudere definitivamente la nostra settimana di vacanza e riprendere l’autostrada per tornare a casa.

In Trentino e in Alto Adige abbiamo trovato paesaggi fantastici, gente ospitale, tanta organizzazione, messa a dura prova da un afflusso straordinario di turisti. Assolutamente tutto consigliato da vedere e rivedere, se possibile non in un periodo di altissima stagione, anche se poi ovviamente il rischio di trovare tempo meno bello è sempre da mettere in conto.

lago di Braies

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In viaggio nella “cara” Svizzera

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(by Luca, Sabrina e Leonardo)

Venerdì 13 Agosto:

Ancora una vacanza in maledetta epoca covid, limitati dall’inevitabile incertezza… così decidiamo di tornare all’estero, ma non lontani dall’Italia. Andremo infatti in Svizzera, paese alpino per eccellenza, con una superficie di poco oltre i quarantamila chilometri quadrati ed una popolazione di 8,4 milioni di abitanti, nel quale prediligere la vita all’aria aperta ed evitare quanto più possibile gli assembramenti, anche se portiamo già in dote il vaccino, ad esclusione di Leonardo, ancora troppo in giovane età. Una vacanza più volte pensata ma mai intrapresa, un po’ per la vicinanza e un po’ per i costi eccessivi di uno degli stati più ricchi al mondo, ma saremo solo in tre e cercheremo di sopportarne l’esosità.

Prendiamo il via in una torrida giornata di metà agosto, subito dopo pranzo, alle 14:20 e un quarto d’ora più tardi entriamo in autostrada A14 a Faenza, spediti verso nord.

Alle 15:10, a Bologna, imbocchiamo la A1 verso il medesimo punto cardinale e, senza incontrare intoppi, alle 16:50 siamo a Milano, che aggiriamo erroneamente da est anziché da ovest… nulla di grave, perché poco più tardi cominciamo a seguire l’autostrada A4 in direzione di Torino. Non raggiungiamo però il capoluogo piemontese perché dopo Santhià deviamo verso Ivrea e la Valle d’Aosta.

Dopo tutto questo, dieci minuti prima delle 19:00, arriviamo nella località di Gignod, poco sopra Aosta e lungo la strada del Passo del Gran San Bernardo, dove prendiamo alloggio per la notte alla Chez Magan, una piccola struttura ben curata.

Da lì usciamo poi a cena nella vicina Maison de Pierre… una buona cena, prima di tornare a coricarci in vista della prima vera e propria giornata di visite.

Sabato 14 Agosto:

Poco prima delle 8:00 siamo già in partenza da Gignod per affrontare le prime rampe del Passo del Gran San Bernardo, che ci porterà in Svizzera. Giunti in questo modo ad un bivio non seguiamo però la via del moderno traforo, bensì la strada che passa dallo storico valico.

È piuttosto presto e ci siamo praticamente solo noi lungo il percorso. Un tornante dopo l’altro saliamo così fra stupendi panorami, impreziositi da una giornata senza nuvole, e raggiungiamo i 2.473 metri del passo, dove si trovano un laghetto ed un vecchio ospizio.

Scattiamo qualche foto e vediamo pure uno dei simpatici cagnoni che hanno reso famoso il luogo… Ci sarebbero da visitare anche il museo e l’allevamento, ma apriranno solo alle 10:00 e non possiamo aspettare.

Dopo essere entrati in Svizzera senza problemi (la dogana era chiusa, ma il confine aperto) cominciamo a scendere sul versante opposto del passo. Rientriamo sulla strada proveniente dal traforo e continuiamo nella discesa per fermarci alla prima area di servizio ed acquistare la vignette, che ci consentirà di sfruttare tutte le autostrade elvetiche.

Giunti nella cittadina di Martigny possiamo così entrare proprio in autostrada e percorrere velocemente l’ampia Valle del Rodano verso est, quindi uscire, dopo un discreto tratto, seguendo le indicazioni per la famosa località turistica di Zermatt, situata proprio ai piedi della piramidale sagoma del Monte Cervino, o Matterhorn, in lingua tedesca.

In auto però non si può arrivare a Zermatt, ma solo fino all’abitato di Tasch, da dove poi si prosegue in treno fino alla meta.

Sono passate da poco le 11:00 quando arriviamo al termine della strada, dove troviamo l’area di sosta presso la stazione di Tasch già al completo, dobbiamo così tornare al parcheggio 2, distante un chilometro, ma servito da una navetta gratuita.

Giunti alla fine in biglietteria, per non perdere ulteriore tempo, acquistiamo anche i tagliandi per la Gornergrat Bahn, la ferrovia a cremagliera che sale fino all’omonimo ghiacciaio.

In soli dodici minuti di treno approdiamo nel centro di Zermatt. Usciamo dalla stazione ordinaria ed entriamo in quella attigua di Gornergrat, così alle 11:40 siamo già in partenza per il ghiacciaio, con ben visibile, sulla nostra destra, l’inconfondibile sagoma del Monte Cervino, che con i suoi 4.478 metri, trovandosi sul confine, è anche la terza vetta italiana, oltre che una delle regine dell’arco alpino in virtù della sua particolare forma piramidale.

Il tragitto su rotaia, a tratti spettacolare, ha una durata di trenta minuti, al termine dei quali sbarchiamo ai 3.089 metri del capolinea, dove oggi splende un magnifico sole e si sta tranquillamente in maglietta e da dove si gode un eccezionale panorama, sul ghiacciaio del Gorner, ai nostri piedi, e più in alto sull’incredibile quinta di vette over quattromila, dal Monte Rosa (4.634 metri) al Liskamm (4.527 metri), il Castor (4.228 metri), il Pollux (4.092 metri), il Breithorn (4.164 metri), e per ultimo il formidabile Monte Cervino, vera e propria icona dell’alpinismo mondiale.

Addentiamo i nostri panini con davanti agli occhi l’impareggiabile panorama e poi ci avviamo a piedi lungo il sentiero che, in discesa e fra splendidi scorci, porta in circa un’ora al laghetto di Riffelsee, nel quale dovrebbe specchiarsi il Cervino, ma l’acqua è increspata dal vento, così dobbiamo rinunciare ad una delle più classiche foto del luogo.

Vista forse la grande quantità di turisti presenti non possiamo neanche godere della presenza delle note pecore dal muso nero, ma comunque la prima esperienza di alta quota del viaggio è da annoverare fra le nostre hits, nel suo genere… Soddisfatti guadagniamo in questo modo la stazione di Rotenboden e da lì, saliti sul primo treno disponibile, facciamo ritorno a Zermatt.

Nel centro di questa importante località passeggiamo, prima lungo l’elegante Bahnhofstrasse e poi in Interdorfstrasse, la via considerata più caratteristica, sulla quale prospettano granai e porcili del XVI secolo, appoggiati su dischi di pietra per tener lontani i topi. Qui si trova anche la fontana dedicata a Ulrich Inderbiden, alpinista di Zermatt che scalò il Cervino ben 370 volte, l’ultima a novant’anni di età!

Giunti sulle rive del fiume Gorner, che attraversa impetuoso la cittadina, ne seguiamo il corso verso ovest arrivando, in periferia, alle Gornerschlucht, spettacolari gole scavate dalla forza delle acque nel corso dei millenni. Qui possiamo vivere una bella esperienza camminando lungo le vertiginose passerelle in legno, che fin dalla fine dell’Ottocento, permettono di esplorare la suggestiva forra rocciosa.

Dedicato il necessario tempo al canyon facciamo poi ritorno, ormai stanchissimi, alla stazione di Zermatt, passando ancora una volta per il ricco e caratteristico centro, e da lì infine guadagniamo il terminal di Tasch.

Recuperata l’auto ci spostiamo quindi più a valle, con le ombre lunghe della sera, alla località di Stalden, dove prendiamo alloggio per la notte al B & B Postman 8, gestito da uno strano ma gentilissimo personaggio.

In conclusione di un prima bella giornata usciamo poi a cena nel vicino Ristorante Ackersand, gestito da una famiglia italiana. Lì consumiamo una semplice pizza, ma ci scontriamo con gli assurdi prezzi svizzeri … Ne eravamo a conoscenza, ma affrontarli nella realtà non è stato affatto piacevole!

Domenica 15 Agosto:

Piuttosto irreale la sveglia, il giorno di Ferragosto, nel silenzioso paese di Stalden, dove l’unico rumore è il rintocco delle campane, quando tutto è ancora nell’ombra, nonostante il cielo azzurro sulla testa.

Facciamo colazione e poi lasciamo l’enigmatico B & B Postman 8 per riconquistare, poco dopo, la Valle del Rodano. Seguiamo così quest’ultima ancora verso est e, superata la cittadina di Briga, arriviamo nella località di Fiesch, dove ci fermiamo per intraprendere l’escursione che ci porterà a vedere, dall’alto, il Ghiacciaio dell’Aletsch, il più esteso di tutte le Alpi, con una lunghezza di ben 23 chilometri.

A Fiesch utilizziamo gli impianti di risalita: prima una cabinovia e poi una funivia, che portano al punto panoramico di Eiggshorn.

Giunti in questo modo a destinazione e usciti all’aria aperta si para subito davanti ai nostri occhi lo spettacolo del grande ghiacciaio, che sembra scorrere sotto di noi, occupando un’intera vallata!

Complice la splendida giornata estiva, anche fin troppo calda e caratterizzata da un magnifico cielo terso, con qualche batuffolo di nuvole qua e là, possiamo letteralmente goderci la scena e per completare la visita saliamo e scendiamo in circa un’ora sul vicino picco di Eiggshorn, a quota 2.926 metri … La scarpinata è costata un po’ di fatica, ma ne è valsa sicuramente la pena!

Dalla croce di ferro di Eiggshorn la vista spazia oltre che sul Ghiacciaio dell’Aletsch anche su quello attiguo di Fiescher, mentre tutto intorno si dipana una splendida quinta di vette, che superano spesso i quattromila metri, e alle nostre spalle, in lontananza, s’intravvede pure l’inconfondibile sagoma del Monte Cervino.

Ci attardiamo sul posto anche più del previsto quindi, pienamente soddisfatti, scendiamo da Eiggshorn fino a Fiesch che è quasi mezzogiorno e subito dopo riprendiamo il nostro itinerario lungo la Valle del Rodano.

Percorsi così circa venti chilometri, fra verdissimi prati e caratteristici abitati, nella località di Ulrichen deviamo sulla destra per seguire la strada che porta al Passo della Novena.

Il tracciato sale a tornanti fra deliziosi paesaggi alpini e gradualmente raggiunge i 2.478 metri del valico, dove ci fermiamo a fare picnic sull’erba, favoriti dalla giornata tipicamente estiva, con la vista che spazia sulle vette circostanti, caratterizzate qua e là da qualche residua chiazza di neve.

Superato il Passo della Novena entriamo nel Canton Ticino, l’unico cantone di lingua italiana della Confederazione Elvetica, che però toccheremo solo marginalmente nel nostro itinerario.

Scendiamo nella località di Airolo e da lì prendiamo subito a salire le rampe del Passo San Gottardo, imboccando più avanti la vecchia e suggestiva Strada della Tremola, considerata il più lungo monumento viario di Svizzera, realizzato nell’Ottocento, che nel suo tratto più importante (quattro chilometri, tutti in pavé) affronta un dislivello di 300 metri in 24 tornanti.

Giunti in cima, a quota 2.106 metri, lasciamo il Canton Ticino per entrare in quello di Uri e poi scendiamo sull’altro versante, ma non completamente perché ad un certo punto deviamo sulla sinistra e riprendiamo a salire, questa volta lungo la stretta strada del Furkapass, l’ardito passo reso famoso dall’inseguimento automobilistico nel film “007 Missione Goldfinger”, qui girato nel 1964. L’evento è ricordato in una tavola commemorativa in onore di James Bond, presso uno dei tanti tornanti che si dipanano in direzione del valico.

Tre chilometri dopo lo scollinamento a quota 2.429 metri ci fermiamo poi nei pressi del suggestivo Hotel Gletscher, eretto nel 1882 sulla parte interna di un tornante, che divenne il preferito dall’attore Sean Connery nell’epoca in cui questi interpretava James Bond, e che oggi purtroppo risulta chiuso.

Il suo declino si deve al vicino Ghiacciaio del Rodano, da cui nasce l’omonimo fiume, notevolmente ridimensionato negli ultimi decenni dal surriscaldamento globale. Il fronte glaciale si ritira infatti ad un ritmo di circa cinquanta metri all’anno e mentre un tempo sfiorava la struttura turistica oggi si trova oltre un chilometro più a monte, destinato prima o poi a sparire completamente (si dice nel 2090) … ed è un vero peccato, perché il luogo è tuttora altamente spettacolare. Generano poi enorme tristezza le grotte, scavate nel ghiaccio fin dal 1870, che risultano in rapido scioglimento, nonostante i goffi tentativi di evitarlo con antiestetici teloni bianchi … e il tutto ci ha fatto davvero riflettere circa l’impellente necessità di cambiare rotta sulle politiche energetiche, al fine di evitare i profondi cambiamenti climatici in atto sul pianeta.

Riemersi solo parzialmente soddisfatti dalle ceneri del Ghiacciaio del Rodano riprendiamo strada e, una volta scesi dal Furka, risaliamo subito verso l’ultimo dei passi di giornata, il Grimsel, che, oltre i suoi 2.164 metri di quota, ci fa planare verso il termine della tappa, nella località di Innertkirken, dove prendiamo alloggio per le prossime due notti all’Hotel Hof und Post.

Più tardi ceniamo poi nel ristorante della struttura turistica, mettendo la parola fine ad un’altra bella giornata … peccato solo che da domani, secondo previsioni, peggiorino un po’ le condizioni meteorologiche.

Lunedì 16 Agosto:

Durante la notte è piovuto un po’, ma quando ci svegliamo non lo fa più e in cielo c’è qualche sprazzo di sereno, anche se sulle vette si addensano banchi di nuvole basse.

Con grande fiducia diamo comunque il via a questa nuova giornata e prima di tutto torniamo di circa 15 chilometri in direzione del Grimsel Pass, fino alla partenza della Gelmerbhan, una funicolare utilizzata negli anni Venti del secolo scorso per la costruzione di una diga e successivamente trasformata in attrazione turistica, la cui particolarità è sicuramente la pendenza che, raggiungendo il 106%, la rende la funicolare più ripida d’Europa.

Purtroppo la salita fra le nubi non ci emoziona più di tanto, perché intorno a noi è tutto bianco ed ovattato, ma giunti in cima si diradano un po’, lasciando intravvedere le azzurre acque del Gelmersee, il lago formato, appunto, dalla diga. Ci avviamo così a percorrere in parte le sponde le bacino lacustre, camminando anche alla sommità dello sbarramento artificiale, mentre la coltre di vapore acqueo si apre ulteriormente offrendoci, su di un piatto d’argento, una spettacolare veduta del lago, impreziosita dalle alte vette circostanti.

Dopo circa 45 minuti ed una bella esperienza, consumata grazie ad un pizzico di fortuna, riprendiamo la funicolare che, bucando nuovamente le nuvole (seppur meno fitte), ci riporta al punto di partenza.

Nei pressi del capolinea si trova anche un vertiginoso ponte, sospeso su di una gola ed una fragorosa cascata, che non perdiamo occasione di attraversare, prima di riprendere il programma di visite odierno.

È quasi mezzogiorno quando torniamo verso Innertkirken e più ci avviciniamo a quest’ultima più il cielo si incupisce, poi comincia a piovere mentre raggiungiamo il vicino paese di Meiringen, dove nel Seicento il pasticciere Casparini (di origini italiane o ticinesi) inventò le famose meringhe.

Andiamo a fare un po’ di spesa e poi ci rechiamo al parcheggio dell’Aareschlucht, la gola formata dal fiume Aare, che è una delle principali attrazioni della zona. Giunti in brevissimo tempo a destinazione prendiamo però atto dell’ulteriore peggioramento delle condizioni meteo, così rimaniamo in auto a pranzare in attesa di un miglioramento … Attesa che però si prolunga per quasi due ore, fin dopo le 14:00, quando finalmente la pioggia rallenta e noi proviamo ad intraprendere la visita.

Le gole, scavate nella roccia calcarea dall’impeto delle acque durante il corso dei millenni, sono lunghe 1,4 chilometri, profonde fino a duecento metri e larghe, nel loro punto più stretto, poco più di uno. Sono davvero suggestive e accessibili tramite comode passerelle, che consentono di superare le forre più insidiose e passare accanto ad una originale cascata, che si getta proprio al centro della gola … Peccato solo che lungo il tragitto abbia ripreso a piovere copiosamente, costringendoci ad abbreviare drasticamente i tempi di esplorazione per non infradiciarci. Alla fine però ne usciamo un po’ umidi ma tutto sommato soddisfatti.

Dall’Aareschlucht ci spostiamo di appena un chilometro, fino al parcheggio nei pressi della Reichenbachbahn e lì attendiamo ancora circa un’ora prima che smetta nuovamente di piovere … Quando sono ormai le 16:00 saliamo così sulla funicolare, costruita nel 1899, che porta a vedere le Reichenbachfalle, eccezionali cascate alte ben 120 metri!

In breve raggiungiamo la prima terrazza panoramica, ma oggi, vista la giornata piovosa, che aumenta considerevolmente la portata della cascata, da lì non è possibile godersi lo spettacolo in tutta serenità, perché gli schizzi sono impressionanti e pare di essere sotto la doccia. Saliamo così alle altre due terrazze per osservare la potenza di queste acque, note anche agli appassionati di Sherlock Holmes. Fu proprio qui, infatti, che si concluse idealmente l’epopea del famoso detective, quando nell’ultimo episodio della serie precipita, al termine di una colluttazione, con il suo acerrimo nemico, professor Moriarty, proprio dentro alle cascate.

Con la funicolare scendiamo quindi a prendere l’auto, mentre in lontananza fanno capolino, finalmente, i raggi del sole … e per fortuna, perché la giornata non è ancora finita.

Ci spostiamo così di circa 15 chilometri verso ovest, fin sulle sponde del Lago di Brienz, per vedere delle altre cascate, le Giessbachfalle, che scendono, in 14 salti, per ben cinquecento metri, fin dentro lo specchio d’acqua.

I salti, che si susseguono sotto una fitta vegetazione, non sono particolarmente spettacolari, ma dietro uno di questi si può camminare e da lì si riescono ad immortalare gli schizzi dell’acqua, con sullo sfondo il lago e lo storico Grand-Hotel Giessbach, costruito nel 1873 e raggiungibile anche dalle rive del Brienzersee, per mezzo della funicolare più vecchia di Svizzera, risalente al 1879.

Affrontiamo una breve e piacevole passeggiata fra le cascate ed il Grand-Hotel, prima di concludere una interessante, seppur troppo umida giornata. In questo modo facciamo poi ritorno per la seconda ed ultima notte all’Hotel Hof und Post e più tardi consumiamo una cena senza infamia e senza lode al Ristorante Bel Paese di Meiringen, con la speranza che domani il meteo sia un po’ più clemente.

Martedì 17 Agosto:

È piovuto ancora durante la notte e quando ci svegliamo non lo fa più, ma l’ambiente intorno a noi è tutto grigio, con le nubi che avvolgono completamente le vette … però dovrebbe migliorare.

Cambiamo così un po’ i piani di giornata, che inizialmente prevedevano la salita con la ferrovia a cremagliera Rothorn Bahn, fino a quota 2.350 metri, spostando il tutto al pomeriggio … e a giusta ragione, perché quando passiamo nei pressi di Brienz, da dove parte il treno, notiamo il Monte Rothorn sotto ad una impenetrabile cappa.

Fiancheggiamo così il Lago di Brienz verso ovest, mentre in lontananza si intravvedono già alcuni squarci di cielo sereno, poi, giunti in prossimità della cittadina di Interlaken, dove a fine giornata ripareremo per la notte, deviamo in direzione delle montagne poste poco più a sud e più precisamente per la località di Lauterbrunnen.

Chilometro dopo chilometro il paesaggio si fa più aspro ed il cielo più libero dalle nubi, che però restano incollate alle vette più importanti. In questo modo conquistiamo Lauterbrunnen e appena entrati in paese non possiamo fare a meno di notare, in alto sulla destra e sopra le case, la Staubbachfalle, la più nota cascata di tutta la Svizzera, che si getta da un imponente costone roccioso, ma non ci fermiamo, perché torneremo più tardi.

Proseguiamo allora lungo questa spettacolare vallata, racchiusa fra enormi dirupi e costellata da innumerevoli rivoli d’acqua, che scendono da ogni dove, fino al parcheggio presso le Trummelbachfalle, altre famosissime cascate.

Lasciata l’auto intraprendiamo la visita del sito naturale (patrimonio dell’Unesco) e subito saliamo, grazie ad un ascensore inclinato, dentro la montagna per oltre cento metri, questo perché il torrente Trummelbach, che raccoglie le acque di fusione glaciale dello Jungfrau, si insinuano nelle viscere delle Alpi svizzere formando le maggiori cascate sotterranee d’Europa, con una portata massima di oltre ventimila litri al secondo.

Appena usciti dall’ascensore andiamo ad esplorare la parte superiore dell’ipogeo per mezzo di passerelle e tunnel, che portano in sequenza a cinque terrazze panoramiche. Da ognuna di queste possiamo così vedere l’impeto delle acque, che scendono in un sinuoso solco di rocce nere e lucide, levigate nel corso dei millenni, da una caverna all’altra, con un rumore assordante e mai domo. È uno spettacolo che incute quasi timore e genera un primordiale stupore. Un’esperienza unica ed entusiasmante, anche lungo le cinque terrazze della parte inferiore, non meno accattivanti, che portano però le acque ad acquietarsi lungo il corso di un tranquillo torrente di montagna.

Nel frattempo il sole ha completamente conquistato la valle, così torniamo a Lauterbrunnen per vedere più da vicino le Staubbachfalle, delle cascate (pure queste) molto particolari, perché scendendo dal sovrastante plateau con un salto di ben 297 metri ed una portata, soprattutto in estate, non eccezionale, praticamente si polverizzano prima di arrivare a terra.

Parcheggiamo l’auto nei pressi e a piedi saliamo, non senza fatica, al punto panoramico scavato nella roccia che porta quasi dietro alle cascate, ma è una piccola delusione perché oggi il vento non soffia nella giusta direzione e il getto d’acqua (neanche visibile) cade a parecchi metri di distanza.

Reso comunque omaggio ad una delle bellezze naturali più famose di Svizzera riprendiamo strada, carichi di speranza, con l’intento di tornare a Brienz, vedere il Monte Rothorn libero da nubi e salirvi in cima con l’omonima cremagliera … Vana speranza, perché la vetta risulta ancora abbondantemente incappucciata e dobbiamo rinunciarvi.

Ora si tratta di trovare valide alternative per arrivare piacevolmente a sera, così passiamo prima di tutto a fotografare il caratteristico Brunngasse, un vicolo fiancheggiato da tipici chalet in legno, situato nel centro di Brienz, poi ci fermiamo a fare picnic sulle rive del Lago di Brienz, oziando anche un po’, baciati dal sole.

Nel primo pomeriggio arriviamo poi nella cittadina di Interlaken e da lì saliamo, con una funicolare, al punto panoramico del Monte Harder Kulm, a 1.322 metri di altezza e quindi libero da nubi. Non crediamo sia questo il degno sostituto del Monte Rothorn, ma così facendo abbiamo occasione di trascorrere gradevolmente parte del pomeriggio, osservando dalla speciale piattaforma sospesa nel vuoto i laghi di Brienz e di Thun dall’alto, con di fronte a noi la sagoma innevata dello Jungfrau, sul quale contiamo di salire domani.

Scesi ad Interlaken ci rechiamo anche, a breve distanza, appena sopra le rive del Lago di Thun, alla St. Beatus Holen, una grotta con stalattiti ed un laghetto che, vista la situazione, avremmo voluto vedere, ma chiude alle 17:00 e giunti appena dieci minuti prima non c’era il tempo materiale per effettuare la visita. Ci accontentiamo allora di immortalare le cascatelle formate dal torrente che scaturisce proprio dalle grotte e poi andiamo pacatamente verso il termine di una tappa un po’ monca, ma piena anche di aspetti positivi.

Torniamo ad Interlaken e prendiamo alloggio in un vicino sobborgo al Gasthof Schoenegg B & B, una struttura carina, tutta in legno e ben ristrutturata, quindi più tardi usciamo a cena nel Ristorante Zum Becher: un locale molto semplice, ubicato sulla riva settentrionale del Lago di Brienz. Lì mangiamo alcuni piatti tipici del luogo, a base di formaggio fuso, poi ci ritiriamo nei nostri appartamenti, mentre il piccolo Leo accusa un po’ la stanchezza: ha qualche linea di febbre, ma non crediamo proprio sia covid, avrà certamente preso freddo. Siamo fiduciosi e non affatto preoccupati per il proseguo della vacanza.

Mercoledì 18 Agosto:

Un po’ dubbiosi, ma allo stesso tempo positivi sull’evolversi delle condizioni meteo, partiamo da Interlaken per raggiungere il tetto del nostro viaggio.

Seguiamo così il nastro d’asfalto che corre verso la famosa località turistica di Grindelwald, mentre in cielo ci sono sì ampi spazi di sereno, ma le nubi continuano purtroppo ad addensarsi sulle vette.

Giunti intorno alle 9:00 al parcheggio della cabinovia Eiger Express alziamo lo sguardo e scorgiamo le cime coperte dalle nevi perenni baciate dal sole, così acquistiamo il salatissimo biglietto per la Jungfraujoch e diamo il via all’avventura … Il nuovissimo impianto di risalita, inaugurato a dicembre 2020, porta in circa quindici minuti alla stazione di Eigergletscher (a quota 2.328 metri) della Jungfraubhan, la ferrovia che sale fin qui addirittura da Interlaken, ma occorrerebbe molto più tempo.

Qui attendiamo il treno a cremagliera che percorre l’ultimo tratto di 7,3 chilometri: un vero prodigio della tecnica, perché sale tutto in galleria fino ai 3.454 metri della Jungfraujoch, la stazione ferroviaria più elevata d’Europa, tanto da meritarsi l’appellativo di “Top of Europe”.

Appena scesi notiamo attraverso le vetrate lo spettacolo del Ghiacciaio dell’Aletsch, che però si perde in lontananza fra le nubi ed è un vero peccato, perché da qui, forse, si riusciva a distinguere anche il picco di Eiggshorn, da dove osservavamo la distesa di ghiaccio qualche giorno fa.

Intraprendiamo quindi un percorso di visite che passa prima dalla proiezione di un filmato a 360 gradi del luogo e poi ci fa salire, con un ascensore, ai 3.571 metri della terrazza panoramica dello Sphinx, l’osservatorio astronomico più elevato del continente, dalla quale il colpo d’occhio è grandioso, nonostante tante nuvole a quote più basse, e la temperatura davvero bassa, testimoniata dai candelotti di ghiaccio appesi un po’ ovunque.

Scesi dallo Sphinx si fa anche ora di mettere piede sul ghiacciaio, così facciamo una originale passeggiata estiva sulla distesa di neve, con il cielo blu sulla testa ed una luce accecante che pervade le vette più alte, ma non la vallata sottostante, invasa dalle nubi.

Rientrati nel complesso della Jungfraujoch percorriamo a piedi un tunnel museo e poi andiamo a vedere il palazzo di ghiaccio, con gallerie e sculture molto ben fatte, infine usciamo all’aria aperta, di nuovo sulla neve, per immortalare il ghiacciaio dal cosiddetto plateau.

Soddisfatti dell’esperienza vissuta ci avviamo, ben oltre mezzogiorno, sulla via del ritorno, prima col treno e poi con la cabinovia fino a Grindelwald.

Giunti in paese, quasi alle 14:00, ci spostiamo in un parcheggio nei pressi del centro, dove finalmente possiamo addentare i nostri panini, ma anche meditare sul proseguo della giornata … Sarebbe infatti nostra intenzione salire sull’altro lato della valle, in cima al monte First, dove si trova un importante punto panoramico, ma abbiamo il forte dubbio che si trovi fra le nuvole. Mi reco allora all’impianto di risalita e chiedo al primo turista che vedo scendere (un giapponese), il quale mi rassicura sulla presenza del sole … molto bene!

Corro a chiamare il resto della squadra e subito ci precipitiamo a fare i biglietti, così in circa 25 minuti saliamo i tre tronconi di cabinovia che ci portano sul First, contornati da splendide viste sulle severe montagne che sovrastano Grindelwald.

Giunti in vetta ci godiamo il panorama sulle cime innevate del Mittelhorn e dello Schreckhorn, entrambe abbondantemente oltre i 3.500 metri di altezza, e poi affrontiamo il vertiginoso First Cliff Walk by Tissot, un percorso fatto di passerelle e ponti sospesi fra le rocce a strapiombo, che culmina con una piattaforma protesa sul baratro … un duro esame per Sabrina, che teme il vuoto, ma un divertimento per noi “uomini impavidi”.

Completata anche quest’avventura facciamo il percorso inverso, in discesa, fino a Grindelwald e da lì ci spostiamo di un paio di chilometri a sud dell’abitato, fino all’ingresso delle Gletscherschlucht, spettacolari gole scavate dalle acque di fusione del sovrastante ghiacciaio.

Un sentiero si snoda attraverso tunnel e passerelle a picco sul torrente Lütschine offrendo vedute incredibili su strapiombanti pareti verticali. In più si può fare un’adrenalinica esperienza camminando sulla Spiderweb, una rete di corda tesa fra le pendici del canyon, ad una decina di metri sull’alveo del fiume, fra luci multicolore.

Quando sono quasi le 18:00 usciamo dalle gole completando le visite di giornata … una giornata davvero positiva, considerate le incerte premesse. Dopodiché facciamo ritorno ad Interlaken e al Gasthof Schonegg B & B per la notte, non prima però di aver consumato una discreta cena, nel centro della cittadina “fra i laghi”, al Pasta Store, un ristorante italiano che ci ha offerto tre buoni piatti di pasta … ma ad un prezzo assurdo!

Giovedì 19 Agosto:

Nell’ultima giornata di alta montagna di questa prima parte del viaggio ci alziamo con il cielo tutto grigio sopra Interlaken. Per fortuna però dobbiamo spostarci di qualche decina di chilometri, percorsi i quali confidiamo in un meteo più clemente.

Seguiamo buona parte della sponda meridionale del Lago di Thun e poco prima dell’omonima città svoltiamo verso le grandi montagne poste più a sud. In questo modo raggiungiamo il paese di Kandersteg, mentre, come sperato, le nuvole si diradano lasciando filtrare di tanto in tanto il sole, con ampi spazi di sereno … allora non abbiamo dubbi e intraprendiamo la prevista escursione.

In cabinovia saliamo su di un altopiano, a circa 1.600 metri di altezza, dove si trova l’Oeschinensee, uno dei più scenografici laghi della Svizzera e di tutte le Alpi, incastonato fra le alte vette del Blümlisalp, l’Oeschinenhorn, il Fründenhor e il Doldenhorn, tutte oltre i tremila metri, e alimentato dai ruscelli glaciali.

Alla fine dell’impianto di risalita il lago però ancora non si vede. Lo dovremo raggiungere camminando, ma noi vorremmo fare qualcosa di più di una tranquilla passeggiata. È nostra intenzione, infatti, affrontare il ripido sentiero che in 1,3 chilometri porta al punto panoramico di Heuberg.

La salita si rivela subito insidiosa e a tratti impegnativa, soprattutto per chi, come noi, non ha molto allenamento … alla fine però veniamo premiati da una strepitosa vista del lago dall’alto, con ben visibile di fronte a noi un impervio ghiacciaio e più in basso una scenografica cascata, oltre all’impressionante parete verticale di roccia a picco sullo specchio d’acqua … Peccato solo per qualche nuvola di troppo e la luce non proprio favorevole (sarebbe stata migliore nel pomeriggio).

Dopo affrontiamo la lunga discesa, non meno impegnativa, che passando anche attraverso verdissimi prati con mucche al pascolo, ci porta fin sulle rive del lago e quindi al Berghotel Oeschinensee, di fianco al quale parte la navetta elettrica che riporta all’impianto di risalita, un servizio che ci risparmia l’ultimo scomodo declivio.

Completiamo l’avventura con Sabrina spettatrice di un paio di nostre divertenti discese in toboga, lungo un impianto attiguo alla cabinovia, quindi scendiamo definitivamente a Kandersteg … Il tutto però ci ha richiesto più tempo del previsto e sono quasi le 14:00 quando andiamo a consumare il pranzo in riva al Blausee, un minuscolo specchio d’acqua dalle acque azzurre e cristalline, abitato da enormi trote.

Poco prima delle 15:00 lasciamo anche il Blausee e puntiamo la prua sulla città di Thun, principale e storico agglomerato urbano della regione, che siamo intenzionati ad esplorare nel pomeriggio, così mezzora più tardi siamo già in un parcheggio del centro, pronti di tutto punto per dare inizio alla visita, la prima non a carattere naturalistico del viaggio.

Andiamo subito a vedere la bella Rathausplatz, piazza contornata da interessanti palazzi, fra i quali quello istituzionale del comune, e sovrastata dalla sagoma dello Schloss Thun, imponente maniero caratterizzato dalla bianca torre medioevale risalente al XII secolo.

Percorriamo quindi la Obere Hauptgasse, la principale arteria dell’abitato, e giungiamo al cospetto dell’Huntere Schleusenbrücke, un caratteristico ponte coperto in legno vecchio di oltre trecento anni, e poi, nelle vicinanze, allo Scherzligsleuse, un altro ponte in legno costruito nel Settecento presso alcune rapide.

Saliamo infine allo Schloss Thun per vedere più da vicino il castello, che vanta una storia lunga novecento anni e che, con il suo tripudio di torrette, caratterizza lo skyline della città.

Recuperata l’auto ci muoviamo quindi fin sulle rive del lago, dove si trova il rigoglioso Schandau Park, con l’omonimo castello rosa, risalente al XIX secolo, che attualmente è adibito a lussuoso hotel e ristorante.

Proseguendo poi verso la periferia della città e lungo la costa settentrionale del Lago di Thun ci fermiamo a vedere altri due castelli (solo esternamente perché, ormai nel tardo pomeriggio, hanno già chiuso i battenti): prima lo Schloss Hünegg, costruito nel 1861 e ispirato ai castelli rinascimentali della Loira, e poi lo Schloss Oberhofen, maniero che affonda le sue origini nel 1200, ubicato in scenografica posizione sulle rive del lago e caratterizzato da numerose torri, fra le quali una particolarmente pittoresca, che pare sorga, magicamente, dalle acque lacustri.

Da quest’ultimo castello mancano solo due chilometri per giungere al B & B Schonortli, struttura ubicata sulle prime alture, che ci ospiterà per la notte. Un po’ datata, ma che offre una splendida vista sul Lago di Thun.

Più tardi andiamo a cena, sulle rive del bacino lacustre, alla Pizzeria Zur Mühle e poi torniamo al nostro B & B dalle cui finestre ci godiamo lo spettacolo della luna piena, che riflette la sua luce sullo specchio d’acqua incastonato fra le montagne, degna ciliegina sulla torta di una bella giornata di vacanza.

Venerdì 20 Agosto:

È una piacevole esperienza aprire la finestra al mattino con la vista sul lago ed essere inebriati dall’odore del fieno appena tagliato … Tutto questo al B & B Schonortli.

Partiamo da lì intorno alle 9:00. Torniamo verso Thun e poi andiamo a sud, fra le montagne. Superiamo un passo (lo Jaunpass) per entrare nel cantone di Friburgo e più precisamente nella regione di Gruyeres, di lingua francese.

Scesi sull’altro versante arriviamo nel paese di Broc, dove si trova la Maison Cailler, una delle più rinomate aziende svizzere produttrici di cioccolato e la più antica ancora in attività. Fondata nel 1819 da François-Louis Cailler, dal 1898 ha sede a Broc e dal 1929 fa parte del Gruppo Nestlé.

Giunti davanti alla bianca e monumentale facciata della storica fabbrica ne varchiamo l’ingresso così da prendere parte ad una interessante visita interattiva (in lingua italiana) della durata di circa un’ora, al termine della quale deliziamo anche il palato con gli assaggi di alcune specialità della casa.

Quasi a mezzogiorno ci spostiamo da Broc, ma solo di una manciata di chilometri, fino alla località di Gruyeres e alla Maison du Gruyeres, il caseificio-museo dedicato al noto formaggio che porta il nome stesso del luogo: il groviera.

Qui facciamo un’altra piacevole esperienza alla scoperta dei segreti e dei metodi di preparazione del formaggio: occorrono ben quattrocento litri di latte per ottenere una forma da 35 chili, che poi verrà stagionata per un periodo compreso fra cinque e dodici mesi. Alla fine si ottiene questo famoso latticino … senza buchi, al contrario di quanto si crede, buchi che invece sono tipici dell’emmental, originario di un’altra regione svizzera.

Pranziamo in un’area per picnic nelle vicinanze e subito dopo saliamo in auto al villaggio di Gruyeres per effettuarne la visita. A piedi superiamo il varco nell’antica cinta muraria ed entriamo in una piccola borgata, sviluppatasi soprattutto a partire dal XIII secolo, che ha conservato il suo originario aspetto feudale. Procediamo così attraverso una piazza molto allungata, contornati da tipici edifici, fino all’incantevole castello turrito, che fu residenza di ben 19 conti di Gruyeres.

Ci dedichiamo poi anche agli interessanti interni del maniero, dove si segnalano alcuni ambienti riccamente arredati, infine usciamo sui bastioni orientali, sovrastati da curatissimi giardini, che sono un trionfo di fioriture multicolore.

Poco dopo le 15:00 recuperiamo l’auto e subito partiamo con destinazione Lago di Ginevra.

Meno di un’ora più tardi siamo così sulle sponde nord-orientali del più grande bacino lacustre di Svizzera e dell’Europa occidentale, di fronte allo Château de Chillon, uno dei più famosi e belli fra tutti i castelli elvetici. Fu edificato a partire dal XII secolo in eccezionale posizione, su di un isolotto roccioso, a pochi metri dalle rive del lago, e a lungo fu residenza dei duchi di Savoia.

Impieghiamo quasi due ore per visitare minuziosamente il fortilizio, seguendo un percorso autogestito che porta ad attraversare tutti gli ambienti, dalle tetre segrete gotiche alle ricche sale di rappresentanza, passando attraverso bui cortili e camminamenti di ronda, che offrono anche pregevoli scorci panoramici sul grande lago … un lasso di tempo corposo, ma sicuramente ben speso.

Intorno alle 18:00 andiamo verso il centro della vicina città di Montreux, dove vorremmo vedere, presso il locale casinò, “The studio experience”, lo studio di registrazione nel quale la celeberrima band dei Queen incise, negli anni Settanta del secolo scorso, la gran parte dei loro album di maggior successo, ma, causa covid, ha cambiato gli orari di apertura e adesso non è più accessibile dopo le 17:30 … peccato!

Ci rechiamo allora, a poche centinaia di metri di distanza, al B & B Guest House du Lac, che ci darà alloggio per questa sera e lì incontriamo il simpatico gestore, Thomas, che parla anche italiano e, con grande stupore ci vediamo assegnare un garage come posto auto.

Più tardi usciamo a cena nel centro dell’elegante cittadina, dove c’è pure un po’ di vita sulla passeggiata lungolago nota anche come Promenade e ornata, fra l’altro, da una statua di Freddy Mercury. Lì, al Ristorante Pizzeria Molino, consumiamo un buon pasto, ma battendo ogni record di spesa.

Sabato 21 Agosto:

Ci svegliamo a Montreux, consapevoli del fatto che una settimana di vacanza è già passata, e andiamo a fare una buona colazione al B & B Guest House du Lac, ma non ci dilunghiamo troppo, perché c’è un treno in partenza alle 9:17 dalla stazione centrale della città che ci aspetta.

Poco dopo le 8:30 ci muoviamo così in auto e, a meno di un chilometro di distanza, raggiungiamo il Parking de la Gare, ubicato proprio di fianco alla stazione. Facciamo i biglietti e alle 9:00 siamo già al binario otto, pronti a salire sul treno a cremagliera che, vincendo un dislivello di circa 1.600 metri, conduce alla Rochers-de-Naye, un picco roccioso che domina, dall’alto dei suoi 2.042 metri, il Lago di Ginevra.

Il convoglio impiega cinquanta minuti per scalare la montagna, con intriganti panorami, soprattutto nella parte finale del tragitto, e in questo modo, un dente di cremagliera dopo l’altro, intorno alle 10:00 raggiungiamo la vetta.

Oggi è una splendida e calda giornata d’estate, con parecchio sole, ma, purtroppo, anche con moltissima foschia, tanto che il lago sembra dissolversi e quasi fondersi con il cielo all’orizzonte, ma il verde intorno a noi e gli aspri picchi rendono il paesaggio comunque gradevole.

Per prima cosa ci rechiamo a visitare, a poche centinaia di metri sulla sinistra della stazione di arrivo, il giardino alpino La Rambertia, che fin dal 1896 protegge e coltiva quasi mille specie vegetali autoctone, oltretutto in una bella location, incastonato com’è fra due scoscesi pendii.

Dopo facciamo ritorno al punto di partenza, dove si trova anche un recinto con alcune tristi marmotte, e da lì saliamo al picco di Rochers-de-Naye, posto qualche decina di metri più in alto e tempestato di antenne. Da lassù il panorama è vastissimo e nonostante la foschia si scorgono all’orizzonte tante cime alpine, anche innevate, fra le quali riconosciamo chiaramente anche lo Jungfrau.

Scendiamo quindi lungo gli scenografici costoni rocciosi che si sviluppano ad est del picco e che offrono stupefacenti scenari verticali sul brumoso sfondo del Lago di Ginevra in lontananza, poi quasi a mezzogiorno rientriamo definitivamente al capolinea del treno, in attesa di quello delle 12:11, che, puntuale come un orologio svizzero, alle 13:00 in punto ci recapita alla stazione di Montreux.

Facciamo spesa nei pressi del terminal e recuperata l’auto partiamo subito verso ovest, lungo la costa settentrionale del lago per fermarci poi a pranzare in un’area attrezzata lungo l’autostrada, nei pressi di Losanna.

Da questa città (nota come sede del Comitato Olimpico Internazionale) lasciamo più tardi il Lago di Ginevra verso nord e poco prima delle 15:00 giungiamo nella località di Romainmotier, a breve distanza dal confine con la Francia, tanto che sul telefonino arriva anche un messaggio che ci dà il benvenuto nel paese transalpino.

Il borgo di Romainmotier, oltre ad essere incluso nell’elenco dei più belli di Svizzera, conserva una splendida abbazia cluniacense, fra le più antiche chiese romaniche del paese, costruita fra il 990 ed il 1030 sulle rovine di un preesistente monastero. L’edificio è davvero suggestivo, con le sue pietre rossastre che spiccano sul verde circostante e anche gli interni sono interessanti, con alcuni affreschi del XIV secolo, ma dobbiamo pazientare un po’ per vederli, causa una cerimonia matrimoniale in corso.

Comunque soddisfatti dell’intermezzo a carattere culturale poco prima delle 16:00 riprendiamo nuovamente strada, con la barra dritta sul Lago di Neuchâtel, il più grande fra gli specchi d’acqua interamente svizzeri, e giunti a metà della sua costa settentrionale deviamo in direzione delle alture che lo sovrastano. Così, dopo circa venti chilometri, guadagniamo il parcheggio presso il sito naturale di Creux du Van.

Il Creux du Van (buco nella roccia) è un grandioso anfiteatro di pietra calcarea, lungo più di un chilometro e profondo circa duecento metri, scavato dall’erosione glaciale nel corso di milioni di anni.

Una breve passeggiata fra il verde e numerose mucche al pascolo porta sul bordo del grande abisso, che all’improvviso sembra apparire dal nulla mettendo in scena uno spettacolo mozzafiato, anche se la luce del tardo pomeriggio fa sì che gran parte delle rocce siano già nell’ombra.

Percorriamo un buon tratto dell’impressionante dirupo arcuato e poi torniamo sui nostri passi perché la giornata sta volgendo rapidamente al termine. Scendiamo allora al Lago di Neuchâtel e andiamo a prendere alloggio, nella località di Chez-le-Bart, alla Chambre d’hôtes Littoral 65, una semplice struttura a B & B gestita da una simpatica vecchietta, che parla anche un discreto italiano.

In serata ceniamo poi con l’ennesima pizza al ristorante Auberge de Commune, nel paese di Bevaix, e poi torniamo in camera … ad attendere, con i dovuti scongiuri, il peggioramento del meteo previsto per domani.

Domenica 22 Agosto:

Durante la notte è piovuto e quando ci alziamo non lo fa più, ma il cielo è grigio e pieno di nuvole minacciose.

Con calma e comunque fiduciosi prendiamo il via da Chez-le-Bart con l’obiettivo, prima di tutto, di salire sulle montagne alle spalle di Neuchâtel, al passo di Vue-des-Alpes. Da lassù, come si può intendere anche dal nome del luogo, il panorama sulle Alpi dovrebbe essere eccelso, ma oggi impossibile da assaporare. Ci dovrebbe però essere anche una grande pista di toboga, che Leonardo non vede l’ora di percorrere e noi vorremmo accontentarlo.

Giunti sul posto ci rechiamo subito presso la pista, ma la troviamo chiusa perché aprirà alle 10:00. Mancano solo 15 minuti e aspettiamo, ma poi dobbiamo pazientare ulteriormente inquanto il percorso è bagnato e per motivi di sicurezza necessita di un po’ di manutenzione … Alla fine però il piccolo (ma anche il sottoscritto) si gode quattro divertenti giri.

Intorno alle 11:00 riprendiamo il viaggio. Scendiamo a Neuchâtel (il cui stemma sulle targhe automobilistiche ha i colori della bandiera italiana) e dal lì proseguiamo seguendo le indicazioni per Avenches, che fu, nel I e II secolo d.C., la principale città dell’Elvezia romana.

Di quell’epoca rimangono, in periferia, gli scarni resti del Santuario di Cicogner … una sola grande colonna ed una più piccola, così chiamato perché fino a un po’ di anni fa su quella grande usava fare il nido una cicogna. Nel centro abitato andiamo invece a vedere l’anfiteatro, il meglio conservato di Svizzera, che, simile ad un Colosseo in miniatura, si erge ancora fiero a distanza di quasi due millenni e tuttora ospita spettacoli che attirano migliaia di persone.

Visitiamo il tutto accompagnati da un timido sole e qualche squarcio d’azzurro sulla testa poi a piedi ci trasferiamo nella campagna limitrofa dove, fra il verde, si trovano le modeste rovine del teatro romano e lì consumiamo il nostro pranzo. Giusto il tempo di farlo e scattare una foto che comincia a piovere, allora andiamo di fretta verso l’auto e partiamo, sotto ad un acquazzone, per la vicina Friburgo, la “città libera” e poliglotta per eccellenza perché, divisa da sempre dalla gola del fiume Sarine, sulla sponda occidentale si parla francese e su quella orientale il tedesco.

Lasciamo l’auto in un parcheggio sotterraneo vicino al centro e sotto ad un cielo plumbeo intraprendiamo la visita, subito condizionata dalla pioggia, tanto che ci rifugiamo dentro all’Espace Jean Tinguely, un piccolo museo dedicato all’omonimo artista friburghese e a Niki de Saint Phalle, sua collaboratrice … Le opere neorealiste esposte sono esteticamente molto discutibili, composte da oggetti riciclati, ma sono anche estremamente originali e meritano un po’ di attenzione, fra l’altro sono dotate tutte di un grosso bottone che, pigiandolo, le mette in moto!

Quando usciamo dal museo piove ancora, allora ci fermiamo sotto ad un porticato ad aspettare che almeno rallenti, prima di spostarci alla vicina Cathedrale Saint-Nicolas, il più importante monumento di Friburgo, eretto in stile gotico nel XII secolo.

Ripariamo all’interno dell’edificio religioso un po’ per vederlo, un po’ per temporeggiare ulteriormente e questa volta veniamo premiati perché all’uscita non piove più, così ci avviamo verso la parte bassa della città … Ma è solo un breve break e quando riprende a gocciolare ci rifugiamo nel Pont de Berne, un bel ponte coperto in legno risalente al 1250.

Rimaniamo lì una buona mezzora, fin quando smette di scendere acqua dal cielo e questa volta definitivamente, perché esce fuori anche un bel sole e le nubi si dissolvono rapidamente, così possiamo completare il nostro giro turistico.

Passiamo sull’ameno ponte in pietra chiamato Pont du Milieu, dalla cui arcata sottostante si può cogliere una pregevole veduta della città. Arriviamo alla Planche Superieure, una piazza triangolare circondata da interessanti edifici. Scavalchiamo di nuovo il fiume Sarine, questa volta sul Pont de Saint-Jean, coadiuvati da belle viste sul centro storico, e, infine, risaliamo alla città alta con la storica funicolare, risalente al 1899 e unica nel suo genere perché funziona sfruttando la forza dell’acqua.

Ormai giunti al termine della giornata recuperiamo l’auto e poi ci spostiamo di qualche decina di chilometri alla città di Berna, la capitale della Federazione Elvetica.

Prendiamo alloggio all’Hotel Ibis Budget Bern Expo e più tardi, dopo una breve passeggiata, andiamo a cena al Restaurant Rosengarten, ubicato nell’omonimo parco, che vedremo anche domani mattina e che offre il miglior panorama sulla città … Questa sera però ci sono grossi nuvoloni all’orizzonte, ma confidiamo che alla prossima occasione le condizioni siano migliori.

Lunedì 23 Agosto:

Splende il sole su Berna quando, poco dopo le 9:00, partiamo a piedi dall’Hotel Ibis per effettuarne la visita.

Prima di tutto andiamo al Rosengarten, dove eravamo stati a cena ieri sera, e da lì possiamo constatare che in effetti si ha uno splendido colpo d’occhio sulla capitale, una veduta che si può osservare anche sullo sfondo di una originale statua di un giovane Albert Einstein (che abitò a Berna), collocata su di una delle panchine del parco.

Dopo scendiamo fin sulle sponde del fiume Aare (lo stesso delle gole nei pressi di Meiringen) e lì vediamo il Bärenpark, ampio spazio verde nel quale scorrazzano tre orsi (Finn, Björk e Ursina), che riusciamo anche a scorgere. Questo genere di plantigradi è il simbolo della città fin da quando, secondo tradizione, Berna prese il nome dell’orso (bär in tedesco) che il suo fondatore, Bertoldo V duca di Zähringen, catturò qui durante una battuta di caccia. Per questo motivo e come portafortuna, a partire dal XVI secolo, in città si cominciarono ad allevare orsi dentro ad una enorme buca (la fossa), sostituita solo nel 2009 dal Bärenpark.

Osservati gli orsi attraversiamo poi il ponte sul fiume Aare per fare il nostro ingresso nel vero e proprio centro cittadino. In questo modo ci dedichiamo subito alla ricerca delle storiche fontane di Berna, sopra alle quali campeggiano, in colori a volte sgargianti, svariati personaggi legati alla tradizione popolare.

Per prima, quasi in riva al fiume, vediamo la Lauferbrunnen, fontana sovrastata dal fiero Messaggero, vestito coi colori di Berna e lo stemma della città sul petto, affiancato da un giovane orso, che indossa lo stesso tipo di abiti, quindi, nella centrale Gerechtigkeitsgasse, la Gerechtigkeitsbrunnen, sulla quale svetta, con gli occhi bendati e una bilancia a stadera in mano, la statua di Justitia.

Passeggiando lungo la parallela Postgasse arriviamo, poco dopo, davanti all’interessante palazzo tardogotico del Rathaus (il municipio), fiancheggiato dalla Vernerbrunnen, che presenta, nella sua scintillante armatura, Verner, il portabandiera di Berna.

A breve distanza raggiungiamo anche il Bern Munster, la bella cattedrale gotica della capitale, i cui lavori di costruzione iniziarono nel 1421 e si protrassero per oltre quattro secoli. Osserviamo la sua grande torre, alta cento metri, anche dall’attiguo terrazzo chiamato Munster Plattform, ma non riusciamo a fotografare l’imponente facciata, ricoperta di impalcature, così come gli interni, e ci accontentiamo di ammirare solo il pregevole gruppo scultoreo del Giudizio Universale collocato nella lunetta sopra il portale principale.

Nella piazza antistante la più grande costruzione sacra di Svizzera si trova invece la Mosesbrunnen, che raffigura Mosè avvolto in una lunga veste blu-oro, mentre nella centrale Kramgasse alloggia la Simsonbrunnen, che raffigura il potere, rappresentato dall’eroe biblico Sansone, quando afferra la bocca di un leone a mani nude.

Proseguendo nel nostro itinerario bernese passiamo davanti alla casa dove visse Albert Einstein nei primi anni del Novecento e arriviamo al cospetto della Zähringerbrunnen, sulla quale si erge l’animale araldico di Berna (un orso con un elmo d’oro), che ricorda gli Zähringer, i fondatori della città.

Da qui pochi metri ci conducono alla Zytglogge, la monumentale torre dell’orologio, del XIII secolo … giusto in tempo per la suonata delle 11:00, accompagnata dalle folcloristiche figure rotanti. Si narra addirittura che questo storico monumento abbia aiutato (chissà come) Albert Einstein a mettere a punto la teoria della relatività.

Superata anche la torre giungiamo in Kornhausplatz, dove di trova la settima e più famosa delle fontane: Kindlifresserbrunnen, che rappresenta uno spaventoso orco mangiatore di bambini, seduto su di una colonna nell’intento di farne una scorpacciata. Esistono varie teorie sul significato di questa fontana. La più plausibile è che si tratti di una sorta di insegnamento per i più piccoli.

Al di là della piazza, verso ovest, la via centrale di Berna prende il nome di Marktgasse e lì vediamo la Schutzenbrunnen, sulla quale si erge lo Schutzenverner, il portabandiera dei tiratori e più avanti la Anna-Seiler Brunnen, sormontata da una figura femminile con una brocca in mano, forse la dea della giovinezza Ebe, ma che rappresenta, appunto, Anna-Seiler, benefattrice che nel 1354 donò un ospedale alla città.

Poco oltre, poi, girando a sinistra in Bärenplatz ci troviamo dinanzi alla Bundeshaus, grande palazzo in stile fiorentino che è sede dell’Assemblea Federale Svizzera e passando sotto al suo porticato approdiamo nella Bundeshausterrasse, da dove si gode un bel panorama sul sottostante corso del fiume Aare.

Il tratto conclusivo dell’itinerario nel centro storico di Berna ci porta a vedere le ultime due fontane: la Ryfflibrunnen, in omaggio al tiratore Ryffli che, secondo tradizione, sconfisse con un solo colpo il cavaliere Jordan III di Burgistein, e la Pfeiferbrunnen, che ritrae un allegorico suonatore di cornamusa.

Dopo ci mettiamo alla ricerca dell’autobus che deve riportarci all’hotel per il check-out delle 12:00 e secondo nostre indicazioni sarebbe il numero 9 il deputato ad assolvere il compito, ma dei lavori pare ne deviino il percorso, così ripieghiamo sul numero 10, che ci riporta al Rosengarten e da lì, a piedi, riguadagniamo l’Ibis Hotel, giusto in tempo per ritirare i bagagli e ripartire.

Ci spostiamo in auto poco più a nord della capitale, nella regione dell’Emmental, presso il paese di Burgdorf. Lì facciamo picnic, con calma, sotto al sole in un verdissimo prato, e poi andiamo a dare un’occhiata alla Schloss Burgdorf, uno scenografico maniero costruito dagli Zähringen nel XII secolo che, ubicato in cima ad una rupe, sembra appena uscito dalle pagine di un libro di fiabe … Non ci avventuriamo però al suo interno e ci accontentiamo di arrivare presso i suoi bastioni.

Da Burgdorf ci rechiamo poi, fra bucolici paesaggi, nella località di Affoltern, all’Emmentaler Schaukäserei, un importante caseificio nel quale si produce uno dei formaggi più famosi al mondo: l’emmental, appunto. Ci dilunghiamo così fin quasi alle 17:00 ad osservare le varie fasi di lavorazione del prezioso prodotto, quindi ci avviamo verso il termine della tappa.

Attraversiamo una regione di verdissimi pascoli per giungere all’Hotel Ibis Luzern Kriens, quasi alle porte della città di Lucerna, dove ci fermeremo per le prossime due notti e nelle immediate vicinanze più tardi ceniamo, ad un prezzo incredibilmente onesto, nel Fontana Restaurant, mettendo la parola fine ad una intensa giornata di visite a carattere più che altro culturale.

Martedì 24 Agosto:

Non piove, ma il cielo è completamente coperto … e pensare che questa mattina avremmo dovuto prendere il treno a cremagliera che porta fin sulla cima del Monte Pilatus, da dove si domina la vista che spazia su Lucerna ed il Lago dei Quattro Cantoni.

Nonostante tutto, seppur non troppo convinti, dopo colazione saliamo in auto e andiamo nella località di Alpnachstad, da dove parte il treno. Ci rechiamo alla biglietteria e chiediamo quali siano le condizioni meteo in vetta, così ci mostrano la webcam, dalla quale si capisce che ci sono sì tante nuvole, ma anche un po’ di sole … quanto basta per convincerci a tentar la sorte.

Questa storica ferrovia, commissionata nel 1889, impegna le motrici per circa trenta minuti lungo rampe che raggiungono il 48% di pendenza, rendendola la più ripida al mondo … e più saliamo la cremagliera più le nubi si diradano, tanto che, quando arriviamo ai 2.132 metri di altezza di Pilatus Kulm, il cielo sopra di noi è completamente azzurro, mentre sotto si estende un bianchissimo mare di vapore acqueo. Non si vede il lago, ma il paesaggio è indiscutibilmente affascinante!

Prima di tutto scaliamo il picco di Esel, posto poco sopra la stazione di arrivo, e da lassù ammiriamo, in lontananza verso sud, le cime innevate delle Alpi, che svettano sopra le nuvole, identificando anche lo Jungfrau.

Tornati a Pilatus Kulm osserviamo incuriositi alcuni suonatori del tipico corno alpino (o corno svizzero), un antico strumento a fiato dalla forma incredibilmente allungata, che può superare anche i quattro metri, e che, risalente al XVI secolo, un tempo veniva usato prevalentemente come mezzo di segnalazione e comunicazione.

Saliamo quindi alla vicina terrazza panoramica di Hoberhaupt, prima di affrontare anche il suggestivo percorso in galleria del Drachenweg, che conta alcuni vertiginosi passaggi con vista … sul mare di nuvole. C’incamminiamo infine lungo la via che porta all’overlook di Tomlishorn. Un sentiero che si dipana attraverso lo scosceso pendio della montagna, con stupende viste su Pilatus Kulm.

Torniamo sui nostri passi giusto in tempo per salire sul treno delle 12:15, che poi ci riporta mestamente nel grigiore delle quote più basse. Possiamo però dire di essere soddisfatti e di aver vissuto una bella esperienza, frutto della testardaggine e del coraggio di averci provato … è proprio vero: la fortuna aiuta gli audaci!

Pranziamo in un parchetto nel paese di Alpnachstad e poi torniamo verso Lucerna, anzi, andiamo a parcheggiare proprio nel suo centro, presso la stazione ferroviaria.

Per effettuare la visita di una delle più interessanti città della Svizzera dovremo però accontentarci, purtroppo, dell’uggioso contesto odierno ed è un peccato perché il Kapellbrücke, edificato nel 1332 sul fiume Reuss e considerato il più antico ponte coperto d’Europa, è stupendo. Lo percorriamo un passo dopo l’altro, ammirando le tavole pittoriche posizionate nel sottotetto e realizzate nel XVII secolo da Heinrich Wägmann, che raffigurano episodi salienti della storia e della mitologia elvetica, danneggiate in parte dal devastante incendio del 1993. Il ponte, che un tempo era parte integrante delle fortificazioni della città, compresa l’ottagonale Torre Idrica, è, a giusta ragione, l’emblema di Lucerna.

Attraversato il Kapellebrüke proseguiamo a piedi verso est sulle rive del Lago dei Quattro Cantoni, quindi andiamo in direzione del centro storico di Lucerna. Passiamo nei pressi della considerevole Hofkirche, fiancheggiata da alcune belle case a graticcio, e arriviamo di fronte al palazzo che ospita il Bourbaki Panorama.

In una grande sala circolare si trova un enorme dipinto panoramico (delle dimensioni di 112×10 metri), realizzato nel 1881 da Edouard Castres, che aveva vissuto in prima persona, dieci anni prima, l’evento rappresentato, ovvero l’internamento di 87.000 soldati francesi della divisione Bourbaki in Svizzera, durante la guerra franco-prussiana.

La colossale opera, raffigurata con dovizia di particolari, ci impegna a giusta ragione per un po’ di tempo, prima di far ritorno all’aria aperta per spostarci, nelle vicinanze, al minuscolo parco che comprende il famoso Monumento del Leone.

Uno dei simboli di Lucerna è questa scultura, lunga dieci metri, intagliata nella roccia da Lucas Ahorn nel 1820 in memoria della Guardie Svizzere che perirono per difendere re Luigi XVI durante la rivoluzione francese. Mark Twain descrisse il leone morente come “il pezzo di roccia più triste e commovente al mondo”.

Proprio di fianco si trova anche il Gletscher-Garten, un parco che visitiamo velocemente, nel quale si trovano alcune marmitte glaciali e diverse attrazioni, compreso un simpatico labirinto di specchi, che diverte soprattutto Leonardo.

Da lì conquistiamo poi le Museggmauer, le antiche mura della città, la cui attuale conformazione, con nove torri, tutte diverse una dall’altra, risale al 1400. Sono fra le meglio conservate e più estese di Svizzera, così ne percorriamo un bel tratto sui camminamenti di ronda e poi le fiancheggiamo dal basso fino a riconquistare le sponde del fiume Reuss.

Attraversiamo l’emissario del Lago dei Quattro Cantoni su di un altro avvenente ponte in legno, il quattrocentesco Spreuerbrücke, e percorrendo la sua riva meridionale, nella quale si affaccia anche l’interessante Jesuitenkirche, ripassiamo accanto al Kapellebrücke chiudendo il cerchio della nostra visita.

Recuperata l’auto, intorno alle 18:00, facciamo poi ritorno all’Ibis Hotel Lucern Kriens per trascorrervi la seconda ed ultima notte, infine, visti i prezzi convenienti e la buona qualità, ceniamo ancora al Ristorante Fontana.

Mercoledì 25 Agosto:

Un’altra giornata grigia pare proprio ci aspetti … non piove, ma ci troviamo sotto ad un immenso tappeto di nuvole, completamente privo di smagliature. Dalla nostra c’è solo che il programma odierno non prevede visite particolarmente importanti, solo un’abbazia e quattro castelli di media rilevanza lungo la strada che porta a Sciaffusa, nell’estremo nord della Svizzera.

Prima di tutto aggiriamo verso oriente il Lago dei Quattro Cantoni per giungere, poco più a nord di quest’ultimo, nella località di Einsiedeln, dove si trova l’imponente Klosterkirche, complesso barocco risalente al XVIII secolo, che è il luogo di pellegrinaggio più importante del paese. Il convento benedettino ha infatti una storia che risale a più di mille anni fa, perché fin dal medioevo vi si venera la statua della Vergine Nera, oggi conservata all’interno di una chiesetta inglobata nella grande struttura religiosa, a sua volta decorata con un tripudio di stucchi, affreschi e volte dorate.

Esplorato a dovere il monumentale edificio riprendiamo il nostro viaggio e, passando anche nei pressi di Zurigo, capitale economica elvetica, ci spostiamo di una cinquantina di chilometri a nord-est, nella periferia del paese di Seengen, per vedere il Wasserschoss Hallwyl.

Questo “castello acquatico”, risalente all’XI secolo, che fu residenza dell’omonima famiglia, ha la particolarità di essere inserito in uno stupendo contesto ambientale, completamente circondato dalle acque del fiume Aabach, e vale la pena di essere visitato soprattutto lungo il perimetro esterno, caratterizzato da eccellenti scorci.

Di fronte all’ingresso del castello pranziamo con i nostri soliti panini e poi riprendiamo strada.

Ci muoviamo ancora più a nord, ma di soli undici chilometri, fino all’abitato di Lenzburg, per visitare l’omonimo maniero, situato in cima ad uno sperone di roccia e ritenuto uno dei più belli fra tutti i castelli d’altura della Svizzera.

Lo Schloss Lenzburg fonda le sue radici nell’XI secolo e la leggenda sulle sue origini narra anche di un drago, eroicamente ucciso per fargli posto … In effetti la posizione della fortezza è strategica e allo stesso tempo scenografica, peccato solo che la si debba esplorare nel già citato grigiore.

Ci dedichiamo anche alla visita degli interni, dilungandoci un po’ e pazientando, vista la situazione meteo. In questo modo veniamo premiati perché poco più tardi, saliti sulla collina adiacente al castello per fotografarlo nella sua complessità, il cielo finalmente si apre ed esce fuori prepotentemente il sole.

In tali nuove ed inaspettate condizioni corriamo verso la successiva meta, che è lo Schloss Wildegg, eretto nella prima metà del XIII secolo, dai conti di Asburgo, sulle colline sovrastanti l’omonimo villaggio. Il castello è davvero intrigante, così lo esploriamo minuziosamente, sia all’esterno, con il vasto parco terrazzato, che all’interno, caratterizzato dalle stufe e i raffinati arredi lasciati dalla famiglia Effinger, proprietaria del maniero dal 1483 al 1912.

Ora resta un ultimo castello da vedere, distante un’altra manciata di chilometri: lo Schloss Hasburg. Di questo però non rimane molto ed è importante più che altro perché, eretto per la prima volta nel 1010, fu il primo castello della celebre casata degli Asburgo.

Dopo rimangono da percorrere circa ottanta chilometri per giungere al termine della tappa … un’oretta di strada, non di più, ma passando nei pressi di Zurigo dobbiamo affrontare un traffico infernale e arriviamo a destinazione ben oltre le 19:00.

Prendiamo alloggio al B & B Paradiso, gestito da una famiglia italiana, nel paese di Busingen a pochi chilometri da Sciaffusa, che visiteremo domani … sì, a pochi chilometri, ma in un altro stato. Busingen infatti è una enclave tedesca in terra elvetica. Della dogana però neanche l’ombra.

Più tardi ceniamo al ristorante italiano La Gondola e facciamo anche quattro chiacchiere con l’anziana titolare del locale, convinta no vax … cerchiamo però di evitare uno scontro ideologico e, rimanendo nella cordialità, la salutiamo, tornando definitivamente verso la nostra camera per riposare.

Giovedì 26 Agosto:

Quando ci svegliamo a Busingen siamo tristemente avvolti nella nebbia. Per fortuna poi, mentre facciamo colazione, esce fuori il sole, come previsto d’altronde.

Lasciamo il B & B Paradiso e andiamo a parcheggiare in una struttura multipiano nel centro di Sciaffusa, così da effettuarne la visita.

Ci avviamo così alla scoperta di questa storica cittadina medioevale, dall’aspetto già teutonico e considerata fra le più pittoresche della Confederazione Elvetica, della quale fa parte fin dal 1501.

Prima di tutto saliamo al Munot, la fortezza del XVI secolo, caratterizzata da un’insolita architettura a pianta circolare, che, visibile da lontano, è il vero e proprio simbolo della città. Inerpicandoci poi lungo una splendida scala a chiocciola giungiamo sui bastioni e sul tetto dell’edificio, da dove si gode un eccellente panorama sui tetti e sulle guglie dell’abitato, mentre nel fossato, più in basso, scorrazzano alcuni cervi, fra i quali quello che, secondo tradizione, porta il nome del sindaco in carica.

Quando scendiamo ci avventuriamo nei vicoli dell’Altstadt, la città vecchia, caratterizzata da finestre a bovindo su pareti dai colori pastello, ma anche da palazzi magistralmente dipinti, come la Haus Zum Ritter, del 1492, decorata con un grande affresco in stile rinascimentale, la Zum Grossen Kafig, in cui è rappresentata la parata trionfale di Tamerlano, capo dei guerrieri mongoli, e la Zum Goldenen Ochsen, del XVII secolo, che si distingue per un bue d’oro riprodotto sulla facciata.

Molto belle sono anche le piazze, in particolare la centrale Fronwagplatz, impreziosita da due interessanti fontane: a nord la Mohrenbrunnen (la fontana dei mori) e a sud la Metzgerbrunnen (la fontana del macellaio). Infine esploriamo l’Allerheiligen Munster, la cattedrale di Sciaffusa, nonché uno dei pochi complessi monastici romanici ben conservati di tutta la Svizzera.

Passate da poco le 11:00 torniamo soddisfatti a recuperare l’auto e, dopo aver fatto spesa, ci spostiamo alcuni chilometri più a sud, presso le famose Cascate del Reno, principale attrazione della regione.

Dall’apposito parcheggio scendiamo fin sulle rive del grande fiume, uno dei più lunghi d’Europa, che termina la sua corsa nel Mare del Nord, e già da lontano possiamo ammirare la potenza del salto d’acqua, di soli 23 metri ma con un’enorme portata: circa 750 metri cubi al secondo, che rende le cascate le più opulenti dell’Europa continentale.

Allo sportello della compagnia Rhyfall Mandli acquistiamo i biglietti delle imbarcazioni per la visita e per prima cosa attraversiamo il Reno a valle delle cascate per approdare sull’altra sponda, dove si trova lo Schloss Laufen, fortezza di origini medioevali in stupenda posizione sulle Rheinfall, infatti non è tanto il castello ad essere interessante, quanto gli strepitosi punti panoramici intorno ad esso, che si protendono fino a pochi metri dalle spumeggianti acque.

Esplorati tutti gli overlooks riguadagniamo poi il lato di partenza … per salpare con un’altra imbarcazione, quella che porta sotto al grande salto d’acqua e da lì salire gli oltre cento scalini che conducono in cima ad una suggestiva roccia, che emerge dalle rapide impetuose … Davvero belle le Cascate del Reno, certo non paragonabili ad altre, ancora più famose, ma comunque belle, peccato solo che, come da previsioni, il sole se ne sia andato progressivamente dietro alle nuvole.

Pranziamo al sacco sulle rive del fiume, nella periferia di Sciaffusa, quindi, nel primo pomeriggio, riprendiamo strada per spostarci solo di una ventina di chilometri verso est, fino al borgo di Stein am Rhein.

Come descritto sulla nostra guida il piccolo centro di questo paesino, di origine duecentesca, sembra uscito da un libro di fiabe, soprattutto la Understadt, la via principale, e la Rathausplatz, considerata spesso, non a caso, la più bella piazza di Svizzera. Acciottolata e interamente circondata da splendide case di ogni forma e dimensione, alcune a graticcio, altre ricoperte di affreschi, è un vero spettacolo architettonico che ci incantiamo a guardare, nel quale stonano solo gli invadenti ombrelloni delle attività commerciali e, oggi, la mancanza del cielo azzurro.

Da Stein am Rhein ci muoviamo poi ancora verso est, passiamo nei pressi della città di Costanza e proseguiamo, a debita distanza, sulle rive dell’omonimo lago (grande bacino lacustre condiviso fra Svizzera, Germania e Austria).

In questo modo, per non finire troppo in anticipo la tappa, ci allunghiamo di qualche chilometro fino alla località di Rorschach per vedere la stravagante Markthalle Altenrhein, costruzione in stile moderno dell’eclettico artista austriaco Friedensreich Hundertwasser, che era solito definire le linee rette “senza dio” … Infatti l’edificio in questione è un tripudio di muri sbilenchi, colori vivaci e cupole a cipolla.

Lasciandoci alle spalle anche il Lago di Costanza ci spostiamo infine nella cittadina di San Gallo, dove prendiamo alloggio per la notte al Flat Speicher St. Gallen, un appartamento dotato di cucina, che ci permette di prepararci in autonomia la cena e, almeno per una volta, risparmiare sui costi di sostentamento.

Venerdì 27 Agosto:

Doveva piovere e invece, quando ci alziamo, fuori splende un bel sole … tanto meglio!

Facciamo colazione e poi usciamo, lasciando i bagagli in camera, per andare a visitare San Gallo, una delle più importanti e storiche città elvetiche, fondata, secondo la leggenda, nel 612 dal monaco irlandese San Gallo.

A piedi, in dieci minuti, raggiungiamo il centro e prima di tutto andiamo a vedere l’originale Stadtlouge, il “salotto cittadino”: un intero isolato pavimentato con uno strato di gomma rossa, la stessa che riveste anche tavoli, panchine, una fontana e … una finta Porsche! … È un’opera risalente al 2005 dell’architetto Carlos Martinez e dell’artista Pipilotti Rist davvero particolare e seducente.

Dopo il moderno ci rivolgiamo però alla parte storica della città, caratterizzata da alcuni tradizionali edifici a graticcio, ma soprattutto dal Complesso Abbaziale di San Gallo, iscritto dal 1983 nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

L’imponente Dom, fondato in epoca medioevale, ma ricostruito a fine Settecento in stile tardo barocco, troneggia con la sua monumentale facciata fronteggiata da verdissime aiuole, mentre gli interni sono un tripudio di affreschi e stucchi rococò.

La parte più nota del centro religioso è però la Stiftsbibliothek, massima espressione di architettura rococò svizzera e una delle più ricche collezioni di libri in lingua tedesca del primo medioevo. Contiene, infatti, più di 160.000 libri, di cui 2.200 manoscritti e 500 risalenti a prima dell’anno mille. Davvero bella la biblioteca, peccato che non si possa proprio fotografare … chissà perché?

A breve distanza dal Dom vediamo un’altra interessante chiesa, la protestante St. Laurenzen Kirche, in stile neogotico, con pavimenti a mosaico, delicati affreschi floreali e un grandioso organo, ultima piacevole nota di questa affascinante cittadina.

Riconquistata auto e bagagli ci lasciamo alle spalle San Gallo salendo sulle montagne poco più sud, dove si trova anche la località di Appenzel, quindi planiamo dall’alto di nuovo sulla vallata del Reno, mentre il cielo si copre ancora di nuvole. Così facendo, poco prima di mezzogiorno, arriviamo nel paese di Werdenberg.

Fondato nel 1289 questo villaggio si dice comprenda il più antico insediamento di case a graticcio della Svizzera. Si tratta di un gruppo di una quarantina di edifici che sorge fra un laghetto ed una collina sovrastata dall’immancabile castello.

Ci dedichiamo subito all’esplorazione del luogo, con la speranza che il cielo si apra … vana speranza. Le case però sono davvero tipiche e offrono caratteristici scorci, che ci godiamo con calma, prima di pranzare in riva al piccolo specchio d’acqua.

Subito dopo ci spostiamo di una manciata di chilometri per attraversare il Reno e anche un confine, quello che divide la Svizzera dallo staterello del Liechtenstein. Così facendo prima di tutto ci fermiamo ad ammirare l’Alte Rheinbrücke, l’ultimo superstite fra i ponti in legno sul corso del Reno Alpino, costruito nel 1900 e lungo 135 metri, poi entriamo nella cittadina di Vaduz, capitale di questo minuscolo regno. Il Liechtenstein, infatti, è una monarchia costituzionale ereditaria, attualmente guidata dal principe Giovanni Adamo II.

A Vaduz vediamo il moderno Landtag, il Parlamento, fiancheggiato dal Municipio e dalla neogotica St. Florin Cathedral, che andiamo a visitare e una volta entrati notiamo una bara, avvolta in una bandiera e adagiata ai piedi dell’altare, con due guardie a sorvegliarla. Ogni tanto entrano alcune persone e in religioso silenzio vanno a rendergli omaggio … Indaghiamo un po’ sul web e veniamo a sapere che quello davanti a noi è il feretro della regina madre Marie Kinsky, deceduta alcuni giorni fa.

Archiviata anche questa fortuita esperienza saliamo infine alle Schloss Vaduz, maniero risalente al XII secolo e più volte ampliato, che è la residenza ufficiale del principe e quindi non visitabile.

Riattraversato il Reno torniamo poco dopo in terra elvetica e procediamo spediti verso la città di Coira, dove albergheremo, ma non subito, perché la superiamo per andare ad esplorare Ruinaulta, la gola formata dal Reno Anteriore, conosciuta anche come Canyon del Reno, oppure Grand Canyon svizzero … Nulla a che vedere, naturalmente, con il Grand Canyon americano.

Osserviamo però le gole dai vari punti panoramici e poi arriviamo anche alla loro base, presso la stazione della Ferrovia Retica, che le percorre interamente, e grazie anche al sole, che nel frattempo è tornato a splendere alto in cielo, abbiamo potuto godere, spesso, di belle viste.

Alla fine facciamo ritorno a Coira, dove prendiamo alloggio in pieno centro, all’Ambiente Hotel Freiech AG per le prossime due ma anche ultime notti del viaggio, poi concludiamo la serata nel vicino Ristorante Pizzeria La Vita, che, per la cronaca, ci stacca la bolletta più salata dell’intera vacanza.

Sabato 28 Agosto:

Mentre la villeggiatura volge ormai inesorabilmente al termine ci svegliamo a Coira sotto ad un cielo non certo limpido, ma almeno senza pioggia.

In programma c’è un’intera giornata da trascorrere in treno, da qui fin oltre il Passo del Bernina e quasi al confine con l’Italia, lungo la Ferrovia Retica dell’Albula e del Bernina, dal 2008 facente parte del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Poco dopo le 8:00 usciamo a piedi dall’hotel per recarci alla stazione di Coira, che dista poche centinaia di metri. Così facendo, in ragionevole anticipo, giungiamo al binario nove per metterci in attesa del treno delle 8:58 per St. Moritz … anzi, non dobbiamo affatto attendere perché è già in banchina, così saliamo a bordo e in perfetto orario (svizzero) partiamo.

Dopo trenta minuti di viaggio giungiamo nella stazione di Thusis e da lì, in pratica, comincia l’avventura.

Il treno inizia a seguire una stretta gola, poi tunnel e ponti, fino a quello di Solis, che scavalca il torrente Albula ad 89 metri di altezza, quindi, più avanti, percorriamo il viadotto Landwasser, il più suggestivo perché si sviluppa tutto in curva, a 65 metri da terra, prima di immettersi in una buia galleria, il tutto però nel poco entusiasmante grigiore odierno.

Un po’ più tardi oltrepassiamo il tunnel dell’Albula, a quota 1.823 metri, e da lì planiamo sulla famosa località turistica di St. Moritz, dove arriviamo intorno alle 11:00.

Nella regina delle Alpi svizzere, frequentata fin dall’Ottocento da teste coronate e celebrità di livello mondiale, ma anche sede di ben due olimpiadi invernali, ci fermeremo per circa 45 minuti, così ne approfittiamo per scendere a piedi sulle rive dell’omonimo lago, situato proprio sotto alla stazione. Da lì il panorama sulle montagne circostanti sarebbe eccelso … se ci fosse il sole, ma dobbiamo accontentarci di un solo sprazzo di cielo sereno in direzione di Lugano e dell’Italia … troppo poco per essere soddisfatti.

Alle 11:46 ripartiamo in treno per affrontare la tratta del Bernina, quella con maggiori aspettative, e lasciata St. Moritz cominciamo subito a salire di quota e continuiamo a farlo progressivamente, fino a raggiungere i 2.353 metri del Passo del Bernina, fiancheggiati da ghiacciai e da picchi di oltre tremila metri, che però sono avvolti nelle nubi … Peccato, perché il colpo d’occhio sarebbe magnifico dalla stazione di Ospizio Bernina, con le acque lattiginose del Lago Bianco a bagnare i piedi delle grandi vette.

Da lì il rosso trenino comincia poi a scendere verso la Val Poschiavo, una discesa vertiginosa, fatta di contorte rotaie che si dipanano in lunghissimi tornanti. Passiamo per la scenografica stazione di Alp Grum, con la vista che spazia sul ghiacciaio del Piz Palù, e alla successiva, quella di Cavaglia, scendiamo dal treno che sono le 13:10.

Da questa fermata, a piedi e in pochi minuti, raggiungiamo l’ingresso del cosiddetto Giardino dei Ghiacciai, dove un sentiero porta alla scoperta delle impressionanti Marmitte dei Giganti, ovvero antichissime buche nel terreno, profonde anche 14 metri, generate oltre undicimila anni fa dalle acque di fusione dei ghiacciai.

Il percorso di visita termina con un suggestivo orrido formato dal vicino torrente, il tutto in tempo per permetterci si salire sul successivo treno, quello delle 13:58, che poi ci consente di completare la discesa verso la località di Poschiavo, che è anche il nostro capolinea, mentre le nuvole finalmente si diradano lasciando filtrare i raggi del sole, che, come per incanto, accendono tutti i colori della natura.

Venti minuti dopo le 14:00 siamo a Poschiavo, dove abbiamo un’ora e un quarto di tempo a disposizione prima di salire sul treno del ritorno.

Prima di tutto pranziamo e poi andiamo a fare una passeggiata nel piccolo centro di questo villaggio alpino, a cominciare dal cosiddetto Quartiere Spagnolo, con alcune interessanti case in stile liberty, e finire con la piazza principale, sulla quale prospetta la bella Collegiata di San Vittore Mauro, affiancata dal macabro ossario della Chiesa di S. Anna.

Il ridente borgo ha un’aria famigliare, infatti l’Italia, da qui, dista meno di trenta chilometri, anzi, sembra già di essere nel Bel Paese, perché tutte le insegne e i cartelli sono nella nostra lingua.

Alle 15:36 risaliamo sul treno, che parte subito in direzione di St. Moritz. Facciamo tutta la salita sotto al sole ma poi, strada facendo, torniamo pian piano sotto alle nuvole … un po’ meno che in mattinata, ma comunque le vette più alte rimangono nascoste.

Arriviamo a S. Moritz alle 17:00, con il lago sempre nell’ombra, come cinque ore prima. Allora facciamo quattro passi in centro, contornati dal lusso sfrenato di super-car e vetrine di marchi alla moda, ma a parte questo la città non è nulla di eccezionale.

Alle 18:02 prendiamo il via sull’ultimo treno di giornata, quello che ci riporterà a Coira. Così facendo, scollinata la galleria dell’Albula, comincia a piovere e lo farà, a tratti, fino alla stazione di arrivo, poco dopo le 20:00.

Prima di rientrare in hotel ci fermiamo poi a mangiare pizza e kebab in un posto molto alla mano, consumando, dopo la cena più costosa, quella più economica del viaggio, poi ci ritiriamo in camera a riposare e a sistemare i bagagli in vista della partenza verso casa di domani.

Domenica 29 Agosto:

Quando ci svegliamo, in questo ultimo giorno di vacanza, oltre il vetro della nostra stanza sembra già di essere a novembre … Poco male però, perché ci restano da fare solo un paio di veloci visite, prima di puntare e poi mantenere la barra dritta sulla via di casa.

Partiamo da Coira un quarto d’ora dopo le 8:00 e andiamo … a nord, ma solo per qualche chilometro, perché poi usciamo sulla destra seguendo le indicazioni per la località di Davos, da dove imboccheremo le rampe del Fluelapass.

Poco più tardi cominciamo così a salire, un tornante dopo l’altro in direzione delle nuvole ed un paesaggio sempre più opalescente, fin quando, in cima al passo, a 2.383 metri di altezza, nevica forte e ci sono solo due gradi. Intorno a noi è tutto bianco e mai ci saremmo aspettati una cosa simile a fine agosto.

Scendendo dal passo torna poi tutto più normale e smette anche di piovere quando arriviamo nel paese di Guarda, un tipico villaggio interamente formato da coloratissime case engadinesi del XVII secolo, che merita ampiamente il tempo che abbiamo voluto dedicargli.

Da Guarda puntiamo quindi decisamente a sud e, superato l’Ofenpass, scendiamo al borgo di Mustair, ultimo centro abitato prima di arrivare in Italia. Qui ci fermiamo per vedere il Monastero di San Giovanni, considerato uno delle più antiche testimonianze paleocristiane d’Europa, fondato, secondo la leggenda, nell’VIII secolo nientemeno che da Carlo Magno e dichiarato nel 1983 Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Una volta dentro la chiesa possiamo così ammirare i preziosissimi affreschi di epoca carolingia che ricoprono parte delle pareti e raffigurano storie dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Completata così anche l’ultima visita pranziamo nel parcheggio antistante il monastero e poi diamo il via al vero e proprio viaggio di ritorno.

Alle 13:15 rientriamo in Italia, scendendo poi in picchiata sulla Val Venosta, oggi particolarmente trafficata. In questo modo superiamo Merano e arriviamo a Bolzano quasi due ore più tardi.

Nel capoluogo altoatesino imbocchiamo finalmente l’autostrada A22 verso sud, ma oggi è un giorno decisamente da bollino rosso e spesso ci ritroviamo fermi in coda, così a Mezzocorona decidiamo di uscire, per passare dentro a Trento e rientrare parecchi chilometri dopo, ad Ala Avio. Il calvario finisce a Verona, intorno alle 17:20, poi, viaggiando più spediti e senza intoppi, concludiamo felicemente il viaggio, alle 19:22, davanti al cancello di casa.

La Svizzera ha tanto da offrire, dalle straordinarie bellezze naturali a quelle architettoniche di storiche cittadine mitteleuropee. Vi si possono trovare grandi opere prodigio della tecnica, ma anche speciali prelibatezze culinarie. Non c’è dubbio, siamo pienamente soddisfatti dell’esperienza appena vissuta anche se, “cara” Svizzera, siamo costretti a chiudere gli occhi sulla folle spesa necessaria ad aver reso possibile il viaggio.

□ Dal 13 al 29 Agosto 2021

□ Da Forlì’ a Forlì km. 2971

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Islanda (Capodanno 2021/2022)

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  1. A) INFORMAZIONI GENERALI:

 

Quando: 7 giorni dal 30.12.2021 al 05.01.2022.

Perché questo viaggio: dopo due viaggi senza nostro figlio Matteo, quando ci ha proposto di fare qualcosa tutti iniseme (noi 4 più la sua ragazza), abbiamo colto la palla al balzo. La scelta è caduta sulla Giordania … prenotata ad ottobre e saltata con il dpcm del 15 dicembre (l’hanno fatta passare in lista E). Dopo aver sbollito l’arrabbiatura …. e qui mi fermo …. la scelta della nuova destinazione è stata fatta all’istante. In Islanda eravamo stati per un mese con il camper anni fa (ci eravamo imbarcati in Danimarca e dopo uno stop alle Faer oer, eravamo arrivati in Islanda dopo 5 giorni). Ci era piaciuta tantissimo e ci eravamo ripromessi di tornare in inverno per vedere com’era in un’altra stagione e per l’aurora boreale.

NB: le informazioni dei vari posti che allego, a volte, per velocizzare, sono tradotte con google traduttore quindi può capitare che non siano in italiano proprio perfetto …..

Itinerario: 3 notti a Reykiavik, 2 a Vik, ed 1 a Reykiavik.

Voli (€ 1.284): € 321 a testa con 3 valige. Prenotati al 17 dicembre con EasyJet.

Hotel e appartamenti(€ 1.609):

Avendo timore di dover annullare anche questo viaggio, abbiamo scelto soluzioni che non richiedessero pagamento al momento della prenotazione e con annullamento a ridosso della scadenza.

– Reykjavik: Downtown Beautiful Designer – appartamento con 5 posti letto (due camere ed un divano letto)

(https://www.airbnb.it/rooms/13159452?source_impression_id=p3_1641757260_tdON%2Bg6yOJiLxqLD&guests=1&adults=1)

3 notti – a notte € 277 = Totale € 832

Prenotazione: Air B & B – pagato il giorno prima di partire

Giudizio: molto bello e curato nei minimi dettagli. Voto 9.

– Vik: Vik Apartment – appartamento con 5 posti letto (due camere ed un divano letto)

(https://www.vikapartments.is/)

2 notti – a notte € 316 = Totale € 632

Prenotazione: booking – pagato il giorno prima di partire

Giudizio: praticamente nuovo. Moderno e molto bello. Voto 9.

– Reykjavik: Stay Apartment Einholt – appartamento con 5 posti letto (due camere ed un divano letto)

(https://www.booking.com/hotel/is/einholt-guesthouse.it.html)

1 notte – € 145

Prenotazione: booking – pagato il giorno prima di partire

Giudizio: Bagno terribile ma soprattutto eravamo in 5 e c’erano solo 2 camere con due letti ognuno. Il divano non era un letto e se anche lo fosse stato, non c’erano lenzuola e cuscini. Abbiamo dovuto dormire in 3 in un letto matrimoniale con due piumoni singoli. Il codice di accesso non era giusto. Abbiamo dovuto chiamare più volte la responsabile perchè non riuscivamo ad accedere all’appartamento. Al rientro dalla cena alle 23.00 il codice di accesso era di nuovo non valido. Per fortuna, dopo tante telefonate, ci hanno risposto creandone uno nuovo. Se non fossimo riusciti a parlare con qualcuno, dovendo partire alle 6.00 del mattino seguente, oltre a dover trovare una sistemazione per la notte, avremmo perso il volo visto che tutte le nostre cose erano nell’appartamento ….. Voto 1.

Auto affittata: € 535:

Da Blu Rental Car in aeroporto (https://www.bluecarrental.is/). Abbiamo affittato una Dacia 4×4 con assicurazione completa. Nessun problema. Ci siamo trovati bene.

Km. percorsi: 1.350

 

Carburante: € 188

Ristoranti e bar (€ 431): abbiamo pranzato solo due volte in Islanda ed una in scalo a Londra. Per il resto, avendo scelto la soluzione degli appartamenti, abbiamo sempre cucinato noi.

Altre spese: parcheggio Malpensa € 37; market € 262; Laguna Blu € 248 (a testa € 62); assicurazione Columbus € 168; tamoni in partenza dall’Italia € 15 a testa; varie € 50

Covid: non sto qui ad elencare cosa abbiamo dovuto fare perchè spero proprio che si superi il prima possibile tutta questa brutta situazione. Comunque tra PLF del Regno Unito (non eravamo in transito ma abbiamo dovuto prendere e imbarcare nuovamente le valige) sia in andata che in rientro, dell’Islanda, dell’Italia e i relativi tamponi … siamo arrivati abbastanza stremati alla partenza. Continuavamo a cercare info ovunque perchè avevamo il timore che potessero cambiare le cose da un momento con l’altro e che ci saltasse pure questo viaggio.

 

Info sull’Aurora Boreale: https://www.unviaggioinfiniteemozioni.it/aurora-boreale-consigli-avvistarla/

App sull’Aurora Boreale: Aurora Alerts

 

Google maps: allego questa pagina che ho creato. Spero possa servire per sapere quali sono le cose principali da vedere.

https://www.google.com/maps/d/u/0/edit?mid=1JxoM5BP9tcuZz19XJjuwhMk9fJdz_6uc&ll=64.88661145163553%2C-19.027287899999987&z=7

 

Opinione generale: l’Islanda si riconferma uno dei posti al mondo più belli che ho visto.

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  1. B) INFO

 

Fuso: 1 ora indietro rispetto all’Italia

 

Moneta: Corona islandese 1 = € 0,0068     € 1 = Corona Islandese 147

Documenti: patente italiana e carta d’identità (noi abbiamo dovuto usare il passaporto perchè abbiamo fatto scalo nel Regno Unito.

Corrente: spine come in Italia

 

Strade: situazione strade: http://www.road.is/ oppure su  www.safetravel.is

prima di percorrere qualsiasi strada è bene consultare questi siti. Sono aggiornati quasi minuto per minuto, soprattutto d’inverno. Se una strada è di colore rosso, in loco troverete la segnaletica di blocco. Se la superate sappiate che i mezzi di soccorso non vengono ad aiutarvi in caso di bisogno.

C’è un anello esterno chiamato Ring Road oppure n°1 di 1400 km. E’ tutto asfaltato. Le strade oltre alla n°1 sono così classificate: quelle con due numeri sono sterrati buoni, quelle con tre numeri sterrati non perfetti e quelle con la F e tre numeri sono percorribili per legge solo dai fuoristrada e nelle quali si possono incontrare i guadi (segnalati sulle cartine). Le piste degli altipiani centrali vengono aperte verso metà giugno e chiuse quando arriva la neve.

 

Market: sono super riforniti e non abbiamo trovato prezzi folli, caro ma non esagerato. Considerate che qualsiasi tipologia di alcool, birra compresa, viene venduta in negozi apposta, per cercare di ridurre il numero degli alcolizzati.

Ristoranti: sono cari.

 

Clima e quando andare: l’Islanda è bella tutti i mesi. D’inverno può essere estrema se si scatenano tempeste di neve. Sempre d’inverno il problema è il vento. Può arrivare ai 100 km orari. Noi lo abbiamo trovato tutti i giorni a 70 km. orari. Le temperature non scendono mai tantissimo. Il minimo che noi abbiamo trovato è stato – 8 ma con il vento era percepito come -15. D’estate la piovosità è elevata.

 

Pagamenti: ovunque si può pagare con la carta di credito. Non abbiamo cambiato in valuta locale.

 

Alba/tramonto: 11.15 – 15.45 ma c’è luce già dalle 10.15 e fino alle 16.45. Le ore di luce a Capodanno sono proprio poche quindi bisogna organizzare gli spostamenti facendo in modo di essere al primo punto da visitare quando si incomincia ad avere visibilità. Le cose da vedere sono talmente tante che per forza bisogna fare delle scelte su cosa tralasciare.

 

Siti internet:

tour operator – info generali: https://guidetoiceland.is/it

informazioni: https://www.unviaggioinfiniteemozioni.it/category/europa/islanda/

informazioni Islanda del sud: https://www.south.is/

informazioni Islanda del nord: https://www.northiceland.is/

informazioni Islanda orientale: https://www.east.is/en

informazioni Islanda occidentale: https://www.west.is/

informazioni Islanda dei fiordi occidentali: https://www.westfjords.is/

informazioni Islanda penisola Reykjanes (sud di Reykjavik): https://www.visitreykjanes.is/is

ore di luce: https://www.unviaggioinfiniteemozioni.it/calendario-ore-di-luce-in-islanda/

sito per aurora boreale:  https://en.vedur.is/weather/forecasts/aurora/#type=total

 

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  1. C) ITINERARIO GIORNO PER GIORNO:

 

1) 30 dicembre 2021 giovedì: Milano – Reykjavik (km.50)

Finalmente le tante sospirate e sofferte vacanze sono arrivate. Partiamo abbastanza stressati con un plico di plf, tamponi fatti e green pass con la paura che qualcosa vada storto. Nulla sarebbe stato se avessimo volato o con la Wizz (ma accantonata perchè annulla spessissimo) o l’Iceland Air (troppo cara). Con loro saremmo arrivati direttamente a Reykjavik evitando il tanto temuto scalo in Inghilterra che invece ci ha obbligati a fare EasyJet, perdendo tantissimo tempo e con controlli rigidissimi. Non sto qui a dilungarmi tanto si spera che tutto questa situazione finisca velocemente.

Partiamo alle 2.30 del mattino, noi 4 con la fidanzata di nostro figlio. Lasciamo a Malpensa la macchina e dopo tutti i vari controlli, partiamo alle 7.00. Volo tranquillo di un paio d’ore. All’atterraggio a Londra nessun controllo, ritiriamo le valige e poi dobbiamo attendere 7 ore il volo (più 2 di ritardo). La zona oltre i check-in non ha nessun posto dove sedersi quindi andiamo all’hotel Hampton, che si trova all’interno dell’aeroporto, chiedendo se hanno una saletta dove possiamo stare. Molto gentilmente ce la lasciano quindi rimarremo lì tutto il tempo. Al check-in pochi controlli. Pranziamo poi al ristorante Sonoma (€ 20 a testa). Tantissima gente gira senza mascherina quindi credo che nel Regno Unito non sia obbligatoria. Si riparte e dopo quasi 3 ore di volo, atterriamo finalmente a Reykjavik. Qui ci controllano tutti i documenti, tamponi, green pass e plf. Pensavamo di uscire dall’aeroporto e trovarci in una ghiacciaia ed invece fa freddo ma non eccessivo. Andiamo a ritirare la macchina da Blu Car (gli uffici sono dalla parte opposta del parcheggio). Sbrighiamo le formalità in pochi minuti e saliamo sulla nostra Dacia super ghiacciata. A fatica apriamo le portiere. Percorriamo i 50 km. che ci separano dalla capitale, in meno di un’ora. Guardiamo in cielo nella speranza di vedere l’aurora boreale ma questa sera danno solo kp 1 quindi propabilità basse. Le luci della città sono molto forti quindi, anche ci fosse stata, non avrebbe reso. Raggiungiamo il nostro appartamento che si trova proprio in centro.

Pernottamento: prenotato su Air B & B – Downtown Beautiful Designer

https://www.airbnb.it/rooms/13159452?guests=1&adults=1

€ 278 a notte – Tot. per 3 notti € 834

La proprietaria dell’appartamento ci ha dato un codice che ci fa accedere. E’ molto bello. Ci sono due camere matrimoniali molto spaziose, una sala con divano letto, la cucina ed il bagno con la vasca. E’ pulitissimo ed attrezzato anche con zucchero, sale, olio, caffè, the, spezie varie ed in bagno addirittura gli assorbenti e le salviette per struccarsi. Pier e Matteo vanno subito a fare la spesa mentre noi ci laviamo e disfiamo le valige. I market sono aperti fino a tardi ed uno, il Nettó (Fiskislóð 3, al porto), che è aperto 24/24. Domani pomeriggio sono chiusi così come il primo gennaio e poi il 2 in quanto domenica quindi ci eravamo informati su quali fossero aperti fino a tardi per organizzarci. Per cena avevamo previsto la pasta con purè e formaggio… è tutto pronto… e quando loro arrivano… Pier aggiunge solo l’olio in entrambe le pentole (che aveva acquistato non sapendo che c’era nell’appartamento…) e salteremo la cena perchè è …… olio di fegato di merluzzo… senza occhiali è accecato quindi ha preso il primo che gli è capitato… iniziamo bene! Butteremo tutto… Siccome è quasi mezzanotte e siamo un filino stanchi… mangiamo un pò di formaggio e poi a dormire…..

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Informazioni su quello che c’è da vedere a Reykjavik:

Reykjavik, capitale e principale città dell’Islanda, grazie alla sua latitudine è anche la capitale più a Nord del Mondo. La capitale islandese conta circa 200.000 abitanti e, se pensate che in Islanda vivono circa 332.000 persone, a Reykjavik vive praticamente la maggior parte della popolazione islandese! Reykjavik sarà quasi sicuramente la vostra prima tappa non appena metterete piede sul suolo islandese e, pur non essendo grandissima, richiede almeno due o tre giorni per visitarla abbastanza bene.

Vediamo nel dettaglio cosa vedere a Reykjavik tra le tappe principali e quelle meno turistiche, come arrivarci dall’aeroporto e dove dormire nella capitale islandese. E perché no, qualche curiosità non fa mai male.

Un po’ di storia: Quello che si conosce in merito alla storia di Reykjavik è relativamente recente e risale all’anno 874 d.C., quando Ingólfur Arnarson, un norvegese in fuga dalla sua terra e uno dei primi coloni dell’Islanda, la fondò. Il Landnámabók (libro della colonizzazione) narra che il colonizzatore fondò Reykjavik seguendo un rituale vichingo, che consisteva nel gettare in mare gli öndvegissúlur, i pali in legno situati ai lati del trono dei capi vichinghi e vedere dove si sarebbero arenati per mano degli Dei. Tutto questo è stato confermato anche da alcuni scavi archeologici effettuati e da alcuni ancora in corso in quella che si pensa essere stata la casa di Arnarson, trovata in Aðalstræti nelle vicinanze del parlamento e del municipio. Per diversi secoli, fino all’incirca il XVII secolo, Reykjavik rimase un agglomerato di fattorie senza molta importanza, mentre sull’isola situata poco al largo dell’odierna capitale, Videy, fu fondato, nel 1225, un monastero agostiniano distrutto in seguito durante la Riforma del XVI secolo. All’inizio del XVII secolo il Re della Danimarca impose all’Islanda un pesante monopolio commerciale che la ridusse alla fame. Intorno alla metà del 1700 Skúli Magnusson, uno sceriffo locale chiamato anche il padre di Reykjavik, mosse i primi passi per cercare di risollevare la città costruendo diverse manifatture tessili incentrate sulla lavorazione della lana, tintorie e concerie. Verso la fine di quel secolo si insediarono anche le prime industrie per la lavorazione del pesce e i primi cantieri navali. La rapida crescita della città portò ad un crescente desiderio di indipendenza tra la popolazione. Reykjavik ben presto divenne il centro intellettuale dell’Islanda e, nel 1845, divenne sede dell’Alþingi, il parlamento islandese, anche se in quel momento non aveva ancora nessun potere. Da quell’anno Reykjavik venne considerata come la capitale dell’Islanda, seppur non ancora ufficiale, e il parlamento ottenne i poteri legislativi nel 1874, nonostante il paese dipendesse ancora dalla Danimarca.Alla fine del 1918 l’Islanda divenne un regno, sempre sotto il controllo danese, e Reykjavik venne dichiarata capitale ufficiale dell’isola. Negli anni successivi il sostentamento della città derivava dalla produzione dello stocafisso e dall’esportazione del pesce, ma il vero periodo fiorente di Reykjavik avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la città dovette provvedere al fabbisogno delle truppe americane e inglesi d’istanza a Keflavik. Proprio qui venne costruito il più importante aeroporto dell’isola, l’Aeroporto Internazionale di Keflavik, grazie all’aiuto delle truppe statunitensi che ottennero così il permesso di stabilire le proprie truppe nelle vicinanze.Si crearono così nuove opportunità lavorative, incentivando la migrazione della popolazione dalle campagne verso la città. Il 17 Giugno 1944 a Þingvellir venne proclamata ufficialmente la Repubblica d’Islanda e Reykjavík divenne la capitale del nuovo Stato indipendente. A partire dagli anni ’50 Reykjavik ebbe una notevole crescita e un boom economico, fino a quando, nel 2008, venne colpita da una forte crisi economica, dalla quale si è poi piano piano ripresa grazie anche al turismo.

Cosa vedere a Reykjavik: Siccome in molti ci chiedono cosa si riesce a vedere a Reykjavik in un giorno, partiamo dalle cose principali che la capitale islandese ha da offrire, per poi passare a quelle un po’ meno conosciute.

Il simbolo della città è la Hallgrímskirkja, una chiesa luterana di nuova costruzione, iniziata dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e terminata nel 1983. La prima cosa che vi salterà all’occhio arrivati di fronte alla chiesa sarà la sua imponente e particolare struttura, che richiama le colonne di basalto della cascata di Svartifoss e che, grazie ai sui 74 metri di altezza, è visibile da ogni angolo della città e può essere usata come punto di riferimento per muoversi nella capitale islandese. Approfittatene anche per salire sulla torre della chiesa: da lassù si gode di una splendida vista panoramica a 360° sulla città e, con una giornata completamente limpida e serena, si riesce a vedere in lontananza persino lo Snæfellsjökull!

Di fronte alla chiesa si trova la statua di Leif Erikson, il primo esploratore a sbarcare in Nord America ben 500 anni prima di Colombo! La si può raggiungere passeggiando lungo la via principale di Reykjavik, la Skólavörðustígur, che dal centro della città porta direttamente alla cattedrale. Questa via è famosa per la moltitudine di negozi e per le piccole gallerie d’arte islandese. Se volete fare qualche acquisto particolare, lungo questa via lo troverete!

Poco distante dalla chiesa si trova un piccolo parco sconosciuto alla maggior parte dei viaggiatori che si reca a Reykjavik. Si tratta dell’Einar Jónsson Sculpture Garden che anche noi abbiamo scoperto quasi per caso. È il giardino del Museo Einar Jónsson, casa e studio del primo scultore islandese, dove sono esposte diverse opere dell’artista. L’ingresso al museo, che racconta la storia dello scultore e delle sue opere, costa 600 Isk (circa € 4,80) mentre l’ingresso al giardino è gratuito.

Se lo shopping lungo la via principale della capitale non dovesse bastarvi, approfittatene per fare una bella passeggiata lungo la via dello shopping di Reykjavik, la Laugavegur. Originariamente questa strada fu costruita per le donne di Reykjavik che ogni giorno si recavano alle sorgenti geotermali per lavare la biancheria. Oggi invece è una delle più antiche e famose vie dello shopping della capitale. Lungo questa via potete trovare i migliori negozi e prodotti di prima qualità, passando dall’alta moda ai negozi di articoli sportivi. Se avete bisogno di acquistare abbigliamento termico da utilizzare durante un viaggio invernale o in montagna, qui troverete di tutto e a prezzi a volte davvero convenienti.

Vicino alla via dello shopping si trova la Laekjargata, il cui nome deriva dal torrente che un tempo correva lungo la strada dal Lago Tjörnin fino al mare, una strada ricca di negozi e pub, tra cui l’Hard Rock Cafè, lungo la quale si trovano alcune tra le più antiche case di Reykjavik.

Dal centro di Reykjavik, dirigendovi verso il vecchio porto, arriverete all’Harpa, un bellissimo centro congressi e centro culturale. Questa struttura è interamente costruita in vetro e anch’essa prende ispirazione dai bellissimi paesaggi basaltici islandesi. Gli amanti della fotografia si divertiranno a fotografarlo a tutte le ore del giorno, sia all’esterno sia all’interno, dove i giochi di luce lo rendono ancora più particolare. La sua posizione sul mare offre una splendida vista sul paesaggio circostante, sulle montagne e sull’Oceano.

Continuando la passeggiata lungo la costa si arriva al Sólfarið, la nave del Sole, la scultura più famosa e simbolo di Reykjavik. Questa scultura è stata costruita nel 1986 dallo scultore Jón Gunnar Árnason in occasione del duecentesimo anniversario della città, è interamente in acciaio e rappresenta una nave dei sogni, un inno al Sole, racchiudendo la promessa di libertà, speranza e nuove mete da scoprire. Se sarete a Reykjavik in estate recatevi al Sólfarið per osservare il Sole di Mezzanotte, mentre in inverno, con un po’ di fortuna, la potete ammirare sotto la danza dell’Aurora Boreale. Poco distante si trova un’altra scultura, la Partnership Sculpture, costruita nel 1991 per celebrare i cinquantanni di rapporti diplomatici tra Islanda e Stati Uniti.

Poco lontano dal Sun Voyager si trova la Höfði House, purtroppo non visitabile al suo interno, costruita nel 1909 e famosa per aver ospitato i presidenti Reagan e Gorbachev durante il Summit di Reykjavik nel 1986 per porre fine alla Guerra Fredda. Dalla casa partì inoltre il primo collegamento radiofonico dell’Islanda.

Dopo una giornata frenetica in giro per il centro di Reykjavik, potete passeggiare nel centro storico di Reykjavik, all’estremità nord del Lago TjörninQui si trova anche il Reykjavík City Hall, una costruzione moderna, elegante e studiata per essere in armonia con la natura circostante. Al suo interno ospita l’ufficio del Sindaco e gli uffici di altri funzionari. Al piano terra si trova invece l’ufficio informazioni turistiche, dove potete acquistare la Reykjavik City Card, e l’internet point, mentre il resto della struttura viene utilizzata come galleria espositiva delle opere di artisti islandesi.

Approfittatene per rilassarvi un po’ passeggiando attorno al meraviglioso Lago Tjörnin, circondato da bellissimi palazzi come l’Università, diversi musei e il Parlamento. Il lago è anche casa di una quarantina di specie di uccelli e i tanti cigni che lo popolano sono sempre felici di ricevere qualche briciola di pane! In inverno il lago si ghiaccia e si trasforma in una pista di pattinaggio, mentre sulle rive viene introdotta acqua termale per consentire ai cigni e alle papere di nuotare anche nei mesi invernali. All’interno del parco che circonda il lago potete ammirare alcune installazioni artistiche degne di nota, raffiguranti diverse persone. Vicino al lago si trova anche la statua del lavoratore ignoto, un’opera realizzata nel 1994 da Magnus Tomasson e che raffigura un uomo d’affari con la testa e le spalle nascoste in una gigantesca scatola in pietra.

Vicino al lago si trovano altre due chiese: la Dómkirkjan, sede del Vescovo d’Islanda e principale luogo di culto luterano della città, e la Fríkirkjan í Reykjavík, costruita nel 1899. Poco lontano si trova anche l’unica chiesa cattolica di Reykjavik, la Landakotskirkja, conosciuta anche come la cattedrale di Cristo Re. Venne costruita nel 1929 e in quell’anno era la chiesa più grande dell’Islanda.

Sulla collina più alta della città, la Öskjuhlíð, sorge il Perlan, una cupola di vetro situata sopra a dei serbatoi di stoccaggio dell’acqua geotermica che serve per riscaldare la città, da cui si ha un’incredibile vista panoramica su tutta la città. Al suo interno si trova uno dei più famosi musei di tutta Reykjavik, il Viking Saga Museum, che ripercorre e racconta perfettamente la storia del popolo islandese.

All’interno della struttura c’è anche un prestigioso ristorante dove potete assaggiare alcuni piatti tipici islandesi godendo di una splendida vista a 360° sulla città e sulla costa. Nei giorni più caldi è possibile pranzare e godere di questa vista dalla terrazza panoramica esterna.

Visitate anche il vecchio porto di Reykjavik, davvero molto bello e caratteristico. Qui durante il weekend è possibile visitare il Kolaportid (Tryggvagata 19), un mercato delle pulci dove è possibile fare degli ottimi affari e acquistare i Lopapeysa, i tradizionali maglioni islandesi in lana lavorati a mano. Al mercato è possibile pranzare anche con una vasta scelta di prodotti locali.

Reykjavik ha anche una stragrande varietà di musei da poter visitare. Se volete farvi un’idea su come vivevano un tempo i cittadini di Reykjavik, fate un salto al Museo all’aperto Árbæjarsafn, aperto per evitare che la storia di Reykjavik venisse dimenticata, oppure al National Museum of Iceland, dove si trova una collezione di reperti ritrovati in diverse zone dell’isola e dove viene raccontata la storia dell’isola dai vichinghi ad oggi.

Per farvi un’idea su quanto sia importante la pesca per gli islandesi potete visitare il Museo Marittimo Vikin, che la racconta egregiamente attraverso foto e filmati. Di fianco al museo si trova il vascello Óðinn, visitabile solamente prendendo parte ad un tour guidato di circa un’ora alle 13.00, alle 14.00 o alle 15.00. Il vascello venne utilizzato durante le guerre del merluzzo tra Islanda e Inghilterra tra il 1950 e il 1976, guerre non armate che si scatenarono per definire i confini delle zone di pesca nell’Atlantico.

A soli 15 minuti dal centro di Reykjavik si trova invece il Whales Of Iceland (Fiskislóð 23), vicino al vecchio porto. Questo è un museo interattivo dedicato interamente ai cetacei e alla loro vita, ideato e realizzato dall’Istituto di Ricerca Marina Islandese e dalla Elding, compagnia che organizza anche i whale watching tour. E per finire non poteva certo mancare lui, il famoso Museo Fallologico Islandese che espone una collezione di ben 209 falli, appartenenti a quasi ogni specie di mammifero islandese.

Un altro posto che potete visitare se avete tempo a sufficienza è il Laugardalur Park, dove troverete uno splendido giardino botanico con una vasta selezione di fiori e piante dell’Artico, un ostello della gioventù, un campeggio e la più grande piscina termale all’aperto di Reykjavík, la Laugardalslaug, in cui potrete nuotare tutto l’anno (inclusa nella Reykjavik City Card). All’interno del giardino si trova anche il Flóran, un piccolo cafè circondato da fiori e piante. Il parco è raggiungibile con gli autobus 14, 15, 17, 19, ed è aperto dalle 8.00 alle 20.00. In questa zona si trovano anche una collezione di sculture del Museo d’Arte Ásmundarsafn di Reykjavík che un tempo era lo studio di Ásmundur Sveinsson, un pioniere della scultura islandese, e il principale stadio sportivo di Reykjavík.

Grótta Island Lighthouse

 Videy Island: isola vulcanica dove si trova l’Imagine Peace Tower realizzata da Yoko Ono in memoria di John  Lennon, raggiungibile in pochi minuti di battello da Reykjavik. La torre non è altro che un basamento su cui c’è incisa la frase Imagine Peace in 24 lingue diverse e dal quale, tra Ottobre e Marzo, viene proiettato verso il cielo un fascio di luce luminoso che sembra, appunto, una torre. Sull’isola non c’è molto da vedere, a parte la vecchia residenza reale e la piccola chiesa, ma la vista sulla capitale e sui dintorni e passeggiare nella natura incontaminata valgono la visita.

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2) 31 dicembre 2021 venerdì: Reykjavik (km.247)

Sarà stata la stanchezza, ma anche il letto comodissimo e l’appartamento isolato acusticamente molto bene … fatto sta che dormiamo come sassi tutta la notte. La sveglia suona alle 8.00. Abbiamo fatto il conto di essere al primo punto che vogliamo visitare prima delle 10.00 in modo tale da vederlo con un minimo di luce. Facciamo colazione e poi usciamo. Ci fa un effetto strano, sapendo che sono le 9.00, trovare buio completo come se fosse mezzanotte. La sensazione è quella di essere in un paesaggio completamente congelato senza alcun movimento e senza nessun rumore. La nostra macchinetta è gelata ma con il riscaldamento a manetta… in un attimo si riscalda. Ci siamo vestiti come se fossimo pronti per una scalata del Nanga Parbat quindi poco per volta ci svestiamo… praticamente potremmo riempire una valigia con i vestiti tolti… Viaggiamo verso est vedendo il chiarore dell’alba, all’orizzonte. Ci sono -10.

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Informazioni su quello che c’è da vedere nel Circolo d’oro:

Il Circolo d’Oro (Golden Circle) è uno dei percorsi più famosi dell’Islanda: è un percorso di circa 300 chilometri che tocca 3 dei maggiori punti d’interesse dell’isola e che si può fare tranquillamente in giornata partendo da Reykjavik.  

1) KERID

2) FAXIFOSS

3) GULLFOSS

4) GEYSIR

5) BRUARFOSS

6) LAUGARVATN

7 ) APAVATN

8) THINGVELLIR

 1) KERID: Il cratere Kerid nasconde al suo interno un bellissimo lago di un verde intenso che contrasta con le pareti rocciose rosse del cratere del vulcano, ricoperte qua e la di muschio. Il cratere Kerið si è formato circa 6.500 anni fa e si trova all’estremità settentrionale di una fila di crateri conosciuti come Tjarnarhólar. La caldera del vulcano è profonda circa 55 metri, mentre il lago è profondo dai 7 ai 14 metri, che variano a seconda delle precipitazioni. Secondo un’antica credenza, un aumento del livello dell’acqua del lago di Kerid è accompagnato da una corrispondente diminuzione del livello dell’acqua nel piccolo laghetto di Búrfell a Grímsnes e viceversa.

 Grazie alla sua conformazione, simile a quella di una arena, in passato la cantante islandese Bjork vi tenne un concerto, adagiando una piattaforma galleggiante proprio in mezzo al lago

2) FAXIFOSS: cascata molto bella

3) GULLFOSS: In islandese Gullfoss significa Cascata d’oro e molti la considerano la più bella cascata d’Islanda. La cascata nasce dal fiume Hvítá che cade in una grande fessura, producendo una fitta nebbiolina e molto spesso bellissimi arcobaleni. Questa cascata è formata da 2 salti, di 21 e 11 metri, e i sentieri in legno permettono di avvicinarsi davvero tanto e di vederla anche dall’alto, da dove è possibile ammirare il canyon che ha scavato nel corso degli anni. In inverno la maggior parte della cascata è ghiacciata e siccome questa zona è molto ventosa.

4) GEYSIR e STROKKUR: Geysir è il più grande geyser d’Islanda e il più famoso al Mondo. Ha circa 8.000 anni e i suoi getti arrivano fino a 70-80 metri d’altezza ma, purtroppo, oggi non erutta quasi più per colpa di alcuni turisti irresponsabili che hanno gettato diverse pietre al suo interno. Geysir, che significa eruzione intermittente, diede il nome a tutti i geyser del Mondo. Addormentatosi completamente nel 1915 e risvegliato artificialmente qualche decennio dopo, tutt’oggi è quasi impossibile vederlo eruttare. Quasi tutti i tentativi di risvegliarlo, addirittura gettando del sapone al suo interno, sono falliti.

Strokkur invece, che si trova a pochi passi da Geysir, è più piccolo ma attivissimo e i suoi getti arrivano a 20-30 metri d’altezza e a volte anche di più. Erutta ogni 5-8 minuti circa.

Tutta questa zona è caratterizzata da pozze di fango e acqua calda, fumarole, depositi di alghe e altri geyser più piccoli e nell’aria si respira il classico odore di ‘uovo marcio’ tipico dello zolfo. Una volta raggiunto il centro visitatori è sufficiente attraversare la strada e si accede all’area dei geyser.

5) BRUARFOSS: bellissima Bruarfoss, anch’essa dimenticata dai classici tour organizzati, considerata dalla gente del posto e dai viaggiatori una delle gemme nascoste più belle del paese, spesso etichettandola come la cascata più blu d’Islanda. Brúarfoss è solo una piccola parte del fiume glaciale Brúará, un affluente del fiume Hvita che scende dal ghiacciaio Langjökull.

La cascata prende il nome da un arco di pietra che una volta vi si ergeva sopra, fungendo da ponte per coloro che desideravano attraversarla. Secondo una leggenda, questo ponte di pietra naturale fu distrutto nel 1602 da un servitore della sede episcopale di Skálholt. A quel tempo l’Islanda stava soffrendo una grave carestia e, distruggendo il ponte, il servitore impedì ai contadini affamati di raggiungere le terre generose rivendicate dalla chiesa.

C’è un piccolo parcheggio vicino al fiume Brúará, il parcheggio non è troppo grande quindi può essere difficile trovare un posto per la tua auto lì. L’escursione inizia dal parcheggio lungo il fiume e la distanza dal parcheggio alla cascata Brúarárfoss è di circa 3,2 km (solo andata). Con soste, l’escursione dura circa 1 ora, da 2 a 2,5 ore andata e ritorno.

Dopo aver percorso un breve tratto del fiume si arriva alla proprietà privata, poco prima del cartello della proprietà privata si gira a destra e si imbocca la strada (Gunnarsbraut) che porta alla zona del chiosco. Da lì si segue la strada per circa 900 metri verso il Brúarárfoss. Lì si gira di nuovo a sinistra verso il fiume e da lì si segue il fiume più o meno per circa 700 metri fino a raggiungere la cascata Brúarárfoss.

L’escursione è piuttosto facile e la salita è solo di circa 50-100 metri. Per metà del tempo si cammina lungo il fiume Brúará, quindi si ha una buona visuale del fiume e lungo il percorso si possono vedere rapide.

Nel complesso è stata una bella escursione, non troppo difficile e in un ambiente splendido, e la cascata di Brúarárfoss è unica nel suo genere.

6) LAUGARVATN (lago acqua calda –  ci sono anche delle terme)

Laugarvatn, il cui nome in islandese significa lago delle sorgenti calde, è una sorgente geotermica naturale e la sua fonte più famosa, chiamata Vigdalaug, è situata sulla sponda occidentale del lago. La fonte Vigdalaug riscalda ampiamente l’acqua del lago ed è stata usata dai primi cristiani islandesi per i battesimi.

7 ) APAVATN (lago acqua calda)

è collegato al Laugarvatn tramite il fiume Hólaá, che scorre nella valle sottostante il Monte Mosfell, e le sue acque sono ricche di pesce. Un’antica saga narra che nell’XI secolo l’islandese Sighvatur Þórðarson mangiando un pesce del lago ricevette il dono della poesia.

8) PARCO NAZIONALE DI THINGVELLIR

https://www.unviaggioinfiniteemozioni.it/parco-nazionale-di-thingvellir/

Costi e orari

Il parco di Thingvellir e il suo centro multimediale sono ad ingresso libero. Gli orari sono i seguenti:

1 Aprile – 1 Novembre: dalle 09.00 alle 18.00 (fino alle 19.00 da Giugno ad Agosto)

1 Novembre – 1 Aprile:  dalle 09.00 alle 17.00

I parcheggi intorno all’interno dell’area più turistica del parco sono a pagamento e il costo del pass giornaliero è:

Autovettura da 5 posti o meno: 750 ISK

Il biglietto è valido per tutto il giorno e in tutti i parcheggi. In ogni parcheggio e all’interno del centro visitatori ci sono macchinette automatiche che distribuiscono i pass. Le macchinette accettano tutte le principali carte di credito o debito.

Il Parco Nazionale di Thingvellir fa parte del famoso Circolo d’Oro insieme ad altri due must come la cascata di Gullfoss e i geyser.

Il Parco Nazionale di Thingvellir (Þingvellir), la cui istituzione risale al 1928, è uno dei parchi naturali più conosciuti dell’Islanda grazie alla sua notevole bellezza paesaggistica e alla sua grande rilevanza dal punto di vista culturale, storico e geologico. Inoltre dal 2004 è uno dei due soli siti Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco sul territorio islandese.

Thingvellir, che significa pianure dell’assemblea, è anche il sito storico più importante per la cultura islandese. Nell’anno 930 i vichinghi vi fondarono l’Alþingi, il più antico parlamento del mondo, che ha continuato a svolgere il suo ruolo fino al 1798. Ogni decisione importante che riguardasse l’Islanda veniva discussa in questa pianura, si approvavano nuove leggi e proprio qui si decise di adottare il cristianesimo come religione nazionale. Sempre all’interno del parco venne proclamata l’indipendenza dell’Islanda il 17 giugno 1944.

Dal punto di vista geologico invece Thingvellir è famoso per la faglia di Sifra, cioè la spaccatura tra le placche continentali eurasiatica e americana. Si stima che le due placche terrestri si spostino di circa 2 cm l’anno ed è questo a determinare la frequente attività sismica del Parco Nazionale di Thingvellir. In estate è anche possibile immergersi per visitare da vicino questa spaccatura. Si estende inoltre lungo le rive settentrionali del lago più grande dell’ Islanda, il Thingvallavatn.

Le cose da non perdere nel parco sono sicuramente la faglia di Almannagja, la cascata di Oxarafoss e il lago Thingvallavatn.

Il Centro Visitatori si trova in un edificio vicino al punto panoramico di Hakið, dove un sentiero conduce alla grande faglia di Almannagjá. Al suo interno si trovano un piccolo bar, un negozio di souvenir e una piccola mostra dove potete trovare tutte le informazioni sul parco. I servizi igienici del parcheggio del centro visitatori sono aperti dalle 8.00 alle 18.00, mentre il centro visitatori è aperto dalle 9.00 alle 18.00.

Il Centro Servizi invece si trova a Leirar, vicino al campeggio. Al suo interno si trovano una caffetteria e un piccolo centro informazioni generali sul parco, sulla sua natura e sulla sua storia. Sono disponibili anche le mappe del parco con sentieri segnalati. Il centro è aperto in estate (da Giugno ad Agosto) dalle 9.00 alle 22.00 e in inverno (da Settembre ad Aprile) dalle 9.00 alle 18.00.

Numerosi sentieri escursionistici si estendono su tutto il Parco Nazionale. Al di fuori del sito dell’assemblea la maggior parte dei sentieri escursionistici conducono alle fattorie abbandonate di Hrauntún, Skógarkot e Vatnskot, di cui si possono ancora vedere resti.

– La faglia di Almannagja, Öxaráfoss e Drekkingarhylur

La faglia di Almannagja, che significa letteralmente gola di tutti gli uomini, forma un bellissimo canyon lungo 5 chilometri nel quale scorre il fiume Oxarà e dove è possibile ammirare la bellissima cascata Öxaráfoss, alimentata proprio da questo fiume. È uno dei pochissimi posti al Mondo dove si può passeggiare nel punto in cui si incontrano due faglie della crosta terrestre: quella nord-americana e quella euroasiatica. La faglia la si può percorrere attraverso l’apposita passerella adibita per i visitatori. Scendendo lungo il canyon si può raggiungere la Lögberg, la roccia della legge, dove ogni anno si tenevano le riunioni del Parlamento. Qui l’oratore della legge (Lögsögumaður) recitava a memoria il codice legislativo all’assemblea.

Poco distante dalla cascata si trova Drekkingarhylur, una piscina naturale e molto profonda, nota per la sua triste storia. Si narra, infatti, che in essa venivano gettate le donne che si macchiavano di reati quali l’adulterio e l’aborto.

Lungo il corso del fiume Oxara inoltre si trovano diversi Búðir, ovvero piccoli rifugi in pietra con il tetto di torba, dove si riunivano i partecipanti alle assemblee e dove, in alcuni, si trovava rifornimento di bevande, cibo e pergamena. Queste rovine possono essere datate tra il XVII e il XVIII secolo e il più antico è Biskupabud, utilizzato dai vescovi islandesi e situato vicino alla chiesa.

– Lago Thingvallavatn

Il lago Thingvallavatn è il più grande di tutta l’Islanda, con una superficie di 84 chilometri quadrati e una profondità di oltre 100 metri, ed è ricco di salmerini artici (bleikja). Al suo interno ci sono diverse isole di origine vulcanica. La temperatura dell’acqua del lago è mite durante tutto l’anno grazie a numerose sorgenti sotterranee, tra cui la sorgente Vellankatla, e per questo motivo si può fare snorkeling tutto l’anno o, per i più esperti, ci si può immergere fino ad arrivare alla faglia di Silfra.

– l’Alþingi

Situato vicino alla bellissima faglia di Almannagja, situato ai piedi delle sue rupi, si trova l’Althing. Dopo la conversione dell’Islanda al cristianesimo l’antico parlamento venne trasferito in questo luogo che, grazie alla sua conformazione, fungeva da altoparlante naturale in modo che tutti potessero sentire gli oratori. Al giorno d’oggi si trova una bandiera islandese a segnalarne il punto esatto.

– Brennugja e Flosagja

Sul margine orientale, opposto alla faglia di Almannagja, si trovano altre fratture più piccole come la faglia di Brennugja, che significa baratro del rogo. Qui durante il XVII secolo vi vennero condannati al rogo 9 uomini accusati di stregoneria.

Poco distanti si trovano la faglia di Flosagja, che prendono il nome da uno schiavo in cerca della libertà che le superò con un balzo, e la faglia di Nikulasargja, che prendono il nome da un uomo ubriaco trovato morto nelle loro acque.

– Fessura di Peningagjá

Passeggiando all’interno del parco, ad un certo punto ci siamo trovati di fronte a questa fessura piena d’acqua cristallina di cui non sapevamo dell’esistenza. Ci siamo informati e abbiamo scoperto che è anche chiamata “The Money Chasm“, in quanto è consuetudine gettare al suo interno una monetina dal ponte che ci passa accanto. Si dice che se si riesce a seguire la discesa della monetina fino a quando raggiunge il fondo, i propri desideri si avvereranno. Questa faglia si trova alla fine della faglia di Nikulasargja.

– Þingvallabær

Una piccola fattoria che venne costruita nel 1930 in occasione del millesimo anniversario dell’Alþingi. Oggi al suo interno ci sono gli uffici del guarda parco e viene utilizzata come residenza estiva del primo ministro islandese.

– Þingvallakirkja

Dietro la fattoria si trova la Þingvallakirkja, una delle prime chiese islandesi. La chiesa originale è stata consacrata nell’XI secolo, ma l’attuale chiesa in legno risale al 1859. Al suo interno sono custodite diverse campane di alcune chiese più antiche e una pala d’altare del 1834. Nel piccolo cimitero situato dietro la chiesa sono sepolti due famosi pittori islandesi del periodo romantico e sostenitori dell’indipendenza dell’isola, quali Einar Benediktsson e Jonas Hallgrimsson.

La chiesa di Thingvellir è aperta tutti i giorni alle 9.00 alle 17.00 da metà Maggio all’inizio di Settembre.

9) SECRET LAGOON (terme)   (https://secretlagoon.is/)

hot spring naturali (38°C), situata nel piccolo villaggio Fludir. In zona ci sono anche diversi punti geotermici e un piccolo geyser che erutta ogni 5 minuti. La Secret Lagoon è aperta tutto l’anno. In inverno, dall’1 Ottobre al 30 Aprile, è aperta dalle 11.00 alle 20.00, mentre in estate, dal 1 Maggio al 30 Settembre, è aperta dalle 10.00 alle 22.00. L’ingresso cosa circa 20€ (2.800 Isk).

 

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Arriviamo al cratere di Kerid per le 10.00. C’è già un’ottima visibilità. Paghiamo 400 corone (circa 2,40 euro) a testa. L’idea è di percorrere a piedi il bordo del cratere ma c’è un vento fortissimo quindi desistiamo quasi subito… scendiamo fino al lago che si è creato all’interno della caldera. E’ una lastra di ghiaccio. Torniamo alla macchina e poi ripartiamo per la tappa seguente, la cascata Faxifoss. Qui l’ingresso costa 700 corone (circa 4,20 euro) a testa. E’ una bella cascata con un salto alto pochi metri. Scendiamo lungo il sentiero fino a vederla di lato. Ripartiamo per arrivare direttamente a Gullfoss. Qui non si paga. Nel 2007 non c’era nulla …. ora c’è una struttura con negozio e ristorante. Allora eravamo scesi fino alla cascata ma adesso il sentiero è chiuso. La ricordavo molto bella ed ora, con il ghiaccio che ricopre tutte le parti del canyon, è ancora più scenografica. Ci spostiamo poi alla zona dei Geysir. Anche qui c’è una grossa struttura con ristorante & C. Vediamo lo Strokkur eruttare 3 volte. Oggi la giornata non è bella. Il cielo è velato. Il vento non è molto forte. Ci fermiamo ad accarezzare alcuni cavalli. Come fanno a vivere all’aperto con queste condizioni meteorologiche non lo so proprio. Le pecore (in estate se ne vedono ovunque) sono tutte nelle stalle. Ci spostiamo a Laugarvatn. Se no avessimo lasciato i costumi all’appartamento, avremmo potuto fare un bagno alle terme. Tocchiamo l’acqua del lago. In un punto è molto calda. Passiamo poi per Thingvellir ma ormai è praticamente buio quindi non scendiamo per andare a vedere la faglia. Rientriamo a Reykjavik alle 17.00. Bagno bollente, cena e poi ci imbacucchiamo di nuovo per andare in centro per i fuochi. Sapevamo che gli islandesi battono di gran lunga i napoletani con i giochi pirotecnici … ma non avevamo idea di cosa potessero fare. Arriviamo alla piazza della chiesa dove c’è il mondo. Ci troviamo con la mia amica Tiziana con Agata e Stefano. Loro sono arrivati questa sera. Ci troveremo qualche volta ma non siamo riusciti ad incastrare tutti i giorni. I fuochi iniziano da molto prima di mezzanotte e non si fermano allo scoccare dell’ora x. Ce ne sono ovunque, non si sa più dove guardare. Bellissimi. Torniamo poi all’appartamento.

3) 01 gennaio 2022 sabato: Reykjavik (km.165)

Anche oggi sveglia alle 8.00 e partenza alle 9.00. Visiteremo la penisola Reykjanes. Come sempre guardiamo la situazione strade sul sito www.road.is. Da oggi danno vento a oltre 70 km/h. Nella zona di Vik, dove andremo domani, danno tempeste di neve e la strada è chiusa.

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Informazioni su quello che c’è da vedere nella penisola Reykjanes (https://www.visitreykjanes.is/is):

Holmsberg lighthouse: Hólmsbergsviti, a nord di Keflavík a Reykjanesbær, è stato costruito nel 1956 ed è uno dei tre fari costruiti negli anni 1956 – 1957 secondo lo stesso disegno, ma gli altri due si trovano a Seley e Vattarnes. I fari su Fjallaskagi, a Æðey, su Skarð e Ketilsflesi hanno le stesse dimensioni e forma, ma Axel Sveinsson, un ingegnere, li ha disegnati tutti. L’edificio del faro è una torre conica in cemento, alta 9,3 m su cui è stato collocato un faro svedese alto 3,4 m. La porta è in un atrio profondamente aperto. Alla sommità della torre si trova una sporgenza del tetto con una ringhiera in cemento, con aperture quadrate tutt’intorno e si erge su quattro blocchi. 

Útskálakirkja: Cimitero e canonica a Garður. Útskálar era uno dei più grandi manieri di Suðurnes, insieme a Stóra-Hólmur a Leira e Kirkjuból a Miðnes. L’attuale chiesa di Útskálar è stata costruita negli anni 1861-1863, una casa di legno su una fondazione rialzata, con una cantoria, una chiesa anteriore e una torre e può ospitare circa 200 persone. Il caposquadra era Einar Jónsson di Brúarhraun. Nel 1975, la chiesa fu ampliata per includere servizi igienici, magazzini e un salone di bellezza. L’interno della chiesa è dipinto e decorato da Áki Granz, un maestro pittore, ha anche spiegato un vecchio dipinto ornamentale che era quasi scomparso.La chiesa è di tipo a torre più giovane ed è protetta. La pala d’altare è di un pittore straniero e mostra la predicazione di Maria, il pulpito era probabilmente originariamente nella cattedrale di Reykjavík. Il carattere è di Ríkharð Jónsson.Il reverendo Sigurður B. Sívertssen fu sacerdote a Útskálar per quasi mezzo secolo. Lavorò a molti progressi, come la bonifica del terreno e la costruzione di case, tra le altre cose, fece costruire la chiesa oggi, ma è meglio conosciuto per la cronaca di Suðurnes che scrisse. Una chiesa probabilmente è stata a Útskálar fin dai tempi più antichi, è menzionata per la prima volta nel registro delle chiese del vescovo Páll intorno al 1200. C’era anche una chiesa a Kirkjubóll, ma quella chiesa è menzionata per l’ultima volta nelle fonti del XIV secolo. I santi della chiesa nella fede cattolica erano l’apostolo Pétur e Þorlákur helgi. Uno degli eventi più tristi nella storia marittima islandese è legato alla chiesa. L’8 marzo 1685, 136 persone morirono in mare, la maggior parte di loro da Suðurnes, durante la notte 47 corpi andarono alla deriva a terra a Garður e 42 di loro avevano una fossa comune a Útskálakirkjugarður. Si ritiene che mai prima d’ora così tante persone siano state sepolte lo stesso giorno dalla stessa chiesa in Islanda.

Garður Lighthouse, vecchio e nuovo (foche e faro): Le prime notizie sui fari di Garðskagi risalgono al 1847, quando venivano usati come guida per i marittimi. La guardia era carica di pietre e da essa spuntava una sbarra di ferro. I documenti di quel tempo affermano che nell’agosto 1847, una guardia di ferro costruita con una posta, che doveva essere installata a Garðskagi, arrivò con la nave postale per guidare le navi che navigavano nel Faxaflói. Si presume che la sporgenza con un pilastro di pietra, che verrà caricata sotto di essa, sia alta 15 cubiti (3,7 m). Questo è stato un punto di riferimento per giorni, ma non un faro. Nel 1897 fu costruito un faro su Garðskagatá. Era un edificio quadruplo in cemento, alto 12,5 metri e 3,25 metri di lato. Annesso ad esso c’era un corpo di guardia, dove il guardiano del faro pernottava. Intorno al faro c’era una piattaforma, in pietra squadrata, alta circa 3 metri. Il faro era dotato di apparecchiature di illuminazione di alta qualità, che era una lampada a olio. L’interruttore della luce ha amplificato la luce e ha girato l’orologio di saldatura sull’interruttore della luce. Doveva essere ricaricato ogni quattro ore, quindi si riteneva necessario che il guardiano del faro rimanesse nel corpo di guardia durante la notte. Negli anni successivi, non era considerato sicuro stare nel faro quando c’era molto surf, e quindi il faro era sorvegliato dalla casa del guardiano del faro. Un nuovo faro è stato costruito su Garðskagi nel 1944 ed è stato uno dei motivi principali per cui il mare è stato inondato molto da quando è stato costruito il vecchio faro. Il nuovo faro è una torre cilindrica in cemento, 28 m. su una collina con un faro. Garðskagavitin sarà il faro più alto del paese, cioè l’edificio stesso. I corpi illuminanti del vecchio faro furono trasferiti nel nuovo faro, ma presto la luce elettrica sostituì la luce a petrolio, prima da una turbina eolica, poi da Sogsvirkjun, e contemporaneamente fu aumentata l’intensità luminosa del faro. Nel 1961 il faro fu dotato di apparecchi di illuminazione svedesi e presentava gli stessi segnali luminosi del vecchio (informazioni sui segnali luminosi). Un centro radiofonico è stato aperto a Garðskagi nel 1952 attraverso l’Associazione islandese per la prevenzione degli incidenti e quattro anni dopo quella stazione è stata sostituita da un centro radio leggero, che è molto più ampio e completo.

Sandgerði Lighthouse 

Stafnesviti Lighthouse

Stóra Sandvík: Stór- e Litla-Sandvík o Sandvík, a sud di Hafnaberg a Reykjanes. È una popolare destinazione turistica sulla strada fuori Reykjanes. Spiaggia di sabbia con alte colline erbose al di là. A Sandvík, Hafnaberg termina con bellissime scogliere che fanno parte di una fessura. A sud di Sandvík si trova Stampahraun, che sgorga da una serie di crateri lunghi 7 km che eruttò per ca. 800 anni fa. Crateri molto particolari di varie forme e dimensioni e con strane formazioni in alcuni. Nell’estate del 2006 è stato girato un film di fama mondiale a sud di Sandvík, Flags of our Fathers, diretto dal famigerato attore Clint Eastwood.

Stampar crater: Due fessure eruzionistiche corrono dal mare nella terra sul lato ovest di Reykjanes e formano crateri. Queste serie di crateri prendono il nome da Stampa. Le serie dei crateri sono di due periodi e seguono la direzione SV-NA, che è la direzione di fessurazione più comune a Reykjanes. La più antica si è formata in un’eruzione su una fessura lunga quasi 4 chilometri 1800-2000 anni fa. L’Yngri-Stampagígaröðin fu formato a Reykjaneseldar negli anni 1210-1240. La serie di crateri è lunga circa 4 chilometri e l’area della lava che poi è sgorgata è di circa 4,6 km2. I due crateri più vicini alla strada, detti Stampar, si trovano all’estremità settentrionale della fila dei crateri. A sud della serie di crateri si possono vedere crateri più ripidi, come Miðahóll, Eldborg più profondo e Eldborg meno profondo, tutti usati come zone di pesca in passato. La maggior parte dei crateri, tuttavia, sono crateri a bassa scogliera e poco appariscenti. Vale la pena ricordare che negli incendi di Reykjanes del 1210-1240, nei sistemi di Reykjanes e Svartsengi scorrevano quattro colate laviche, oltre alle quali si sono verificate eruzioni sottomarine nel mare al largo di Reykjanes. Il sentiero da cento gigabyte, un sentiero escursionistico segnalato, attraversa in parte Stampahraun. Il percorso inizia a Valahnúkur a Reykjanes. Il percorso attraversa la zona ad alta temperatura di Reykjanes, oltre i crateri di scorie e roccia e la montagna di tufo Sýrfell fino a Stampagígur. Da lì si cammina attraverso la lava ruvida e una sezione di sabbia e il sentiero si snoda dal lato ovest del cratere più vicino alla strada, più avanti lungo la serie dei crateri, sul lato mare di Reykjanesvirkjun. I crateri che si percorrono sono numerosi e fragili.  È consentito camminare sul cratere più vicino alla strada. Tuttavia, è importante tenere a mente di non disturbare i fragili monumenti geologici. Posizione: la strada 425 a circa 2,5 km a nord di Rauðhólar è a pochi passi.

Gunnuhver Geothermal Area: La penisola di Reykjanes è altamente vulcanica, a causa del fatto che la spaccatura medio-atlantica la attraversa. Questo porta a molte sorgenti termali, con altre che si verificano a Krýsuvík e sotto il lago Kleifarvatn. Queste sorgenti sono belle, ma imprevedibili. In una delle pozze di fango è possibile vedere i resti inghiottiti del vecchio sentiero, consumato dalla sua espansione. Nell’anno 2006 c’è stata una grande eruzione  nella zona che è cresciuta molto e ha distrutto le strade e le piattaforme pedonali. Alla fine di giugno 2010 sono state messe in uso nuove piattaforme pedonali e piattaforme panoramiche dove c’è accesso per tutti.

Reykjanes Lighthouse: Un maestoso faro si erge sulla punta sud-occidentale di Reykjanes e si erge su Bæjarfell dal 1908.  Si è parlato per la prima volta di costruire un faro su Reykjanes nel 1875, ma non per soldi. Poco dopo, è stata introdotta una tassa del faro per raccogliere fondi per la costruzione di fari. Tutte le navi, tranne i pescherecci, in tutti i porti del paese dovevano pagare 15 once per ogni treno prelevato dalla nave. Gli islandesi hanno parlato con i danesi dei vantaggi di avere un faro, poiché le compagnie di assicurazione non volevano garantire le navi che salpano per l’Islanda a meno che gli armatori non pagassero un premio molto più alto. Il fatto che nessuna nave arrivasse in Islanda era molto negativo per gli abitanti. Alla fine, i danesi hanno deciso di finanziare il faro e le attrezzature per la luce, ma gli islandesi si sarebbero occupati dell’edificio stesso, dei costi dei materiali e del costo del lavoro dei dipendenti. Un ingegnere danese di nome Rothe ha progettato l’edificio e pianificato il progetto. Il lavoro è stato ritardato per vari motivi ma 1. Dicembre 1878, il primo faro islandese fu ufficialmente inaugurato a Valahnúkur e messo in funzione. Non andò meglio di così, fu danneggiato da un terremoto 9 anni dopo e le rovine esplosero nell’aprile 1908. Il primo guardiano del faro era di Garður, Arnbjörn Ólafsson e lavorò fino al 1 agosto 1884.

Valahnúkamöl: Karlinn (Karl) è una roccia alta 50-60 metri o un antico cratere che si erge maestosamente nel mare fuori Valahnúkur, dove il mare ha rovinato la roccia nel corso degli anni. E’ popolare tra turisti e fotografi perché è magnifico e soprattutto quando il mare colpisce con grande furia.

Gunnuhver Volcano

Haleyjarbunga: Háleyjarbunga è un piccolo e piatto campo di lava formatosi dopo un’eruzione. Dyngjan ha un grande cratere sommitale, profondo 20-25 m. Háleyjarbunga ha circa 9.000 anni o più, e da una primitiva specie di basalto da un mantello chiamato picrite. I cristalli di oliva verde sono prominenti. Posizione: vicino al faro di Reykjanes a Reykjanestá. Un sentiero segnalato conduce a Háleyjarbunga da Gunnuhver .

Terme Laguna Blu: (https://www.bluelagoon.com/). La Laguna Blu è stata fondata nel 1992. La sua specialità è il mare geotermico , che è composto per due terzi di acqua salata e un terzo di acqua dolce. Si trova ad una profondità fino a 2000 metri ed è condotto da un tubo dalla sorgente alla laguna dove gli ospiti possono gustarlo e rilassarsi. È ricco di minerali, silice e alghe, che è la base di tutti i prodotti per la pelle nella Laguna Blu. National Geographic ha scelto la Laguna Blu come una delle 25 meraviglie del mondo.

Hópsnesviti a Grindavik: La linguetta su cui ti trovi si chiama Hópsnes sul lato ovest e Þórkötlustaðanes sul lato est. Il promontorio è lungo due chilometri e largo un chilometro. Si è formato circa 2800 anni fa quando la lava scorreva in mare. Hópsnes / Þórkätlustaðanes si è formato in un’eruzione da una serie di crateri che prendono il nome dal caduto Sundhnúkur e si trova a breve distanza a nord dell’insediamento di Grindavík. Le condizioni del porto a Grindavík sono buone grazie a questo flusso di lava e serbatoio (Hópsins) che è stato creato dal promontorio quando il mare ha iniziato a rompere la lava e trasportare materiale sciolto. Se il promontorio non viene utilizzato, è difficile immaginare un insediamento a Grindavík. È quindi il caso che una delle sei località della penisola di Reykjanes debba la sua esistenza a una fessura eruttiva in un sistema vulcanico ancora attivo. I terremoti possono verificarsi in queste aree in qualsiasi momento. Fin dall’inizio, Grindavík è stato uno dei principali ristoranti in Islanda. Sundhnúkur, da dove scorreva la lava quando si è formato il promontorio, ha un punto di riferimento per navigare nel canale nel porto. Passando per il promontorio, si possono vedere in molti punti i filetti di navi che si sono arenate lì e nelle vicinanze nel XX secolo. Molti relitti hanno pannelli informativi. La prima metà del XX secolo fu il periodo di massimo splendore dell’insediamento e della pesca sul promontorio. Poi molte barche a remi e in seguito barche a motore fatte di Þórkätlustaðanes. I resti degli insediamenti ora scomparsi possono essere visti in molti luoghi, come la guardia di foche, il fienile del pesce, la ghiacciaia, la casa del pesce, la fonderia di fegato e la casa del sale. La pesca si trasferì nel luogo dove si trova ora il porto di Grindavík nel 1939. Quindi un gruppo di energici abitanti di Grindvík ha scavato la crepa che impediva alla barca di entrare nel gruppo. Hópsnesviti è stato costruito nel 1928. Oggi il promontorio è famoso per le attività all’aria aperta e lungo di esso è presente un percorso pedonale e ciclabile.

– Fagradalsfjall (vulcano che ha eruttato da marzo ad ottobre 2021): L’eruzione è iniziata a Fagradalsfjall a Geldingadalur il 19 marzo 2021 a 20:45 in seguito al terremoto che è durato più di 3 settimane, e in realtà è in corso dalla fine del 2019. Era chiaro che si era formato un tunnel magmatico lungo 7 km tra Keilir e Fagradalsfjall . L’eruzione è iniziata quando la camera magmatica è arrivata in superficie e da allora c’è stato un flusso di magma quasi costante, ovvero circa 5-10 metri cubi al secondo. L’eruzione mostra segni di un’eruzione dyngju, e le indicazioni sono che la preda primitiva del mantello sta scorrendo da grandi profondità verso la superficie a Geldingadalur. Le eruzioni vulcaniche sulla penisola di Reykjanes sono frequenti, anche se non esplodono lì da circa 800 anni. L’ultimo periodo di eruzione vulcanica è durato quasi 300 anni o dagli anni di insediamento, 950-1240. Ancora più lontano c’è un’eruzione a Fagradalsfjall, o almeno 6.000 anni fa, poi una lava chiamata Beinavörðuhraun (Fonte: Reykjanes Geopark ).

Krýsuvíkurkirkja: chiesa nera

Seltún Geothermal Area

Raufarhólshellir (tunnel di lava): https://thelavatunnel.is/ – tour di 1 ora circa € 40

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Quando usciamo di casa ci rendiamo subito conto che fa più freddo di ieri per via del vento. L’aria è gelida. Oggi avremmo dovuto vedere molte cose ma alcune le vedremo di corsa, altre le salteremo. Arriviamo al primo faro, Holmsberg, a fatica scendiamo dalla macchina. Facciamo in modo di rimanere ben distanti dalle scogliere. Raggiungiamo il faro e ci mettiamo sotto vento in modo da riuscire a guardare il panorama stando in posizione eretta… Proseguiamo e facciamo due passi ad Hólmsvöllur. Qui c’è un campo da golf, che costeggeremo, e, passando di fianco a delle case in lamiera abbandonate, arriviamo al mare. Andiamo poi sino alla punta della penisola dove ci sono due fari, a Gardur. Questo sarebbe un bel posto, dove poter vedere le foche … non ne vedremo e a fatica raggiungiamo il faro a righe bianche e rosse, sul mare. Se non ci fosse un cavo d’acciaio al quale ci attacchiamo, non ce l’avremmo mai fatta a raggiungerlo. Il vento è pauroso. Facciamo poi una sosta allo Stampar Crater e alla Gunnuhver Geothermal Area dove si vede il faro Reykjanes. Il vapore dell’area geotermale, non sale verso il cielo, ma è completamente a livello terreno quindi non vedremo nulla. Ultima tappa alla Brimketill lava rock pool. Il mare è talmente mosso, con onde grandi che si infrangono contro le scogliere di lava nera …. che ovviamente la piscina non la vediamo. Un pò stremati decidiamo di andare a pranzo in un ristorante a Grindavik. Troviamo il Fish House. Mangeremo molto bene, 4 fritti misti + 1 insalata con trota, due birre ed acqua, spendendo circa 35 euro a testa. Le porzioni sono piccole. Quando usciamo è quasi buio quindi la cosa che più mi interessava vedere oggi, il Fragradasfjall (vulcano che ha eruttato fino a 2 mesi fa), lo saltiamo. Decidiamo di vederlo l’ultimo giorno. Rientriamo a Reykjavik. Portiamo i ragazzi a casa e noi due facciamo due passi per la città. Dopo cena non ci muoveremo.

4) 02 gennaio 2022 domenica: Reykjavik – Vik (km.187)

Oggi lasciamo l’appartamento e ci spostiamo per due notti a Vik. Partiamo alle 7.00 perchè le cose da vedere sono molte.

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Informazioni su quello che c’è da vedere da Reykjavik a Vik (https://www.south.is/):

Isola Heimay nelle isole Vestmann:isola paradiso dei pulcinella di mare. raggiungibile in barca da Landeyjahöfn oppure in aereo. C’è un santuario di beluga. (https://belugasanctuary.sealifetrust.org/en/)

Isola Elliðaey nelle isole Vestmann: Questa piccola isola, la si può vedere dal traghetto per l’isola Heimay. Ha solo una piccola casa, la più isolata al mondo. L’isola è disabitata, ma ha un grande capanno da caccia, costruito nel 1953. Il lodge è di proprietà della Elliðaey Hunting Association. L’isola di Elliðaey (63° 28’05.10″ N, 20° 10’31.98″ W), la terza isola più grande delle Isole Westman, situata a sud dell’Islanda. L’isola ha un’area di soli 0,18 km² ed è disabitata. Da questo sito web, apprendiamo le seguenti informazioni (la traduzione è mia, quindi è imperfetta ma dà il succo):

“Sull’isola c’è una grande casa di pescatori di proprietà della Ellidagrim Islands Society, che si dedica alla caccia alle uova di pulcinella di mare in estate e in primavera. In passato c’era un capanno da caccia chiamato semplicemente “dimora”. Il primo edificio che è stato costruito sull’isola è ancora in piedi. Viene utilizzato per lo stoccaggio e si trova a ovest dello “Skápana”. Nel 1953 fu costruito un nuovo lodge ai piedi dell’Hábarð (la vetta più alta di Elliðaey) perché il vecchio edificio non aveva superato la prova del tempo. Nel 1985 iniziarono i lavori per una nuova casa da pesca a due piani che era annessa alla casa costruita nel 1953; fu completato nel 1987. Nel 1994 si scoprì che l’edificio del 1953 era talmente deteriorato da non essere più utilizzabile. Fu quindi demolita e un’altra casa costruita invece nella stessa posizione, con costruzione completata nel 1996. Tra il 2000-2001, è stata costruita una piccola casa a ovest del lodge, che ospita la sauna della Ellidagrim Islands Society.

Gluggafoss (chiamata anche Merkjárfoss): Più conosciuta come Gluggafoss viene anche chiamata the Window Falls in quanto il fiume, nel corso degli anni, ha scavato tunnel e una serie di ‘finestre’ nella roccia. La parte superiore della cascata è formata da tufo, mentre la parte inferiore da basalto. La parte superiore della cascata passa sotto ad un arco di pietra per poi dividersi in due man mano che scende e ricongiungersi alla fine. Intorno al 1947 la metà superiore della cascata scorreva in un tunnel verticale dietro la roccia ed era visibile solo attraverso tre diverse aperture o ‘finestre’ posizionate una sopra l’altra. L’acqua usciva dalla finestra inferiore formando un bellissimo arco, tranne quando il livello dell’acqua del fiume era troppo alto, costringendola ad uscire attraverso tutte e tre le finestre. Un altro grosso cambiamento si è verificato nel 1947 dopo l’eruzione dell’Hekla: la sua cenere ha tappato il tunnel e ci sono voluti circa 50 anni per far tornare la cascata al suo antico splendore.

Gljufrabui: Chiamata anche Cascata Nascosta e, vedendola, abbiamo capito il perché! La cascata è nascosta fra le rocce e si raggiunge in circa un quarto d’ora a piedi dalla vicina cascata Seljalandsfoss. Fa un salto di circa 40 metri e anche d’inverno è possibile addentrarsi nella gola per poterla ammirare da sotto. Vi sconsigliamo invece di fare il percorso che porta fino in cima perché è davvero difficile e pericoloso.

Seljalandsfoss: Chiamata anche Cascata Liquida, è tra le più note cascate dell’Islanda. Si trova nella parte meridionale dell’Isola, vicino alla cascata Skogafoss. C’è un breve sentiero che permette di camminarci intorno e addirittura dietro! C’è da fare parecchia attenzione però perché in inverno è ghiacciato e si rischia di scivolare, vi consigliamo di usare dei ramponi.

Þórsmörk: zona molto bellanell’entroterra, raggiungibile solo con bus 4×4 o superjeep -https://www.islanda.it/articoli/la-vallata-di-thorsmork

Stórasúla: zona molto bella nell’entroterra

Eyjafjallajökull: vulcano eruttato ad aprile 2010. Ha bloccato lo spazio aereo europeo per 1 settimana. C’è un info point sulla strada dopo Hvassafell

Drangurinn í Drangshlíð 2: Vecchie case pittoresche vicino alla montagna

Skógafoss: La cascata è larga 25 metri e alta 60 metri. A destra del salto c’è una scalinata di circa 700 gradini che porta in cima alla cascata e a pochi passi dall’inizio del salto. Anche qui bisogna stare molto attenti al ghiaccio e vi consigliamo l’uso dei ramponi. A questa bellissima cascata è attribuito un potere magico: si dice che chiunque si bagni nelle sue acque possa ritrovare un oggetto perduto e a lungo cercato.

Skogar:  è un piccolo villaggio con circa 25 abitanti, ma nonostante le sue piccole dimensioni è possibile trovare una varietà di alloggi e opzioni di intrattenimento e in loco sono presenti diversi ristoranti. Skógar era un sito scolastico e uno degli edifici più significativi del sito è la vecchia scuola distrettuale, che ha iniziato a funzionare nel 1949. La scuola è ora utilizzata come residenza estiva. Skógafoss è una delle perle naturali più popolari in Islanda, poiché la cascata è magnifica in tutto il suo splendore. Il Museo Regionale di Skógar è un magnifico museo composto da un museo regionale generale, un museo e un museo dei trasporti. Sopra il museo regionale e la vecchia scuola del distretto c’è Völvuskógur e ci sono sentieri in tutta la foresta. Un altro sentiero escursionistico un po’ più famoso ha un punto di partenza a Skógar, ma le escursioni a Fimmvörðuháls di solito iniziano a Skógar e finiscono a Þórsmörk. 

Kvernufoss: si parcheggia l’auto al Museo Skogar. Bisogna amminare verso sud-est finché non si raggiunge la linea di recinzione. Troverai la scala che ti porta oltre la recinzione. Segui il sentiero per 10 minuti e arriverai. Molto bella. Si può camminare dietro la cascata

Sólheimajökull glacier: si raggiunge in 10 minuti a piedi. Per salire sul ghiacciaio ci vuole la guida

Sólheimajökull è una frana che si insinua dal lato nord-occidentale di Mýrdalsjökull. Il ghiacciaio è molto sensibile ai cambiamenti climatici e la coda del ghiacciaio cambia rapidamente in seguito ai cambiamenti climatici. Dal ghiacciaio scorre Jökulsá su Sólheimasandur, che era uno dei più disumani del paese nei secoli precedenti. Il ghiacciaio è una destinazione popolare per i turisti per esplorare i suoi splendidi dintorni o provare l’escursionismo sul ghiacciaio e l’arrampicata su ghiaccio. Negli ultimi anni sul ghiacciaio si sono verificati grandi e rapidi cambiamenti, e un chiaro esempio di ciò è l’aumento della distanza che deve essere percorsa per avvicinarsi al sentiero del ghiacciaio. Sólheimajökull è stato a lungo un argomento di ricerca per i glaciologi, ma la ricerca sui ghiacciai può dirci molto sul clima e sui cambiamenti climatici nel corso dei secoli, ma la storia glaciale di Sólheimajökull è per molti versi insolita rispetto ad altri ghiacciai islandesi. Più di cento anni fa, l’impronta glaciale di Sólheimajökull si trovava considerevolmente di fronte all’attuale parcheggio. 

Mýrdalsjökull: una delle poche grotte di ghiaccio accessibili non nel periodo invernale

Get you guide organizza tour in super jeep di 3 ore da Vik – € 128 a testa

Solheimasandur Plane Wreck: Nei pressi della cascata Skogafoss si trova la deviazione per raggiungere la spiaggia di sabbia nera di Sólheimasandur dove si trova il rottame dell’aereo Douglas Super DC-3, uno dei posti più fotografati dell’isola. L’aereo della US Navy è arrivato sulla spiaggia il 24 Novembre 1973 a seguito di un atterraggio d’emergenza che, fortunatamente, non provocò nessuna vittima tra l’equipaggio. L’aereo fu seriamente danneggiato dall’impatto e venne in seguito abbandonato. Oggi lo si può ammirare, senza ali e senza coda, a fronte di una bella camminata di circa 40/45 minuti a tratta su un pianeggiante sentiero di quasi 4 chilometri.  In alternativa c’è un bus che parte dalle 10 alle 17, ogni 40 minui, al costo di 2500 corone

Dyrhólaey: Le sue scogliere sono ripide e, nella zona occidentale, arrivano ad un’altezza massima di 115 m. Dyrhólaey è una penisola di origine vulcanica. Al suo interno è presente un gigantesco arco di lava nera sul mare, che ha conferito alla località il resto del nome. Al largo di Dyrhólaey si trovano alcuni faraglioni, il più alto dei quali (56 m) è denominato “Háidrangur”, seguito dal “Lundadrangur” e infine dal “Mávadrangur”, formazione più lontana dalla costa. Nei pressi della riva si trovano invece il “Kambur” e il “Litlidrangur”. situati più ad ovest rispetto ai fratelli maggiori. Il panorama è maestoso, con il ghiacciaio Mýrdalsjökull a nord e le colonne di lava nera del Reynisdrangar che scendono fino in mare, mentre ad ovest la costa si estende in direzione di Selfoss. La zona è nota tra gli appassionati di birdwatching per l’importante popolazione di pulcinella di mare che nidificano proprio sulle scogliere di Dyrhólaey durante la breve estate nordica. Le scogliere sono chiuse a maggio e giugno quando nidificano. Nel 1910 sul promontorio venne costruito un primo faro, poi sostituito dall’attuale struttura risalente al 1927, dotata della lente di rifrazione più grande tra i fari islandesi.

Reynisfjara Beach, Hálsanefshellir Cave (grotta di basalto colonnare) e Reynisdrangar (pinnacoli nel mare): Reynisfjara, soprannominata “la spiaggia nera” completamente ricoperta da una sabbia nera generata dalla cenere e dai detriti di origine vulcanica prodotti dall’erosione. Uno scenario mozzafiato, reso ancora più straordinario da una scogliera di pilastri basaltici a base esagonale e dai due maestosi faraglioni che emergono dal mare, chiamati Reynisdrangar. Un luogo magico, avvolto da antiche e fiabesche leggende, tra qui la più popolare che racconta l’origine dei faraglioni. Si tratterebbe di due enormi troll trasformati in pietra dal Sole perché sorpresi a rubare una nave. La spiaggia è anche abitata da colonie di uccelli marini, come il pulcinella di mare che nidifica nei pressi delle grotte aperte sulla scogliera. Inoltre, nonostante la straordinaria bellezza naturale di questa striscia di sabbia, è bene sapere che occorre tenersi lontani dalla riva. Qui, le onde si alzano in modo imprevedibile e si corre il rischio di venire risucchiati da un forte risacca. Reynisfjara è sicuramente uno dei luoghi più belli di tutta l’Islanda, una tra le mete preferite dai viaggiatori che amano immergersi in un’atmosfera intrigante e ricca di mistero.

Vik: piccolo paesino con una chiesa nella parte alta. Si vedono i pinnacoli Reynisdrangar dall’altro lato. Ci sono le piscine termali

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Lasciamo quindi Reykjavik verso le 7.00 diretti ad est. Anche oggi c’è moltissimo vento ma, al contrario di ieri, la giornata è magnifica. Ci sono molte cose da vedere ed assolutamente dobbiamo arrivare oggi alle scogliere Dyrholaey e alla spiaggia di Reynsfjara. Domani non ce la faremo perchè andremo a Jokulsarlon ed il giorno seguente partiremo presto per rientrare alla capitale. Quindi valutiamo bene cosa vedere oggi e cosa lasciare per l’ultimo giorno, in base a quanto tempo richiede ogni cosa. Ci fermiamo a Selfoss a fare gasolio… panico. Il tappo del serbatoio non si apre. Perderemo un pò di tempo perchè capiamo subito che il tappo è gelato, ma il nostro the bollente del termos … unica cosa calda che abbiamo, non basta. Entro quindi a chiedere aiuto al bar. Un ragazzo gentilissimo …. prende al volo una brocca di acqua bollente …. mi sa che è all’ordine del giorno questa cosa. Con tanta acqua, il tappo si sblocca. Facciamo spesa per la cena in un market e poi ripartiamo. Superiamo Seljalandsfoss senza fermarci e facciamo tappa, dopo 20 km al view point sull’ Eyjafjallajökull. Guardandolo, tutto tranquillo ed addormentato, sotto una calotta di neve …. sembra strano che con la sua esplosione abbia bloccato lo spazio aereo per molti giorni ad aprile del 2010….. Noi eravamo in rientro da un viaggio ed abbiamo preso, nell’ultima tratta, l’ultimo volo che è partito da Dubai per Milano. Poi hanno chiuso lo spazio aereo europeo. Arriviamo poi a Skogafoss. Sempre molto bella, più bella ora ghiacciata che non d’estate. Arriviamo poi al ghiacciaio Sólheimajökull. Lasciamo la macchina nell’ampio parcheggio e con una semplicissima camminata di una decina di minuti, arriviamo al punto panoramico. Fa un freddo pazzesco per il vento che si infila ovunque. Le mani, dovendo fare le foto devo togliere i guanti …me le trovo ghiacciate. Il posto è davvero bello. C’è il contrasto dell’azzurro del ghiaccio con la sabbia nera. Ripartiamo. Da qui in poi il paesaggio diventa bellissimo. La tempesta di neve di ieri, scopriremo poi che Vik è stata isolata, le strade ad ovest ed ad est, erano chiuse, ha ricoperto il paesaggio con una decina di centimetri di neve. Il sole, che sorge ma sfiora solo l’orizzonte nelle poche ore di luce, colora tutto di rosa. Dire magnifico è dir poco. Faremo delle belle foto ad un gruppo di cavalli con le montagne innevate sullo sfondo. Arriviamo poi a Dyrhólaey. Di questo posto ho bellissimi ricordi del 2007 quando avevamo visto tanti pulcinella di mare. Seguiamo tutti i sentieri percorribili vicino al faro. Qui in alto il vento è ancora più impegnativo. Ci abbassiamo poi in macchina fino alla Kirkjufjara Beach. Parcheggiamo dove ci sono i bagni e vediamo i due punti panoramici. Da uno si può vedere questa spiaggia con il faro alle spalle, oggi è impensabile perchè ci sono onde pazzesche che si infrangono sulle rocce, dall’altro invece si vede tutta la spiaggia Reynisfjara fino ai pinnacoli Reynisdrangar e alla Hálsanefshellir Cave. Posto davvero bello. Circumnavighiamo tutta la laguna e poi imbocchiamo la strada che porta a Reynsfjara, la famosa spiaggia nera. Il vento è talmente forte che le raffiche spingono la neve sulla carreggiata. Immagine molto bella con il sole che sta per tramontare sullo sfondo. Qui c’è una chiesetta graziosa, come tutte le chiese islandesi. Parcheggiamo e raggiungiamo la spiaggia. Questo posto è pericolosissimo (ci sono anche dei cartelli che lo segnalano). Le onde sono imprevedibili. Se un attimo prima sembrano basse, un attimo dopo si alzano a 4 metri. Un paio di mesi fa, una turista è stata trascinata in mare e l’hanno trovata morta qualche giorno dopo. In effetti, nella mezz’ora che siamo rimasti a guardare il tramonto, l’altezza delle onde è cambiata in modo pauroso diverse volte. Super soddisfatti raggiugiamo Vik. Andiamo subito alla chiesetta che si trova sopra la città. Nel 2007 avevamo dormito qui con il camper … che nostalgia, quanti bei ricordi. Allora il paese era piccolissimo, adesso ci sono parecchie costruzioni in più. La luce è bellissima, il rosa della neve, unita al blu della notte che avanza, rende questo posto proprio bello. I neri pinnacoli Raynisdragar con il cielo infuocato dietro, sono la ciliegina …Portiamo Matteo e Marta alle terme (potranno fare solo la sauna perchè le piscine esterne, con la tempesta di ieri, sono piene di neve). Noi andiamo all’appartamento.

Pernottamento: appartamento a Vik – prenotato su Booking – Vik Apartment

https://www.vikapartments.is/

€ 312 a notte – Tot. per 2 notti € 624

Facciamo check-in al Vik Hotel. L’edificio su due piani, con gli appartamenti, si trova tra l’hotel e la strada principale. Ci sono due costruzioni, mentre la terza la stanno ultimando. Le strutture sono nuove di pacca. Ci fa impressione la neve attaccata ai muri. Qui ieri è stata una giornata molto impegnativa, a detta della ragazza alla reception. Il nostro appartamento è al piano superiore. Pulitissimo, enorme e molto, molto bello. Si vede che è stato finito da poco. Andiamo poi a fare ancora un pò di spesa, andiamo a berci una birra al pub, recuperiamo Matteo e Marta e poi andiamo a sistemarci con calma all’appartamento. Ottima cena e poi … via di nuovo alla ricerca dell’aurora boreale. Saliamo alla chiesetta e poi ancora oltre al cimitero. Martina è la prima che la vede. Non rende molto, perchè c’è un pò di inquinamento luminoso quindi scendiamo ed imbocchiamo la strada che porta a Reykjavik. E’ la prima volta che la vediamo… ed è solo kp3 (la scala va da 0 a 9) … ed è pazzesca. Non oso immaginare quando arriva a 9 visto che già a 3 è uno spettacolo. Continua a mutare. Vediamo addirittura 3 fasci contemporaneamente. Ogni volta che sembra che stia riducendo, se ne crea un’altra un pochino più verso ovest quindi continuiamo a spostarci. Io rinuncio a fare foto perchè c’è troppo vento mentre i ragazzi riescono a farne qualcuna con il cellulare. Dopo quasi 3 ore fuori, rientriamo super felici. Guardo ancora il sito www.road.is. Fino ad oggi, la strada che dovremo percorrere domani era di colore rosso, ciò significa che avremmo dovuto rinunciare ad arrivare a Jokulsarlon, io mio sogno da 14 anni.  Ora invece è finalmente solo gialla quindi possiamo andare!!!!!!!!!!

5) 03 gennaio 2022 lunedì: Vik (km.386)

Alle 7.00 siamo in macchina.

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Informazioni su quello che c’è da vedere da Vik a Jokulsarlon (https://www.south.is/):

 

Þakgil: trekking che parte dal campeggio. 5 km. a tratta

https://guidetoiceland.is/connect-with-locals/regina/thakgil-and-remunargil-canyons-two-hidden-gems-in-south-iceland

 

Mýrdalssandur: deserto di lava in parte ricoperto da muschio                                          

 

Þykkvabæjarkirkja: chiesetta caratteristica

 

Ófærufoss: solo per 4×4. si percorre la F208, si guada un fiume e poi si devia per 5 km. poi 4 km. a piedi

 

LAKI: F206 è una delle strade più belle. Dopo ore di macchina nell’entroterra islandese con numerosi guadi finalmente si sale a piedi sul monte più alto e da lì si osserva quello che rimane di una lunga linea di vulcani che corre da sud ovest a nord-est. Sembra una foto aerea ma non lo è.  L’ultima grande eruzione risale al 1783 e il 1784, con la fuoriuscita di circa 14 km³ di lava, le nubi emesse nel corso dell’evento uccisero più del 50% del bestiame dell’isola causando una carestia che a sua volta sterminò circa il 25% della popolazione islandese

 

Eldhraun lava field: lava ricoperta d’erba

 

Fjaðrárgljúfur: sentiero semplice che porta ai vari punti panoramici, arrivare fino in fondo dove c’è la cascata – 20 minuti.

Si trova a 6 chilometri dall’autostrada 1, svoltare sulla strada F206. Le persone arrivano in auto tutto l’anno. Fjaðrárgljúfur è magnifico e aspro, profondo circa 100 metri e lungo circa due chilometri. La gola è ripida, leggermente tortuosa e stretta. Il substrato roccioso di Fjaðrárgljúfur è principalmente tufo dei periodi freddi dell’era glaciale e si ritiene che abbia circa due milioni di anni. Fjaðrá ha origine a Geirlandshraun e cade dal crinale in questa magnifica gola fino a tornare a Skaftá. Fjaðrá è un fiume di acqua rocciosa ed è chiaro che è cambiato molto nel tempo. Fjaðrárgljúfur è nella lista dei monumenti naturali.

 

Kirkjubæjarklaustur (pavimento basaltico): l pavimento della chiesa si trova nel prato appena ad est di Kirkjubæjarklaustur. Questo è ca. 80 m² di superficie di massi glaciali e surfati, dove in cima si possono vedere colonne verticali blu. Non c’è mai stata una chiesa lì, ma non è niente come la superficie posata da mani umane. Stuðlaberg si forma a causa di una contrazione del materiale di raffreddamento, quando il basalto si scioglie si raffredda gradualmente dopo la completa solidificazione in modo che la roccia si contragga e si divida in coefficienti, che di solito sono a sei filamenti. I coefficienti sono sempre perpendicolari alla superficie di raffreddamento. Il pavimento della chiesa è un fenomeno naturale protetto. 

 

Stjórnarfoss: Cascata molto carina, ad un passo dalla strada..

 

Foss a Sidu: cascate alle spalle di un paesino

 

Núpsstaður: vecchie case ricoperte d’erba

 

Lómagnúpur: Lómagnúpur è una roccia alta 688 m che torreggia a sud di Birninn a ovest di Núpsvatn su Skeiðarársandur. A ovest di essa si trova la città di Núpsstaður. Gli spettacolari dintorni di Núpsstaður e Lómagnúpur sono ben noti. L’area si estende dal mare e dalle sabbie nere fino a Vatnajökull. Eruzioni vulcaniche, ghiacciai e laghi hanno modellato l’ambiente e creato formazioni geologiche diverse e uniche. Lómagnúpur appartiene alla terra di Núpsstaður, che è tutta nella lista dei monumenti naturali.

 

Skeiðarársandur (deserto di lava)

 

Vatnajokull (calotta glaciale): https://guidetoiceland.is/travel-iceland/drive/vatnajokull?fbclid=IwAR06Ff9IRlsy9ufb0Q9yb1i4Og4uqDZcV9FkJjzSMgbo5JCGfTQX_wo5T_Y

 

Skaftafell: Skaftafell e Svínafellsjökull Glacier. Lingue del Vatnajokull che si possono visitare con escursioni organizzate

 

Skaftafell: Sel (ovile) si raggiungono con un breve trekking delle casette tipiche dei pastori, con il tetto coperto d’erba.

 

Skaftafell: Svartifoss: Questa cascata, denominata anche Cascata Nera, è situata all’interno del Parco nazionale Skaftafell. Il colore nero delle sue rocce deriva dalla presenza di colonne di basalto di provenienza vulcanica. La cascata è raggiungibile a piedi in circa 30 minuti, percorrendo un sentiero che parte dal campeggio del parco.

 

Múlagljúfur Canyon: Non c’è nessun segno sulla strada principale che indica la svolta qui. Ma c’è un punto segnato su google maps che mostra la svolta qui. Puoi girare da lì e arrivare alla fine della strada con qualsiasi macchina, la strada non è male. Successivamente, si raggiunge qui con una piacevole passeggiata di 1-1,5 ore.

 

Fjallsárlón Glacier Lagoon: laguna glaciale come Jokulsarlon. D’estate si possono fare giri in barca (https://fjallsarlon.is/)

 

Jökulsárlón Glacier Lagoon: Jökulsárlón è una laguna di origine glaciale che costeggia il Parco nazionale del Vatnajökull, nel sud-est dell’Islanda. Le sue tranquille acque blu sono punteggiate di iceberg del vicino ghiacciaio Breiðamerkurjökull, che fa parte del ghiacciaio Vatnajökull. La laguna fluisce nell’oceano Atlantico attraverso un breve canale, lasciando blocchi di ghiaccio su una spiaggia di sabbia nera (diamond beach). Nel canale ci sono sempre le foche. Si possono fare giri in barca d’estate (https://icelagoon.is/tours/)

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Il primo stratto di strada è parecchio impegnativo per il forte vento che sposta la neve sulla strada ed è completamente buio. Non facciamo soste. Non fosse inverno ci sarebbero tantissime cose belle da vedere. Quando incomincia ad albeggiare possiamo finalmente vedere i bellissimi paesaggi rosati. Costeggiamo due delle lingue del Vatnajokull, il Skaftafelljokull e il Svínafellsjokull. Arriviamo a Jokulsarlon. Ricordavo un punto panoramico, sulla sinistra prima di raggiungere il ponte, dal quale si può vedere tutto il panorama in solitudine. Ora ci sono alcuni parcheggi. Scolliniamo a piedi e wow. Spettacolo. La laguna è quasi completamente ghiacciata. Il ghiaccio è azzurro in contrasto con il rosa del colore della neve. Mamma mia che bello. Peccato che il vento sia davvero impegnativo. Io attraverso il ponte a piedi e fotografo diverse foche che nuotano in mezzo agli iceberg che sono incastrati nel fondale basso. Man mano che si sciolgono avanzano fino ad arrivare al mare e le onde li portano sulla spiaggia di sabbia nera. Lì impazzisco a fare foto. Il ghiaccio ha colori bellissimi in contrasto con la sabbia scura. Il sole, basso sull’orizzonte, crea effetti davvero belli. Costeggiamo poi a piedi il canale guardando le foche che fanno capolino dall’acqua. Arrivando dentro la laguna si vede bene il fronte del ghiacciaio dal quale si staccano gli iceberg. Nel 2007 avevamo fatto il giro con il mezzo anfibio. Lo si riesce a fare, dipende dalle annate, anche fino a novembre. Questo si riconferma uno dei posti più belli che ho visto. Completamente congelati saliamo in macchina e ci torniamo un pochino indietro fino a Fjallsarlon. Anche qui facciamo un breve tratto a piedi ed arriviamo alla laguna. Al contrario di Jokulsarlon dove c’erano parecchie persone, qui siamo solo noi. La lingua del ghiacciaio è completamente azzurra. Anche questo posto molto bello. Mangiamo due cose in macchina viaggiando mentre rientriamo. I ragazzi si fanno un pisolino mentre noi ci godiamo il paesaggio. Il tratto di strada prima di Vik (quello che stamattina ci ha fatto tribulare per il vento) è davvero molto bello. Ci sono delle colline ricoperte di neve e la piana, dove c’è un pò d’acqua gelata, è tutta completamente rosa. Arriviamo a Vik giusto per vedere i pinnacoli Reynisdrangar con, alle loro spalle, il cielo rosso. Questa sera è arrivata a Vik anche la mia amica Tiziana quindi doccia, cena e poi ci troviamo alla chiesetta per cercare l’aurora boreale insieme. Riusciamo a stare poco giù dalla macchina a chiacchierare, per il vento. Questa sera la vedremo ancora ma non bella come quella di ieri sera, e dura anche poco. Ci ritiriamo in appartamento dopo un’oretta.

6) 04 gennaio 2022 martedì: Reykjavik (km.265)

Questa mattina dormiamo un pochino di più, lasciamo l’appartamento ed arriviamo appena c’è luce alla spiaggia di Reynisfjara. Ora non c’è nessuno. Il cielo dietro i pinnacoli è giallo ed arancione. Il vento è clemente, oggi non ci darà problemi, e il mare non è agitato come l’altro ieri. Ripartiamo ed arriviamo al parcheggio  dove si parte per arrivare al relitto dell’aereo Solheimasandur. Ci viene un mega nervoso perchè ieri sera avevo chiesto info di questo alla reception del nostro appartamento. Quando ci eravamo fermati due giorni fa, avevo visto della possibilità di prendere il bus che portava fino al relitto (la camminata ci portava via troppo tempo) quindi le ho chiesto se questo servizio era attivo anche d’inverno. Lei ci ha detto che si poteva andare solo a piedi o con escursioni da Vik. Ci siamo fidati ovviamente … ed invece ora, quando arriviamo al parcheggio, vediamo il bus che torna puntuale. Sono le 10.40 e lui parte ogni 40 minuti. Ormai è tardi per prenderlo quindi ripartiamo ma davvero scocciati …. se uno non sa, piuttosto che dare info sbagliate, dovrebbe stare zitto oppure, cercare info da chi ne sa più di lui. Ripartiamo ed arriviamo a Skogafoss. Parcheggiamo vicino al museo Skogar e raggiungiamo a piedi la cascata Kvernufoss. Il sentiero costeggia un ruscello. La cascata è bella e le rocce sono coperte completamente di ghiaccio. Si potrebbe passare dietro al getto ma ci vuole un impermeabile e bisogna mettere i ramponcini (i nostri li abbiamo lasciati in macchina… furbi). Ci spostiamo poi a Selialandfoss. Qui si paga il parcheggio (700 corone). Anche questa ha le rocce completamente ghiacciate. Il sentiero che porta dietro al getto è chiuso. E’ sempre molto bella. Proseguiamo poi lungo il sentiero fino a raggiungere in pochi minuti la cascata nascosta Gljufrabui. Un piccolo ruscello esce da una spaccatura verticale della roccia. Bisogna passare nell’acqua (i sassi che affiorano sono coperti di ghiaccio) quindi ci vogliono scarpe in goretex, per entrare nella cavità (le pareti sono completamente ghiacciate). Molto bella e scenografica. Ripartiamo per arrivare al vulcano Fragradasfjall (che abbiamo dovuto saltare il secondo giorno per mancanza di tempo). Sapevo ci fossero due o tre parcheggi ma noi ne troviamo aperto solo uno. Per raggiungere il vulcano si deve arrivare in cresta ad una collina poi scendere e risalire un’altra più piccola. Se non ricordo male il cartello all’inizio indicava 4 km. E’ tardissimo quindi a malincuore arrivo praticamente di corsa (per fortuna vado in montagna tutti i we quindi sono allenata ….) fino alla prima collina. Da lassù il vulcano non si vede ma si vede tutta la colata lavica ancora fumante. Pier e i ragazzi invece non salgono con me ma raggiungono in piano la lava. Fanno alcuni passi sopra. Dicono che è effettivamente ancora calda ed in alcuni punti fuma. Ha spesso di eruttare, dopo circa 7 mesi, un paio di mesi fa. L’ho seguito tantissimo perchè si vedevano ovunque immagini di persone davvero vicine alla lava (in sicurezza perchè più alte). Prima di Natale c’è stata molta attività sismica, terremoti che si sentivano anche a Reykjavik (alcuni molto forti). C’erano più di 2.000 scosse al giorno quindi i sismologi dicevano che nel giro di 10 giorni avrebbe ricominciato ad eruttare. Invece poi si è fermato …. la cosa bella di questo vulcano è che ha eruttato a lungo praticamente solo lava, senza far fuoriscire tanto fumo (se qualcuno è addetto ai lavori … mi perdoni per la poca conoscenza dei termini giusti). Dicono che se dovesse esplodere di nuovo l’Askja, non ci si potrebbe avvicinare a meno di 100 km. Guardando questo spettacolo ci ripromettiamo, qualora ricominciasse l’eruzione, di venire qui anche solo per due notti con un volo diretto come Wizz (con Easyjet sarebbe impensabile) …. aimè …. ora che scrivo sono i primi di marzo e ancora tutto tace ……. Siamo di corsa perchè abbiamo l’ingresso a Laguna Blu alle 16.00 (se ci fosse stato un modo …. avrei lasciato andare loro ed io avrei raggiunto il vulcano …..). Ripartiamo ed arriviamo alle terme puntuali. Una vacanza a rispettare orari ….. Le terme sono ben organizzate. Staremo un’oretta a mollo …. una bibita (sia alcolica che analcolica) è inclusa nel prezzo d’ingresso (anche una maschera facciale) e la si può bere direttamente nell’acqua … Quando usciamo andiamo direttamente a Reykjavik al laboratorio per fare il tampone. Ce ne sono diversi in città e anche a Keflavik. Sono gratuiti e prenotabili sul sito https://www.testcovid.is/. Ci troviamo con Tiziana e family, domani loro rientrano con noi. Abbiamo il timore di aver problemi con la partenza perchè domani danno tempesta di neve e venti a 100 km./h …. Ci tamponano, il risultato arriva dopo pochi minuti e poi andiamo al nostro appartamento.

Pernottamento: appartamento a Reykjavik – prenotato su Booking – Stay Apartment

€ 145

Se volete un consiglio non prendetelo in considerazione. Sarò breve. Il codice di accesso non funziona e dopo varie telefonate riusciamo ad entrare. Siamo in 5 ma i posti letto sono 4, il divano, se anche fosse un divano letto, non ha coperte e lenzuola. Dopo diversi tentativi per codici errati riusciamo ad entrare in un’altra camera dove prendiamo un piumone ed un cuscino. Perdiamo quasi due ore per questo disguido quindi usciamo a cena perchè non abbiamo voglia di cucinare. Troviamo posto vicino al porto, al Reykjavik Fish Restaurant. Mangeremo bene, zuppa di pesce e fish &cips spendendo 35 ero a testa. Torniamo poi in appartamento ed il codice non funziona ……panico. Domani mattina alle 6.00 dobbiamo partire e dentro ci sono tutte le nostre cose, PC dei ragazzi compresi …… dopo 20 telefonate al solito numero …. per fortuna risponde (sono le 23.00). Ci da altri codici ma nessuno funziona ….. dopo non so quanto, finalmente entriamo. Ricompatto le valige, doccia e andiamo a dormire (Martina dorme in mezzo a noi …).

7) 05 gennaio 2022 mercoledì: Reykjavik – Milano (km.50)

Alle 6.00 ci troviamo sotto il nostro appartamento con Tiziana e Family. Inizia a nevischiare ed il vento è sempre più forte man mano che usciamo dalla città. Arriviamo agli uffici della Blu Car. Non siamo riusciti a rabboccare il gasolio perchè questa mattina non abbiamo trovato nessun bar aperto che ci desse l’acqua calda, quindi paghiamo in loco un tot. Avevamo fatto l’assicurazione completa quindi non controllano se ci sono danni. Facciamo check-in, colazione e poi ci imbarcano. Rimaniamo più di un’ora fermi sulla pista sballottati dal vento fortissimo. Mi viene quasi il mal di mare. Rischiamo di non riuscire a partire. Finalmente ce la facciamo e verremo a sapere che poi bloccheranno gli altri voli in partenza ed arrivo. Arriviamo a Manchester. Duemila controlli documenti, recupero valige e poi di nuovo controllo di tutti i documenti, tamponi, plf, green pass e chi più ne ha più ne metta. Abili per il rientro a casa ripartiamo dopo 2 ore. Abbiamo pure temuto, con il ritardo in partenza, di perdere la coincidenza. Se succedeva questo, oltre ad una notte a Manchester, avremmo dovuto fare di nuovo i tamponi. Atterriamo puntuali alle 19.30 e poi di corsa a prendere i nostri labradors.

Conclusioni: è sempre stato un mio sogno nel cassetto poter tornare. Si è realizzato in modo inaspettato anche se solo per pochi giorni. Sicuramente torneremo per vedere tutto quello che non siamo riusciti a vedere nel 2007 perchè è un paese molto, molto ma molto bello. In inverno può essere impegnativo soprattutto per il fatto che molte strade vengono chiuse per le tempeste di neve e di tempeste ce ne sono tantissime …. ma la bellezza dei paesaggi, ripaga il freddo, il vento, le poche ore di luce e tutto quello che di estremo crea la Natura. E l’Islanda è una terra estrema.

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Norvegia on the road: da Bergen a Tromsø lungo le strade dell’Atlantico  

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Da giorni tenevo sottocchio le comunicazioni di “Viaggiaresicuri.it” sulle condizioni di viaggio richieste per andare in Norvegia e poi rientrare in Italia. A inizio marzo ecco la buona notizia: la Norvegia ha riaperto al turismo e praticamente eliminato tutte le restrizioni precedentemente imposte causa COVID. Per il rientro in Italia basta il Green Pass rafforzato e compilare il PLF Passenger Locator Form, niente di speciale. Bene, finalmente riesco a realizzare un’idea di viaggio tenuta in serbo da più di due anni e sempre rinviata a causa della pandemia. Il progetto iniziale di viaggio in gruppo con 3 amici non è  più realizzabile: le due compagne di viaggio hanno scelto di andare alle Maldive (!!!) e il mio amico svizzero non ha ferie in primavera. Quindi decido di partire da solo. Il programma è ambizioso: fare tutta la costa atlantica della Norvegia in auto, sfidando la temperatura che prevedo ancora gelida in molte regioni, il ghiaccio lungo le strade e il vento forte sulle isole. Ma lo spirito del viaggiatore prevale su tutto, e allora via!

Scelgo un’auto media, perché per un viaggio come questo è perfettamente inutile prendere un’auto grande e ancora peggio scegliere un SUV: su molte strade l’ingombro sarebbe solamente un impaccio, oltre che contribuire ad aumentare i rischi di incidente. Mi danno una Toyota Corolla ibrida che si rivelerà perfetta. La benzina costa da 19 a 23 NOK (1.9-2.3 €/lt) secondo i posti, quindi più o meno come da noi prima dell’intervento del governo per la riduzione delle accise.  Il roaming europeo vale anche per la Norvegia, perciò si può usare Google Maps senza aggravio di costi, e questo è un bel vantaggio. Pneumatici da neve standard come è ovvio, luci sempre accese e grande attenzione per i limiti di velocità (max. 80 km/h salvo l’ebbrezza dei 90 o 100 all’ora su qualche tratto autostradale della E6), perché le multe qui sono salate (minimo 7000 NOK = circa 700 €!!!) e la tolleranza del 10% non c’è. Il noleggio auto in Norvegia è caro, ma un’offerta di Auto-Europe mi permette di contenere i costi a 60 € al giorno, più il costo del drop-off in diversa città che grazie al contratto con l’agenzia di noleggio risulta abbastanza conveniente.

Itinerario previsto: Bergen – Molde – Trondheim – Bodø – Lofoten – Narvik – Senja – Tromsø. Comprende queste ‘scenic highways’: Hardangervidda, Atlanterhavesveien, Kystriksveien, Lofoten, Senja.

Bergen  

Prima tappa a Bergen. Arrivo il 18 marzo con volo KLM via Amsterdam. Cambio 250 € a un bancomat in aeroporto: errore! Farò fatica a spenderli, perché qui tutto si paga con le carte di credito. Per loro il pagamento in contanti è solo un vecchio retaggio che fa disperare gli esercenti, incapaci di trovare il resto, soprattutto le monete. Per cui, lasciate pure a casa gli euro e portate invece la carta di credito, o meglio due se possibile. Il cambio Euro/Corona Norvegese è all’incirca 1€ = 10 NOK, per cui fare i conti è abbastanza facile.

Subito due belle scoperte: la prima è che c’è il sole e la gente gira in maglietta, la seconda che la mascherina qui non è obbligatoria nemmeno al chiuso (ristoranti, mezzi pubblici, musei). Quando uscito dall’aeroporto prendo il light train per il centro città indossando la FFP2 come qualche altro turista, i locali mi guardano con curiosità e diffidenti si siedono distante: magari questo porta la maschera perché ha il virus….  Chiedo informazioni a due signore che mi confermano che l’uso della mascherina è facoltativo. In pratica non la porta nessuno: in 20 giorni di Norvegia avrò visto al massimo 5 norvegesi mascherati, più alcuni turisti pervicacemente aggrappati al rispetto degli obblighi vigenti nei paesi d’origine. Personalmente, mi adeguo subito alle regole locali e ripongo la mascherina nella borsa assieme a tutta l’inutile scorta di maschere di ricambio che mi sono portato a dietro.

Bergen si gira facilmente a piedi, facendo attenzione a qualche punto dove c’è ancora ghiaccio per la strada. Monopattini elettrici scorrazzano dovunque e hanno rimpiazzato le biciclette cittadine verdi, ormai sempre più rare. Al sabato mattina è aperto il mercato del pesce della Torget, che in pratica è una pescheria con annessi ristoranti, dove per un piatto di gamberetti o di cozze ci lasci giù 30 €. Meno male che proprio dietro c’è un Subway con cui ci si salva: i Subway ci sono in tutte le città principali e i panini footlong si riveleranno una buona soluzione per la cena.  Nelle vasche della Torget sguazzano enormi giant crabs con le chele lunghe un metro, capesante da mezzo chilo l’una e astici formato famiglia, ma i loro prezzi iperbolici mi fanno desistere dall’intenzione di provarli. Nel porto impossibile non notare “The slurp”, un imbuto sommerso che aspira la sporcizia gettata dai passanti che finisce in acqua.

Per noi turisti il cuore della città è Bryggen, in verità frequentatissimo anche dagli stessi Bergenser, ex-quartiere dei pescatori con una bella fila di case a cui il sole del tardo  pomeriggio conferisce colori caldi e intensi. Ne sono rimaste una quindicina, in gran parte trasformate in negozi di souvenir. La cosa più piacevole è perdersi tra le stradine dietro la fila di case che si affacciano su Vagen, il porto, dirigendosi anche oltre,  verso la stazione della funicolare Fløibanen che sale sulla collina di Fløien. Ma ahimè la linea è in manutenzione e riaprirà a aprile, quando io sarò al nord, quindi pazienza e scarpinata sulla collina a piedi facendo centinaia di gradini di granito, che già arrivare a metà del pendio è un’impresa. Dalla collina, grazie anche alla luminosità eccezionale, il panorama sui tetti rossi e ardesia è stupendo. Bergen è sparpagliata su 7 colline (come Roma….): le immagini delle villette colorate col tetto spiovente che dai pendii delle colline occhieggiano su Bryggen e sul porto fanno un bellissimo effetto tavolozza che non si dimentica.

Una esplosione di colore è anche il viale Kaigaten, davanti ai musei Kode, con le casette multicolori che si riflettono nel laghetto Lille Lungegårdsvannet.

Dalla Fløien si scorgono anche alcuni inattesi murals che ravvivano il centro città, e che dopo scenderò a vedere da vicino: il più curioso raffigura un elfo verde e un lupo e ricopre l’intera facciata di un edificio.

I giardini della città sono già ravvivati da candidi bucaneve e colchici gialli e viola. La temperatura non raggiunge i 10 °C, ma c’è il sole, la gente gira in maglietta e le ragazze col pancino scoperto, accalcandosi nella zona pedonale di piazza Torgallmenningen che è il centro cittadino dello shopping, attorno al grande Sjømannsmonumentet, un monumento marittimo che racconta la storia della Norvegia attraverso i suoi navigatori dall’epoca vichinga fino al XX secolo. Ho visitato i musei Kode, apprezzando in particolare l’esposizione di opere di Edward Munch, quello del famoso urlo (che però si trova alla Galleria Nazionale di Oslo). Nel Kode 3 ho visto  un’introspettiva di Paul McCarthy, artista dall’arte grottesca, ipertrofica e dissacratoria le cui opere sono un pugno nello stomaco.

 

Norway in a nutshell   

Terzo giorno a Bergen dedicato al programma “Norway in nutshell”, cioè “la Norvegia in un guscio di noce”, che concentra in una sola giornata l’essenza del paese e comprende: treno da Bergen a Voss sulla Bergen Railway –  bus da Voss a Gudvangen lungo la E16 – crociera da Gudvangen a Flåm attraverso l’Aurlandsfjord e lo stretto e spettacolare Nærøyfjord (patrimonio UNESCO) – viaggio in treno lungo la ripida Flåmsbana, che in 20  km sale dai 2 metri di Flåm agli 866 metri di Myrdal – ritorno in treno a Bergen ancora sulla Bergen Railway.

La giornata di sole e cielo azzurro ha reso la gita indimenticabile. Il Nærøyfjord è il più stretto e conosciuto dei molti bracci del Sognefjord, che con i suoi 203 chilometri di lunghezza è il fiordo più profondo della Norvegia e il secondo più lungo al mondo. Circondato da imponenti montagne alte fino a 1.700 metri, questo braccio del Sognefjord è incredibilmente bello. Si passa quasi tutto il tempo della crociera fuori, a scattare foto e ammirare  ripidi fianchi montuosi, valli sospese, cime imponenti, nevai, cascate e piccoli borghi di casette colorate.

La ferrovia Flåmsbana opera tra Flåm e Myrdal, arrampicandosi tra profondi burroni, cascate che scendono dal fianco delle montagne innevate e fattorie di montagna aggrappate a vertiginosi pendii a strapiombo. Il treno ferma ogni tanto per raccogliere gli sciatori che fanno fondo sulle piste da sci lungo la ferrovia e fa una fermata obbligata davanti alla cascata ghiacciata Kjossfossen.

La Bergen Railway è la linea ferroviaria lunga circa 500 chilometri che collega Bergen e Oslo. Chi inizia il tour norvegese da Oslo dovrebbe prendere questa ferrovia, considerata una delle più belle del mondo, per raggiungere Bergen.

Costo di questo programma 1878 NOK (190 €).

Da Bergen a Bodø: Atlanterhavsveien  e Kystriksveien   

Ritiro la macchina in aeroporto e finalmente via verso nord. La costa atlantica della Norvegia è lunghissima: da Bergen a Bodø sono circa 1500-1600 km, secondo il percorso che si sceglie. Qualunque esso sia, almeno 6-7 giorni sono indispensabili. Ho deciso di alternare i tratti costieri con altri su alcune scenic routes consigliate dal sito web https://www.nasjonaleturistveger.no/en/routes/  e altri sulla E6 che corre nell’interno, dividendo il percorso in 6 tappe.

Da Bergen a Lærdal: questo percorso si snoda lungo la Hardangervidda,  strada di panorami eccezionali. Si costeggiano l’Hardangerfjord  e l’Eidfjord macchiati dai colori dei villaggi (Norheimsund, Alvik, Granvin) superando ponti altissimi e spettacolari, poi si sale lungo un ripido percorso a spirale verso la cascata Voringsfossen, purtroppo chiusa in marzo. Per raggiungerla bisognerebbe lasciare la macchina sul ciglio della strada e fare 1 km nella neve fresca: ci ho provato, ma ho desistito dopo un centinaio di metri con un po’ di rimpianto.  Sul bianchissimo altopiano di Dyranut mi sono fermato a guardare i ragazzi che fanno snowkite con le tavole da snowboard, usando aquiloni da trazione per farsi trainare su pianori innevati.  Poi un tratto della scenic route Aurlandsfjellet, quindi ho lasciato questa strada per dirigermi verso nord lungo la RV 52 Hemsedalsfjellet, sulla quale ho cominciato a fare esperienza di guida su fondo ghiacciato. Sulle strade panoramiche ci sarebbe da aprire un capitolo apposta: in realtà TUTTE le strade norvegesi offrono panorami da cartolina in qualunque punto uno si fermi, chiaramente se il tempo è bello e c’è luce. Per esempio, la RV 52 non è citata dal sito web ufficiale delle scenic roads, come anche altre che ho fatto dopo, ma a percorrerla c’è da stropicciarsi gli occhi e fermarsi mille volte a fare fotografie. Comunque, questa strada era un buon collegamento verso l’obiettivo che avevo programmato: la “stavkirkje” di Borgund.

La nera stavkirkje di Borgund è una chiesa in legno situata nel comune di Lærdal, contea Vestland. Fra l’XI e il XII secolo, lungo le antiche rotte commerciali in Norvegia, furono costruite circa 2000 Stavkirkje, chiese di legno il cui termine deriva da stafr in lingua norrena = assi portanti. Oggi quella di Borgund è la meglio preservata delle 28 stavkirkje rimanenti in Norvegia. Venne costruita intorno al 1180 e consacrata all’apostolo Andrea. Decorata con intricati intagli raffiguranti draghi e croci cristiane, la chiesa ha un esterno a gallerie protetto da pilastri, aggiunto nel 1300, e un interno a 3 navate dove è stato allestito un museo. Diverse iscrizioni runiche si trovano sulle pareti:  https://www.norvegia.com/cosa-vedere-norvegia/stavkirke-chiese-legno/. La nera sagoma della Borgund Stavkirkje si riconosce subito perché vista da lontano sembra il busto di Dart Vader. Sono contento di avere fatto questa deviazione per arrivare fino a qui e vedere questa opera. Chi invece viaggia dalle parti di Oslo, dovrebbe puntare sulla altrettanto famosa stavkirkje di Heddal, che si trova a un’ora e mezza di macchina dalla città.

Da Lærdal a Molde: questo tratto tocca il maestoso Geirangerfjord (nella foto qui sopra), per fortuna non ancora trafficato dalle decine di navi da crociera che arrivano qui d’estate. Il punto d’osservazione migliore è a Ljoen, appena all’uscita da una galleria sopra Hellesylt. Lungo le  strade meravigliose che portano verso Molde si comincia a fare conoscenza con i ferry che sostanzialmente fanno parte della viabilità. Uno arriva e il ferry è lì che lo aspetta, oppure si mette in coda per un’attesa che in questa parte del paese non è mai lunga (più a nord invece conviene controllare gli orari). Ferry semivuoti in questo periodo.

A Molde ho scelto lo Scandic Seilet hotel che è posto in posizione panoramica in riva al mare e mi hanno offerto una stanza all’ultimo  piano che ho preso al volo: grazie alla giornata luminosa e alla finestra non sigillata ho potuto scattare dall’alto delle foto stupende sulla baia fino a Vestnes sull’altra sponda, sia al tramonto che all’alba.

Da Molde a Kristiansund lungo la  Atlanterhavsveien: questa scenic road è lunga circa 100 km, ma le maggiori attrattive sono concentrate negli 8 km che vanno da Vevang a Karvag, che si snodano su diversi isolotti e scogli collegati da strade rialzate, viadotti e otto ponti. Il più famoso è il ponte “in curva” Storseisundet, che collega la penisola continentale di Romsdal all’isola di Averøya.  Guardandolo dalla piazzola di parcheggio si percepisce un “effetto baratro”: grazie all’angolo di visuale che nasconde metà del ponte le auto in arrivo sembrano provenire dal nulla e quelle che vanno sembrano buttarsi nell’infinito.

Trondheim: una sorpresa. Bella città animata dagli studenti delle università, piena di palazzi storici e chiese. Magnifica la Nidaros Domkirkje, cattedrale con il tetto verde spiovente e un grande parco alberato davanti. La zona più bella è il quartiere storico Bakklandet, disteso sulla sponda destra del fiume Nidelva, con decine di edifici colorati su tutte e due le sponde, gente che fa jogging o pedala nelle vie interne e tanti angoli carini per un caffè o una birra.

Meno famoso di Bryggen ma secondo me più bello. Il centro città è la piazza  Torvet, dove domina dall’alto di una colonna alta 15 metri la statua del re vichingo Olaf Tryggvason, o Olaf I di Norvegia, primo re vichingo convertito al cristianesimo. Tutte queste zone si girano a piedi. Più decentrato invece, nella zona del porto, è il Monumento al Vichingo, Den Siste Viking, statua di Nils Aas che diversamente dallo stereotipo del guerriero con elmo e corna, raffigura una marinaio con la cerata e l’elmetto.

Da Trondheim a Mosjoen: tratto in parte lungo la strada costiera e in parte sulla E6 che corre nell’interno. Giornate nebbiose e bufere di neve una dietro l’altra. A Mo I Rana alle 6 di mattina registro la temperatura minima toccata durante questo viaggio: -15 °C (la foto qui sopra vorrebbe rendere l’idea del freddo cane). Deviazione verso Rørvik per vedere il Norveg dalla caratteristica struttura a vela, centro di cultura e industria costiera norvegese.

 

La Kystriksveien: sogno on the road  

Da Mosjoen a Bodø lungo la Kystriksveien: il tempo è migliorato, ci sono 2°C e un po’ di sole si insinua tra le nuvole. La strada è ghiacciatissima, ma le gomme chiodate garantiscono una tenuta sorprendente al punto che anch’io mi azzardo a andare a 80 all’ora come i norvegesi.

La Kystriksveien è la strada atlantica che si snoda per 700 km sul lungo tratto costiero tra Steinkjer e Bodø. Per farla tutta ci vorrebbe almeno una settimana: meglio dimezzare e concentrare il percorso sugli ultimi 350 km (non pochi comunque!) che vanno da Sandnessjøen a Bodø. Oppure limitarsi agli ultimi 150 km  circa da Glomfjord, che però per mancanza di strade di connessione  comportano di dovere percorrere tutta la E6 fino a Bodø (percorso comunque bellissimo) e poi fare l’atlantica  ritroso in direzione sud. In questo modo però si perdono alcune attrattive importanti come per esempio il ghiacciaio Svartisen.

Scenari incredibili, panorami mozzafiato dovunque, talvolta sotto la neve come evidenziamo i fiocchi sull’obiettivo nella foto qui sopra. Ci sono molti ferry da prendere, che qui nel nord sono meno frequenti che nel centro-sud. Salvo qualche eccezione i ferry non si possono prenotare, quindi bisogna programmare bene il percorso e controllare gli orari dei traghetti, specialmente se si viaggia il sabato e la domenica quando le corse si riducono. Per esempio, il ferry Kilboghamn-Jektvik, che è il più lungo e importante del tragitto, al sabato c’è alle 8 e poi più niente fino alle 14. Per cui se perdi quello delle 8 poi devi studiare qualche giro alternativo per trascorrere la mattinata. Problemi di spazio sui ferry almeno in questo periodo proprio non ce ne sono:  sul ferry da Ågskardet a Forøy c’erano solo 3 macchine! Se i ferry da prendere sono molti, è possibile risparmiare il 50% facendo la autopass ferry card su www.autopassferje.no . Utilissima anche la Kystriksveien Travel Guide, che si trova su internet come file web Kystriksveien travel guide | Kystriksveien  oppure si può ordinare per posta al costo di 60 NOK.

La Kystriksveien è il sogno di ogni amante dei viaggi on the road. La strada corre lungo i fiordi saltando di isola in isola su ponti che sono capolavori di ingegneria oppure coi ferry, ma spesso devia nell’interno tra valli e montagne incappucciate di neve. Ci sono molti tratti ghiacciati, che richiedono attenzione in discesa e in curva, oppure all’incrocio con i camion che come in ogni parte del mondo si prendono la precedenza essendo più grossi.

A metà circa della tratta in ferry da Kilboghamn a Jektvik, si supera il Circolo Polare Artico, con tanto di annuncio da parte del comandante.

Punti più belli: la costiera tra Stokkvagen e Bråtland – il ghiacciaio Svartisen, di un azzurro quasi surreale, sull’Holandsfjord poco dopo Halsa, che si può raggiungere in traghetto da Holand – la spiaggia di Storvik che appare inattesa al termine di una discesa – la baia di Godøy appena prima di Bodø. E ovviamente i panorami dei fiordi visti dai ferry.

Nel frattempo il cielo è diventato nero e il vento è cresciuto di intensità. A Bodø raffiche e nuova bufera di neve, ma questa città non ha attrattive particolari e quindi si può anche rimanere in albergo a riordinare idee, bagagli e appunti del diario.

Le Lofoten    

E’ domenica e ho il ferry delle 13 da Bodø a Moskenes (954 NOK con Torghatten), una delle poche tratte che si possono prenotare.  In mattinata continua  a nevicare, ma ho un po’ di tempo e decido lo stesso di fare un giro per vedere la stazione di Bodø, che è quella più a nord delle ferrovie norvegesi, e la cattedrale dove essendo domenica spero che ci sia una messa. La messa, che comunque sarebbe in rito luterano, purtroppo non c’è ma si sta esibendo il coro locale. Non cantano solo pezzi religiosi, per esempio mentre arrivo stanno intonando “Looking for something” di Era. Mi fermo un po’ ad ascoltarli, anche perché non ho nessuna voglia di tornare fuori nella tormenta. Poi è ora di andare al porto e prendere il traghetto.

La bufera di neve imperversa. Salgo sul ponte auto della motonave Vaeroy tra raffiche di vento e cristalli di ghiaccio che sbattono contro i finestrini, mentre gli addetti al check-in vanno avanti con le operazioni di imbarco come se niente fosse. C’è anche una nebbia fittissima, visibilità 20 metri sì e no. Mentre penso con un po’ di apprensione all’efficienza del radar della nave e mi chiedo se in queste condizioni partono o no, l’altoparlante annuncia di lasciare le auto e recarsi nel ponte superiore, quello dei passeggeri, perché durante le traversate in traghetto è proibito stare in macchina. Quindi tranquillamente e in perfetto orario si parte nella nebbia fitta e col vento che sibila e mulina neve. Tre ore e mezzo di traversata in cui letteralmente non si vede un tubo. Evidentemente ci sono abituati, perché il traghetto fila via liscio e arriva in perfetto orario.

Secondo la Lonely Planet “non dimenticherete mai il momento in cui vedrete le Lofoten all’orizzonte”. L’orizzonte? Le Lofoten per adesso le ho viste solo negli ultimi venti metri della traversata, ombre indistinte nella tormenta. Con fatica riesco a individuare il cartello stradale che indica la direzione per Reine, e grazie a Google Maps a trovare il Lofoten B&B dove ho prenotato.  Le password ricevute dalla signora Kristina per il parcheggio davanti alla Gallery Eva Harr e per la camera funzionano, meno male. Dentro c’è un gruppo di norvegesi sommersi da una montagna di lattine di birra che mi danno il benvenuto e mi invitano al party. Accetto una birra ma dopo mi schiaffo in camera col trolley per i soliti controlli (riscaldamento, wi-fi, bollitore per il caffè). Guardo con desolazione fuori dalla finestra dove la tormenta impazza sempre più fitta. Però controllo meteo-norway, https://www.yr.no/en, e scopro con piacere che per il giorno dopo è previsto sole tutto il giorno.

Infatti al mattino di lunedì sole pieno e allegria nell’animo: finalmente posso vedere le tanto decantate isole Lofoten! La macchina però è sommersa da 30 cm di neve caduti a sera e nella notte, quindi dal parcheggio è impossibile venire fuori. No problem: i solerti norvegesi sono già all’opera con turbine spazzaneve e macchine gratta-ghiaccio. Nel giro di un paio d’ore le strade vengono liberate e, fatta la solita abbondante colazione, si può partire per la visita dell’arcipelago.

Con il sole e il cielo terso le isole si dispiegano in tutta la loro bellezza. Decido di andare prima verso la punta di Moskenesøya, la parte finale dell’arcipelago, verso il borgo che essendo l’ultimo delle Lofoten si chiama  semplicemente Å, come  l’ultima lettera dell’alfabeto norvegese.

Le scogliere sono tappezzate dai  tralicci con i merluzzi appesi a essiccare, sparsi tra rossi rorbuer, le case dei pescatori oggi quasi tutte adibite a alloggio per turisti.  Poca gente in giro, come sempre, per cui anche negli spazi angusti dei villaggi si può girare con tranquillità malgrado gli imponenti mucchi di neve. Mi sono segnato un po’ di punti panoramici: Utsiktspunkt, Reine photo point, Hamnoy Rorbu, Rambergstranda, Torvdalshalsen, Ballstad, Vik beach, Nyvagar. Non tutti sono raggiungibili causa neve, ma poco importa. Dovunque ci si fermi lo spettacolo è assicurato.

Le alte montagne delle isole osservano dall’alto lo scarso movimento di persone lungo le strade in questo periodo. Gli isolani le chiamano Lofotveggen, le “pareti delle Lofoten”. Sono un’immagine di forza e di ghiaccio, come di forza e di ghiaccio è fatta la vita, nel periodo invernale, di quest’angolo di mondo dell’estremo nord. La neve ricopre i campi, le montagne, i battelli da pesca, ma non è un ostacolo. Gironzolando per l’arcipelago sotto il sole non ci si accorge neanche del tempo che passa.

E’ difficile dire quali sono i punti più belli: forse le case di Å  e di Tind, la baia di Reine semighiacciata, i gialli rorbu di Sakrisøy e Hamnøy,  il villaggio di pescatori di Nusfjord, le spiagge di Ramberg e Vik, la chiesetta di Flakstad  interamente costruita con legno proveniente dai fiumi siberiani che sfociano nell’Artico e trasportato fino alle isole Lofoten dalle correnti marine.  Disponendo della macchina, si possono fare tante deviazioni dalla E10, che è la strada principale che attraversa le Lofoten, raggiungendo paesini nascosti sulle isole principali Moskenesøya, Flakstadøya, Vestvågøy e Austvågøya. A Leknes ho deciso di seguire il suggerimento della Lonely Planet e deviare sulla deserta e spettacolare RV 815, lasciando la E6. L’unica limitazione alle deviazioni è l’accumulo di neve che a  volte impedisce di proseguire lungo le stradine poco battute, ma poco male: si torna indietro e se ne sceglie un’altra.

Vista la giornata di sole, verifico l’indice Kp di probabilità dell’aurora boreale, che dà un valore di 5, quindi alto. Allora a mezzanotte fuori in cerca delle luci verdi nel cielo. Come me molta gente per le strade armata di treppiede, ma malgrado il calcolo probabilistico la signora della notte non appare e rimaniamo lì invano col naso all’insù nel gelo dei -10°C per un pezzo, fino a quando il freddo ha il sopravvento e bisogna rientrare.

Il giorno dopo è ancora dedicato alle Lofoten, ma al mattino manco a dirlo nevica. Però con sguardo rassicurante la signora Kristina ci dice “don’t worry, it is a small snow”. Difatti verso le 8 smette di nevicare, e allora via per un altro giro stavolta con la luce rosa del mattino che sale dal mare e rende ancora più suggestive le immagini e le foto. Incrocio anche l’Hurtigruten che sta attraccando a Reine. Le montagne innevate sono uno sfondo perfetto per le foto dei villaggi, delle baie, dei porticcioli con i caratteristici pescherecci a scafo alto. A Ramberg osservo una barca di pescatori che rientra con la vela esposta, e mi rendo conto della puzza di merluzzo che satura l’aria in questi luoghi.

Altre deviazioni, verso Fredvang con i suoi due spettacolari ponti consecutivi, a Nusfjord lungo una stradina dove alle 10 di mattina non si vede ancora la traccia di un pneumatico, a Repp sulla Offersøya.

Nel pomeriggio lascio le Lofoten in direzione di Narvik.

Il merluzzo è come il maiale: non si butta via niente     

Viaggiando alle Lofoten si notano dovunque i tralicci con i merluzzi appesi a essiccare. Infatti la maggior parte del pescato di merluzzi europei proviene da qui. La stagione della pesca, la Lofotfiske,  va proprio da marzo ad aprile, anzi marzo è anche il mese del campionato del mondo di pesca del merluzzo che si svolge proprio a Svolvaer. In questo periodo ogni giorno decine di barche da pesca lasciano Svolvaer e gli altri porti al mattino presto e iniziano a solcare le acque gelide del Mare del Nord alla ricerca dei banchi di merluzzi, con il fondamentale aiuto dell’ecoscandaglio. Dopo qualche miglio di navigazione  vengono calate le grosse reti “Snurrevard”, che si inabissano fino a raggiungere la profondità di duecento-trecento metri. L’equipaggio, che veste le colorate tute Helly Hansen, poco dopo issa a bordo la rete con l’aiuto di un argano. Un braccio meccanico aggancia la rete e la sposta sopra i contenitori scaricando la massa guizzante.

Ogni merluzzo pesa da tre a sei-sette chili, e in un giorno di buone catture le stive dei piccoli pescherecci colorati riescono a contenerne ben otto tonnellate.  Alla sera le circa millesettecento imbarcazioni che si dedicano a questo tipo di pesca nelle Lofoten rientrano nei porti.  Alla fine di ogni stagione, i tremila pescatori di merluzzo norvegesi riescono a strappare alle onde del mare ventimila tonnellate di pescato.

Il merluzzo è un po’ come il maiale: non si butta via niente. I pesci appena pescati e portati nei depositi in riva al mare vengono puliti e le viscere essiccate per farne farina di pesce. Le uova sono salate e disposte in barili di legno e subito spedite alle fabbriche di “Caviar”, il caviale di merluzzo, apprezzato in tutta la Scandinavia e che troverete spesso a colazione. Il fegato dei pesci è messo anch’esso sotto sale e inviato in Svezia, dove ne sono particolarmente ghiotti.

Parte dei fegati sono acquistati da imprese specializzate che li bollono a sei atmosfere per venti minuti e li trasformano nel tremendo “olio di fegato di merluzzo”, che ha turbato i giorni e le notti di tutti quelli che hanno più di cinquant’anni. Con il suo sapore terribile e insieme indimenticabile era la “medicina per diventare forti”. Le madri inseguivano per tutta la casa i ragazzi brandendo il cucchiaio colmo del liquido pestilenziale, per far loro trangugiare quella orribile carica di vitamina D. Forse utilissima, ma in definitiva una vera e propria pozione degna di Lord Voldemort, il mago cattivo nemico di Harry Potter.

Le teste dei pesci vengono private delle lingue, che qui considerano un piatto prelibato. I bambini delle Lofoten, grazie alle loro piccole mani, sono gli addetti a questa operazione: estrarre e tagliare. Le lingue dei merluzzi, carnose e gustosissime, finiranno in tutti i più famosi ristoranti dell’arcipelago, impanate e fritte, un vero boccone da re! Le teste invece vengono essiccate e spedite in Nigeria (!!!), dove serviranno come ingrediente principale per una famosa zuppa locale.

Quello che rimane del merluzzo, cioè due grandi filetti, prende due strade: spinato, spazzolato, lavato, messo sotto sale per un mese e poi essiccato al vento diventerà baccalà. Invece i filetti legati a due a due per la coda e appesi su grandi rastrelliere di legno, le hesje, rimangono a essiccare al vento secco e gelido per due, tre mesi. Così il merluzzo diverrà lo stoccafisso, classificato a seconda del peso, grandezza, consistenza, essiccamento e disidratazione, in ben diciotto qualità.

Quando il sole tramonta alle Lofoten, il mare è vuoto, senza barche, senza un suono. Una completa solitudine, tipica di queste estreme latitudini. Solamente le rastrelliere piene di pesci fanno da cornice al sole che si spegne. Per un beffardo destino i merluzzi stanno appesi a essiccare di fronte alle onde, mossi dolcemente dal vento, a due passi dal mare che li ha cresciuti.

Narvik     

Sulla strada verso nord molti cartelli ricordano i luoghi della battaglia di Narvik, combattuta tra aprile e giugno 1940 nei dintorni della città norvegese, che vide contrapposti un contingente di truppe tedesche al comando del  il generale Eduard Dietl, che si era impossessato della città con un attacco a sorpresa, e una forza Alleata composta da reparti norvegesi, britannici, francesi e polacchi. La battaglia, uno dei maggiori scontri della campagna di Norvegia della seconda guerra mondiale, si concluse con la ritirata delle truppe Alleate, che pure erano riuscite a riprendere la città ai tedeschi.

La città si trova sul Rombaksfjord e ha un porto importante che grazie alla corrente del Golfo è libero dai ghiacci tutto l’anno e quindi funziona come porto alternativo invernale per l’esportazione del ferro proveniente dalle miniere svedesi di Kiruna, quando invece i porti del golfo di Botnia sono impraticabili perché il mare ghiaccia. La città non è particolarmente interessante, ma mi colpiscono subito le piste da sci illuminate, che rimangono aperte fino alle 23, e arrivano proprio davanti all’albergo, praticamente in centro città. La stazione del treno è vicinissima: come rinunciare a un viaggio sull’Arctic Train, il treno più a nord d’Europa? Biglietto A/R Narvik-Abisko-Kiruna (in Svezia) comprato su internet per 450 NOK, in una giornata di nevischio quindi il viaggio in treno ci sta bene. La ferrovia collega Narvik a Lulea in Svezia o anche fino a Stoccolma (un treno al giorno), collegandosi a Kiruna con un ramo che raggiunge le miniere di ferro. Lungo il percorso si incrociano spesso gli interminabili treni che su centinaia di vagoncini a bascula trasportano il minerale ferroso fino agli altoforni per l’estrazione del metallo.

Dedico una mattina alla visita del Polar Zoo di Bardu, 50 km a est di Narvik.  Sulla strada verso lo zoo  incrocio una lunga colonna di cingolati e carri militari con i cannoncini bene in vista che si stanno dirigendo a nord lungo la E6. L’esercitazione è segnalata da numerosi cartelli lungo la strada. Evidentemente anche qui sono all’erta in previsione di un eventuale coinvolgimento della Norvegia nel conflitto russo-ucraino. Devo dire che stare in coda con un  cingolato davanti e un carro armato dietro è abbastanza inquietante, poi a un certo punto due soldatesse scendono da un carro e fanno passare noi automobilisti a lato della colonna.

Il Polar Zoo è un interessantissimo giardino zoologico e faunistico istituito nel comune di Bardu. Ingresso 315 NOK. Nei recinti si può vedere da vicino praticamente tutta la fauna artica: alci, cervi, lupi, orsi, volpi, linci, renne e buoi muschiati. Non perdetelo se siete in viaggio da queste parti.

 

Senja      

A Senja siamo nel Finnmark, la regione più a nord della Norvegia. Secondo molti questa è l’isola più bella della Norvegia, benchè poco conosciuta dai turisti che preferiscono le vicine Lofoten. In effetti è un piccolo ecomondo in cui la natura si sviluppa incontaminata tra spettacolari fiordi, ripide montagne, villaggi sonnolenti e le acque cristalline del Mare del Nord.

La magnifica costa nord dell’isola è percorsa dalla Strada Turistica Nazionale di Senja (la 86/862), lunga circa 150 km da Finnsnes, che si snoda su e giù per le montagne fino a Torsken, dove avevo il B&B, e a Gryllefjord dove d’estate arrivano i ferry da Andøya, con deviazioni verso Husøy, Mefjordvӕr e Bøvӕr.

Il tempo purtroppo qui non è stato buono: tanta neve e poco sole. Tra l’altro, il tempo cambiava in continuazione  passando da un fiordo all’altro: tempesta di neve da un parte, poi una galleria sotto la montagna, sole dall’altra parte, e via di seguito.

Strade strette e con molta neve, e per di più oltre ai camion qui bisogna fare attenzione anche alle renne che sbucano all’improvviso attraversando la strada.

I punti panoramici principali sono Bergsbotn e Tungeneset. Il paesaggio che si ammira lungo il percorso per arrivare a Bergsbotn lascia senza fiato, ma il clou è il punto panoramico. Arrivare fino in fondo alla piazzola, dove c’è il parapetto di osservazione, è stata un’impresa a causa della neve caduta durante il giorno e penso anche nei giorni precedenti, ma la vista che si ha dalla piattaforma panoramica lunga 44 metri che permette di ammirare il Bergsfjord in tutta la sua grandezza e bellezza è qualcosa che è difficile descrivere a parole. La strada continua, a tratti sempre più stretta e tortuosa, tra paesaggi sempre più belli, villaggi di pescatori che ricordano le vicine Lofoten e casette colorate poste ai piedi di montagne altissime e nei posti più impensabili, fino ad arrivare alla seconda piattaforma panoramica.

Tungeneset si trova sulla punta del promontorio che separa lo Steinsfjord dallo Ersfjord. Qui è stata costruita una passerella in legno che permette di passare tra le rocce e raggiungere il mare, da dove si ha una splendida vista sulle Okshornan Mountains, anche conosciute come i ‘Denti del Diavolo’, e sul bellissimo ghiacciaio che ne ricopre una parte.

Questi sono i due punti panoramici “codificati” lungo il percorso, ma grazie a qualche spiraglio di sole riesco a scoprirne altri meravigliosi: la baia di Hopen – la spiaggia di Eidfjord – il porticciolo di Husøy, piccolo borgo posto su un’isola collegata alla terraferma da un ponte di 300 metri e circondato da montagne altissime. L’isola è lunga 1 km e larga 500 metri.  Le foto più belle di Husøy si fanno dall’alto della strada che scende verso le acque verdi del bellissimo Øyfjorden.   Il villaggio è disposto attorno agli stabilimenti per la lavorazione del merluzzo, di cui ci si accorge subito per via dell’olezzo che pervade l’aria, ma malgrado questo dovendo scegliere un luogo simbolo di questo viaggio, opterei proprio per questo borgo di 250 anime che è un po’ l’essenza della Norvegia del Nord: montagne innevate, allevamenti di merluzzi, porticciolo e pescherecci, case colorate e un’isoletta. E poi qui nelle case dei pescatori ci abitano i pescatori, non le affittano ai turisti.

Tromsø e l’aurora boreale     

Ultima meta del viaggio: Tromsø, la città più grande della Norvegia del Nord, conosciuta come capitale dell’Artico e Parigi del Nord. Il centro cittadino è situato sull’isola Tromsøya, collegato dal ponte Bruvedenbrua che sormonta lo stretto di Tromsøysundet, alla valle Tromsdalen a est sulla terraferma e a ovest all’isola Kvaløya (isola delle balene),

Tromsø ha un centro storico carino in cui passeggiare, facendo grande attenzione ai marciapiedi ghiacciati,  dove si ammirano edifici in stile neoclassico che si fondono con quelli in legno tipici norvegesi. La Cattedrale Artica (Ishavskatedralen), costruita nel 1965, è l’edificio simbolo della città e spicca proprio in fondo al Bruvedenbrua grazie alla sua particolare struttura ispirata al paesaggio del Finnmark, che ricorda vagamente la punta di un iceberg o una tenda Sami. Dentro ha enormi e magnifiche vetrate colorate.  In centro città c’è anche la cattedrale protestante più a Nord del Mondo, la Tromsø domkirke, l’unica cattedrale in Norvegia ad essere stata costruita interamente in legno. Anche qui esercitazioni militari: nel porto accanto ai pescherecci e alle imbarcazioni da diporto sono ormeggiate le navi da guerra della Marina Norvegese.

Due escursioni qui: una al villaggio sami di Tønsvik, dove a parte qualche amenità per turisti giapponesi come dare da mangiare alle renne e fare un giro sulla slitta trainata da renne, si fa conoscenza con la storia e la cultura sami, che è la parte senz’altro più interessante del tour. Ottimo anche il pranzo con spezzatino di renna e patate.

Ma manca ancora l’aurora boreale. La giornata non è stata eccezionale come soleggiamento. Mi dicono che l’indice Kp è 3.5 e poi siamo già a inizio aprile, quindi proprio ai limiti per potere osservare questo fenomeno, ma alle 20 si parte lo stesso. Organizzazione https://northernshotstours.com/ , che fornisce tuta termica e assistenza fotografica. Dello staff fa parte anche una ragazza italiana, Giulia, che è qui per il corso magistrale in scienze fisiche e ambiente e mi dice di non preoccuparmi per le nuvole in cielo che l’aurora la troviamo. Il minibus si dirige verso la Finlandia, sulla E8 che è detta proprio la Northern Lights Road.  Dopo almeno 150 kilometri con autista e guida che confabulano in continuazione,  finalmente in mezzo alle montagne ecco la dama della notte apparire davanti agli occhi ondeggiando tra le vette innevate.

Ben presto il cielo si riempie di luci fluttuanti verde smeraldo che assumono forme di nastri, di spirali, di archi, di corone. Uno spettacolo emozionante, che rivedo dopo una precedente esperienza in Islanda. Incuranti del gelo, scattiamo tantissime foto, grazie anche a un 50 mm fisso e al treppiede prestatomi dall’organizzazione, poi bisogna rientrare perché il freddo è pungente (-10 °C circa) e i piedi stanno congelando, immersi nella neve fresca in cui si sprofonda facilmente. Per fortuna sul bus ci danno una bevanda calda al cioccolato e dei biscotti, poi con gli occhi e la mente pieni di immagini indimenticabili bisogna tornare a Tromsø.

Il viaggio finisce qui. Domani si torna in Italia.

Informazioni pratiche

Il tempo, sole e neve: nelle foto sui dépliant delle agenzie di viaggio c’è sempre il sole, ma la realtà non è mica così idilliaca. In questo periodo la nevicata fitta, o addirittura la tormenta, sono sempre in agguato, con probabilità che aumenta mano a mano che si va più a nord. Il rumore degli spazzaneve e delle macchine provviste di un disco dentato per grattare la crosta di ghiaccio spesso mi ha svegliato al mattino. Meteo Norway è utilissimo per pianificare le attività in funzione delle precipitazioni. Però non ho mai trovato una bufera che durasse due giorni consecutivi, anzi le giornate più limpide e soleggiate sono state proprio quelle dei giorni successivi alle nevicate.

Il problema della neve è un altro, e cioè che ne cade tanta, troppa. La neve occupa spazio, riduce la larghezza delle strade che in molte zone sono già strette di loro, rendendo difficile la guida e problematici gli incroci con i mezzi pesanti, nasconde i parcheggi e soprattutto di notte ghiaccia.  E occhio che sul ghiaccio si scivola! Temperature generalmente decenti o persino gradevoli durante il giorno, dai 9-10 °C di Bergen ai 2-3 °C di Tromsø, ma minime di -15 °C una mattina a Mo I Rana e -12 °C sempre al mattino a Mosjoen. Inoltre, la neve purtroppo non sempre viene spalata dai sentieri che portano ai viewpoints. Vedi per esempio il sentiero verso la Voringsfossen, impraticabile, e le piattaforme panoramiche di Bergsbotn e Tungeneset a Senja, percorribili solo affondando in mezzo metro di neve fresca. A proposito, giacca a vento e un paio di pantaloni termici sono indispensabili, almeno in questo periodo. Poi da aprile mi hanno detto che il tempo migliora decisamente.

Hotel e pernottamenti: questa voce incide parecchio sul costo del viaggio. Costo medio di un hotel: 1200 NOK, di un bed&breakfast 850 NOK. Chi vuole dormire in un rorbu alle Lofoten deve mettere in conto anche 1400-1500 NOK per notte, perché questi sono mediamente più cari. Notare che siamo in bassa stagione. Con un programma di viaggio come quello che ho fatto, quasi tutte le prenotazioni erano day-by-day, con precedenza a quelli che permettevano l’opzione di cancellazione last minute. Dove c’erano, ho scelto gli hotel della catena Scandic, che sono tutti posti in posizioni panoramiche (eccezionale quello di Molde) e soprattutto servono una colazione abbondantissima (vedi dopo).

Ristoranti: mangiare al ristorante in Norvegia è caro (attorno alle 500 NOK per un piatto principale, più un’insalata e la birra). Allora un consiglio: scegliete un albergo che offra la colazione inclusa e abbuffatevi al mattino. Le colazioni in Norvegia comprendono di tutto: salame e prosciutto – formaggi – salmone affumicato, marinato e caviale di salmone –  uova e prosciutto o bacon – frutta e verdura – marmellate varie – croissant e torte – spremute, succhi di frutta, caffè e thè. Per cui, colazione ipercalorica, piccolo furto di croissant, banane e prugne per il sostentamento durante il giorno e poi qualcosa alla sera. A Bergen, Trondheim e Bodø ho trovato i Subway, che ho imparato a conoscere negli USA, dove puoi farti un panino footlong mettendoci dentro quello che vuoi, per un costo di 150 NOK compresa l’acqua o la bibita. Altra ottima soluzione sono gli shop delle stazioni di servizio lungo la strada, che hanno la griglia sempre accesa e preparano hot dogs o hamburger giganteschi, con anche insalate preconfezionate se uno vuole, per 150-200 NOK.  Ma qualche cena al ristorante ogni tanto ci vuole, e questi tre valgono davvero il prezzo che si paga: da Tino’s a Namsos, gestione napoletana, pareti affrescate con immagini di Ravello e Pozzuoli, dove puoi mangiare una carbonara o un’arrabbiata ottima, oppure la pizza verace ….per 300 NOK, sigh…, mentre con salmone e fritto misto te la caveresti con solo 200 NOK – Restaurant No 3 a Mo I Rana, dove la specialità è l’eccellente halibut di Lurøy, oppure da dividere in 2 la cataplana di bacalao tipo quella che mangeresti a Lisbona. Si trova proprio davanti al caratteristico hotel Ole Tobias,  arredato come se fosse un vagone del treno, con sedili, portapacchi, cappelli e mantelli d’epoca  e persino i finestrini provenienti da vecchie carrozze delle ferrovie norvegesi –  ristorante Egon a Tromsø , che fa parte di una catena presente anche in altre città, ma questo serve in filetto buonissimo in un’atmosfera calda e accogliente, e oltretutto ha la birra alla spina più buona tra tutte quelle che ho provato in Norvegia. Se poi vi volete svenare, provate i ristoranti Fjellskål della Torget di Bergen. Qui per 500 NOK mi hanno dato una platessa con tre fagiolini e due patate al forno…

Strade, ponti, traghetti e pedaggi autostradali: malgrado le neve e il ghiaccio le strade sono tenute in perfetta efficienza durante tutto l’inverno. I pneumatici chiodati delle auto garantiscono una tenuta di strada eccezionale, al punto che si va a 80 all’ora (limite massimo consentito) anche in tratti di ghiaccio vivo. Viaggiare on the road in Norvegia vuol dire imbattersi spesso in traghetti, ponti e tratti autostradali a pedaggio. Sul momento non ti fanno pagare niente. Quando prendi il ferry, un addetto fotografa le targhe dei veicoli che imbarca, pulendole prima se sono illeggibili. Sulle strade a pagamento, le fotocellule captano automaticamente un codice elettronico presente su tutti i veicoli registrati in Norvegia. Si chiama AutoPASS, è di proprietà della Statens Vegvesen (l’Amministrazione delle Strade Pubbliche Norvegesi), una specie di telepass insomma. Alla fine del viaggio l’agenzia di noleggio riceve la fattura cumulativa (ferry + strade/ponti), il cui importo viene automaticamente trattenuto dalla carta di credito e te la inviano per mail.

Aperti e chiusi: la stagione turistica norvegese è concentrata tra maggio e settembre. Questo vuol dire che negli altri periodi dell’anno molte cose e luoghi da vedere sono chiusi, o semplicemente non sono raggiungibili a causa della neve o del ghiaccio non spalati, oppure fanno orari ridotti e magari al sabato e alla domenica rimangono chiuse. Bisogna sempre guardare prima la Lonely Planet e controllare che l’attrazione che si vuole vedere sia aperta. Il problema si è presentato soprattutto a Senja, dove le piazzole turistiche erano sommerse dalla neve e il Museo dell’Halibut di Skrolsvik, che mi incuriosiva, era chiuso. Alle Lofoten, chiusi perché impraticabili i sentieri che salgono sulle montagne verso i punti panoramici come il famoso Ringebringen, ma pazienza, sono stupende anche viste dal basso.

I norvegesi: i norvegesi li vedi solo nelle città, e noti subito che hanno un gran desiderio di vivere all’aria aperta quando il tempo glielo consente. Fanno jogging e girano in bicicletta sotto la neve fregandosene del freddo e del ghiaccio che sbatte sulla faccia. Oppure tirano fuori gli sci e vanno a fare fondo, talvolta anche lungo le autostrade, oppure discesa perché spesso la pista da sci ce l’hanno appena fuori di casa, magari illuminata fino a mezzanotte. Appena esce un po’ di sole si sparpagliano per le strade e riempiono i tavolini all’aperto dei bar per un bel succo di mela (che dal colore inizialmente pensavo fosse birra) o un caffè tipo long drink come quello americano. Fuori dalle città invece vedere un norvegese è un’impresa. Ma dalle luci che filtrano dietro le tendine di pizzo delle finestre si capisce che ci sono e che evidentemente preferiscono la privacy casalinga.  I norvegesi on the road invece sanno che guidare sul ghiaccio e nella neve è difficile, per cui sono sempre pronti a aiutare l’automobilista in difficoltà. Sul rettilineo tra Ramberg e Flakstad, nelle Lofoten, sono uscito di strada durante una bufera di neve. Disperati tentativi di ritornare sulla carreggiata, col solo risultato di affondare sempre di più nella neve fresca. Bene, tutte, ma proprio tutte le macchine che mi sono passate accanto si sono fermate chiedendomi se avevo bisogno di aiuto. Due signore mi hanno dato il caffè caldo del loro termos. Un ragazzo ha chiamato un amico dicendomi “lui ha il cavo”. Nel giro di 20 minuti mi hanno tirato fuori la macchina dalla buca. Tutto questo alla temperatura di -2 °C mentre il vento sbatteva in faccia  folate di neve e cristalli di ghiaccio.

Conclusione

km percorsi: 2900

regioni attraversate: 7 (Vestland, Møre og Romsdal, Viken, Innlandet, Trøndelag, Nordland, Finnmark)

ferry: una ventina. Panorama migliore: dal ferry Skarberget-Bognes

fiordi: una ventina o forse più. Spesso non capisci se stai costeggiando l’oceano o un fiordo. I più belli: Geirangerfjord e Leirfjord

ponti: anche questi almeno una ventina. Opere di ingegneria eccezionali e spettacolari, spesso costruiti in luoghi stupendi, molti non hanno niente da invidiare al Golden Gate californiano

bufere di neve: tre

giornate di sole o comunque senza precipitazioni: circa il 60%

affondamenti nella neve fresca: uno

temperatura massima: 10 °C a Bergen. Minima -15°C a Mo I Rana.

Un viaggio bellissimo, di quelli che ti rimangono dentro per un bel po’.

Grazie per essere arrivati fin qui.

Luigi

luigi.balzarini@studio-ellebi.com

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In Ontario tra laghi, foreste, cascate e … zanzare!

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Premessa doverosa: a febbraio 2020 avevo quasi terminato di scrivere questo diario. Ma poi ci sono stati Codogno, il Covid e il lockdown e l’ultima cosa di cui avevo voglia, in quel periodo, era ripensare ai viaggi fatti. Così questo diario è rimasto lì, incompleto, per più di due anni… Ora però ho deciso di terminarlo, perché un viaggio così bello merita di essere condiviso.

Gennaio 2019: l’idea originaria era quella di fare, in concomitanza con il mio compleanno, quindi a febbraio, un viaggio in qualche meta esotica e tropicale. E da qui… ci siamo ritrovati a giugno in Canada! Le Maldive possono attendere…

VOLO

L’idea di un viaggio in Canada mi bazzicava nella testa da anni, in effetti. Quindi un volo per Toronto a 427 euro a testa A/R non poteva che tentarmi. Certo, mi attira molto di più la zona ovest (Alberta e British Columbia), ma sin da bambina son stata affascinata dai Grandi Laghi… per non parlare delle Cascate del Niagara! Volo di andata diretto da Milano con Air Canada, che si è rivelata essere una ottima compagnia: aereo nuovo, monitor touchscreen, buona programmazione di intrattenimento e, grande cosa, i finestrini che si sono oscurati durante il volo (abbiamo viaggiato di giorno come fosse notte); al ritorno abbiamo volato invece con Brussel Airlines (ma con aeromobile Eurowings), che è stata meno confortevole (soprattutto non c’era neanche un film in Italiano), con scalo di circa 4 ore a Bruxelles.

Ovviamente i costi dei voli variavano tantissimo a seconda dei giorni di partenza e ritorno; noi alla fine siamo riusciti a scegliere l’accoppiata con la spesa minore, facendola quadrare col numero di giorni che avremmo voluto passare via.

ALLOGGI

Poiché immaginavamo che saremmo arrivati abbastanza stanchi dopo il lungo viaggio, per la prima notte abbiamo scelto un hotel non lontano dall’aeroporto, il Monte Carlo Inn a Brampton, a 10 minuti circa dall’aeroporto di Toronto. Una struttura semplice ma pulita, lungo la statale: non certo l’ideale per farci una intera vacanza, ma come tappa per una notte ottima scelta, anche perché c’è la possibilità di cenare nel ristorante al piano terra. Costo per una notte 84 euro circa.

Il nostro mini-tour prevedeva poi uno spostamento verso nord, per visitare la regione dei Muskoka Lakes e soprattutto l’Algonquin National Park: abbiamo quindi pernottato 4 notti nella graziosa cittadina di Huntsville, prenotando un appartamento tramite Airbnb. Un po’ come negli Stati Uniti, anche in Canada il prezzo degli alloggi è abbastanza elevato, perciò abbiamo dovuto esaminare un po’ di posti prima di trovare una soluzione che fosse graziosa, ma al tempo stesso economica. La casa di Laura, dove abbiamo soggiornato, per circa 256 euro per 4 giorni, si è rivelata un gioiellino: classica casa del nord America in legno, la nostra host abitava al piano terra e il nostro appartamento, indipendente, si trovava al piano superiore.

L’interno era arredato con cura dei particolari e dotato di ogni comfort (c’era anche l’asciugatrice). Unica pecca: ci dava l’idea che gli infissi non fossero proprio robusti, quindi credo che d’inverno possa fare molto freddo (soprattutto considerate le temperature negative che si possono raggiungere da quelle parti) … ma noi ci siamo stati a giugno, quindi nessun problema!

Il seguito del tour prevedeva qualche giorno nella Bruce Peninsula sul lago Huron, di cui avevo visto delle foto e di cui mi ero letteralmente innamorata: sempre tramite Airbnb abbiamo prenotato un appartamento a Wiarton, cittadina un po’ anonima all’imbocco della Bruce Peninsula, per poco meno di 290 euro per 4 notti. Stavolta la casa era decisamente meno bella della precedente, grande e pulita ma con mobilio un po’ arrabattato; ci siamo comunque stati bene. I nostri host avevano un negozio di dolciumi esattamente sotto al nostro appartamento. Sicuramente lungo la Bruce Peninsula, soprattutto a Tobermory, avremmo trovato alloggi più affascinanti, ma i prezzi che abbiamo visto erano davvero alti!

Infine il nostro viaggio si sarebbe concluso a Niagara Falls, dove abbiamo prenotato 2 notti al Blue Moon Motel per 144 euro circa. L’alloggio, classico motel americano, che fa molto “viaggio on the road”, si trovava lungo la Lundy’s Lane, uno degli stradoni principali che conduce direttamente al centro di Niagara Falls. L’alloggio era più che dignitoso, anche abbastanza grande avendo scelto uno di quelli con cucina; la colazione era compresa nel prezzo e, volendo, c’era anche una piscina. Buona scelta se non si hanno troppe pretese e si vuole soggiornare a Niagara Falls senza spendere un capitale.

Il nostro tour inizialmente era stato pensato al contrario, il che però avrebbe comportato di passare a Niagara il venerdì e il sabato sera e i prezzi nel week-end risultavano decisamente più elevati. Per questo abbiamo invertito l’ordine.

Ovviamente c’erano tanti altri posti che avremmo voluto visitare, ma come sempre è stato necessario fare delle scelte e rinunciare a qualcosa, soprattutto considerando che avevamo solo 11 giorni a disposizione e che avremmo voluto anche prenderci i nostri tempi per qualche escursione a piedi.

MEZZI DI TRASPORTO

Auto noleggiata con Avis al costo di 333 euro per 11 giorni. Tutto sommato una cifra buona, avendo anche scelto il modello medio e non quello più piccolo, per non avere problemi di spazio coi bagagli; ci è stata data una Golf. In Ontario non è necessaria la patente internazionale. La benzina era, a differenza di tante altre cose, decisamente molto più economica che da noi (circa 1.2 dollari canadesi al litro) il che in un viaggio che prevede migliaia di chilometri in auto (noi alla fine ne abbiamo fatti circa 2400…) non è male.

L’autostrada nei pressi di Toronto è, come si può facilmente immaginare, molto trafficata; altrove abbiamo trovato autostrade semi-deserte. Nelle zone a rischio attraversamento alci i limiti di velocità sono comprensibilmente piuttosto bassi.

L’autostrada è gratuita tranne una tratta nei pressi di Toronto, che abbiamo evitato.

PROCEDURE PER IL CANADA

Come per gli USA, anche per recarsi in Canada occorre compilare una autorizzazione di viaggio online, l’ETA (https://www.canada.ca/en/immigration-refugees-citizenship/services/visit-canada/eta.html). Il costo è abbastanza irrisorio (7 dollari canadesi) e vale per 5 anni o fino alla scadenza del passaporto se questa avviene prima dei 5 anni.

L’assicurazione sanitaria è caldamente consigliata (lo era prima, adesso ancora di più).

L’ONTARIO

L’Ontario è una delle regioni orientali del Canada. Parliamo in ogni caso di una zona immensa, quindi pensare di visitarlo tutto in 10 giorni è praticamente impossibile, a meno di non passare tutto il tempo in auto. A noi piace goderci i posti, fare camminate, quindi abbiamo dovuto fare una drastica cernita delle mete. Abbiamo escluso da subito le grandi città, essendo più interessati alla natura. Il paesaggio varia molto da zona a zona, ma foreste e laghi (grandi o piccoli che siano) la fanno da padroni. A giugno abbiamo trovato clima ottimo (paragonabile alla nostra tarda primavera direi, con qualche giornata decisamente più estiva) e anche del tempo trovato, in fin dei conti, non possiamo lamentarci; ben diverse sono ovviamente le temperature nei mesi invernali. I prezzi sono abbastanza alti rispetto ai nostri standard, ma tutto sommato accettabili.

14 GIUGNO: PARTENZA

Partiti da Malpensa poco prima delle 14, il viaggio è stato, come già anticipato, confortevole, nonostante le quasi 9 ore di volo. Arrivati all’aeroporto di Toronto, prima del recupero bagagli e del ritiro auto ci sono ovviamente toccati i controlli dell’immigrazione, che rispetto a quelli statunitensi ci sono sembrati più veloci.

Fortunatamente il nostro hotel per la prima notte si trovava a soli 10 minuti di auto: la scelta si era rivelata decisamente saggia, la stanchezza si faceva sentire perché, sebbene a Toronto fosse tardo pomeriggio, per noi era già come se fosse mezzanotte.

Abbiamo mangiato qualcosa di veloce nel ristorante dell’hotel e poi subito a letto. Il ristorante in questione si chiama La Pergola e offriva un mix di cucina italiana, greca, messicana, canadese e indiana: nulla di eccelso, ma quella sera mangiare bene non era la nostra priorità.

A proposito di Indiani (d’India, non d’America): già in aeroporto ne avevamo notati molti, tra gli addetti aeroportuali. E anche nell’hotel i dipendenti erano quasi tutti di origine indiana. Sapevamo che il Canada, ed in particolare Toronto, è molto multietnico, ma non ci aspettavamo tanti Indiani, molti con il classico copricapo Sikh.

15 GIUGNO: TRASFERIMENTO AD HUNTSVILLE E DINTORNI

Dopo una bella dormita si stava decisamente meglio! Ora potevamo davvero partire alla scoperta dell’Ontario. Dopo la colazione, tenutasi nello stesso locale dove avevamo cenato la sera precedente, siamo partiti destinazione Huntsville. La distanza era di più di 200 km e la strada abbastanza monotona: dapprima, dopo aver costeggiato Toronto, prati e fattorie, poi foreste; il tempo, man mano che salivamo verso nord, è andato peggiorando e ben presto ha iniziato a piovere, con temperatura anche in deciso calo. Per fortuna già sapevo che dalla sera il tempo sarebbe migliorato e che i giorni seguenti sarebbero stati abbastanza belli.

Dopo aver conosciuto la nostra host (nei giorni seguenti avremmo conosciuto anche i suoi splendidi gatti) ci siamo sistemati nella casa che, come già anticipato, era davvero carina: proprio la “casetta in Canada”!

Nonostante il tempaccio continuasse, avendo ancora tutto il pomeriggio a disposizione abbiamo deciso di farci un giro e abbiamo raggiunto Bracebridge, ad una mezz’oretta scarsa di strada. Poco più a nord della cittadina è possibile ammirare una piccola cascata sul fiume Muskoka: nulla di che, magari con il sole avrebbe reso di più.

Tornando verso Huntsville ha finalmente smesso di piovere ed è uscito anche qualche raggio di sole: ne abbiamo approfittato per fare due passi lungo la baia sul fiume della città. Effettivamente bastava un po’ di luce per rendere tutto già più affascinante.

16 GIUGNO: MUSKOKA LAKES, GEORGIAN BAY E KILLBEAR PROVINCIAL PARK

Abbiamo deciso di dedicare il primo vero giorno di vacanza alla scoperta della regione dei Muskoka Lakes e della Georgian Bay. Con Muskoka Lakes si intende una regione dell’Ontario costellata da laghi, laghetti, stagni, paludi: specchi d’acqua insomma; sono tantissimi, migliaia.

Sì, è vero, dopo un po’, tra laghetti e foreste, il paesaggio è forse un po’ monotono e ripetitivo, ma vi assicuro che la voglia di scattare foto ad ogni scorcio resta, soprattutto con la luce giusta.

La zona, poco frequentata dal turismo straniero, è invece meta delle gite fuori porta dei Canadesi e, essendo domenica, tantissime erano le auto che viaggiavano con la canoa caricata sopra.

Tra un laghetto e l’altro siamo poi arrivati a Parry Sound, graziosa cittadina che si affaccia sulla Georgian Bay. La Georgian Bay altro non è che una baia del Lago Huron, uno dei Grandi Laghi; ma è talmente estesa (15000 kmq… per intenderci, il nostro “grande” lago di Garda non arriva neanche a 400!) che spesso viene considerata un lago a sé. Dopo una passeggiata sul lungo lago, non essendoci molto da fare ci siamo spostati verso il Killbear Provincial Park, un parco provinciale all’interno del quale è possibile fare escursioni a piedi o in bici, campeggiare e visitare il centro visitatori; come il nome stesso fa intendere, nel parco è possibile avvistare gli orsi, quindi sul giornale del parco vengono anche fornite informazioni su come comportarsi in caso di incontri ravvicinati con essi (la cosa inizialmente un po’ mi inquietava… ma vi spoilero che non abbiamo visto orsi durante tutta la vacanza).

Abbiamo poi fatto un altro breve trail sulle coste della Georgian Bay, scoprendo da alcuni pannelli che, oltre che agli orsi, bisognava stare attenti ad una specie di serpente a sonagli, il massassauga, diffuso nella zona e particolarmente pericoloso. Molto bene!

17 GIUGNO: ALGONQUIN PROVINCIAL PARK

Meteorologicamente parlando la giornata si presentava splendida: e per fortuna, visto che avevamo in programma di andare all’Algonquin! L’Algonquin Provincial Park è uno dei parchi più importanti dell’Ontario, anche se spesso anch’esso tralasciato dai turisti stranieri, forse per la posizione defilata rispetto ad altre mete più gettonate. Esso prende il nome dagli Algonchini, i nativi americani che abitavano quelle zone. E’ una distesa di foreste di aceri e abeti, intervallate dagli immancabili laghetti. Dalle foto devo dire che credo dia il massimo della sua bellezza in autunno con il foliage.

L’Algonquin è molto esteso, ma solo una piccolissima parte è visitabile ai comuni mortali; buona parte del parco, difatti, è raggiungibile solo con lunghi trekking o in canoa: e già questo lo rende affascinante.

E’attraversato da una sola strada che lo attraversa sulla direttrice est-ovest: quindi due sono le porte d’ingresso ufficiali. Essendo la strada in questione (HWY60) una strada provinciale di normale scorrimento, è possibile attraversare il parco senza pagare, se non ci si ferma; se invece si ha intenzione di andare al centro visitatori, fare escursioni o banalmente fermarsi da qualche parte, allora bisogna comprare il biglietto di ingresso, che costa 18 $ al giorno ad auto; esso si compra alla West Gate o all’Est Gate. Esistono anche biglietti stagionali o annuali, ma non la possibilità di fare più giorni (in tal caso bisogna comprare due biglietti singoli).

A noi ovviamente non bastava attraversare il parco in auto, quindi abbiamo comprato l’ingresso.

Lungo la strada si incrociano diversi punti di partenza di trail più o meno lunghi e più o meno semplici: si va dalla passeggiata di tre quarti d’ora circa all’escursione che implica una notte fuori in tenda (cosa che non avevamo di certo intenzione di fare). Una cosa carina: all’inizio di ogni trail vi è una piccola guida cartacea, con informazioni storiche, naturalistiche e sui punti di interesse che si incontrano; a fine passeggiata, la guida deve essere riposizionata dove era stata presa. Il nostro primo trail è stato uno dei più famosi, il Lookout Trail: si sviluppa quasi tutto nel bosco, un po’ in salita, e conduce ad un punto panoramico dove si osserva a perdita d’occhio l’immensità del parco.

Un po’ di zanzare ci hanno dato il tormento, per fortuna avevamo con noi il repellente. Trail consigliatissimo, sia per la vista sia perché non troppo impegnativo, in tre quarti d’ora si va a si torna.

Dopo una visita al centro visitanti, abbiamo proseguito con una deviazione verso il lago Opeongo, molto amato dai canoisti. Abbiamo fatto diverse soste, sia per scattare foto al paesaggio quasi incantato sia per cercare di avvistare qualche animale (nel parco non mancano orsi, alci, lupi… ma ci siamo dovuti accontentare di un castoro). Purtroppo nelle varie soste siamo stati presi da assalto dai moscerini, una cosa davvero molto fastidiosa tanto, che ad un certo punto ci ha quasi fatto passare la voglia di scendere dall’auto.

Tornando indietro, abbiamo poi deviato verso il Rock Lake, da dove partono altre passeggiate; una l’abbiamo abbandonata quasi subito per il troppo fango, abbiamo quindi deciso di costeggiare semplicemente il lago per un po’. Anche qui però eravamo combattuti tra la bellezza del posto e il fastidio creato dalla presenza dei moscerini.

Nonostante tutto, visto che il parco ci è piaciuto e c’erano ancora tanti trail alla nostra portata, abbiamo deciso di tornarci l’indomani. Ma forse non è stata una scelta saggia…

18 GIUGNO: ALGONQUIN PROVINCIAL PARK

Anche quel giorno la giornata prometteva bene, dal punto di vista meteo. Pagato il biglietto d’ingresso, ci siamo diretti verso il Whiskey Rapids trail. Anche in questo caso si doveva trattare di una passeggiata tranquilla di un’oretta e mezza scarsa: un percorso ad anello che, dopo aver raggiunto il fiume, si sarebbe riaddentrato nel bosco per tornare verso il parcheggio. C’erano le solite zanzare a dar fastidio, ma noi avevamo il repellente. Man mano che ci addentravamo nel bosco, però, le zanzare diventavano sempre di più e l’effetto del repellente sempre più scarso; ci siamo nuovamente spruzzati, ma nulla, eravamo completamente ricoperti di zanzare. Dappertutto, ci entravano anche nelle orecchie, in bocca: non so quante ne ho deglutite! Abbiamo iniziato a camminare spediti, volevamo uscire da quell’inferno, ma il terreno fangoso rallentava la fuga. Quando siamo arrivati alla macchina (in tre quarti d’ora anziché un’ora e mezza!) ci sembrava un miraggio. Eravamo ovviamente pieni di punture, ho soffiato il naso e mi sono uscite due zanzare morte: un’esperienza davvero orribile. Avevamo letto che giugno è il periodo delle zanzare, ma avevamo decisamente sottostimato il problema: “anche a Milano ci sono le zanzare a giugno!” avevamo pensato. Abbiamo comunque capito a cosa serviva la giacchetta con zanzariera incorporata che vendevano in un negozio sul lago Opeongo: avremmo dovuto prenderla, sarebbero stati i 18 $ meglio spesi del viaggio!

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Ovviamente dopo questa esperienza non eravamo più molto tentati dal fare altre escursioni, così ci siamo perlopiù spostati in auto sulle stradine laterali, per raggiungere i vari laghetti sparsi qua e là.

Nel parco ci sono tantissime zone dedicate al campeggio, molto amato dai Canadesi, soprattutto in camper. Certo ci immaginavamo che in quella stagione, con le zanzare, non dovesse proprio essere il massimo (ma effettivamente abbiamo visto campeggiatori organizzatissimi, con la zanzariera che avvolgeva il tavolo da pranzo).

Abbiamo fatto anche una sosta all’Algonquin Art Centre, una piccola galleria d’arte dedicata alla natura canadese.

Ci siamo poi spinti fino all’estremità orientale della HWY60, raggiungendo la Porta Est, dove c’è un altro piccolo centro visitatori; qui è presente anche un altro breve trail (poco meno di 1.5 km), l’Algonquin Logging Museum Trail, dove è possibile conoscere la storia dei taglialegna dell’Algonquin, dal passato ai giorni nostri, osservando anche numerosi reperti. Alla fine malgrado tutto ci siamo fidati a fare questo trail, avendo visto che la situazione zanzare in quell’angolo del parco sembrava meno critica.

Siamo poi tornati verso la porta ovest, non mancando di fare ancora qualche deviazione qua e là per scattare le ultime foto ai laghetti. Sì, il paesaggio alla lunga sarà anche un po’ monotono, ma nello stesso tempo è terribilmente affascinante e non ci si stanca di fotografarlo, soprattutto con la giusta combinazione di luce e nuvole.

Abbiamo così lasciato l’Algonquin, un po’ con il rimpianto di non essercelo goduto come avremmo voluto e di aver fatto poche camminate a causa delle zanzare. Ma è un posto che, sia nel bene che nel male, mi è rimasto nel cuore.

19 GIUGNO: TRASFERIMENTO A WIARTON

Subito dopo colazione abbiamo salutato i micioni della nostra host (lei l’avevamo già salutata la sera prima) e siamo partiti direzione Wiarton. Il tempo non era bellissimo, anzi avvicinandosi a Wiarton il cielo è diventato sempre più grigio, ma essendo giornata dedicata allo spostamento non ci interessava molto. La strada non era poca, circa 270 km, e siamo arrivati a Wiarton verso le 14 (con una pausa pranzo da Boston Pizza, una catena di ristoranti/fast food molto diffusa in Ontario; un’altra catena presente quasi ovunque è Tim Horton, che prende il nome dall’omonimo giocatore di hockey che la fondò).

Wiarton è una piccola cittadina sul lago Huron, abbastanza anonima: come bellezza nulla a che vedere con Huntsville che era decisamente più graziosa. Il cielo grigio di quel giorno, tra l’altro, la rendeva anche un po’ spettrale. Abbiamo passato il pomeriggio passeggiando sul lungo lago, ma anch’esso con quella luce pareva un po’ triste.

Una curiosità: ogni 2 febbraio si tiene a Wiarton un festival durante il quale la marmotta Willie “prevede”, con il suo comportamento, come sarà la successiva primavera. La marmotta Willie originale è deceduta e sul lungo lago c’è una statua a lei dedicata; le marmotte che son venute dopo di lei vengono chiamate Wiarton Willie (la foto è stata scattata qualche giorno dopo, come si può notare dal cielo sereno).

20 GIUGNO: BRUCE PENINSULA (GROTTO)

Per quel giorno avevamo prenotato la visita al Grotto, una zona di scogli e grotte a picco sul lago con l’acqua dai colori meravigliosi. Più che la visita al Grotto, quello che bisogna prenotare, con largo anticipo, è il parcheggio, in quanto i posti sono limitati, quindi bisogna incrociare le dita e sperare nel meteo. Ecco, quel giorno in realtà si presentava grigio e uggioso, non proprio l’ideale per vedere gli splendidi colori del Grotto e del lago Huron. Fortunatamente spostandosi lungo la Bruce Peninsula il tempo andava migliorando: alla fine è rimasto molto nuvoloso tutto il giorno, ma almeno non ha piovuto. Poiché avevamo prenotato lo slot di mezzogiorno, abbiamo occupato la mattina facendo un giro nel Centro Visitatori di Tobermory, da dove partono anche delle brevi passeggiate e dove è anche possibile salire su una torretta di avvistamento. La Bruce Peninsula è occupata in gran parte dall’omonimo parco nazionale, ma oltre ad esso c’è un altro parco: il Fathom Five. Il parco in questione si estende nel lago Huron, contemplando alcune isolette, tra cui la più famosa Flowerpot Island; a Tobermory ci sono diverse agenzie che propongono gite in barca nel Fathom Five e noi ne abbiamo prenotata una per l’indomani (il meteo era molto promettente) a circa 100 $ canadesi: sul momento ci è sembrato molto, ma facendo le debite conversioni si trattava di circa 66 euro in due, quindi più che accettabile.

Ci siamo poi spostati al Cyprus Lake, dove c’era il nostro parcheggio per raggiungere il Grotto. Dal parcheggio partono diversi sentieri, più o meno lunghi e più o meno facili, ma il Grotto è appunto l’attrazione principale.

Peccato che col cielo coperto i colori non fossero come li avevo visti in foto (ma mi sarei rifatta alla grande nei giorni a venire). Il posto è comunque molto bello e vale la pena andarci. Abbiamo poi proseguito facendo un pezzo di sentiero costiero; questo sentiero fa parte del Bruce Trail, un percorso di quasi 900 km (!) che parte dalla regione di Niagara e arriva fino a Tobermory.

21 GIUGNO: FATHOM FIVE NATIONAL MARINE PARK E FLOWERPOT ISLAND

Durante un viaggio c’è quasi sempre una giornata che diventa simbolica, la giornata che da sola “vale il viaggio”. Per me è stata sicuramente questa.

Come già detto, avevamo prenotato la gita in barca nel parco marino e alla Flowerpot Island; che poi chissà perché si chiama parco “marino”, visto che si tratta di un lago. In attesa di imbarcarci abbiamo fatto due passi e visto il traghetto che partiva per la Manitoulin Island… Ah, la Manitoulin. La più grande isola lacustre al mondo. Di tutte le tappe che abbiamo escluso dal nostro percorso, la Manitoulin è stata quella che mi è pesata di più. Essa è raggiungibile o in traghetto da Tobermory (circa 2 ore di navigazione) o con un ponte collegato alla terraferma a nord-est. Chissà, magari un giorno tornerò da quelle parti e ci andrò.

Nonostante la Bruce Peninsula non pulluli di Italiani, sulla nostra barca c’era una famigliola romana e una coppia italo-spagnola.

Il fondo di vetro della barca era un po’ ridicolo, nel senso che solo una minima parte era così, perciò in pochi potevano beneficiarne; ma bastava affacciarsi ai lati della barca per godersi lo spettacolo: le acque del lago Huron sono così trasparenti che i vascelli affondati nel passato si vedevano benissimo.

Dopo essere appunto passati sopra ad un paio di navi affondate (tutte abbastanza vicine alla costa), abbiamo preso velocità in direzione Flowerpot Island.

Sull’isola ci sono due sentieri percorribili partendo dal porticciolo: quello che va verso ovest conduce ad una zona umida con stagni e paludi (lo abbiamo quindi escluso a priori: alla sola parola “stagno” ci riprendevano a prudere le punture di zanzara dei tre giorni prima), l’altro è un anello che costeggia la costa sud-orientale arrivando fino al faro e alla casa del custode (unica abitazione dell’isola), per poi tornare indietro passando all’interno dell’isola. Una curiosità: sull’isola, specie vicino al porticciolo, abbiamo visto un sacco di serpenti (ma non dovrebbero essere velenosi, da quanto ci hanno detto).

La passeggiata lungo la costa è una tranquilla ma bellissima camminata. Ben presto si raggiungono i due roccioni che danno il nome all’isola, in quanto sembrano due vasi di fiori.

Il cielo era sereno, la temperatura ideale, mi trovavo su un isolotto incontaminato di uno dei Grandi Laghi all’interno di un parco nazionale: cosa volere di più?

In poco più di mezz’ora (con varie soste foto) si raggiunge dapprima il faro (facendo una piccola deviazione) e poi la casa-museo del custode, dove è possibile acquistare qualche souvenir un po’ datato e, forse, qualche snack; noi però ci eravamo portati il cibo e abbiamo pranzato svaccati sulle panchine lì fuori.

Anziché continuare l’anello, abbiamo deciso di rifare il percorso al contrario, per passare di nuovo dai “vasi di fiori”. L’azzurro del lago Huron era talmente abbagliante che più che su un lago pareva di essere su un’isola del Mediterraneo.

Siamo tornati a Tobermory davvero soddisfatti: una gita da fare!

Abbiamo poi fatto due passi al porto di Tobermory, dove si concentrano negozietti e ristoranti: l’atmosfera è proprio quella di un porto marino… anzi è decisamente migliore, visto che non c’è la salsedine! Dicono che da lì sia particolarmente bello il tramonto, noi però non lo abbiamo visto (eravamo a quasi un’ora da “casa” e a giugno il sole tramonta pure tardi…).

E visto che non era tardi siamo poi tornati alla torretta di avvistamento vicino al centro visitanti: ci saremmo goduti una vista decisamente migliore del giorno precedente.

Non contenti, sulla strada del ritorno abbiamo preso una deviazione per raggiungere Cabot Head: più in particolare volevamo raggiungere il suo faro, visitabile. La guida precisava che la strada era lunga, tortuosa e con un tratto sterrato ma non ci siamo fatti intimorire. Non ci siamo intimoriti neanche quando abbiamo visto un cartello che diceva che il faro sarebbe stato chiuso per tutta l’estate 2019 per lavori… “Andiamo lo stesso, vorrà dire che lo vedremo solo dall’esterno”. Peccato che, ormai quasi giunti alla meta, abbiamo trovato la strada interrotta! Ma non potevano dircelo prima? Perlomeno ci siamo gustati ancora un po’ i colori del lago Huron, visto che buona parte della strada costeggiava il lago.

22 GIUGNO: SAUBLE FALLS E BRUCE PENINSULA (LION’S HEAD)

Per l’ultimo giorno di soggiorno a Wiarton avevamo in programma una visita a Lion’s Head, un posto di cui avevo visto delle foto fantastiche; però, per non avere la luce in faccia a “rovinare” i colori, abbiamo optato per andarci nel pomeriggio, mentre la mattina abbiamo raggiunto il non lontano Sable Falls Provincial Park, con le sue omonime piccole cascate.

In realtà il parco, come quasi tutti i parchi dell’Ontario che abbiamo visto, ha al suo interno dei campeggi, quindi la maggior parte dei suoi visitatori sono veri e propri villeggianti.

Abbiamo fatto due passi nel parco, tra tende, camper, chi faceva colazione e chi già stava preparando il barbecue. Ai Canadesi piace molto il campeggio, è evidente.

Ci siamo anche spinti ad iniziare un trail, ma man mano che procedevamo eravamo sempre più avvolti da moschini e zanzare e… No, stavolta non ci siamo fatti fregare e siamo tornati indietro.

Prima di tornare verso la Bruce Peninsula, abbiamo fatto una breve deviazione verso Sable Beach, luogo di villeggiatura che con la sua lunga spiaggia sabbiosa sembra davvero una città di mare: noi ci siamo andati più che altro per poter dire di aver visto anche l’altro pezzo del lago Huron, visto che fino ad ora eravamo sempre e solo stati dalla parte della Georgian Bay.

Ci siamo quindi spostati verso Lion’s Head, una graziosa cittadina affacciata sulla Georgian Bay; l’idea in realtà era intraprendere un trail nel Lion’s Head Provincial Park, ma non avevamo ben capito come si raggiungesse né avevamo visto indicazioni. Nel camminare sulla costa per raggiungere il piccolo faro della cittadina, abbiamo trovato un pannello esplicativo del parco e dei sentieri.

Una piccola nota triste: il faro di cui sopra non esiste più, dai social ho appreso che nell’inverno successivo alla nostra visita una tempesta l’ha completamente distrutto.

Tornati alla macchina, abbiamo raggiunto il parco e l’inizio del Lion’s Head Lookout, una passeggiata nella boscaglia fino a raggiungere le rocce a picco sul lago.

Ci sono diversi punti panoramici e tutti meritano: i colori del lago Huron sono fantastici.

Abbiamo anche incrociato un po’ di persone intente a fare free climbing.

Un altro pomeriggio da incorniciare: il lago Huron è un posto magico.

23 GIUGNO: TRASFERIMENTO A NIAGARA FALLS

Anche il soggiorno nella Bruce Peninsula era giunto al termine e due giorni dopo ci attendeva l’aereo per tornare a casa. Ma prima ci aspettava una tappa fondamentale: Niagara Falls. Ammetto che, durante il viaggio da Wiarton a Niagara (circa 300 km) ero abbastanza emozionata: stavo per vedere le cascate del Niagara, tanto sognate da sempre e viste centinaia di volte in fotografia.

La strada è stata abbastanza noiosa, tra prati e cittadine anonime; nel primo pomeriggio siamo arrivati al nostro motel, sulla statale leggermente fuori dal paese. Dopo esserci sistemati, siamo ripartiti direzione cascate.

Di fronte al nostro motel c’era la fermata dell’autobus che conduceva direttamente in paese, ma fatti due conti abbiamo valutato di prendere ugualmente l’auto, sebbene sapessimo che i parcheggi a Niagara Falls erano abbastanza costosi; in realtà il prezzo dei parcheggi dipende molto da quanto ci si avvicina alle cascate, restando un po’ più defilati e facendo poi una passeggiata si riescono a trovare anche parcheggi da 10 $ per tutto il giorno.

E’risaputo che le cascate del Niagara non sono assolutamente tra le più alte del mondo, ma il boato prodotto e la massa d’acqua sono impressionanti.

Complice il fatto che fosse domenica e la bella giornata, c’era tantissima gente: canadesi, europei, arabi, asiatici… Gente da tutto il mondo e vestita nella maniera più disparata, tutti lì col solo pensiero di godersi quello spettacolo (e di farsi qualche decina di selfie…). Questo ricordo, dopo due anni di restrizioni e “distanziamento”, fa ancora più impressione.

La sponda canadese è quella che permette di gustarsi meglio lo spettacolo, avendo di fronte le due cascate statunitensi, più modeste, e potendo andare proprio di fianco alla cascata canadese (che si chiama, per la sua forma, Horseshoe falls). Non pensavo ci si potesse avvicinare così tanto! E quanto si sentono gli schizzi!

La cittadina di Niagara è invece un susseguirsi di negozi di souvenir, locali, casinò, hotel… c’è anche il castello di Dracula! Insomma, più che una città sembra proprio un parco dei divertimenti…

Tantissime poi le attrazioni a sfondo cascate: la barca che ti porta quasi sotto alle cascate, la zip line…

Avremmo sicuramente fatto qualcosa, ma abbiamo deciso di dedicare la giornata successiva, mentre per quel pomeriggio ci siamo limitati a passeggiare vicino alla cascata e lungo il fiume, più un giretto a Table Rock Center, una specie di centro commerciale di fianco alla cascata, con negozi e ristoranti.

Siamo poi tornati al motel, con l’idea di uscire dopo cena: dalla primavera all’autunno, tutte le sere all’imbrunire (quindi ad un orario variabile in base al mese: nel nostro caso alle 22) le cascate si illuminano ed è previsto uno spettacolo pirotecnico. Non potevamo perdercelo!

Siamo tornati a parcheggiare nello stesso posto del pomeriggio: in teoria avremmo dovuto pagare di nuovo, essendocene andati, ma il parcheggiatore ha chiuso un occhio…

Le cascate mutano colore grazie ad un gioco di luci, poi durante i fuochi di artificio quelle canadesi diventano bianche e rosse, quelle statunitensi bianche, rosse e blu: è tutto innegabilmente abbastanza kitsch, ma ha il suo fascino.

Insomma almeno una serata a Niagara Falls è fortemente consigliata.

24 GIUGNO: NIAGARA FALLS E NIAGARA ON-THE-LAKE

Avevamo in programma di dedicare la giornata alle cascate e alle loro attrazioni.

Il tempo non era bellissimo, non pioveva ma era coperto; ciò, unito al fatto che era lunedì mattina, rendeva però la zona delle cascate decisamente più vuota rispetto al giorno precedente.

Per prima cosa abbiamo deciso di prendere il battello che fa il giro nel fiume e porta fin a ridosso delle cascate. Ci sono due compagnie: una sul lato statunitense che si chiama Maid of the Mist Boat Tour, l’altra sul lato canadese chiamata Hornblower Niagara Cruises; sono concettualmente simili, si distinguono solo perché nel lato canadese il poncho fornito in dotazione è rosso, nel lato statunitense è blu.

Il prezzo è di circa 30 $ a testa, tutto sommato neppure un costo esorbitante, e le barche partono quasi a ciclo continuo, quindi anche se c’è coda si smaltisce abbastanza in fretta (ma noi non ne abbiamo praticamente fatta). Inutile dire che, malgrado il poncho, ci siamo presi una lavata colossale!

Esperienza molto turistica, ma da fare assolutamente se si va a Niagara. C’è anche la possibilità di effettuare il tour la sera in corrispondenza del lancio dei fuochi d’artificio, ovviamente ad un prezzo maggiorato.

Dopo aver passeggiato un po’, siamo tornati al Table Rock, dove ci attendeva un’altra esperienza: Journey Behind the Falls. Anche in questo caso il prezzo è assolutamente abbordabile, circa 15 $. Viene fornito il solito poncho (stavolta giallo) si scende di qualche decina di metri sotto terra e ci si ritrova in un tunnel scavato nella roccia dove è possibile leggere alcune informazioni e curiosità riguardanti le cascate. Poi, si arriva esattamente a fianco di esse, prima dall’interno del tunnel e poi uscendo su un terrazzino. Anche in questo caso la doccia è compresa nel prezzo.

Nel frattempo era uscito il sole e faceva anche un po’ caldo: inizialmente, dopo il freddo e l’acqua presi in Journey Behind the Falls, era anche piacevole, ma ben presto, passeggiando su e giù per il lungo fiume (sia prima che dopo le cascate) abbiamo iniziato ad accusare. Curiosità: abbiamo anche visto un serpente in mezzo al paese!

Non c’erano altre attrazioni che eravamo interessati a fare; eravamo stati indecisi o meno se attraversare il ponte per andare sulla sponda statunitense, ma visto che tutti mi avevano detto che quella canadese è la sponda più suggestiva alla fine abbiamo lasciato perdere. Tra l’altro ammetto che, prima di partire, avevo trovato informazioni contrastanti sulla necessità di avere o meno l’ESTA (e alla fine avevamo deciso di non farlo).

Essendo ancora lungo il pomeriggio e facendo sempre più caldo abbiamo deciso di tornare alla macchina e spostarci verso la cittadina di Niagara-On-the-Lake. La strada per arrivare alla macchina, in salita e sotto il sole, ci ha stroncati (prove generali per i 37 °C che ci attendevano, mio malgrado, al ritorno a casa).

Niagara-On-the-Lake dista da Niagara Falls poco più di 20 km; la strada per raggiungerla passa per lo più in zone di campagna, coltivate a vite (è una zona dove si produce vino). La cittadina, che si affaccia sul lago Ontario, alla foce del fiume Niagara e ha edifici in stile vittoriano, è verde e tranquilla, completamente diversa da Niagara Falls.

Nelle vicinanze è possibile visitare il sito della battaglia di Fort George (ci siamo passati accanto ma non ci siamo fermati).

La sera avremmo voluto tornare a vedere i fuochi, ma eravamo un po’ titubanti in quanto erano previsti temporali; alla fine abbiamo deciso di andare lo stesso in paese, ma arrivati nel parcheggio abbiamo notato che verso sud il cielo era decisamente minaccioso e si sentivano anche tuoni in lontananza. Visto che ci eravamo già goduti lo spettacolo pirotecnico la sera prima, ci siamo arresi e siamo tornati a casa… e direi che abbiamo fatto bene, perché alle 22 in punto, orario dei fuochi, è scoppiato un temporale colossale. D’altronde il caldo afoso del pomeriggio lasciava ben intendere…

Niagara Falls è stata ovviamente molto molto diversa dal resto dei posti che abbiamo visitato in Ontario; e nonostante sia una amante di posti naturalisticamente intatti e non esageratamente affollati e turistici, devo dire che mi è piaciuta molto. Certo, è molto kitsch, eccessiva, affollata: ma l’atmosfera cosmopolita e gioiosa… e le cascate, anche se non saranno le più alte del mondo, sono uno spettacolo. Sono stata inoltre contenta di aver lasciato Niagara Falls alla fine del viaggio: è stato un modo per “tornare” nella civiltà dopo giorni a zonzo tra laghi e foreste.

Ormai eravamo davvero giunti al termine…

25-26 GIUGNO: TRASFERIMENTO ALL’AEROPORTO DI TORONTO E RIENTRO

Il volo sarebbe stato nel tardo pomeriggio, alle 18, quindi la mattina avremmo potuto farci un altro giretto, ma alla fine abbiamo deciso di rilassarci un po’ in veranda e di spostarci verso Toronto con un po’ di anticipo (e abbiamo anche fatto bene, visto che l’autostrada, avvicinandosi a Toronto, era molto trafficata, e abbiamo pure sbagliato svincolo ad un certo punto, nonostante il navigatore).

Il volo è stato regolare, ma decisamente meno confortevole di quello dell’andata. Non ho praticamente chiuso occhio e alle 7.30 ora belga eccoci arrivati a Bruxelles… peccato che per noi fosse praticamente la 1 di notte! Tre ore di scalo quasi interminabili (nonostante avessimo dovuto attraversare praticamente tutto l’aeroporto) e poi siamo ripartiti alla volta di Malpensa: il pensiero che mi attendevano più di 35 °C mi faceva guardare con invidia la nebbia e i 18 °C di Bruxelles…. E soprattutto mi faceva pensare a quanto sarebbe stato bello farsi un tuffo nelle fresche acque del lago Huron.

C’è una frase famosa che dice: “Un viaggio lo vivi tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi”. Con l’Ontario per me è stato proprio così: ho iniziato a sognarlo ed immaginarlo nelle serate dell’inverno 2019, mentre leggevo recensioni su Arbnb e cercavo di costruire un itinerario; l’ho vissuto al 100% negli 11 giorni passati lì; scrivendo questo diario ho rivissuto ogni singolo ricordo con gioia e nostalgia… anche a distanza di quasi tre anni (anzi, soprattutto dopo questi ultimi due anni).

Il fascino dell’Algonquin, la magia del lago Huron, il divertimento (un po’ kitsch) delle cascate del Niagara… e le zanzare: quelle, però, non le rimpiangerò mai.

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Botswana into the wild … il ritorno (aprile 2022)

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  1. A) INFORMAZIONI GENERALI:

 

IMPORTANTE: come sempre avviso che l’itinerario ha 26 pagine … almeno sapete … di che morte morire se iniziate a leggere … In corsivo ho fatto copia incolla di tutte informazioni raccolte prima della partenza e poi durante la vacanza. In carattere normale è narrata la nostra avventura. Scrivo i vari orari per sapere quanto tempo richiede ogni cosa.

 

Quando: 16 giorni dal 15.04.2022 al 30.04.2022.

 

Perché questo viaggio: Quando abbiamo lasciato l’ultima volta l’Africa il 21 agosto 2019, in rientro dal tour del Botswana, mai e poi mai avremmo immaginato che il mondo sarebbe stato piegato da un virus … e che per due anni e 8 mesi non avremmo potuto tornarci. Avevamo già prenotato due viaggi laggiù … ovviamente entrambi annullati. Quando intorno al 20 di febbraio di quest’anno, abbiamo letto che dal 1°marzo venivano tolte tutte le restrizioni ai viaggi e le varie liste …. in due giorni abbiamo prenotato. La meta era già stata decisa, aspettavamo solo il via libera per poter partire. Abbiamo volutamente optato per tutti i pernottamenti nella tenda sul tetto della jeep perché l’esperienza fatta dei campeggi non recintati ci era piaciuta molto e riconfermo che è spettacolare (vista l’esperienza di quest’anno al Piper Pan …….).

Itinerario:  Maun, Khumaga e Tree Island (Makgadikgadi Pan N.P.), South Camp (2 notti) e Baines’ Baobabs, (Nxai Pan N.P.), Kubu Island (Makgadikgadi Pan N.P.), Boteti River Camp (vicino a Khumaga), Central Kalahari G.R. (3 notti), Rakops  ed infine l’ultima notte ancora a Maun.

La prenotazione al Boteti River Camp è stata fatta trovando un compromesso sulle strade. La notte precedente l’abbiamo passata a Kubu Island. Non sapevamo, al momento della prenotazione, se la strada in uscita verso sud (molto più comoda) sarebbe stata percorribile post piogge. Se non lo fosse stata avremmo dovuto tornare da nord quindi il Boteti era perfetto. In realtà siamo riusciti a passare da sud quindi avremmo potuto dormire a Rakops risparmiando 60 km.

————————————————–            COSTI     —————————————————————

Voli: € 1.220 a testa. Li abbiamo prenotati 2 mesi prima, a febbraio, direttamente sul sito della Qatar (Milano-Doha, Doha-Johannesburg e Johannesburg-Maun e ritorno) ad € 864 a testa. A due settimane dalla partenza ci è arrivata una proposta di upgrade in business per la tratta Doha – Johannesburg (di notte) quindi l’abbiamo presa ad € 320 a testa. Per il volo di rientro abbiamo modificato i posti scegliendo quelli con più spazio (€ 38 a testa in più).

 

Prenotazioni: fatte direttamente sui siti indicati più sotto

 

Pernottamenti:

location pernottamento pasti
16. 04. 2022 The Waterfront G.H. Maun lodge con colazione 129
17. 04. 2022 Khumaga Campsite Makgadikgadi Pan tenda sul tetto campeggio 88
18. 04. 2022 Tree Island Makgadikgadi Pan tenda sul tetto campeggio 14
19. 04. 2022 South Camp Nxai Pan tenda sul tetto campeggio 69
20. 04. 2022 South Camp Nxai Pan tenda sul tetto campeggio 69
21. 04. 2022 Baines’ Baobab Nxai Pan tenda sul tetto campeggio 88
22. 04. 2022 Lekubu Island Makgadikgadi Pan tenda sul tetto campeggio 42
23. 04. 2022 Boteti River Camp Makgadikgadi Pan lodge solo pernottamento 88
24. 04. 2022 Deception Valley Central Kalahari tenda sul tetto campeggio 5
25. 04. 2022 Deception Valley Central Kalahari tenda sul tetto campeggio 5
26. 04. 2022 Piper Pan Central Kalahari tenda sul tetto campeggio 56
27. 04. 2022 Rakops River Lodge Rakops tenda sul tetto campeggio 22
28. 04. 2022 The Waterfront G.H. Maun lodge con colazione 129
804

Di questi pernottamenti al Boteti era previsto il campeggio (Pule 400 € 30) ma poi noi abbiamo pagato la differenza per avere la camera (Pule 700 € 58). Anche un pernottamento nel Central Kalahari, a Motopi (Pule 714 € 56) lo abbiamo pernotato e pagato noi prima di partire, in realtà poi non ci siamo andati ma siamo andati al Piper Pan. Il pernottamento non previsto a Rakops lo abbiamo pagato in loco (Pule 260 € 22) avremmo dovuto dormire ancora nel Central Kalahari, nella Deception Valley.

 

Nel periodo di alta stagione bisogna prenotare con larghissimo anticipo (anche 1 anno prima) in quanto i posti sono mooooolto limitati. Noi non abbiamo avuto problemi ma, essendo aprile la fine del periodo delle piogge, inizia ad essere già super gettonato. Più avanti spiego come funzionano i campeggi e le relative prenotazioni.

 

Auto: $ 3.608 (€ 3.280) pagati al rental car, Travel Adventurs (https://traveladventuresbotswana.com/).

I costi comprendono:

– assicurazionie:  $ 20 x 2 = $ 40 (€ 37) assicurazione Okavango Air Rescue (dopo spiego di cosa si tratta)

– auto per 13 giorni: total e$ 3768 (€ 3.425) – al giorno $  289 (€ 263), così ripartiti

$ 231 (€ 210) x 13 giorni = $ 3003 (€ 2.730) auto e attrezzatura da campeggio

$ 55   (€ 50) x 13 giorni = $   715 (€    650) assicurazione totale

$ 50 (€ 45) pulizia finale

 

L’auto era un Toyota Land Cruiser serie 79 (targato B164BEW) con una tenda sul tetto, serbatoio gasolio di 130. Era super accessoriato con gps (le mappe sono di Tracks4Africa), telefono satellitare, frigo, sedie, tavolo, tutto il necessario per cucinare (le pentole erano da usare direttamente sul fuoco), 1 bombola, griglia, attrezzatura per l’insabbiamento (corda traino, pala e strisce in ferro), telo da mettere per terra, telo per il sole da attaccare alla macchina, lavandino da campo, torcia potente da attaccare all’accendisigari, sacchi a pelo e coperte in pile, cuscini e telo da mettere sul materasso (tutto pulito), teli da doccia, 4 taniche da 20 lt l’una per la benzina, inverter, 2 serbatoi per l’acqua pulita di 55 litri l’uno (uno aveva un rubinetto sul retro della jeep molto comodo per lavarsi le mani mentre l’altro aveva un tubo in gomma che usavamo per ricaricare la doccia da compo), compressore per rigonfiare le gomme, manometro, ecc. ecc.

Nel costo era compresa l’assicurazione con Okavango Air Rescue (http://www.okavangorescue.com/) – Costa $ 20   (€ 18 circa) a testa.  In caso di necessità, garantiscono il recupero in elicottero (con medici a bordo), in tutto il territorio del Botswana C’è una mappa con i tempi di recupero per ciascuna zona. Ti portano in ospedale a Maun. Vale per un anno. Consiglio vivamente di farlo se non è compreso con l’affitto della jeep. Ovviamente bisogna avere il satellitare perchè nei posti più sperduti, dove c’è maggior necessità in caso di problemi, non c’è il segnale del telefono

Non consiglio assolutamente questo rental car. A parte il costo folle (noi abbiamo preso credo l’ultima macchina disponile a Maun quindi non avevamo alternative) ci hanno dato una macchina con 100.000 km e che sin da subito mio marito ha capito che aveva qualcosa che non andava. Dopo 3 giorni …. abbiamo dovuto chiamare i soccorsi per problemi al differenziale ….. in più tutta l’attrezzatura da campeggio era vecchia e mal tenuta. I responsabili sono stati più che professionali e celeri … ma non dovevano affittare una macchina in quelle condizioni. Oltretutto quando ce l’hanno consegnata, per fortuna che mio marito ha controllato tutto … mancavano le bacchette per tenere aperta la tenda sul tetto e il navigatore era rotto …. e ultima cosa, non da poco …. avevo fatto espressa richiesta per l’inverter. Non avendo mai possibilità di caricare le pile della macchina fotografica, per me era fondamentale. Si trova attaccato alla macchina, dietro ai sedili posteriori. A questo c’è anche attaccato il compressore. Me lo mostrano ed io prendo per buono … come tutti gli altri inverter che ho noleggiato nei precedenti viaggi …. peccato che dopo 3 giorni mi accorgo che è inutilizzabile ….. non è un inverter normale. Necessita di un’adattatore al quale attaccare le varie prese ….Si sono dimenticati di darmelo. Io non potevo immaginarlo …. Comunque ho fatto reclamo e me lo hanno recapitato al gate dello Nxai Pan. Quindi assistenza ottima …. ma dovrebbero dare tutte le cose … e soprattutto funzionanti ed utilizzabili … al momento della consegna della macchina … Nel nostro precedente viaggio in Botwana avevamo affittato alla Bushlore … meno costosa e anni luce più attenta ai dettagli.

 

Costi ingressi Parchi Nazionali: € 379 (Pule 4.550) per 10 giorni

Il costo delle tasse d’ingresso è:

– adulto Pule 190 (€ 14,75)

– macchina Pule 75 (€ 5,82)

Le tasse d’ingresso sono giornaliere. Se si pernotta una notte nel parco si pagano per due giorni. Considerare che ad ogni gate bisogna registrarsi sia in ingresso che in uscita con targa dell’auto, passaporti, ecc ecc e controllano i voucer dei pernottamenti.

I parchi sono gestiti dal DWNP (Department of Wildlife National Parks). Le entrance fees, le tasse giornaliere da pagare per poter accedere ai parchi nazionali, si possono pagare:

– ai rispettivi gate (la maggior parte non accettano carta di credito e spesso, anche se hanno la macchinetta, non è funzionante quindi è sempre meglio avere i contanti)

– presso gli uffici del DWNP di Maun (dove si può pagare anche con carta di credito) (S19 59.056 E23 25.844) (orari: lu-ve 7.30/16.30; sa 7.30/12.45 e 13.45/16.30; do 7.30/12.45). Si supera il ponte principale di Maun, percorrendo la A3, alla prima rotonda si gira a destra su Sir Seretse Khama Road, la prima a destra sulla Audi Dr. e poi subito ancora a destra sulla Kubu Street (senza uscita).

– presso gli uffici del DWNP di Letlakane: (S21 24.744 E25 35.000) (orari: lu-ve 7.30/16.30; sa 7.30/12.45 e 13.45/16.30; do 7.30/12.45)

Orari in cui si può girare nei parchi:

– da aprile a settembre 6.00/18.30

– da ottobre a marzo 5.30/19.00

Altre spese: gasolio € 352; market € 280; ristoranti € 212; varie € 152.

———————————–  INFO PERNOTTAMENTI DOVE SIAMO STATI NOI    ——————-

Siti internet dove abbiamo fatto le varie prenotazioni di lodge e campeggi:

– The Waterfront Guesthouse:   http://maunwaterfront.com/

– Khumaga Camp (Makgadikgadi NP):   https://sklcamps.com/our-camps/

– Tree Island Camp (Makgadikgadi NP):   dwnp@gov.bw

– South Camp (Nxai Pan NP):   https://www.xomaesites.com/camping/11-nxai-south-camp.html

– Baines’ Baobabs (Nxai Pan NP):   https://www.xomaesites.com/camping/13-baines-baobab.html

– Kubu Island (Makgadikgadi NP):   http://www.kubuisland.com/

– Boteti River Camp:   https://www.botetirivercamp.com/

– Deception Valley (Central Kalahari GR):   dwnp@gov.bw

– Piper Pan (Central Kalahari GR):   https://www.bigfoottours.co.bw/

– Rakops River Lodge: http://rakopsriverlodge.com/booking.html

Opionini ed info dei vari pernottamenti:

– The Waterfront Guesthouse: semplice e un pò datato. Camere spaziose affacciate sul fiume. Colazione buona.

Voto: 6

– Khumaga Camp (Makgadikgadi NP): ci sono i bagni. Si può lasciare l’immondizia. Ogni piazzola ha un rubinetto per l’acqua. Si può rifornire di acqua il gavone della macchina. Attenzione ai cercopitechi. Dalle piazzole non si vede il fiume.  La nostra era la KK4, abbastanza vicina ai bagni. Tutte le piazzole sono molto distanziate ma a vista quindi non c’è molta privacy.

Voto: 8

– Tree Island Camp (Makgadikgadi NP: non c’è acqua e non si può lasciare l’immondizia. Ci sono due strutture in legno a spirale una con il wc ed una con la doccia (con il secchio dove mettere la propria acqua).Il nostro secchio era rotto quindi abbiamo usato la nostra doccia da campo. Qui non viene molta gente quindi l’erba per terra era un pò alta. La nostra piazzola, la n°3. Era la meno bella perchè molto chiusa nella vegetazione. La n°1 è la più bella con vista sul pan bianco mentre la n°2, anche questa molto più aperta, si affaccia sulla savana. Non ci si vede da una piazzola all’altra quindi c’è privacy.

Voto: 7 (solo perchè la ns piazzola non aveva vista altrimenti sarebbe stato 8)

– South Camp (Nxai Pan NP): ci sono i bagni. Si può lasciare l’immondizia. Si può rifornire di acqua il serbatoio della macchina. La piazzola migliore è la NX 1, dove eravamo noi, perché è l’unica completamente isolata (i bagni sono comunque vicini). Le altre invece sono sempre distanziate ma con poca privacy.

Voto: 9

– Baines’ Baobabs (Nxai Pan NP): non c’è acqua e non si può lasciare l’immondizia. Ci sono due strutture in legno a spirale una con il wc ed una con la doccia (con il secchio dove mettere la propria acqua). Come location la piazzola n°1, con un baobab, ha un pò di vegetazione intorno e si ha la vista del pan e dei Baines’ baobab. La n°2 ha tre baobab ed intorno ha solo erba quindi c’è visibilità e panorama sul pan. Noi eravamo qui e l’abbiamo trovata più bella della n°1 dove siamo stati nel 2019. La n°3 invece ha un baobab ma è troppo chiusa nella vegetazione quindi non è bella perchè non ha molto panorama.

Voto: 10

– Kubu Island (Makgadikgadi NP):  non c’è acqua e non si può lasciare l’immondizia. C’è un gabinetto in comune per tutti. Non ci sono le docce. Bisogna avere la propria doccia da campo. La piazzola più bella è la 6 dove eravamo noi visto che è quella più verso nord, si vede il tramonto e si ha un bel panorama sul pan.

Voto: 10

– Boteti River Camp: ci sono i bagni. Si può lasciare l’immondizia. Si può rifornire di acqua il serbatoio della macchina. Volendo ci sono le camere e c’è il ristorante. Ha una terrazza sul fiume ma c’è troppa vegetazione quindi non si vede molto bene.

Voto 7

– Deception Valley (Central Kalahari GR):  non c’è acqua e non si può lasciare l’immondizia. Ci sono due strutture in legno a spirale una con il wc ed una con la doccia (con il secchio dove mettere la propria acqua). Il nostro secchio era rotto quindi abbiamo usato la nostra doccia da campo.  Le piazzole (la nostra era la  n°4) sono molto ampie circondata da vegetazione quindi non c’è panorama. La strada costeggia tutte le piazzole quindi c’è privacy solo dopo che le macchine non possono più muoversi. Comunque passa soltanto chi pernotta qui

Voto 8

Piper Pan (Central Kalahari GR):  non c’è acqua e non si può lasciare l’immondizia.  Le due piazzole  hanno due strutture in legno a spirale una con il wc ed una con la doccia (con il secchio dove mettere la propria acqua). Sono distanziate qualche km. e sono in mezzo alla vegetazione. Quella con più panorama è la n°1. Noi, avendo dormito nel pan, abbiamo usato la nostra doccia da campo.

Voto 10

– Rakops River Lodge: ci sono i bagni. Si può lasciare l’immondizia. Si può rifornire di acqua il serbatoio della macchina. Volendo ci sono le camere e c’è il ristorante.

Voto: 6 – senza infamia e senza lode

 

———————————–  INFO PERNOTTAMENTI GENERALE    ——————————————-

Prenotazioni campeggi: Possono essere statali o privati.

Il sito migliore per vedere quali sono è Traks4Africa (https://tracks4africa.co.za/maps/africa/). Cliccando sulla tenda bianca e verde, in basso a sinistra, si apre la mappa con indicati tutti i campeggi dell’Africa Australe quindi anche quelli del Botswana. Quando se ne seleziona uno, si apre una pagina con i dettagli generali e i contatti per le prenotazioni. Qui sono indicati sia quelli privati che quelli statali e di conseguenza si viene dirottati o sui relativi siti o ad indirizzi mail (o solo numeri di telefono). E’ davvero comodo e semplice. L’unico neo sono i tempi di risposta, non sempre immediati.

I campi statali sono gestiti dal DWNP, Department of Wildlife National Parks e gestiscono anche il pagamento dei costi giornalieri d’ingresso.

Altro sito utile è: http://www.getaway.co.za/travel-ideas/book-campsites-botswanas-national-parks/

Spiega come fare a prenotare e indica i vari operatori che gestiscono i campi privati.

All’inizio della pagina se si clicca Download: The Getaway BFGoodrich 4×4 Guide to Botswana, si apre un pdf scaricabile, di 48 pagine, con info parecchie informazioni.

Elenco i principali campi e chi gestisce le prenotazioni (prezzi per persona per notte):

– Dwnp (http://www.gov.bw/  – mail: dwnp@gov.bw – o agli uffici di Maun)  – Costo:  Pule 40 (€ 3,5):

Sono tutti campi statali:

– tutti i campi del lato del Botswana del Kgalagadi Transfrontier Park

– otto campeggi del Central Kalahari Game Reserve (i tre che si trovano al gate: Matswere Gate, Tsau Gate and Xade Gate) e poi Xaka, Kori, Deception, San e Phokoje Pans

– due campeggi nel Makgadikgadi Pans National Park: Njuca Hills e Tree Island

– Big Foot Tours (www.bigfoottours.co.bw  –  mail: reservations@bigfoottours.co.bw)  – Costo:  Pule 714 (€ 56):

Central Kalahari: Piper Pan, Letiahau, Lekhubu, Kukama, Sunday Pan, Passarge Valley and Motopi

Khutse Game Reserve (sud del Central Kalhari): tutti e 5 i campeggi

– Gaing-O Community Trust (http://www.kubuisland.com/ – si invia mail dal sito) – Costo: Pule 150 (€ 12,50) + 50 fees d’ingresso

– Kubu Island Campsite

 

– Kwalate Safaris (kwalatesafari@gmail.com)

– Chobe: Ihaha Camp (Pule 260 € 22- minorenni Pule 130 € 11)
– Moremi: South Gate and Xakanaxa (non sono riuscita a trovarli)

– Xomae Group (www.xomaesites.comxomaesites@btcmail.co.bw)

– Moremi – Third Bridge Camping – USD 50 (10 piazzole)

– Moremi – Third Bridge Self Catering Chales – USD 120

– Okavango – Gcodikwe 1 Island Camp: USD 50 (non ho capito dove si trova, mi riusulta un lodge)

– Nxai Pan –  South Camp – USD 38 (10 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 6 persone)

– Nxai Pan: Baines’ Baobab – USD 50 (3 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 12 persone)

– SKL (www.sklcamps.comreservations@sklcamps.co.bw)

– Chobe – Savuti: USD 50 – minori USD 25 (14 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone)

– Chobe – Linyanti: USD 50 – minori USD 25 (5 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone)
– Khwai – North Gate: USD 50 – minori USD 25 (10 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone)
– Makgadikgadi – Khumaga: USD 50 – minori USD 25 (10 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone)

– Khama Rhino Sanctuary (www.khamarhinosanctuary.org.bwkrst@khamarhinosanctuary.org.bw)

Costo: campeggio Pule 108 (€ 9,00) a notte a testa- chalets Pule 700/800 (€ 58/67) a notte a testa.

Fees:  Pule 72 (€ 6) a testa e Pule 88 (€ 7,33) la jeep

–  Khwai Development Trust: (http://www.khwaitrust.co.bw/ ) Costo: Pule 300 (€ 25)

– Khwai community concession: Magotho Camp

– Mababe (tra Khuay e Savuti) (NDM Travel Agency) – Costo: Pule 220 (€ 18)

– Tshaa Camp

– Tuli Wilderness (www.tulitrails.comreservations@tulitrails.com) – Costo: Pule 140 (€ 12) include le tasse

– Molema Bush Camp

 

Mbudi Camp nord Khwai: mbudicampkhwai@gmail.com

Info sui campeggi: I campeggi sono pochi e hanno pochissime piazzole. In ciascuna ci possono stare da 1 jeep a 3 (con massimo 8 persone). Quindi non si corre il rischio di trovarsi vicini ad altre persone che non si conoscono. Tutte le piazzole sono vicine ma consentono notevole privacy. Abbiamo trovato i bagni solo a Khumga e al South Camp (Nxai Pan) per il resto c’era comunque la possibilità di lavarsi usando la propria acqua e c’era il wc. C’è la possibilità di lasciare l’immondizia a Khumaga, Nxai Pan al South Camp e al Central Kalahari solo al Matwere Gate. Non ci sono recinzioni quindi l’attenzione deve essere a mille. Si deve arrivare al campeggio con il sole ancora un pochino alto, accendere subito il fuoco, andare a farsi la doccia, cenare con il tramonto, rimanere sempre vicino al fuoco e se si deve andare dietro la jeep quando si deve riordinare, illuminare con le torce. E’ bene non rimanere molto a lungo alzati, meglio ritirarsi in tenda il prima possibile e rimanerci senza più scendere fino al mattino. Gli animali, se sentono rumori non si avvicinano ma appena si sale in tenda, nonostante il fuoco … arrivano.

 

 

 

————————————————–     INFO VIABILITA’   ——————————————————

Km. da noi percorsi:  km. 2.170 (asfalto km.920  e sabbia km.1.250)

 

Patente e guida: la guida è opposta all’Italia. Si viaggia a sinistra e il posto del guidatore è a destra. In Botswana la patente internazionale non è obbligatoria. Se la si vuole fare vanno bene sia quella della convenzione di Ginevra (dura 1 anno) che di Vienna (dura 3 anni). Costa € 86, le tempistiche per averla sono di 3 settimane. La nostra era scaduta, quindi abbiamo preferito farla di nuovo. I rental car non la chiedono ma se si viene fermati dalla polizia, si semplificano le cose se la si ha, solo per la traduzione in inglese. Quando ci hanno fermati, abbiamo mostrato quella italiana ed è andata bene.

 

Strade: le principali sono asfaltate. Nei parchi sono sterrate e sabbiose. Rispetto al precedente viaggio abbiamo trovato strade tenute male post periodo piogge. Era peno di solchi ormai asciutti, dovuti al passaggio delle macchine dove l’acqua si fermava. Abbiamo usato poco il 4×4, solo sul river front di Khumaga e nella strada di accesso tra il gate dello Nxai Pan e il South Camp e per arrivare ai Baines’ Baobab. Avevamo idea di trovare tanta sabbia nel Central Kalahari (motivo per il quale abbiamo voluto un Land Cruiser, molto più performante rispetto ad altre macchine, ma molto più caro), ed invece non è stato così. Quindi questo giro si può fare tranquillamente anche con un Hilux o Ford Ranger. Entrambe sono ottime macchine che però forse non consiglierei se si devono affrontare le sabbie del Savuti. Nel nostro precedente viaggio, le macchine trovate insabbiate in quella zona erano tutte Hilux, per via soprattutto della ruota di scorta che viene posizionata sotto il retro della macchina e che ovviamente fa attrito sulla sabbia profonda (cosa ovviabile chiedendo di metterla sul tetto o nel cassone).

 

Barriere veterinarie e divieti per il cibo: lungo le strade principali ci sono alcune barriere veterinarie. Sono segnate sulle cartine. In primis hanno la funzione di evitare che gli animali non controllati dai veterinari della parte nord, vengano a contatto con quelli controllati degli allevamenti del sud. C’è un batterio che colpisce i bufali e che potrebbe essere trasmesso alle mucche, essendo della stessa famiglia. Quando si va da nord a sud fanno fermare e disinfettare le suole delle scarpe e le gomme delle macchine. Le recinzioni non sono in tutto il territorio altrimenti bloccherebbero le migrazioni degli animali selvatici, ma solo a ridosso delle strade dove si muovono animali domestici (mucche, asini e capre). Ovviamente non è una cosa che risolve il problema completamente, ma questo è l’unico modo per cercare di arginarlo. Per lo stesso motivo vietano da nord a sud di spostare carne cruda, latticini e uova (ma il divieto assoluto è principalmente per la carne). Se i poliziotti trovano cibo non giusto, lo sequestrano. Quando si fa la spesa bisogna considerare questa cosa in primis per la salvaguardia dei capi di bestiame ma anche perchè si rischia di rimanere senza cibo sul quale si contava in posti in cui non si trova nulla da comperare.

 

Pressione Gomme e 4×4: le tenevamo sempre diverse visto che il cassone era pieno quindi pesantissimo. Su asfalto a 3 davanti e 3,5 dietro, su sterrato 2 davanti e 2,5 dietro, su sabbia le abbassavamo ancora un po’ fino ad un minimo di 1,8 davanti e 2 dietro. Nel nostro viaggio precedente le tenevamo su sabbia a 1,5 ma, parlando in questo viaggio con un signore sudafricano, ci ha detto che è troppo poco. Conviene tenerle sempre un pochino più gonfie e poi, se ci si dovesse insabbiare, le si sgonfiano. Se sono troppo molli, si crea troppa pancia e quello è il punto pericoloso per le forature visto che è molto più delicato rispetto alla parte che solitamente tocca la strada.

Faticavamo a disinserire il 4×4. Un signore ci ha detto che bisogna farlo quando la macchina si muove leggermente. Ci ha detto di fare un metro in retro, poi andare avanti, togliere la marcia e disinsierire il 4×4. Da fermi capita che non si tolga.

 

Benzinai: sono segnati sulle cartine. Si trovano in tutte le cittadine comunque sempre fare il pieno anche se si è a metà serbatoio. Fondamentale avere un paio di taniche supplementari. Il costo del gasolio è di Pule 14 (€ 1,16) (€ 0,79) al litro.

 

Coordinate gps: ho cercato di inserire tutte quelle che avevo. Alcune sono scritte con un criterio differente perchè le ho trovate solo così.

————————————————–     INFO   ———————————————————————-

Non farsi mai mancare:

– la legna perchè è fondamentale avere il fuoco acceso la sera fino a quando si sta fuori dalla jeep. La vendono lungo le strade a fascine (Pule 25 l’una) e all’ingresso dei parchi (non bisogna però fidarsi perchè potrebbero averla finita). Non si può usare quella che c’è nei parchi, a parte qualche ramettino per accenderla.

– bisogna sempre avere dei bomboloni da 5 lt. di acqua di riserva sia per bere e cucinare ma anche per farsi la doccia.

– attrezzatura acquistata o portata da casa, non fornita dal rental car: diavolina, accendini, detersivo piatti e spugnette, corde suppplementari (per legare la legna sul tetto della jeep e alcune taniche dell’acqua), torce frontali e a mano, nastro isolante e americano, sacchetti immondizia. Per lavarsi è bene usare prodotti ecologici visto che tutto va nel terreno.

 

Valuta:  € 1 = BWP (Pula) 12,00       –      BWP (Pula) 1 = € 0,078

In lingua Setswana “pula” significa letteralmente “pioggia”, un elemento naturale particolarmente scarso nel territorio prevalentemente desertico del Botswana e quindi di elevato valore. “Pula” significa anche “benedizione”, giacché la pioggia è una benedizione per questo popolo. La pula è divisa in 100 “thebe”, letteralmente “scudi”. La valuta è circolazione dal 1976 quando ha sostituito alla pari il rand sudafricano. Nonostante la svalutazione avvenuta nel maggio 2005 del 12%, la pula rimane una delle più forti valute dell’Africa.

 

Mance: solitamente sono pari al 10% di quanto speso. Si possono aggiungere al totale della spesa se si paga con carta di credito oppure si possono pagare in contanti a parte. Non le chiedono, ma sono moooolto gradite.

 

Malaria: la malaria c’è in alcune zone del Botswana. Ci hanno detto che non sono presenti nel giro che abbiamo fatto noi e che si trovavano nella Moremi (info da prendere con le pinze … ce l’ha detto il ragazzo che ci ha consegnato la macchina …). Il rischio di contrarre la malattia è alto durante, e poco dopo, il periodo delle piogge. Durante la stagione secca e con il freddo dell’inverno australe (la zanzara anopheles vive solo con temperature costanti oltre i 20°) il rischio è ridotto al minimo. Valutare i pro i contro sul fare l’antimalarica. Noi l’abbiamo sempre fatta solo omeopatica pur andando in zone ad alto rischio nel periodo peggiore. Preferiamo fare quella comportamentale: dopo il tramonto rimanere all’aperto il minimo in dispensabile indossando solo con abiti chiari che coprano la maggior parte del corpo e spruzzando, sulle parti scoperte, dei repellenti e soprattutto dormire sotto le zanzariere. Sono scelte personali.

 

Documenti e visti:  non ci vuole il visto per massimo 90 giorni di permanenza. Il passaporto deve avere come al solito validità residua di 6 mesi dalla data del rientro e 2 pagine bianche. IMPORTANTE dal 01.10.2016 ci sono nuove regole per l’ingresso dei minori (anche solo in transito). Ogni minore, anche se in viaggio con entrambe i genitori, deve essere in possesso di un certificato di nascita multi lingue. Su questo vengono indicati nome del minore con data di nascita e i nomi dei genitori. Questo documento si richiede all’anagrafe del proprio paese ed è gratuito.

Tenete presente che il Botswana richiede il vaccino della febbre gialla se in arrivo si sosta per più di 12 ore in un paese in cui la malattia è endemica.

Un sito sul quale poter guardare i vari aggiornamenti è il sito della Farnesina Viaggiare sicuri (http://www.viaggiaresicuri.it/). Questo ovviamente è aggiornatissimo.

 

Cibo: i market sono più che mai forniti. Alcune cose, come la pasta, le abbiamo portate dall’Italia ma il grosso, l’abbiamo acquistato in loco. Abbiamo trovato tutto quello che avevamo in mente di comprare.

 

Cibo da non portare nei parchi: arance e limoni perchè gli elefanti ne vanno ghiotti. Pur non volendo fare danni, potrebbero creare problemi alle jeep cercando di prenderli. Fiutano l’odore a distanza.

 

Acqua: Abbiamo sempre lavato i denti con l’acqua delle bottiglie e non abbiamo mai mangiato verdura cruda nei ristoranti (lavata da  noi invece si).

 

Cellulare: nei parchi non c’è copertura. Super consigliato l’affitto del satellitare (lo si affitta presso i rental car)

 

Fuso: uguale all’Italia.

 

Fotografia: state attentissimi alla polvere che arriva ovunque. Proteggete l’attrezzatura e tutte le sere vi conviene pulirla. Ho fatto 2.300 foto … Come lenti ho usato 10-20, 24-105, 70-300. Il tele è fondamentale per gli animali.

 

Corrente: le spine sono sia quella sudafricana che quella inglese R18

 

Temperatura: durante il giorno ha fatto caldo. Di notte le temperature sono scese parecchio.

 

Sole: alba alle 6.30 tramonto alle 18.00

 

Sicurezza: problemi zero.

 

Lingua: inglese e dialetti locali

 

Giornata tipo: all’alba in auto, se non prima, cena intorno alle 18 e in branda verso le 19/20 massimo.

 

Organizzazione: un genere di vacanza come questa si deve organizzare nei minimi dettagli per il fatto che si rimane diversi giorni in posti completamente sperduti. Si devono fare bene i conti per i rifornimenti di gasolio, cibo, acqua e legna.

 

Cortesia: quando ci si rivolge ad una donna bisogna dire: “dumela mma” mentre ad un uomo “dumela rra”. Apprezzano molto.

 

Opinione generale: In 5 parole: l’Africa non delude mai.

 

————————————————–     INFO GENERALI   ——————————————————

Due info generali: Il Botswana è una delle ultime vere aree selvagge del pianeta. La natura incontaminata del più grande delta del mondo, il Delta dell’Okavango con la Moremi Game Reserve; l’inimmaginabile vastità della Central Kalahari Game Reserve, Mkgadikgadi e Nxai Pan con le saline di grandi dimensioni, il Parco Nazionale Chobe con più alta densità al mondo di elefanti… tutto questo rende il Botswana unico tra le grandi destinazioni per i safari.  Il Botswana è l’ultima roccaforte per un gran numero di uccelli ed animali in via di estinzione tra cui il licaone, il leopardo, la iena bruna, il grifone (avvoltoio) del Capo e la civetta pescatrice. Tra gli altri durante i safari è possibile avvistare elefanti, bufali, giraffe, zebre, ippopotami, coccodrilli, rinoceronti, leoni, leopardi, ghepardo, caracal, impala, kudu, gnu; un’immensa varietà di uccelli, di terra e d’acqua, residenti e migratori.  La ricchezza culturale del Paese è data dal popolo dei San (Boscimani) che vive nel deserto del Kalahari e dalle Tsodilo Hills, con la più alta concentrazione di pitture rupestri al mondo, sito protetto dall’UNESCO.

Il Botswana è una Repubblica presidenziale, ha un governo stabile e solo 1,7 milioni di abitanti. La capitale è Gaborone.

 

Quando andare: Come in tutta l’Africa australe le stagioni sono invertite. Il clima del Botswana è semi-arido quindi caldo e secco in gran parte dell’anno. Le stagioni sono principalmente due:

– Estate (stagione bagnata) – da ottobre a marzo.

I giorni estivi sono caldi, soprattutto nelle settimane che precedono l’arrivo delle piogge. Le prime pioggie arrivano intorno a novembre. Durante il periodo piovoso, che dura fino alla fine di febbraio o all’inizio di marzo, fa caldo ed è generalmente soleggiato di mattina, ci sono temporali brevi nella parte centrale delle giornate e piogge abbondanti il tardo pomeriggio. Le temperature diurne possono salire a 38/40° C e le temperature notturne scendono a circa 20/25° C. Le aree settentrionali ricevono fino a 700 mm di pioggia all’anno, mentre la zona del deserto del Kalahari ha una media di 225 mm all’anno. Le piogge tendono ad essere irregolari, imprevedibili e distribuite in maniera diversa. Spesso una forte pioggia può verificarsi in un’area mentre 10 o 15 chilometri di distanza non cade una goccia. In estate, l’umidità del mattino varia da 60 a 80% e scende al 30-40% nel pomeriggio.

– Inverno (stagione secca) – da aprile a settembre.

Le giornate sono sempre calde di giorno (20/30°C) e fresche la sera (10°C).  Di notte possono scendere sotto il punto di congelamento in alcune zone, soprattutto nel sud-ovest. Nessuna pioggia cade durante i mesi invernali. In inverno l’umidità può variare tra il 40 e il 70% durante la mattinata e scendere al 20/30% nel pomeriggio.

Il Botswana è una destinazione perfetta per i game drive durante tutto l’anno però i mesi migliori vanno da aprile a ottobre, sia per il tempo che per gli animali. È durante questo periodo che la fauna selvatica si riunisce a bere nelle poche pozze d’acqua e la vegetazione è meno fitta quindi gli avvistamenti sono migliori e più facili. Tuttavia, ci sono alcune stagioni che sono più adatte per una cosa piuttosto che per l’altra. Sono informazioni di massima:

– gennaio: Con le piogge ci sono spettacolari temporali pomeridiani. Questo è il periodo di allevamento per molte specie di uccelli colorati migranti quindi ci sono ottime opportunità di fotografarli. Ci sono bellissimi fiori selvatici, le foglie sono verde brillante e ci sono suoni costanti di insetti e uccelli.  predatori sono attivi nella caccia dei piccoli delle loro prede abituali. Gennaio è un mese ideale per la fotografia per i colori vivaci, i cieli spettacolari e la purezza dell’aria. E’ facilissimo vedere i predatori perchè il loro color crema si nota subito in mezzo al verde.

– febbraio: Questo è il momento di fioritura dei gigli d’acqua e le rane delle canne sono colorate e molto rumorose: il Delta dell’Okavango è bello e si riempie di suoni. Le piogge continuano sotto forma di temporali da metà giornata al tardo pomeriggio con cieli meravigliosi. È caldo con temperature diurne che superano i 30 ° C e notti calde a 20 ° C più. Ci possono essere sia magie bagnate che molto asciutte entro il mese. I piccoli degli erbivori sono sempre più grandi. Il bird-watching è ancora eccellente.

– marzo:  Il frutto degli alberi di Marula attirara gli elefanti che vagano da albero ad albero in cerca del loro pasto preferito. Questo è l’inizio della stagione degli amori e gli impala maschi cercano di attirare le femmine. Le temperature sono ancora calde sia giorno che notte, ma l’aria è più secca e le piogge sono meno frequenti. Il bush è rigoglioso e verde e ci sono molti fiori.

– aprile: Ci sono i primi segnali che la stagione sta cambiando. La temperatura notturna scende al di sotto di 20° anche se di giorno fa sempre caldo. Le notti più fresche con elevata umidità portano la nebbia mattutina che crea immgagini bellissime sull’acqua. Gli impala sono nel pieno dell’amore quindi continuano a fare versi per attirare le femmini e spesso si vedono i maschi lottare. I babbuini e impala si muovono spesso insieme per avvisarsi a vicenda in caso di pericolo ma in questo periodo lo sono ancora di più perchè gli impala sono distratti. Gli alberi hanno terminato la fioritura e la maturazione della frutta, le tigellie africane (alberi delle salsicce) sono pienissime di frutti.
– maggio: le acque portate dalle piogge dagli altopiani angolani arrivano in Botswana al vertice del Delta dell’Okavango. Le piogge sono finite e le notti sono più fredde con temperature superiori a 15° C. I giorni sono ancora caldi con temperature fino a 35° C. I buffali iniziano a raggrupparsi in grandi mandrie e si avvicinano più spesso alle aree fluviali visto che le pozze stagionali cominciano ad asciugarsi. Lo stesso vale per gli elefanti. Il bush inomincia a prendere i colori classici dell’autunno. I predatori tornano a mimetizzarsi visto che le praterie  prendono il loro colore. Gli uccelli migratori iniziano a partire per passare l’inverno in paesi diversi.

– giugno: i wild dogs iniziano a fare le tane che saranno la loro casa per 3 o 4 mesi quando nasceranno i cuccioli. Le temperature scendono a 5°C di notte mentre di giorno sono intorno ai 25°C. Le pozze d’acqua temporanee sono praticamente tutte asciutte quindi gli erbivori si concentrano lungo i fiumi e i predatori li seguono. Inizia ad essere tutto secco e polveroso. Alcune piante mantengono ancora le foglie ma la maggior parte sono spoglie. L’acqua delle piogge raggiunge il centro del delta dell’Okavango.

– luglio: l’acqua delle piogge riempie tutto il delta. La Moremi ha il picco dell’acqua. Non ci sono più foglie sulle piante. Le notti sono ancora fredde ma i giorni sono piuttosto caldi e il tempo è quello tipico del Botswana, soleggiato con brillanti cieli blu cobalto. Sempre più animali si riuniscono vicino all’acqua e alle pianure alluvionali. L’acqua arriva ovunque dando la possibiltà di girare per i canali del delta con i mokoro e con le piccole barche. La luce tenue al mattino e alla sera  unita alla polvere offre l’opportunità di fare foto particolari.

– agosto: l’acqua delle piogge arriva a Maun all’inizio del mese per poi iniziare a ritirarsi a fine agosto. Nelle annate in cui sono abbondanti l’acqua arriva ad inondare le zone del Makgadikgadi Pan e il fiume Boteti esonda. Le temperature salgono raggiungendo di giorno i 30 ° C e la notte i 10°C. Tutti gli animali si concentrano ai fiumi quindi si creano tensioni per acccaparrarsi lo spazio vicino all’acqua. Il bush è completamente secco e acqiutto. La polvere è ovunque. Si possono vedere grandi azioni di caccia con facilità.

– settembre: gli uccelli migratori incominciano a tornare. Le cicogne nidificano. I livelli d’acqua continuano a calare, l’acqua nell’Okavango si ritira lentamente. Alcuni alberi iniziano a produrre i loro primi germogli verdi. Il clima cambia. L’inverno è finito. Le temperature notturne salgono. Gli elefanti e i bufali si concentrano in gruppi ancora più numerosi all’acqua e questo mantiene i predatori occupati. C’è abbondanza di avvistamenti dei leoni.

– ottobre: è molto caldo. Le temperature diurne aumentano sino a superare i 40° C e quelle notturne i 20°C. Ottobre è un ottimo mese per i game drive – vale la pena sopportare le temperature! Questo è il periodo dell’anno in cui gli erbivori sono più deboli a causa della mancanza di cibo e i leoni sono al top. Non ci sono nascondigli, tutte le erbe e tutti i cespugli sono stati mangiati o calpestati. Gli inseguimenti di predatori alzano in nuvole di polvere sulle pianure. Di notte il Savuti è al meglio per i rumori di leoni e barriti di elefanti. La caccia qui è al massimo.

– novembre:  è il mese peggiore per le persone e gli animali. C’è l’attesa delle piogge. La vita è durissima. Le prime piogge cadono normalmente intorno a metà novembre. Quando arrivano gli animali si disperdono per mangiare l’erba fresca e bere alle pozze stagionali. La stagione delle nascite inizia con i  tsessebe seguita poi da impala e lechwe. I predatori cercano i giovani vulnerabili e uccidono molte volte al giorno. È un momento perfetto per le foto per le nuvole cariche di pioggia, i colori, gli alberi pieni di gemme.

– dicembre:  L’erba fresca ​​alimenta le giovani madri delle antilopi e degli gnu e i piccoli crescono velocemente. Le piogge diventano più regolari con temporali ogni pochi giorni. Ci sono acqua ed erba fresca ovunque quindi per gli erbivori è il periodo migliore al contrario dei carnivori. Non si riescono più a mimetizzare con i colori della savana anche se riescono a monitorare meglio le prede nascondendosi nei cespugli pieni di foglie. Le azioni di caccia sono più difficili anche perchè gli erbivori sono al top della forma. Tutti gli uccelli migranti sono arrivati. Grandi colori, cieli drammatici e fulmini di notte tutti aggiungono alla magia di dicembre.

Fauna: un tempo chi andava in Africa voleva come trofei di caccia i “Big five” (i primi 5 dell’elenco di seguito) ma ora questi trofei sono per lo più fotografici quindi sono diventati i “Big nine”. RINOCERONTE bianco o nero (più raro). La differenza non sta nel colore del mantello (entrambe sono grigetti) ma nel labbro. Quello bianco ha la forma della bocca più squadrata adatta a brucare negli spazi aperti della savana. Quello nero ha la bocca più tondeggiante con il labbro superiore prensile adatto a mangiare rametti e foglie di acacia nel bush. Questo fa si che si differenzino anche nella gestione dei cuccioli. Quello bianco segue i piccoli perché negli spazi aperti può brucare e tenere d’occhio la prole, quello nero, deve precedere i cuccioli perché deve far loro strada in mezzo alla vegetazione fitta (questo però non è attendibile al 100% per riconoscerli). Quello bianco si muove in piccoli gruppi, quello nero è più solitario. Quello bianco o più grosso di quello nero. Quello nero è molto irritabile e c’è il serio rischio che attacci le macchine quindi bisogna mantenere molta distanza quando lo si incontra. ELEFANTE, LEONE, BUFALO (tra tutti è il più pericoloso perché, se viene isolato dal gruppo e si sente braccato, attacca. Ha bisogno di grandi spazi per spostarsi), LEOPARDO (caccia di notte, durante il giorno si riposa all’ombra), GHEPARDO (lo si distingue dal leopardo per una linea nera che gli parte dagli occhi ed arriva, contornando il naso, fino sotto alla bocca. GIRAFFA, IPPOPOTAMO (vive di giorno in acqua o sulle spiagge e di notte pascola, pericolosissimo se si è a piedi e lui è fuori dall’acqua), ZEBRA. Oltre a questi si possono vedere licaoni, tassi del miele, iene, tanti tipi di antilopi, gli gnu, i babbuini, i facoceri, gli sciacalli, coccodrilli, struzzi (femmine grigie e maschi neri), tanti tipi di uccelli (l’Okavango è il paradiso del bird watching)  e chi più ne ha più ne metta …

 

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  1. B) ITINERARIO GIORNO PER GIORNO:

1) 15 aprile 2022 venerdì

 

Finalmente dopo 2 anni e 8 mesi si torna in Africa!!!!! Nostro figlio Matteo ci porta a Malpensa alle 5.30 mentre Martina e nostri labradors … rimangono beati a casa tra le braccia di Morfeo ….

Al chek-in ci chiedono il tampone (solo il Sud Africa, anche se in scalo, fino ad una settimana fa lo chiedeva …e loro non sapevano che lo avevano tolto….). Dopo ½ secondo di panico … procediamo con la solita trafila fino ad arrivare alla parenza alle 9.30. L’aereo è mezzo vuoto. Volo tranquillo di 6 ore. A Doha c’è un’ora in più. Ci provano solo la temperatura e non chiedono il vaccino. Andiamo a sgranocchiare qualcosa e poi ci imbarchiamo di nuovo alle 20.30. Questa tratta la faremo in business class … una pacchia!!! Cibo e servizio ottimi … ma più che altro si dorme!!! Partiamo con 1 ora di ritardo.

 

2) 16 aprile 2022 sabato – km.30 (asfalto)

Maun

Dopo 8 ore di volo … alle 4.30 atterriamo a Johannesburg. Dobbiamo attendere il prossimo volo che parte per Maun alle 12.00 quindi cerchiamo un posto dove riposare un po’ (l’aeroporto è praticamente deserto). Facciamo colazione da Mugg & Bean (catena dove siamo stati più volte nei nostri viaggi in Sud Africa e ci è sempre piaciuta) e poi faccio un giro per i soliti negozietti di ninnoli africani dove sono stata diverse volte con Martina … solo che questa volta, lei non è qui con me … quindi mi tocca farlo da sola … In questa vacanza torneremo in qualche posto in cui siamo stati con i nostri figli nel 2019 … e ci verrà un po’ di malinconia … ma aimè … dovremo abituarci a pensare solo per due … loro ormai sono grandi ….

Finita la parentesi amarcord … ci imbarchiamo su un piccolo aereo della Air Link che ci porta in 1 ora a mezza a Maun. Qui controllano i vaccini e chi non lo ha fatto deve fare subito il tampone. Recuperiamo i borsoni e all’uscita troviamo il responsabile della Travel Adventurs. La macchina è parcheggiata lì fuori ma ci spostiamo all’ombra per tutte le spiegazioni del caso. Ci fa una strisciata della carta di credito come garanzia (non ci addebiteranno nulla) e paghiamo il costo per l’affitto di un giorno in più. Quando il Sud Africa ha tolto il tampone anche se in transito, non avevamo più l’obbligo di tornare un giorno prima a Maun, prima di rientrare (il molecolare chiedeva 24 ore per il risultato). Abbevamo quindi fatto richiesta di tenere la macchina fino alla sera prima della partenza ed abbiamo aggiunto una notte al Central Kalahari. L’aggiunta la paghiamo qui.

Vediamo subito che la macchina e le varie attrezzature sono vecchie. Il navigarore non funziona e mancano le bacchette per tenere aperta la tenda (dopo due ore ce li recapiterà al lodge). Chiedo espressamente dell’inverter e il ragazzo me lo indica. Per il resto è tutto ok e ci sono attrezzature che in realtà non ci servono e le lasceremo al lodge (come ad essempio la tenda per creare ombra quando ci si ferma a pranzo, il lavandino da campo e il borsone per ritirare piatti e cose varie). Le due gomme di scorta sono attaccate sul portellone posteriore e le 4 taniche di benzina (già piene e questo ci aiuta non poco) sono legate sul tetto della jeep. Una cosa molto comoda è che sul davanti del tetto c’è la tenda mentre sul retro c’è una struttura in ferro, dove hanno legato le taniche, che noi useremo per mettere le fascine di legna. Questo fa si che guadagnamo molto spazio all’interno del cassone. C’è da dire che le cose che ci danno sono tutte pulite, datate ma pulite. I letti sono già fatti quindi anche questo agevola. Finalmente alle 15.30 partiamo. Che gioia!!!!

Informazioni su Maun:

http://www.madbookings.com/maun-botswana.html

 

Maun è sita nel centro-nord del paese. Il nome deriva da un termine San “Maung”: canneti bassi. Maun è diventata la capitale del turismo grazie alla sua vicinanza con il delta dell’Okavango. Si presenta come un simpatico paesone pieno di vita e fascino “African style”. La sua posizione strategica vicino al delta dell’Okavango l’ha resa in pochi anni un centro importante dell’economia del paese. Tutte le compagnie turistiche hanno i loro uffici qui a Maun e il piccolo aeroporto vede decolli e atterraggi di piccoli aeromobili quasi come l’aeroporto internazionale di Johannesburg. Con una popolazione di circa 30.000 abitanti possiamo tranquillamente ammettere che Maun abbia il 100% di persone occupate nel turismo e nell’indotto turistico. Basti pensare che il piccolo aeroporto di Maun è considerato uno dei più congestionati dell’Africa. Ci sono ristoranti, banche, market ecc.ecc.

 

Uffici del DWNP (S19 59.056 E23 25.844) (orari: lu-ve 7.30/16.30; sa 7.30/12.45 e 13.45/16.30; do 7.30/12.45) si possono pagare con carta di credito le entrance fees dei parchi.

 

Market:

– Spar Delta: Plot 692, Unit 3, Makoro Shopping Centre (orari: 8.00-20.00 lu-ve / 8.00-18.00 sa / 8.00-17.00 do)

(nella zona dove ci sono Nando’s e KFC. Si lascia la Tsheke Tsheko Road e si imbocca la Tsaro Road. Subito dopo, sulla destra si entra in una piazza dove ci sono market e banca)

– Shoprite: (molto più rifornito dello Spar Delta) Maun Old Mall, Plot 742, Tsheko- Tsheko Road ( si trova allo svincolo tra Tsheke Tsheko Road e  la Tsaro Road)

 

 Per la carne:

– Delta meat Deli (vicino al Riley’s Shell garage – orari: lu/ve 7.30/17.00 e sa 7.30/13.30 – http://www.deltameatdeli.net/)

– Beef Boys (di fronte all’Engen garage e allo Spar Ngami Center – orari: lu/ve 9.00/17.30 e sa 9.00/14.00 -http://beef-boys.com/)

 

Per i liquori e la birra: Tops! nella piazzetta dello Spar Delta

 

Banca: nella piazzetta dello Spar Delta

 

Benzinai: si

 

Meccanici: si

 

Lavanderia: nel centro commerciale The Mall

 

Ristoranti:

– Mark’s (solo a pranzo)

– Okavango Brewery (birreria)

– Sedia Hotel

Conosciamo Maun quindi viaggiamo senza navigatore. Andiamo a fare la spesa allo Spar Delta (dobbiamo fare due giri perché prendiamo anche 10 bomboloni da 5 lt di acqua …), al Tops! per birra e vino (ottimi vini sudafricani) e poi allo Shoprite per le cose che non abbiamo trovato allo Spar. Vedendo che quest’ultimo è molto più rifornito, consiglio di venire qui. Tutti indossano la mascherina (vedremo anche pastori lungo le strade, che camminano da soli, che ce l’hanno) e all’ingresso di ogni negozio (anche nei gate dei parchi dove andremo), c’è sempre un addetto con l’igenizzante per le mani. Sono molto scrupolosi. Carichiamo tutto sul sedile posteriore e per terra per non aprire il cassone. Non ci sta più neppure uno spillo …. E poi andiamo al lodge. Sono le 17.00.

Pernottamento: The Waterfront Guesthouse – lodge

– (http://maunwaterfront.com/) – (River side, between exit 7 and 8 Disaneng)

– Costo a camera: € 129 con colazione.

Ci accoglie il proprietario, un signore bianco molto gentile. Il posto è semplice, un po’ datato, ma grazioso (è più bello il Crocodile Camp dove eravamo stati nel 2019), le camere spaziose si affacciano tutte sul fiume Tamalakane. Nel fiume c’è acqua (ricoperta di ninfee) ma non scorre. Lo farà solo da giugno ad agosto quando arriveranno le acque dell’Okavango. Svuotiamo completamente la macchina e sistemiamo tutto in modo tale da avere le cose ritirate con criterio e comode da prendere in caso di necessità. Ci sono due cassetti che si aprono dal portellone posteriore. Sono della stessa lughezza del cassone, quindi molto capienti. In uno sistemo tutto il cibo, nell’altro le cose di servizio. Le pentole sono in un contenitore di plastica a parte, come pure la griglia ed il simil sgabello in ferro da mattere sul fuoco per appoggiare le pentole. Decido che il telo per il sole non ci serve (ingombrante e pesante) come pure il lavandino da campo e il contenitore porta piatti. Li lascio al signore del lodge e li prenderemo al rientro (ha un locale dedicato per chi vuole lasciare le cose che non servono durante il viaggio). Il sole tramonta alle 18 ma c’è luce fino alle 18.30 abbondanti. Andiamo a cena all’Okavango Brewery. Lo raggiungiamo in macchina quando ormai è completamente buio. Si tratta di una birreria (produzione propria) con i tavoli in legno all’aperto. Indossiamo un pile e abbiamo i pantaloni lunghi. C’è un po’ di umidità quindi fa freschino. Mangeremo molto bene, filetto alla griglia con verdure e patate e la birra è buona (Pule 450 € 36). Torniamo in hotel. Siccome hanno acceso il fuoco, Pier rimane un po’ fuori  a fare due chiacchiere con il proprietario e a bere un liquore con lui. Io dormo …….

 

 

3) 17 aprile 2022 domenica – km.165 (148 asfalto + 17 sterrato):  

Maun – Khumaga (Makgadikgadi N.P.)

 

Strada: viaggiamo per 147 km.(h.2) tutto su asfalto percorrendo la A3 fino a Motopi e poi sulla A30 fino a Khumaga (gps S 20°15’24”  E 25°14’17”). – ferry (pule 150 € 12) per raggiungere il Khumaga Camp oltre il fiume (gps S 20 27.283 E 24 30.985)

 

Market: Motopi (basico) e piccolo e con poche cose a Khumaga

 

Barriera veterinaria: prima di Motopi

 

Questa mattina facciamo con calma. Facciamo colazione e quando abbiamo sistemato tutto, partiamo. Andiamo agli uffici del DWNP di Maun (dove si può pagare anche con carta di credito) (S19 59.056 E23 25.844) (orari: lu-ve 7.30/16.30; sa 7.30/12.45 e 13.45/16.30; do 7.30/12.45) e paghiamo le entrance fees per entrare nei parchi. Costano BWP 190 (€ 14,75) adulto  + BWP 75 (€ 5,72) auto. Totale pagato: € 379 (Pule 4.550) per 10 giorni. Andiamo ancora al market Shoprite ad acquistare due cose per pranzo e poi partiamo. Sono le 10.30. La prima cosa che notiamo è il verde … quando avevamo fatto questa strada, nel 2019,le piante erano secche e l’erba, che costeggia l’asfalto, era gialla. Le piogge sono finite in questi giorni quindi i colori sono davvero belli e l’aria è tersa. Dobbiamo comprare la legna. Stare nei parchi con il buio, senza fuoco, è paricolosissimo. Oggi è Pasqua quindi non ci sono banchetti dove poterla compare. Ne vediamo solo uno con la legna esposta ma, quando ci avviciniamo, non arriva nessuno. Se avessero messo i prezzi ed una cassetta dove mettere i soldi, avremmo potuto prenderla, ed invece niente. Ci sono molti animali lungo la strada, molti  anche sulla carreggiata. Bisogna fare attenzione perché possono attraversare all’improvviso. Abbiamo notato che le mucche adulte si avvicinano all’asfalto e se arriva una macchina si fermano. Quando passa, attraversano. La prima volta che lo abbiamo visto fare, siamo rimasti davvero stupiti … ma poi ci siamo resi conto che è la prassi …  discorso diverso per i vitellini ma soprattutto per gli asini. Con questi bisogna fare doppiamente attenzione. Comunque basta andare piano. Gli animali ci sono soprattutto nelle vicinanze dei villaggi. Questi, la maggior parte delle volte, non li si vede. Sono nascosti nella vegetazione ma si capisce che ci sono perché, lungo la strada, mettono vari oggetti per identificare l’ingresso dei sentieri che portano alle capanne. Praticamente ogni oggetto (per lo più cose in plastica rigida o bandiere di vario colore) è come se indicasse un numero civico … io abito alla bacinella rossa appesa a testa in giù su un ramo … oppure al pezzo di stoffa blu attaccato al ramo di un’acacia … e via dicendo ….. obiettivamente su km e km di strada dritta ed uguale … è difficile anche per chi ci abita .. tornare a casa …

Pier inchioda di colpo e dice: a bordo strada c’è un puff adder (vipera soffiante) … facciamo inversione e torniamo indietro. Non so come ha fatto a vederlo … ma effettivamente è proprio lui …peccato che ha la testa schiacciata da una macchina. Era un bell’esemplare grosso. Lo avevamo già visto all’Etosha e al Kgalagadi, sarebbe stato bello vederlo di nuovo … vivo. Raggiungiamo la barriera veterinaria prima di Motopi. Ci fanno scendere a disinfettare le scarpe e poi passiamo con la macchina in un avvallamento contenente lo stesso liquido. Non ci chiedono se abbiamo carne. In due ore, da Maun, raggiungiamo Khumaga. Questo piccolo villaggio prende il nome dai tuberi commestibili che vengono raccolti in quell’area. Abbiamo il problema della legna. Non abbiamo trovato nessun banchetto lungo la strada. Chiediamo, nel paese, ad alcuni signori ma nessuno sa dove poterla acquistare. Andiamo nel piccolissimo market. La signora fa una telefonata e ci dice che la vendono al Boteti River Camp. Abbiamo una prenotazione là tra 6 notti. Raggiungiamo il camp velocemente e ne approfittiamo per prenotare la cena, per quando verremo a dormire. Compriamo 5 fascine di legna a Pule 25 € 2 l’una. Non sappiamo che tipologia di legna sia, ma in Botswana si trova solo questa e non brucia molto bene. Chiediamo all’addetto del Camp info per il traghetto che consente di attraversare il fiume Boteti, per accedere al parco. Ci accompagnerà lui. (gps S20 27.384 E24 31.001) (https://www.youtube.com/watch?v=XgeyID_S6-Y). Ci chiediamo come avremmo potuto fare nel caso in cui non ci fossimo rivolti al Camp perché, quando arriviamo là, non c’è nessuno. In realtà c’è un cartello con le regole ed un numero di telefono dove chiamare. Quando il fiume scorre, le macchine salgono una per volta e poi tirano a mano una corda che porta la chiatta dall’altra parte. Quando è asciutto si passa direttamente nel letto del fiume. Quando è come ora, con acqua ma non tanta, si deve usare la chiatta come ponte perché nel punto in cui l’hanno lasciata, è profondo. Il pelo dell’acqua è coperto di ninfee fiorite. Molto bello. Avevamo visto un video, su un gruppo facebook di una settimana fa, dove riprendevano una jeep con il trailer, che attraversava direttamente. Non so come ha fatto a non bloccarsi, l’acqua arrivava a metà portiere. Il costo del traghetto è di Pule 150 (€ 12). Entriamo quindi nel Makgadikgadi National Park (solo per 4×4) dal Khumaga Gate (gate ovest). Il campeggio (ce ne solo tre nel parco e questo è l’unico con servizi) è poco dopo, sulle rive del fiume.

Informazioni sul Makgadikgadi National Park:

– http://www.botswanatourism.co.bw/explore/makgadikgadi

– http://www.madbookings.com/botswana/information/makgadikgadi-botswana.html

– https://africageographic.com/blog/chapmans-baobob-one-of-africas-largest-trees-falls/ (Champan’s baobab)

– http://geographical.co.uk/places/deserts/item/2137-the-enduring-legacy-of-the-fallen-baobab (Champan’s baobab)

 

Conservation Fees da pagare in contanti: BWP 190 (€ 14,75) adulto  + BWP 75 (€ 5,72) auto

Orari: da aprile a settembre 6.00/18.30 – da ottobre a marzo 5.30/19.00

accessibile solo con 4×4 –  al gate danno una mappa non molto dettagliata

Si può pernottare al Khumaga Wildlife camp (10 posti) (con bagni ed acqua) oppure Tree Island (3 posti) e Njuca Hills (2 posti) (con wc e doccia con il secchio – no acqua)

 

Tutte le strade all’interno del parco sono accidentate e in molti casi molto sabbiose, quindi è essenziale, oltre che obbligatorio, avere un veicolo 4×4. Ci sono 4 gate: Khumaga ad ovest (traghettando la macchina sul fiume Boteti Pule 200 € 16); Phuduhudu, Makolwane e Xirekara  (ora dovrebbe essere chiuso) a nord. Le Makgadikgadi Pans rappresentano  una delle più grandi depressioni saline al mondo. Hanno un’estensione di  12.000 kmq. Makgadikgadi significa vasta terra aperta senza vita. Fanno parte di quest’area il Makgadikgadi National Park e lo Nxai Pan National Park che si trovano nella parte ovest e nord ovest della depressione. Il Makgadikgadi National Park è la parte occidentale delle Makgadikgadi Pans. Il parco nazionale è stato dichiarato riserva di caccia nel 1970,  nel dicembre 1992 i confini sono stati ampliati fino a raggiungere le dimensioni attuali, circa 4900 chilometri quadrati. E’ contraddistinto da un paesaggio alieno, pianeggiante e decisamente spoglio. Durante la maggior parte dell’anno l’acqua non arriva, ne sottoforma di fiumi ne di pioggia.  Il clima è estremamente arido e, pertanto, mancano i grandi mammiferi. Durante i periodi di pioggia intensa, caratterizzati da abbondanti e continue precipitazioni il pan si riempie d’acqua attirando numerosi animali: zebre e gnu pascolano sulle pianure ricoperte d’erba fresca, le colonie di fenicotteri colorano l’acqua e le sponde delle due depressioni. Oltre all’acqua piovana, che si riversa nelle depressioni, si aggiungono anche i fiumi stagionali Nata, Tutume, Semowane e Mosetse. In anni con eccezionale piovosità anche le acque del fiume Okavango arrivano a riempire le conche del Makgadikgadi tramite il fiume Boteti. In questo periodo dell’anno le depressioni saline si trasformano in laghi azzurri, le cui acque lambiscono le sponde con un delicato sciabordio delle onde e scorrono sulla spiaggia ciottolosa, una chiara testimonianza del gigantesco lago preistorico.  Il bacino di Makgadikgadi è composto da diverse depressioni, le più grandi delle quali sono Sowa e Ntwetwe, circondate da innumerevoli altre piccole conche. A nord sono situate le conche di Kudiakam Pan, Nxai Pan e Kaucaca Pan. Tra queste conche sono intercalate dune, isole rocciose, penisole e aree desertiche. Sulla superficie salata delle conche non cresce vegetazione, mentre le zone marginali sono ricoperte di erba. Su alcune delle antiche sponde si ergono giganteschi baobab, le cui sagome al calar del sole creano suggestive immagini paesaggistiche. Durante il periodo delle piogge questa riserva offre buone possibilità di avvistamento degli animali selvatici, in particolare quando i grandi branchi di zebre e gnu iniziano le loro migrazioni verso la regione occidentale di Boteti. Le zebre, circa 30.000 compiono la seconda più grande migrazione d’Africa. Dai territori del nord-est, arrivano qui nel mese di marzo. Tra le specie animali ospiti in questa area ci sono antilopi alcine e alcefali, ma anche kudu, tragelafi, cefalofi, giraffe, antilopi saltanti, raficeri campestri ed elefanti, oltre ai predatori come le rare iene brune.

Pernottamento: Khumaga Wildlife Camp n°KK4 (fa parte dei SKL Camp)

– campeggio (autonomi per cena e colazione)  (gps S 20 27.283 E 24 30.985)

– Costo a testa: USD 50 (€ 44)  – tot.€ 88

– Ci sono 10 posti campeggio (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone) – bagni – braai – non è recintato

– https://sklcamps.com/our-camps/

– https://www.selfdrive4x4.com/en/accommodation/khumaga-campsite/

– http://www.namibweb.com/khumaga.htm

 

Attraversiamo quindi il fiume Boteti usando la chiatta come ponte, scendendo andiamo parecchio sotto il livello dell’acqua. Arriviamo al gate, mentre Pier sgonfia le gomme io vado agli uffici ma li trovo chiusi quindi non ci registreremo. Arrivando al camp vediamo due elefanti e diversi impala. Che bello potersi trovare di nuovo, dopo tanto tempo, in un parco in mezzo agli animali. Andiamo al micro ufficio del camp dove una ragazza con dei lineamenti bellissimi, ci registra, ci fa firmare un foglio di scarico responsabilità e ci dice di stare attendi ai cercopitechi verdi (velvet monkey). Andiamo alla piazzola n°4, dove dormiremo questa sera. Come ricordavamo il campo è ben tenuto. Tutte le mattine gli addetti rastrellano la piazzola togliendo le foglie,  puliscono le immondizie ed il braai dalla brace della sera prima. Sono le 14 ed abbiamo parecchia fame ma non cuciniamo nulla perché abbiamo premura di arrivare alla hippo pool. Mangeremo al volo creckers, il mitico ceddar e altre cose così … non facciamo in tempo ad aprire il portellone che …. arrivano le rompiscatole delle scimmiette. Bisogna fare davvero attenzione perché riescono a rubare tutto … Qui eravamo stati con i nostri figli nel 2019 … guardiamo la piazzola dove avevamo dormito con loro … con nostalgia …. Ripartiamo quasi subito diretti verso i punti panoramici sul fiume. Notiamo che ci sono un’infinità di bucceri (uccelli con un grosso becco giallo che sembrano vagamente a dei pappagalli), vediamo qualche zebra e poi, quando ci siamo avvicinati al fiume, l’occhio ci casca su un elefante che sta bevando poco più avanti. Gli elefanti al bagno sono una delle cose che mi piacciono di più dell’Africa. Tutti contenti cerchiamo di raggiungerlo ma ….. foriamo la gomma!!! E’ la prima volta in tutti i nostri viaggi africani. Quasi subito si fermano due signori sudafricani e lui si fa in quattro per aiutarci. Dopo si ferma un altro signore e poi l’autista di un game drive. C’è sempre molta solidarietà. Sarà un lavoro complicato perché la sabbia è molto profonda. Kevin, il nostro primo aiutante, ci dice che abbiamo le gomme troppo molli. Le avevamo portate tutte e 4 a 1.5. Lui dice di tenerle 2 davanti e 2,5 dietro (essendo più pesanti sul posteriore). (le terremo sempre così, a parte sull’asfalto). Se poi ci si insabbia, le si abbassa ancora un po’ ma poi è bene rigonfiarle. Giustamente dice che se sono troppo molli fanno la pancia e quello è il punto in cui si fora, non sul battistrada che è duro. Comunque nel 2019 quanto noi, quanto i nostri compagni di viaggio, le abbiamo tenute tutte ad 1,5 per tutto il viaggio e nessuno aveva forato. Su questo argomento, ogni persona alla quale abbiamo chiesto, ci ha dato numeri diversi. Il ragionamento giusto, secondo noi, è quello che ci ha fatto Kevin. Perdiamo un’ora con questa storia quindi è troppo tardi per andare alla hippo pool. Che nervoso. Dobbiamo capire quanto tempo impieghiamo ad organizzare tutto prima che venga buio quindi torniamo al camp. Nel mentre salta fuori da dietro ad un cespuglio un bel maschione di elefante. Povero … si è spaventato … e ci mostra le sue dimensioni spalancando le orecchie. Arriviamo al camp alle 17.30. Abbiamo solo ½ ora prima del tramonto quindi Pier accende il fuoco mentre io organizzo per la cena, preparo i thermos per domani (uno con il the ed uno con il caffè, li facciamo sempre la sera in modo tale da non dover perdere tempo al mattino, tanto tengono la temperatura) usando la teiera posizionata sul fuoco, apriamo la tenda e poi andiamo nei bagni a fare la doccia. Oggi ha fatto parecchio caldo ma con il calare del sole le temperature scendono. Per fortuna i cercopitechi sono andati a dormire. Per cena facciamo bistecche alla griglia con verdure. Se si cucina la carne nei parchi non recintati, bisogna avere la grande accortezza di mettere subito in macchina i contenitori sporchi di sangue, in sacchetti ben chiusi. L’odore del sangue viene captato dai predatori anche da lontano, può essere molto pericoloso. Una volta che la carne è sul fuoco non c’è problema perché l’odore della griglia e quindi della carne cotta, è una cosa che a loro non interessa perché non è il loro cibo. Sistemiamo tutto e poi rimaniamo fuori a guardare il fuoco e le stelle. Cerco come prima cosa la Croce del Sud, è inconfondibile … è l’unica costellazione che conosco. Stiamo fuori fino alle 20.30. Siamo abbastanza tranquilli perché le altre piazzole sono tutte intorno a noi, sono distanziate ma se dovesse passare qualche animale, verrebbe notato da altre persone prima che arrivi da noi. Stare vicino al fuoco a guardare le stelle è qualcosa di impagabile. Ci ritiriamo poi nella nostra tendina. Siamo super felici di essere di nuovo qui.

 

 

4) 18 aprile 2022 lunedì – km.104 (104 sterrato):  

Khumaga – Tree Island (Makgadikgadi N.P.)

 

Strada: tutto sterrato nel parco – il Tree island Camp dista 45 km. (h.2) su sabbia da Khumaga (gps S 20.4891° E 24.9181° oppure S 24°29’21’’ E 24°55’5’’)

Mettiamo la sveglia alle 6.00 ma è troppo buio quindi aspettiamo ancora un attimo a scendere. Questa notte non abbiamo sentito nessun verso di animale. Faremo sempre in modo di non lasciare mai nulla fuori dalla jeep quando andiamo a dormire, così al mattino  dobbiamo solo chiudere la tenda. Ce la prendiamo comodi e partiamo alle 7.30. Ci indirizziamo alla hippo pool … sperando di arrivarci … facciamo i vari loop che portano ai punti panoramici e poi imbochiamo la prima strada che scende al fiume. Da qui fino agli ippopotami, si viaggia costeggiando l’acqua. Il paesaggio è verdissimo, lo ricordavamo quasi desertico. D’altronde nel 2019 aveva piovuto pochissimo ed un numero importante di animali erano morti. Ne hanno parlato tanto in tutti i gruppi Facebook africani nei quali sono. Addirittura all’Elephant Sands lodge, vicino a Nata, portavano l’acqua con le cisterne. Quello è un punto di passaggio per gli elefanti quando si spostano da un parco all’altro. Ricordo che a centinaia sono morti a Hwange, il primo parco con l’acqua che trovano in Zimbabwe ed il primo posto utile dopo questo lodge. Arrivavano stremati e morivano per la disidratazione. Quindi la realtà di quell’anno era estrema anche come paesaggi. Quest’anno per fortuna le piogge sono state abbondanti. Ci fermiamo in un punto con molta visuale a fare colazione e a sistemarci. Vediamo pochi animali, più che altro impala ed uccelli come avvoltoi, cicogne e marabù ed uno sciacallo della gualdrappa (black backed jackal). Arriviamo alla hippo pool. Purtroppo oggi è nuvolo, l’unico giorno in cui troveremo il cielo coperto. Per il resto sempre sereno con grandi nuvole molto scenografiche. Nel fiume ci saranno più di 20 ippopotami … siamo da soli quindi rimaniamo per più di un’ora a goderceli. Io li adoro, sono brutti ma mi piacciono un sacco …. Mi scoccia per il cielo coperto perché ci tenevo tanto a fare delle belle foto. Chiederò al Pier di riportarmi qui nei prossimi giorni, quando ripasseremo per Khumaga ….proprio per fotografare gli ippopotami con il sole …. ma non ce la faremo, aimè.

Nel fiume ci sono tante ninfee fiorite e vediamo due grossi coccodrilli ed uno più piccolo. Quest’ultimo ha la brillante idea di spostarsi da una riva all’altra passando in messo gli ippopotami, credando il finimondo … versi ed acqua ovunque. Loro convivono abbastanza, a meno che non ci sia poca acqua. In questo caso gli ippopotami diventano più territoriali. I coccodrilli possono attaccare i piccoli hippos e mangiano quelli grandi se muoiono. Per il resto si tollerano. Torniamo al camp viaggiando sempre sul riverfront. Impieghiamo ½ ora senza fermarci. Andiamo al ferry a fotografare le ninfee, visto che nel mentre è uscito il sole …. Che nervoso, c’erano nuvole solo quando eravamo alla hippo pool…. Alle 11 partiamo diretti al centro del Makgadikgadi, a Tree Island, dove dormiremo. Da qui in poi, fino a domani in mattinata, non avremo segnale del telefono. La strada è formata da soli due binari di sabbia tra cespugli, all’inizio, e poi in mezzo a distese di erba. Per fortuna la macchina ha una retina attaccata alla parte davanti della macchina perché c’è l’erba alta più di ½ metro, anche tra i due binari. Quella evita che pezzi d’erba finiscano nel motore. Ogni tanto dovremo pulirla. Sui binari ci sono tante cacche di elefante quindi, quando passiamo su quelle fresce ….., sale sempre un buon profumino. Lo sterco non sarebbe mai da schiacciare perché spesso ci sono i dung beetle (scarabei stercorari) al lavoro. Loro passano le giornate a fare palline grosse come quelle da golf, con lo sterco di elefante, e poi le sotterrano (scorte di cibo per i tempi di magra …). In realtà questa cosa è importantissima, specialmente nelle zone più aride, perché tutti i semi delle piante mangiate dagli elefanti (non vengono digeriti ed escono intatti), vengono posizionati sotto terra quindi hanno più possibilità di germogliare e crescere. Noi ne vedremo per la prima volta, uno nello Nxai pan, i prossimi giorni. Ne avevamo visti alcuni in una teca al visitor center dell’Addo National Park (laggiù ce ne sono molti). Sono di forma arrotondata e grossi quasi quanto le palline che creano. Nel tratto da Khumaga fino a dove ci fermeremo a pranzo, a Njuca Hills, percorso in 1 ora e mezza, non vedremo nessun animale. Ci fermiamo in una delle due piazzole del campeggio. Sono gestite dal DWNP e sono un po’ trascurate. D’altronde questa zona è visitata solo in questo periodo (visto che c’è la migrazione delle zebre) e comunque poche persone vengono fin qui, è fuori dalle rotte più famose. Fa caldo e mangeremo seduti sul pianale del cassone. Vedo una cacca di elefante bella lucida … ovviamente vado ad analizzare … è fresca …. Quando ci spostiamo in macchina, vedremo in lontananza chi l’ha prodotta …… Il paesaggio è una distesa piatta di erba. Raggiungiamo velocemente, il camp dove pernotteremo, il Tree Island Camp. La piazzola n°1 (la più bella perché si affaccia sul pan che ha ancora acqua) è occupata, la 2 è libera e noi ci posizioniamo nella nostra, la n°3. E’ quella più chiusa nella vegetazione e quindi la meno bella. Vedendo che poi nella 2 non è arrivato nessuno, avremmo anche potuto spostarci. Pazienza. E’ presto per fermarci qui quindi percorriamo l’altra strada che torna verso Njiuca Hill. Dopo un paio di km. ci troviamo circondati da un numero pazzesco di zebre… abbiamo trovato la grande migrazione!!! E siamo fortunati a trovarle vicino alla strada, vista l’immensità del posto, avrebbero potuto essere ovunque. In un punto del pan c’è parecchia acqua quindi le vediamo con le zampe a mollo. Immagine davvero bella!! Quando le pozze effimere si asciugheranno, si sposteranno tutte verso la Moremi. Torniamo poi al pan vicino al camp e scendiamo a fare due foto. C’è ampia visibilità. Nel pan c’è ancora un po’ di acqua nella quale si riflettono le nuvole. Nel fango ormai secco ci sono impronte di elefante e di iena. Andiamo poi al camp. La doccia ed il wc sono nelle due classiche strutture in legno a spirale. Il secchio della doccia è rotto quindi lo toglieremo e al suo posto mettiamo la nostra doccia da campo. Facciamo sempre in modo di riempire due bomboloni da 5 lt con l’acqua o del gavone della jeep o con quella presa ai distributori, e di tenerli al sole tutto il giorno, in modo tale da fare la doccia abbastanza calda. Ceniamo alle 17.30 in modo tale da aver sistemato tutto prima che venga buio. Con tanta vedetazione vicina alla macchina, bisogna prestare più attenzione. La cena sarà a base di cus cus con carne trita cotta con pomodori e peperoni …. Questa sera troveremo molte zanzare quindi alle 19.00 ci ritiriamo. Ci siamo organizzati con delle torce, che si possono appendere nella tenda in modo tale da avere luce per poter leggere. C’è la luna piena quindi le stelle rendono un pochino di meno come luminosità. Prima di dormire, tutte le sere, ci metteremo sdraiati con la testa fuori dalla tenda per guardare il cielo, stare giù non ci lascia molto tranquilli … Lo scopiettare del fuoco crea una bella atmosfera …. I cieli africani sono sempre qualcosa di meraviglioso.

 

Pernottamento: Tree Island Campsite n°3

– dwnp@gov.bw  – lo gestisce il DWNP

– campeggio (autonomi per cena e colazione)  – (gps S 20.4891° E 24.9181° oppure S 24°29’21’’ E 24°55’5’’)

– Costo a testa: Pule 80 (€ 7) – Tot. € 14

– Ci sono 3 posti campeggio – bagni e doccia con secchio – non c’è acqua – c’è il braai – non è recintato

 

 

5) 19 aprile 2022 martedì – km.200 (82 asfalto + 118 sterrato):

Tree Island (Makgadikgadi N.P.) – South Camp (Nxai Pan N.P.)

 

Strada: viaggiamo su sterrato per circa km.60 (h.1 e 1/2) fino all’uscita dal parco (Makolwane Gate (S 20°40’298 E24°31’853) poi km.15 di asfalto sulla A3 fino a Gweta (gps S 20° 11′ 26” E 25° 15’53”). Torniamo indietro dalla stessa strada, sempre asfalto per km. 67 (h.1) , fino al gate dello Nxai Pan (gps S 20°13’52 E 24°37’13”  oppure S 20 13.838 E 24 39.251 oppure S 20°23.008′ E 24° 65.433′). Da qui si entra nel parco tutto sterrato fino al South Camp (km. 35 in 1 h. e 10) dove dormiremo (gsp S 19 56.186 E 24 46.580)

 

Market: Saverite a Gweta (abbastanza rifornito – vendono la birra)

 

Gommista: si

 

Benzina: si

 

Alla reception del South camp c’è un piccolo negozio dove acquistare, tra l’altro, legna.

Mettiamo la sveglia alle 6.00 ma aspettiamo a scendere perché non c’è assolutamente visibilità. Tutte le mattine troveremo la tenda bagnata per l’umidità ma non tanto come in questo posto, ecco spiegata la presenza delle zanzare. Partiamo alle 6.45. L’allungheremo un pochino ma decidiamo di  raggiungere Njuca Hills dalla strada più occidentale. Passiamo nel punto in cui c’erano le zebre e non ne vedremo neppure una … siamo stati proprio fortunati ad averle incontrate ieri. Ci fermiamo poco oltre a fare colazione. I thermos fatti la sera prima sono davvero comodi altrimenti ora dovremmo tirare giù il fornelletto e perderemmo tempo. Guardo per terra e ci sono tante impronte nel fango ormai secco, la maggior parte sono di zebra ma qualcuna anche di sciacallo. Siamo circondati da cespuglietti di salvia selvatica. Se io penso al profumo dell’Africa, penso proprio a questo. Ci piace davvero tanto. Nel silenzio più completo, rotto solo da qualche canto di uccellino, sentiamo l’inconfondibile ruggito del leone. È lontano ma ci fa scattare subito l’adrenalina di trovarlo … anche se, in questa piana, è praticamente impossibile, visto che c’è solo una pista e non si può uscire da questa. Allo svincolo, che porta a sinistra a Khumaga, la strada che dalla quale siamo arrivati ieri, vedo le impronte chiarissime e ancora non rovinate dal vento …. di un leone. Va nella direzione dalla quale siamo arrivati noi … ruggisce di nuovo e la direzione è alle nostre spalle quindi non avremo più possibilità di trovarlo. Poco oltre vediamo 3 elefanti nell’erba gialla molto alta, hanno tutti le proboscidi alzate … fiutano chissà quale odore. Sullo sfondo ci sono delle palme macalani, i frutti delle quali, in Namibia, vengono usati per fare portachiavi intagliati. Proseguiamo viaggiando su una pista sabbiosa ma semplice. Arriviamo ad uno svincolo dove ci sono dei ruderi di quello che poteva essere un vecchio gate. Tempo effettivo di viaggio fino a qui da Tree Island: 1 ora. Ritroviamo il segnale del telefono. Questa strada è di sale battuto molte bene. Non è molto frequentata quindi la vegetazione sta crescendo in vari punti e ci sono dei buchi. E’ una distesa anche di cacca di elefante. Raggiungiamo il Makolwane Gate (S 20°40’298 E24°31’853) dopo ½ ora di viaggio. Non c’è nessuno quindi usciamo senza controlli. Dopo 15 km. troviamo la statale A3 che da Nata porta a Maun. Vedremo una scena molto brutta. C’è un camion fermo a sinistra e tanti asinelli che guardano in quella direzione …. Mi si è gelato il sangue perché ho subito capito. Ci avviciniamo e vediamo un lago di sangue. Un asinello è finito sotto le ruote e quello che resta è a bordo strada dietro al camion. L’altro è integro ed è appena fuori dalla carreggiata, sul lato opposto. Questo probabilmente l’ha preso solo con la parte anteriore del tir. E gli altri guardano …. Ci sono troppi animali lungo le strade e i mezzi pesanti non riescono a fermarsi di colpo se un animale attraversa la strada all’improvviso. Il camion non può più viaggiare. Devono chiamare i soccorsi. Noi proseguiamo senza dire una parola. Davvero brutta immagine. Raggiungiamo Gweta velocemente (gps S 20° 11′ 26” E 25° 15’53”). Andiamo subito in “centro” dove vediamo l’officina del gommista … 4 lamiere 2×2 … attaccate ad una palma …. Arrivano subito 3 ragazzi ad aiutarci. Impiegheranno una mezz’oretta. Nel mentre noi andiamo a fare la spesa da Savetite (qui vendono sia cibo che alcolici nello stesso negozio). Siccome fanno entrare in numero limitato per il Covid, ci sono alcune persone fuori in fila che aspettano. Quando noi ci avviciniamo, si spostano tutte e risulta che nessuna è in coda. Idem quando pagheremo alla cassa. Questa cosa ci da fastidio. Non è giusto che noi, in quanto bianchi, dobbiamo passare davanti a loro. Possiamo aspettare il nostro turno, ma non c’è verso di fargliela capire. Facciamo un minimo di spesa, c’è anche il macellaio. Andiamo a recuperare la gomma che ci costa Pule 200 (€ 16). Andiamo a fare benzina al distributore sulla strada principale. Ho le batterie della macchina fotografica quasi scariche quindi prendo il cavo, abbasso il sedile posteriore della macchina e ….. mi accorgo che ci vuole un adattatore particolare …. che non ci hanno dato … mai successo, le altre volte in cui ho fatto espressamente richiesta dell’inverter, collegavo direttamente la mia spina. Vado in panico …. Poi la risolveremo. Torniamo indietro sulla A3 diretti allo Nxai Pan. Volutamente non guardo quando ripassiamo vicino agli asinelli. Percorriamo 67 km. in 1 ora. Troviamo prima del gate, un grosso elefante sull’asfalto. Qui passano da parco a parco quindi non è difficile trovare animali selvatici sulla strada, oltre a mucche ed asini, quindi è sempre fondamentale andare piano ed evitare di viaggiare di notte. Arriamo al gate (gps S 20°13’52 E 24°37’13”  oppure S 20 13.838 E 24 39.251 oppure S 20°23.008′ E 24° 65.433′).  Sentiamo un rumore folle di ferro. Ci spavantiamo. La prima idea è che siamo passati su delle griglie per terra. Pier torna indietro, nessun rumore. Avanza… e di nuovo rumore folle. Un signore ed una signora, responsabili del gate, escono di corsa a vedere cosa è successo. Per farla preve abbiamo la fortuna immensa che questa cosa sia successa qui, non nel parco, e che questo signore è molto ferrato in materia meccanica. Ci fa andare avanti ed indietro e capisce subito che il problema è il differenziale. Chiediamo a lui di parlare al telefrono con il responsabile della macchina. I terimini tecnici proprio non li conosciamo. Lui ci dice di fare una prova. Togliamo il 4×4 e facciamo qualche km. Senza 4×4 il rumore non c’è quindi ci dice che i meccanici ci raggiungeranno nel nostro camp domani mattina alle 10.00. Noi preferiremmo non avventurarci su piste sabbiose con questo problema. Facciamo presente che siamo solo ad 1 ora e ½ su asfalto da Maun ma non ci sono possibilità perché i meccanici non sono disponibili. Ringraziamo infinitamente il responsabile del gate, facciamo la registrazione di ingresso e partiamo dopo aver sgonfiato le gomme. Abbiamo perso 1 ora.

Informazioni sullo Nxai Pan:

 

Conservation Fees da pagare in contanti: BWP 190 (€ 14,75) adulto + BWP 75 (€ 5,72) la macchina

Orari: da aprile a settembre 6.00/18.30 – da ottobre a marzo 5.30/19.00

accessibile solo con 4×4 –  al gate non danno una mappa

 

Lo Nxai Pan National Park, prima riserva di caccia dal 1970 e poi parco nazionale dal  1992, fa parte dell’area delle Makgadikgadi Pans. Una una superficie di 2578 kmq. Il paesaggio è punteggiato da sparsi aggregati di acacia ad ombrello e mopane. Durante la stagione delle piogge, da novembre ad aprile, l’arido paesaggio delle saline si trasforma in una prateria. Nella parte meridionale del Parco, ai margini dell’area di Kudiakam Pan, una salina per il resto priva di vegetazione macrofitica, si trova un gruppo molto scenografico di baobab, noti come i “baobab di Baines”, dal nome dell’artista bitannico Thomas Baines, che li immortalò in un suo acquerello del 1862. Questo signore faceva parte della spedizione di David Livingston.

Lo Nxai Pan è spettacolare durante la stagione delle piogge quando arrivano un numero impressionante di erbivori. Anche nei restanti mesi dell’anno gli animali sono tanti. Si possono vedere, in base ai vari periodi dell’anno, zebre, gnu, springbok, oryx, giraffe, kudu, varie antilopi, elefanti, leoni, ghepardi, leopardi, wild dogs, bufali, sciacalli, iene marroni e maculate. E’ definito “garden of Eden”.

Una pozza molto frequentata è quella che si trova vicino al gate e la zona di South Camp (c’è una pozza di acqua permanente). A South Camp c’è un campeggio con docce di acqua calda. I bagni sono recintati con elettricità e spuntoni in ferro per terra per evitare che gli elefanti distruggano la struttura cercando l’acqua.

Al Baine’s Baobab ci sono tre aree campeggio (3 jeep per ciascuna massimo 12 persone). La n°1 è a 700 mt dai baobab e ha una vista magnifica sui Baines’ Baobabs, il n°2 e il n° 3 sono distanti 2,4 km. e sono entrambi sotto altri baobab. Non c’è acqua ma c’è una struttura doccia con un secchio dove mettere la propria e poi una struttura a per il wc.

Viaggeremo senza 4×4 e per fortuna non ci insabbieremo. Da qui in poi staremo 3 giorni senza segnale del telefono. In 1 ora e 10 percorriamo i 37 km. che ci separano dal South Camp. Incrociamo alcune macchine e le vediamo molto sporche di fango. Quando arriviamo alla reception del campo capiamo il perché … c’è una mega pozzanghera proprio sulla strada e ne troveremo tante anche nel parco. Ci fermiamo agli uffici e come prima cosa chiedo dove posso caricare la batteria della macchina fotografica. Loro mi dicono di lasciargliela lì perché è l’unico punto in cui c’è corrente. Gliele lascio tutte e due, tanto ora andiamo al camp a pranzare. Sono stati gentilissimi. Qui vendono legna e c’è un micro negozio. Andiamo alla nostra piazzola. E’ la più bella di tutte. E’ isolata quindi non si vede nessun altra macchina. Le altre sono più vicine l’una con l’altra, pur essendo distanziate, quindi non c’è privacy completa. Mangiamo velocemente e poi iniziamo il giro dopo aver recuperato le batterie. C’è un paesaggio completamente diverso da quello trovato ad agosto 2019. Allora era tutto secco, i cespugli con poche foglie e l’erba gialla era bassa. Ora è tutto verde e rigoglioso. Ci sono pozze di acqua piovana ovunque, non solo nell’unica alimentata artificialmente tutto l’anno. Questo periodo dell’anno è perfetto per gli avvistamenti visto che c’è erba fresca. Rispetto al 2019 troveremo delle piste davvero brutte. Con la pioggia si crea il fango sulla strada e le macchine, continuando a passare, creano solchi. Con la fine delle piogge vengono sistemate. A parte nel pan principale, terremo una velocità ridotta al minimo. A volte dovremo fermarci, entrare nel solco in prima e poi uscire. Vedremo tantissimi springbok, poi zebre, gnu, giraffe, elefanti, molti uccelli serpentari (secretary bird), struzzi e kori (kori bustard), 3 giovani kudu super curiosi e due leoni in accoppiamento. La cosa bella di questi giorni è stato il cielo. Il tempo sarà sempre bello ma ci saranno, ogni tanto, dei grossi nuvoloni molto fotogenici che ci regaleranno tramonti bellissimi ed arcobaleni. Andiamo alla pozza principale e poi percorriamo varie stradine. Ci troviamo di fronte un grosso elefante maschio con una zanna sola intorno alla quale tiene la proboscide arrotolata. Avanza deciso tutto molleggiato sventolando le grosse orecchie. Ovviamente gli dobbiamo cedere la strada … visto che non accenna minimamente a cambiare direzione. Facciamo inversione e facciamo un altro giro. Questo cambiamento di programma ci consentirà di trovare i leoni!! Un maschio ed una femmina in amore …. Il maschio è uno spettacolo. Praticamente passeremo con loro tantissimo tempo in questi giorni. Solitamente siamo sempre di corsa e quindi abbiamo poco tempo per gustarci gli avvistamenti. Questa vacanza invece avevamo deciso di viverla molto più lentamente. Li vedremo impegnati in tutte le “faccende da leone” … oltre ad accoppiarsi (praticamente ogni volta in cui siamo tornati da loro) anche in pulizie varie, bisognini, grattatine, sbadigli ecc. ecc. Li averemo a 3 metri dalla macchina. Il maschio ci ha sempre fissati negli occhi e non abbassava mai lo sguardo tranne che per soddisfare lei … quando riteneva fosse il momento. Praticamente sono arrivata alla conclusione che i leoni maschi sono dei poveri sfigati. Quando la femmina è in calore, in qui 3-4 giorni, non mangiano, non bevono, non dormono perché devono essere sempre pronti (lei se la ronfa di brutto) e quando lei decide che è il momento, anche ogni ½ ora … la copre, dura meno di un minuto e poi si becca rinchiate e a volte morsi e graffi. Questo è dovuto al fatto che il pene del leone è ricoperto di peli che pungono. Alla femmina ogni rapposto fa male e alla fine del periodo degli amori, lei potrebbe riportare delle piccole lesioni. Quindi il leone, in questo frangente, mi sempra proprio poverino … Altra cosa da dire è che si spostano proprio solo di poche decine di metri quindi, se si rimane più tempo nello stesso posto, non è difficile ritrovarli, come è successo a noi per 3 giorni. Comunque lui era davvero bello, non tutti i leoni sono belli. Aveva la criniera scura dalla metà in poi, come i leoni del Kalahari. Il vento gliela muove. Spettacolo. Li lasciamo alle loro faccende perché il sole si sta abbassando velocemente. Andiamo alla pozza principale dove vediamo arrivare il nostro elefante mono zanna. Lo vedremo bere con calma. Sono le 17 e dobbiamo andare. Ci scoccia parecchio quindi decidiamo che domani andremo prima al campo a farci la doccia, a lasciare tavolo, sedie ed ad approntare il fuoco e poi rimanere alla pozza fino quando il sole cala.  Così ci potremo godere il tramonto e avremmo ancora ½ ora di luce per aprire la tenda e cucinare. Questa è la cosa negativa del campeggio. Dovendo arrivare al campo e fare tutto prima che il sole cali …ci si perde il momento più bello della giornata. Lasciamo quindi la pozza (l’elefante mono zanna è già andato via …) e con il cielo che tinge di rosso i nuvoloni bianchi, ci indirizziamo al campo. Come sempre Pier accende il fuoco ed io apro la tenda, poi docce e cena. Questa sera faremo pasta con sugo di piselli e … il “mitico” ceddar. Sentiamo i versi delle iene quindi alle 19 ci ritiriamo a leggere.

Pernottamento: Nxai Campsite a South Camp n°NX1 (fa parte dei Xomae Camp)

– campeggio (autonomi per cena e  colazione) – (gsp S 19 56.186 E 24 46.580)

– (https://www.xomaesites.com/camping/11-nxai-south-camp.html)

– Costo a testa: USD 38 (€ 35)  – tot.€ 70

– Ci sono 10 posti campeggio – non è recintato – ci sono i bagni (con elettricità e spuntoni in ferro per terra per evitare che gli elefanti distruggano la struttura cercando l’acqua)

 

 

6) 20 aprile 2022 mercoledì – km.87 (87 sterrato):  

South Camp (Nxai Pan N.P.)

 

Strada: tutto sterrato nel parco

Ci stiamo velocizzando al mattino. Impieghiamo 15 minuti a partire. Arriviamo in mezzo al pan giusto giusto per l’alba. Tutto si colora di rosso ed è molto bella l’immagine degli springbok, in contro luce, davanti al sole, in mezzo all’erba alta. Facciamo colazione e poi gironzoliamo. Vogliamo visitare la parte est del parco ma la vegetazione è troppo fitta e vicina alla strada. Non avendo visitibilità, quindi torniamo indietro. Facciamo il baobab loop (bel baobab) ma anche qui c’è molta vegetazione. Vedremo un cucciolo di zebra appena nato. Torniamo poi a nostri leoni. Ancora foto a non finire. Alle 9.30 andiamo al campo e troviamo la jeep con i meccanici arrivati apposta da  Maun!!! Ci hanno dato una macchina vecchia ma per fortuna sono affidabili in caso di necessità … affidabili ma 21 ore dopo …… Perderemo 3 ore ma risolvaremo il problema. Cambiano il primo blocco del differenziale (non so i termini tecnici ma il pezzo che unisce la ruota al semiasse), fanno un giro ma c’è ancora quel rumore quindi cambiano anche l’altro. Ci dicono che non erano rotti ma vecchi ed usurati … quindi si sarebbero rotti …. Bello ….. poi faccio presente dell’inverter e per questo non hanno soluzione. Non sanno perché si sono dimenticati di darmi l’adattatore. Mi dicono che me lo porteranno al gate del parco domani così dopodomani mattina, quando usciremo, potremo recuperarlo. Per fortuna ho caricato ieri le batterie … altrimenti in questi giorni non avrei potuto fare una foto ……. Ne approfittiamo per mangiare un boccone (diamo anche ai meccanici creckers ed affettati) e poi riprendiamo il nostro giro nel parco per tre ore. Facciamo tutte le stradine possibili ed immaginabili. Siccome di elefanti ne abbiamo visti solo 3, quando arriviamo in un punto in cui ci sono piante di mopane ….. ho subito pensato …. qui ci sono gli elefanti … Ed ecco che ce ne troviamo di fronte, su una strada stretta ed in mezzo alle piante … ben 5 esemplari … Fare retromarcia è d’obbligo. Arriviamo fino ad un quadrivio dove ci fermiamo in modo tale da avere altre 2 possibilità di fuga … in base a dove vogliono passare loro …. Poco prima di raggiungerci escono dalla strada … avanziamo subito onde evitare che ce li troviamo addosso da un altra parte … e … spariti nel nulla … come fanno a sparire in 10 secondi 5 elefanti ????? Mah …. Passiamo ancora un attimo dai leoni … sempre affaccendati .. vediamo un dung beetle al lavoro su una cacca di elefante …. e poi alle 15.30 andiamo al campo. Facciamo la doccia, scarichiamo tavolo e sedie, prepariamo tutto il fuoco in modo tale che sia solo da accendere e ripartiamo diretti alla pozza. Il cielo è da urlo. Ci sono tre elefanti che bevono e la ciliegina sulla torta … dietro di loro esce l’arcobaleno. Da qualcha parte, poco distante da qui, sta l’ultimo colpo di coda della stagione delle piogge per  quest’anno. Proprio bello. Vediamo il sole che cala dietro ad un elefante che beve e poi velocemente torniamo al campo. Nel mentre piovviggina per qualche minuto. Si è sempre di corsa …. solita routine più veloce del solito perchè il buio arriva velocemente. Per cena facciamo una zuppa di verdura … Knorr …. tanto snobbate a casa .. ma qui sono spettacolari … piselli con uova e via …. in branda alle 19.00 pronti per un nuovo giorno.

Pernottamento: Nxai Campsite a South Camp n°NX1 (fa parte dei Xomae Camp)

– campeggio (autonomi per cena e  colazione) – (gsp S 19 56.186 E 24 46.580)

– (https://www.xomaesites.com/camping/11-nxai-south-camp.html)

– Costo a testa: USD 38 (€ 35)  – tot.€ 70

– Ci sono 10 posti campeggio – non è recintato – ci sono i bagni (con elettricità e spuntoni in ferro per terra per evitare che gli elefanti distruggano la struttura cercando l’acqua)

 

 

7) 21 aprile 2022 giovedì – km.85 (85 sterrato):

South Camp – Baines’ Baobabs (Nxai Pan N.P.)

 

Strada: tutto sterrato nel parco poi spostamento al Baines’ Baobab Camp. Bisogna percorrere 18 km. (40 minuti). (gps S 20° 04.276 E 24° 40.946 oppure S 20°4.316′ E 24°40.870′). Da qui si possono percorrere due strade. Una di 14 km. più verso nord ed una di 12km.più verso sud. Noi percorriamo quella di 12 km.(30 minuti).Si arriva al grosso gruppo di baobabs (gps S 20°06.437′ E 24° 46.085′).

Dove dormiremo c’è un un gruppo di sette grandi baobab che si ergono, come su un’isola, sul pan bianco. Ci sono tre aree campeggio. La n°1 è a 700 mt dai baobab e ha una vista magnifica ma durante il giorno è più frequentato, il n°2 e il n°3 sono distanti 2,4 km. e sono entrambi sotto altri baobab. Ha preso il nome dal pittore Thomas Baines che si è innamorato di questo posto ed è stato il soggetto di alcuni suoi dipinti.

Camp n°1 (gps S 20° 07.047′ E 24°45.534′) – Camp.n°2 (gps S 20° 08.222′ E 24°46.126′) – Camp n°3 (gps S 20° 08.466′ E 24°46.071′)              

 

Questa mattina saremo pronti in 10 minuti e partiamo prima dell’orario consentito per goderci con calma l’alba. Vedremo tantissime giraffe con una luce molto bella. Dopo poco diventa tutto nuvolo. Dopo colazione torniamo dai leoni e mentre Pier legge … io li guardo incantata per 1 ora. E’ quasi sempre un “occhi negli occhi” tra me e lui … a parte 1 minuto in cui ha dovuto fare altro ……… Li salutiamo definitivamente .. ora, mentre scrivo l’itinerario … se tutto è andato secondo i piani … la leonessa dovrebbe essere a metà gravidanza … e avrà già liquidato il povero maschio … da parecchio tempo … anche se comunque proteggerà la prole quando arriverà. Proseguiamo ancora un pò il giro del parco. Sono un pò delusa dagli elefanti perchè so che nel Central Kalahari ce ne sono pochissimi, è da poco che sono tornati, quindi, o li vediamo bene qui, o niente … fino al prossimo viaggio in Africa …. Siamo quasi al campo quando sentiamo barrire. Vediamo un gruppo formato da 26 esemplari, che scappa da una pozza d’acqua, e si dirige a gran carriera verso la vegetazione fitta, con i codini alzati e le orecche spalancate. Non abbiamo capito cosa li abbia spaventati. Peccato, sarebbe stato bello vederli bere. Andiamo avanti e facciamo un loop per cercare la causa della loro fuga, ma non vediamo nulla. Torniamo poi alla pozza, per fortuna …. e li vediamo tornare lentamente a bere. Il sole esce e ce li possiamo godere con calma. Sono tutte femmine con i piccoli di varie età, 3 sono piccolissimi e ci fanno morire dal ridere quando cercano di bere dalla proboscide. Non riuscendoci, si mettono in ginocchio e bevono con la bocca. Perdono l’equilibrio e finiscono in acqua. Che spettacolo. Quando una femmina decide che è ora di andare, si muove verso il bush e tutti la seguono. Immagine che ricorderemo. Torniamo al campo, facciamo la doccia e pranziamo con un bel risotto ai carciofi .. alle  11.15 … abbiamo deciso di non guardare più l’orologio … quindi, avevamo fame e abbiamo pranzato. Lasciamo poi questa parte di parco diretti ai Baines’ Baobabs. Sono le 12.30. In 40 minuti (sgonfiamo le gomme perchè c’è un punto di sabbia profonda a 1.8 davanti e 2 dietro) arriviamo al bivio dove c’è l’indicazione 12 km. o 14  per arrivare ai babobas. Troviamo il segnale del telefono. Nel 2019 eravamo passati da quella dei 14 e tornati da quella dei 12. Ora decidiamo di fare il contrario. In un paio di punti, dove si passa nel pan, c’è un pò di acqua quindi dobbiamo evitarla viaggiando vicinissimi alla vegetazione. Quando arriviamo nel Kudiakam Pan, dove ci sono i baobabs, dopo 1/2 ora, ci rendiamo conto che avremmo potuto rischiare di dover tornare indietro e percorrere la strada di 14 km. che rimane sull’erba. Nella maggior parte del pan c’è ancora acqua e dove non c’è, il sale non è asciutto e grigio chiaro, ma grigio scuro quindi vuol dire che è umido. Se si va sopra con la macchina, non se ne esce. Prima di pensare a cosa fare, ci godiamo il paesaggio. Ci sono un’infinità di impronte di animali. Molte anche di elefanti, che vedremo in lontantanza, insieme a quelle degli oryx. Il posto è davvero singolare. Sul pan c’è una sorta di poltiglia rosa scuro che sempra un lenzuolo con le pieghe. Non so se riesco a rendere. Praticamente la poltiglia sono i gamberetti morti ….. dopo spiego …. e man mano che l’acqua si è ritirata, ha lasciato queste onde. Si, gamberetti. La cosa unica del Makgadikgadi è che, durante il periodo delle piogge, arrivano migliaia di fenicotteri a mangiare i gamberetti. Questi nascono dalle uova che l’anno prima sono state deposte sotto il sale. Una sorta di ibernazione al contrario. Quando l’acqua evapora, i fenicotteri se ne vanno. Troviamo una via e raggiungiamo il gruppo dei Baines’ Baobab. Li avevamo visti 3 anni fa completamente spogli mentre ora sono verdi e piedi di frutti. Ne raccogliamo uno leggermente aperto e ne mangiamo pezzo. Lo avevamo già assaggiato in Zambia con una guida …. altrimenti non ci saremmo mai fidati ….. Vediamo di fronte a noi il camp n°1 dove avevamo dormito con i nostri figli. Ora è irraggiungibile per via dell’acqua che ricopre il pan. Ecco perchè non ce lo hanno assegnato nonostante avessimo fatto richiesta …. Procediamo costeggiando la vegetazione perchè è l’unico punto in  cui si viaggia in sicurezza. Vediamo il nostro pernottamento, il n°2, andiamo oltre fino a curiosare al n°3. Imbocchiamo la stradina e dopo un attimo vediamo che c’è una macchina parcheggiata. Chiediamo scusa e giriamo ma veniamo bloccati. Marito e moglie si alzano all’istante e ci vengono a salutare. Persone squisitissime. Abitano vicino a Gaborone ed hanno in giardino una zebra …… ci dicono che siamo fortunati a riuscire ad arrivare qui. L’anno scorso, avevano la prenotazione ma, ci hanno fatto vedere le foto, non si poteva arrivare neppure dalla strada di 14 km. per via della tanta acqua. A confronto quest’anno è quasi niente. Rimaniamo un pò a chiacchierare e poi ci indirizziamo al camp n°2. Ci fermiamo a fotografare l’arcobaleno che parte proprio da un punto tra i due baobab dove dormiremo. Spettacolo! Qui, a parte i due signori distanti un paio di km., siamo proprio in mezzo al nulla …. le persone più vicine sono al South Camp a parecchi km di distanza. C’è sempre il segnale del telefono. E’ presto, sono solo le 16 quindi ci godiamo il posto. L’erba verde è alta e si muove con il vento, le nuvole, l’arcobaleno, il sole che cala ed il fuoco acceso …. questo è un paradiso. Sentiamo degli elefanti barrire in lontananza. Ci facciamo un’altra doccia … perchè quella fatta questa mattina … ovviamente non basta … Andiamo nel pan a vedere il tramonto e poi ceniamo con un’ottima polenta concia … certo avessimo avuto la toma e non il ceddar … sarebbe stato meglio … Sentiamo un elefante molto vicino quindi ci ritiriamo in tenda alle 19 e ci mettiamo con la testa fuori a guardare le stelle …

 

Pernottamento: Nxai Campsite a Baines’ Baobabs n°BO2 (fa parte dei Xomae Camp)

(https://www.xomaesites.com/camping/13-baines-baobab.html)

– campeggio (autonomi per cena e  colazione)

– Costo a testa: USD 50 (€ 44) – tot.€ 88

Ci sono 3 posti campeggio ciascuno vicino ad un gruppo di baobab, distanti l’uno dall’altro (consentiti per piazzola max 3 macchine e 12 persone) – non c’è acqua – c’è solo una lattrina ed una doccia con un secchio da caricare con la propria acqua – non è recintato

 

 

8) 22 aprile 2022 venerdì – km.280 (148 asfalto + 132 sterrato):  

Baines’ Baobabs (Nxai Pan N.P.) – Lukubu Island (Makgadikgadi N.P.)

 

Strada: usciamo dal parco percorrendo o la strada di km.12 o quella di 14. Noi percorriamo quella di 14 (40 minuti) fino allo svincolo gps S 20° 04.276 E 24° 40.946 oppure S 20°4.316′ E 24°40.870′) e poi km.19 (30 minuti) fino allo Nxai Pan Gate (gps S 20°13’52 E 24°37’13”  oppure S 20 13.838 E 24 39.251 oppure S 20°23.008′ E 24° 65.433′). Poi si viaggia su asfalto fino a Gweta (km. 67 (h.1) (gps S 20° 11′ 26” E 25° 15’53”) e si prosegue per km. 83 (h.1 e 20) fino a dopo Zoroga (S 20°10’26” E 26°00’33’ oppure S 20°10.029 E 25°56’898). Si imbocca lo sterrato. Dopo 87 km si arriva al Tswagong Gate (gps S 20°45’48” E 25°44’19” oppure S 20°45’810 E 25°44’320) e dopo altri 17 km. si arriva a Kubu Island (S 20′ 53’740 E 25’49’426). Dall’asfalto fino a Kubu Island ci vogliono 4 ore.

 

Market: Saverite a Gweta (abbastanza rifornito – vendono la birra)

 

Gommista: si

 

Benzina: si

 

Veniamo svegliati dal solito verso gutturale di un elefante. Guardiamo l’alba dalla tenda e poi scendiamo a fare colazione. Pier accende ancora il fuoco per finire alcuni pezzi di legna e così scalda l’acqua nella pentola per fare thè e caffè. Partiamo con calma alle 7.00. Questo è uno dei posti più belli in cui abbiamo dormito. Poco prima dei Baines’ Baobabs vediamo una distesa di rosa che ieri non avevamo notato, perchè in controluce …. migliaia di fenicotteri nell’acqua. Sono distanti quindi faccio un pezzo a piedi nel pan per avvicinarmi di pù. Ci sono tante impronte di elefanti. Bellissimo. Le nuvole si riflettono nell’acqua bassa, come fosse uno specchio. Torno alla macchina, salutiamo qualche oryx e lasciamo questo posto incantevole. Rispetto a quando lo avevamo visto nel 2019 posso dire che è decisamente più bello ora, ma i baobab con le foglie, rendono di meno. Si fa più fatica a riconoscerli come tipologia di pianta e poi perchè la loro caratteristica è proprio il fatto di sembrare piantati al contario, con le radici al posto delle fronde.  Alle 8.00 partiamo ed impiegheremo 1 h e 10 per percorrere il 31 km. che ci separano dal gate. Per tornare alla strada principale percorreremo quella di 14 km. per evitare di passare ancora nel pan umido. Su questa non troveremo acqua. Entro al gate per registrare l’uscita, i due signori si ricordano di noi e super sorridenti ci dicono che c’è un regalo per me …. il cavo adattatore dell’inverter!!!! Nel mentre Pier gonfia le gomme a 2,5 davanti e 3 dietro, visto che avremo diversi km da fare su asfalto. Nel parco abbiamo fatto 273 km. Ripartiamo diretti a Gweta. Vedo qualcosa che si muove vicino alla strada e sul subito penso a mucche …. invece no! Sono una decina di femmine di bufalo. Mi sembra molto strano vederle qui perchè loro prediligono posti in cui ci siano i fiumi, qui è zona desertica. Probabilmente si stanno spostando da un parco all’altro. Notiamo poi che i due corpi degli asinelli sono stati tolti. Sicuramente li avranno mangiati, qui non si butta via nulla….. Raggiungiamo Gweta in 1 ora. Andiamo ancora al market Saverite. Avendo visto parecchi bimbi in giro, compriamo dei pacchettini con all’interno due biscotti ciascuno, da regalare. Succede una cosa strana. Vediamo un ragazzino in uno spazio recintato con delle capanne. Ci fermiamo e lui corre felice a prendere il regalino. Quando torna indietro vediamo che ci sono altri bimbi quindi gli facciamo segno di venire. Sentiamo poi una voce maschile e i bimbi si fermano e tornano indietro. Poco dopo una ragazza con un bimbo a spalle ed uno per mano ci saluta. Ci fermiamo ed il bimbo grande si mette a piangere come un matto. Lei ride, io le chiedo scusa per averlo spavantato. Non è la prima volta che capita, sono bionda con gli occhi chiari e non tutti i bimbi, specialmente i più piccoli, hanno mai visto colori diversi dai loro. Le lascio i biscotti e mi allontano. Lui piangendo ci saluta. Quindi sono stati educati molto bene, nonostante la paura. Andiamo al benzinaio e poco prima ci ferma la polizia. Controlla la patente, non ci ha chiesto quella internazionale, ma è più interessato a fare due chiacchiere e sapere da dove arriviamo piuttosto che fare controlli. Gli chiediamo spiegazioni sul comportamento di quei bambini. Ci spiega che in questa zona, non in tutto il Botswana, la gente non vuole essere aiutata in nulla quindi non accettano neppure regali. Sono molto orgogliosi. Il bambino che si è messo a piangere lo ha fatto per il colore della mia pelle. Mentre Pier fa benzina io vado all’interno e mi faccio riempire due bomboloni da 5 lt. di acqua così saremo a posto per le docce di questa sera a Kubu Island, visto che là non c’è acqua. Pranziamo velocemente all’ombra di una pianta ed alle 11.30 partiamo. Ci sarebbe piaciuto percorrere la strada che attravarsa il pan, partendo da qui, ma c’è troppa acqua quindi è pericolosissimo. Dobbiamo fare il percorso lungo. Lungo questa strada vedremo molti baobab, villaggi di capanne e coltivazioni di mais. La strada è brutta, pur essendo asfaltata, per la presenza di grosse buche … segnalate da cartelli. Farebbero prima a sistemarla piuttosto che mettere cartelli. Dopo 1 ora e 1/2 siamo allo svincolo, poco dopo Mabole (km.80 da Gweta e 17 da Nata), non ci sono indicazioni tranne un pilastro verde in cemento. Qui ci fermiamo a sgonfiare di nuovo le gomme. Un cartello, poco dopo, indica 91 km. per arrivare a Kubu Island. Li percorreremo in 4 ore con poche soste. Da qui  non ci sarà più il segnale del telefono. Troveremo molti baobab, alcuni villaggi di capanne con mucche e cavalli liberi, alcuni scoiattoli e tantissime zanzare. Se dico tantissime forse non basta. In alcuni punti, forse vicino ai villaggi, non potevamo fermarci. Da paura. La strada che porta a Kubu Island da questa parte è sempre percorribile perchè rialzata rispetto al pan. I paesaggi sono belli. Non si riesce a viaggiare molto veloci e non pensavamo di impiegare così tanto tempo. Non ci sono molte indicazioni e le mappe di Tracks4Africa indicano tempi assurdi e strade ancor più assurde. Non avessimo avuto l’app Maps.me forse ora eravamo ancora là a cercare la strada. Arriviamo agli uffici del parco alle 17.00.

Informazioni su Kubu Island:

L’isola di Kubu è un affioramento granitico, alto 10 mt e lungo 1 km, un insel di origine vulcanica come altre zone in Africa meridionale. Ai tempi del lago era un’isola come evidenziano fossili di molluschi, alghe e guano. Inoltre sono presenti molti sassi arrotondati, tipici risultati del moto ondoso. La presenza di guano dimostra che si trovasse fuori dall’acqua. L’isola è caratterizzata anche dalla presenza di resti di insediamenti umani, con rovine di costruzioni in pietra, una rarità in Africa subsahariana. Su quest’isola ci sono tanti babobab.

Ora non è più un’isola. Su 3 lati è circondata dal pan mentre su quello lungo verso ovest, c’è terra con vegetazione.

Le zone campeggio (senza nessun servizio a parte un gabinetto in comune per tutti) si trovano sul lato ovest. Quello con vista migliore sul pan è il n°6.

C’è un percorso di trekking da fare che si snoda all’interno dell’isola. Parte da un punto a sud ovest dove c’è un grosso baobab doppio e dove ci sono delle targhe in ricordo di qualcosa.

” Kill nothing but time, take nothing but pictures, leave nothing but footprints, in our place that time forgot.”

Si può raggiungere Kubu island da 3 strade.

1) da giugno in poi si può arrivare passando da Gweta sulla pista di sale che attraversa il pan. Bisogna informarsi bene su questo perchè il pan deve essere completamente asciutto.

2) da nord, sono 91 km di sterrato e ci vogliono 4 ore, la strada è sempre percorribile in quanto è alta rispetto al pan

3) da sud, anche qui bisogna informarsi sulla percorribilità, sono circa 85 km, circa 3 ore. Dalla strada asfaltata A30, poco a nord di Letlakane, bisgna percorrere 24 km. di asfalto fino a Mmatshumo. Da qui inizia lo sterrato. C’è un lungo tratto da percorrere sulla strada che va a nord fino alla A3, poi si trova un bivio. C’è un cartello che indica se la strada è aperta o meno. Passa nel pan quindi se è ancora umido non si può passare. Da questo bivio, andando a destra si arriva direttamente a Kubu Island. Se è chiuso, bisogna allungarla come abbiamo dovuto fare noi. Si deve arrivare fino a Thabatskudu e da lì scendere a Kubu. Anche questa attraversa il pan ma la pista è leggermente più alta quindi si asciuga prima. Se anche questo tratto è bagnato, e si vuole andare ugualmente all’isola, si può per forza solo passare da nord. Informatevi bene se si vuole andare da novembre a giugno.

Gli uffici sono in un edificio fatiscente. Una ragazza ci stava aspettando. Saremo gli unici a dormire qui quindi le chiediamo il posto migliore. Lei ci dice il n°6. Effettivamente ha una bella vista sul pan e si vede il tramonto. Qui non ci sono predatori quindi ce la prendiamo un pochino più con comodo. Io faccio due passi mentre Pier accende il fuoco. Ci laviamo attaccando ad una pianta la nostra doccia da campo. Qui, oltre a tanti baobab, ci sono delle piante con dei frutti che legnosi molto particolari che non avevamo mai visto o notato (Sterculia africana). Vedremo un bel tramonto proprio davanti a noi. Questa sera cena con bistecche alla griglia comprate a Gweta, insalata di fagioli e peperoni alla griglia. Il tutto con un ottimo vino di Stellembosh (Sud Africa). Stasera rimaniamo di fianco al fuoco a guardare le stelle molto più a lungo del solito … Oggi la giornata è stata lunga ed impegnativa e domani sarà altrettanto quindi, nonostante questo sia un bel posto e possiamo stare fuori tranquilli …. siamo cotti ed alle 20.30 ci ritiriamo.

Pernottamento: Lekubu Island Camp (S 20′ 53’740 E 25’49’426)

( kubu.island@btcmail.co.bw  –  http://www.kubuisland.com/)

– campeggio n° 6(autonomi per cena e  colazione)

– Costo a testa: Pule 150 (€ 12) – tasse d’ingresso e varie Pule 103 (€ 8) – Tot. Pule 506 € 42

Ci sono 14 posti campeggio, distanti l’uno dall’altro (consentiti per piazzola max 3 macchine e 12 persone) – non c’è acqua – c’è solo una lattrina per tutti i camp – no docce – non è recintato

 

 

9) 23 aprile 2022 sabato – km.315 (230 asfalto + 85 sterrato):

Lukubu Island (Makgadikgadi N.P.) – Khumaga

 

Strada: percorriamo km.63 (h.3) di sterrato fino a Mmatshumo (gps S 21°08’43” E 25°39’11” oppure S 21° 08’575 E 25° 39’279). Poi 24 di asfalto per raggiungere la strada principale (S 21° 19’503 E 25° 33’735) e km.12 (in tutto 45 minuti) arriviamo a Letlakane. Da qui proseguiamo sempre su asfalto per km.218 (h.3 e 10) fino a Khumaga  (gps S 20°15’24”  E 25°14’17”).

 

Market: Spar a Letlhakane di fronte agli uffici della DWNP – a Rakops basico

 

Banca: Letlhakane di fronte agli uffici della DWNP

 

Benzinai: Letlhakane,  Mopipi, Rakops 

 

Uffici DWNP (Department of Wildlife and National Parks): (gps S21 24.744 E25 35.000) (orari: lu-ve 7.30/16.30; sa 7.30/12.45 e 13.45/16.30; do 7.30/12.45) Si potrebbero pagare le conservation fees dei parchi con carta di credito. A noi hanno detto che quel giorno non potevamo farlo.

 

Gommista: Letlakane e Rakops

 

Barriera veterinaria: due prima di Mopipi

 

Veniamo svegliati da alcuni cavalli che nitriscono. Guardiamo fuori dalla tenda. C’è già visibilità. Sono una ventina, tutti marroni e bellissimi. Due maschi litigano alzandosi sulle zampe posteriori. I cavalli selvaggi sono sempre uno spettacolo. Scendiamo e chiudiamo la tenda senza impacchettarla per arrivare a vedere l’alba. C’è una pace pazzesca. Alcune mucche ed asinelli camminano sul pan. E’ tutto rosa e la luce colora di questo colore anche le rocce bianche. Il pan ha ancora acqua e ci sono diversi fenicotteri. Pier rimane vicino alla macchina mentre io voglio fotografare il sole che sorge e che si riflette sull’acqua, con davanti un baobab, quindi mi sposto di qualche metro. Dopo che il sole è sorto chiudiamo bene la tenda, ci sistemiamo e facciamo colazione. Facciamo il giro dell’isola in macchina fermandoci a fare tante foto. Mi addentro un pochino sull’isola per fotografare i babobab con il pan alle loro spalle. Ce ne sono tantissimi e tutti con foglie. Purtroppo il trekking all’interno dell’isola non riusciamo a farlo. Era in programma ieri sera ma non avevamo assolutamente idea di impiegare così tanto tempo ad arrivare qui. Oggi abbiamo ancora una tratta lunga quindi non ce la facciamo. Peccato. Alle 8.00 partiamo. Dalla parte sud dell’isola parte la pista che arriva direttamente sulla strada verso Letlakane. La ragazza del gate ieri sera ci ha detto che non è percorribile quindi dobbiamo tornare indietro per un tratto, sulla strada che abbiamo fatto ieri per arrivare qui, fino a Thabatskudu, e da lì andare a sud. Ci godiamo un pò di più questo tratto visto che ieri sera eravamo di corsa, visto l’ora. Ci sono diversi villaggi con mucche e cavalli al pascolo. Si lascia poi la vegetazione e si passa nel pan. In alcuni punti c’è sale (a tratti ancora umido ed in lontananza con acqua e fenicotteri) ma nella maggior parte c’è erba gialla. Una distesa a 360°. Vediamo il cartello dove si imbocca la strada diretta che da sud porta a Kubu. C’è scritto strada chiusa. Dopo due ore siamo al veterinary check point di Makomojena (ci sono le recinzioni ma il cancello è aperto e non c’è nessun controllo). Dopo un’altra mezz’ora siamo a Mmatshumo. Qui inizia l’asfalto quindi gonfiamo le gomme. Viaggeremo poi tutto il giorno su asfalto. Troviamo il segnale del telefono. Ci sono alcuni bimbi che ci guardano e ci fanno grandi sorrisi. Pier entra nel micro negozio e compra qualcosa da regalargli. Corrono via tutti felici. In 40 minuti raggiungiamo Letlakane. Qui eravamo stati nel 2019 a fare la spesa quindi andiamo direttamente nella piazzetta di fronte agli uffici della DWNP (gps S21 24.744 E25 35.000) dove ci sono market (spar), banca e negozio liquori (tops!). Facciamo la spesa e preleviamo poi andiamo a fare benzina da Engeen (non si trova qui ma sulla strada principale). Al benzinaio chiediamo se c’è la possibilità di caricare acqua nei gavoni della macchina. Ci indicano un rubinetto quindi facciamo il pieno anche di quello. Dovesse intessare qui ci sono due ristoranti di catene famose, Nando’s e Debonair Pizza. Pranziamo con le nostre cose appena comprate al market e poi alle 13.30 partiamo. Alla prima barriera veterinaria non c’è nessuno. Alla seconda ci sono due signori ma non ci fermano. In 1 ora siamo a Mopipi dove c’è un benzinaio e dopo un’altra ora a Rakops (faremo benzina qui). Questa sera abbiamo la prenotazione al Boteti River Camp a Khumaga, dove abbiamo traghettato 5 gg fa per entrare nel Makgadikgadi N.P. Da Rakops sono circa 70 km. Avevamo messo questo pernottamento non sapendo se saremmo riusciti ad uscire da Kubu Island dalla strada sud o se avremmo dovuto tornare indietro da quella nord, ripassare per Gweta e per il parco. Nel caso in cui avessimo dovuto fare così, il Boteti River Camp sarebbe stato perfetto. Ora è scomodo perchè domani dovremo tornare a Rakops per poi entrare nel Central Kalahari. Andiamo all’unico campeggio/lodge che c’è qui, il Rakops River Lodge. Hanno posto ma onestamente ci dispiace per il Boteti in quanto gli abbiamo prenotato la cena quando siamo andati a comprare la legna 5 giorni fa. Quindi ripartiamo ed in meno di un’ora siamo a destinazione. Sono le 17. Siamo parecchio cotti quindi Pier propone di prendere una camera così abbiamo qualche comodità per una sera. La camera costa Pule 1.100 (€ 91), noi abbiamo già pagato Pule 400 per il campeggio quindi pagheremo la differenza. Non mi fa per niente impazzire l’idea di dormire nella camera. Mi piace la tendina ….. ma effettivamente a metà vacanza ci sta …. La cena sarà alle 19.00. Buona (Pule 750 € 62 in due). Avendo il wi-fi chiamiamo con calma i ragazzi a casa e sentiamo gli amici. Andiamo poi a dormire presto … anche se fino alle 2 ci sarà musica a manetta per un matrimonio appena oltre la recinzione del lodge. Meno male che domani ritorniamo nel bush.

Pernottamento: Boteti River Camp a Khumaga (gps S 20°28.165′ E 24°30.875′)

(https://www.botetirivercamp.com/)

– avevamo prenotato il campeggio ma poi abbiamo pagato la differenza per la camera. C’è il ristorante.

– Costo a testa: Pule 200 € 15 – tot. € 30 per il campeggio + € 58 per la camera = € 88

 

 

10) 24 aprile 2022 domenica – km.205 (70 asfalto + 135 sterrato):   

Khumaga – Deception Valley (Central Kalahari G.R.)

 

Strada: km.70 (h.1) di asfalto fino a Rakops (gps S 21°01’57” E 24°22’18”) . Da qui è tutto sterrato. Sono 42 km. (h.1 e 15) per arrivare al Matswere Gate (gps S 21°09’24” E 24° 00’25” oppure S 21.09.404 E 24.00.386) e poi  38 km (h. 1 e 1/2) per arrivare alla Deception Valley (gps 21°24’16” E 23°46’20” oppure S21 24.298 E 23 47.794)

 

Market:  Rakops basico

 

Benzinai: Rakops 

 

Gommista: Rakops

 

Ci alziamo con calma, sistemiamo la macchina e andiamo a fare colazione al ferry che attraversa il Boteti. Mi sarebbe piaciuto andare nel parco, questa mattina all’alba, per fotografare gli ippopotami con il sole, ma il servizio ponte sul traghetto è dalle 7.30 quindi per noi è tardi. Se avessimo potuto fare da soli, saremmo partiti alle 6.30 ed in un paio d’ore saremmo tornati indietro. Pazienza. Questa mattina vedremo un coccodrillo poco distante da alcune donne che raccolgono radici delle ninfee. Ci sono recinzioni per evitare che ippopotami e grossi coccodrilli, possano arrivare qui. Alle 8.30 partiamo. In meno di un’ora siamo a Rakops, dove facciamo benzina, poi imbocchiamo la strada per il Central Kalahari. Ci fermiamo subito a sgonfiare le gomme. Veniamo circondati da una mandria di mucche che arrivano a bere in una grossa pozza di acqua piovana. Partiamo. Finalmente di nuovo con destinazione parchi. Il Central Kalahari erano anni che ce lo sognavamo … e finalmente stiamo per arrivare. Troviamo parecchie mucche e cavalli sulla strada. Ci sono due posti in cui acquistare legna quindi ne approfittiamo. Costa Pule 25 (€ 2) a fascina. In un’ora e 15 percorriamo i 45 km che ci separano dal Matswere Gate (gps S 21°09’24” E 24° 00’25” oppure S 21.09.404 E 24.00.386). Prima di entrare si accosta una macchina con due ragazzi e ci dicono che siamo fortunati. Loro stanno partendo e darebbero qualsiasi cosa per poter ricominciare la visita del parco. Il termire usato per descriverlo è stato : Amazing … Ci dicono assolutamente di andare al Piper Pan per i leoni. Questa cosa già la sapevo perchè mi ero scritta con una ragazza gentilissima, Marina, che .. coraggiosa … aveva letto tutti i miei diari di viaggio sull’Africa e che mi aveva dato preziosi consigli sul parco. Entriamo quindi al gate facendo richiesta di variare le prenotazioni. Noi ne avevamo 3 nella Deception ed una a Motopi. Volevamo variare la 3^ con il Piper Pan, pagando la differenza perchè essendo gestito da Big Foot, costa 50 € in più rispetto ai campi del DWNP. Chiamano gli uffici ma ci dicono che i due camp sono occupati. Pazienza … ma io e Pier ci guardiamo … abbiamo avuto lo stesso pensiero senza parlarci ….. tenteremo ugualmente. Ogni lasciata è persa. Al gate c’è un foglio con indicati gli avvistamenti di questi giorni ed i luoghi. Tanti leoni al Piper Pan, ghepardi nella Deception e wild dogs (li adoro) al Sunday Pan. Nel mentre che io parlo con la signora del gate, Pier acquista legna e poi si siede su una panca appena fuori dalla porta d’ingresso…. Al nostro rientro vedremo un’immagine, un gruppo Facebook del Botswana, proprio di quella panchina … con un bel puff adder sotto! Wow.. invidia per il fortunato che l’ha potuto fotografare! Ci fermiamo per pranzo sotto un albero di fianco al gate. Vediamo un grosso container. Qui si può lasciare l’immondizia quando si esce. All’interno del parco non c’è nessun posto in cui lasciarla. Rifiuti di cibo e carta li si può bruciare sul fiuoco mentre la plastica ed il vetro bisogna portarli fuori.

Informazioni sul Central Kalahari:

Seconda riserva di caccia più grande al mondo con i suoi 52.800 chilometri quadrati,i Kalahari centrale è più grande della Danimarca o della Svizzera. Pullulante di animali selvatici, il territorio del parco varia fra dune di sabbia al nord, pianure cespugliose al centro, a zone più pesantemente boschive a sud. Popolata dai boscimani per migliaia di anni, la riserva fu creata in realtà nel 1961 per proteggerli, come un “santuario” in cui potessero vivere come desideravano. Oggi, nel nome della conservazione quegli stessi Boscimani vengono ridotti alla fame con l’obiettivo di costringerli a lasciare la riserva, dove una compagnia sta estraendo diamanti.

Il parco è stato aperto al pubblico nel 1992 quando crearono il primo campeggio. Al centro del parco c’è una miniera di diamanti. Prima era dei De Beers, ora di una società inglese.

Vivono leoni, ghepardi, carcal, scicalli, wild dogs, iene marroni e brune, protele, otocione, suricati, oritteropo, istrici, giraffe, orici, gnu, kudu, springbok, elefanti.

 

Alcuni campi (nella parte nord) sono gestiti dal DWNP mentre altri dal privato BIG FOOT.

 

– Dwnp (http://www.gov.bw/  – mail: dwnp@gov.bw – o agli uffici di Maun)  – Costo:  Pule 40 (€ 3,5):

tre si trovano al gate: Matswere Gate, Tsau Gate and Xade Gate – Kori (n°4) – Deception (n°6) – San Pan (n°1) –  Leopard Pan (n°1) – Phokoje Pan (n°1)

 

– Big Foot Tours (www.bigfoottours.co.bw  –  mail: reservations@bigfoottours.co.bw)  – Costo:  Pule 714 (€ 56):

Piper Pan (n°2) – Letiahau (n°1) – Lekhubu (n°1) – Kukama (n°1) – Sunday Pan (n°3) – Passarge Valley (n°3) – Motopi (n°3)

Ripartiamo alle 13.00. Questa strada che porta alla Deception Valley ha solo due binari sui quali viaggiare e la sabbia è profonda, quindi richiede il 4×4. Se si incontra un altro mezzo in direzione opposta bisogna mettersi in diagonale sulle rive che costeggiano la strada. Vedremo le strutture del vecchio gate, in cemento a forma di capanne, ormai mezze distrutte. Non troveremo molti animali. Qui ci sono stati diversi avvistamenti di leopardi …. ma non a quest’ora del giorno e con questo caldo. Viaggiamo senza fermarci, attraversiamo la Deception e andiamo a vedere com’è il nostro camp, il n°4. Qui ci sono 6 aree camp. Dal gate fino a qui impiegheremo 1 ora e 1/2 per percorrere 40 km. La piazzola è molto ampia quindi, sistemendoci in mezzo, avremo la vegetazione abbastanza distante. Ci sono le solite due strutture a spirale in legno per i wc e per la doccia. In quella della doccia manca il secchio. Ripartiamo subito per andare alla pozza, con acqua sempre presente, al Sunday Pan. La raggiungeremo in mezz’ora. Non c’è nessun animale che beve. Facciamo poi un giro per vedere le aree camp del Sunday Pan (da queste c’è più visibilità e si può vedere il tramonto) e poi facciamo l’anello del Leopard Loop. I paesaggi sono belli. I pan sono coperti di erba gialla e ci sono tantissimi oryx, springbok, giraffe, stuzzi e kori bustard (di questi il parco è pieno). Vediamo parecchie cacche di elefante, qui come in tanti punti del parco, ma nessun elefante. Torniamo alla Deception, strapiena di oryx, e per le 17.30 siamo al nostro camp. In tutto il pomeriggio nel parco abbiamo visto solo 3 macchine. Ha poca ricettività e non è molto frequentato quindi sarà così anche nei prossimi giorni. Addirittura dopo domani vedremo solo una macchina in tutto il giorno …. Per arrivare al camp passiamo dall’area del Kori e della Deception, e non vediamo nessuna macchina parcheggiata. Stanotte saremo soli e bisognà prestare attenzione. Pier prende dei cespugli già secchi. Li mette a semicerchio dalla macchina verso il fuoco in modo tale che se una qualsiasi predatore arriva da dietro, ha ancora 4-5 metri prima di arrivare a noi. In questo modo noi faremmo in tempo a vederlo ed entrare in macchina (le portiere lato fuoco le teniamo sempre aperte mentre quelle dall’altro lato, sempre chiuse). Sempre meglio fare attenzione. Accende poi il fuoco, io apro la tenda, facciamo la doccia dopo averla piazzata attaccata ad un albero e poi ceniamo. Faremo una zuppa di verdura … Knorr … poi la griglia con la carne comprata al market di Letlakane e pomodori e peperoni in insalata (stra lavati con acqua potabile). Capto la presenza di animale perchè smuove le foghie secche … mi giro di scatto ed è una lepre. La vedremo pure domani sera … questa evidentemente è casa sua. Poi sentiamo un verso, vado dietro la macchina e c’è un uccello che mi guarda e mi fa un lungo discorso a versi … sembra che stia dicendo: andatevene via questa è casa mia …. ecc. ecc. al che io gli rispondo a parole … e lui ancora a versi ….. andiamo avanti così qualche minuto …. Pier ride come un matto e mi dice … ci mancava solo che ti mettevi a parlare con gli animali …. effettivamente sembrava un dialogo. Non so che uccello fosse, era grosso come le Guinea Fowl ma tutto grigio. Alla fine si è stufato prima lui di me … io avrei conversato ancora ………………………. sono messa male … con tutto questo distanziamento sociale ….:) 🙂 🙂 Ritiramo tutto ed alle 19.30 siamo a dormire. Nessun rumore notturno.

Pernottamento: Deception Valley camp n°4

– dwnp@gov.bw  – lo gestisce il DWNP

– campeggio (autonomi per cena e colazione)  (gps 21°24’16” E 23°46’20” oppure S21 24.298 E 23 47.794)

– Costo a testa: Pule 30 (€ 2,5) – Tot. € 5

– Ci sono 6 posti campeggio – bagni e doccia con secchio – non c’è acqua – braai – non è recintato

 

 

11) 25 aprile 2022 lunedì – km.121 (121 sterrato):

Deception Valley (Central Kalahari G.R.)

 

Strada: tutto sterrato nel parco

Alle 6.10 siamo già in macchina pronti. Abbiamo sentito due volte i leoni e le iene quindi abbiamo velocizzato.  Raggiungiamo la Deception e ci fermaimo proprio in mezzo alla valle a vedere l’alba e fare colazione in compagnia di una cinquantina di springbok. Si trovano tra noi ed il sole quindi farò delle belle foto. Sentiamo ancora i leoni verso il Deception pan quindi ci indirizziamo là. Il pan è una distesa grigio scuro senza vegetazione ed erba. Percorriamo il triangolo che porta verso il Kalahari Lodge e poi ritorna nella Deception. Vedremo una bella lepre. Tornando verso la Deception ci sono tanti punti con gruppi di piante. Potrebbero essere il posto perfetto per nascondersi sia per leopardi che leoni. Li scannerizziamo tutti ma nulla. Ci spostiamo poi di nuovo verso la pozza al Sunday. E’ ancora vuota. Andiamo al Sanday Camp n°4 a pranzare tranquillamente con sedie e tavolo. Facciamo ancora una bistecca alla griglia, cornette (aimè in scatola) e uova strapazzate. Sono le 11.00……… Sempre prima …. ci spostiamo ancora alla pozza dove rimarremo per un’oretta, all’ombra di alcune piante. Pier si fa un pisolino mentre io guardo dei buffi uccellini che fanno il bagno. In tutto questo lasso di tempo arrivano solo 2 giovani kudu. Abbiamo capito un cosa di questo parco. Al contario degli altri, le pozze non sono un punto certo per gli avvistamenti. Solitamente sono sempre piene di vita. Sicuramente il fatto che si trovi ancora un pochino di acqua piovana in pozze effimere di certo non aiuta, però, non vedere nulla, è molto strano. Rifacciamo poi il Leopard Pan e ci fermiamo a guardare 10 giraffe che camminano nella savana con una luce molto bella. Vedremo anche, una nostra prima volta, dei piccoli di oryx. Saranno una quindicina, stanno tutti vicini per proteggersi. Ci guardano molto curiosi. Torniamo ancora alla pozza ma nulla, solo uccelli. Alle 17.30 siamo al campo. Riprendiamo i cespugli di ieri sera e li mettiamo di nuovo a semicerchio di fianco alla macchina, solita trafila di cose, cena con pasta al ragù (fatto con carne fresca presa ieri a Letlakane) e alle 19.00 andiamo in tenda perchè sentiamo i leoni abbastanza vicini. Ci mettiamo con la testa fuori a guardare le stelle poi Pier deve scendere a spegnere il fuoco con un bombolone di acqua perchè si è alzato il vento. In questi giorni troveremo sempre vento. Oggi abbiamo incontrato solo 3 macchine. Una questa mattina presto ed oggi due alla pozza. Facciamo il programma della giornata di domani. Lo sguardo di intesa di ieri, tra me e Pier, al gate del parco, quando ci hanno detto che non c’era posto al Piper Pan …. è stato per la voglia di dormire là, a qualsiasi costo. Andare e tornare in giornata sarebbe una tirata. Ci vogliono 3 ore a tratta, senza fermarsi, per percorrere circa 90 km. Domani sera dovremmo dormire ancora qui alla Deception e poi, dopo domani notte, a Motopi. Il giorno seguente dovremmo uscire dal gate nord diretti a Maun. Decidiamo quindi di andare al Piper Pan e dormire là, da qualche part , e poi il giorno seguente andare a Motopi come da programma. Noi siamo molto rispettosi delle regole, anzi, non sgarriamo mai, ma questa volta vogliamo dormire in mezzo alla savana dove ci capita. Sono 10 anni che viaggiamo in Africa e ce lo siamo sempre sognati. Questa volta potrebbe essere quella giusta. Tanto c’è poca differenza tra dormire in un’area definita oppure fuori, entrambe non sono recintate e non ci sono servizi. L’unica cosa alla quale bisogna prestare attenzione è il fuoco, non avendo un posto in cemento dove accenderlo. Quindi andiamo a dormire stra convinti della decisione. Saremo dei fuorilegge per la prima volta … e saremo stra ripagati!!!!!! 🙂 🙂 🙂

Pernottamento: Deception Valley camp n°4

– dwnp@gov.bw  – lo gestisce il DWNP

– campeggio (autonomi per cena e colazione)  (gps 21°24’16” E 23°46’20” oppure S21 24.298 E 23 47.794)

– Costo a testa: Pule 30 (€ 2,5) – Tot. € 5

– Ci sono 6 posti campeggio – bagni e doccia con secchio – non c’è acqua – braai – non è recintato

 

 

12) 26 aprile 2022 martedì – km.158 (158 sterrato):

Deception Valley – Piper Pan (Central Kalahari G.R.)

 

Strada: tutto sterrato nel parco

 

Stanotte il vento ha soffiato parecchio e fa più fresco delle altre mattine. Alle 6.10 partiamo. Facciamo colazione nel posto di ieri sempre con gli springbok e gli struzzi. Facciamo ancora un giro e alle 7.30 partiamo per la nostra avventura di fuorilegge. Incroceremo solo una macchina in tutto il giorno. Anche oggi tanti oryx, giraffe, gnu, kori bustard, sprinbok, scoiattoli, sciacalli, struzzi e cacche di elefante. Viaggiamo tutta la mattina con il sole alle spalle quindi i paesaggi rendono tantissimo. Ci sono distese di erba verde con gruppi di piante qua e là. La pozza Letiahau è in disuso. La strada è bella e non serve il 4×4. Contrariamente a quanto pensavamo, c’è poca sabbia nel parco. Potevamo affittare l’Hilux, che ci sarebbe costato molto meno piuttosto che il Land Cruiser, ma avevamo idea di trovare strade molto brutte. Ad un certo punto urlo: ghepardo!!! Era a bordo strada sdraiato. Si è alzato di scatto e si è spostato di qualche metro. Non è intimorito. Lo seguaimo per una decina di minuti. Si sdraia sotto una pianta e sbadiglia. Poi si rialza e prosegue. Noi sempre dietro. E’ in allerta per qualcosa, non per noi, ma non capiamo cosa sia. E’ un gran bel maschio. Si allontanta poi dalla strada girandosi un’ultima volta a guardarci. Che emozione. Così da vicino, in natura, non ne avevamo mai visti. Li avevamo visti dal kruger ma da lontano (5) e anche nell’ Hluhluwe Imfolozi (sempre in Sud Africa), un pochino più da vicino (una mamma con 3 cuccioloni di cui uno con una zampa rotta). Questo è stato un grande avvistamento!!! Proseguiamo. Dopo poco urlo di nuovo: puff adder! Pier riesce ad inchiodare e fermarsi senza schiacciarlo. Si trova su uno dei due binari dove si passa con la macchina. Stava attraversando. Si ferma ed alza la testa come per difendersi. Poi lentamente si sposta. Se non lo avessimo visto, lo avremmo ucciso. Solitamente si guarda sempre in giro per vedere cose grosse …. e le cose piccole sfuggono. Anche questo è un grande avvistamento! Arriviamo alle 11 al Pipar Pan. Sono 3 grossi pan. Si possono visitare tutti. Le strade li costeggiano nel tratto prima della vegetazione. Ci accoglie un gruppo pazzesco di springok. Qui vedremo anche 7 kudu oltre ai soliti animali. Tutti gli animali sono in mezzo ai pan quindi li si vede molto bene. E ce ne sono davvero tanti. Alle 12 ci fermiamo al camp n°1 (qui ce ne sono solo 2) a pranzo. Finiamo la pasta col ragù di ieri sera. Fa caldo quindi stiamo qui un paio d’ore in compagnia di una lepre che saltella qui e là. Per il pernottamento di questa notte io non sono così tranquilla, a livello di correttezza, a dormire fuori dal campo. L’unica cosa certa è che non possiamo posizionarci in uno dei due, se sono prenotati. Il n°1 è aperto quindi passando dalla strada si potrebbe vedere se è occupato, il n°2 invece no perchè la strada porta solo lì quindi la percorre solo chi ha prenotato. Pier, che ha seguito tutte le puntate di Dual Survival, prende lo scopino che abbiamo nel cassone, e liscia per un metro tutta la strada. Così se più tardi, quando ripasseremo di qui, vedremo delle tracce di pneumatici, eviteremo di fare la figura ad andare fin laggiù. Fermo restando che lui vuole dormire fuori, fa questo perchè gli rompo le scatole …… Proseguiamo il nostro giro e poi incrociamo una macchina. Quindi una piazzola è occupata … Non vedremo nessun altro. Rimaniamo un pò alla pozza. Ci sono tante farfalle gialle e verdi che bevono nelle fessure del terreno. Vediamo un falco con in bocca un serpente. Lo lascia cadere e noi andiamo a curiosare. Si tratta di un mole snake (serpente talpa, non velenoso). Vedendo quanti uccelli serpentari ci sono, è ovvio che i serpenti sono abbondanti. E’ il momento di decidere dove dormire. Passiamo dal camp n°1 e non c’è nessuno, andiamo all’imbocco della strada per il camp 2 e il punto “scopato” da Pier ha i segni dei pneumatici. Sono le 17.30 quindi non possiamo aspettare oltre a vedere se arriva qualcun altro. Pier mi dice che ci tiene tanto a domire in un posto tutto nostro, quindi acconsento. Andiamo nel pan più lontano, cerchiamo un posto dove ci sia poca erba a bordo pista e ci fermiamo. Pier scava un buco con la pala per fare il fuoco e togliamo l’erba nel metro intorno in modo tale da evitare che qualche scintilla faccia partire un incendio. Poi apriamo la tenda, ci laviamo, prepariamo cena (risotto … Knorr … con insalata di pomodori, perperoni e formaggio …..) e poi ci godiamo un tramonto da urlo. Tutto il cielo si tinge di rosso e …. sentiamo il leone …. è distante però è bene che iniziamo a sistemare tutto. Lo sentiremo diverse volte ….. Alle 19 io salgo in tenda a leggere, Pier legge in macchina poi rovescia 2 bomboloni da 5 litri di acqua sul fuoco e sale. Guardiamo le stelle. Sono pazzesche perchè la luna è nera. E poco dopo inizia credo l’esperienza più bella dei nostri viaggi in Africa. Lo dico a posteriori … perchè nel “durante” un pò di cagarella ci è venuta. Dormiamo  …. i leoni continuano a ruggire …. e li sentiamo sempre più vicini ogni volta. Ruggiscono circa ogni mezz’ora …. All’1.00 sveglio Pier e gli dico che sono attaccati alla macchina. Faccio un video con il telefono … 1 minuto e 40 di ruggiti .. li abbiamo sotto la tenda .. Io sono pietrificata nel letto. Si sa che, se non hai cibo e non li spaventi, loro non toccano neppure le tende per terra … e tantissimi tour o lodge hanno i pernottamenti in tenda, però quando sei lì … hai sempre paura di un’eccezione. Sono rimasti lì fuori per mezz’ora ed hanno ruggito 10 volte. Abbiamo poi sentito i passi allontanarsi leggermente quindi Pier apre un pochino la zanzariera della tenda e punta la torcia. Vede due maschi distanti una quindicina di metri da noi. Lo guardano e poi si allontanano. Io non mi sono mossa dal sacco a pelo quindi non li ho visti. Da quel momento in poi non li abbiamo più sentiti. La mia idea è stata, ed è difficile che sia sbagliata perchè c’era una possibilità su 1.000 che, in tutta quell’immensità, arrivassero fino a noi: gli animali sanno dove ci sono gli uomini e solitamente girano al largo, iene e sciacalli a parte che sono dei ladri. I nostri due leoni ci hanno fiutati da lontano … hanno capito che c’era qualcosa di strano perchè noi lì non avremmo dovuto esserci. Hanno segnalato la loro presenza continuando a ruggire mentre si avvicinavano. Hanno chiaramente fatto capire che eravamo nel loro territorio quando erano vicino a noi, con i ruggiti continui per mezz’ora. Una volta chiarito questo … se ne sono andati. Se il mio ragionamento fosse sbagliato, avrebbero continuato a ruggire anche dopo … ed invece, silenzio completo. Ma noi abbiamo pensato: hanno chiamato rinforzi ed ora si stanno organizzando per tornare e farci fuori ….. fatto sta che se siamo qui a raccontarla, non c’è stato nessun complotto …

Pernottamento: Piper Pan  – nella savana – avevamo la prenotazione ancora della Deception –

– qui ci sono due camp – https://www.bigfoottours.co.bw/ – lo gestisce il Big Foot

– campeggio (autonomi per cena e colazione)  (gps S21°43’34” E 23°12’46”)

– Costo a testa: Pule 357 (€ 28) – Tot.€ 56

– bagni e doccia con secchio – non c’è acqua – braai – non è recintato

13) 27 aprile 2022 mercoledì – km.208 (208 sterrato):

Piper Pan (Central Kalahari G.R.) – Rakops

 

Strada: tutto sterrato. km.100 (h.3 e 1/2) fino alla Deception.  Sono  38 km (h. 1 e 1/2) per arrivare al Matswere Gate (gps S 21°09’24” E 24° 00’25” oppure  S 21.09.404 E 24.00.386) e poi 42 km. (h.1 e 15) per arrivare per arrivare  fino a Rakops (gps S 21°01’57” E 24°22’18”)

 

Benzinaio: Rakops

 

Gommista: Rakops

 

Market: basico a Rakops

 

Dopo una bella dormita, finito il trambusto di questa notte …. guardiamo fuori dalla tenda con un pensiero: avremo lì fuori una ventina di leoni che ci aspettano per colazione … ed invece a parte i bellissimi colori rosa di un nuovo giorno che inizia, non vedremo nulla. Partiamo alle 6.30 e andiamo alla pozza a vedere un’alba magnifica che si riflette nell’acqua, in compagnia di una giraffa che beve. Facciamo colazione e poi andiamo alla caccia dei leoni. Passiamo per il campo 1 ed è vuoto. Chi aveva la prenotazione deve aver avuto qualche contrattempo. Giriamo tutti e tre i pan molto lentamente ma, a parte tutti i soliti animali, non troveremo nessun predatore. Gli struzzi abbondano come pure gli gnu, oryx, springbok e giraffe. Incrociamo ancora i ragazzi di ieri, che hanno dormito al campo 2. Loro non hanno avuto nessuna visita, hanno solo sentito i ruggiti da lontano e hanno delle facce da “wow” quando gli raccontiamo della nostra avventura. Ci dicono che siamo stati super fortunati. Ora posso dirlo anche io …. ma in quel momento ….. qualche pensiero negativo l’ho avuto. Lasciamo il pan alle 8.30. Oggi cambiamo ancora i programmi. Avremmo dovuto andare a nord al pernottamento a Motopi ma Pier non è tranquillo. Dopo domani abbiamo il volo. Abbiamo visto che, nel caso in cui si hanno problemi con la macchina, gli aiuti arrivano il giorno dopo e ci siamo resi conto  che questo parco non è assolutamente battuto da tanti turisti. Se si ha qualche intoppo non si può contare su nessun aiuto. Preferisce quindi tornare indietro dalla strada fatta ieri, almeno sappiamo com’è, uscire dal Matswere Gate e dormire a Rakops. Così facendo domani avremo solo asfalto su strada frequentata. In condizioni normali non ci avrebbe neppure pensato a sacrificare una notte nel parco, ma con la macchina che abbiamo non si fida. E’ la prima volta che non ha fiducia in un mezzo … e con giusta ragione visto quello che abbiamo rischiato con questa jeep. I meccanici ci hanno detto chiaro e tondo che non saremmo arrivati a fine vacanza con quel differenziale ….. Pier preferisce quindi rischiare il meno possibile. Io non reclamo, nonostante mi dispiaccia da morire, perchè so che ha proposto questo molto a malincuore. Quindi alle 8.30 partiamo diretti alla Deception. Viaggiamo tutta la mattina con il sole davanti quindi i colori e i paesaggi non rendono come ieri mattina. Guido io per qualche km. Vedremo sempre molti erbivori tra i quali una decina di red hartebeest (alcefalo rosso), gli unici che vedremo nel parco, e cacca fresca di elefante. In 3 ore e mezza arriviamo ad un’area camp del Kori per pranzare. Abbiamo incrociato solo una macchina nel viaggio di ritorno qui. Pranzeremo con frittata e verdure in scatola. E’ ora di partire. Andiamo piano fino alla Deception. Nessuno proferisce parola. Attraversiamo il pan cercando di catturare ogni ultima immagine di questo posto. Qui finisce la vacanza, il resto è di poca importanza. Ho ancora davanti agli occhi l’ultimo oryx che mi guarda. Posso sembrare esagerata, ma le sensazioni che provo in quei posti, non le provo da nessun’altra parte. Quei posti mi calzano come un guanto perfetto, la mia mente ed il mio cuore appartengono a quei posti. In un’ora e 15 raggiungiamo il gate. Nel parco abbiamo fatto 534 km. Lasciamo l’immondizia, vado a segnare l’uscita e guardo con tanta invidia chi sta entrando. Ci fermiamo poco dopo dal signore che ci ha venduto la legna 3 giorni fa e gli lasciamo i bomboloni dell’acqua buona, che abbiamo avanzato, mele ed altre cose da mangiare. In un’oretta siamo a Rakops. Gonfiamo le gomme (abbiamo inserito il 4×4 solo in un piccolo tratto tra il gate e la Deception) e andiamo a fare benzina. Raggiungiamo poi il Rakops River Lodge. Hanno posto in campeggio (Pule 260 € 21). Facciamo le docce calde e ceniamo con della triste pasta in bianco. Il morale è sotto i piedi, oltretutto 3 idioti, che dormono nel lodge, hanno fatto casino fino alle 23. Quanto ci mancano i leoni ed il nulla assoluto. C’è inquinamento luminoso quindi le stelle non rendono niente.

Pernottamento: Rakops River Lodge

– http://rakopsriverlodge.com/booking.html

– campeggio  (ci sono anche le camere ad  € 100 e il ristorante)

– Costo a testa: Pule 260 (€ 22)

 

 

 

 

14) 28 aprile 2022 giovedì – km.213 (213 asfalto):

Rakops – Maun

 

Strada:tutto asfalto (km. 201 h. 3 e 1/2) fino a Maun   

 

Benzinaio: Rakops

 

Gommista: Rakops

 

Market: Rakops e Motopi basico

 

Barriera veterinaria: dopo Motopi

 

Ci alziamo con calma. Chiudiamo per l’ultima volta la nostra tendina, ed incominciamo a raggruppare le nostre cose per avere meno da fare oggi, quando consegneremo la macchina. Facciamo colazione e alle 8.30 partiamo. In un’ora siamo a Khumaga. Senza che ne avessimo parlato, Pier gira a destra e andiamo al ferry che porta al Makgadikgadi. Stiamo lì un attimo a guardare un paio di jeep che salgono ed iniziano la loro vacanza. Ci fermiamo davanti alla recinzione di una capanna. Faccio vedere i sacchetti delle cose che ci sono rimaste da mangiare ad una signora. Probabilmente ha problemi di deambulazione perchè chiama un ragazzino e verrà lui da me. Mi fanno tantissimi gesti di ringraziamento. Sono felici con poco. Partiamo diretti a Maun. Dopo poco ci taglia la strada un mamba nero. Troppo veloce da fotografare, ma inconfondibile da riconoscere. In due ore e mezza siamo a Maun. La prima cosa che notiamo è il susseguirsi di banchetti dove vendono la legna ….. mi sa che il giorno di Pasqua erano tutti in chiesa a festeggiare … visto che ne avevamo trovato solo uno senza il venditore……. Andiamo a fare benzina e poi a pranzo da Marc’s. Questo ristorantino (aperto solo a pranzo) si trova all’interno di un giardino con alcuni negozietti ed uffici. E’ un bell’ambiente. Pranzeremo molto bene con filetto alla griglia e verdure (Pule 300 € 25). Il mondo è piccolo … vedremo il proprietario del lodge dove abbiamo dormito all’arrivo e dove dormiremo stasera. Ci riconosce e ci saluta da lontano. E poi, al tavolo di fianco a noi, un signore ci dice … ma noi ci siamo visti allo Nxai Pan. In effetti lui era venuto a curiosare nella nostra piazzola quando i meccanici ci stavano sistemando la macchina. E’ un professore svizzero in pensione che ha una casa a Cape Town, una jeep attrezzata per il campeggio che tiene là e quando può, prende il primo volo da Zurigo. Gira per l’Africa circa 6 mesi all’anno. Lo avevamo guardato con grande invidia. Sarebbe il nostro sogno da pensionati. Che caso trovarlo qui …. facciamo ancora qualche chiacchiera molto piacevole. Facciamo poi una telefonata alla Qatar chiedendo se c’è la possibiltà di fare un upgrade in business per la tratta Johannesburg – Doha (tutta di notte) ma ci dice che è tutta piena. Allora paghiamo 75 € in due per avere il posto un pochino più largo. Quando usciamo dal ristorante, andiamo allo Spar, dove abbiamo fatto la spesa due settimane fa, per comprare delle patatine per fare un’aperitivo questa sera e del biltong da portare a casa ai nostri figli, visto che l’adorano. Andiamo anche da Tops! per comprare due birre… facciamo fatica a staccarci da questa realtà e cerchiamo di rimanerci dentro fino all’ultimo…. Andiamo al lodge  alle 15.00. Svuotiamo la macchina ed alle 16 arrivano a prenderla. La lasciamo con 2.169 km. fatti. Sistemiamo le valige e poi alle 19.00, con un taxi, andiamo a cena al Sedia Hotel. Ceneremo a bordo piscina. Cena ottima con filetto alla griglia e verdure (Pule 350 € 30). Con lo stesso taxi dell’andata, torniamo i hotel (Pule 140 € 11 a/r). Pier rimane vicino al fuoco a chiacchierare con il proprietrio, io vado a dormire.

Pernottamento: The Waterfront Guesthouse – lodge

(http://maunwaterfront.com/) – (River side, between exit 7 and 8 Disaneng)

Costo a camera: € 129 con colazione.

 

 

15) 29 aprile 2022 venerdì:

Maun – aeroporto

 

Ci alziamo con calma e facciamo colazione. Cazzeggiamo fino alle 11.30. Il taxi (organizzato dal lodge) ci porta in aeroporto. Facciamo check-in e poi, per non dover già stare con la mascherina, usciamo e facciamo due passi. Andiamo poi al The Duck cafè a bere qualcosa. Questo è un posto di bianchi. Ci sono guide, turisti che stanno partendo per il safari e persone come noi che hanno finito la vacanza. Alle 12.30 rientriamo. Ci controllano i documenti ed il foglio dei vaccini. Alle 14.30 partiamo. Ci danno pranzo e dopo 1 h e mezza siamo a Johannseburg. Andiamo al banco della Qatar a ritirare i biglietti delle due tratte. Chiediamo anche qui se c’è la possibilità di ungrade. Ci dice che c’è solo un posto e che costa 1.000 euro … follia visto che noi la stessa tratta l’avevamo pagata 300. Pazienza. Andiamo da Mugg & Bean a cena. Partiamo alle 22.15 con 1 ora di ritardo. Il volo dura 7 h e 30.

 

16) 30 aprile 2022 sabato:

 

Dopo uno scalo di 2 ore ripartiamo. Qui non ci chiedono nè il vaccino nè il plf che abbiamo dovuto compilare ieri sera. Ci danno solo delle mascherine FFP2 nuove da indossare. Il volo per Milano dura 6 ore e 1/2. All’arrivo dovrebbe esserci nostro figlio Matteo a prenderci … ed invece ci sono anche nostra figlia Martina, la ragazza di Matteo, Marta e il nostro labrador Buddy …. riusciamo ad attirare l’attenzione di tutti perchè lui farà delle scene pazzesche quando mi vede ….  tutti sorridono e poi diverse persone vengono ad accarezzarlo… amore sincero ….

E anche questa è andata. Vacanza attesa e sognata per 2 anni e 8 mesi …ha superato tutte le aspettative più alte e ci ha fatto tornare, se possibile, ancor più innamorati dell’Africa.

Se volete qualche info su qualcosa che potrei essermi dimenticata di scrivere …… non esitate a scrivermi:

african.dreams2019@gmail.com.

Alla prossima

Anna e Pier

 

 

 

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