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Corfù “l’isola vintage”

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CORFU’ “L’ISOLA VINTAGE DELLE IONIE”

Dopo 42 isole viste, tra Ionie, Sporadi, Cicladi, Egeo, Dodecanneso, quest’anno una meta non ancora vista, nelle Ionie ci restava sempre ancora da vedere Corfù, l’abbiamo sempre un po’ scartata, ma in seguito ad un mio intervento chirurgico recente e vista la vicinanza, il volo comodo da Torino, finalmente l’abbiamo scelta.

Partiamo da Torino il 10 luglio con Ryanair (totale volo A/R con valigia 150 euro a testa, prenotato a giugno). Una manciata di ore e arriviamo. Con un taxi (30 euro) siamo alla volta di Benitses che sarà la nostra “casa” per una settimana.

Alloggiamo all’Avra hotel, a pochi metri dal mare, hotel molto spartano, semplice, con colazione nella taverna Avra sulla spiaggia (390 euro per doppia con colazione per 7 notti).

Già a Benitses ci rendiamo conto di come sia quest’isola, assolutamente lontana dal lusso, assolutamente non tipica delle isole greche, scordatevi il bianco e blu, spiagge sabbiose, tramonti infuocati. Ma è comunque “stranamente” bella, VINTAGE in tutti i sensi, non appariscente, vivibile.

Benitses si trova a circa 10 km da Corfù Town, un villaggio prettamente turistico, con un bel porto, una ricca vegetazione alle spalle, aveva guadagnato negli anni 80 con un turismo di massa, discoteche, locali, vita notturna. Destinato ad essere “La Rimini” di Corfù, ha perso negli anni tutto il suo smalto. Ormai file di locali in disuso, negozi vuoti, case bellissime in rovina affacciate sulla spiaggia. Restano i segni di quello che è stato, e l’aspetto è un po’ decadente, anni 70/80 mai recuperati. Ora rimane una meta per famiglie, taverne sul mare, alcuni bar, alcuni negozi, e un piccolo centro storico nella parte alta ancora carino.

Ci muoviamo nei giorni seguenti verso PaleoKastritsa, nome che richiama il piccolo e antico castello. E’ la località più visitata e più fotografata di Corfù. La piccola cittadina si affaccia su una bella baia a forma di trifoglio, circondata da colline di boschi e ulivi. Il mare è incredibilmente turchese (tipico delle Ionie, Zante in assoluto) con alcune baie e spiaggette, non esiste un paese vero e proprio, ma alcune taverne e qualche supermercato. Essendo la località più famosa, moltitudini di persone ogni giorno arrivano da altri paesi di Corfù, in taxi, coi bus, con i motorini.

La vista è davvero da cartolina, ma bisogna avere la voglia di aspettare il tardo pomeriggio, quando lentamente si svuota per apprezzarne tutti i colori… blu del mare, montagne verdissime, cielo blu.

In quest’isola, che nelle sue zone costiere è cosi paesaggisticamente e architettonicamente anni 80, la vera perla è Corfù Old Town, che visitiamo a più riprese.

Fortezze veneziane, palazzi britannici, spianate francesi, incontro di culture letteralmente a cielo aperto.

Lungo le stradine pedonali chiamate cantounia, nelle taverne, negli affollati caffè all’aperto, c’è tutta la storia, come un libro, non da leggere, ma da vedere.

Patrimonio dell’Unesco, si possono visitare il Municipio, il teatro San Giacomo, la Casa Parlante, la chiesa di Agios Spyridon, con la reliquie del santo patrono, il colonnato del XIX secolo modellato sulla rue de Rivoli di Parigi, la Spianada, un’oasi verde nel cuore della città, la Fortezza Vecchia, la Nuova Fortezza, il Campiello che è il quartiere più antico, con pozzi, piazze, balconi decorato con pentole e corde, la Sinagoga ed il quartiere ebraico con molte taverne.

Corfù resta un’isola molto frequentata, visto la sua vicinanza con l’Italia, quindi meta affollata nei mesi estivi, la sola città vecchia merita tutto il viaggio, per quanto riguarda le spiagge sono nella media, tranne la cartolina turistica di Paleokastritsa. Il cibo è ottimo come in tutte le isole greche, segnalo il loro piatto tipico, il Sofrito, carne di vitello cotta con aglio accompagnata da pasta o patate.

Ciao Corfù

Luisa Deninotti

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IRLANDA, L’ ISOLA DI SMERALDO! – giugno 2022 – PRIMA TAPPA: DUBLINO

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Dopo 2 anni senza viaggi, si riprende! Destinazione:

“IRLANDA”

ITINERARIO DEL VIAGGIO

PRIMA TAPPA: DUBLINO

18/06

ROMA-DUBLINO  

Partiamo, dopo la notte trascorsa a Roma, dall’ aeroporto di Fiumicino con un volo della compagnia di bandiera Aer Lingus. Alloggiamo all’ottimo Hotel “Riu Plaza Gresham” in O’ Connell Street, la via principale della città. Approfittiamo subito per fare un giro in centro.

Dublino è la più grande città dell’Isola d’Irlanda, nonché la capitale dell’Eire, o Repubblica d’Irlanda. Il suo nome gaelico, Baile Átha Cliath, significa letteralmente “città del guado della staccionata” o “stagno nero”. Una Città della letteratura UNESCO, una fucina di storia e una capitale fantastica incoronata due volte come la città più accogliente d’Europa da TripAdvisor. Naturalmente i bus sono rigorosamente a 2 piani e capita di incontrare un gruppo di giovani su quei strani mezzi mossi a pedali da tutti i passeggeri!

 

 

 

 

 

La statua di Daniel O’ Connell, a cui la via è dedicata, è il monumento al leader dell’emancipazione irlandese fra Settecento e Ottocento.

Si incontra anche la statua di James Larkin organizzatore dello sciopero generale di Dublino del 1913.

Altra statua dedicata a William Smith O’ Brien che fu il capo di una fallita ribellione avvenuta nel luglio 1848. Dopo essersi arreso, arrestato e condannato a morte, la pena fu cambiata con la deportazione in Tasmania.

Verso la metà della strada c’è lo Spire, il monumento alla luce: un’alta colonna metallica che svetta verso il cielo e rappresenta per i dublinesi e per i numerosi turisti un punto d’incontro e di orientamento in città. La forma è conica con un diametro di tre metri alla base e 15 centimetri in cima con 120 metri di altezza, la maggiore dello skyline dublinese.

Lungo O’ Connell Street si trovano negozi, l’imponente edificio delle poste, numerosi fast food e ristoranti. Anche una gelateria italiana!

All’ angolo con Earl Street, la statua dedicata a James Joyce uno dei più illustri scrittori irlandesi.

Il principale edificio è appunto il  General Post Office dove venne proclamata l’indipendenza dell’Irlanda e che fu adibito a quartier generale della rivolta nel 1916. Il palazzo risale al 1814 e fu progettato da Francis Johnston, famoso architetto del periodo georgiano, ed oggi è il luogo simbolo dello spirito repubblicano, dove si svolgono la maggior parte delle manifestazioni politiche e dove si trova la sede delle Poste.

Non possiamo non fare una capatina al “Temple Bar” il quartiere perfetto per chi cerca il divertimento; è ricco di pub e di artisti di strada. Giovanile, movimentato ed affollatissimo, soprattutto nei fine settimana e durante i festeggiamenti di San Patrizio. Il Temple Bar, uno dei quartieri più vivaci di Dublino, frequentato dai giovani di tutta Europa è situato nelle vicinanze del fiume Liffey.

 

Il Quartiere prende il nome dal Temple Bar il pub centrale colorato di rosso nel quale in passato risiedeva William Temple il rettore del famoso Trinity College.

Questo luogo è il simbolo della vita dublinese, ogni “Dubliners” dallo spirito giovane infatti è obbligato a farvi tappa nelle sue passeggiate. In estate è molto affollato e non sempre si riesce a degustare un’ottima Guinness! Lungo la strada dove si trova lo Spire si esibisce un “duo” rapper. Si torna in hotel per la cena.

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WEST COAST U.S.A. – Agosto 2022

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Nel 2022 la Big Family decide di bissare il fantastico viaggio in USA del 2018, questa volta scegliendo come meta il lato occidentale degli Stati Uniti. Un itinerario on the road di oltre 5000km tra metropoli, highways infinite, parchi e con la ciliegina dello Yellowstone NP, un’autentica perla in questo pianeta. Un viaggio denso di emozioni, fortemente voluto contro tutto (pandemia, mal di schiena, ladri, guerra, siccità, apocalisse zombie) e tutti (ma dove andate con dei bambini così piccoli, sciagurati, ma non spenderete troppo?, ma non è meglio qualcosa di più riposante?).

DATI DEL VIAGGIO

2 famiglie

famiglia 1: Sasso, Laura, Matte 11 anni, Marta 8 anni

famiglia 2: Ale, Vale, Emma 14 anni, Lore 7 anni

21 giorni

7 stati attraversati

5300 km on the road da San Francisco a Los Angeles

periodo 11 agosto/ 31 settembre

acquisto voli: febbraio 2022

hotel: per le grandi città fissati dall’Italia, per il tratto on the road trovati sul momento

formula: autonoma, ci siamo rivolti ad un tour operator solo per l’assicurazione

11-15 agosto – SAN FRANCISCO

L’inizio a Roma non è dei migliori: la mattina della partenza infatti troviamo la mia macchina (caricata la sera prima) scassata e le valigie sparite. Io, Laura, Matteo e Marta, dopo alcuni attimi di panico, decidiamo comunque di partire, con 4 spazzolini da denti e poco più… va beh, non sarà certo questo intoppo a fermare la Big Family!
Arriviamo a San Francisco con volo ROMA/NEW YORK/SAN FRANCISCO operato da Air Italy. La nuova compagnia di bandiera italiana lavora bene ed entrambi i voli sono tranquilli, anche se il viaggio pare non finire mai, ed una volta alla meta crolliamo a letto distrutti.

A San Francisco soggiorniamo 4 notti presso il Grant Hotel in Bush Street, raggiunto con il taxi dall’aeroporto al costo di circa 40$. L’albergo è semplice ma gli standard americani sono buoni anche per strutture da una o due stelle: camera spaziosa, pulita e buona colazione compresa nel prezzo. Posizione ottima per raggiungere Union Square e ben servita dai mezzi pubblici, cable-car compresi. Gentile lo staff che ci permetterà di usare gli spazi comuni per consumare la cena acquistata di volta in volta in giro per la città.
Dopo un obbligato e non preventivato shopping da ROSS, per acquistare un po ‘di cenci da indossare durante la vacanza, inizia l’esplorazione di questa bella città. Il jet-lag non ci disturba e riusciamo a girare San Francisco visitando durante il nostro soggiorno tutti i luoghi che ci eravamo prefissati: Pier 39, Fisherman’s Wharf, Lombard Street, Golden Gate Bridge, Castro, China Town, il Pampanito, Golden Gate Park… muovendoci comodamente a piedi o con i mezzi pubblici. Menzione particolare per l’escursione ad Alcatraz, molto suggestiva ed interessante, che cattura l’attenzione di grandi e piccini. E’ fondamentale ricordarsi di acquistare il biglietto per l’isola con almeno un mesetto di anticipo, perchè  i posti sono limitati e si esauriscono rapidamente.
Siamo in America, ragazzi!

15-18 agosto – ON THE ROAD DIREZIONE YELLOWSTONE

Ritiriamo due auto presso la sede ALAMO di O’Farrell Street, i due bolidi (si fa per dire…) che ci accompagneranno per circa 2 settimane in un pazzesco on the road su alcune delle più belle highway statunitensi. Puntiamo subito verso il parco di Yellowstone, che dista più di 1200km di distanza, e mettiamo in conto almeno 3 giorni di viaggio. Il primo giorno riusciamo a visitare il Lake Tahoe, ridente località lacustre a nordest di San Francisco e la sera dormiamo a Virginia City.
Virginia City merita che le vengano dedicate un paio di righe. La cittadina, che ha vissuto il proprio momento di splendore nel 1800 grazie alla scoperta di un giacimento di argento, anzichè perdersi e diventare una ghost-town ha saputo mantenersi viva e vegeta fino ai giorni nostri, conservando comunque il fascino dell’antico far-west. Abbiamo fatto acquisti presso un vecchio emporio e consumato una birra in un autentico saloon! E’ una tappa fuori dalle classiche rotte turistiche ma che comunque mi sento di consigliare se si passa da quelle parti.
I successivi 2 giorni di avvicinamento a Yellowstone passano attraverso le centinaia e centinaia di km di asfalto della suggestiva Interstate80, i pieni di benzina, i pasti comprati a Walmart e tante, tantissime risate.
La strada che stiamo percorrendo è anche detta la Prison Road, questo perchè  transita attraverso numerose carceri presenti nel deserto del Nevada. E’ infatti comune, percorrendola, imbattersi in cartelli che indicano il divieto di dare passaggi ad autostoppisti o persone estranee, in quanto potrebbero essere galeotti evasi.
Poco prima di arrivare alla destinazione finale ci fermiamo a visitare le Shoshone Falls (Idaho), tra le più alte cascate degli Stati Uniti d’America. Non saranno le cascate del Niagara, ma fanno la loro figura e valgono ampiamente i 5$ richiesti per l’ingresso nel parco.

18-21 agosto – YELLOWSTONE NATIONAL PARK

Finalmente arriviamo al principe dei parchi degli Stati Uniti, e forse anche del mondo intero: l’immenso, bellissimo, straordinario Yellowstone National Park. Dedicheremo 3 giorni alla visita del parco, con le sue bellezze naturali ed i suoi animali. Ciò che mi ha maggiormente stupito di Yellowstone è l’incredibile varietà di natura presente entro i suoi confini. Sconfinate praterie verde smeraldo che si stendono a perdita d’occhio attraversate da gruppi di bisonti allo stato brado, profondi canyons scavati nella roccia nel corso dei secoli, maestose cascate, aree geotermali, geyser, orsi, alci, chipmunks e chi più ne ha più ne metta. Una tale concentrazione di meraviglie in un unico posto è pazzesca.
Soggiorniamo a West Yellowstone, l’unico accesso occidentale al parco, in una struttura modesta ma dotata di tutto quello che ci serve. Troviamo una stanza sola e ci dormiamo tutti e 8 appassionatamente. D’altronde la Big Family è la Big Family, e stare tutti insieme non è altro che un motivo in più per divertirsi!
Utilizziamo il primo giorno per orientarsi, fare un po’ di spesa, pianificare le attività nel parco e fare un bel barbecue notturno a base di bistecche di bisonte e Budweiser, con tanto di marshmallows finali arrostiti su stecchi di legno, in perfetto camping-style. Decidiamo di utilizzare i 2 giorni successivi percorrendo per primo l’anello meridionale della Loop Road e per secondo l’anello settentrionale.
Entrambi sono fantastici, anche se devo ammettere che l’anello meridionale è quello che mi ha maggiormente entusiasmato: qui si può ammirare la zona delle numerose hotsprings con la splendida Grand Prysmatic Spring su tutte, i geyser (impossibile non restare ammutoliti davanti all’esplosione dell’Old Faithful), il maestoso Yellowstone Lake per terminare in bellezza con la maestosità del Canyon of Yellowstone e le sue meravigliose cascate.
L’anello nord è noto per il Mammoth Spring e per la Lamar Valley, con tutti i suoi bisonti. In occasione della nostra visita la Lamar è chiusa al traffico ed approfittiamo delle ore rimanenti per tornare a goderci il Canyon.
A Yellowstone facciamo il National Annual Pass che per 80$ da diritto a visitare per un anno intero tutti i parchi nazionali degli Stati Uniti.

21-22 agosto – ON THE ROAD DIREZIONE MONUMENT VALLEY

Lasciamo Yellowstone con gli occhi ancora pieni di tanta meraviglia e ci rimettiamo in marcia verso sud: destinazione Monument Valley. Sono parecchi km e dovremo dividere il viaggio in un paio di tappe intermedie. Il 21 agosto siamo nella capitale dello Utah, Salt Lake City, cuore pulsante della più grande comunità di mormoni al mondo. E’ domenica ed è tutto chiuso, ed il tempio mormone simbolo della città è chiuso per lavori di restauro; quello che ci resta in bocca di questa tappa non è quindi granchè e, complice un albergo a dir poco scadente, siamo ben felici il giorno dopo di scappare da SLC.
Continuiamo verso sud e nel pomeriggio del 22 agosto arriviamo all’Arches National Park. Visitiamo alcuni dei punti più belli del parco come la Balance Rock, il Landscape Arch, ma purtroppo è tardi e non riusciamo a fare il Delicate Arch… peccato sarà per la prossima volta. L’obiettivo adesso è fare un tuffo nella bella piscina del nostro albergo di Moab ed andiamo quindi a prenderci un paio di ore di relax. Moab è una piccola città composta da una via e poco più, carina e piena di polvere rossa, punto di partenza per escursioni in alcuni dei parchi più suggestivi dell’area come Arches, Canyonlands, Capitol Reef ecc… Vanta numerosi alberghi e tanti ristoranti interessanti. Noi scegliamo la Moab Brewery, per quella che sarà una delle migliori cene di tutto il viaggio.

23 agosto – MONUMENT VALLEY

Definire iconica la strada che conduce alla Monument Valley, venendo da Moab, è il minimo che si possa fare. Qui Forrest Gump ha arrestato la propria corsa, da qui sono passate Thelma e Louise prima di lanciarsi nel vuoto in uno dei numerosi canyon presenti nella zona, qui Michael J. Fox sbarca con la DeLorean in Ritorno al Futuro 3. Entrare nella Monument Valley, poi, è come entrare in un film western degli anni 70, in cui poveri indiani venivano attaccati da John Wayne e dai suoi amichetti cowboy. Paghiamo gli 8$ a persona per l’accesso al parco e iniziamo il giro dei maestosi Butte, che durerà un paio di ore. Per la sera abbiamo fissato due camere nel famoso Goulding’s Lodge, per anni unica struttura presente nella zona (ora affiancato dal più moderno The View). Il tramonto che ci godiamo mentre ci facciamo un aperitivo a base di Bud e patatine è qualcosa di indescrivibile: nessuna delle migliaia di foto che scattiamo sarà in grado di renderne giustizia. Cala la notte ed il fitto buio della valle fa da base ad un cielo stellato che è pressochè impossibile ammirare dalle nostre città. Restiamo un po’ ad ammirare la volta celeste, facciamo amicizia con un piccolo coyote affamato, e andiamo a dormire.

24 agosto – HORSESHOE BEND E BRYCE CANYON

Si riparte, ci attende l’ultima meta naturalistica di questo lungo viaggio prima di terminare con la visita di due grandi città. La destinazione finale di oggi è il Bryce Canyon, ma a Page facciamo una piccola deviazione per andare a vedere l’Horseshoe Bend. E’ la seconda volta che io e Laura lo vediamo. La prima, 14 anni fa, era tutto completamente diverso. Lasciammo la macchina lungo la strada, ci addentrammo a piedi nel deserto ed arrivammo in prossimità di questo magnifico e selvaggio strapiombo sconosciuto ai più. Adesso il magnifico strapiombo c’è ancora, ma di selvaggio neanche l’ombra: è stata costruita un’area di sosta, un accesso a pagamento, uno shop, un sentiero, pensiline e parapetti in acciaio… va beh!
Nel tardo pomeriggio arriviamo al Bryce, in quello che sarà l’unico giorno di pioggia dell’intero viaggio. Ormai non abbiamo più aggettivi per descrivere quello che tutti i giorni abbiamo la fortuna di ammirare: anche questo parco infatti è straordinario, con i suoi colori, i suoi canyon, i suoi tipici hoodoos che formano labirinti di roccia e vegetazione… capiamo perchè il primo uomo a stabilirsi in questo parco a metà del 1800, il pastore mormone Ebenezer Bryce, lo definì “il posto peggiore dove perdere una mucca”!
A stupirmi è soprattutto l’Inspiration Point, luogo pacifico e silenzioso, fortemente meditativo.

25 agosto – LAS VEGAS

E’ giunto il momento che la nostra vacanza, fino a questo momento quasi esclusivamente dedicata alla natura ed all’aria aperta, subisca una svolta. In fondo anche i più grandi asceti hanno bisogno talvolta di un po’ di mondanità! E quale città al mondo può vantare la brillante frivolezza di Las Vegas?
Attraversiamo quindi l’ennesimo deserto e sull’ora di pranzo siamo già alla Fabulous Vegas, con destinazione Hotel Excalibur. I bambini sono tutti eccitati alla prospettiva di dormire in un castello, per quanto artefatto. Sistemiamo con un po’ di fatica le pratiche di check-in e dopo essersi appropriati delle camere ci catapultiamo nella famosissima Strip. La percorriamo tutta per intero, da sud a nord e ritorno, così da poter ammirare tutti gli sfarzosi alberghi costruiti con tanta fantasia e creatività nel corso degli anni. In men che non si dica cala la sera e ci ritroviamo immersi nelle luci artificiali, nei suoni, negli spettacoli, nei casinò e nella pazza pazza gente di Las Vegas. Tutto è eccessivo, siamo circondati da un moltitudine di gente che pensa solamente a divertirsi e a folleggiare in questa città veramente incredibile.
Un consiglio: a sud della strip hanno costruito il South Premium Outlet dove ci sono i marchi più noti a prezzi incredibilmente stracciati, posto ideale per un po’ di shopping selvaggio (specie se ti hanno rubato le valigie e ti manca praticamente tutto!!!).
La mattina dopo visitiamo la vecchia Las Vegas in Fremont Street e ripartiamo alla volta della nostra tappa finale: Los Angeles

26-31 agosto – LOS ANGELES

“Los Angeles, I’m yours” cantano i The Decemberists, e noi arriviamo nella città degli Angeli così provati che, come dice la canzone, ci gettiamo letteralmente tra le sue braccia, nella speranza si di visitarne i luoghi più interessanti ma anche e soprattutto di riposarci e tirare un po’ il fiato in vista del lungo viaggio di ritorno.
Il nostro albergo, una bassa struttura semplice ma carina che offre una specie di miniappartamenti molto comodi, si trova sulla Wilshire, a poca distanza da Santa Monica, in un punto strategico sia per i giri che abbiamo intenzione di fare in queste ultime mattine, sia per il riposo sul mare che abbiamo deciso di dedicarci nei pomeriggi. In 4 giorni visitiamo i quartieri più noti della città: Hollywood, Burbank, Beverly Hills e le famose spiagge come Santa Monica, Venice Beach e Malibu. Ci concediamo un bel pranzo in una winery (la zona a nord di L.A. è infatti estremamente vocata per il vino) e dedichiamo una giornata intera alla visita degli Hollywood Universal Studios, per la gioia soprattutto dei piccini. Laura, la Vale e Emma decidono di farsi pure i Warner Bros Studios, affascinate dall’idea di osservare dal vivo i set delle loro serie TV più amate. Finiamo in bellezza con un ultimo giro a Walmart, nostro valido alleato in quasi tutte le tappe del nostro viaggio ed il giorno seguente siamo sul volo di ritorno che ci riporterà in Italia.

CONSIDERAZIONI IN ORDINE SPARSO

Si è trattato per ciascuno di noi di uno dei più bei viaggi mai fatti, con tanta “carne al fuoco” e tante emozioni. Ci vuole sicuramente un po’ di organizzazione e di attenzione ai dettagli, per questo raccomando di pianificare il più possibile prima della partenza. Un occhio di riguardo soprattutto ai voli, che acquistati nei tempi giusti risultano molto più convenienti (avendoli fermati a febbraio li abbiamo pagati un terzo di quello che costavano al momento della partenza). Gli imprevisti ovviamente non mancano mai (vedi valigie sparite) ma con il giusto spirito si può far fronte a tutto!
Abbiamo percorso una marea di km su asfalto, ma le strade in USA sono larghe e tenute alla perfezione quindi anche guidare è stato alla fine piacevole.
Viaggiare negli Stati Uniti è molto sicuro e le persone sono generalmente cortesi e ben disposte, c’è solo da fare un po’ di attenzione nelle grandi città dove tenere gli occhi ben aperti non fa mai male.
Per il roaming internazionale abbiamo attivato dall’Italia Travel Pass Usa Monthly (solo per clienti Wind, 3) che al costo di 20€ ci ha fornito GIGA per tutto il viaggio. Non che la rete fosse sempre disponibile e veloce, ma alla fine siamo riusciti quasi sempre a spippolare senza particolari problemi.
Per comunicare tra le due auto durante le lunghe traversate on the road abbiamo usato i Walkie Talkie di Ale e devo dire che sono risultati utilissimi.
Per il resto valgono un po’ le considerazioni fatte per tutti gli altri viaggi (su moneta, alberghi, benzina, cibo ecc…), solo il costo noleggio auto ci ha lasciati parecchio perplessi ma sembra che questo grosso aumento coinvolga trasversalmente un po’ tutte le società di noleggio in tutto il mondo.
I bambini ci hanno fatto un po’ sclerare, a volte, ma penso sia normale con tutti questi km e tutta questa fatica. Il loro stupore e il loro entusiasmo a fine viaggio ci hanno comunque ripagati di tutta la stanchezza.

Per qualsiasi info sull’itinerario o sulla spedizione in generale sono qui! Felici viaggi a tutti!

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Irlanda, l’isola di smeraldo! – giugno 2022 –prima tappa: Dublino – secondo giorno-9 giugno

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PRIMA TAPPA: DUBLINO-secondo giorno

19/06

DUBLINO  

Oggi la prima visita importante sarà al Trinity College ma prima vediamo altre cose interessanti.

STATUA DI MOLLY MALONE

“Molly Malone” (conosciuta anche come “Colli e cozze” o “In Dublin’s Fair City “) è una canzone popolare ambientata a Dublino che è diventata il suo inno non ufficiale. La canzone racconta la storia immaginaria di una dona che svolgeva il suo mestiere di pescivendola  per le strade di Dublino morta giovane, di febbre. È tipicamente rappresentata come una venditrice di giorno e una prostituta part-time di notte.  Alla fine del 20esimo secolo, è cresciuta una leggenda secondo cui sia esistita realmente una Molly storica, vissuta nel 17esimo secolo.  Non ci sono prove che la canzone sia basata su una vera donna in quel secolo o in qualsiasi altra epoca, tuttavia la Dublin Millennium Commission nel 1988 ha approvato le ricerche fatte su una Mary Malone morta il 13 giugno 1699 e ha proclamato il 13 giugno il “Molly Malone Day”(fonte Wikipedia)

THE FAMINE

Il Famine Memorial  è in ricordo della Grande Carestia, che vide la popolazione del paese dimezzata a causa della morte e dell’emigrazione; le donne, gli uomini ed i bambini sono mostrati come figure scheletriche che indossano nient’altro che stracci. Presente anche la statua di un cane. Le statue raffigurano gli irlandesi affamati che camminano verso le navi per essere portati oltremare per fuggire dalla fame e dalla  povertà della carestia irlandese. A pochi passi dalla scultura ancorata al molo c’è anche un veliero, replica della nave che trasportava gli esuli e che oggi ospita il “museo della carestia”.

         

 

STATUA DI OSCAR WILDE                

Raffigurato su una roccia con il solito smoking e la tipica espressione ironica e scanzonata. Diceva Wilde, che “essere naturale è la più difficile delle pose”. Realizzata dallo scultore inglese Dann Osborne per conto del gruppo industriale della Guinness.

Ora ci aspetta una visita molto importante.

TRINITY COLLEGE 

Il Trinity College di Dublino è uno degli istituti accademici più prestigiosi e il più antico di tutta l’Irlanda. Il nome effettivo del college è “College of the Holy and Undivided Trinity of Queen Elizabeth” e venne fondato nel 1592 per volere di Elisabetta I ed aveva un orientamento protestante poi in seguito vennero ammessi anche studenti cattolici ma solamente alla fine del Settecento e le donne agli inizi del Novecento. Artisti e famosi letterati frequentarono il Trinity College, ricordiamo Samuel Beckett, Oscar Wilde, Oliver Goldsmith e Edmund Burke.

 EDMUNDE BURKE                                                              OLIVER GODSMITH

La sua meravigliosa biblioteca, uno spettacolo senza eguali, e la sua Long Room, una galleria lunga 65 metri a due piani, caratterizzata dal soffitto a botte, con alti scaffali di legno, dove sono conservati circa 200.000 volumi ed da una collezione di busti in marmo posti su ciascun lato della sala.

La biblioteca dell’istituto conserva più di un milione di libri e importanti manoscritti, compreso il Libro di Kells, importante Evengeliario compilato nell’ Ottocento da monaci irlandesi. Si ammira anche la più antica Arpa conservata in Irlanda.

Ma c’è anche un poco d’ Italia: la scultura “LA SFERA NELLA SFERA” donata al Trinity da Arnaldo Pomodoro.

Una dolce sosta ci sta bene! Scorpacciata di dolci al bar!

Ed ora si passa ad una visita molto interessante!

GUINNESS STOREHOUSE

La birra più amata dagli irlandesi viene prodotta in questa fabbrica dal 1759, anno della sua costruzione, ad opera di Sir Arthur Guinness.

La Guinness Storehouse  è situata nel cuore del St. James’s Gate Brewery ed è la prima attrazione in Irlanda per numero di visitatori. Dalla sua apertura nel novembre 2000, ha attratto più di 4 milioni di visitatori da ogni angolo del globo. La costruzione di questo edificio di sette piani, la cui struttura è sostenuta da travi in ferro, fu completata nel 1904. Originariamente era il luogo in cui avveniva il processo di fermentazione in cui si aggiunge il lievito alla birra. All’interno è presente un enorme lucernario a forma di pinta che, come si trova scritto all’ingresso al piano terra, “se fosse riempita, conterrebbe 14,3 milioni di pinte di Guinness!”.

Il percorso del museo illustra in modo molte efficace il processo di fabbricazione della birra mostrando reperti manifatturieri d’ epoca. Un museo interattivo con tutte le curiosità possibili riguardo la mitica birra Guinness.

E ci sono anche artistiche interpretazioni come varie sculture rappresentanti gli  “Animali della Guinness” derivate dalle creazioni dell’artista John Gilroy dell’agenzia pubblicitaria SHBenson che produsse una serie di poster colorati e divertenti in cui diversi animali dello zoo scappavano con la Guinness del loro custode! (Il custode dello zoo era in realtà una caricatura di Gilroy stesso.)

Interessante  la ricostruzione del “CLOCK GUINNESS FESTIVAL”. Con un’altezza di 25 piedi, il suo meccanismo interno era molto elaborato e comprendeva nove motori elettrici reversibili e tre orologi sincroni.

Ogni quarto d’ora portava una frenetica esplosione di attività da un assortimento di personaggi creati dall’artista  John Gilroy per pubblicizzare la Guinness: gli animali e il loro guardiano dello zoo, accompagnati dalla musica da luna park. Il guardiano dello zoo iniziava la sequenza emergendo da una torre e suonando una campana. Seguendo il guardiano dello zoo appariva l’assortimento di altri animali, uno dopo l’altro e ciascuno eseguiva un pezzo musicale da fermo e poi si ritirava  nell’ Orologio in ordine inverso. Si può  persino seguire una rapida lezione per imparare a spillare perfettamente una Guinness non prima di ascoltare la storia della Guinness e provare un assaggio!

L’ edificio ha in tutto 7 piani, con in più il piano terra con il negozio con un sacco di articoli troppo tentatori per gli amanti del brand.

Il biglietto d’ ingresso include una spina media di birra… vuoi mettere berti una bella Guinness Originale direttamente nello stabilimento? Dove? Al 7° piano, al Gravity Bar, un rooftop panoramico tutto vetrate con una vista su Dublino a 360°!

Una gradita incursione di una “band” rumorosa di simpatici ragazzi! E’ il saluto che la GUINNES offre ai suoi ospiti!

Ed ora un poco di natura!

                                                                                     PHOENIX PARK

Il Phoenix Park è un parco di circa 700 ettari situato qualche chilometro a nordovest del centro di Dublino. Il parco ospita la residenza del Presidente della Repubblica Irlandese, ma anche il famoso Zoo di Dublino, terzo al mondo per fondazione, ed il Deerfield Residence, la residenza ufficiale dell’Ambasciatore degli Stati Uniti in Irlanda. E’ il più grande parco urbano d’Europa, con  viali, prati, giardini, orti botanici, campi da polo e cricket, ideale per trascorrere qualche ora all’aria aperta nelle belle giornate di sole e perfetto per rilassarsi, passeggiare o andare in bici, ma è anche il luogo dove assistere a concerti e manifestazioni sportive, come il Phoenix Park Motor Race. Il parco ospita anche una colonia di daini.

Una enorme Croce fu eretta in seguito alla visita di Papa Giovanni Paolo II il 29 settembre 1979. Alla messa nel parco parteciparono più di un milione di persone, quasi un terzo della popolazione irlandese.

Si prosegue per Galway dove alloggiamo e ceniamo all’ Hotel Clayton.

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Irlanda, l’isola di smeraldo! – giugno 2022 –seconda tappa: Galway

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SECONDA TAPPA:GALWAY

20/06

DUBLINO-GALWAY    210 km   GALWAY-LEENANE-GALWAY   170 km

L’ OVEST DELL’ IRLANDA

TOUR DEL CONNEMARA

Se si cerca la vera essenza dell’Irlanda allora bisogna vedere queste zone sperdute. Brughiere selvagge, coste frastagliate, spiagge bianche, penisole solitarie, castelli diroccati  Ogni angolo e ogni scorcio rimarranno impressi in maniera indelebile nella nostra memoria.

GALWAY
La meta ideale sia per chi non ha mai visitato l’Irlanda, sia per chi ci è già stato, è Galway, una vivace cittadina stretta tra l’omonima baia e il Lago Corrib. La quarta città irlandese per densità di popolazione, si affaccia sull’Oceano Atlantico, nella fattispecie sulla rocciosa costa ovest dell’isola, ed è considerata la capitale culturale della Repubblica Irlandese, un’ottima scelta dunque per chi vuole immergersi a fondo nella sua irlandese. Il clima nella Contea di Galway rispecchia quello dell’intera isola, ossia tipicamente oceanico ed estremamente variabile, tra venti impetuosi, precipitazioni sparse, sole, neve e nebbie persistenti. Galway, insieme a Fiume, in Croazia, è stata scelta per essere Capitale europea della cultura nel 2020.

L’originale agglomerato urbano di Galway nacque nel 1124, da una piccola costruzione fortificata sulle rive del fiume Gaillimh, voluta dal Re del Connacht. Nel Medioevo la sua posizione strategica – il porto era il principale centro irlandese per i commerci con la Spagna e la Francia – rafforzò l’identità di Galway come città fortificata, essa nel tempo fu governata da dodici famiglie anglo-normanne e due gaeliche. Purtroppo l’Irlanda tra il XVI e il XVII secolo fu colpita da due tremende carestie che decimarono la popolazione, Galway é infatti tristemente nota per essere stata la zona da dove partivano le “famine boats”, ovvero navi cariche di irlandesi che dopo aver perso tutto e stremati dalla carestia iniziarono ad emigrare verso le coste americane, molti di loro non riuscirono mai ad arrivare a destinazione, morendo a bordo di stenti e consumati dalla fame.

Galway è attraversata dal fiume Corrib che altro non è un emissario del lago. È qui che è prevista la mini crociera che si spinge fino all’imboccatura del lago, in lingua antica conosciuto anche come Loch Oirbsein o Loch Orrib. dal leggendario eroe mitologico Orbsen Mac Alloid (più conosciuto come Manannán Mac Lir, “il figlio del mare”, da cui l’isola di Man prende il nome).

Dopo colazione facciamo la crociera di circa 6 Km  sul fiume Corrib fino a raggiungere l’apertura sul Lago. Ci imbarchiamo sul Corrib Princess un battello da 150 posti che ormeggia al  Wood Quay, nel  cuore della città.

Appena salpati abbiamo  una visuale straordinaria della città e della costa. A bordo siamo accompagnati dalla spiegazione del percorso diffusa da altoparlanti.

Costeggiamo la sponda est del fiume e vediamo il  Menlo Castle o meglio  le rovine di uno splendido castello abbandonato e del suo fienile, costruiti in pietra, con un piccolo attracco per le barche rimasto intatto nel tempo.

Procedendo si incontra il Dunguaire Castle, la cui costruzione risale al 1520 per mano del clan Hynes, una famiglia importante dell’epoca. Nel 17° secolo, la fortezza passò al clan Martyn che vi restò fino al 1924.

Ogni anno, il castello ospita banchetti medievali dove gli ospiti possono gustare deliziosi piatti a quattro portate e vini raffinati mentre vengono intrattenuti da canzoni, storie e poesie.

Intanto a bordo i ragazzi dell’ equipaggio danno una dimostrazione sul come preparare l’ Irish coffe.

In un bicchiere riscaldato aggiungere uno o due cucchiaini di zucchero integrale di canna.

Versare 90 g di caffè caldo meglio se americano  fino a raggiungere circa i 4/5 del bicchiere  e mescolare ancora.

Unire 25 ml di whiskey rigorosamente irandese  e mescolare bene.

A questo punto versare la panna semi-montata 

Lo squisito Irish coffee è pronto per essere servito e sorseggiato !

Dopo assistiamo ad una esibizione del ballo tradizionale irlandese scandito dal battito dei piedi che calzano le “HEAVY SHOES” scarpe fatte in pelle, cuoio e legno simili a quelle da tip-tap, dotate di una punta rivestita in vetroresina e di un tacco in legno vuoto per produrre un suono ritmico. Da ricordare che Il “tip tap”, nome italiano della “tap-dance”, è una danza europea che trova le sue origini nel jig, ballo tradizionale irlandese.

Una curiosità di cui non tutti sono a conoscenza è che la zona di Claddagh, un tempo villaggio di pescatori, ha dato origine al famoso Claddagh Ring, uno dei simboli più importanti della tradizione irlandese. L’anello è composto da due mani che sostengono un cuore sovrastato da una corona, che simboleggia l’essere impegnati se girato verso la persona, e l’essere liberi se puntato verso l’esterno.

Il Claddagh Ring è il famoso anello irlandese, simbolo di amore, amicizia e fedeltà, che edriva il suo nome da Claddagh, un villaggio di pescatori sulla Baia di Galway. La parola claddagh in gaelico indica la sabbia rocciosa tipica proprio di quella zona.

ALLA SCOPERTA DEL CONNEMARA

Connemara, contea di

Anima selvaggia

A tratti austero e a tratti sublime, è un luogo ricco di leggenda, folclore e bellezza profonda.

Delimitata dall’Oceano Atlantico e posizionata in un angolo particolarmente scenografico della contea di Galway, questa regione è famosa per il suo territorio selvaggio e i colori tenui. Le torbiere rugginose sono punteggiate di laghi grigio-blu, gli antichi muretti in pietra segnano le colline e le spiagge coralline, le baie sabbiose e i porticcioli sono tutti bagnati da un oceano con sfumature cangianti.

Ci spostiamo da Galway a Leenane.

LEENANE(Leenaun)
In gaelico An Líonán, è un villaggio della regione di Galway situato sulle rive dell’unico fiordo irlandese. Molto visitata dai turisti la zona è considerata un paradiso della natura e si trova a confine con un’altra nota zona d’Irlanda: il Mayo.

La caratteristica Leenaun è famosa per il fiordo di Killary, lungo più di 16 chilometri e profondo fino a 45 metri. Sembra sia proprio l’unico, nel suo genere, in Irlanda. Le sponde del fiordo si dividono tra la contea del Mayo, nell’area settentrionale, e Galway, nell’area meridionale: nella prima è presente anche il monte Mweelrea, il più alto di tutta la provincia del Connacht (817 metri).

Dopo un pranzo veloce si procede per visitare la

ABBAZIA DI KYLEMORE

Circondata da giardini, Kylemore Abbey è situata nel cuore del Connemara, nella Contea di Galway: una Abbazia dallo stile inconfondibile conservata perfettamente ed è ancora adibita allo scopo, oltre che sfruttata per scopi turistici. Ospita un collegio femminile ed è aperta ai visitatori. All’interno ci sono immensi giardini, nonché il ristorante tradizionale e il laboratorio artigiano della lavorazione della ceramica.

Ciò che attira i visitatori da tutto il mondo è la spettacolare cornice che la circonda, come un quadro da ammirare per ore, si trova in una regione selvaggia e aspra nell’Irlanda occidentale, sull’omonimo lago Lough Kylemore nel quale si riflette armoniosamente protetta alle spalle delle Twelve Bens.

(I Twelve Bens o Twelve Pins sono un complesso montagnoso di dodici celebri e pittoresche cime situate nel Connemara.)

Kylemore Abbey era una residenza vittoriana in stile neogotico costruita da un ricco commerciante di Liverpool nel 1864-1868 (XIX secolo) il finanziere e parlamentare inglese Mitchell Henry, rappresentante a Londra della regione di Galway. Nel 1920 l’edificio fu acquistato dalle monache benedettine di Ypres, il cui monastero in Belgio era stato distrutto durante la Prima Guerra Mondiale. Si presentava con 33 camere, 4 bagni, 4 salotti, sala da ballo, sala biliardo, biblioteca, studio, sala scuola, area fumatori, sala pistola e vari uffici e residenze del personale interno per il maggiordomo, cuoco, governante e altri addetti. Al suo interno vi è devotamente conservata una bandiera inglese strappata al nemico dalla brigata irlandese al servizio della Francia nella battaglia di Fontenoy.

 

La cappella

A soli cinque minuti a piedi dall’Abbazia, lungo le rive del Lough Pollucapal, si trova l’incantevole chiesa neogotica di Kylemore. Descritto come una “Cattedrale in miniatura”, questo elegante edificio in stile XIV secolo è una testimonianza duratura dell’amore di Mitchell Henry per sua moglie Margaret.

Mausoleo

Nascosto, in un luogo tranquillo lungo il viale alberato, si trova il Mausoleo di Mitchell e Margaret Henry. Questo semplice edificio in mattoni è un modesto luogo di riposo con un’aura di pace e serenità. Quando Margaret morì durante una vacanza di famiglia in Egitto nel 1874, il suo corpo fu imbalsamato in preparazione per il viaggio di ritorno in Irlanda.

Col tempo le spoglie di Margaret furono deposte nel piccolo mausoleo nel bosco dove nel 1910 dopo la sua morte a Londra fu sepolto anche il suo grande amore Mitchell.

La Collegiata di San Nicola 

La chiesa parrocchiale medievale più grande ancora in uso in Irlanda. È l’unica chiesa anglicana della città. Eretta verso il 1320, sorge probabilmente sui resti di una più antica cappella.

Nel 1652, dopo 9 mesi di estenuante assedio, le truppe guidate da Cromwell distrussero la città e trasformarono la chiesa in una stalla per i cavalli dell’esercito.

Spanish Arch

Due delle porte delle mura costruite nel 1584 che servivano da protezione dal mare per le navi che dovevano scaricare le merci.

Lynch’s Castle

La più bella casa medievale dalla facciata decorata con sculture e stemmi della famiglia Lynch e del Re Enrico VII. Oggi l’edificio è sede della Allied Irish Bank.

Una curiosità sono le statue di Oscar Wilde ed Eduard Vilde che non erano conterranei, ma nati a qualche anno di distanza: Oscar, irlandese di Dublino, nato nel 1854 e Eduard Vilde di Pudivere, Estonia, nel 1865.
La scultrice estone Tiiu Kirsipuun ha immaginato un incontro tra i due, che non è mai avvenuto, e lo ha immortalato nel bronzo: i due scrittori sono seduti su una panchina mentre chiacchierano amabilmente.

La scultura  fu inaugurata nel 1999 e posta in una via di Tartu in Estonia.
Durante una visita ufficiale la presidentessa dell’ irlanda Mary Mc Aleese rimase molto colpita dalla scultura che le fu data, in miniatura, come dono ufficiale e così il governo estone decise di costruirne una identica e di donarla alla città di Galway in occasione dell’ingresso dell ‘Estonia nell’Unione Europea nel 2004.
Una targa, posta ai piedi della panchina a Galway e sul muro a Tartu ricorda i due poeti e le loro date di nascita.

Altra statua interessante quella di Pádraic Ó Conaire che è stato uno scrittore irlandese di lingua gaelica. In inglese si chiamava P.J. Conroy.

In una piazzetta altre statue che rappresentano dei suonatori e una coppia che balla. Io e Bianca ci uniamo a loro!

L’atmosfera di altri tempi in questa città si respira in ogni angolo, partendo dal centro storico puntellato dalle insegne colorate dei coffee bar e dei pub, e animato dagli artisti di strada che si esibiscono a ogni ora, magari intonando antiche canzoni dalla lingua incomprensibile. Sì, perché Galway è anche considerata la capitale gaelica dell’Irlanda, o meglio del Gaeltacht, ossia di quell’area occidentale del paese dove il 25% degli abitanti conosce ancora l’antica lingua gaelica.

Tra i tanti pub i più interessanti sono il Tis Goili’ In pieno centro, uno dei pub più antichi e caratteristici di Galway, un luogo dove gustare una delle tante e ottime birre irlandesi e il King’s Head  un vero pezzo di storia vivente. L’edificio risale al 13° secolo.

Domani si parte per il Kerry attraversando il Burren.

DOMANI TERZA TAPPA:

 SCOGLIERE DI MOHERTRALEE   210 km

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Irlanda, l’isola di smeraldo! – giugno 2022 – terza tappa: scogliere di Moher -Tralee

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21/06

GALWAY-SCOGLIERE DI MOHERTRALEE   210 km

Si parte per il Kerry attraversando il Burren.

Il Parco Nazionale del Burren si estende per oltre 1600 ettari nella parte sud-orientale dell’Irlanda, nella provincia di Burren, nella contea di Clare, gestito dallo stato irlandese e si caratterizza per le rocce calcaree  che occupano gran parte del parco e rappresentano la più grande regione carsica d’Europa.  

Qui si trovano i famosi “campi solcati” in pietra calcarea, paesaggi tipici della regione del Burren.

Il nome Burren deriva dal termine “Boíreann” che in Irlandese significa “posto roccioso” ed è un’immensa piattaforma rocciosa ricca di dolmen. il più famoso è il dolmen di poulnabrone, risalente al neolitico).

                                                                 Dolmen di Poulnabrone

(Poll na mBrón in irlandese, traducibile come Buco dei Dolori) è un antico dolmen che risale pressappoco al neolitico, tra il 4.200 e il 2.900 a.C. È costituito da una lastra di 3,6 metri di lunghezza supportata da due sottili lastre poste in verticale.  Il dolmen domina il paesaggio di pietra calcarea del Burren.

Sosta alla “The Roadside Tavern”, un caratteristico pub datato 1865, il che lo rende uno dei più antichi della zona. Si beve ottima birra artigianale in un ambiente accogliente e caratteristico: ci fanno assaggiare diverse qualità di birra…e si beve…si beve…..

Due curiosità! Sulla facciata una lastra metallica con le indicazioni per incidere lettere e poi i termosifoni posti sotto le panche!

Ed eccoci a

                                   Cliffs of  Moher, suggestivo panorama, scogliere da brividi!

Cliffs of Moher, scogliere di roccia arenaria e sedimentaria, alte fino a 214 m a strapiombo sull’oceano.  Una delle esperienze turistiche e delle attrazioni turistiche preferite d’Irlanda, le scogliere di Moher torreggiano sull’aspra costa della contea occidentale  di Clare. Visivamente spettacolari, si trovano a cavallo del suggestivo paesaggio del Burren  da un lato e del selvaggio Oceano Atlantico dall’altro seguendo la costa  per quasi 14 chilometri; si sono formate oltre 320 milioni di anni fa e oggi fanno parte del Patrimonio UNESCO.

Ci incamminiamo sul sentiero di sinistra percorrendolo quasi tutto. Il panorama è mozzafiato, la scogliera con lo sfondo del mare  e una folla di uccelli in volo che si appollaiano sulle sue pareti.  In quest’area protetta vivono circa 30.000 uccelli di oltre venti specie, tra cui il pulcinella dell’Atlantico ma  anche falchi, gabbiani, cormorani e corvi.  Un vero spettacolo. Per evitare pericoli di cadute  è stata posta una cinta in grosse lastre di pietra sul ciglio della scarpata. Abbiamo fatta una foto per documentare!

Una targa ricorda le vittime cadute dall’ alto….

In lontananza si intravedono nella nebbia, nebbia che aggiunge una nota di fascino, le isole Aran.

Torniamo indietro e prendiamo il sentiero di destra che presenta una scalinata che porta alla Torre O’Brien’ alta 24 Mt.

La torre fu costruita sulla scogliera nel 1835 dal padrone di casa e deputato locale Sir Cornelius O’Brien come punto di osservazione per i turisti inglesi che all’epoca frequentavano la zona. Si dice che inizialmente servisse da sala da tè; un’altra versione racconta che Cornelius  costruì la torre per impressionare le donne che stava corteggiando!

                      CENTRO VISITATORI

Inserito nella collina, simile a una grotta, ospita una gamma completa di strutture e attrazioni. Il design ha un impatto visivo minimo sul paesaggio circostante ed è complementare alla bellezza naturale delle scogliere.

                                                                    UNA MIA RIFLESSIONE:

Avrei voluto soffermarmi in silenzio ad ammirare  lo spettacolo  di quella natura così selvaggia… purtroppo però,  la folla di turisti intenti a farsi “selfie”  hanno un po’ rovinato l’atmosfera di quiete che sarebbe necessaria in questi luoghi.  Noi ci siamo limitati ad una modesta foto ricordo!

Un ristoro veloce e di nuovo in viaggio. Ci aspetta il  traghetto da Killmer a Tarbert.

Killimer è un villaggio nella contea di Clare e si trova sulla sponda settentrionale dello Shannon.

La scultura fatta in legno metallo e pietra presente vicino al punto di imbarco ricorda il suo passato. Opera dello scultore Raymond Glynn vuole significare, nelle scritte riportate sulle assi in legno in alfabeto celtico di “Ogham” e che si riferiscono ai nomi delle contee di Clare e Kerry, la forte tradizione che le unisce e che durerà nei secoli.

Tarbert è una città nel nord della Contea di Kerry, con boschi a sud e l’estuario dello Shannon a nord.

Lo Shannon Ferry ci accompagnerà in questo rilassante viaggio di 20 minuti che collega la Contea di Clare a quella di Kerry attraverso il maestoso estuario dello Shannon. Intravediamo un delfino….

Si prosegue per Tralee dove alloggiamo all’ Hotel The Rose.

DOMANI QUARTA TAPPA:

TRALEE-RING OF KERRY-TRALEE   210 km

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Irlanda, l’isola di smeraldo! – giugno 2022 – quarta tappa: “Ring of Kerry”– Tralee – Killorglinn – Killarney – Tralee

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22/06

TRALEE-RING OF KERRY-TRALEE   210 km

Giornata dedicata alla scoperta di una zona più spettacolare e visitata del paese lungo la penisola di Iveragh la più grande delle cinque penisole dell’ Irlanda sud-occidentale, oltre che una delle più grandi dell’ intera isola

22/06

TRALEE-RING OF KERRY-TRALEE   210 km

Giornata dedicata alla scoperta di una zona più spettacolare e visitata del paese lungo la penisola di Iveragh la più grande delle cinque penisole dell’ Irlanda sud-occidentale, oltre che una delle più grandi dell’ intera isola.

Situata nel Kerry, separata dalla penisola di Dingle e dalla penisola di Beara dal River Kenmare, è percorsa per gran parte dal celebre tratto di strada circolare, noto come Ring of Kerry, che parte dalla vicina Killarney. Una strada panoramica con splendide vedute  che costeggia la penisola di Iveragh nel sud-ovest della contea di Kerry. Il percorso circolare di 179 km si snoda tra aspri e verdeggianti paesaggi costieri e paesini rurali sul mare. Questo anello è un esempio perfetto di tipico paesaggio irlandese

Il paesaggio merita qualche foto!

Continua il viaggio verso Killarney con una sosta a Killorglin.

Abbarbicata sulle colline sopra il fiume Laune, il grazioso villaggio di Killorglin è famoso per la “Puck Fair” (Fiera del caprone), che, a partire dal 1613, si tiene ogni anno a metà agosto. Si tratta di tre giorni di vivaci festeggiamenti (i pub non chiudono mai), durante i quali si celebra l’incoronazione del più grande e bel caprone (puck) a “Re della Fiera”, fiera di bestiame e cavalli. Sulle sponde del fiume una scultura dedicata a questa festa.

Gli studiosi ipotizzano che le origini della fiera derivino dall’ Irlanda pre-cristiana ovvero dalla festa celtica di Lughnasa che simboleggiava l’inizio della stagione del raccolto, e che la capra sia un simbolo pagano di fertilità.

Un concorrente!

Alto posto caratteristico che visitiamo e’ il Bog Village, un villaggio-museo che mostra come vivevano nel Diciottesimo Secolo a Glenbeigh, una cittadina della penisola di Iveragh nella contea di Kerry dove, nei primi del ‘80 si trovò in un suolo eccellente per la produzione di torba. Le abitazioni di allora erano tutte concentrate in una unica stanza che faceva da cucina e letto.  Per lo più in molti avevano un solo piano senza soppalco.

La torba da bruciare è stata usata come fonte di riscaldamento e carburante di cottura per migliaia di anni ed è ancora oggi utilizzata in alcuni Paesi (come l’Irlanda e la Finlandia) e in zone povere di alberi.

 

 

Si possono ammirare due esemplari di Irish Wolfhound un’ antica razza canina irlandese famosa per essere la più alta del mondo un tempo usati per cacciare i lupi, alci o cinghiali selvatici e per la loro affascinante storia che risale ai tempi dei romani, infatti, nell’ anno 391 d.c., il console romano Quintus Aurelius  acquistò 7 esemplari per farli combattere al Colosseo a Roma.

Si inizia il percorso del RING dove ogni curva porta a una nuova spettacolare vista, di laghi, fiumi e cascate, dimore maestose e castelli.

Una sosta pranzo a Sneem, in gaelico An tSnaidhm, conosciuta con il nome inglese The Knot, il nodo, forse perché il fiume Kenmare incontra le correnti del Kenmare Bay, nell’estuario proprio sotto il paese, oppure più semplicemente perché è un vero e proprio nodo panoramico verso una delle zone più amate dai turisti. Sneem si presenta come una località tranquilla.

Ottimo piatto di ostriche e pesce consumato alla Stone house, una piccola azienda a conduzione familiare che ospita clienti da oltre 25 anni nel ristorante e il B&B.

 

 

 

L’ex presidente francese Charles De Gaulle visitò Sneem nel maggio 1969 e un monumento a lui dedicato si trova ora nella piazza a nord del villaggio. Vicino altro monumento dedicato a Steve Casey che è stato un vogatore e lottatore campione del mondo.

 

 

 

Si prosegue per Killarney e visita alla Muckross House che si trova sulle rive del lago Muckross, nella splendida cornice del Parco nazionale di Killarney.

Le stanze di questa magnifica dimora vittoriana – una delle principali dimore signorili d’Irlanda – elegantemente arredate, ritraggono lo stile di vita della nobiltà terriera, mentre al piano inferiore nel seminterrato si possono vivere le condizioni di lavoro della servitù impiegata nella casa un tempo.

 

 

 

 

In verità non mi ha esaltato! Si torna in hotel per la cena.

 

Domani quinta tappa.

TRALEE-CASHEL-KILKENNY   220 km

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Irlanda, l’isola di smeraldo! – giugno 2022 – quinta tappa: Tralee – Cashel – Kilkenny

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23/06

TRALEE-CASHEL-KILKENNY   220 km

Oggi ci attendono dei luoghi molto affascinanti.

Cashel  è un centro abitato del  South Tipperary, nelle midlands meridionali d’ Irlanda. Situato a breve distanza dalla strada nazionale N8, il villaggio è celebre per il suo patrimonio storico e architettonico, fra tutti la celebre ed imponente Rocca di Cashel, uno dei siti archeologici più apprezzati e visitati d’Irlanda.

Affascinante e custode di leggende, la Rocca di Cashel, o Rocca di San Patrizio, è uno dei siti più importanti dell’Isola. Sulla cima della rocca sorge un imponente complesso archeologico circondato da antiche fortificazioni: mura poderose proteggono una torre rotonda, un’abbazia priva delle strutture di copertura e le rovine della sede arcivescovile, edificata sopra ad insediamenti notevolmente più antichi.

Le travagliate vicende della Rock of Cashel, videro passare la fortificazione di mano in mano. Nel 1647, nel corso della guerre confederate irlandesi, il saccheggio toccò all’esercito inglese di Oliver Cromwell, guidato da Murrough O’Brien. Successivamente, agli inizi del XVIII secolo, la Chiesa protestante la rilevò per circa venti anni trasformandola in un luogo di culto.

Il tetto dell’abbazia fu rimosso nel 1749 per ordine dell’allora vescovo della Church of Ireland (anglicana), Arthur Price. Seguì un crollo, ma non venne mai eseguito il restauro.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutto intorno una distesa di verde delimitato da croci celtiche  in quanto  era abitudine ricavare le tombe tra le rovine delle antiche chiese, quasi come una simbologia, in un ordine apparentemente casuale. A Cashel questa usanza è durata fino al 1984 circa. Restiamo in silenzio per non profanare questo luogo tanto mistico…

In questo contesto quasi fiabesco si colloca la Rocca di San Patrizio, che resta uno dei luoghi di maggiore attrazione turistica.

 

 

Lungo la strada per Kilkenny incontriamo:

BLAC

K ABBEY CHURCH

 

Fondata dai domenicani nel 1225 ma caduta in disuso con la Riforma, dove si può ammirare la più grande vetrata policroma d’Irlanda realizzata con 10.000 frammenti di vetro color rubino e zaffiro che illustrano la vita di Cristo.

CANICE’S CATHEDRAL

Risalente al XIII secolo: oltre alle pietre tombali in marmo nero, si possono salire i 160 gradini che portano alla sommità della sua torre circolare dove godere di un’imperdibile vista sulla città.

 

 

 

 

 

Si prosegue per Kilkenny.

Kilkenny è una città della Repubblica d’Irlanda, situata nei pressi del fiume Nore, nella parte sud orientale dell’isola, ma non affacciata direttamente sulla costa. La cittadina antica conserva un fascino meraviglioso con le sue caratteristiche stradine  medievali e i suoi vicoli stretti, riuscendo a riportarci indietro nel tempo.

Il turismo in questa città è molto importante e rinomato, da sempre considerata come un’attrazione turistica per la celebre birra rossa che porta il suo nome anche se l’invenzione di tale birra risale a tempi più recenti e fu introdotta principalmente proprio per soddisfare il palato dei turisti stessi. La lunga tradizione della produzione della birra nacque con la mitica St. Francis Abbey Brewery dei Signori Cole e Smithwick. Dopo secoli di produzione artigianale e tradizionale la birreria fu acquistata dalla famosissima Guinness e ora appartiene al gruppo Diageo attraverso la fusione tra la Guinness e la Metropolitan. La curiosità è che la birra storica in realtà era prodotta soltanto in minima parte nell’antica e tradizionale birreria, l’ 80% del prodotto era Budweiser.

Dopo pranzo visitiamo il

CASTELLO DI KILKENNY

Il Castello di Kilkenny è una delle più grandi e imponenti strutture della cittadina la cui origine viene fatta risalire probabilmente al XII-XIII secolo. In origine, infatti, il Castello altro non era che una piccola torretta lignea, voluta nel 1172 da Richard de Clare, un conquistatore di origini normanne che giunse nella zona di Kilkenny per occuparla, in quanto ritenuta particolarmente strategica per i collegamenti nell’isola.

Pian piano, l’edificio venne trasformato in un castello vero e proprio, in pietra, e acquisito dalla potente famiglia Butler, che ne detenne la proprietà dal 1391 al 1967, quando fu ceduto all’asta per appena 50 sterline, passando cosi nelle disponibilità della città di Kilkenny. Il Castello è aperto alle visite, e costituisce un museo storico di peculiare interesse per la zona e tutta l’Irlanda. Nei tre piani si possono osservare stanze riccamente arredate tra cui biblioteche, stanze da letto, camere per ricevimenti e da pranzo, gallerie con collezioni di quadri di famiglia, le stanze dei bambini e quelle di lettura ma anche tante curiosità come un enorme W.C…..!.

 

 

 

 

 

 

 

Interessante la Long Gallery, l’ala del castello più vicina al fiume, che presenta un pregevole soffitto dipinto con motivi della tradizione celtica e preraffaellita, i ritratti della famiglia Butler e splendidi arazzi.

 

 

 

 

 

 

Una passeggiata nella cittadina per scoprire angoli nascosti.

KYTELER’S INN

E’ una struttura pubblica situata nel centro della Kilkenny medievale. Con parti dell’edificio risalenti al XIII o al XIV secolo, l’edificio è tradizionalmente associato alla famiglia Kyteler e soprattutto a “Dame Alice Kyteler”, una presunta strega della zona. L’ edificio ospita una locanda dal 1639.

LA STORIA

“Dame Alice Kyteler” (Kilkenny1280 – Inghilterra, dopo il 1325) è stata una donna irlandese originaria di Kilkenny accusata di stregoneria.

Le sue vicende costituirono il primo dei casi europei di caccia alle streghe ed avvennero poco dopo l’elezione di Papa Giovanni XXII (1316 – 1334), che nel 1320 aggiunse la stregoneria alla lista delle eresie condannate dalla chiesa cattolica. 

Note biografiche (fonte Wikipedia)

Alice Kyteler si sposò ben quattro volte e tutti i suoi mariti morirono in circostanze sospette e questo poteva già esser sufficiente per accusare una donna di stregoneria nell’Europa dell’inizio del XIV secolo. In realtà Alice Kyteler si era fatta alcuni potenti nemici  che non cercavano altro che il pretesto per eliminarla. Nel 1324 fu accusata di stregoneria tramite la testimonianza di molti, che giuravano di averla vista spazzare strane polveri davanti alla soglia di casa del figlio, William Outlawe, cantando o recitando: “Nella casa di William, mio figlio, vada tutta la ricchezza di Kilkenny…”. Altri ancora testimoniarono che sacrificasse galli neri e frequentasse il demonio.

Venne condannata al rogo con la sorella, col figlio avuto dal primo marito e con la serva Petronilla de Meath.

Alice Kyteler riuscì però a fuggire in Inghilterra; suo figlio riuscì a salvarsi offrendosi di rifare il tetto della St Canice’s Cathedral con tegole in piombo; Petronilla morì sul rogo davanti al luogo dove oggi sorge il Tholsel, il municipio di Kilkenny; nulla si sa del destino della sorella. La casa che si dice sia appartenuta ad Alice Kyteler pare tuttora esistere in St Kieran’s st 27, a Kilkenny ed oggi ospita un bar-ristorante. (KYTELER’S INN)

ROTHE HOUSE

Questa casa di mercanti dell’ epoca tudoriana fu eretta intorno a due cortili. Ospita una mostra archeologica ed una collezione di costumi.

GRACE’S CASTLE

Fu eretto nel 1210 e poi trasformato in prigione. Ristrutturato nel XVIII secolo, è da allora sede del tribunale.

Ma tutta Kilkenny offre scorci particolari.

 

 

 

Troviamo anche un poco d’ Italia!

Alloggiamo  e  ceniamo all’ Hotel Kilkenny.

Domani sesta tappa.

 KILKENNY-KILDARE-DUBLINO   165 km

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Un week end fuori porta a… New York!

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Possono uscire fuori molte cose da una chiacchierata tra amiche durante una passeggiata primaverile di domenica pomeriggio, tra cui l’idea di un week end lungo da qualche parte, dopo più di due anni senza grandi viaggi. Da qualche parte, ma dove? Ma a New York, ovviamente!

Quindi, Emy e Babi tutte soddisfatte decidono che il fine settimana lungo di San Giovanni (che è Santo Patrono di Genova e nel 2022 cade di venerdì, il 24 giugno) è perfetto e si fanno fare un preventivo, con tutte le assicurazioni del mondo per mettersi al riparo da epidemie, guerre e qualsiasi altro possibile imprevisto o sciagura.

Lo diciamo anche a quell’altra? Ma non vorrà venire… E invece Heidi, contro ogni pronostico, si unisce al gruppo, decidendo di sfidare per una volta i grattacieli invece delle vette alpine! E quindi siamo in tre, un nuovo preventivo e via, si prenota!

Il risultato è stato un volo di andata il giovedì mattina (diretto Delta da Malpensa) e un volo di ritorno la domenica sera dal JFK (diretto operato da ITA) e quindi tre notti nella Grande Mela, in un albergo centralissimo per ottimizzare il poco tempo.

Quindi un week end lungo a New York si può fare? Assolutamente sì, anche se praticamente tutti ci hanno preso per matte per così pochi giorni oltreoceano! E’ ovvio che abbiamo visto e fatto un infinitesimo di quello che si può vedere e fare a NYC ma va anche detto che comunque per fare tutto non basterebbero neanche mesi.

Io sono una grande fan dell’app “Get Your Guide” che anche stavolta è stata utilissima per prenotare diverse attività in un attimo e tutte rimborsabili fino al giorno prima: con poco tempo a disposizione abbiamo dovuto scremare, decidere e programmare e siamo partite con già in mano un minimo di piano d’azione.

Giovedì: dopo volo in ritardo, un’ora di immigration e più di un’ora di taxi causa traffico monstre, abbiamo fatto i nostri primi tredici km newyorkesi a piedi e, nel Greenwich Village, abbiamo fatto il pellegrinaggio al portone di casa di Carrie Bradshaw. N.B. durante il volo di andata mi ero riguardata sia il film di “Sex and the City” che “Il diavolo veste Prada”, giusto per entrare nell’atmosfera giusta. Di ritorno verso l’albergo (in taxi, dopo un primo test di “chiamata con la manina”, con tassista di origini italiane e figlioletto di nome Vincenzo) io e la Bionda (Babi) abbiamo portato Heidi a prendersi il primo schiaffo di luci, gente e macello a Times Square: difficile spiegarlo a chi non c’è mai stato, ma è proprio uno schiaffo!

Venerdì: avevamo la prenotazione per l’ascensore supersonico del nuovissimo grattacielo One Vanderbilt e relativa esperienza panoramica e multisensoriale ai piani 91, 92 e 93. Solo che il jet lag ci ha fatto uscire dall’albergo prima delle galline, mentre in giro c’erano giusto i camion della spazzatura, a stelle e strisce anche loro, e così ci siamo messe a passeggiare verso Rockefeller Center, Trump Tower e Central Park, in un’esplosione di arcobaleni per il mese del Pride. Inutile dire che il panorama dal grattacielo è pazzesco e idem l’ascensore, che fa 91 piani in tipo venti secondi: hanno pensato l’esperienza perchè sia diversa rispetto ai classici Empire State Building e Top of the Rock e quindi largo a specchi, trasparenze e palloncini argentati, il tutto circondato da una vista strepitosa a 360 gradi.

Sempre venerdì: uno dei capisaldi quando abbiamo pensato alle cose da fare era stato fin da subito il musical a Broadway e quindi eccoci al Neil Simon Theatre per “MJ”, il nuovo musical sulla carriera di Michael Jackson: livello ovviamente stellare! Prima di andare a teatro abbiamo provato l’ebrezza di essere rimbalzate da un ristorante alle 18.15: ci toccherà tornare di nuovo da quelle parti per provare la cucina di John’s, dove Babi era stata nella sua prima volta a NY.

Sabato: il jet lag insiste e quindi di nuovo a spasso presto: manina taxi ormai pro su una Fifth Avenue praticamente deserta e via verso Lower Manhattan, per macinare kilometri anche lungo il Brooklyn Bridge. Caldo niente male e maps ci ha poi anche fatto fare un giro dell’oca dentro Chinatown per raggiungere lo sperduto molo da cui partiva la nostra crocierina fotografica verso Lady Liberty, in mezzo a barche arcobaleno. Affamate e cotte (e fregate da un tassista che si è fatto furbo) siamo andate alla ricerca di cibo vicino al nostro appuntamento successivo: il museo/memoriale dell’11 settembre.

Qui ci vuole un capitolo a parte, sia sul nostro pranzetto molto Sex and the City da “Sant Ambroeus” (che non oso immaginare come venga pronunciato dagli indigeni), che per il museo “9/11”. Al ristorante storico di Milano, che non sapevo avesse anche due succursali nella Big Apple, tavolo ombreggiato vista nuovo World Trade Center, negozi di Gucci e Zegna accanto, caro ma qualitativamente alto e, evviva evviva, un signor espresso, tanto che dopo la visita al memoriale ci siamo tornate di nuovo: tre tossiche in astinenza da caffeina! Il museo dell’11 settembre è semplicemente straordinario: non era facile farlo davvero bene, con tutte le sue emozioni e implicazioni, ma ci sono riusciti. E’ ricordo, narrazione, scoperta, emozione, costruito esattamente dove tutto è successo.

Come chiudere l’ultima (di già???) giornata nella Grande Mela? Io e la Bionda prima di partire avevamo preso in mano la situazione e prenotato online un tavolo per un aperitivo su un rooftop bar vista Empire State Building: il “Top of the Strand”, sul tetto di uno dei tanti Marriott, al 21° piano. Prosecchino con panorama unico, temperatura perfetta, ambiente super e musica eccellente: ci stava alla grande!

Domenica: il volo è alla sera, quindi c’è tempo per andare ancora un po’ in giro e macinare altri km a piedi (alla fine saranno una settantina, in quattro giorni scarsi). Stavolta ci dividiamo: Babi torna verso Macy’s e a sbirciare i preparativi per la partenza del corteo finale del Pride, invece io e Heidi andiamo a passeggiare nel verde a Central Park, tra scoiattoli nutriti dalle mani, un tot di cani bellissimi e una corsa con una marea di iscritti che, come ci ha spiegato un toscano ormai trapiantato là che faceva il volontario, fa parte di quelle che, sommate, danno la possibilità di avere un pettorale per la maratona. Ci riuniamo per un pranzo tipicamente americano, in uno di quei locali vagamente retrò con i tavoli con le panche e i divisori tra uno e l’altro, le salse sui tavoli e i menù giganteschi (come le porzioni). E il caffè? Babi al mattino aveva scoperto un espresso niente male in un chiosco di Bryant Park: fa caldo, il sole splende, il parco è magnifico e pieno di gente ed il caffè in effetti è più che decente! Bottarella di malinconia e poi albergo, bagagli, taxi, aeroporto e via, si vola verso casa.

Per me si è così conclusa la quarta e sicuramente non ultima visita nella sempre vibrante e unica Grande Mela, la seconda (e altrettanto sicuramente non ultima) per la Bionda e la prima, e molto probabilmente ultima, per Heidi, che ha approfittato dell’occasione per visitare una città lontana anni luce da quello che le piace e dalle vacanze che ama fare, ma che molto difficilmente ci cascherà di nuovo (altrimenti che Heidi sarebbe?)!

Il feticcio del week end sono state sicuramente le ciabatte pelose arcobaleno nella vetrina del negozio Hugg, che faceva angolo con la Street dell’hotel e ci è servito da subito come punto di riferimento: non abbiamo avuto il coraggio di comprarle ma le abbiamo amate molto, soprattutto la Bionda!

Goodbye New York, alla prossima!

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Andalusia Olé!

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Andalusia Olé!

(by Luca, Sabrina e Leonardo)

Venerdì 15 Aprile:

Finalmente! … Dopo quasi tre anni (962 giorni per l’esattezza) senza volare, a causa del maledetto covid, torneremo a salire su di un aereo, anche se negli occhi ci sono, purtroppo, le terribili immagini della guerra, da poco scoppiata in Ucraina, che speriamo non degeneri.

Torneremo quindi a solcare i cieli, ma non andremo troppo lontano da casa in questa settimana che include le festività pasquali. La nostra meta sarà infatti l’Andalusia, la più meridionale ed una delle più vaste regioni spagnole (con poco più di 87.700 chilometri quadrati). Un viaggio che avevamo già prenotato per aprile 2020 e poi annullato per ovvi motivi … pandemici.

Prendiamo il via, in una tiepida giornata primaverile, dieci minuti dopo le 10:00 del mattino e un quarto d’ora più tardi imbocchiamo l’autostrada A14 a Faenza, diretti a nord. In questo modo, mentre sull’altro lato della carreggiata imperversa il traffico, che genera la prima coda di stagione, noi procediamo senza intoppi e cinque minuti prima delle 11:00, a Bologna, prendiamo a seguire la A1 … Così facendo alle 12:40 siamo a Milano, che oltrepassiamo mediante la tangenziale ovest, e alle 13:20 ci fermiamo a pranzare in un’area di servizio, ormai in vista dell’aeroporto di Malpensa.

Subito dopo ci rechiamo a lasciare l’auto al Ciao Parking e da lì, con la navetta gratuita, raggiungiamo l’area partenze del Terminal 1.

Imbarchiamo le valige nel complicato banco “fai da te” della Easy Jet e poi, oltrepassati tutti i controlli, ci mettiamo in attesa della partenza al Gate A04, quindi, alle 17:22, in leggero ritardo, il volo EJU 2735 prende quota virando subito verso ovest.

Fila via tutto liscio, senza sobbalzi, e, mantenendo lo stesso fuso orario, alle 19:17 atterriamo nell’aeroporto Malaga Costa del Sol. Recuperiamo sani e salvi i bagagli e una volta usciti ci rechiamo a ritirare l’auto a noleggio prenotata fin da casa con la compagnia Record Go, così, poco più tardi, ci consegnano una Seat Ateca bianca (targata 0606 LRS) e con quella diamo il via al viaggio “on the road” per le strade dell’Andalusia … Per oggi però copriamo solo la breve distanza che ci separa dalla località di Campanillas e dalla Posada de España Malaga, struttura turistica che ci ospiterà per le prossime tre notti.

Giungiamo a destinazione intorno alle 21:00, mentre il sole è appena tramontato. Portiamo i bagagli in camera e poi usciamo a cena nelle vicinanze al ristorante Menson Piqueras, dove mangiamo ottima carne ad un prezzo onestissimo, quindi torniamo all’hotel per il giusto riposo, dopo una giornata piuttosto stressante.

Sabato 16 Aprile:

Ci accingiamo così ad iniziare il primo giorno di visite in Andalusia e cominciamo proprio dalla località nella quale siamo atterrati: Malaga, che con oltre mezzo milione di abitanti è il capoluogo dell’omonima provincia, oltre che una città effervescente e ricca di storia, che diede anche i natali, nel 1881, al pittore Pablo Picasso.

Un po’ perché è il sabato di Pasqua, un po’ perché gli spagnoli sono restii a partir presto la mattina, le strade sono semideserte quando prendiamo il via dalla Posada de España, poco prima delle 9:00.

Ci fermiamo a fare una veloce spesa al Lidl e poi andiamo a lasciare l’auto in un parcheggio interrato vicinissimo al centro storico. Da lì poi, a piedi, andiamo alla scoperta di Malaga, dove il sottoscritto era già stato, ben 37 anni fa. A quei tempi però non c’era ancora l’elegante Paseo del Muelle Uno, una bella passeggiata lungo il porto sovrastata da un’avveniristica struttura, e non c’era neanche lo stravagante e colorato Centre Pompidour, succursale dell’omonimo museo parigino.

A poca distanza c’era invece, senza dubbio, la Plaza de Toros de la Malagueta, dove entrai per assistere alla prima ed unica corrida della mia vita … fu un’esperienza folcloristicamente interessante, ma non entusiasmante, alla quale non sono più intenzionato a presenziare. Scattiamo così qualche foto degli esterni e poi proseguiamo nelle visite.

Dalla Plaza de Toros ci spostiamo quindi ancor più verso il centro per giungere nelle vicinanze della vecchia Alcazaba, fortezza ispano-moresca risalente all’XI secolo, posizionata sulle alture che dominano la città, ed è in questa fase che Sabrina nota un cartello con le indicazioni per la salita tramite un comodo ascensore … scelta che si rivelerà azzeccatissima!

In questo modo ci ritroviamo nella parte più alta del complesso con i più affascinanti ambienti in stile arabo, come l’incantevole Patio del la Alberca, e le viste panoramiche dalle principali torri comprese nelle fortificazioni e poi seguiamo la visita tutta in discesa passando per i giardini ed i limitrofi bastioni.

Alla fine usciamo dall’Alcazaba proprio nei pressi dell’antico Teatro Romano, o di ciò che ne resta, risalente all’epoca di Augusto (I secolo d.C.) e scoperto casualmente nel 1951, durante i lavori di costruzione di un nuovo palazzo.

Passeggiando arriviamo quindi nella scenografica Plaza de la Merced, alla cui estremità settentrionale si trova la casa natale di Pablo Picasso e nello stesso angolo, su di una panchina, la statua del famoso pittore.

Da Plaza de la Merced ci avventuriamo poi nel dedalo di viuzze del nucleo storico di Malaga e così arriviamo, in Calle San Agustin, al palazzo che ospita il Museo Picasso, allestito solo nel 2003, che nelle sue sale racchiude una discreta panoramica di opere del noto artista, per certi versi discutibili, ma indubbiamente affascinanti.

Ora resta da vedere, a breve distanza, solo la grande Catedral de Malaga, un colossale edificio la cui costruzione, svolta sul sito di un’antica moschea, si protrasse per oltre duecento anni a partire dalla prima parte del XVI secolo. Il risultato è uno dei più sontuosi monumenti religiosi di Spagna in stile rinascimentale-barocco, con interni riccamente decorati e dalle impressionanti dimensioni (la volta a cupola supera i 40 metri di altezza!).

Uscendo dalla cattedrale percorriamo infine i viali antistanti, ancora fiancheggiati dalle grandi tribune montate per le processioni del Venerdì Santo, e nelle vicinanze ci fermiamo a pranzare con i nostri panini in una piccola area verde, prima di dichiarare conclusa la visita alla bella città andalusa e ripartire per la seconda parte di giornata.

Recuperata l’auto andiamo verso l’interno della regione e le montagne che s’innalzano alle spalle di Malaga. In questo modo, dopo meno di un’ora, giungiamo all’ingresso del Parque Natural Torcal de Antequera, un’area protetta di 12 chilometri quadrati istituita nel 1978 allo scopo di preservare un sito di grande interesse paesaggistico, inserito dal 2016 anche nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Lì lasciamo il nostro mezzo e poi, grazie ad una navetta, raggiungiamo il cuore del parco, dove si concentrano i luoghi di maggiore interesse, perché la riserva è nota, soprattutto, per i numerosi pinnacoli di roccia calcarea dalla sagoma contorta ed il profilo seghettato, la cui origine risale ad un fondale marino di circa 150 milioni di anni fa.

Noi andiamo ad iniziare dalla breve scarpinata che porta al Tornillo del Torcal, la più famosa e bizzarra fra le conformazioni del parco: una serie di “frittelle di roccia”, di diverse dimensioni, impilate una sull’altra, che si stagliano sull’azzurro dell’odierno cielo andaluso.

Subito dopo c’incamminiamo lungo la Ruta Amarilla, un sentiero ben segnalato che percorre, con diversi saliscendi, buona parte della zona, caratterizzata da rocce pericolanti e scenografici pinnacoli, spesso accostati, con un po’ di fantasia, ad animali ed oggetti comuni (il gallo, il drago, il robot, ecc …).

Impieghiamo quasi due ore a seguire un percorso non difficile, ma a tratti accidentato, sempre contornati da belle vedute e alla fine ne usciamo decisamente soddisfatti … peccato solo per la lunga attesa della navetta per il ritorno.

Riconquistata l’auto andiamo poi spediti verso il termine della tappa e, tornati anche in vista della città di Malaga, intorno alle 19:00 giungiamo alla Posada de España … Ci rassettiamo un poco, quindi usciamo a cena nei paraggi al Restaurante Manoli II. Anche lì mangiamo bene, spendendo il giusto, e così concludiamo una bella giornata, allietata da un bel sole ed una piacevole temperatura … e se il buongiorno si vede dal mattino credo sarà un’ottima vacanza.

Domenica 17 Aprile:

Inizia per noi abbastanza presto questo giorno di Pasqua 2022 in terra andalusa … La sveglia suona già prima delle 7:00 e mezzora più tardi siamo a consumare una veloce colazione, prima di prendere strada con sollecitudine verso l’interno e le montagne della regione. Abbiamo infatti un appuntamento inderogabile, poco dopo le 9:00, per l’entrata al Caminito del Rey, un vertiginoso sentiero che si sviluppa lungo una gola, così chiamato perché fu percorso nel 1921 dal re Alfonso XIII in occasione dell’inaugurazione della diga sul fiume Guadalhorce.

Il Caminito negli anni Novanta del secolo scorso versava in condizioni disastrose ed era diventato tristemente famoso come il sentiero più pericoloso al mondo. Fu allora chiuso nel 2000 e riaperto nel 2015, dopo ingenti lavori di ripristino. Oggi si possono così percorrere in completa sicurezza le passerelle in legno che a tratti si sviluppano ad oltre cento metri di altezza, appese alle pareti verticali di un severo canyon, spesso sovrastanti il vecchio, impressionante e malmesso tracciato.

Intorno alle 8:30 giungiamo così al parcheggio nei pressi dell’entrata nord del Caminito. Lì lasciamo l’auto e a piedi ci avviamo verso l’ingresso vero e proprio, che dista un chilometro e mezzo. Oltrepassiamo un tunnel pedonale poi, seguendo un facile sentiero in discesa, arriviamo in netto anticipo alla meta, dove ci consegnano un caschetto protettivo … e subito dopo ci avventuriamo lungo il Caminito del Rey, che si sviluppa attraverso le gole chiamate Desfiladero de los Gigantes.

In prima battuta solchiamo uno stretto canyon, abitato da migliaia di rondini, nel quale penetrano a fatica i raggi del sole. Percorriamo così altissime passerelle, che inizialmente intimoriscono un po’ Sabrina e Leonardo, poi il contesto si apre in una ridente vallata, fiancheggiata da severe montagne, e poco più avanti si stringe nuovamente per inoltrarsi nel punto più impressionante del percorso.

Mentre sopra alla nostra testa volteggiano decine di grossi pennuti (probabilmente rapaci) i paesaggi si fanno sempre più emozionanti e vertiginosi, fino all’attraversamento del canyon su di un ponticello sospeso nel vuoto … Le passerelle escono poi dalla gola, letteralmente aggrappate alle pareti verticali della montagna, e in questo modo ci accompagnano verso il termine di un’avvincente esperienza.

Dove finisce il sentiero restituiamo i caschi protettivi e da lì un comodo servizio di autobus ci riporta al punto di partenza a recuperare l’auto, ma non abbandoniamo subito il luogo, perché prima vogliamo fare ritorno alla base del canyon per scattare alcune foto e solo dopo ci avviamo verso il proseguo della tappa.

Ci fermiamo a consumare il pranzo di Pasqua fra le montagne, con la vista che spazia in lontananza su alcuni laghi artificiali e poi, nel primo pomeriggio, arriviamo nella cittadina di Antequera, definita il crocevia dell’Andalusia, che conserva importanti testimonianze del passato, anche decisamente remoto.

Prima di tutto ci rechiamo infatti alla sua periferia per visitare i monumenti preistorici, dichiarati nel 2016 Patrimonio dell’Unesco. Prima il Tholos di El Romeral, un tumulo dell’età del bronzo formato da un corridoio e due sale circolari, poi i due tumuli risalenti al 2500 a.C. chiamati Dolmen de Viera e Dolmen de Menga. Soprattutto quest’ultimo stupisce per le fattezze ed il peso delle pietre utilizzate per costruirlo. Da qui, in lontananza, si vede chiaramente anche la Peña de los Enamorados, una enorme rupe, che sembra un viso di profilo, alla quale è legata una leggenda di due giovani innamorati (lei musulmana e lui cristiano) … Dobbiamo però fare tutto piuttosto in fretta perché, essendo la domenica di Pasqua, i siti archeologici chiuderanno i battenti già alle 14:30.

In netto anticipo sulla tabella di marcia andiamo poi a parcheggiare vicino al centro storico di Antequera, quindi a piedi partiamo per esplorarne i luoghi di maggiore interesse.

Passiamo dalla Iglesia del Carmen, una delle oltre trenta chiese della città, ma è chiusa, allora proseguiamo per irte scalinate e giungiamo di fronte all’Arco de los Gigantes, grande porta risalente al XVI secolo, che dà accesso alla cittadella, con le antistanti fortificazioni che offrono un bel panorama sulla città.

Appena varcato l’arco seguiamo poi le indicazioni, sulla destra, per l’ingresso all’Alcazaba, ex fortezza araba risalente al XIII secolo … Non resta molto dell’antico complesso, ma le possenti mura di cinta inglobano due torri, la Torre del Homenaje e la Torre Blanca, dalle quali si godono splendidi panorami sulla sottostante distesa di case bianche, con la sagoma della Peña de los Enamorados all’orizzonte.

Appena usciti dall’Alcazaba andiamo a vedere anche l’attigua Collegiata de Santa Maria Mayor, che presenta una bella facciata in stile rinascimentale, quindi rientriamo con calma all’auto.

Ora, secondo i piani previsti, non rimane che spostarsi di una ventina di chilometri al paese di Archidona, per vedere la sua originale Plaza Ochavada, di forma ottagonale. Fu realizzata nel XVIII secolo, con caratteristiche ispirate all’urbanistica francese, ma circondata da edifici con elementi di pura tradizione andalusa … Il risultato è splendido, peccato solo per i troppi tavoli dei locali prospicienti, che deturpano decisamente l’ambiente

Da Archidona andiamo poi in direzione di Malaga ed il termine della tappa, per completare la quale manca meno di un’ora di strada, infatti già prima delle 18:00 siamo a parcheggiare l’auto davanti all’hotel.

Ci riordiamo un po’ e poi, per cena, andiamo verso Playa de la Misericordia, una delle spiagge di Malaga, ancora brulicante di vita, vista la calda giornata di sole primaverile che ha superato anche i trenta gradi di temperatura. Lì mangiamo un buon piatto di pasta al ristorante Sicilia Bedda e poi torniamo alla Posada de España per trascorrervi l’ultima notte di questo primo scorcio di vacanza.

Lunedì 18 Aprile:

Poco prima delle 9:00 siamo pronti a lasciare Malaga e ad intraprendere l’itinerario che ci porterà a scoprire gran parte dell’Andalusia.

Partiamo dalla Posada de España e andiamo a nord-ovest, inizialmente per la stessa strada che porta al Caminito del Rey, ma poi proseguiamo in direzione del medesimo

punto cardinale, contornati da una campagna incredibilmente verde, non compresa nei miei ricordi di una Andalusia decisamente più estiva.

Appena passate le 10:00 giungiamo così nel paese Setenil de las Bodegas, annoverato fra i cosiddetti Pueblos Blancos, famosi nella regione, ma al contrario della quasi totalità di questi villaggi, costruiti sulla cima di alte formazioni rocciose, gli abitanti di Setenil preferirono rifugiarsi dai pericoli costruendo le loro case sotto alle rocce sporgenti scavate dal corso del Rio Trejo.

Andiamo a lasciare l’auto in un parcheggio interrato nei pressi del centro e a piedi ci dedichiamo alla visita … una visita breve ma davvero piacevole, allietata da caratteristici e suggestivi scorci.

Riconquistato il nostro mezzo, al termine di un percorso circolare, ci muoviamo poi da Setenil verso la città di Ronda, storico agglomerato andaluso, che dista una ventina di chilometri, così, dopo una veloce spesa per acquistare i beni di prima necessità, ci rechiamo a parcheggiare sotto ad una piazza (la Plaza de la Merced) e da lì andiamo, a piedi, alla scoperta del centro.

Prima di tutto vediamo la storica Plaza de Toros, una delle più antiche arene di Spagna, inaugurata oltre duecento anni fa, davvero bella, con le sue caratteristiche tribune ad arcate, quindi, tornati a percorrere le vie della città, assaporiamo, dal punto panoramico posto a sud-ovest del monumento, il primo scorcio del Puente Nuevo, simbolo di Ronda, costruito nel 1759 a cavallo della spettacolare gola del Rio Guadalevín, che divide la città vecchia da quella più recente.

Seguiamo quindi la sponda settentrionale del baratro lungo il Jardines de Cuenca, un percorso pedonale con belle viste sul canyon e sul Puente Nuevo. Lì ci fermiamo a pranzare con i nostri panini e alla ripartenza guadagniamo l’estremità opposta della gola, dove si trova il Puente Viejo, che la tradizione popolare attribuisce ai romani, ma che sarebbe molto più recente (XVI secolo).

Oltrepassiamo quest’ultimo ponte e poi, scendendo per una ripida via, giungiamo al cospetto dei Baños Árabes, antichi bagni arabi risalenti al XIII secolo. Sono i meglio conservati di tutta la Spagna, caratterizzati da tre sale sormontate da volte con fori a stella, dai quali penetra la luce … ma dobbiamo fare tutto piuttosto in fretta, perché il sito sta già chiudendo i battenti.

Risaliti al Puente Viejo entriamo quindi nella parte più vecchia di Ronda e prima di tutto, prospiciente questo lato del canyon, ci rechiamo a visitare la Casa del Rey Moro, un decadente palazzo settecentesco chiuso al pubblico, dai cui giardini si accede però a La Mina, una lunga scalinata, di 237 gradini scavati nella roccia, attribuita al re musulmano Abomelic. Un passaggio segreto che conduce sul fondo della gola, da dove si gode di una spettacolare veduta. Doveva fungere da via di fuga in caso di assedio della città, ma fu proprio da qui che l’esercito cristiano riuscì ad entrare a Ronda del 1485.

Risaliti al punto di partenza con tanta fatica ci dirigiamo poi verso la chiesa più importante della città, la Real Colegiata de Santa Maria la Mayor, antica moschea trasformata in cattedrale all’epoca dei Re Cattolici. Ne esploriamo i ricchi interni, un mix di stili architettonici, dal moresco al gotico, al rinascimentale e al barocco e poi saliamo anche in cima all’edificio, con belle viste sui tetti e la campagna circostante.

Passeggiando infine per le vie del centro storico di Ronda, fiancheggiate da pittoresche dimore, giungiamo al via del percorso pedonale in discesa che porta al Mirador del Puente Nuevo, un altro percorso stancante (compresa la successiva risalita), ricompensato però dallo splendido scorcio del ponte con la sottostante cascata del Rio Guadalevín.

Sfiniti dopo gli innumerevoli saliscendi di Ronda riprendiamo strada poco dopo le 15:30 e in breve ci spostiamo, sulle vicine alture, al paese di Grazalema, un Pueblos Blancos annoverato fra i più belli di tutta la Spagna. Infatti offre alcuni begli scorci lungo le sue stradine, che percorriamo velocemente, prima di ripartire per l’ultimo obiettivo di giornata.

Una trentina di chilometri ci dividono dalla Cueva de la Pileta, una grotta alla quale si può accedere solo con prenotazione, che noi abbiamo per le ore 18:00.

In perfetto orario giungiamo a destinazione e, in compagnia di altri due anziani turisti tedeschi, intraprendiamo la visita dell’anfratto che, per motivi di conservazione, non è illuminato e lo si può esplorare solo con l’ausilio di alcune semplici torce.

Il vasto antro sotterraneo, scoperto nel 1905, è abitato da numerose colonie di pipistrelli ed è caratterizzato da svariate conformazioni calcaree, ma va famoso, soprattutto, per le sue pitture preistoriche. La guida così ci accompagna e ci spiega con passione ogni tratto del percorso di visite, soffermandosi su tutti i particolari, ed è una emozione indescrivibile trovarsi al cospetto di linee tracciate da mani umane fin quasi a quarantamila anni fa … un’esperienza unica, circa la quale ci meravigliamo solo dello scarso interesse turistico riservatogli … ma forse è meglio così!

Usciamo molto soddisfatti dalla Cueva de la Pileta che son quasi le 19:00, consapevoli che da lì dovremo percorrere ancora circa novanta chilometri, in gran parte di contorta strada di montagna, per giungere al traguardo di questa giornata. Scendiamo così, per lunghi tratti d’asfalto, fin quasi alla costa del Mar Mediterraneo e, intorno alle 20:30 giungiamo a La Linea de la Conception, proprio davanti alla famosa Rocca di Gibilterra, che visiteremo domani, all’Ohtels Campo de Gibraltar.

Facciamo check-in e poi saliamo in camera a rassettarci un poco, quindi, invece di cenare in hotel a quaranta euro a testa, per la stessa cifra mangiamo tutti tre, anche piuttosto bene, nel vicino e modesto Hostal Restaurante Carlos, ponendo fine ad una

bella giornata di vacanza.

Martedì 19 Aprile:

Ci sono un po’ di nuvole in cielo, ma non è previsto tempo brutto e non dovrebbe peggiorare, in compenso soffia un vento teso da ovest, che speriamo non influisca sul funzionamento della funivia che dovrebbe portarci in cima alla Rocca di Gibilterra.

Facciamo colazione e poi, lasciando le valigie in deposito all’hotel, ci spostiamo, in auto, di poche centinaia di metri, fino al parcheggio presso il confine con Gibilterra, enclave britannica in terra spagnola la cui origine risale ai Trattati di Utrecht del 1713.

A piedi attraversiamo la dogana, senza particolari problemi, quindi saliamo sull’autobus che va verso il centro città … autobus che, come tutti gli altri veicoli (ma anche i pedoni), attraversa letteralmente la pista dell’Aeroporto Internazionale di Gibilterra, così quando capita che deve atterrare un aereo scatta un semaforo ed il traffico si blocca, senza mezzi termini … Certo che la mancanza di spazio in alcuni casi è davvero drammatica!

Arriviamo comunque a destinazione, a breve distanza dal cable car (la funivia), che, a quanto pare, è operativa. Acquistiamo così il salatissimo biglietto e subito dopo prendiamo il via per la vetta della famosa Rocca di Gibilterra.

Giunti alla sommità ci rechiamo subito nella terrazza del cosiddetto “Top of the Rock”, da dove possiamo scattare qualche foto del vastissimo panorama circostante (con le coste africane ben visibili al di là dello stretto, identificato con le mitiche Colonne d’Ercole), mentre il sole fa timidamente capolino fra le nuvole.

Ci avviamo poi a piedi lungo i sentieri della Upper Rock Nature Reserve, la riserva naturale che abbraccia l’intero promontorio, e così facendo avvistiamo le prime simpatiche bertucce, esemplari di primati tipici del luogo, che, abituati al la presenza dell’uomo, si mettono quasi in posa per farsi fotografare.

In questo modo guadagniamo il punto panoramico dello Skywalk, dove si può camminare in una terrazza a sbalzo sul vuoto, con il pavimento in vetro, quindi arriviamo, non senza fatica, al picco di O’Hara’s Battery, laddove si trovano due enormi cannoni della seconda guerra mondiale. Da lì ci godiamo le vastissime vedute ed esploriamo tutti i tunnel, ma anche i bunker, che si sviluppano intorno agli insediamenti bellici, poi cominciamo a scendere di quota lungo i tracciati carrabili della Rocca, fino a giungere nei pressi della St. Michael’s Cave.

Questa grotta, con stalattiti e stalagmiti, la cui sala principale è stata trasformata in un originale auditorium, offre un interessante spettacolo di luci multicolore al quale prendiamo parte, prima di proseguire nel nostro percorso di visite.

Sempre scendendo arriviamo poi nel punto in cui si può attraversare il Windsor Bridge, un ponte sospeso che offre interessanti panorami sul sottostante agglomerato urbano di Gibilterra, e subito dopo conquistiamo anche Aspen Den, il luogo dove si concentra la maggior parte delle bertucce, infatti ce ne sono parecchie, sparse qua e là a far pennichella.

Successivamente, rimanendo in quota, affrontiamo un lungo tratto di strada che ci porta, poco dopo mezzogiorno, al Great Siege Tunnel, un complesso sistema difensivo scavato nella Rocca dagli inglesi, per piazzare nuovi cannoni, durante l’assedio del 1779-83. Visitiamo così l’intera serie di tunnel, con le sue stupefacenti postazioni belliche ricavate dentro la montagna, e all’uscita pranziamo al sacco nei paraggi, prima di scendere definitivamente a livello del mare.

Con l’ausilio dell’autobus facciamo quindi ritorno al confine e, approdati nuovamente in terra spagnola, recuperiamo prima l’auto e poi i bagagli in hotel, così da riprendere il nostro itinerario, quando però son già passate le tre del pomeriggio.

Transitiamo così nei pressi della città di Tarifa, da dove le coste africane vi vedono ancor più distintamente, e appena più a nord giungiamo alle rovine di Baelo Claudia, colonia romana che, nel I secolo d.C., sotto l’imperatore Claudio, assunse le caratteristiche di città imperiale, dotandosi di un teatro, di un grande foro e di un degno complesso termale … La città decadde poi nel secolo successivo in seguito ad un devastante terremoto.

I resti archeologici in sé e per sé non sono nulla di trascendentale, ma sono inseriti in un bel contesto ambientale e in definitiva il sito, dal punto di vista prettamente scenografico, risulta migliore di tanti altri osservati a spasso per l’Europa.

Da Baelo Claudia, ormai nel tardo pomeriggio, ci spostiamo ancora poco più a nord, al Pueblos Blancos di Vejer de la Frontera, un tipico borgo andaluso, arroccato su di un’altura rocciosa, dove, seppur sfiniti dopo le lunghe camminate di giornata, ci concediamo una piacevole passeggiata lungo i suoi vicoli, fiancheggiati da case imbiancate a calce, e le caratteristiche piazzette, dal sapore ispano-moresco.

Ora resta da percorrere ancora un lungo ma agevole tratto di strada (circa 160 chilometri), che conduce alla periferia della città di Siviglia e più precisamente all’abitato di Castilleja de la Cuesta, dove giungiamo un quarto d’ora dopo le 20:00 e dove prendiamo alloggio per questa notte, ma anche la prossima, nella struttura privata di La Casa del Carmen.

Depositiamo i bagagli e poi usciamo subito a cena mangiando buona carne al Ristorante El Paradas, prima di andar a riposar le membra al termine di una bella ma faticosa giornata.

Mercoledì 20 Aprile:

Eccoci pronti ad affrontare la visita di Siviglia, capitale della regione autonoma dell’Andalusia e suo principale agglomerato urbano, con circa settecentomila abitanti (più del doppio considerando l’area metropolitana), ricca di storia millenaria.

Purtroppo il meteo non è eccezionale, perché ci sono un po’ di nuvole in cielo, comunque facciamo colazione nel locale sull’altro lato della strada, di stessa proprietà della nostra struttura, e subito dopo prendiamo il via da Castilleja de la Cuesta sull’autobus M-160, che in una manciata di minuti porta al capolinea di Plaza de Armas, quasi nel centro storico di Siviglia, e da lì ci avviamo, a piedi, per esplorare la città.

Dopo poche centinaia di metri siamo così di fronte alla Plaza de Toros de la Real Maestranza, la più antica di tutta la Spagna, i cui lavori di costruzione iniziarono nel 1758, che sta alla corrida come lo stadio di Maracanà sta al calcio. Ne varchiamo l’ingresso per scorrere velocemente l’annesso Museo della Tauromachia, ma soprattutto per vedere la storica arena, capace di dodicimila spettatori … mentre il sole comincia a far capolino fra le nuvole.

Dalla Plaza de Toros arriviamo poi in pieno centro, in Plaza de San Francisco, sulla quale prospetta il municipio, e, lungo le vie adiacenti, davanti all’interessante Capilla de San Josè, piccolo scrigno del barocco spagnolo, che però è chiuso per restauri. Allora ci spostiamo nella vicina Plaza del Salvador, alla Iglesia del Divino Salvador, secondo edificio religioso della città dopo la cattedrale, con la quale divide il biglietto cumulativo d’ingresso … I suoi interni sono, in effetti, un tripudio di decorazioni barocche risalenti al XVIII secolo.

A breve distanza da quest’ultima chiesa ci rechiamo poi a vedere, in Calle Cuna, il Palacio de la Condesa de Lebrija, splendida residenza nobiliare del XVI secolo decorata in stile rinascimentale-mudéjar, ma anche con importanti reperti romani, collezionati nel tempo dalla contessa di Lebrija.

Con il sole ormai padrone incontrastato del cielo arriviamo, subito dopo, al cospetto dell’imponente Metropol Parasol, scenografica e grandiosa opera dell’architetto tedesco Jürgen Mayer-Hermann, inaugurata nel 2011 e ritenuta la struttura in legno più grande del mondo. Struttura che, indubbiamente, offre un colpo d’occhio spettacolare, con le colonne a forma di fungo alte oltre trenta metri e l’ondulata copertura a formare, appunto, un gigantesco parasole … Grazie ad un ascensore saliamo anche alla sommità della costruzione, da dove si possono cogliere splendidi ed estesi panorami della città.

Dal Parasol ci spostiamo quindi, un po’ più verso la periferia di Siviglia, al Palacio de las Dueñas, accattivante residenza nobiliare appartenuta alla famosa casata l’Alba e risalente al XV secolo, che comprende eleganti giardini ed un bel cortile porticato, che è una profusione di stucchi e delicati azulejos.

Passato già abbondantemente mezzogiorno facciamo poi ritorno verso il centro città e, dopo una sosta per pranzare in un tranquillo giardinetto, arriviamo a La Casa de Pilatos, splendido palazzo cinque-seicentesco considerato la più raffinata ed opulenta dimora signorile di Siviglia. Il nome deriva da Ponzio Pilato la cui casa, a Gerusalemme, pare assomigliasse proprio a questa nelle forme, ma non certo nelle decorazioni, vista la dovizia di stili adottata, dal mudéjar al gotico e al rinascimentale, con numerosi e raffinati azulejos alle pareti, concentrati soprattutto nello strabiliante patio principale.

Una volta esplorata La Casa de Pilatos ci avventuriamo nel Barrio de Santa Cruz, il quartiere più caratteristico di Siviglia … un dedalo di viuzze e piazzette nascoste fiancheggiate da tipici palazzi andalusi, e lì ci fermiamo a dare un’occhiata all’Hospital de los Venerables Sacerdotes, un complesso religioso, sede di un vecchio ospizio, che comprende una piccola cappella interamente ricoperta di affreschi ed una importante collezione di dipinti, incluse alcune opere di Diego Velázquez, famoso pittore sivigliano.

Mentre, purtroppo, tornano a farci visita le nubi ci accingiamo, poco dopo, ad affrontare il clou delle visite al capoluogo andaluso a cominciare dall’imponente cattedrale, nata nel XV secolo, dopo la riconquista di Siviglia, sul sito di un’antica moschea e che, di proporzioni gigantesche, voleva essere il simbolo della vittoria cristiana sull’islam. In effetti è la terza al mondo per dimensioni: 130 metri di lunghezza e 76 di larghezza, con le volte che culminano a 56 metri dal suolo. Della vecchia costruzione araba però rimane solo la splendida Torre de La Giralda, alta più di cento metri, un tempo minareto e poi il campanile della cattedrale.

Grazie ai biglietti già acquistati presso la Iglesia del Divino Salvador saltiamo la fila all’ingresso e in breve ci troviamo a contemplare gli interni dell’edificio religioso, che stupiscono per la vastità e le sontuose decorazioni. In particolare spicca la tomba di Cristoforo Colombo, sorretta da quattro cavalieri, che rappresentano i quattro grandi regni di Spagna. Ma non vi è la certezza assoluta che all’interno si trovino i resti dell’illustre navigatore, perché anche a Santo Domingo c’è una tomba di Colombo e la disputa fra i due lati dell’oceano, ormai ultra centenaria, non ha ad oggi decretato un vincitore, anche se Siviglia ha un leggero vantaggio.

Proprio di fianco alla cattedrale si trova il Real Alcázar, palazzo dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 1987, che risulta una magnifica sintesi di stile architettonico cristiano e mudéjar, per il quale abbiamo prenotato l’ingresso alle 16:30.

Gli interni, soprattutto quelli compresi del cosiddetto Palacio de Don Pedro, risalenti al XIV secolo, sono una vera e propria meraviglia. In particolare il Patio de las Doncellas, il Patio de las Muñecas ed il Salón de Embajadores, sono un trionfo di stucchi ed archi moreschi, che lasciano letteralmente a bocca aperta. Interessanti sono anche i giardini ed il singolare Baños de Doña Maria de Padilla, oltre che le sale del cosiddetto Palacio Gotico, attraversate alla fine del lungo percorso di visite.

Usciamo dall’Alcázar che son già passate le 17:30 e, nonostante la stanchezza accumulata, siamo ancora determinati a completare l’itinerario turistico previsto. Passiamo così prima davanti all’Hotel Alfonso XIII, che nel 1928 era considerato il più lussuoso d’Europa, e poi all’Antigua Fabrica de Tabacos, immenso edificio ora sede dell’Università di Siviglia, e passo dopo passo giungiamo alla grandiosa Plaza de España.

Costruita in occasione della Esposizione Ispano Americana del 1929 è un semicerchio di duecento metri di diametro fiancheggiato da sfarzosi padiglioni in mattoni rossi, decorati con variopinti azulejos … Splendida la sfilata dei 48 che identificano le provincie iberiche, impreziositi da panchine multicolore. Di fronte ai padiglioni poi uno specchio d’acqua segue la forma curvilinea della piazza ed è attraversato da quattro decoratissimi ponti che rappresentano gli altrettanti regni della corona spagnola: Castilla, Aragón, León e Navarra.

Il luogo appare architettonicamente splendido, peccato solo che manchi il sole a baciarlo. Allora ci accontentiamo della situazione e una volta scattate le dovute foto ci trasciniamo verso il termine della tappa, passando nei pressi della Torre del Oro, costruzione araba, risalente al XIII secolo, un tempo inglobata nel sistema difensivo della città.

Camminiamo così fino al capolinea degli autobus di Plaza da Armas e lì saliamo nuovamente sul bus M-160 che poco dopo ci riporta, stanchissimi ma decisamente appagati, a Castilleja de la Cuesta.

Senza troppi fronzoli, più tardi, usciamo infine a mangiare una pizza, sulla via principale della località, da Telepizza, prima di riportare le nostre stanche membra a consumare il meritato riposo.

Giovedì 21 Aprile:

Questa nuova giornata sarà un po’ al di fuori degli schemi dei tradizionali viaggi in Andalusia. Così dopo colazione, salutata La Casa de Carmen, partiamo in direzione nord-ovest rispetto a Siviglia e pochi chilometri fuori città ci fermiamo prima di tutto a vedere il sito archeologico di Italica, antica colonia romana del II secolo a.C. che diede i natali a ben due imperatori: Traiano e Adriano.

Le rovine, come spesso accade non troppo spettacolari, comprendono i resti di un grande anfiteatro e di alcune abitazioni, pavimentate con splendidi mosaici.

Dedicate le giuste attenzioni al sito riprendiamo poi strada verso il medesimo punto cardiale e verso la Sierra Morena, antico sistema montuoso che si estende in questa zona dell’Andalusia, ai confini con il Portogallo.

Dopo un’oretta di viaggio giungiamo così a Minas de Riotinto, una località mineraria di antichissime origini. Si narra infatti, secondo la leggenda, che il primo a sfruttare le risorse di questa terra sia stato, addirittura, re Salomone, nel X secolo a.C.. Di certo c’è però che i romani ne fecero un ampio uso a partire dal IV secolo a.C..

Prima di tutto ci rechiamo, nel cuore della cittadina, al Museo Mineiro de Riotinto, per convalidare i biglietti di accesso ai luoghi di maggiore interesse del territorio, già presi da tempo, ma anche per visitare velocemente il museo stesso.

Subito dopo ci precipitiamo, visto l’orario inderogabile, a circa sette chilometri di distanza, alla Mina de Peña del Hierro, una spettacolare miniera a cielo aperto, sfruttata fino al XX secolo e raggiungibile, alla sua base, tramite duecento metri di tunnel scavato nella roccia. Il grande cratere, sul cui fondo si è formato un laghetto, ha pareti multicolore, dovute alle sfumature dei minerali presenti, che possiamo osservare anche dall’alto, dopo una breve scarpinata.

Più tardi, tornati sui nostri passi verso Minas de Riotinto, passiamo accanto ad una enorme montagna artificiale, tutta fatta di scorie minerarie, e arriviamo alla partenza del Ferrocarril Turistico-Minero, una storica ferrovia risalente al XIX secolo, che corre accanto al fiume Rio Tinto. Il tragitto, costellato di vecchi giacimenti, dovrebbe essere il clou delle visite odierne.

Pranziamo così alla stazione, in attesa della partenza prenotata per le 13:30, e all’orario stabilito prendiamo il via sulle vecchie e traballanti carrozze. Il treno però non è l’oggetto di principale interesse di questa avventura, ma è l’ambiente circostante ad attirare maggiormente l’attenzione. Transitiamo infatti fra i resti arrugginiti di vetuste miniere e paesaggi caratterizzati da terre colorate, ma soprattutto seguiamo il corso del Rio Tinto, un fiume, per certi versi unico, oppure rarissimo, al mondo.

Le acque di questo semplice torrente scorrono in un terreno ricco di minerali, in particolare di ferro, e per questo motivo assumono una tonalità rossastra … tonalità che poco dopo la partenza del treno è lieve e poi aumenta progressivamente … È incredibile! … Dopo tanti viaggi e tante meraviglie viste in giro per il mondo non pensavo di rimanere così sorpreso e stupito da questo fiumiciattolo, la cui linfa assume riflessi impensabili, soprattutto al capolinea della ferrovia, dove scendiamo ad osservare da vicino il flusso e dove sembra di veder scorrere … sangue!

Con calma facciamo poi rientro al punto di partenza, consci di aver consumato un’esperienza che è andata ben oltre le aspettative.

Ripresa strada dopo la splendida escursione ferro-fluviale passiamo dal Mirador Minas de Riotinto, da dove la vista spazia sulle più grandi miniere a cielo aperto d’Europa (tutt’ora in attività, ma chiuse al pubblico) … una voragine immensa, purtroppo non baciata dal sole, che nel frattempo se ne è andato dietro alle nuvole.

Ci avviamo allora lungo la strada che, proseguendo poco più a nord, porta al paese di Aracena, presso il quale abbiamo una prenotazione alle 16:30 per le Grutas de las Maravillas, delle grotte con stalattiti e stalagmiti che sono fra le più visitate di Spagna.

L’antro è caratterizzato da numerose conformazioni calcaree distribuite fra più sale, con numerosi laghetti sotterranei … bello, ma ormai abbiamo visto decine di luoghi simili e forse ci aspettavamo qualcosa di più.

A questo punto della giornata ci mancano ancora oltre duecento chilometri per giungere al termine della tappa, con il pomeriggio che è decisamente inoltrato, così partiamo con sollecitudine.

Torniamo in direzione di Siviglia, che attraversiamo affrontando anche un po’ di traffico, e proseguendo verso est, circa a metà percorso, ci fermiamo nella cittadina di Carmona per fare una veloce visita alla locale Necropoli Romana, una delle più importanti dell’Andalusia, con centinaia di tombe scavate nella roccia fra il I ed il II secolo d.C. … un intermezzo tutto sommato interessante lungo la strada che conduce a Cordoba, rinomato centro che visiteremo domani.

Poco dopo le 20:30 arriviamo così a destinazione, all’Hotel Oasis, nella prima periferia della città, e nella stessa struttura ceniamo, in attesa del nuovo giorno, che speriamo non sia caratterizzato da cattive condizioni meteo, come le previsioni lasciano intendere.

Venerdì 22 Aprile:

La sveglia a Cordoba, uno dei principali e storici insediamenti dell’Andalusia, che un tempo fu anche capitale della Spagna musulmana, è con il cielo grigio e grossi nuvoloni … ma almeno non piove (e pensare che la ricordo in estate, qualche decennio fa, con quaranta gradi all’ombra!).

Facciamo colazione e poi check-out all’Hotel Oasis, lasciando le valigie in deposito, prima di partire in auto verso il centro città.

Piazziamo così il nostro mezzo in un parcheggio a pagamento, il più possibile vicino ai luoghi di maggiore interesse, e poi, da lì, ci avviamo a piedi alla scoperta di Cordoba, mentre come purtroppo previsto … comincia a piovere.

Prima delle 9:00 siamo così all’ingresso della Mezquita-Catedral, che a quest’ora si può visitare gratuitamente. Il monumento, che da solo vale la visita alla città, pone le sue origini in una grande moschea, fatta erigere nell’VIII secolo d.C. dal re musulmano Abd ar-Rahman e più volte ampliata. Annoverato fra i maggiori capolavori mondiali dell’arte islamica, nel XVI secolo l’edificio fu in parte sventrato per inserirvi al centro una sontuosa cattedrale cristiana … da qui il nome Mezquita-Catedral, che la rendono un’opera praticamente unica al mondo.

L’interno è spettacolare … Una “foresta” composta da 856 colonne (un tempo erano 1293), sovrastate da archi a strisce bianco-rosse … e sul lato meridionale la Maksura, l’area di preghiera riservata ai califfi e alla corte, con le decorazioni più belle, che raggiungono il loro apice nel Mihrab, la nicchia rivolta a La Mecca.

Ci godiamo il luogo, neanche troppo affollato in questo momento della giornata, per circa mezzora, fin quando scade il tempo delle visite gratuite e veniamo letteralmente messi fuori.

Nel frattempo è smesso di piovere e filtra pure qualche timido raggio di sole, così andiamo prima nelle vicinanze a vedere la caratteristica Calleja de las Flores, una stretta viuzza tempestata di vasi di fiori con vista sul campanile della Mezquita, e poi, attraversando il corso del Rio Guadalquivir sul Puente Romano (struttura più volte ricostruita nel corso dei secoli, facente parte in origine dell’antica Via Augusta), giungiamo di fronte alla Torre de la Calahorra, piccola fortezza di origine araba, compresa nelle vecchie fortificazioni della città.

Riguadagnata la sponda settentrionale del Guadalquivir ci rechiamo poi a visitare l’Alcazar de los Reyes Cristianos, la meno spettacolare fra le fortezze di origine araba delle maggiori città andaluse, ampiamente rimaneggiata durante il Regno di Castiglia, che ospita una bella collezione di reperti romani al suo interno e all’esterno interessanti giardini terrazzati.

Diretti verso il cuore di Cordoba, poco dopo, ci fermiamo a dare una occhiata alla bella Capilla Mudéjar de San Bartolomé che, risalente al XIV secolo, è uno dei migliori esempi di arte mudéjar in città e poi alla Puerta de Almodovar, aperta sul tratto di mura meglio conservato delle antiche fortificazioni.

Ci immergiamo quindi nella Judería, il vecchio quartiere ebraico, che con il suo dedalo di viuzze offre caratteristici scorci, e uscendone verso nord, subito dopo, passiamo di fronte alle undici colonne corinzie appartenenti ad un Tempio Romano de I secolo a.C., per giungere presso il Palacio de Viana, splendida residenza rinascimentale disseminata di verdeggianti patio, che però siamo costretti ad esplorare sotto ad una improvvisa e fitta pioggia.

Quando usciamo dal palazzo smette anche di piovere, così ci avviamo a completare il giro turistico di Cordoba, passando prima dall’ampia Plaza de la Corredera, seicentesca piazza porticata, l’unica in stile castigliano dell’Andalusia, dalle cui 360 finestre un tempo si potevano seguire le corride, che danno anche il nome al luogo, e poi dalla più angusta Plaza del Potro, dove si teneva il mercato del bestiame, come ricorda il puledro (el potro) che corona la fontana al centro dell’allungato spazio cittadino, che fra l’altro si trova vicinissimo al parcheggio dove abbiamo lasciato l’auto.

Alla ripartenza del nostro tour on the road passiamo così a recuperare le valigie in hotel e poi, mentre ci dirigiamo poco fuori Cordoba, al sito archeologico di Medina Azahra, che comprende le rovine di una città-palazzo fatta costruire nel X secolo dal califfo Abd ar-Rahman III, comincia purtroppo a piovere con insistenza.

Ci fermiamo così a pranzare con i nostri panini nel parcheggio del sito e poi temporeggiamo in attesa di una tregua meteo, fin quando, ormai nel primo pomeriggio, prendiamo coraggio e saliamo sulla navetta che conduce alle vestigia.

Sotto ad una leggera pioggerellina ci avviamo così ad esplorare le rovine, interessanti sotto diversi aspetti, ma poi comincia a piovere più forte, allora acceleriamo i tempi e, quando concludiamo il percorso di visite, ci ritroviamo tutti belli bagnati.

Riconquistata l’auto ripartiamo così con la ventilazione al massimo per asciugarci e sotto ad un vero e proprio diluvio arriviamo, ad una manciata di chilometri di distanza, alla successiva meta, il Castillo de Almodóvar del Rio, una fortezza di origine araba risalente all’VIII secolo e poi rimaneggiata, che domina il paesaggio, praticamente a picco sul fiume Guadalquivir.

Viste le condizioni meteo contrarie ci accontentiamo però di scattare qualche foto degli esterni e poi proseguiamo nell’itinerario, anche in considerazione del fatto che, successivamente, è previsto un lungo tratto di strada, durante il quale confidiamo in un miglioramento.

Vana speranza … infatti, quasi sempre sotto la pioggia battente, intorno alle 17:30, arriviamo nel paese di Alcalá la Real, proprio sotto la Fortaleza de la Mota, importante rocca fortificata, la cui storia si perde a ritroso nei secoli, che saremmo intenzionati ad esplorare.

Anche qui temporeggiamo un po’, fin quando sembra che voglia, finalmente, smettere di piovere, allora ci dedichiamo alla visita … Tutto sommato intrigante, malgrado le viste panoramiche fortemente penalizzate ed un forte vento, non certo piacevole.

Tornati, alla fine degli eventi, in controllo del nostro fedele mezzo di trasporto ci avviamo poi verso il termine della tappa.

Sfioriamo la famosa città di Granada, che vedremo dopodomani, e superando in autostrada un passo montano a quasi 1.400 metri di quota (a soli cinque gradi di temperatura!) planiamo quindi verso la cittadina di Guadix … Lì non piove e non sembra neanche lo abbia fatto nelle ultime ore, ma sulle vette più alte dei dintorni si nota addirittura qualche spruzzata di neve fresca!

A Guadix prendiamo così alloggio per la notte alla Cueva Pedro Antonio de Alarcon, una vera cueva scavata nella roccia, tipica della zona, e più tardi ceniamo nell’omonimo ristorante, auspicando per domani un rapido miglioramento delle condizioni meteo.

Sabato 23 Aprile:

È piovuto durante la notte anche a Guadix e quando ci alziamo, con ampi sprazzi di cielo sereno sulla testa, non lo fa più, in compenso fa tanto freddo … solo sei gradi!

Lasciamo i bagagli in grotta e poi partiamo per esplorare i paraggi, cominciando proprio dal centro di Guadix, dove vediamo prima di tutto la bella cattedrale, costruita fra il XVI ed il XVIII secolo sul sito dell’antica moschea, in uno stile che spazia fra elementi gotici, rinascimentali e barocchi, ma anche la dirimpettaia Plaza de la Constitución, che è un esempio di progettazione urbana rinascimentale del tardo Cinquecento.

Subito dopo ci muoviamo, nella periferia dell’abitato, al Barrio de las Cuevas, dove c’è la maggior concentrazione di storiche e tipiche abitazioni scavate nella roccia, e lì saliamo a piedi al Mirador Padre Poveda, una terrazza panoramica dalla quale si ha un bel colpo d’occhio sui tanti camini di areazione che escono dalla terra come funghi, sinonimo delle numerose dimore trogloditiche della zona.

Dal Barrio ci spostiamo poi di una manciata di chilometri a ovest di Guadix. Superiamo il paese di Purullena e giunti nella località di Beas de Guadix deviamo su di una strettissima carrareccia che sale, con forti pendenze, al Mirador del Fin del Mundo, un punto panoramico che spazia sulle conformazioni a calanchi sottostanti … davvero intrigante, peccato solo che il sole sia un po’ latitante.

La strada di accesso al luogo è tutta cementata, a parte però le ultime decine di metri, in piano e su sterrato, che sono un delirio causa il fango presente, così rinunciamo precauzionalmente al successivo mirador, quello di Purullena: quattro chilometri, tutti su sterrato, che non ci sembra proprio il caso di affrontare, viste le piogge di questa notte.

Torniamo allora alla nostra cueva a recuperare i bagagli e poco dopo partiamo, imboccando l’autostrada, in direzione della città di Almeria e del Mar Mediterraneo, mentre non possiamo fare a meno di notare, ancora una volta, le vette circostanti imbiancate di neve.

Scendendo di quota ed entrando nell’area geografica del cosiddetto Desierto de Tabernas, l’unico deserto, considerato geologicamente come tale, localizzato in Europa, il cielo si ripulisce completamente dalle nuvole e la temperatura sale, fin quasi a venti gradi. Il luogo, fin dagli anni Sessanta, è stato teatro di migliaia di riprese cinematografiche e pubblicitarie, che lo hanno portato ad essere conosciuto come la Hollywood europea.

Giunti così nei pressi del parco divertimenti Mini Hollywood ci fermiamo, ma non per il parco, eccessivamente turistico, bensì per seguire un breve tratto del cosiddetto Sentiero del Deserto, che parte proprio dal parcheggio adiacente … Sentiero lungo il quale scendiamo, fra eccellenti vedute, fin sul fondo di un canyon. Da lì poi si potrebbe anche proseguire per formare una sorta di anello, ma noi preferiamo fare ritorno, comunque soddisfatti,  al punto di partenza per la medesima via.

Passato ormai mezzogiorno ci spostiamo quindi di una manciata di chilometri al vicino Fort Bravo Texas Hollywood. Pure questo è un parco divertimenti, ma ha anche una sua storia. Fu infatti set cinematografico di numerosi film di successo, in particolare del mitico Sergio Leone, come “Il buono, il brutto e il cattivo” e “C’era una volta il west”, ma anche altri, come “I magnifici 7”, “L’ultimo dei moicani”, “Lowrence d’Arabia” e pure “Indiana Jones e l’ultima crociata” … in tutto oltre settanta!

Pranziamo nell’area di parcheggio del parco e poi andiamo alla sua scoperta: un insieme di edifici fittizi ambientati nel far west americano, che però appaiono piuttosto fatiscenti e necessiterebbero di un copioso restauro … Il tutto risulta oltremodo suggestivo, soprattutto in occasione di un simpatico spettacolo western con tanto di sparatorie ed inseguimenti a cavallo, messo in scena da un apposito cast di attori, al quale assistiamo prima di lasciare definitivamente il luogo, assediato nel frattempo da un fastidioso vento.

Con largo anticipo guadagniamo così la costa mediterranea, nei pressi di Almería, per completare il lungo trasferimento di giornata.

Andiamo ad occidente lungo il profilo costiero per un bel tratto, attraversando anche la zona degli Invernaderos, uno sterminato mare di plastica formato dalla più grande concentrazione di serre al mondo, prima di svoltare nuovamente verso l’interno e la città di Granada.

Lungo questo ultimo tratto di strada tornano ad addensarsi le nuvole e addirittura piove quando, a fine giornata, giungiamo all’Hotel Camino de Granada, che ci ospiterà per la notte … Non è previsto però brutto tempo per domani, quando andremo alla scoperta della città … speriamo bene!

Domenica 24 Aprile:

Mentre la vacanza volge ormai irrimediabilmente al termine ci svegliamo a Granada, la città che, sviluppatasi ai piedi della Sierra Nevada, fu l’ultima roccaforte araba in Spagna.

Era il 2 gennaio 1492 quando l’ultimo re della dinastia Nasride (Boabdil) consegnò le chiavi della città e della fortezza dell’Alhambra ai Re Cattolici … L’epopea araba di al-Andalus si concluse così a Granada nello stesso anno in cui Cristoforo Colombo (in ottobre) scoprì le Americhe.

All’inizio di questo conclusivo giorno di vacanza in Andalusia scosto così timoroso le tende della stanza d’hotel per guardar fuori … non piove più. Ci sono però ancora parecchie nuvole sulla nostra testa, ma anche qualche beneaugurante sprazzo di sereno.

Poco più tardi, infatti, il cielo si ripulisce, mentre facciamo check-out e lasciamo le valigie in deposito all’hotel per andare verso il centro città, con il termometro che però segna solo otto gradi di temperatura …

Andiamo a lasciare l’auto nel Parking San Augustin, proprio dietro la cattedrale, e da lì partiamo alla scoperta di Granada.

Prima di tutto ci dirigiamo verso la celeberrima Alhambra, il monumento più visitato di Spagna, inserito fin dal 1984 nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, che pone le sue origini nel IX secolo, ma che deve le sue fortune al periodo compreso fra il XIII e il XIV secolo, allorquando i sovrani Nasridi trasformarono il luogo in un magnifico palazzo-fortezza, vero e proprio scrigno di arte islamica in Europa.

Oltrepassiamo la monumentale Puerta de la Justicia e arriviamo giusto in tempo per visitare l’Alcazaba, la parte più antica del complesso dell’Alhambra, risalente al XIII secolo, un intricato sistema di fortificazioni che culmina nella Torre de la Vela, da dove si ha un bel colpo d’occhio sulla città, con in lontananza la Sierra Nevada imbiancata.

Subito dopo ci presentiamo all’ingresso del Palacio Nazaries, prenotato con larghissimo anticipo, qualche mese fa, per le 9:30, e in perfetto orario varchiamo la soglia del cuore dell’Alhambra, un complesso architettonico strabiliante, composto da fiabesche arcate e volte dorate, preziosi intarsi e raffinati stucchi, che raggiungono l’apoteosi nel famosissimo Patio de los Leones, con al centro la fontana nella quale l’acqua sgorga dalle bocche di dodici leoni in marmo, ma anche la Sala de los Reyes, dove spiccano un paio di rarissimi dipinti nascosti tra le volte, davvero inusuali fra le decorazioni arabe, e poi le fantasiose Sale de los Abencerrajes e de dos Hermanas, con elaboratissimi soffitti.

Usciti dal Palacios Nazaries attraversiamo il Giardino del Partal, dominato dall’omonimo quattrocentesco palazzotto e, uscendo dalle fortificazioni, arriviamo al cosiddetto Generelife, il sontuoso palazzo d’estate del sultano, caratterizzato da rigogliosi giardini con giochi d’acqua e splendidi cortili porticati, con la vista che spazia sulla fortezza dell’Alhambra e più in lontananza sulla città di Granada … un quadretto niente male!

Più tardi, rientrati nelle fortificazioni, completiamo la visita passando a dare un’occhiata al Baño de la Mezquita, antichi bagni arabi, e l’attigua Iglesia Santa Maria de Alhambra, costruita sulle rovine di una vecchia moschea, ma anche il Palacio de Carlos V, l’edificio più recente del complesso, edificato nel XV secolo, in netto contrasto stilistico con tutto quanto il resto, ma che presenta un accattivante cortile circolare, realizzato secondo un modello tipico del rinascimento.

Usciamo dalla Puerta de la Justicia che è quasi mezzogiorno, con gli occhi ancora pieni di meraviglia, e ci rechiamo, nella medesima collina, a vedere anche il Jardin de el Carmen de los Mártires, un interessante giardino ottocentesco che si sviluppa intorno ad una residenza con un bel patio nasride.

Scesi definitivamente dall’altura dell’Alhambra andiamo a consumare i nostri panini nella centralissima Plaza Nueva, sulla quale prospettano la monumentale facciata in stile manierista della Cancelleria Reale e la cinquecentesca Iglesia de Santa Ana, il cui campanile in origine era un minareto.

A pancia piena ci avviamo poi lungo la Carrera del Darro, una stretta via che si sviluppa in fregio ad un piccolo canyon, di sovente scavalcato da ponticelli in pietra, e lì giungiamo al Baño Árabes el Mañuelo, bagni arabi ben conservati risalenti all’XI secolo, ai quali dedichiamo un breve lasso di tempo, prima di tornare a Plaza Nueva per salire sull’autobus che dovrebbe portarci, in cima alla collina del quartiere di Albayzín, al Mirador San Nicolás.

Dalla piazzetta antistante la bianchissima Iglesia de San Nicolás si ha in effetti uno splendido colpo d’occhio sull’Alhambra e da lì poi sui può intraprendere la discesa lungo le strette viuzze di Albayzín, l’antico quartiere arabo, il più caratteristico di Granada. Una passeggiata che termina nella graziosa Plaza San Gregorio, con la bianca facciata dell’omonimo convento, e poi in Calle Caldereira, un vicolo stracolmo di negozietti, che sfocia di nuovo nei pressi di Plaza Nueva.

A questo punto della giornata ci dedichiamo poi alla visita della parte bassa della città e vorremmo cominciare dal Palacio de la Mandraza, che nel XIV secolo ospitava una scuola coranica, un bell’esempio di architettura mudéjar, ma è inspiegabilmente chiuso, allora ci mettiamo in fila, sul lato opposto della piccola piazza sulla quale prospetta, per entrare nella Capilla Real, la cappella dove sono sepolti i Re Cattolici Isabella I di Castiglia e Ferdinando II di Aragona, oltre alla figlia Giovanna “La Pazza” e suo marito Filippo “Il Bello”.  Le tombe sono sovrastate da un elaborato mausoleo in stile gotico-isabellino, che purtroppo, però, non si può fotografare, così come lo scettro della regina e la spada del re, collocati in una sala adiacente.

Usciti dalla Capilla Real ci rechiamo a vedere, ad un isolato di distanza, il cosiddetto Corral del Carbón, un antico caravanserraglio attentamente restaurato e poi, passando per l’ottocentesca Plaza Bib-Rambla, giungiamo al cospetto della grande Cattedrale di Granada, forse stretta eccessivamente fra altri edifici, che le impediscono di risaltare a dovere. Le sue immense proporzioni si esaltano però nella Capilla Mayor, alta 45 metri, mentre la sua architettura è un mix di stili che va dal gotico al rinascimentale, dovuto ai tempi di costruzione, che si protrassero per quasi due secoli.

Dalla cattedrale andiamo quindi un po’ più in periferia, prima alla barocca Basilica San Juan de Dios, che però è chiusa per restauri, e poi al vicino Monasterio de San Jerónimo, di origine cinquecentesca, che invece è aperto e anche molto bello. In particolare la sua chiesa, realizzata in stile tardo-gotico, è tutta magistralmente dipinta a colori molto accesi e offre uno splendido colpo d’occhio.

Da qui, ormai stanchi, andiamo a recuperare la nostra auto che sono quasi le 17:00 e dal parcheggio ci spostiamo ad un quartiere periferico di Granada per effettuare l’ultima visita di giornata e anche del viaggio: quella al Monasteiro de la Cartuja, un altro gioiello di questa splendida città.

Il complesso religioso, eretto fra il XVI ed il XVIII secolo dai monaci certosini è un vero e proprio capolavoro del barocco, un trionfo di marmi colorati, colonne, sculture e volte affrescate … la degna ciliegina sulla torta del nostro itinerario.

Ora non resta che tornare all’Hotel Camino de Granada a ritirare le valigie e poi andare spediti verso Malaga per chiudere il cerchio del viaggio.

Il tragitto è tutto su strada a scorrimento veloce così, senza intoppi, intorno alle 19:30, arriviamo all’Hotel Ibis Budget Malaga, a soli tre chilometri dall’aeroporto, dove passeremo l’ultima notte in Andalusia.

Più tardi ceniamo all’interno della struttura e poi andiamo in camera a sistemare i bagagli, ma anche a riposare, in considerazione dell’imminente partenza verso casa e la levataccia prevista.

Lunedì 25 Aprile:

Alle 6:30 suona la sveglia che dà il via al viaggio di ritorno, così poco dopo le 8:00 lasciamo l’Ibis Hotel e alcuni minuti più tardi siamo a consegnare la fedele Seat Ateca alla Record Go, con la quale, in Andalusia, abbiamo percorso 2.068 chilometri.

Entriamo nel terminal dell’aeroporto di Malaga e subito spediamo le valigie, poi, oltrepassati i controlli di sicurezza, ci imbarchiamo, in tempi brevissimi, sul volo Easy Jet EJU 2734 che, in leggero ritardo, alle 10:27, spicca il volo per l’Italia … un volo senza sussulti, che ci porta ad atterrare sulla pista di Milano Malpensa alle 12:32.

Un’ora più tardi, dopo aver ritirato i bagagli, pranzato in aeroporto con un costosissimo panino e fatto rientro con l’apposita navetta al Ciao Parking, partiamo con la nostra auto verso casa.

Così facendo, intorno alle 14:30, scavalchiamo il corso del fiume Po’ e torniamo anche nella nostra regione, poi un altro giro di lancette ci porta ad imboccare la A14 a Bologna. Infine, pochi minuti dopo le 16:00, usciamo dall’autostrada a Faenza e alle 16:20 concludiamo felicemente il viaggio davanti al cancello della nostra abitazione.

Bella, anzi bellissima, l’Andalusia, come del resto ci aspettavamo. Splendidi in particolar modo i centri abitati, crocevia di civiltà ricchissimi di storia, ma anche gli aspetti naturalistici non sono da sottovalutare, per un viaggio dalle mille sfaccettature, dove ogni particolare è stato un successo, meritevole di un Olé! … Acclamazione spagnola, ma soprattutto andalusa, che si addice perfettamente al caso.

Torniamo così soddisfatti da questa nuova avventura, con l’auspicio che sia solo il la ad una nuova serie di viaggi attraverso il mondo intero, dopo la sosta forzata per il maledetto covid!

□ Dal 15 al 25 Aprile 2022

□ Da Malaga a Malaga km. 2068

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Irlanda, l’isola di Smeraldo! – giugno 2022 – sesta tappa: Kildare – Dublino

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24/06

KILKENNY-KILDARE-DUBLINO   165 km

In viaggio verso Dublino passando per la contea di Kildare. Alloggiamo presso l’ Hotel Ashling.

Visitiamo i famosi

IRISH NATIONAL STUDS & JAPANESE GARDENS”

Le corse di cavalli sono nel sangue degli irlandesi e Kildare è la fucina di campioni e il luogo di nascita di leggende. Oltre a produrre cavalli campioni, il National Stud è diventato un luogo popolare da visitare nella contea di Kildare ed è il pulsante dell’industria delle corse di cavalli dell’ isola e l’unica scuderia in Irlanda aperta al pubblico. Si ammirano spettacolari stalloni nel paddock e le cavalle protettive con i loro puledri giocosi.

The Stud è nato nel 1916 a seguito del dono di William Hall Walker.

Inoltre la scuderia di Walker era rinomata in tutto il mondo delle corse; I suoi cavalli di razza Tully avevano vinto non solo il Derby, ma anche le Mille Ghinee, il St. Leger e l’Ascot Gold Cup.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Invitabile la foto accanto alla statua a lui dedicata!

La costruzione delle loro stalle, con finestre rettangolari in cima alle pareti, assicura che i cavalli siano baciati dai raggi del sole ed essere esposti a un’influenza celeste!

William Hall Walker credeva molto nell’ astrologia e fece produrre carte astrologiche per ogni nuovo puledro infatti vendeva i puledri solo dopo aver consultato i loro oroscopi! E’ presente anche una specie di planetario per oroscopi…

In bella mostra una scultura dello Stallone “Spirito Invincibile” che alla veneranda età di 25 anni ancora procrea alla grande! Ogni sua monta costa 384,982 sterline!

Ecco perché gli hanno fatto un monumento!

I giardini giapponesi agli Irish National Studs

Creati tra il 1906 e 1910, i Giardini giapponesi furono progettati dall’artista Tassa Eida e suo figlio Minoru e combinano arte, filosofia e natura in perfetto equilibrio per creare un ambiente tranquillo e contemplativo.

Splendide strutture come il ponte della vita e la Tea House si fondono con il fogliame vivido ed i ruscelli in un perfetto equilibrio di immagini suoni e colori.

 

 

Torniamo a Dublino e nel pomeriggio visitiamo la

CATTEDRALE DI SAN PATRIZIO

La St. Patrick’s Cathedral è una delle due cattedrali sotto l’egida della Chiesa d’Irlanda e più precisamente la più grande. Eretta vicino al celebre pozzo nel 1191, che, secondo una leggenda locale, San Patrizio usava per battezzare i convertiti, proprio dove adesso sorge la cattedrale a lui dedicata, circa 1500 anni fa. Oggi, nella chiesa, è possibile ammirare un’antica lastra tombale paleocristiana, scoperta nel 1901 che copre i resti di un antico pozzo che potrebbe essere lo stesso utilizzato da San Patrizio.

La pietra è stata trovata vicino all’entrata di quello che oggi è il parco, accanto alla cattedrale. Ben sei lastre come questa furono trovate nel 1901, mentre il parco era in costruzione. Queste lastre hanno più di mille anni e furono probabilmente usate come marcatori di sepoltura sul sito di una chiesa che sorgeva qui prima della costruzione della cattedrale.

Con i suoi 100 metri di lunghezza, la Cattedrale vanta il primato di essere la chiesa più lunga dell’Irlanda medievale. Nel XIX secolo il degrado delle strutture costrinse ad un profondo restauro (1866-1869), finanziato da sir Benjamin Guinness.

La cattedrale custodisce la tomba del suo più illustre decano e scrittore Jonathan Swift, nato nel 1667 e morto nel 1745 e la sua notorietà della è legata anche alla vicenda dello scrittore, autore de “I Viaggi di Gulliver”, che dal 1713 al 1745 vi svolse l’incarico di diacono e che fu qui sepolto insieme all’amata Esther, meglio nota con il nome di Stella.

Splendido il monumento della famiglia Boyle,  costruito da Richard Boyle (il prima duca di Cork) in onore della seconda moglie Lady Catherine nel 1632, che rappresenta i 16 membri della sua famiglia. Dall’alto verso il basso ci sono: i nonni di Lady Catherine, i genitori, lei e suo marito con i figli.

La statua di un ragazzino al primo piano, solo soletto, rappresenta il suo figlio minore Robert…. Chi ha reminiscenza di chimica forse ricorderà la famosa “legge di Boyle”; ebbene lui ne fu l’inventore infatti è ancora conosciuto come il padre della chimica moderna.

Il monumento della Famiglia Johns è dello stesso periodo del monumento Boyle e ricorda l’arcivescovo Johns (quella in alto inginocchiato a pregare), famoso perché donò il libro di Kells al Trinity College dove è ancora esposto e può essere ammirato nella Biblioteca antica.

Il monumento fu finanziato dal figlio dell’arcivescovo che è rappresentato sdraiato.

Tanti i busti, i monumenti sepolcrali, le placche, le statue e le targhe, posti per commemorare benefattori della chiesa, arcivescovi e personaggi famosi della storia irlandese.

Ci soffermiamo ad ammirare l’Albero della Rimembranza, creato nel 2014 per commemorare il centenario della Prima Guerra Mondiale; sui suoi rami è possibile lasciare un bigliettino in segno di buon auspicio.

Siamo particolarmente attratti dalla porta in legno, la Porta della riconciliazione (The Door of Reconciliation), la porta di quella che un tempo era la sala capitolare con il leggendario foro, che si dice praticato nel 1492 allo scopo di riappacificare le famiglie Fitzgerald e Ormond con una stretta di mano attraverso il foro stesso a conclusione di una lite. (da qui l’espressione “changing one’s arm”:  giocarsi un braccio) porgendo una mano di pace a conclusione di una lite (da qui l’espressione “changing one’s arm”:  giocarsi un braccio).

Molto bella la Cappella della Madonna venne utilizzata dagli Ugonotti dal 1666 al 1816. Si dice che la sedia a spalliera rialzata sia stata utilizzata da Guglielmo lll il 6 luglio 1690 nella funzione tenutasi nella cattedrale dopo la Baltaglia del Royne.  La cappella oggi viene utilizzata come zona di raccoglimento e preghiera.

Suggestivo il coro dove fino al 1871 avveniva la cerimonia dell’investitura dei cavalieri dell’Ordine di San Patrizio, le cui bandiere sono appese proprio sopra gli stalli contrassegnati dai loro blasoni.

Ammiriamo il pulpito e un’orgogliosa aquila dorata che funge da leggio: rappresenta la divulgazione della parola di Dio in tutto il mondo.

Completata la visita alla Cattedrale, una passeggiata nel piccolo parco ad essa adiacente.

Stasera cena al famoso pub.

MURRAY’ S

Situato in posizione centrale nel cuore della città di Dublino è un luogo ideale per cenare, rilassarsi e distendersi. Poi un intermezzo di buona musica è quello che ci vuole per completare il viaggio!

NOTE SU UN PERSONAGGIO FIABESCO IRLANDESE

Cappello verde, barba rossiccia e una pentola d’oro nascosta là dove nasce l’arcobaleno: sono caratteristiche peculiari del “leprechaun” Questo curioso nome, che compare per la prima volta in un’opera letteraria datata 1604, deriverebbe dal gaelico moderno leipreachán, che significa piccolo spirito. Il termine sarebbe a sua volta derivato da luchorpan, cioè spiritello d’acqua. Si ritiene che quest’ultima parola significhi anche “mezzo corpo” in quanto queste particolari creature del folklore irlandese sono considerate in parte fisiche e in parte spirituali. La leggenda vuole che i leprechauns vivessero con gli altri componenti del cosiddetto “Piccolo Popolo” (fate, gnomi e altri tipi di folletti…) in Irlanda prima dell’arrivo dei Celti. Per questo motivo i luoghi di culto di epoca pre-celtica (i cerchi di pietra che si possono trovare in gran numero sull’isola) sono associati a questo particolare filone della mitologia ed erano considerati in passato i portali attraverso i quali il nostro mondo si poteva collegare con il mondo spirituale abitato da queste e altre creature. (fonte Wikipedia)

25/06

Si conclude il nostro viaggio in terra d’ Irlanda.

Nostre impressioni sul viaggio

L’ Irlanda è spesso dipinta come un’ isola lussureggiante, terra di musicisti e poeti, ricca di pub e cottage dai tetti di paglia. La  realtà politica ed economica è molto meno idilliaca, ma la giovialità della gente ha fatto dell’ Irlanda un luogo molto piacevole per noi visitatori. La sua storia ed i suoi paesaggi ci hanno lasciato un segno indelebile e poi la sua conosciuta piovosità ci ha risparmiato!

 

 

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Reykjavik, scelta d’artista

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Reykjavik è una città molto piacevole, colpevolmente ignorata dai classici tour dell’Islanda che la usano come semplice punto sulla mappa dove arrivare in aereo, affittare macchine o pulmini, e scappare via. Ha alcuni musei davvero belli (Perlan, Whales of Iceland, Maritime Museum e Árbær Open Air Museum, per citare i preferiti), un centro storico piccolo ma delizioso (soprattutto nella città vecchia attorno al laghetto Tjörnin), fantastiche piscine riscaldate e ottimi ristoranti e soluzioni “street food”.

Ma ciò che è davvero imperdibile è il capolavoro di arte contemporanea “The Home of Chromo Sapiens”, dell’islandese Shoplifter (il cui vero nome è Hrafnhildur Arnardóttir). L’artista si divide tra lo studio di Brooklyn (a New York, dove si trasferì quasi trent’anni fa) e il centro Höfuðstöðin (appunto a Reykjavik), creato assieme alla produttrice creativa Lilja Baldursdóttir, che ospita in modo permanente alcune sue opere d’arte e questa monumentale installazione.

“The Home of Chromo Sapiens”, infatti, fu presentata al Padiglione islandese della Biennale di Venezia del 2019, consacrando definitivamente Shoplifter come artista di fama mondiale. La sua visione si realizza attraverso i capelli: sintetici e artificiali, sciolti o intrecciati, modellati e multicolori, con questi fili sottilissimi Shoplifter crea paesaggi magici, sculture fantastiche e giocose che evocano l’energia e la varietà della natura. Una fibra duttile e ipnotica, morbida e plasmabile.

L’installazione visitabile a Reykjiavik (sita in Rafstöðvarvegur 1a) è una sorta di “caverna” divisa in tre sale, completamente rivestita di capelli di ogni colore dal pavimento al soffitto. Come una grotta carsica, “The Home of Chromo Sapiens” presenta stalattiti e colonne e cascate di milioni di fili, una visione lisergica e fluorescente, nella quale possiamo muoverci liberamente, accompagnati da un paesaggio sonoro, ancestrale e malinconico, creato dalla rock band islandese Ham.

L’installazione di Shoplifter è un processo di esperienza: si entra come homo sapiens e si esce come “chromo sapiens”. Dalla prima stanza, che è un passaggio scuro e intimo, si passa alla seconda (denominata “Astral Gloria”) che è una vera e propria esplosione di colore, l’eruzione di un vulcano psichedelico, una sinfonia cromatica che riempie gli occhi. Nella terza e ultima stanza si tira il fiato: dominano i bianchi e i colori pastello, ci si può sdraiare a terra, l’atmosfera è di morbidezza, relax, meditazione.

Usciti dall’installazione si ritorna nella grande sala d’ingresso da dove si è partiti: lo spazio è tutto vetrato e dà su un giardino e sulla campagna islandese, mentre al suo interno presenta alle pareti alcune opere dell’artista. Nella sala del centro culturale Hofudstodin ci sono un bar, con tavolini e divani disegnati da Shoplifter, e un piccolo spazio vendita, dove poter acquistare felpe, t-shirt, leggings e abiti da donna (l’artista ha lavorato con la moda ed è molto richiesta dagli stilisti) a prezzi contenuti.

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Everest Base Camp: la mia storia……irripetibile!

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Everest Base Camp: la mia storia…..irripetibile!

Quel sogno diventato realtà

di giusep11   23 settembre – 09 ottobre

Premessa
Riuscire a toccare l’EBC con trekking in solitaria senza guida nè porter è una idea che covavo da tempo e che solo il Covid aveva parzialmente offuscato.

EBC. Si, il sogno di molte persone come me che si innamorano del mistero che avvolge la montagna, i luoghi, i sentieri, la gente, l’aria che si respira, l’incognito e i grandi scalatori che hanno fatto la storia e che hanno calpestato gli stessi sentieri.

Perchè tutto questo, da dove nasce? Le origini possono essere diverse, ma credo che se c’è un elemento in comune è sicuramente la forza interiore che ti sussurra “anch’io ce la posso fare”, voglio mettermi alla prova, voglio vedere i  miei limiti. Non fa male.  Tutto questo può essere ancor più sottoposto ad esame facendo come me: partire soli, stare con se stessi, ascoltarsi, vivere nel silenzio dei propri pensieri, delle proprie ansie e paure, con uno schema nella mente di quello che si vuole fare e dove arrivare.

Ebbene si, dopo tanto studio e organizzazione accompagnato sempre da grande incertezza per tanti aspetti come quello del Covid, degli scioperi, etc. Dopo tante notti in cui sono andato a dormire alle 2 per mancanza di tempo, ecco che sono riuscito mettere a punto un viaggio che, forse, solo a pensarci metteva paura, ma che a mano a mano diventava sempre più familiare. Ovviamente ci si fa una miriade di domande che non troveranno risposta se non in loco per cui si parte pieno di dubbi ed incertezze che possono andare dalla grandezza della valigia, al suo peso, al bording pass, all’assiccurazione viaggio, etc. Per non parlare della fisicità ovvero della risposta dell’organismo allo sforzo in altitudine.

I tempi sono maturi e cominciano le riaperture tali da alimentare il coraggio di fare quel passo e così a Giugno 2022 mi metto a lavoro con pur delle inquietudini interiori e incertezze.

Sono tante le soluzioni che devo trovare agli innumerevoli quesiti che mi pongo e che formano una figura poliedrica con sfaccettature multiple.

Comincio nel pensare a scegliere il periodo e soprattutto la lunghezza di quel segmento di tempo dentro il quale devo portare a termine la mia missione.

Il mio studio avviene esclusivamente su internet leggendo racconti altrui e captando info a 360° scremando tutto ciò che non mi era necessario e applicando sempre uno spirito critico avendo esperienza decennale in viaggi.

Attraverso i dati raccolti ho potuto intuire e fissare il periodo  e l’estensione del viaggio cristallizzando così un arco di tempo dentro cui costruire il viaggio.

Scelgo fine settembre e inizio ottobre appena un soffio prima dell’inizio dell’alta stagione che vede l’arrivo dell’orda massiccia di  viaggiatori incalliti.

Il secondo step era come utilizzare razionalmente il tempo soprattutto se prendere l’aereo per Lukla o meno tenendo presente che qualcosa potesse andare storto, ovvero tenere dei giorni cuscinetto per eventuali complicazioni soprattutto metereologiche, per cui metto il volo per Lukla all’andata e ritorno a Kathmandu con jeep.

I voli dall’Italia sono ormai costosi e per smussare i costi scelgo tratte indipendenti che mi limano le spese aereo del 35% anche se le soste invece che 1 diventano 2 e per ogni volo in più vi è un aumentato rischio di qualche cancellazione.

Gli aspetti da approfondire sono tanti e vanno dall’abbigliamento, all’assicurazione, all’alimentazione, alla valutazione dei rischi, al peso e grandezza dello zaino, cambio valute, allo studio dei percorsi con relative distanze  e caratteristiche. Ma passo dopo passo sono giunto al completamento del viaggio.

23 settembre

L’ora di partire è ormai giunta. Mi alzo molto presto per giungere all’aeroporto di Rimini da cui con volo Wizz arrivo a Tirana. E’ una giornata molto calda e le persone sono in spiaggia, faccio un giro, mangio qualcosa e alle 13 il primo volo parte puntuale. Avrei tempo per visitare il centro di Tirana in quanto l’aereo successivo è annunciato con molto ritardo, ma resto in aeroporto. Finalmente si parte con 3 ore di ritardo con volo Wizz per Abu Dhabi.

24settembre 

Al mattino presto con volo Air Arabia giungo nel primo pomeriggio a Kathmandu. Ero già stato qui qualche anno prima e trovo la situazione migliorata sotto vari aspetti.

Dall’Italia avevo già compilato on line la Visa on Arrival per cui mi reco al banco per pagare il visto per 30 giorni 50usd e rapidamente passo il controllo passaporti.

Con stupore mi accorgo che non occorre più la compilazione della Disembarkation card che avevo dovuto presentare la volta precedente. Il problema ora era il cambio dei soldi o il prelievo ATM? In entrambi i casi ci sono i pro e contro, io nella fattispecie ho tentato il cambio fuori l’aeroporto ma senza successo in quanto le banche erano chiuse il sabato.

Torno in aerporto e cambio la somma prefissata a uno degli sportelli della zona arrival con tasso molto favorevole ovvero solo 1 rupia di differenza tra l’applicato e l’ufficiale: incredibile! Il tasso offerto era diverso tra i vari sportelli incontrati e quello migliore era l’ultimo verso l’uscita. Puntualmente ho chiesto la ricevuta.

Sempre nella zona arrival ho provveduto ad acquistare una sim Ncell per 700r con internet e traffico nazionale valido per 15gg. Questo è molto utile soprattutto per usare whatsapp.

Esco dall’aeroporto e cerco un albergo proprio di fronte e ho un’ ampia scelta. Non ritengo di andare in centro in quanto al mattino dopo  avrei dovuto prendere l’aereo per Lukla. Per 1500r prendo una stanza con bagno e dopo aver mangiato un piatto di momo mi ritiro per riposare.

Note:

– nessuna fototessera richiesta

– nessuna disembarkation card richiesta

– nessun green pass

25settembre

E’ il giorno topico, è quello della partenza, ovvero alle 9 è previsto il volo per Lukla. L’albergo è vicino all’aeroporto, tuttavia preferisco alzarmi presto perché vorrei anticipare sapendo che c’è un posto nel volo delle 7.30

Faccio colazione e mi reco nello stabile delle partenze domestic. All’arrivo il mio sguardo si leva per dare una sbirciata al monitor proprio all’entrata e subito l’angoscia sale perché vedo che non compaiono i voli prima di quello delle 12.

Passo i controlli e mi reco allo sportello di Yetiairline, chiedo del volo e mi dicono che devo attendere perché tutti i voli per Lukla sono sospesi per meteo avverso. Mi guardo intorno e vedo una platea di turisti ammucchiati in piedi e per terra che attendono anche loro di partire. Trovo in tutto questo un po’ di conforto sapendo di non esser il solo.

Il tempo passa inesorabilmente, i miei pensieri corrono verso l’idea di impossibilità di poter terminare il circuito prefissato in tempo utile venendomi a mancare 3 giorni che avrei guadagnato con l’aereo. La speranza di partire si assottiglia fino a svanire alle 12 quando arriva la notizia ufficiale della cancellazione totale dei voli. Ritorno al banco Yeti e chiedo il rimborso immediato ed esco dall’aeroporto dove mi attende una pioggia monsonica di tutto rispetto. L’area adiacente l’ingresso va in tilt per tutte le auto che si mettono in movimento: è il delirio totale.

Finita la pioggia prendo il bus per Chabahil, ma il bigliettaio sbaglia e mi fa scendere a Pashupatinath e approfitto per visitarlo di nuovo. E’ sicuramente un posto da visitare dove tutto lo spirito induista si traduce in opere come la pratica delle pire per la cremazione dei defunti. Occorrono 1000r per l’entrata ma fortunosamente c’è una entrata laterale non controllata da cui si può accedere. Faccio un giro e approfitto anche per comprare qualche ricordino nei vari mercatini.

Con mototaxi, più veloce ed economico del classico taxi,  mi reco a Chabahil prenoto un  posto in jeep per l’indomani presto con arrivo a Salleri, costo 2500r. Avevo avanzato anche l’ipotesi di fare il bigletto fino a Kharikhola   per 5500r, ma poi opto solo per Salleri.

A Chabahil non ci sono molte opportunità di alloggio e faccio fatica a trovare un albergo dignitoso che poi trovo per 2000r molto bello. Ceno e vado a dormire.

Note:

– a Chabahil non conviene fare il biglietto fino a  Kharikhola in quanto la jeep che porta fin lì non è la stessa ed è possibile che nessuno possa riconoscerti quel ticket pagato anche perché molte jeep sono solo privati e non di agenzie. Quindi occhio!

26settembre

Sono le 4 del mattino e la sveglia annuncia un giorno nuovo. Mi alzo, preparo lo zaino e via esco quando è ancora buio verso Chabahil dove partono le jeep. Le strade non sono completamente vuote e cominciano ad animarsi.

Arrivo al botteghino dove ho acquistato il biglietto e chiedo della partenza, ma mi dicono di aspettare. Intanto prendo qualcosa da bere dalla signora col carretto per fare colazione. Dopo un una lunga attesa il tipo del botteghino chiama il driver della jeep e gli viene comunicato che sta caricando merce e persone poco distante da lì. Raggiungiamo il posto e vediamo che le operazioni di carico sono in corso per cui ci accodiamo anche noi ponendo lo zaino sopra il portabagagli.

La jeep è animata da vari individui e parte solo a pieno carico, ovvero 4 anime dietro 4 al centro 2 davanti + il driver: totale 11 anime. Si possono fare tanti commenti su quale posto a sedere è meno peggio, ma posso dire che dietro è meglio evitare come anche i sedili centrali rispetto a quelli laterali. A me capita il sedile non esterno.

Intanto si parte alle 5.30 con 30’ di ritardo e lungo il tragitto cominciamo a conoscerci. Al mio lato c’è un ragazzo cinese che risiede in Canada mentre sulla destra vi è un chico argentino con la sua ragazza italiana che vivono in spagna.

Le fermate sono numerose sia per soste food & toilet che per controlli di polizia nei vari check point che rallentano la corsa. Diciamo che il soggettone della jeep è il driver che lungo il percorso mette a nudo tutte le sue caratteristiche di discutibile ecletticità come guidatore poco raccomandabile a uomo multimediale con ricezione di telefonate multiple su diversi telefonini che lo accompagnano per tutto il viaggio fino a dj-set allietandoci per tutto il viaggio con la medesima musica nepalese traditional a circuito chiuso ad altissimo volume da rimanere sordi. La strada per Salleri è molto lunga e sono tantissimi i tratti in cui il fondo stradale è al limite della praticabilità con aggiunta di rallentamenti dovuti alla formazione di code. Il confort all’interno è precario e personalmente posso dire che ho sviluppato vari dolori soprattutto ai glutei stando seduto metà su un sedile e metà sull’altro con altezze diverse: solo la sosta può dare ristoro alle parti doloranti. Ad ogni check point uno dei due ragazzi seduti davanti deve scendere per evitare contestazioni della polizia in quanto sarebbe permesso solo un posto a sedere e non due; passati i controlli il ragazzo viene ricaricato a bordo. Intanto arriviamo a Salleri verso le 18.00 e comincia a fare buio; cerco un’altra jeep per kharikhola per sfruttare il tempo, ma a quell’ora non se ne trovano anche perché si arriverebbe a notte fonda.

Intanto i compagni di viaggio prendono ognuno una strada diversa e in un lampo spariscono tutti: chissà se ci rivedremo.

Decido di prendere una camera proprio nella ghesthouse dove si è fermata la jeep e dopo aver cenato col un Dalbath vado a dormire.

Note:

– distanza kathmandu- Salleri 260km

– jeep 2500r

– tempo impiegato 11 ore

– camera 500r

-dalbath 200r

27settembre

Mi alzo alle 6.30 senza fretta perché le jeep per Kharikhola partono tardi, faccio colazione e mi metto fuori per tastare la situazione partenze. I mezzi che partono sono di 2 tipi, abbiamo la jeep e il pick up che normalmente sono di privati che trasportano merci e persone. Dopo aver chiesto a varie persone il passaggio e aver ricevuto disponibilità, passa una jeep che mi invita a salire  e via parto senza indugio non considerando le promesse fatte agli altri. La strada per kharikhola è relativamente breve ma è in condizioni disastrose con discreto pericolo in termini di sicurezza. Le piogge monsoniche sono state notevoli e hanno determinato un dissestamento stradale notevole da rendere la strada al limite della praticabilità. Questa tratta rispetto alla precedente è ben peggiore anche perché sono stato messo nella fila dietro accusando un gran dolore alle ginocchia. Lungo la strada troviamo un trattore con rimorchio rovesciato, ma considerata la grande capacità e praticità delle persone a risolvere problemi di emergenza, non è stato necessario fermarsi per il soccorso. Il viaggio va avanti e tra un sobbalzo, uno scuotimento, una testata contro il finestrino e la cappotta, arriviamo in uno spiazzale nei pressi di Kharikhola e finalmente scendiamo.

La voglia di cominciare a camminare con le gambe è tanta, è ora di dire basta alla jeep inzeppate di corpi umani.

Sento le mie gambe che gridano vendetta e appena iniziato a camminare, mi giro e vedo la coppia della Spagna che erano con me nella jeep di Salleri e con un rapido saluto mi allontano. Il destino vuole che ci rincontriamo di nuovo in quanto loro avendo una guida hanno accorciato; insieme a noi si associa un’altra coppia spagnola e formiamo un gruppo.

Dopo consiglio di un locale ci addendriamo in un bosco segnato da un sentiero che accorcia molto e dovrebbe portare a Tamdanda. La scelta è stata pessima, appena entrati del bosco abbiamo trovato un livello di fango considerevole testimoniato dai locali incontrati che avevano gli stivali infangati sino alle ginocchia e per evitare di sporcarsi dovevano fare delle acrobazie aggrappandosi a tutte le piante che costeggiavano il sentiero. Non ci potevo credere, sembrava tutto irreale con l’aggiunta del sopraggiungere del buio. Nella poco fiducia che ne saremmo usciti bene, arriva il buio e via le torce frontali accese. Intanto la signora spagnola fa un numero da circo e cade con tutto il suo posteriore di tutto riguardo nel fango nero e con odore poco gradevole. Si continua, non possiamo fermarci anche se ci sono dei tratti difficili molto scivolosi e dopo mia richiesta di chiarimenti mi si dice che il tratto è solo per 500mt. Prima di perdere la speranza si intravede da non molto lontano una piccola luce che ha fatto risalire l’umore della truppa. Evviva ce l’abbiamo fatta, siamo salvi! Ci dividiamo in diverse case ghesthouse e troviamo vitto e alloggio anche se non c’è la corrente elettrica ma solo lampade a olio. Dopo una cena soddisfacente e la prenotazione della colazione all’indomani per le 5.30, ci laviamo con l’acqua del secchio soprattutto le scarpe in pelle e goretex per impedire che il fango formi la crosta dura e dopo una discussione, analizzando le mappe, con la coppia spagnola circa la possibilità di portare a termine il mio giro considerato i 3 giorni persi per volo cancellato, via a dormire sperando che all’indomani non avrei più incontrato sentieri del genere. Prima di chiudere gli occhi penso che ogni giorno deve valere per due altrimenti non ce l’avrei potuta fare. Intanto il target per l’indomani deve essere non meno di Monjo!

Note:

– partenza per kharikhola h. 7.30

– costo 2500r

– tempo impiegato 7h  – 35km

– camera 300r

28settembre

Durante la notte è quasi sempre un dormi-veglia per i pensieri che affluiscono alla mente e per i suoni della natura come la pioggia, scorrimento dell’acqua dei fiumi con portate molto abbondanti dovuti alle piogge.

Suona la sveglia, mi preparo e faccio colazione alle 5.30 con gli spagnoli con pancake, omelette e black thè.

Sono pronto per iniziare il percorso da solo tra nebbia e pioggia. Saluto pensando di rivederli ancora, ma sarà l’ultima volta che li vedrò. Il mio pensiero è rivolto alle condizioni del sentiero, ovvero se sarà come quello del giorno prima o no. Copro gli zaini con custodia impermeabile e più tardi mi accorgo di aver perso la protezione dello zaino piccolo. I miei passi sono veloci e il percorso si presenta senza problemi particolari percorrendo un tratto molto lungo in discesa con gradoni in pietra e fango e già penso alla fatica che dovrò fare al ritorno ripercorrendola in salita. La pioggia finisce per oggi e lascia spazio al sole. Nella mattinata tardi comincia a fare caldo e la sete è sempre costante; comincio a pensare come approvvigionarmi di acqua. Varie sono le fontane lungo il percorso e la tentazione di berla è tanta, ma resto sempre frenato dalla paura che possa essere inquinata. Ho con me 2 piccoli flaconcini di ipoclorito e dopo aver riempito la bottiglia in una abitazione privata ne aggiungo 3 gocce. Lascio agire e comincio a bere. Ho la sensazione che la gola e lo stomaco mi bruciasse e cerco di aggiungere un integratore salino per migliorare l’aspetto organolettico, ma serve a poco. Da allora prendo coraggio e bevo senza aggiunta di ipoclorito assaporando la bontà di quell’acqua bevuta in grade quantità senza avere mai problemi. A mezzogiorno faccio pranzo con dalbath in un locale familiare in cui conosco un signore con cui discuto del percorso facendo presente l’esiguo numero di giorni a disposizione e mi traccia un suo prospetto fattibile nei giorni a me disponibili. Mi ricarico e ricomincio il percorso non senza farmi riempire la bottiglia di acqua. Sono a cavallo della giornata e il mio obiettivo è sempre presente nella mia mente, i villaggi vengono raggiunti e attraversati uno dopo l’altro  senza sosta. Durante il percorso raggiungo un check post dove mi viene chiesto il pagamento di 2000r per il Khumbu Pasanglahmu Rural Municipality e il rilascio di una trekcard che mai più nessuno mi chiederà di esibire. Intanto tra sali e scendi il trekking va avanti e mi ritrovo nel tardo pomeriggio a Monjo. Qui c’è il secondo check post dove bisogna pagare 3000r per Entrance Permit- National Park.

Prima di partire avevo letto che alcune disposizioni locali non permettevano l’entrata a singole persone per cui vivo questi momenti con un po’ di ansia infatti mi fanno delle domande se ho una guida, un porter o accompagnatori alle quali rispondo no. Menomale che non ho avuto problemi altrimenti erano guai, tuttavia ho capito che basta pagare che è tutto a posto.

Lascio Monjo per passare la notte nel villaggio successivo a poca distanza ma che si trova più in basso. Jorsale mi piace perché c’è aria di quiete e tanta disponibilità di alloggio. Chiedo una stanza alla prima che incontro che mi propone 1500r all inclusive ovvero vitto e alloggio, ma rifiuto subito e vado oltre. Ne trovo un’altra subito dopo il ponte che con 100r mi dà una stanza. Per cena prendo dei nudles non in brodo spettacolari. Mi siedo fuori per respirare quell’aria quiete fresca e rilassante in una serata bellissima e penso di aver fatto un percorso incredibile. Prima di ritirarmi in camera avviso che prenderò colazione alle 5.30

Note:

– 2000r per Khumbu Pasanglahmu Rural Municipality

– 3000r per Entrance Permit National Park

– nessuna fototessera richiesta

– possibilità di entrare singolarmente senza guida

– distanza percorsa 32km calcolati con maps.me

– stanza 100r

– villaggi attraversati Kahrikhola-Bupsa-Kare-Puya-Surke-Cheplung-Phakding-Monjo-Jorsalle

29settembre

E’ una giornata particolare perché c’è  molta attesa in quanto so di arrivare a Namche e da lì inizierà un’altra storia, cambieranno i paesaggi, la tipologia della natura, l’altitudine, e spunteranno le cime delle meravigliose montagne.

Faccio colazione con un thè in cui aggiungo delle proteine in polvere e mi metto in cammino. La salite per Namche è lunga e sfiancate con dislivello di 620mt, ma cerco di tagliare seguendo delle accorciatoie praticate dai porter e così che appena attraversato l’arco che segna l’entrata al villaggio guardo l’orologio e incredulo vedo che ho impiegato 2 ore. Tanto che non credendo ho chiesto l’ora a dei passanti  che mi hanno visto saltare dalla gioia increduli. Attraverso le varie stradine piene di negozi che vendono di tutto soprattutto articoli per la montagna, con ATM, exchage money che applicano tassi di cambio molto sfavorevoli, fino a portarmi lungo il sentiero che porta verso le direzioni EBC/Gokyo che incrocia anche il sentiero per il villaggio di Khumjung da cui si possono ammirare varie cime. Finalmente un sentiero privo di pietre e senza fango con una leggera pendenza. Lo si percorre velocemente e arrivati al Tenzin Norgay Memorial sono visibili cime come l’Everest se la giornata lo consente. Si continua attraversando il villaggio di Sanasa gremito di trekker e a seguire l’incrocio con il sentiero per Gorkyo in cui si decide se deviare per Tengboce o per Gokyo. Quasi tutti seguono la direzione classica per Tengboche ma io vado verso Gokyo seguendo un mio schema personale. La salita che mi aspetta è abbastanza lunga fino a Mong La dove pranzo presso una famiglia con un dalbath e riparto attraversando un lungo tratto tutto in discesa fino a Porthse Thanga, poi si attraversa un ponte e dopo una risalita arrivo a Porthse. Questa doveva essere la destinazione finale della giornata ma devo recuperare e non so ancora se ce la farò a raggiungere la meta per cui continuo.

Trovo una bella giornata di sole, i contadini sono nei campi per la raccolta delle patate e legumi, gli appezzamenti di terra sono recintati da muri di pietra(terrazze), gli animali sono al pascolo, si respira un’aria di tranquillità e si gode di un panorama splendido. Saluto cordialmente le persone al lavoro e chiedo più volte la direzione per la mia prossima tappa: Pangboche. Che peccato non poter sostare un po’ e godersi la tranquillità e la pace del posto. Ecco perché Phortse significa: “ terrazze soleggiate”.

Mi aspetta una discesa molto lunga a mezza costa e sappiamo che ogni discesa è una promessa che ci sarà una corrispondente salita. E’ difficile trovare altre persone lungo questa tratta, con molta probabilità sarete soli.

Note

– percorso alternativo per Gokyo evitando la salitona per Tengboche , ma tuttavia sempre impegnativo

– stanza 500r con possibilità di ricaricare free

– villaggi attraversati  Jorsalle-Namche-MonLa- Phortse Thanga-Phortse-Pangboche

30settembre

Questo giorno è il giorno della verità, ossia in base al percorso che riuscirò a fare posso stabilire con quasi certezza la possibilità di terminare il percorso.

La sveglia sempre alle 5 e si comincia a camminare appena c’è luce sufficiente. I sentieri si presentano completamente diversi, non c’è più fango la calpestabilità è migliore, i paesaggi più belli, e la vegetazione sparisce lasciando spazio a un territorio che assomiglia più a una steppa: ma a me piace di più.

Comincio il tratto in discesa poi risalita, passando per Shomare, andando avanti si arriva al bivio da cui si può prendere la direzione per Periche o Dingboche.

Scelgo la direzione per quest’ultimo considerando che al ritorno farò il primo. Prima di Dingboche dopo aver effettuato una bella salita si arriva a Thukla Pass(4800mt) un sito commemorativo dove ci sono più di 100 memoriali di alpinisti e sherpa caduti sulle montagne, tra cui Scott Fischer e anche italiani, un luogo molto suggestivo dove vale la pena fermarsi e riflettere.

Intanto arrivo a Dhugla dove c’è un caratteristico passaggio del fiume tra rocce anche abbastanza grandi. Nel pomeriggio arrivo a Lobuche e dopo essermi sistemato nel lodge effettuo una breve escursione insieme ad altri per visitare il  Khunbu Glacier. Vado a dormire con la serenità di poter effettuare il percorso previsto entro i giorni prefissati, ormai i giorni persi a causa della cancellazione del volo per Lukla sono stati recuperati. Domani il grande giorno: Base Camp!

Note

– stanza 500r

– villaggi attraversati  Pangboche-Shomare-Thukla Pass-Dhugla-Lobuche

01ottobre

Mi sveglio e dalla finestra vedo uno strato bianco sul terreno. Cos’è? No, non ci posso credere è neve. Mi preparo, faccio colazione e via lungo il sentiero che va avanti in salita per circa 2 ore. Arrivato finalmente a Gorak Shep ultimo villaggio prima del campo base, prendo una stanza abbastanza brutta e umida, la peggiore di tutto il viaggio e mi rimetto in cammino. Anche qui il percorso prima in leggero piano e poi in salita va avanti per 2 ore arrivando nei pressi del campo su un terreno roccioso. Ci siamo, la grande roccia con la scritta Everest Base Camp è di fronte a noi ed è per tutti una festa. Si fanno le foto di rito, ma io non mi accontento voglio arrivare al vero “campo base” dove si vedono le tende gialle, ed è proprio da lì che partono le spedizioni.

Il terreno è pietroso ed è tutto un sali-scendi che prende circa 30’ per arrivare. All’arrivo oltre alle tende gialle c’è ne una molto grande al centro di forma circolare in cui ci sono 2 ragazzi. Tento di entrare ma uno mi dice che stanno facendo una conferenza, tuttavia viene fuori e risponde alle mie curiosità su vari aspetti delle loro spedizioni. Il tipo aggiunge che non è possibile arrivare fino qui perché bisogna avere delle autorizzazioni, ma essendo bassa stagione non è un problema.

Vengo accolto poi in una tenda gialla che funge da cucina e mi offrono un thè, dopo aver parlato del più e meno, alla mia domanda circa la possibilità di salire sull’Everest, chiamano il capo sherpa che molto interessato mi spiega varie cose tra cui il costo di oltre 30.000euro tutto compreso.

Torno indietro e dopo aver fatto altre foto sulla roccia EBC riprendo la strada del ritorno alla grigia Gorak Shep. Non arrivo tardi per cui decido di fare un salto sul Kalapattar prima che faccia buio. Occorrono 2 ore circa per salire su un sentiero accettabile che diventa roccioso in cima ma tutto sommato niente di straordinario. Faccio solo qualche foto e scendo subito per la presenza di vento e foschia che no permette la visuale delle montagne di fronte.

Vado a dormire nella piena coscienza di essere riuscito ad arrivare al campo base quale sogno di molti trekker.

Note

– stanza 500r

– dalbath 1000r

– black thè 200r

– bicchiere acqua calda 200r

– sentieri percorsi Lobuche-Gorak Shep-EBC-Kalapattar

02ottobre

Non mi sveglio alle 5 come tutte le altre mattine, ma aspetto un pochettino. Dopo colazione risalgo sul Kalapattar per tentare di fotografare le meravigliose montagne come Everest e Lhotse che, anche se non completamente, appaiono alla nostra vista. In questo periodo non conviene tentare di vedere l’alba dalla cima perché con molta probabilità ci sono le nuvole.

E’ ora di andare, è ora di tornare a casa, è ora di rifare il percorso indietro in discesa. Si parte, arrivo a Dhugla e appena dopo prendo la strada per Periche e non per Dingboche. Mi aspetta una lunga passeggiata prima in discesa e poi in falsopiano nella valle del Kumbu Kola, non c’è nessuno lungo il sentiero ma solo i ragazzi che trasportano la merce sulle spalle. Comincia a scorgere da lontano il villaggio che si presenta abbastanza grande. Arrivo lì, faccio una piccola sosta e riparto scorrendo verso Shomare. Passando attraverso i vari villaggi mi fermo a guardare le attività che svolgono i locali come la raccolta delle patate che vengono sbucciate e tagliate a forma di chips, la raccolta dei baccelli di fagiolo che vengono sgusciati, fino all’attività più curiosa che osservo come la raccolta del letame che viene impastato a mano con fibre legnose e fatte seccare al sole che serviranno per alimentare la stufa.

Note

– stanza 200r

– elicottero per tornare a Lukla 500usd che tirato può arrivare a 300usd

– sentieri percorsi Gorak Shep-Lobuche-Dhugla-Periche-Shomare

03ottobre

Non vedo l’ora di salire a Tengboche per ammirare le montagne visibili da lì e visitare l’antico monastero buddista.

L’arrivo al villaggio mi accoglie col sole e rimango subito catturato dalla presenza del monastero che voglio visitare subito.

E’ possibile entrare anche durante le preghiere senza fare foto, infatti durante i riti mi siedo da parte e ascolto. Resto un po’ e vado fuori per fotografare le montagne che fanno contorno al villaggio. Casualmente faccio conoscenza con un sacerdote che incuriosito dalla mia coroncina, la prende e per ogni grano recita delle preghiere di benedizione. Lo invito a fare delle foto insieme e ringraziandolo vado via. Gironzolo ancora un po’ e prendo il sentiero per Namche che prevede una discesa molto lunga(che al contrario da Namche diventa salitona) e poi si risale fino al grande villaggio che come vedo è in rapida espansione. Anche questa volta non mi fermo ma solo do un’occhiata ai vari negozi e con un po’ di tristezza mi lascio alle spalle la parte più bella del viaggio avendo coscienza che da lì in poi ritroverò una vegetazione ricca di alberi con tanto verde ma anche le piogge. Si scende su un lungo tratto fino a Jorsalle, pranzo e riparto attraversando Monjo dove viene applicato il timbro di uscita sul ticket pagato all’entrata.

E’ ormai tardo pomeriggio e non ho voglia di andare oltre per cui faccio tappa al villaggio TokTok. Intanto la ragazza che ho conosciuto lungo la salita per Namche che viaggia da sola e che ho rincontrato varie volte, continua il cammino e vuole arrivare a Lukla prima di sera: good luk!!!

Note

– stanza 200

– sentieri percorsi Shomare-Pangboche-Deboche-Tengboche-Phungi Thenga-Namche-Jorsalle-Monjo-Tok Tok

04ottobre

Percorro il sentiero inverso fino a Cheplung accompagnato dalla pioggia e manco la deviazione per Surke ritrovandomi a Lukla allungando un po’ e da lì, lungo il corso del villaggio, devio per Surke su consiglio dei locali.

Intanto la pioggia aumenta e approfitto per mangiare qualcosa prima di ripartire. Attraverso altri villaggi come Puiya e arrivo nella zona di Kare dove per proseguire mi consigliano di fare una deviazione.

Ci risiamo, mi sembra il primo giorno quando a Kharikhola per una accorciatoia abbiamo trovato fango ed è stato difficile uscire da lì. Tuttavia tento di salire un piccolo muretto di terra, ma vengo respinto dalla viscidità del terreno quando ad un tratto compare un signore che mi invita a seguirlo. Gli chiedo più volte se il sentiero fosse giusto e lui me lo conferma. La situazione è veramente a limite, si scivola molto e il fango arriva all’orlo dello scarpone; purtroppo faccio il primo scivolone e mi sporco il pantalone. Lui mi invita a mettere lo zaino piccolo nel suo cesto e dopo una riluttanza accetto. Andiamo avanti con molta difficoltà, lui mi tende anche la mano per trainarmi e via il secondo scivolone. Non ne potevo veramente più avevo il pantalone tutto sporco e alla mia domanda di quanto mancasse lui rispondeva sempre pochino. I dubbi della scelta di seguirlo mi hanno accompagnato fino alla fine quando siamo giunti per miracolo al villaggio e mi indica il posto dove avrei trovato alloggio. Sono impresentabile, cerco di lavarmi al meglio compresi gli zaini, mi cambio e ceno. Vi sono 2 ragazzi Australiani nella stessa lodge  con i quali condivido un po’ di chiacchere davanti alla stufa accesa per far asciugare i panni su mia richiesta e vado a dormire accompagnato dal rumore della pioggia che si fa sentire tutta la notte.

Note

-stanza 500r

– sentieri percorsi Tok Tok-Cheplung-Puiya-Kare

05ottobre

Mi alzo sempre alle 5 per assicurami di arrivare a kharikhola in tempo utile per prendere una jeep. Ho il timore di trovare il fango lungo il percorso che avrei dovuto fare, chiedo alla signora della lodge la direzione giusta e via comincio il percorso in discesa. Il tratto che percorro non è un sentiero ma una strada carrozzabile fatta da poco quindi abbastanza comoda.

Arrivo in fretta a Bupsa e poi tra strada e sentiero mi trovo a Kharikhola. Mi incammino per arrivare allo spiazzale in cui si erano fermate le jeep all’andata e mentre mi guardo intorno vedo in fondo al villaggio una jeep. Richiamo l’attenzione di alcuni ragazzi che si trovano più in basso e domando loro di chiedere al conducente se avesse posto avendo risposta affermativa. Aspetto sul ciglio della strada che la jeep salga su e si parte. Nel mentre carico lo zaino vedo la mia mano che sporca di sangue e aprendo le dita trovo una piccola sanguisuga che faceva colazione e subito metto la mano nell’acqua corrente per eliminare lo sporco. Avendo l’ipoclorito ne metto una goccia per disinfettare, ma dopo aver fatto pressione sulla ferita il tutto si blocca.

Ovviamente non mi illudo che la macchina non venga riempita fino all’orlo, infatti così è, lungo la strada carichiamo altre persone e siamo full. Dopo un breve tratto passiamo un ponte oltre in quale c’è una interruzione dovuta alla caduta massi prontamente spostati da un trattore che tramite una corda imbracava il masso e lo tirava via. Liberata la strada il trattore riparte e curiosamente blocca la strada e chiede i soldi per il lavoro svolto….mica scemo! Il viaggio è come all’andata , molto sofferto per le ginocchia che per 6-7 ore sono piegate e il dolore a volte è insopportabile.

Arrivati a Salleri cerco una jeep per Khatmandu ma ormai è già tardi e per un servizio privato occorrono 22000r.

Pernotto nella stessa lodge dell’andata e prenoto la jeep dell’indomani per Khatmandu che partono la mattina presto.

Note

– stanza 500r

– jeep 2500r  7-8 ore

06ottobre

Ormai ci siamo, l’ultimo sforzo per tornare alla capitale. La jeep parte verso le 5.30 e impiega 9-12 ore per arrivare a Khatmandu. I rallentamenti sono frequenti per via delle interruzioni stradali dovute alle piogge e anche per l’intenso traffico essendo periodo di festività nazionale in cui tutti si spostano. Questa volta soffro in modo particolare il dolore delle ginocchia che viene lenito sono nelle soste dopo fatto stretching.

Arrivati a Chabahil magio qualcosa e riprendo lo stesso albergo di un certo livello anche se comunque la pulizia lascia a desiderare.

Note

– stanza 2000r

– jeep 2500r   9-12 ore

07ottobre

Ho corso talmente tanto che ho ancora 2 giorni da sfruttare per cui la mattina presto con mototaxi arrivo a Bus Park per prendere un microbus per Bandipur. E’ un capriccio, si lo è, la voglio rivedere, voglio rivedere quel posto che mi aveva lasciato un senso di pace la prima volta che ci sono stato. Lo so che mi costerà anche in termini di soldi e tempo ma voglio andare. Le rupie cominciano a scarseggiare per cui cerco di cambiare 20usd e dopo aver girato un po’ un negoziante me le cambia. Prendo un microbus e in 7-8 ore di viaggio in un affollatissimo traffico per festività mi lascia a Dumre e da lì con bus locale fino a Bandipur. Avrei voluto fare una camminata per Ramkot il villaggio lì vicino ma per motivi di pioggia non ho potuto. Ricordo la scorsa volta su quel sentiero incontrai delle ragazze che camminavano a piedi nudi ed era una bella giornata. Non mi rimane che girare un po’ per il centro, cenare e tornare in stanza per un riposo.

Note

– microbus 900r  7-8 ore

– bus locale 100r

– stanza 400r

08ottobre

Considerato il tempo incerto preferisco tornare alla capitale e non trattenermi oltre. Faccio colazione e mi metto lungo la strada per contrattare un passaggio per Dumre; all’inizio mi chiedono 500/400r ma io rispondo sempre 100r, lo stesso prezzo del bus. Dopo qualche minuto  un tipo che mi aveva chiesto 400r per riempire la macchina mi chiama e accetta 100r. Da Dumre prendo un bus grande per 800r che sono più veloci e più comodi rispetto al microbus. Arrivo nei pressi di Bus Park alle 14.30 e tramite un bus locale fino nelle vicinanze dell’aeroporto dove prendo una stanza.

Passo il resto del pomeriggio a inviare foto e a fare chiamate con whatsapp sorsegginado un thè e finalmente rilassarmi.

Note

– stanza 1200r

– bus per Khatmandu 800r

09ottobre

E’ il giorno della partenza per l’Italia. Dentro di me sento che c’è ancora qualcosa che voglio completare ovvero voglio visitare Tamel e Durbar square. Prendo il solito mototaxi che mi accompagna a Tamel e mi metto a girare per le viuzze. E’ ancora presto ma pian piano tutti i negozi cominciano ad aprire ed è un delirio generale, dove tutta la gente è riversata per la strada, i motorini che sfrecciano e i venditori che hanno merce di ogni genere.

Ci sono tantissime possibilità di alloggio, infatti la maggior parte dei turisti alloggiano qui, ma a me non piace molto. La volta scorsa per sfuggire al caos ho preso una stanza nella calma Patan. Arrivo alla mitica Durbar square che attraverso velocemente per arrivare a Ratna Park da dove prendo un altro mototaxi per tornare in albergo.

Pranzo con l’ultimo dalbath e a mezzogiorno vado in aeroporto per il volo.

Abbigliamento

– sacco a pelo leggero 850gr ma poteva essere ancora più leggero

– scarpe alte per proteggere la caviglia e per il fango rigorosamente con goretex per avere i piedi sempre asciutti

– 3 paia calze da trekk leggere

– 2 pantaloni, uno leggero e uno più pesante( va bene solo il leggero)

– 2 magliette corte (ne servono di più)

– 2 magliette a manica lunga(basta una)

– 1 pile

– 3 magliette intime

– 5 slip

– 1 cappello con visiera

– 1 poncho fatto con foglio di plastica

– 1 giacca softshell( si userà poco)

– 1 asciugamano(non farete mai una doccia)

– fazzoletti igienici

– 1 torcia frontale

– 1 powerbank

Medicinali/Integratori

– antibiotico ampio spettro

– rifaximina

– fermenti lattici

– ibuprofene 600

– magnesio

– pomata antibiotica/cortisonica

– vitamine

– barrette proteiche

– bustine in polvere proteiche

– caramelle

– ipoclorito di sodio

–  cerotti + antivesciche

Meteo

Si può dividere tutto il percorso in 2 parti. Uno fino a Namche e l’altro da qui a Gorak Shep.

La prima parte sotto i 4000mt presenta vegetazione con alberi e molto verde con pioggia tutti i giorni, caldo che richiede un consumo di acqua di circa 3lt/die; la seconda è la parte secca senza pioggia con sole e meno calda che appare simile ad una steppa.

Assicurazione

– Europe Assistance con copertura fino a 4500mt con limite settimanale

– Viaggisicuri  fino a 4000mt

Impossibile trovare altre assicurazioni oltre tale altitudine se non World Nomad  che non assicura i cittadini UE in tale periodo.

Servizio elicotteri

Tutta la valle del Khumbu è coperto dal servizio elicottero per ricerca, soccorso e turismo per un costo di 300/500usd con base a Lukla. Tutti i giorni tali elicotteri sorvolano la zona per una serie di servizi.

Segnalazione

I percorsi sono quasi totalmente privi di segnalazioni il che induce molte volte dei dubbi ed è meglio sempre chiedere ai locali o alle guide che si incrociano che danno sempre la massima disponibilità.

Considerazioni

A margine di quanto scritto, posso dire che è stato un viaggio particolare…irripetibile per tanti aspetti.

Voglio dire a tutti quelli che lo voglio affrontare il viaggio da soli col peso dello zaino sulle spalle: partite!

Non ascoltate quelli che vi mettono in guardia sulla pericolosità o altro, anche se comunque sarete da soli ad attraversare lunghi tratti senza incontrare nessuno, esposti a pericoli anche solo scivolare e magari non avere nessuno che vi aiuti, ma che sono gli stessi rischi che ci sono se fate trekking a casa vostra. Tuttavia dovrete porre una serie di attenzioni e precauzioni per salvaguardare la vostra incolumità. Avere gli strumenti come il telefono per chiamare eventuali soccorsi, e che comunque sarete aiutati sempre. Ho visto anche ragazze sole che facevano trekking.

Per il periodo non consiglio settembre e l’inizio di ottobre per la presenza di piogge soprattutto prima di Namche anche se è favorevole per il poco afflusso di turisti che si palesa nelle lodge completamente vuote e solo a Lobuce e Gorak Shep sono gremite.

Non guardate me se ho impiegato pochissimi giorni per completare il giro senza guida, porter, acclimatazione; non imitate questo perché la mia è stata non una scelta ma un obbligo. Se potete prendete l’aereo per Lukla almeno all’andata vi risparmierete soprattutto quelle jeep disastrose e un percorso poco affascinante fino a Cheplung e sappiate che la cancellazione dei voli è una cosa normalissima e troppo frequente che non vi deve sorprendere e deludere per cui prevedete dei giorni cuscinetto.

Cambiate i soldi a Khatmandu perché lungo il tragitto ci sono 2 punti per ATM di cui uno a Namche assicurandovi di farvi rilasciare la ricevuta. Se non avete tempo potete cambiare all’aeroporto sia con prelievo che ai moneychange, scegliendo quello più conveniente. Gli ATM prendono di norma 500r di commissioni.

Alla domanda: “ chi può fare l’EBC?” Tutti. E’ solo una questione di tempo.

Desidero ringraziare chi ha permesso la riuscita del viaggio in quanto senza di Lei tutto questo non sarebbe stato possibile:                      S. Sw. F. K.     J.U.T.

Buon EBC a tutti!

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Perù in self drive (agosto 2022)

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  1. A) INFORMAZIONI GENERALI:

 

IMPORTANTE: come sempre avviso che l’itinerario ha 39 pagine … almeno sapete … di che morte morire se iniziate a leggere … In corsivo ho fatto copia incolla di tutte informazioni raccolte prima della partenza e poi durante la vacanza. In carattere normale è narrata la nostra avventura. Scrivo i vari orari per sapere quanto tempo richiede ogni cosa.

Quando:  20 giorni dal 31.07.2022 al 19.08.2022.

Perché questo viaggio: avevamo letto che in Perù è super sconsigliato il self drive quindi non lo abbiamo mai preso in considerazione come meta. Noi preferiamo viaggiare da soli, in autonomia. Solitamente questa meta si visita o con tour organizzati con spostamenti in piccoli bus con autista oppure per conto proprio però usando i pullman collettivi (anche notturni per le lunghe tratte). Quando a febbraio ho trovato on-line il diario di viaggio di Pamela, una ragazza che ha fatto questo viaggio affittando la macchina, mi si è aperto un mondo. Il Perù in quel momento non era toccato dalle restrizioni Covid ma, nel dubbio, abbiamo prenotato tutto quello che era da pagare subito, rimborsabile al 100% ed il resto annullabile a ridosso della partenza e da pagare in loco (hotel su booking). Quest’anno anche nostra figlia Martina ci ha dato buca quindi i prezzi riportati sono solo per due persone.

Itinerario:  Lima – Paracas – Huacachina – Nazca – Arequipa – Chivay – Canyon del Colca – Lago Titicaca – Montagne arcobaleno (trekking a Palcoyo e Vinicunca) – Cusco – Valle Sacra – Ollantaytambo – Aguas Caliente – Machu Piccu – Cusco – volo per Puerto Maldonado (Amazzonia) e volo di rientro a Lima.

1) COSTI 

Prenotazioni: abbiamo fatto tutto da soli

Voli: € 1.815 a testa.

Li abbiamo prenotati 6 mesi prima e con le tariffe più care per avere il rimborso al 100% in caso di annullamento.

– Volo intercontinentale: € 1.438 a testa (prenotato su Klm ma operato da Delta via Atlanta)

(dopo 3 mesi il prezzo era duplicato). Si poteva scegliere Iberia molto più comoda ma carissima già in partenza oppure Air Europa, anche lei comoda ma con ha recensioni negative e comunque più cara.

– Volo interno: € 243 a testa (prenotati su Latam) Cusco – Puerto Maldonado via Lima

– Volo interno: € 134 a testa (prenotato su Latam) Puerto Maldonado – Lima

Pernottamenti:

01.08.2022: Hotel San Agustin (Paracas) – B & B (117 euro)

02.08.2022: B & B El Jardin (Nazca) – B & B (45 euro)

03.08.2022: Hotel Viza (Arequipa) – B & B (87 euro)

04.08.2022: Hotel Viza (Arequipa) – B & B (65 euro)

05.08.2022: Colca Trek Lodge (Canyon del Colca – Pinchollo) – B & B (46 euro)

06.08.2022: Hospedaje y Restaurante Saywa (Lago Titicacca – Llachon) – B & B (34 euro)

07.08.2022: Amantani Lodge (Lago Titicaca – Isola Amantani) – B & B (45 euro)

08.08.2022: UROs Arantawi Lodge (Lago Titicaca – Isole Uros) – B & B (49 euro)

09.08.2022: Casa Chillitupa (Combapata) – B & B (67 euro)

10.08.2022: Tambo del Arriero Hotel Boutique (Cusco) – B & B (72 euro)

11.08.2022: Tambo del Arriero Hotel Boutique (Cusco) – B & B (72 euro)

12.08.2022: Hotel Rupa Rupa High Jungle Eco (Agua Caliente) – B & B (51 euro)

13.08.2022: El Albergue  (Ollantaytambo) – B & B (61 euro)

14.08.2022: Tambo del Arriero Hotel Boutique (Cusco) – B & B (60 euro)

15.08.2022: Inkaterra Hacienda Conception (Puerto Maldonado, Amazzonia) – tutto compreso (400 euro)

16.08.2022: Inkaterra Hacienda Conception (Puerto Maldonado, Amazzonia) – tutto compreso (400 euro)

17.08.2022: Holiday Inn Airport (Lima) – B & B (154 euro)

 Auto: € 1.470

affittata da Herz con assicurazione completa. L’abbiamo presa all’aeroporto di Lima e l’abbiamo lasciata all’aeroporto di Cusco.

Parcheggi – taxi – pedaggi strade: € 106

Costi ingressi Parchi e Boleti: € 218

Machu Picchu: € 512

– treno: € 116 x 2 = € 232

– pullman: € 32 x 2 = € 64

– ingresso: € 78 x 2 = € 156

– guida nel sito: € 60

Altre spese: gasolio 228 euro; market e bar 58 euro; ristoranti 1.040 euro; Esta per gli Stati Uniti 21 euro a testa; varie 284 euro

2) INFO PERNOTTAMENTI

Siti internet:

– Hotel San Agustin (Paracas) https://www.sanagustinparacashotel.com/es/

– B & B El Jardin (Nazca) https://bb-el-jardin.hoteles-en-ica.com/it/

– Hotel Viza (Arequipa) https://www.vizahotel.com/

– Colca Trek Lodge (Pinchollo) https://colcatreklodge.com/

– Hospedaje y Restaurante Saywa (Llachon) http://www.saywalodge.com/

– Amantani Lodge (Lago Titicaca) https://www.booking.com/hotel/pe/amantani-lodge.it.html

– UROs Arantawi Lodge (Lago Titicaca) https://www.booking.com/hotel/pe/uros-aruntawi.it.html

– Casa Chillitupa (Combapata) https://www.booking.com/hotel/pe/casa-chillitupa-cuzco1234567891011121314.it.html

– Tambo del Arriero Hotel Boutique (Cusco) https://www.tambodelarriero.com/

– Hotel Rupa Rupa High Jungle Eco (Agua Caliente) https://ruparupamachupicchu.com/

– El Albergue  (Ollantaytambo) https://www.elalbergue.com/

– Hotel Inkaterra Hacienda Conception (Puerto Maldonado, Amazzonia)

https://www.inkaterra.com/inkaterra/inkaterra-hacienda-concepcion/the-experience/

– Holiday Inn Airport (Lima)  https://www.ihg.com/holidayinn/hotels/us/en/lima/limap/hoteldetail?cm_mmc=GoogleMaps-_-HI-_-PE-_-LIMAP

Info in breve:

A parte a Nazca, abbiamo trovato tutte le camere pulite, personale molto cortese e ottime colazioni. Fate attenzione se siete freddolosi perché in molti posti non c’è il riscaldamento nelle camere (i letti hanno molte coperte quindi non si patisce freddo, ma farsi la doccia la sera ed alzarsi al mattino è impegnativo).

– Hotel San Agustin (Paracas) Voto 8

Struttura carina con piscina con camere spaziose tutte vista mare.  Parcheggio interno.

– B & B El Jardin (Nazca) Voto 4

Gestito da due persone anziane gentilissime ma non era molto pulito.  Parcheggio interno.

– Hotel Viza (Arequipa) Voto 8

Struttura carina con camere appena ristrutturate. Sul tetto c’è un terrazzo dal quale si ha una bella vista sulla città e sul vulcano Misti. Parcheggio interno.

– Colca Trek Lodge (Pinchollo) Voto 8

Bella struttura che si affaccia sul canyon. La nostra camera, la  112 come quella al piano superiore, la 212, sono quelle più esterne verso il canyon e hanno due pareti a finestra. C’è il ristorante per la cena. Non c’è il riscaldamento né in camera né al ristorante (qui però c’è il camino). Parcheggio interno.

– Hospedaje y Restaurante Saywa (Llachon – Lago Titicaca) Voto 6

Oggi c’era la festa del paese quindi quando siamo arrivati, i proprietari non c’erano. Li abbiamo chiamati e ci hanno detto di andare in camera (la porta era aperta). Li abbiamo aspettati lì più di un’ora al buio (non c’era la luce) e al freddo (non c’è il riscaldamento). Quando sono arrivati hanno acceso il generatore ma l’acqua della doccia non ha fatto in tempo a riscaldarsi quindi l’abbiamo fatta fredda. Non c’è il riscaldamento né in camera né al ristorante (arrivava solo un po’ di tepore dalla cucina di fianco). Ci hanno preparato loro cena ed è stata molto buona. Parcheggio interno.

– Amantani Lodge (isola Amantani, Lago Titicaca) Voto 9

Mariluz ed Henry sono persone squisitissime. Nella loro casa hanno 3 camere per i clienti. Puntano molto al rapporto con i loro ospiti. Con Henry siamo andati fino al tempio di Pachamama e ci ha spiegato come si vive sull’isola e ci ha fatto conoscere molte erbe che loro usano come medicine. Mariluz è un’ottima cuoca. Abbiamo cenato e pranzato con loro e poi siamo rimasti parecchio a chiacchierare. Non c’è il riscaldamento né in camera né al ristorante (la cucina di fianco un po’ riscaldava). Hanno i pannelli solari quindi se è nuvolo, la doccia è fredda, come è successo a noi. Tra tutti i pernottamenti della vacanza, questo è quello che ricorderemo più piacevolmente.

– UROs Arantawi Lodge (isole Uros, Lago Titicaca) Voto 7

Ci tenevamo a fare un pernottamento su una delle famose isole flottanti. Sono venuti a prenderci al porto con la loro barca. Hanno 4 camere spaziose e un locale per il ristorante. Il cibo non è stato un gran ché. Bello il giro in barca al tramonto tra le isole, con sosta su una per vedere come vive la gente del posto. Bello soprattutto perché non c’era nessun turista e si potevano vedere le attività giornaliere delle poche famiglie che vivono ancora sulle isole. Nel ristorante non c’è il riscaldamento (hanno coperte in lana) mentre in camera c’è una stufa. Parcheggio  in un garage al porto.

– Casa Chillitupa (Combapata) Voto 7

Posto perfetto, se si viaggia in autonomia, sia per il trekking a Palcoyo che Vinicunca. Fanno servizio ristorante per la cena (buona). Non c’è il riscaldamento in camera. Parcheggio nel loro terreno.

– Tambo del Arriero Hotel Boutique B & B  (Cusco) Voto 9

Struttura molto bella vicino al centro. Colazione ottima. Parcheggio recintato di fronte.

– Hotel Rupa Rupa High Jungle Eco B & B (Agua Caliente) Voto 7

Semplice ma pulito. Non c’è il riscaldamento. C’è la possibilità di lasciare i bagagli quando si lascia la camera per andare a Machu Picchu. Colazione da asporto, se serve.

– El Albergue B & B (Ollantaytambo) Voto 5

Direttamente alla stazione per Aguas Caliente. Semplice ma pulito. Se si ha la camera verso i binari, si hanno in dotazione tappi per le orecchie. Colazione scarsa. Parcheggio recintato nelle vicinanze.

– Hotel Inkaterra Hacienda Conception (Puerto Maldonado, Amazzonia) Voto 9

Bella struttura immersa nella foresta ammazzonica. Protetta da zanzariere. Tutti i pasti (ottimi) e le attività sono comprse (organizzano tante cose).

– Holiday Inn Airport ( Lima) Voto 8

Ha il servizio navetta per l’aeroporto ed è gratuito. Classico hotel della Holiday Inn perfetto per una notte in arrivo o in partenza. All’interno c’è il ristorante (buono).

 

3) INFO VIABILITA’

Km. da noi percorsi:  km. 2.429

Patente: la patente internazionale non è obbligatoria. Noi l’avevamo fatta per il viaggio fatto ad aprile quindi, nel dubbio, l’abbiamo portata dietro ma abbiamo mostrato alla Herz quella italiana ed andava bene. La polizia non ci ha mai fermati.

Strade: si sconsigliano i viaggi in Perù in self drive per i rischi che ci sono sulla strada. In realtà credo che lo facciano per il semplice fatto che i tour operator, che offrono tour con trasporti con pullmini/pulman, avrebbero meno clienti (ma i rental car lavorerebbero di più). Se il self drive prendesse piede, una grande fetta di persone cambierebbe modo di visitare il Perù. Io posso dire che affittare la macchina e girare per conto proprio è assolutamente fattibile. Bisogna prestare attenzione alla guida perché i peruviani hanno come regola di guida: non seguire nessuna regola. Nelle città superano da destra e non rispettano molto le precedenze. Suonano sempre il clacson, come se avessero ragione in tutto. Mio marito non ha avuto nessun problema a guidare, prestando attenzione e andando piano nelle città, non abbiamo mai rischiato nulla. Abbiamo trovato pesante guidare sulla Panamericana da Ica fino quasi ad Arequipa perché la strada diventa ad una sola corsia per senso di marcia e ci sono migliaia di camion. Nei tratti in cui è dritta, non ci sono problemi e si supera facilmente. Nei tratti in salita e con le curve loro rallentano, facendo fatica a procedere, quindi bisogna prestare molta attenzione nei sorpassi. A volte viaggiavamo ai 30 all’ora quindi abbiamo percorso 550 km. in circa 10 ore. Se non si vuole percorrere tutto questo tratto in un giorno, si potrebbe dormire a Camanà e poi proseguire il giorno seguente. In compenso i paesaggi sono belli. La strada in alcuni tratti è tagliata a metà costa delle montagne e ci sono bei colpi d’occhio sul mare.

Nel tratto invece da Puno verso Cusco ci sono molti rallentatori di velocità (dossi) ma non sono segnalati quindi bisogna andare piano.

Detto questo, il self drive in Perù è fattibilissimo. Per noi era la condizione essenziale per affrontare questo viaggio, perché il fatto di essere completamente indipendenti è impagabile. Se non avessimo potuto farlo in self drive, avremmo cambiato meta. Se si vuole evitare la Panamericana si può arrivare ad Arequipa in aereo e affittare lì la macchina, lasciandola poi a Cusco.

Lungo le strade ci sono spesso caselli dove si deve pagare.

Tempi di viaggio: quelli indicati nell’itinerario, dopo i km percorsi ogni giorno, sono effettivi senza soste.

4)  INFO GENERALI

Valuta:  Sola 1 = € 0,25  –  € 1 = Soles 4 .

A parte il primo giorno dove abbiamo cambiato Euro per Soles, per il resto abbiamo prelevato in Dollari (solo una volta perché quella banca ci consentiva un prelievo maggiore rispetto alla valuta locale) e per il resto in Soles.

Malaria: nell’Amazzonia c’è. Noi non abbiamo mai fatto l’antimalarica neppure per andare in Africa in zone ad alto rischio, nel periodo peggiore. Quindi per andare due notti nella foresta, non l’abbiamo proprio presa in considerazione. Preferiamo fare quella comportamentale: dopo il tramonto rimanere all’aperto il minimo in dispensabile indossando solo abiti chiari che coprano la maggior parte del corpo e spruzzando, sulle parti scoperte, dei repellenti e soprattutto dormire sotto le zanzariere. Sono scelte personali.

Febbre gialla: consigliano di fare il vaccino per l’Amazzonia. Noi l’avevamo fatto per andare in Uganda quindi non ci siamo informati se in realtà fosse solo consigliato o obbligatorio. Abbiamo portato dietro il libretto ma nessuno ci ha chiesto di mostrarlo. Quindi meglio informarsi bene.

Documenti e visti:  consultare il sito della Farnesina Viaggiare sicuri (http://www.viaggiaresicuri.it/).

Covid: se vaccinati non serve il tampone in arrivo. Bisogna solo compilare, 48 prima dell’arrivo, una dichiarazione giurata di non positività al Covid sul sito ufficiale (all’arrivo non l’hanno chiesta). Ovunque era obbligatoria la mascherina (anche all’aperto), comunque nessuno diceva nulla se non la si indossava.

Cibo: in Perù si mangia benissimo. La cosa che c’è piaciuta di più è la ceviche (pesce crudo marinato nel lime). Non abbiamo provato la cavia (cuy) perché ci faceva impressione (oltretutto la servono intera …). Come liquore ci è piaciuto il Pisco Sour (lo si può bere come aperitivo, durante la cena e anche come digestivo) fatto con il liquore Pisco e l’aggiunta dell’albume dell’uovo. Come birra invece la Cusquena.

Costo benzina: Soles 22,80 (€ 5,70) al gallone – circa € 1,40 al litro

Cellulare: copertura ovunque

Fuso: -7 dall’Italia

Fotografia: Ho fatto 3.500 foto … Come lenti ho usato 10-20, 24-105, 70-300.

Corrente: ci vuole l’adattatore. Le prese sono di tipo A (quelle americane a due uscite parallele di tipo lamellare sottili) e C (europea a due poli)

Temperatura: In Amazzonia dai 28 ai 33 con molta umidità. Nel resto dei posti da noi visitati, dai 5 ai 22 gradi. Siccome il Perù si trova più vicino all’equatore rispetto all’Italia, pur essendo inverno, ad agosto, le temperature in quota sono diverse dalle nostre. Per fare un esempio. Da noi in inverno, ad un rifugio vicino a casa nostra, il Regina Margherita, a 4.500 mt, ci sono circa -30. Noi, a 5.100, abbiamo trovato come minima 5°. C’è tanta differenza di temperatura se c’è il sole o meno.

Meteo: siamo stati fortunati. Abbiamo sempre trovato il sole a parte una giornata sul lago Titicaca dove era un po’ nuvoloso. Ha piovuto 3 sere ma quando eravamo in camera per la doccia quindi non ci ha creato problemi.

Altitudine: per molti è un problema serio. Consigliano di portare da casa il Dyamox, un diuretico che viene usato contro il soroche (mal di montagna). In loco si trovano altri medicinali ma sempre con il componente base del Dyamox. Il mate de coca (the con foglie di pianta di coca) ed il the de muna possono alleviare il fastidio. Un consiglio spassionato è iniziare il tour (se non lo si fa partendo in macchina o in pullman da Lima) da Arequipa (mt. 2.300) e finirlo a Cusco (mt. 3.400). Se si prende il volo da Lima, che è sul mare, si arriva già ad altitudini elevate. Si possono passare due giorni ad Arequipa e poi salire. Se si parte da Cusco e si va ad esempio direttamente a Vinicunca, il rischio di stare male è più elevato. Machu Picchu non crea problemi perché è basso. Noi non abbiamo mai avuto problemi, neppure durante i trekking sui 5.000 fermo restando che, a quelle altitudini, si fanno 10 passi e poi ci si deve fermare a respirare.

Sicurezza: non abbiamo mai avuto sensazione di trovarci in posti poco sicuri. I peruviani sono persone splendide e molto cordiali.

Lingua: spagnolo e pochissimo inglese quindi ci conveniva parlare italiano (non conoscendo lo spagnolo)

Immondizia e cani randagi: grande nota dolente entrambe le cose. L’immondizia che viene ammassata in alcuni punti delle città, viene distrutta e portata ovunque dai cani randagi. Quelle povere anime sono sempre alla ricerca di qualcosa da mangiare. Sono a centinaia e sono ovunque. Impressionante. Ne abbiamo visti alcuni morti a bordo strada. Ci hanno detto che l’immondizia è comunque gestita bene perché passano a raccoglierla. Direi molto poco! Mentre per i cani è normale prendere un cucciolo e quando diventa grande, lo si lascia libero. Non commento.

Dove passano i camion ci sono sacchetti ovunque a bordo strada. Li buttano direttamente dal finestrino. Mi ha dato tremendamente fastidio vederli più che altro nel tratto tra Arequipa e Puno. La strada attraversa il parco nazionale di Salinas y Aguada Blanca. Ci sono cartelli di richiesta di salvaguardare le vigogne e la flora. Come si fa a non avere cura neppure di un parco nazionale? Le vigogne, soprattutto nel punto dove c’è una pozza d’acqua, pascolavano tra la plastica.

Giornata tipo: Iniziavamo la giornata all’alba, verso le 6. Colazione in hotel, visite e trekking durante il giorno con soste pranzo nei ristoranti lungo la strada ed arrivavamo in hotel al tramonto verso le 17.30 – 18.00. Cena sempre al ristorante o presso le strutture dove abbiamo dormito (Canyon del Colca, lago Titicaca e Combapata), in questi posti non c’erano ristoranti nelle vicinanze

Opinione generale: questo viaggio ci è piaciuto tantissimo. Il Perù è assolutamente da visitare almeno una volta nella vita. Ci siamo trovati bene in tutto, dalla gente, al cibo e i paesaggi sono assolutamente notevoli.

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  1. B) ITINERARIO GIORNO PER GIORNO:

 

1) 31 luglio 2022 domenica: Casa / Lima

Due nostri amici ci portano a Malpensa così evitiamo li lasciare la macchina al parcheggio per 3 settimane. Al check-in ci chiedono l’Esta più un documento di autocertificazione dello stato vaccinale (questo per gli Stati Uniti, anche se facciamo solo scalo) e il certificato vaccinale normale richiesto dal Perù. In assenza di questo, si doveva presentare il tampone. Il volo della Delta parte puntuale alle 11.40. Non c’è neppure un posto libero. Dopo 10 ore, alle 15.40 locali atterriamo ad Atlanta (- 6 ore dall’Italia). Non ci chiedono nessun documento quindi passiamo i controlli velocemente. Non dobbiamo riconoscere le valige, vanno direttamente a Lima. Andiamo a vedere dov’è il gate del prossimo volo. Vediamo che stanno imbarcando per Johannesburg!! L’Africa ci “perseguita”. Guardo quelle persone, per molti sicuramente è la prima volta che vanno in quelle terre, ed invidio il fatto che ancora non sanno il bello che vedranno. Per altri è un ritorno, e questi li capisco al 100%. Per noi invece è il momento di trovare un angolino tranquillo dove passare le 7 ore seguenti. Alle 20.00 chiudono quasi tutti i ristoranti quindi fatichiamo a trovare qualcosa da mangiare. Ci pelano per una birra ed un panino. 

2) 01 agosto 2022 lunedì: Lima / Paracas – km.298 (h.4 e 1/2)

A mezzanotte si riparte. Il volo dura meno di 6 ore ed atterriamo alle 4.45 locali (-7 rispetto all’Italia). Ci chiedono solo il certificato vaccinale e non la dichiarazione giurata di non positività al Covid. Cambiamo Euro per Soles (questo sarà il cambio più favorevole che avremo pur essendo i aeroporto). Andiamo al banco della Herz per le pratiche per la macchina. Per fortuna siamo solo noi visto che impieghiamo quasi un’ora. Facciamo l’assicurazione completa e paghiamo € 1.470 (al momento della prenotazione avevano bloccato € 1000). Quando usciamo c’è già la luce ma il cielo è nuvolo e c’è la nebbia (17°). La nostra macchina è una Toyota Yaris (5 porte) rossa con solo 3.000 km. Abbiamo deciso di tralasciare la visita della città. Dovesse servire:

INFORAMAZIONI SU LIMA:

Lima è la capitale del Perú; con una popolazione di circa 10 milioni di abitanti è la quinta città più grande del Sud America.  Francisco Pizarro, che la fondò nel 1535, la soprannominò la  “Cittá dei Re”. E’ il cuore commerciale, finanziario, culturale e politico del Perù. Qui si concentrano i 2/3 dell’industria nazionale e si trova l’aeroporto più grande del paese. Il centro coloniale della città è stato dichiarato Patrimonio Mondiale dall’Unesco nel 1991.

Visitare Lima è un viaggio nella storia del Perù e di tutto il Sudamerica. Tante le cose da vedere e da fare. Nella capitale Peruviana c’è infatti di tutto. Dalle rovine Inca fino ai grattacieli moderni, passando per l’epoca coloniale. Tra bellezze architettoniche, testimonianze storiche e quartieri in cui scoprire le usanze locali.

– PLAZA DE ARMAS: La prima cosa da fare a Lima è andare a vedere il suo cuore pulsante,  la Plaza de Armas,  una tappa imperdibile  Questo grande spazio di forma quadrangolare è circondato dalla Cattedrale e dal Palazzo Arcivescovile da un lato e dal Palazzo del Governo e dal Palazzo Municipale dall’altro. La Plaza de Armas è chiamata anche Plaza Mayor ed è il punto di partenza ideale di una visita a Lima, cominciando dalla Cattedrale, dove è sepolto Francisco Pizarro, il fondatore della città.

– PLAZA SAN MARTIN: La seconda cosa da fare a Lima è andare a vedere un’altra piazza famosa di Lima è la Plaza San Martín. Non è circondata da edifici caratteristici come la Plaza de Armas, ma vale una visita per una curiosità molto particolare. Al centro della Plaza, infatti, si trova un monumento conosciuto come “della Madre Patria”. Una figura femminile che ha sulla testa una specie di copricapo… a forma di lama. Come mai? L’artigiano che la scolpì ricevette istruzione di raffigurare delle fiamme, ma in spagnolo llamas (fiamme) si scrive e pronuncia esattamente come “lama”. Da qui l’equivoco che è rimasto nella storia.

– MONASTERIO DE SAN FRANCISCO: La terza cosa da fare a Lima è vedere il Convento di San Francesco comprende nel suo complesso anche una Basilica, e il colpo d’occhio sulla sua imponente struttura dipinta di giallo ocra è di tutto rispetto. L’inizio delle costruzioni risale al secolo XVI e le caratteristiche che rendono il Convento di San Francesco a Lima una meta interessante sono molte. Le catacombe al suo interno, il suo chiostro e la sua cupola costruita in perfetto stile moresco.

– HUACA PUCLLANA: Huaca Pucllana è un grande sito archeologico in mezzo alla città di Lima, assolutamente  da vedere. Occupa circa 6 ettari di superficie. Le sue dimensioni originali erano quasi il triplo, ma ancora oggi la sua struttura e il suo stato di conservazione incutono timore e mettono in connessione con la sacralità degli edifici.Ci troviamo davanti a un sito organizzato su più livelli, con una grande piramide. Al suo interno sono stati ritrovati diversi resti umani, a testimonianza dei rituali che lì si compivano.

– MUSEO LARCO: Per completare il percorso storico alle origini del Perù, a Lima ti consiglio di visitare il Museo Larco o Museo de la Nación. Nel Museo sono conservati artefatti precolombiani come oggetti d’uso comune e accessori religiosi, insieme ad armi e ad una collezione di ceramiche con un tema molto particolare: l’erotismo. Visitare il Museo Larco è un’ottima idea per comprendere più da vicino com’era la vita prima dei conquistadores. 

– BARRANCO: Dalla storia arriviamo alla modernità. Il barrio de Barranco a Lima è un delizioso agglomerato di abitazioni dallo stile bohemien, con edifici colorati, street art e murales sui muri delle vie, assolutamente da vedere. Barranco è una tappa obbligata a Lima, anche solo per scattare fotografie deliziose ai suoi angoli più caratteristici, compreso il Ponte Dos Suspiros, un ponte in legno che è il centro della vita del quartiere. Tra le cose da fare al Barranco è di  fermarsi anche la sera, a bere un bicchiere e fermarsi nelle sue vie.

– MIRAFLORES: Immagina un quartiere di edifici moderni, affacciato sul mare. Ecco Miraflores, la zona più elegante e affascinante di Lima. Miraflores, come suggerisce la sua descrizione, è un quartiere prettamente residenziale, ma un giro da queste parti vale la pena per il panorama e per la sapiente alternanza tra zone verdi e bellissimi palazzi moderni. In più, tra le cose da fare a Miraflores, potrai fare shopping nei centri commerciali più “in” di Lima.

– PARQUE DEL AMOR: Quando visiti Miraflores, ti consiglio di organizzarti per andarci nella seconda parte del pomeriggio. Così potrai vedere il Parco dell’Amore al tramonto. Il Parque del Amor è un magnifico giardino, adornato di costruzioni che ricordano il Parc Güell di Barcellona, ed è lo scenario perfetto per godersi le luci della sera guardando il mare. Al centro del parco, la celebre scultura “El Beso” (Il Bacio), dedicata al gesto più romantico del mondo, simbolo per eccellenza dell’amore. Qui c’è il Faro de Miraflores.

–  MERCADO CENTRAL: Vicino alla zona del Parlamento, in centro a Lima, si trova il Mercato Centrale. Anche qui, come in molte città del Sudamericavale la pena fare un giro per conoscere meglio la città. Nel Mercado Central potrai ammirare l’infinita sequenza di banchi dedicati a ogni tipo di cibo, comprese carne e pesce esposti ovunque. I banchi sono organizzati per categorie merceologiche, e presso alcuni è possibile mangiare. Il ceviche (pesce marinato) che assaggerai qui non lo troverai da nessun’altra parte! E’ una cosa che devi fare assolutamente! 

– PARQUE DE LA RESERVA E CIRCUITO MAGICO DEL AGUA: Il Parco della Riserva è una chicca da vedere a Lima. E’ costruito in stile neoclassico e ospita molte opere d’arte realizzate da artisti locali. Al suo interno non perderti il Circuito Mágico del Agua o Magic Water Tour. Un grandissimo sistema di fontane dalle forme più strane, che alle 18 di ogni sera si illumina con un entusiasmante spettacolo di luci e suoni, per chiudere la giornata in bellezza. Rimarrai incantato dalle architetture d’acqua create dai getti delle fontane, ma fai attenzione. Alcuni sono molto alti e rimanere anche bagnati è un attimo!

Sono le 6.30 e c’è già molto traffico (macchine, pullmini collettivi e tuc tuc individuali) In mezz’ora raggiungiamo il mare. C’è un clima uggioso con la nebbia bassa. Ci sono molti ragazzi coraggiosi, con le mute, che fanno surf. Percorreremo la Carretera Panamericana Sur fino alla nostra meta, El Chaco (Paracas), sempre costeggiando il mare. La periferia di Lima ha case fatiscenti. Abbiamo fame ma attraversiamo una zona desertica e c’è solo qualche piccolo agglomerato di case. Passiamo un paio di caselli dove si pagano poche Soles. Prima di Totoritas troviamo un ristorante, da Mario. Fanno solo chiccarron. Non sappiamo cosa sia e la proprietaria non parla inglese quindi lo ordiniamo senza farci tante domande. E’ carne bollita servita con zucca a fette, polpette di zucca e completamente coperta di cipolle crude. Io a casa non mangio carne, quando siamo in viaggio, se non ho alternative, mi adeguo. Qui alternative non ne ho e ho una fame folle. Quindi il primo pasto, alle 9.30 del mattino è una botta energetica con cipolle crude. Iniziamo bene!! Comunque è ottimo. Spendiamo Soles 32 – € 8. Da questo punto in poi troveremo diversi ristorantini lungo la strada (fanno tutti chiccarron), vedremo coltivazioni, allevamenti di polli ed in un tratto passiamo in mezzo alle dune. Man mano che ci spostiamo verso sud, la nebbia se ne va e finalmente si vede il cielo azzurro. In prossimità di Pisco, lasciamo la superstrada ed entriamo in paese. La prima cosa che mi colpisce, a parte i fighissimi tuc tuc personalizzati in maniera diversa dai vari proprietari, sono tutti i fili della corrente che, a fasci, passano di casa in casa e da palo in palo. Questo è un classico in tutto lo stato, come i tuc tuc che sono presenti in tutti i paesi piccoli. Raggiungiamo il mare. C’è un relitto di una nave sulla spiaggia. Da qui fino a Paracas ci sono tante barche, ormeggiate vicino alla riva, con tantissimi cormorani, gabbiani e pellicani appoggiati. Arriviamo al nostro hotel alle 12.

Pernottamento: Hotel San Agustin – B & B – € 117

https://www.sanagustinparacashotel.com/es/

Lo avevamo prenotato su booking e lo paghiamo qui. Abbiamo fatto così per tutti i pernottamenti. La camera sarà disponibile dalle 14. Meglio così perché Pier avrebbe voluto fare un riposino ed io no. Quando si va verso ovest è bene non dormire, anche se per noi è ora di andare a letto, altrimenti si fatica ad abituarsi. Decidiamo quindi di andare subito a vedere la Riserva di Paracas. Il pranzo non lo prendiamo neppure in considerazione, vista la colazione fatta. L’ingresso della riserva è poco distante dal paese.

INFORMAZIONI SULLA RISERVA DI PARACAS:

Costo: Soles 11 – € 2,75  a testa

orari: 9-16

La Riserva di Paracas, dune, deserto, sabbia, spiagge, oceano, è  un’area naturale protetta nella Regione di Ica, 260 km a sud di Lima, dichiarata zona protetta nel  1975 per proteggere la fauna e la flora di quella porzione di mare e deserto del Perù. Ha una superficie di 335 000 ettari. L’oceano è molto ricco di plancton, alla base di una piramide alimentare ricca di organismi come delfini, balene, squali. La Riserva protegge, tra l’altro, il pinguino di Humboldt, l’otaria orsina, il leone marino, la sula variegata.  E’ un santuario per oltre 74 specie di piante che crescono in questa zona estremamente arida. Ospita anche 216 specie di uccelli, 16 tipi di mammiferi, 10 specie di rettili e 193 specie di pesci. L’area marina protetta si estende per circa 3.350 mq, il 65% è mare e il 35% terra e isole. È considerato uno degli ecosistemi più ricchi e rari del mondo.

Il nome della Riserva deriva dalle tempeste di sabbia (paracas= pioggia di sabbia in lingua quechua) che colpiscono la costa ogni inverno peruviano, in particolare nel mese di agosto. E’ stata la prima area protetta marina del Perù.

La Riserva di Paracas è spettacolare dal punto di vista naturalistico. Il plancton marino contribuisce a mantenere una formidabile piramide alimentare e l’oceano ospita così tantissime specie, da calamari a sgombri sino a squali, delfini e anche balene.  La Penisola di Paracas è un ideale punto di sosta per moltissime specie di uccelli migratori; con un po’ di fortuna potrai ammirare i condor, vedere le volpi e altri animali. Anche la storia reclama la sua parte: l’area ospitò una civiltà pre-incaica che raggiunse il suo apice tra i 2000 e i 500 anni prima di Cristo.

– El Chaco (Paracas): Da El Chaco ci passerai sicuramente, perché è il centro più importante dell’area e la porta d’ingresso della Riserva di Paracas. Qui si trovano le agenzie specializzate nei tour della Riserva e nei giri in barca delle Isole Ballestas; è anche il posto migliore per pernottare in zona. El Chaco però non è solo una sosta “di servizio”: questa è una zona di importanti ritrovamenti archeologici  e tutto quello che non è stato spostato a Lima puoi ammirarlo nel Museo di Storia di Paracas.

– Centro di Interpretazioni e museo Julio C Tello: Potrai apprezzare questo centro visita, un paio di chilometri dopo l’entrata, nella sua semplicità, perchè consente di capire rapidamente quello che l’area può offrire dal punto di vista storico, naturalistico e geologico. Comunque lo specchio di oceano davanti al Centro ospita, da giugno a agosto, una colonia di fenicotteri, che possono essere ammirati dal vicino Mirador. In vicinanza del centro troverai il museo de Sitio Julio C Tello, che prende il nome dall’archeologo peruviano che scoprì molti reperti della civiltà di Paracas. Oramai in questo museo non rimane molto, dopo il trasferimento di gran parte di ciò che è stato portato nei musei di Ica e di Nasca dopo il terremolto del 2007. In ogni caso potrai osservare mummie, ceramiche, tessuti  e altro. In prossimità del centro la strada principale si biforca:  a sinistra si raggiunge Punta Arquillo, a destra Puerto general San Martin.

– Necropoli di Paracas: La troverai qualche centinaio di metri dietro il centro visita della Riserva. Ha 5000 anni e qui sono state trovate più di 400 urne funerarie. Potrai osservare quindi solo il sito, mentre i più bei oggetti rinvenuti  sono esposito al Museo Regional di Ica o al Museo Larco di Lima.  


– La Catedral: è una maestosa formazione rocciosa erosa da vento ed elementi naturali. Anticamente ricordava davvero una cattedrale; oggi per via di un terremoto ha cambiato forma, ma non ha perso la sua maestosità.

– Il candelabro: E’ un geoglifo alto 128 metri e ampio 74 metri che si trova nella parte settentrionale della Penisola. Lo si ammira solo dal mare andando verso le isole Ballestas. Non si ha idea di chi l’ha fatto e perché.

– Laguinillas: Laguinillas è  l’unico luogo dove è possibile ristorarsi all’interno della Riserva di Paracas. Cibo e bevande vengono serviti a ogni ora della giornata. L’attesa del rinfresco o del pranzo sarà senz’altro allietata dai pellicani che ti passeranno sopra la testa o che zampetteranno poco distante a te. Alla fine di lunghe giornate tra dune, barche e meraviglie della natura, questa zona ti ristorerai con ottimi manicaretti, soprattutto di pesce. Nella Penisola di Paracas potrai trovare, in tutti i ristoranti, piatti come ceviche e jalea, ovvero pesce crudo marinato e frittura di pesce: non dimenticherai mai più la freschezza e il gusto del pescato di queste zone.

Spiagge: La Penisola di Paracas offre delle splendide spiagge, dove sedersi e ammirare l’oceano o camminare in cerca di reperti.  Playa Roja, La Mina e Yumaque, Supay, Mendieta, El Raspon, Arquilla, Playa Atenas…. Volendo si può arrivare fino alla laguna grande(km.28 più a sud), sulla strada si possono vedere alcune spiagge.

Consiglio: se vuoi entrare in acqua cerca di stare vicino a riva (le correnti possono fare brutti scherzi) e occhio alle meduse.

All’ingresso paghiamo in totale in contanti Soles 22 – € 5,50. Sono le 12.30, ci sono 20°, un po’ di vento ed il cielo azzurrissimo. Rimarremo nella riserva 3 ore e 1/2. Decidiamo di fare il giro in senso orario quindi ci indirizziamo subito alla Cattedrale. In lontananza ci sono delle belle dune, in alcuni punti sono gialle mentre in altri sono rosate. Vicino alla strada c’è un punto dove ci sono mucchi di grosse conchiglie rosa, solo qui. Cosa strana. Al bivio giriamo a destra. Se si prosegue dritto si va alla Laguna grande. Noi la tralasciamo perché non abbiamo tanto tempo. Questa strada, che torna verso nord, ci consente di vedere tutta la parte più bella della riserva.  Arriviamo fino al punto panoramico sulla spiaggia Supay, una delle immagini più famose. Molto bello. Ci sono delle scogliere di roccia gialla e sotto una grande spiaggia con il mare arrabbiato. Qualcuno passeggia sulla battigia. Non so dove sia il sentiero per scendere. Proseguendo sulla stessa strada, andiamo poi ai due punti panoramici seguenti, uno sulla Cattedrale (peccato che l’arco di roccia sia crollato, quindi perde il fascino) ed uno sulle scogliere verso sud. Andiamo poi alla Playa Yumaque, al Mirador Istmo e alla Playa Roja. Costeggiamo tutta la baia di Lagunillas raggiungendo il punto più lontano, che è la Punta Arquillo, per poi tornare un pochino indietro e scendere alla Playa Las Minas. Rimaniamo una mezz’oretta a guardare degli uccelli che, con una discesa verticale ed entrando nel mare, si procacciano il cibo. Andiamo poi a Lagunillas dove c’è qualche ristorante. Solitamente chi visita la riserva con un tour organizzato, viene qui a pranzo. Il Candelabro non è raggiungibile via terra quindi andiamo poi verso l’uscita facendo sosta al Museo de Sitio Julio C. Tello. In questa zona c’è un punto con le dune ricoperte di sabbia rossa. Facciamo due passi fino in riva al mare a guardare i fenicotteri e poi usciamo. Questa riserva merita assolutamente una visita. Andiamo in hotel giusto il tempo di una doccia e poi andiamo a piedi al porto. Il lungomare è un susseguirsi di negozietti e ristorantini. Scegliamo il “Sole de Paracas”. Sono e 17.30 quindi il sole si sta abbassando lungo la linea dell’orizzonte e le temperature si abbassano, quindi scegliamo un tavolo all’interno. Al tramonto, alle 18 esco a fare qualche foto. Si colora tutto di rosso. Questo e quello sul Lago Titicaca, saranno gli unici bei tramonti della vacanza. Per cena, non sapendo che i piatti sono abbondanti, prendiamo un piatto di ceviche a testa ed una zuppa di pesce in condivisione. Avremmo dovuto prenderne solo uno per tipo da condividere. Spendiamo Soles 170 – € 42. La nostra prima cena peruviana è stata buonissima. Torniamo a piedi in hotel e finalmente alle 19.30, dopo 44 ore effettive senza considerare il fuso, tocchiamo di nuovo un letto. Avendo evitato di andare a fare un pisolino all’arrivo a Paracs, ci siamo abituati subito al fuso.

3) 02 agosto 2022 martedì: Paracas / Nazca – km. 216 (h.4 e 1/2)

Avendo visto la riserva ieri, ho la possibilità di andare alle Isole Ballestas, solo io perché Pier non ama le barche. Vado alla reception e faccio prenotare da loro. Alle 8.00 un taxi viene a prendermi e mi porta al porto. Avrei potuto andare a piedi ma il servizio prevedeva anche il transfer. Pago Soles 60 – € 15 in contanti. Ci sono molte persone ma è tutto super organizzato. L’escursione dura dalle 8.30 alle 10.00. C’è il sole ed il mare è piatto. Su ciascuna barca ci stanno circa 30 persone.

Informazioni sulle Isole Ballestas:

Le isole Ballestas sono soprannominate le “Galapagos del Perù” per la ricchezza di animali che le abitano. Il nome (balestra) deriva probabilmente dall’attrezzo con cui venivano cacciati gli animali. Si trovano a più di 10 chilometri dalla costa e sono degli isolotti e degli enormi faraglioni battuti dal vento e dall’oceano Pacifico, che formano l’arcipelago delle Chicha assieme alle altre isole di Paracas. Sono anche soprannominate “’le isole del guano”, per l’abbondanza di questo fertilizzante naturale. Se sei sensibile a questo odore, preparati a tapparti il naso! 

Le “Galapagos del Perù” sono abitate da diverse specie animali. La loro sopravvivenza è data dal fatto che ognuna di loro occupa una determinata nicchia ecologica, ossia ha una propria specializzazione alimentare e abitudini di vita grazie a cui non entra mai (o solo parzialmente) in competizione con una altra specie che vive nello stesso ambiente.

Gli animali più fotografati sono senza dubbio i leoni di mare (lobos de mar)  o le otarie orsine, che se ne stanno per lo più spaparanzati sugli scogli. Tra i volatili la presenza più massiccia è quella dei pellicani bruni, che convivono con le sule del Perù, le  fotogeniche sule piediazzurri, i cormorani peruviani, il cormorano zamperosse, la sterna di Paracas e il pinguini di Humboldt. A febbraio e marzo è possibile anche – con un po’ di fortuna – ammirare i condor, che arrivano qui per cacciare un po’, prima di ritornare ai loro siti di nidificazione.

Lungo la rotta per le isole Ballestas si trova Punta Pejerrey, dove è possibile ammirare il Candelabro, chiamato così per la sua forma a tre braccia. E’ un gigantesco geoglifo (incisione sulla pietra come una grande pittura muraria), osservabile su un fianco della Penisola di Paracas. Ci sono diverse interpretazioni su questo incredibile “disegno”. Alcuni pensano che questo geoglifo, che punta verso il meridione, fosse in relazione con le Linee di Nazca. Altri affermano che fosse una sorta di faro per i naviganti; c’è invece  dice che sia la sagoma di un cactus, una pianta sacra alla cultura Chavin. Infine alcuni studiosi ritengono che sia la costellazione della “croce del sud”.

Per la tua escursione alle isole Ballestas, ti consiglio di portarti la crema e un cappello per proteggerti dai raggi solari. Il cappello è anche protettivo nei confronti degli uccelli e delle loro deiezioni..  Sono tanti!Se soffri il mal di mare, cerca di raggiungere le isole partendo presto, in quanto nelle prime ore della giornata il mare è più calmo.

Le isole Ballestas sono raggiungibili unicamente  in barca sia in servizio condiviso (imbarcazione di circa 36 passeggeri  con guida parlante in inglese/spagnolo)  o in servizio privato. La partenza è dal porto di Paracas alle ore 8 e 10. Talora anche alle 12, se la domanda è alta.  Non si può scendere a terra durante la visita, ma solamente ammirare dalla barca gli animali.

Costeggiamo la riserva fino al Candelabro. E’ un mistero chi ha fatto questo disegno ed è pazzesco che, con le intemperie, non si sia rovinato. Andiamo poi direttamente alle isole. Le raggiungiamo in 20 minuti di navigazione costeggiamo solo la prima. Ci sono tanti archi di roccia. Vediamo i pinguini in alto sulle scogliere (sono una decina tra adulti e cucciolotti), tantissimi uccelli e poi, nel canale di mare tra la prima e la seconda isola, i leoni marini. Ce ne sono molti, alcuni sono in acqua a caccia mentre altri sulle rocce in posizioni assurde. Vediamo sull’isola di fronte, l’unica spiaggia presente, dove vanno a partorire. Rientriamo poi direttamente al porto. Vado a piedi fino in hotel. Pier ha già caricato la macchina quindi partiamo subito direzione sud. Attraversiamo una zona desertica per poi arrivare nella zona di Guadalupe dove ci sono molte coltivazioni e vediamo delle baraccopoli su una collina. Raggiungiamo Ica in un’ora e mezza.

Informazioni su Ica:

Soprannominata città del sole eterno, ha due obelischi al centro della piazza e rappresentano le culture nazca e paracas. E’ famosa per le aziende vinicole e per le coltivazioni di asparagi, cotone e frutta. C’è una graziosa cattedrale in via di ristrutturazione dopo il terremoto del 2007, ma i lavori sono lunghi

Appena fuori dalla città iniziano le dune. Arriviamo quindi all’oasi di Huacachina.

Informazioni su Huacachina:

E’ un’oasi naturale in mezzo al deserto nel Sud-Ovest del Perù, che sorge attorno a un piccolo lago naturale circondato da bellissime palme.

La leggenda narra che, molte lune fa, una principessa stava facendo il bagno nuda nella laguna, allora poco più grande di una piscina. Mentre si guardava allo specchio, vide un cacciatore locale che la spiava. La principessa indossò rapidamente la sua tunica e fuggì, lasciando cadere lo specchio che, rompendosi, formò la laguna, mentre il mantello della principessa, strisciando sulla sabbia, creò le dune.

Per molto tempo Huacachina è rimasta un tesoro per pochi. A metà del secolo scorso i VIP di Lima  si recavano qui per rilassarsi e per bagnarsi nelle acque dalle proprietà curative. In seguito venne frequentata per lungo tempo solo dai backpackers, che  giungevano qui dopo un lungo, interminabile e scomodo viaggio su bus affollati. Ora si arriva ad Ica su comodi bus turistici da Lima e da lì in dieci minuti di taxi si è tra le dune.

Da oasi in cui pigramente rilassarsi all’ombra delle palme, Huacachna si è trasformata velocemente nel tempo in capitale degli sport su sabbia. Le specialità del posto sono il sand-board (scendere le dune su una tavola da snow board), le corse con le dune-buggy e la sera feste rumorose. Ma basta anche salire sulle dune e guardarsi attorno o starsene tranquilli al bordo dello specchio d’acqua per godersi alla grande questo magnifico posto!

Per cui se ti sei fatta/o una idea idilliaca di Huacachina, non andare neanche, a meno che ti trovi a passare da queste parti nel mezzo della settimana in un periodo fuori stagione. Se invece ti va di liberare l’adrenalina del tuo corpo, benvenuta/o a Huacachina!

Lo sviluppo turistico di Huacachina ha contributo a prosciugare la fonte di acqua che alimentava la laguna che ora viene tenuta in vita da fonti artificiali alternative. Sia il sand-board che il dune-buggy sono attività che lasciano i segni sia sulla sabbia (le tracce dei pneumatici) che per aria (rumore e inquinamento da scarichi). L’ambiente del deserto è fragile, per cui decidi tu cosa fare.

Parcheggiamo. Paghiamo Soles 3,60 – € 0,90 a testa per salire sulle dune a piedi. Ci sono 29°. Da lassù il paesaggio è bello e l’oasi sarebbe spettacolare se non ci fossero gli edifici, per lo più fatiscenti. Si sente costantemente il rumore delle dune-buggy. A mio avviso dovrebbero distruggere tutto, portare via ciò che è “umano” e lasciare che la natura riprenda il suo spazio. Dovrebbero mettere qualche navetta che porta fino qui da Ica, in modo tale che i turisti possano godere della pace di un posto che, se tornasse agli antichi splendori, sarebbe molto bello. Così com’è non ci è piaciuto. Andiamo in un bar per un toast, una corona ed una spremuta (Soles 27 – € 6,75). Fino ad ora abbiamo avuto contatti impersonali con la gente del posto, qui possiamo apprezzare la cortesia e la gentilezza dei peruviani per la prima volta. Il proprietario si siede in un tavolino vicino a noi e, pur parlando solo spagnolo, fa in modo di farsi capire e si sforza di capire l’italiano. Abbiamo una piacevolissima conversazione al punto tale che ci spiace andare via ma alle 13.30 dobbiamo per forza partire. Fino ad Ica la strada è un’autopista a due corsie per senso di marcia, dopo diventa una sola corsia per senso di marcia quindi incominciamo a trovare i famigerati camion. Essendo l’unica strada che porta in Cile, su questo lungo tratto ce ne sono a migliaia (quasi fino ad Arequipa, dove arriveremo domani sera). La cosa che più ci ha colpiti è la quantità di altarini, in memoria di persone morte in incidenti lungo la strada. In tutto il Perù ce ne sono ma su questo tratto sono tanti. Decidiamo quindi all’istante di andare piano e di superare proprio solo quando si ha un’ottima visibilità. Passiamo diversi paesi e siamo rallentati dai tanti semafori. Dopo 40 minuti finalmente la strada diventa più scorrevole. La strada da Ica a Camanà che faremo oggi e domani, passa in mezzo al deserto. Solo in prossimità dei fiumi (hanno creato delle valli profonde), ci sono tante coltivazioni e ci sono paesi. In prossimità dei paesi ci sono bancarelle che vendono, tra l’altro, verdure, aranci ed olive. Acquistiamo un pacchettino di quelli che ci sembrano pop corn, ma non ci fanno impazzire. Vicino a Palpa (famosa per i suoi aranceti) vediamo coltivazioni di cotone. Non ne avevamo mai viste. Passiamo la città e dopo circa 10 km, ci fermiamo al Mirador de las Lineas de Palpa. Sono enigmatici geoglifi come quelli di Nazca. Il più famoso è quello della Familia Real di Paracas ovvero la Madre, il Padre e il Bambino (in tutto sono 8 figure). La famiglia si vede dalla torretta che si trova a fianco della Panamericana. Non si paga per salire. E’ un po’ traballante. I disegni sono verso ovest quindi, essendo ora pomeriggio, sono completamente in controluce. Bisognerebbe venire al mattino. Proseguiamo e dopo 12 km passiamo per un paese senza fermarci, dove c’è il Museo Maria Reiche. Dovesse interessare è la casa dell’archeologa e matematica tedesca che studiò le linee per tanti anni. Da quando è morta, nel 1998, è diventata un museo. Dopo altri 4 km. arriviamo al Mirador de las Lineas de Nazca. Questa zona, a circa 25 km. a nord di Nazca, è il punto il cui ci sono le linee e i geoglifi più famosi. Dalla torretta del mirador si possono vedere la lucertola, l’albero e le mani (o rana, dipende da come uno la vede). La coda della lucertola è tagliata dalla strada. C’è il divieto assoluto di camminare fuori strada. Sulla sinistra hanno appena costruito una torretta sulla quale si può salire (dalle 8 alle 18 e costa Soles 6 – € 1,50 a testa). Quanto le linee quanto i disegni meritano assolutamente di essere visti. Alcune linee sono perfettamente parallele, a perdita d’occhio. Non faremo il sorvolo di questo posto perché abbiamo letto che i piloti guidano in modo poco sicuro.

Informazioni sulle Linee di Nazca:

Dove prenotare i voli: https://www.findlocaltrips.com/tour-details/nazca-lines-flight-aeroparacas

$ 84 a testa dura 30 minuti 

I geoglifi di Nazca, detti anche “linee di Nazca”,  si trovano nella arida pianura costiera peruviana circa 400 km a sud di Lima e coprono circa 450 kmq di deserto. Non sono soltanto linee ma anche geoglifi con forme umane ed animali. Rappresentano uno degli enigmi più impenetrabili dell’archeologia moderna.

I più famosi si trovano nell’area a circa 20 km a nord di Nazca e sono circa 800.

I geoglifi possono essere suddivisi in tre fasi cronologiche che vanno dal periodo Chavín (500-300 aC) a quello della cultura Paracas (400-200 aC), sino alla fase di Nazca (200 aC-500 dC), che ha prodotto la grande maggioranza dei geoglifi. Generalmente vengono distinte due categorie di geoglifi. Il primo gruppo raffigura varie forme naturali come animali, uccelli, insetti, la scimmia. Il più grande di tutti è il pellicano, lungo 285 metri. La seconda categoria comprende le linee geometriche, generalmente diritte, alcune lunghe parecchi chilometri, che si incrociano formando tantissime e diverse figure geometriche come triangoli, spirali, rettangoli, linee ondulate. Sono Patrimonio Umanità Unesco.

Storicamente importanti come Machu Picchu, le linee di Nazca fanno parte del patrimonio culturale del Perù e sono un residuo significativo di una delle numerose culture antiche che abitavano il continente molto prima dell’arrivo degli europei. 

Incise sul terreno del deserto tra il 300 a.C. e il 500 d.C., le linee di Nazca hanno attirato l’attenzione di tutto il mondo da quando sono state scoperte il secolo scorso. Alcuni, come la storica Maria Reiche, affermano che si tratta di calendari astronomici,  altri che sono sentieri cerimoniali. C’è poi chi ha tirato in ballo gli  extra terrestri…

Dopo una serie di incidenti capitati durante i sorvoli delle linee di Nasca, in fase di decollo o di atterraggio, il governo peruviano è diventato molto rigido nei controlli delle compagnie aeree che offrono i loro servizi, attualmente una dozzina. I piloti ora sono due e uno di loro è praticamente una guida che spiega, che consente di focalizzare meglio le linee,  identificando così i disegni e assiste i passeggeri. 

E’ meglio essere i primi a volare nella giornata. Due i motivi: alla mattina presto ci sono molte meno turbolenze e l’aria è più limpida. Inoltre, in caso di brutto tempo e di conseguente rinvio del volo, si sarà sempre i primi della lista a partire. Se il programma prevede, dopo il sorvolo, di continuare il viaggio verso Arequipa, sarà ragionevolmente possibile prendere il bus nel pomeriggio per arrivare in serata a destinazione. Gli aerei sono piccoli, da 4 a 12 posti. Quindi se soffri di claustrofobia, meglio lasciare perdere. Inoltre l’aereo farà un po’ di acrobazie piegandosi sui due lati, per dare la possibilità ai passeggeri seduti nelle due file di ammirare le linee. Quindi se soffri sobbalzi del genere, risparmia i tuoi soldi, a meno di essere sicuro che pastiglie, chewing gum e altro per il mal d’aria, facciano il loro effetto.

Proseguiamo poi di un paio di km dove c’è un parcheggio. Paghiamo Sole 3 – € 0,75 a testa. Si vede molto bene il disegno del gatto (è sul fianco di una collinetta) anche se è in controluce (meglio venire al mattino). Saliamo poi sulla collina fino a due punti panoramici. Il deserto sicuramente è particolare, di colore rosso, e si vedono bene tante linee. Raggiungiamo Nazca alle 17.15. Il paese non è nulla di che. Andiamo al nostro B & B.

Pernottamento:  B & B El Jardin – Nazca – B & B – € 45

https://bb-el-jardin.hoteles-en-ica.com/it/

E’ recintato con mura alte (si può parcheggiare nel giardino). Ci sono due edifici, in uno abitano i proprietari e nell’altro hanno le camere. Paghiamo in contanti. I proprietari sono due persone anziane gentilissime ma la struttura non è ben tenuta, la camera è pulita ma il bagno non molto. Non mi sento di consigliarla. Come paragone di prezzo, penso all’hotel nel Canyon del Colca dove andremo tra qualche sera, tutta un’altra cosa. Chiediamo un consiglio per cena e ci indirizzano da Elrico Pollo. Andiamo a piedi perché dicono essere sicuro. Per raggiungerlo percorriamo una strada con soli negozi di ogni genere. Quando arriviamo là capiamo che fanno solo polli allo spiedo e, non avendo visto altri ristoranti, decidiamo di fermarci, anche se non siamo molto convinti. Avremmo voluto mangiare altro. C’è solo gente del posto, nessun turista. Pier prende mezzo pollo, io solo un quarto, come contorno hanno insalata e patate (non ci sono alcolici). Spendiamo Soles 65 – € 16. Devo dire che però era buonissimo. Per tornare in hotel passiamo in un’altra via. Questa è piena di ristoranti. Va beh, alla fine il nostro pollo ci è piaciuto molto. Raggiungiamo la piazza principale e ci sediamo in un bar grazioso e prendiamo due birre. La chiesa è aperta quindi entriamo un attimo. C’è la messa. Torniamo al B &B e alle 21.00 dormiamo … per modo di dire, i cani della casa di fianco, abbaiano l’impossibile tutta la notte.

Informazioni su quello che c’è da vedere vicino a Nazca:

– Riserva nazionale Pampas Galeras: (km. 90 ad est di Nazca) è uno dei posti migliori del Perù per vedere le vigogne

– Cerro Blanco: (km.14 ad est di Nazca) la duna di sabbia più alta del mondo. Si trova a mt.2.078 sul livello del mare  (mt.1.176 m dalla base alla cima). E’ stata considerata una montagna sacra per la civiltà di Nazca. Il vero nome di questa duna di sabbia è in lingua quechua “Yuraq Orqjo”, significa “Montagna Bianca”. Per raggiungere la vetta ci vogliono 3 ore di cammino. Sta diventando famosa per il sandboarding.

4) 03 agosto 2022 mercoledì: Nazca / Arequipa – km.552 (h.10 e 1/2)

Belli freschi e riposati …… per modo di dire visto che, oltre ai cani, alle 4 del mattino hanno iniziato a cantare anche alcuni galli, ci alziamo all’alba. La colazione è semplice ma i due proprietari si fanno in quattro per fare in modo che sia tutto a posto (a loro do voto 9, il resto 4). Ci regalano una grossa cirimoia da mangiare durante il viaggio.

Alle 7.30 partiamo diretti a sud. Ci sono 13° e c’è la nebbia per un’oretta poi esce il sole.

Ci scoccia parecchio aver dormito male perché oggi dobbiamo percorrere la strada più difficile di tutta la vacanza … ed è necessario che Pier sia super vigile alla guida. La nostra idea era di arrivare a dormire ad Arequipa in modo tale da avere domani una giornata intera di stacco dalla guida e per poter vedere la città con calma. Non sapendo però quanto tempo avremmo impiegato a coprire la distanza, per sicurezza abbiamo messo il pernottamento a 400 km. da Nasca, a Camanà (man mano che procediamo ci rendiamo conto che ce la possiamo fare quindi abbiamo annullato l’hotel a Camanà e abbiamo aggiunto una notte ad Arequipa).

Appena imbocchiamo la Panamericana ci troviamo in processione dietro ai primi camion … e qui iniziano i sorpassi … dopo un po’ ho smesso di contarli ma ho idea che ne avremo fatti più di 300, prima di arrivare ad Arequipa. Se la strada fosse stata a due corsie per senso di marcia, non ci sarebbero stati problemi per i sorpassi. Per di più, nei tratti in salita, i camion fanno fatica a salire quindi la velocità si riduce anche ai 30 km/h. A parte questo dettaglio, il paesaggio è bello e siamo contenti di aver scelto di fare questo tratto. Ci sono parecchi punti ristoro lungo quasi tutto il percorso, ovviamente davanti hanno grossi parcheggi per consentire ai tir di fermarsi. Dove ci sono i letti dei fiumi ci sono coltivazioni, più che altro ulivi (quindi ci sono banchetti che vendono olio). I primi 140 km., fino a Tanaka, sono praticamente tutti dritti e passano per una zona desertica. A Tanaka si arriva sul mare (ci sono 20° ma c’è vento) e lo si costeggia fino a Camanà. Da Tanaka ad Ocona (circa 200 km.) (quindi fino ad una cinquantina da Camanà) la strada è tutta tornanti e senza vegetazione. In alcuni tratti è tagliata a metà del fianco delle montagne e a strapiombo sul mare arrabbiato. Paesaggisticamente molto bello. In un tratto ci sono anche grossi cactus. Evitiamo di fermarci a guardare il paesaggio perché c’è poco spazio. Perdiamo 1 ora di tempo per alcuni lavori lungo la strada. Il tratto era in salita quindi i tir facevano fatica a partire quando il semaforo diventava verde. Ne conseguiva che ci si spostava di pochi metri ogni volta.  Arriviamo a Camanà alle 14.45 (km.400 – 7 ore). Questa è una località di villeggiatura per gli abitanti di Arequipa. Il paese non è bello. Troviamo un ristorante, da Morena, proprio sulla strada uscendo dal paese. Diciamo che siamo di corsa ma perderemo  più di 1 ora. Avremmo dovuto organizzarci con il pranzo al sacco ma giustamente Pier aveva bisogno di staccare un attimo. Lui prende un fritto misto, io un filetto di pesce con patate, entrambi abbondantissimi, ne sarebbe bastato uno in due  (Soles 78  – € 19,50). Alle 16 ripartiamo. Ero convinta che tutti i camion avrebbero proseguito dritti lungo la costa ed invece la Panamericana arriva fino quasi ad Arequipa per poi tornare sul mare … Facciamo un tratto in salita e raggiungiamo un altopiano battuto dal vento. Le nuvole si spostano velocissime. In 3 ore e mezza (km.150) arriviamo al nostro hotel.

Pernottamento: Hotel Viza – B & B – € 87 (camera king)

https://www.vizahotel.com/

Cosa importante e non da poco: hanno il parcheggio (è un garage dove possono ritirare 4 macchine). Chiediamo se possiamo tenere la stessa camera anche domani sera, per non rifare le valige ma ci dicono che sono al completo quindi dovremo lasciarle in un locale adibito. La camera è molto bella. Ci docciamo e poi usciamo subito a cena. L’hotel è in centro quindi in 5 minuti, camminando in una bella via principale, siamo a Plaza de Armas. Il famoso ristorante Zig Zag lo abbiamo prenotato domani sera quindi ora scegliamo a caso. Andiamo da Dimas. Bel locale. Prendiamo due ceviche (me ne sono innamorata), una zuppa di quinoa, due Cusquena (immancabili) e proviamo il primo di una lunga serie di Pisco Sour (buonissimo). Ceniamo molto bene (Soles 151 – € 38). Facciamo due passi ancora per Plaza de Armas. Di notte è molto bella, forse più che di giorno, per via delle illuminazioni. Belli anche tutti gli archi negli edifici che la circondano. Come città ci piace subito. E’ ben tenuta. Andiamo poi in hotel. Visto che oggi abbiamo fatto proprio solo due cosine, siamo un po’ piallati e sarà così per tutta la vacanza, visto i ritmi che terremo. Ma ci si riposa a casa, quando si è via bisogna sfruttare ogni minuto!!!

5) 04 agosto 2022 giovedì: Arequipa – km.0

Notte stupenda senza un rumore! Siamo svegli presto e prenotiamo on-line l’ingresso al Monastero di Santa Catalina. Facciamo colazione e poi usciamo.

Informazioni su Arequipa (altitudine mt. 2.335) :  

Arequipa è una delle città più belle del Perù. Si trova a una altitudine giusta per il nostro organismo. E’ chiamata “la città bianca”: il suo centro storico, patrimonio UNESCO dal 2.000, è infatti interamente costruito in sillar, una pietra lavica candida. Tra vulcani e impronta coloniale, il fascino di questa città a quasi 2500 metri di altezza è unico. Arequipa è rinomata come gemma culturale e culinaria

E’ “guardata a vista” dai vulcani Chachani e Misti.


Da vedere: 

– Plaza de Armas (più bella di notte): Come in tutte le città coloniali, il cuore di Arequipa è la sua Plaza de Armas. Uno spazio vivo, sempre pieno di gente,  delimitato ai quattro lati da splendidi edifici coloniali, tra cui la Cattedrale. Plaza de Armas è il luogo perfetto per iniziare la visita di Arequipa, magari sorseggiando una chicha (bevanda tipica peruviana, fatta con mais fermentato. Può essere alcolica e analcolica ed è un classico durante aperitivi, spuntini, pranzi, cene, soste rinfrancanti. Potrai berla in diverse varianti e con tanti ingredienti aggiuntivi, come la frutta o le spezie, e sarà sempre come assaporare una bibita nuova. Come il piscosour, non puoi lasciare il Perù senza averla bevuta almeno una volta. Ad Arequipa la troverai al mercato, nei bar e anche nelle chicherias, piccoli locali specializzati in chichas)


– Catedral de Arequipa: La Cattedrale di Arequipa, affacciata sulla Plaza de Armas, è un imponente edificio originario del secolo XVI. Terremoti e usura del tempo hanno reso necessarie diverse ricostruzioni della Cattedrale, nel secolo XIX e XX, ma nonostante questo ancora oggi è una costruzione maestosa, che definisce il panorama della città.


Monastero de Santa Catalina: fondato nel 1579 ed aperto al pubblico dal 1970, una vera cittadella nella città, dipinta di blu e rosso. Il complesso religioso copre un’area di 20,000 mq, si sviluppa tra passaggi stretti e tortuosi, viuzze colorate e giardini rigogliosi. – Costo dei due biglietti: 80 soles. Bellissimo il Monastero di Santa Catalina ad Arequipa è unico nel suo genere. Visitando il Monastero ti perderai tra i suoi vicoletti, passando dai chiostri agli alloggi delle monache, fino ai refettori. La sua atmosfera mistica, immersa nel silenzio, in contrasto con i colori accesi delle costruzioni, ti rimarrà impressa per sempre. In alcuni giorni è possibile visitare il Monastero di notte: verifica se coincide con le date della tua visita ad Arequipa, è un’esperienza ancora più suggestiva. Si può visitare da soli o con guida. La visita dura circa un’ora. E’ aperto anche due sere a settimana e la visita viene fatta a lume di candela.

– Museo Santuario Andinos: Nel Museo SantuariosAndinos di Arequipa è conservata una mummia molto importante: si tratta di Juanita, la doncella del hielo (la fanciulla del ghiaccio). Juanita cinque secoli fa era una ragazzina adolescente, che è stata sacrificata dagli Inca ai loro Dei per scongiurare il pericolo di altre eruzioni. Proprio un’eruzione ha permesso il ritrovamento di questa straordinaria mummia, perfettamente conservata nei ghiacci per 500 anni. Il Museo SantuariosAndinos è dedicato interamente a lei.

– Iglesia de La Compañía: Anche la Iglesia de La Compañía di Arequipa è bianca, costruita con la pietra lavica locale. Le sue facciate però, finemente scolpite con dettagli che sono quasi ricami, sembrano fatte di un materiale quasi impalpabile. La Iglesia è stata costruita tra il XVI e il XVII secolo e segue lo stile barocco, mescolandosi con elementi decorativi locali. Non perderti all’interno del suo complesso gli scenografici chiostri.Un giudizio: (10 soles) carina ma non imperdibile

Yanahuara: Yanahuara è un barrio di Arequipa conosciuto per le sue costruzioni in stile spagnolo, ma soprattutto per la sua vista. La piazzetta principale, Plaza de Yanahuara, è adornata infatti da un magnifico belvedere, da cui lo sguardo spazia sull’intera Arequipa e sui vulcani che la circondano, tra cui il Misti. In più, ogni venerdì nella Plaza de Yanahuara si tiene il mercato: occasione ideale per abbinare panorami e souvenir!

– Mercado de San Camilo: A proposito di mercati, ad Arequipa il mercato principale si chiama Mercado San Camilo, uno dei più conosciuti del Perù.E’ situato in pieno centro storico. Non puoi perderti il San Camilo perché è una meravigliosa girandola di colori e sapori: qui potrai ammirare i variopinti banchetti dei fruttivendoli, assaggiare prodotti locali e anche acquistare tessuti in lana d’alpaca e oggetti tipici.E’ principalmente dedicato al cibo, e qui potrai assaggiare deliziosi frullati e succhi di frutta preparati al momento: non farti scappare l’ottima papaya locale!  I mercati alimentari sono generalmente aperti tutti i giorni dalla mattina fino al tardo pomeriggio, ma la domenica capita che chiudano dopo pranzo.

Torniamo subito indietro a portare il giubbottino. Pensavo facesse fresco, essendo a 2.300 mt di altitudine, ma con il sole si sta bene solo con il golf (a volte anche maniche corte). Andiamo direttamente al Monastero ed entriamo per primi alle 9.00 (Soles 40 – € 10 a testa). Gironzoliamo per conto nostro per un’oretta visitando le celle delle monache e curiosando in ogni angolo. Volendo si poteva prendere una guida ma noi preferiamo fare da soli. Ci sono diversi ragazzi con tavolozza e colori. Molto bello e ben tenuto. I colori dei muri sono rosso mattone e blu. Usciamo davvero soddisfatti. Andiamo poi fino al negozio Mondo Alpaca. Sul retro hanno un micro-museo. Ci sono alcune donne che tessono la lana di alpaca e c’è qualche spiegazione poi ovviamente ci sono una decina di esemplari che si possono accarezzare. Mi piacciono da morire! I lama sono brutti ma gli alpaca sono carinissimi!! Compriamo una sciarpa per Martina e poi proseguiamo il giro. In un negozio prendiamo una sim peruviana (soles 29 € 7,25) per avere un pochino più di internet oltre al contratto che Pier ha sul suo telefono. Abbiamo portato apposta un cellulare in più. Useremo quindi questo come hotspot. Andiamo al punto panoramico nel quartiere Yanahuara, dal quale c’è un bel panorama della città e del vulcano Misti poi torniamo in centro per mangiare due panini in un bar. Andiamo poi al famoso Mercado de San Camilo. Io adoro i mercati e questo mi piace un sacco. Su un lato c’è un susseguirsi di banchetti dove fanno i frullati. Alcuni tipi di frutta non li avevo mai visti. Ne prendiamo uno alla cirimoia … buonissimo. Ci sono poi i banchetti dove vendono verdura e frutta, carne, pesce, formaggi, cereali e chi più ne ha più ne metta e poi si passa sopra, alla parte delle stoffe coloratissime. Alle 3.30 andiamo in hotel. Avendo la cena da Zig Zag alle 18 (unico orario disponibile ma va bene così), facciamo in tempo solo a riposarci un attimo, fare una doccia …. ed è già ora di uscire. Il locale è bello e mangeremo benissimo, una delle cene migliori della vacanza. Prendiamo una ceviche di trota in condivisione, Pier un piatto con tre tipologie di carne servite sulla pietra lavica ed una serie di salsine e verdure, io lo stesso ma con la trota poi un dolce in condivisione e le birre (Soles 265 – € 66). Torniamo poi in hotel stra soddisfatti e alle 20.30 dormiamo …. I tempi saranno sempre questi, sfruttando al massimo le ore di luce, partiremo quasi sempre poco dopo l’alba, che è alle 6.00, per poi andare a dormire presto.

 

Pernottamento: Hotel Viza – B & B – € 64,80 (camera queen)

https://www.vizahotel.com/

 

6) 05 agosto 2022 venerdì: Arequipa / Pinchollo – km.195 (h.4 e 1/2)

Alle 7 siamo i primi ad andare a fare colazione, avremmo preferito partire prima ma abbiamo dovuto adeguarci agli orari. In mezz’ora siamo in macchina. Oggi testeremo per la prima volta come regge il nostro corpo all’altitudine. Arriveremo a 4.910 mt. Nel dubbio, nel thermos (che riempio ogni mattina con il the) questa volta metto il Mate de Coca (le bustine le troveremo in tutti gli hotel da qui a Cusco).

Percorreremo la 34A fino a Patahuasi e poi la 34E e la S1 fino a Chivay. Da qui per raggiungere Pinchollo, dove dormiremo, seguiremo il Canyon del fiume Colca.

Impieghiamo 1 ora per arrivare a Yura, il primo paese fuori dalla città, senza andare a vedere le Canteras de Sillar. Sono le cave della pietra Sillar con la quale è stata costruita Arequipa. Dal colore di questa pietra, la città è chiamata la Ciudad Blanca. Si può vedere come viene lavorata. Le tralasciamo perché abbiamo tante cose da fare e abbiamo paura di essere tirati con i tempi. Facciamo solo una sosta all’autolavaggio perché, l’altro ieri sulla Panamericana, abbiamo sporcato tantissimo la macchina. La strada comincia a salire e ….. file di camion!!! Questo proprio non lo immaginavo. Ci troviamo incolonnati a viaggiare ai 20 km/h. Dalla presenza dei tir ne consegue l’immondizia lungo le strade. Entriamo nella Reserva Nacional Salinas y Aguda Blanca.

Informazioni sulla Reserva Nacional Salinas y Aguda Blanca (mt. 4.300):

 

La Riserva (3000 kmq) protegge la vigogna e il guanaco, due delle 4 specie di camelidi (lama e alpaca, abbondantemente addomesticati, sono gli altri due componenti della quaterna). Le vigogne sono decisamente più avvistabili dei guanachi. Le vigogne vivono in Perù vivono solo qui.

La Riserva di Aguada Blanca ySalinas è una vasta area che racchiude paludi, zone di acqua salmastra, grandi vallate sull’ltopiano, montagne innevate e vulcani come il Misti, il Pichu Pichu e il Chachani, e diverse lagune di rara bellezza. La riserva ospita anche i resti di foreste e praterie andine abitat di specie vegetali tipiche come la Yareta (Azorella sp .) il Queñual (Polylepis sp .) il kcapo (Parastrephia lepidophylla) utilizzato dalla popolazione locale come legna da ardere e per alimentare animali erbivori

La creazione della riserva:

Il territorio della Riserva di Aguada Blanca y Salinas è stato creato e dichiarato protetto dal Decreto Supremo 070-79 del 9 agosto 1979. In seguito il 28 ottobre 2003 i “Bofedales”, la “Laguna de Salinas” e la “Laguna indiana” sono stati designate zone umide di importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar .

Gli obbiettivi della Riserva: Gli obiettivi della riserva consistono nel conservare la flora e la fauna e la bellezza paesaggistica e delle tante formazioni geologiche della zona, promuovendo la salvaguardia e quindi l’uso razionale delle alte specie andine.In particolar modo la riserva si propone di proteggere gli habitat che offrono le condizioni ottimali per lo sviluppo delle popolazioni di vigogna (Vicugna vicugna ) taruca (Hippocamelus antisensis) fenicotteri rosa ( Phoenicopterus ruber chilensis) .

La Riserva è ampiamente popolata e la maggior parte del suo territorio appartiene a tredici comunità rurali, che su di essa posseggono e più di un centinaio di immobili privati

– Laguna de Salinas: E’ una lago di acqua salata alimentato dall’acqua piovana. E’ possibile ammirare le tre specie di fenicotteri (andino, cileno e di James) e altre specie di uccelli da gennaio a maggio, quando la laguna abbonda solitamente di acqua. Da giugno a dicembre si trasforma in una distesa di sale. Ci sono escurioni che portano a visitarla partendo da Arquipa. Non è sulla strada che porta a Puno.

  

Questa zona tra il vulcano Misti e il Canyon del Colca è la Pampa de Toccra (pampas = pianure d’alta quota). Quando raggiungiamo i 3.200 troviamo i cactus, l’unico tipo di vegetazione presente. I paesaggi sono belli ed iniziamo a vedere le prime vigogne. La cima delle montagne è innevata. Arriviamo sull’altopiano dove c’è la Laguna de Pampa Blanca (mt.4.080 e ci sono 11°). Immaginavo temperature più basse, visto che qui è inverno e siamo a 4.000 mt. ed invece si sta bene. Dove è presente l’acqua e vediamo molte vigogne che bevono. Sullo sfondo c’è il Vulcano Misti. Scendiamo dalla macchina a guardare uno spettacolo della natura, con animali selvatici da salvaguardare, con alle spalle i tir che sfrecciano uno dietro l’altro a velocità sostenuta (essendo in piano) e plastica ovunque (esce dai sacchetti dell’immondizia e il vento la sposta). Fortuna che siamo in una riserva! Farò delle belle foto ma faccio fatica a calarmi nel contesto naturale. I tir non si possono evitare, l’immondizia si. Ci spostiamo di pochi km a Patahuasi dove si paga il pedaggio (Soles 3,90 – € 1). Abbiamo impiegato 3 ore ad arrivare qui, dal nostro hotel in centro ad Arequipa. Questo è l’unico paesino che si incontra. C’è qualche ristorantino dove poter mangiare un boccone. Dopo lo svincolo, a destra si va a Puno (noi domani dovremo tornare fino a qui per poi proseguire verso il lago Titicaca) mentre a sinistra si va verso il Chivay ed il Canyon del Colca, la nostra destinazione di oggi. Ci fermiamo, poco dopo, dove ci sono dei ristoranti. Sulla destra si vede il Bosque de Piedras Los Castillos de Patahuasi (pietre erose dal vento a forma di funghi sul lato della montagna). Sul retro delle costruzioni ci sono alpaca e pecore che pascolano, io vado a fotografarli mentre Pier, per provarlo, va a prendere un bicchierone di Mate de Coca (Soles 5 – € 1,25). Oltre all’infuso ci sono anche le foglie. Non patiamo al momento il mal di altitudine ma l’abbiamo preso perché è una cosa tipica del posto. Devo dire non così terribile come pensavo.

Per fortuna da qui in poi non troveremo più camion e possiamo goderci la bellezza del paesaggio, facendo soste tranquille, in posti in cui non c’è nessuno. Ci sono rigagnoli d’acqua ovunque, in alcuni punti ghiacciati, e tantissime vigogne. Non c’è vegetazione. Vedremo molti alpaca e lama con i pastori. Le loro abitazioni hanno delle recinzioni con muretti in pietra dove ritirano gli animali di notte. Ci fermiamo a fare due foto ad una famiglia, mamma, papà e due bambine, che stanno facendo il bucato in un ruscello. Bell’immagine e loro fanno dei grandi sorrisi. Si inizia poi a salire per coprire i 600 mt di dislivello che ci separano dal bel Paso de Patopamba dove c’è il Mirador de los Volcanes. Da Patahuasi abbiamo impiegato 1 ora e mezza.

Informazioni sul Paso de Patopamba (mt.4.910):

E’ una tappa obbligata nel tragitto da Arequipa al Canyon del Colca. Si possono ammirare ben 8 vulcani sopra i 5000 metri. Oltre all’immancabile Misti metri 5822, che domina il paesaggio anche di Arequipa, ci sono: Chucura (5360 m),  Mismi (5593 m) Ubinas (5672 ma sulla pietra al mirador ch’è scritto 4270 m), Sabancaya (5980 m), Hualca Hualca (6025 m),Chachani, (6057 m), Ampato (6200 m). Il Sabancaya fuma ancora dopo la scorsa eruzione.

Parcheggiamo (ci sono 6°) ma ci fermiamo poco perché è tutto nuvolo quindi i vulcani non si vedono. Siamo ad un’altitudine mai provata in vita nostra. Manca un po’ il fiato ma non ci da fastidio. Pier si prova la saturazione con l’orologio … segna 85 …… Iniziamo la discesa verso Chivay. La strada ha parecchi tornanti e ci sono tanti alpaca e lama anche qui. Copriamo il dislivello di quasi 1.300 mt. in mezz’ora.

Informazioni su Chivay (mt.3.635):

Chivay è il principale centro turistico della valle. E’ una cittadina, circondata da colline terrazzate (alcuni terrazzamenti sono vecchi più di 1400 anni, che hanno consentito all’uomo di coltivare la montagna) e da picchi nevosi. Il piccolo paese vive attorno alla Piazza principale e al vicino mercato. Siediti in un posto strategico per ammirare il flusso di persone,  le donne vestite tradizionalmente e gli incredibili ape car, che ogni proprietario personalizza a piacimento. 

Da non perdere le vicine terme La Calera, a circa 3 km di distanza. Un altro posto da visitare è l’Osservatorio Astronomico (chiuso da gennaio a marzo), che sfrutta la limpidezza del cielo sopra il canyon per farti scoprire la via Lattea e tanto altro…Per gli appassionati, Chivay è un ottimo punto di partenza per i numerosi itinerari escursionistici che si possono fare nella zona.

Chivay è l’unico punto bancomat del canyon.

 

Qui si acquista il Boleto Turistico per il Canyon del Colca  in una struttura sulla sinistra, appena prima di entrare a Chivay. Costa Soles 70 (€ 17,50) a testa (pagamento in contanti e in Soles)

Entro a pagare il Boleto e poi andiamo in città. Parcheggiamo nella piazza principale circondata da ristorantini. Ne scegliamo uno a caso e pranziamo sul balcone al primo piano. Ci sono 13° ma si sta bene. Prendiamo due zuppe di quinoa buonissime e un piatto di cassava fritto (Soles 73 – €18). I nostri vicini prendono la cavia (cuy). Fa proprio impressione perché la servono intera e con le zampe larghe. Facciamo un giro al mercato, piccolo ma grazioso. La maggior parte delle donne indossa i tipici abiti. Alcune signore, questo in tutto il Perù, hanno al seguito un piccolo di alpaca ed un agnellino. Facendosi fotografare racimolano qualche soldo. Andiamo a prelevare, facciamo benzina, facciamo la gincana tra un gruppo di pecore che attraversa la strada e poi alle 15.30 partiamo direzione Pinchollo, dove dormiremo. Abbiamo scelto il pernottamento lassù per evitare di fare la strada due volte domani mattina, dovendo poi andare a Puno, risparmiamo del tempo. E poi è molto più scenografico dormire sul canyon che non in città.

Informazioni sul Canyon del Colca:

Il Canyon del Colca, con i suoi 3.270 metri, è considerato il secondo Canyon più profondo al mondo, dopo il vicino Cotahuasi, ed è grande due volte il  più noto Gran Canyon americano. E’ lungo  100 km. Da punto di vista geologico è considerato “giovane”, in quanto si è formato “solo” 100 milioni di anni fa!

E’ una delle zone più maestose e interessanti da visitare dell’intera catena andina del Perù,  è una zona dalle antichissime tradizioni ed è uno dei pochi posti del Pianeta dove è molto facile vedere i condor! E’ un posto ricco di storia (è stato abitato già in epoca-pre-incaica), di cultura (da scoprire diversi paesini) e, ovviamente di natura.

 

– Antichi abitanti: La valle è abitata da più di 2000 anni dai Collaguas, discendenti degli Aymara, che arrivarono qui provenienti dalla regione del lago Titicaca e che si mantennero relativamente indipendenti sotto il dominio Inca, conservando le proprie tradizioni.

 

– I Colcas: Per sopravvivere, i Collaguas si inventarono un modo per immagazzinare grandi quantità di grano da conservare per i periodi meno propizi. Nacquero così i magazzini, noti come “colcas“, che diedero il nome alla valle. Nelle grotte di Pumunuta, è possibile vedere colche circolari fatte di fango e paglia, con un diametro di un metro.

 

– Terrazze: La valle ospita circa 8000 ettari di terrazze di origine preincaniche, utilizzate per coltivare patate, quinoa, mais.

 

– Miniere: La valle ha miniere di argento e rame, scoperti nel 1600. Proprio la presenza di queste miniere fu il motivo della costruzione, nel 1940, della prima strada che attraversava la valle.

 

– Architettura: La valle è anche molto interessante dal punto di vista architettonico. I paesi di Lari, Yanque, Cabanaconde e Sibayo ospitano chiese di epoca coloniale, mentre molte case possiedono i tetti in ichu, un tipo di paglia che cresce in alta quota. E’facile poi imbattersi negli abitanti vestiti in modo tradizionale, in particolare le donne che indossano gonne lunghe e cappelli adornati di nastri.

 

– Condor: L’animale al centro della attenzione nel canyon è senza dubbio il condor andino, l’uccello che ti stupirà per la sua apertura alare, la più grande al mondo (circa 3 metri di lunghezza) e che può vivere sino a 70 anni. Nel canyon, affermano le guide, vivono circa 45 esemplari che, al mattino, sfruttano le correnti termiche ascensionali per alzarsi in volo e andare a cacciare. E’ stato creato un punto di osservazione particolare, la Cruz del Condor, proprio per osservare questi animali. Le ore migliori per osservarli sono al mattino o nel tardo pomeriggio.

 

– ll fiume Colca: Il fiume Colca, conosciuto anche come fiume Majes, che percorre il canyon, nasce a sud est del villaggio Janq’u Lakaya. I Maya ritenevano che scorresse direttamente nella Via Lattea e per questo motivo facevano sacrifici o ponevano doni direttamente nel fiume, perché li  portasse con sé.

  

Punti d’interesse e paesini:

 

– Yanque: E’ il primo villaggio che troverai partendo da Chivay,  andando verso la Cruz del Condor. La principale attrazione è, probabilmente, il gruppo di danzatrici in vestiti tradizionali che, ogni mattina dalle 7 in poi, intrattiene i turisti che transitano per il paese con la Wititi, la danza tipica del posto. Da non perdere la bianca e barocca  Iglesia de la Inmaculada Concepción. Yanque offre anche un piccolo museo archeologico, dei bagni termali (niente a che vedere con quelli di Chivay) e delle rovine pre-incaiche. E’ possibile noleggiare mountain bike e fare escursioni a cavallo.

– Maca: A mio parere ospita la più bella chiesetta del canyon, quella di Santa Ana, in stile barocco e ricostruita nel 1759 dopo che un incendio bruciò la precedente. La chiesa è stata ristrutturata. Nelle immediate vicinanze un immancabile mercatino di souvenir, con la possibilità di farsi immortalare, fotograficamente parlando, con un rapace o un baby alpaca. Nei pressi di Maca potrai vedere las chullpas colgantes, delle tombe pre-incaiche e alcuni splendidi esempi di terrazzamenti, una dimostrazione di come è possibile fare agricoltura anche dove il pendio è scosceso.

– Mirador de Antawilqui 

– Mirador Antahuilque

– Pinchollo (mt.3.580) : E’ l’ultimo paesino prima di arrivare alla Cruz del Condor ed è considerato uno tra i più poveri della vallata. Vale la sosta per consumare qualcosa, per visitare il piccolo museo e l’ufficio turistico con il suo plastico del canyon e una esposizione fotografica. C’è un trekking che dura 4 ore che porta ad un geyser attivo che, prima di un recente terremoto, eruttava in maniera spettacolare.

– trekking per andare a vedere un geyser 

– Cruz del Condor (mt.3.800): punto di osservazione dei condor soprattutto dalle 8 alle 10 del mattino per le correnti ascensionali. Non pensare di essere uno dei pochi fortunati ad ammirare le evoluzione dei condor. Ti troverai assieme a decine di persone desiderose di avvistare i rapaci. Il posto è comunque splendido:  più di 1000 metri sotto di te il Rio Colcano, sopra di te il Nevado Mismi. E’ praticamente inutile andare a gennaio/febbraio in quanto  è improbabile vedere di  condor.

Il momento migliore per vedere i condor è al mattino presto quando iniziano a svilupparsi le correnti ascensionali che consentono loro di mantenere il volo, dalle 8 alle 10.

Visitare il piccolo museo e l’ufficio turistico con il suo plastico del canyon e una esposizione fotografica.

– Cabanaconde: Viene considerato il paese più autentico del canyon del Colca, anche perché è quello meno visitato. Si trova a 15 minuti dopo la Cruz del. E’ il centro del trekking del canyon del Colca. Da qui partono diversi itinerari da 1 a più giorni.

Belli i punti panoramici Achachiwa,  Mirador De Cejana e Mirador de San Miguel

– La discesa nel Canyon da Cabanacode: ha un dislivello di 1.200 metri. Il trekking dura dalle 2 alle 3 ore e arriva a Sangalle, un’oasi dove è possibile pernottare, per poi risalire il giorno dopo. Si possono noleggiare dei cavalli se non si vuole camminare!

Ci fermiamo in tutti i punti panoramici. Il sole va e viene creando dei bellissimi controluce di raggi che illuminano il canyon. I pendii che scendono al fiume sono tutti terrazzati per consentire le coltivazioni. Davvero bello. Tutti i paesini che incontriamo sono deserti perché i turisti percorrono questo tratto di strada al mattino per andare a vedere i condor. Domani mattina, quando torneremo a Chivay, vedremo in ogni punto panoramico le venditrici con i classici capi colorati in lana di alpaca. Noi ora ci siamo potuti godere il panorama in completa solitudine. Questa è una delle cose positive del viaggiare in autonomia. Si possono scegliere gli spostamenti e decidere di fare le visite in qualsiasi momento (vedi ad esempio Palcoyo dove andremo tra 4 giorni).

Arriviamo al nostro lodge alle 16.30. La struttura è bella ed è vicino al canyon. La nostra camera, la 112, come quella sopra, credo la 212, sono le più belle perché hanno due lati con i finestroni (uno verso il canyon). In camera non c’è il riscaldamento ma il letto ha 30 cm. di coperte pesanti. La doccia è calda. Non essendoci ristoranti in zona, l’hotel organizza la cena. Saremo solo noi due più un gruppo di 6 turisti. Nel centro del locale accendono il camino. Non fa caldissimo ma si sta bene senza giubbotto. Il problema di tanti posti in Perù è proprio l’assenza del riscaldamento. Bisogna vestirsi a strati. Io sto bene con i calzettoni da montagna, i leggins (sotto i pantaloni da trekking pesanti) e la maglia termica (sotto il pile), praticamente uno spettacolo di sexosità, ma da questa sera, fino a Cusco, bardandomi così, starò benissimo. Pier mi dice che sono esagerata, lui tutto questo freddo non l’ha sentito ma io patisco quindi preferisco vestirmi. Prendiamo due zuppe ed un piatto di pollo con verdure (Soles 94 – € 23,50). Rimaniamo un pochino vicino al camino e poi andiamo a dormire. Sotto le coperte fa fin troppo caldo. In compenso avremo il naso e le orecchie gelati. 

Pernottamento: Colca Trek Lodge – Pinchollo – B & B – € 46

7) 06 agosto 2022 sabato: Pinchollo / Llachon – km.395 (h.4 e 1/2)

Dopo una notte di silenzio completo, alle 6 siamo svegli. Albeggia e la nebbiolina si alza dal canyon. Prendiamo coraggio e ci alziamo, vestendoci in 5 secondi. Andiamo a fare colazione e alle 7.30 partiamo. Oggi il cielo è completamente sereno e ci sono 2°. Lungo la strada vediamo diversi cavalli liberi. In alcuni punti ci sono molti cactus. C’è un posto di blocco dove controllano il boleto turistico. In 20 minuti siamo alla Cruz del Condor, a 3.800 mt. Il parcheggio è deserto. Ci sono solo 4 persone. Andiamo nel punto panoramico più basso. Non vediamo nessun pennuto che vola poi, di colpo, la corrente ascensionale ne fa salire uno, poi un altro ed un altro ancora. Arriveremo ad averne 12 sopra la testa. Essendoci il sole, ci dobbiamo togliere cuffia, guanti e giubbotto. Nel mentre sono arrivati molti turisti. Eravamo così presi dai condor da non accorgerci della gente che ci ha circondato e della temperatura …. Alcuni volano a meno di 10 metri da noi. Alcuni hanno il collare bianco e sono più scuri, altri sono tutti marroni. Non so se è questa la differenza tra maschio e femmina. Hanno un’apertura alare pazzesca. Andiamo poi al punto panoramico più alto, dove c’è la croce. Siamo molto soddisfatti di quello che abbiamo visto, ci saremmo fermati ancora un attimo ma ora c’è troppa gente quindi alle 9 andiamo via. E poi abbiamo parecchi km da percorrere. Incrociamo tanti pullmini che salgono. Una possibilità per venire fino a qui se non si ha la macchina, è unirsi a dei tour giornalieri che partono e tornano ad Arquipa. Se invece si prendono i bus notturni per arrivare a Chivay, poi ci sono dei bus normali che fanno la spola da Chivay a qui. Ci fermiamo ancora in tutti i punti panoramici dopo esserci svestiti perché ci sono 20° …. Le donne hanno allestito tutti i loro banchetti colorati. In un’ora siamo a Chivay. Non ci fermiamo e saliamo direttamente al Mirador de los Volcanes, che raggiungiamo in mezz’ora. Ritorniamo quindi a 4.910 … questa vacanza è tutto un su e giù tra le varie altitudini. Facendo così però il corpo si acclimata. Essendoci un bellissimo sole (6°) ci godiamo il posto. Ci sono solo una manciata di turisti. Quelli che arrivano con i tour organizzati da Arequipa, ora sono tutti alla Cruz del Condor …. riusciamo sempre ad evitare gli assembramenti di persone. Il paesaggio è davvero bello. Non c’è foschia quindi tutti i vulcani si vedono benissimo, compreso quello che fuma. Oggi vedremo nella condizione migliore tutto questo tratto fino a Patahuasi. Ieri era coperto, quindi non era proprio il massimo. Oggi, con il sole, è tutt’altra storia. Ci fermeremo a fare parecchie foto alle vigogne. Ce ne sono tantissime, insieme ad alpaca e lama. Prima di arrivare al bivio noto un vulcano bellissimo proprio di fronte a noi. C’è il Misti a destra, e questo si trova alla sua sinistra. Ha la sommità bianca mentre le pendici sono rosse. Non conosco il nome. Raggiungiamo Patahuasi in 1 ora dal Mirador de los Volcanes. Dico a Pier che voglio andare ancora alla laguna delle vigogne a fare due foto con il Misti alle spalle ed il cielo sereno. Paghiamo il pedaggio (Soles 3,90 – € 1) e percorriamo quei pochi km. in direzione opposta a quella nella quale dovremmo andare. Ritorniamo poi a Patahuasi e paghiamo nuovamente. Dovesse interessare, poco dopo lo svincolo c’è il Bosque de Piedras de Puruña. Da qui fino al nostro pernottamento sul Lago Titicaca (mt.3.830) , a Llachon, impiegheremo 4 ore effettive di viaggio (km.240). Abbiamo paura di trovare di nuovo file di camion ed invece non ne troviamo nessuno. Forse il sabato non possono viaggiare. Dopo un’oretta ci fermiamo a mangiare due panini al volo, presi in un banchetto vicino ad un benzinaio. Raggiungiamo poi il Mirador dos Flamingos (ce ne sono alcuni in una laguna) e poi la Laguna Lagunillas (molto grande). Siamo sui 4.400 mt. Da qui si inizia a scendere. Avendo alle spalle il sole che si sta abbassando, tutta l’erba gialla sembra oro. Questo è un bel tratto. Ci sono molte case di mattoni fatti impastando terra e paglia, sembrano quelle viste in Uganda. Passiamo Juliaca (bruttissima) e raggiungiamo la penisola dove si trova Llachon.

Informazioni sul lago Titicaca (mt.3.830):

E’ il lago navigabile più alto del mondo, il 12° più grande del Pianeta. Segna il confine tra Perù e Bolivia; per il 60% circa appartiene al Perù, per il restante alla Bolivia.  E’ lungo 204 chilometri e largo 65 chilometri con una superficie complessiva di 8373 chilometri quadrati.

Sarà normale, se arrivi direttamente da Lima, che si trova sul livello del mare, avere dei problemi di acclimamento, visto che l’aria è decisamente rarefatta. Tieni poi conto che, se visiterai alcune isole, l’altezza potrà aumentare. Infatti, il punto più alto dell’isola di Taquile è di metri 4050 slm, mentre il punto più alto dell’isola Amantani, (Pachamama) si trova a 4120 metri di quota slm.

– L’isola di Taquile, patrimonio mondiale dell’umanità:

Un’oasi di colore in mezzo al Lago Titicaca: l’Isola di Taquile è così perché i suoi edifici colorati ricordano le atmosfere dei climi caldi, ma anche per l’eccellenza nella lavorazione tessile. A Taquile infatti potrai osservare gli artigiani impegnati nella creazione di stoffe variopinte e acquistare ottimi manufatti come sciarpe, guanti, cappelli, che ti terranno al caldo durante le fredde notti andine e saranno souvenir graditi e autentici.

Abitata da poco più di 2.000 persone, Taquile è una delle isole più belle del Lago Titicaca. Lo scenario è semplicemente mozzafiato. Taquile è famosa non solo per la sua posizione e i suoi panorami, ma anche per le sue incredibili tradizioni, come l’abilità degli uomini a sferruzzare, (sì, sanno lavorare a maglia e proprio bene!) e per la possibilità di essere ospitati dalle famiglie del posto. Un formidabile modo per entrare in contatto con la cultura locale.

L’isola di Taquile non è piatta e la sua altitudine varia notevolmente a seconda della posizione. Il porto si trova a metri 3810 slm. La piazza principale a 3950 metri slm, mentre il punto più alto è a 4050 metri slm (alcune fonti riportano 4150  metri).

L’arrivo a Taquile è piuttosto agevole; il problema è però, una volta approdati, salire i 525 gradini che separano il porto con la piazza principale del paese. Il sentiero sale abbastanza dolcemente, ma è l’altitudine che fa venire il fiatone. Il punto più alto dell’isola è a 4050 metri quindi, a meno di non provenire da Cusco e avere salito sul Vinicunca, il respiro potrebbe mancare.

Non c’è problema: siediti e guardati attorno!  Il paesaggio è veramente incantevole e la vista sia sul lago Titicaca che sulle montagne circostanti è fantastica. In alternativa puoi ammirare i terrazzamenti agricoli si cui sono ricchi i pendii dell’isola.

L’agricoltura è la principale fonte di sostentamento degli abitanti di Taquile. I terrazzamenti hanno consentito di aumentare le superfici coltivabili per produrre patate, mais, fagioli e quinoa. Senza questo accorgimento, gli abitanti sarebbero stati dipendenti come gli Uros dalle risorse esterne.

Voglio sottolineare un aspetto che mi ha incantato da subito in Perù e che ho ritrovato a Taquile. L’organizzazione sociale  si basa sulla ayllu, ossia non c’è la proprietà privata delle terre  ma solo quella collettiva. Gli appezzamenti da coltivare vengono quindi distribuiti senza alcuna distinzione tra le famiglie. Un modo questo per fronteggiare la povertà.

La pesca contribuisce a arricchire di proteine le tavole degli isolani che hanno imparato a fare a meno della energia elettrica. Solo da poco, le case (e non tutte) sono dotate di pannelli fotovoltaici, ma candele e torce sono ancora i

sistemi di illuminazione principale.Da un po’ di tempo la ricchezza locale è aumentata grazie al turismo.

La gente di Taquile è nota per tessere alcuni dei tessuti più belli del Perù, qui creati da uomini e donne. Gli isolani indossano ancora abiti tradizionali. Ogni famiglia possiede almeno quattro diversi tipi di costume: per lavoro, tempo libero, matrimoni e feste.

La lana, sia di lama che di alpaca, utilizzata per gli abiti tradizionali,  è solitamente filata dalle donne, ma a Taquile anche gli uomini filano la lana, oltre a lavorare a maglia i loro tipici cappelli conici (chullos).

Già all’età di 10 anni, un ragazzino è già in grado di lavorare a maglia il suo chullo che, a seconda dello stato nuziale può essere rosso (sposato)  o con degli inserti bianchi (single).

Un’altra caratteristica dell’isola e la possibilità di convivere prima di sposarsi. Un modo per provarsi vicendevolmente tra uomini e donne. Mi è stato raccontato che non è così infrequente che, dopo un periodo di convivenza durante il quale è nato anche un pargolo, la coppia decida di ritornare alle famiglie di origine e di non proseguire con la convivenza.

Nella piazza principale di Taquile  ha sede la cooperativa dove puoi acquistare tutto ciò che viene tessuto sull’isola. Portati denaro da Puno, in quanto non c’è bancomat e non vengono accettate le carte di credito.

L’isola non ha bancomat, per cui ricordati di prelevare soldi a Puno, prima di partire. Anche perché i motivi per acquistare prodotti locali certo non mancano!

Prenditela comoda quando arriverai a Taquile, goditi il sentiero che ti porterà nel paese e ricordati che stai respirando l’aria rarefatta dei 4000 metri!

Se decidi di passare una notte a Taquile, ricordati che le case non hanno riscaldamento e sono molto semplici. Per cui porta con te vestiti pesanti (avrai freddo – eventualmente – solo verso ora di cena, quando il sole calerà). Una volta sotto lo strato di coperte starai benissimo!

 

– Amantani, l’isola dell’ospitalità’:

Amantani è la più grande isola del lago Titicaca ed è la prima ad avere proposto l’ospitalità diffusa, ossia la possibilità di trascorrere una o più notti presso una famiglia del posto e di consumare con lei i pasti.

Scherzi a a parte, come a Taquile, le case non sono riscaldate e il mio consiglio è quello di portarti indumenti caldi, tra cui un piumino leggero, da utilizzare durante il passaggio giorno-notte sino a poco prima di infilarti sotto le coperte. Una volta raggiunto il materasso, ci penserà la spessa coltre di coperte, messa a disposizione dalla famiglia, a farti passare splendidamente la notte. Ricordati che potresti condividere il bagno con altre persone.

Un aspetto particolare è la gestione del turismo. Non tutta la quota versata dal turista per il suo soggiorno rimane alla famiglia abitante. Una parte va a un fondo per lo sviluppo di iniziative comunitarie a Amantani.

Amantani è abitata da circa 4000 persone, quasi il doppio di Taquile, di etnia aymara, che parlano quechua.

Le nuove generazioni parlicchiano l’inglese. Ricordati sempre che italiano e spagnolo sono abbastanza simili, per cui parlando piano e con l’aiuto magari di gesti, dovresti farti comprendere! L’isola è dominata da due piccole alture: uno è il Templo de Pachamama (Madre Terra) e l’altro il Templo de Pachatata (Padre Terra).

Gli isolani sono stati bravissimi a aumentare la superficie coltivabili terrazzando i pendii dell’isola. L’isola produce principalmente mais, patate, fagioli, quinoa che costituiranno la base della tua cena, presentati sotto forma di semplici ma gustose ricette locali.

Ad Amantani è possibile ovviamente acquistare prodotti locali, tra cui quelli tessili. Qui, a differenza di Taquile, gli uomini non lavorano però  la lana all’uncinetto.

Amantani è facilmente raggiungibile da Puno con una delle tante escursioni che partono dalla citta. Puoi prendere anche il classico piccione con due (o tre) fave e quindi prendere parte a un tour che, nello stesso giorno, ti consente di sbarcare sulle isole degli Uros, a Taquile e Amantani.

L’isola non ha bancomat, per cui ricordati di prelevare soldi a Puno, prima di partire.

Ospitalità nelle case: E’ una delle esperienze più belle che si possano fare durante un viaggio in Perù. Essere ospitati da una famiglia locale. Questa stessa esperienza può essere fatta anche ad Amantani e si sta diffondendo in altre isole del Titicaca.

In pratica si passano 24 ore a Taquile (se vuoi anche più), avendo così la possibilità di esplorare in tranquillità l’isola, sia autonomia che guidati da un membro della famiglia e di conoscere da vicino il tessuto sociale dell’isola.

La sistemazione è molto semplice; il bagno potrà essere esterno alla stanza. Cena e colazioni saranno semplici ma abbondanti. Le case di Taquile, così come quelle della maggior parte delle abitazioni in Perù, non hanno riscaldamento, per cui portati vestiti pesanti.

Un piumino di quelli leggeri è perfetto per fronteggiare il freddo che arriverà con il calare del sole. E’ l’unico posto al mondo dove sono passato in pochi minuti da t-shirt, calzoncini e sandali a scarponcini, strati di pile, piumino e cappellino in testa! L’esperienza però merita, te lo assicuro. Oltre al pernottamento, il “pacchetto” prevede il pranzo, la cena e la colazione. Un bel modo per contribuire alla economia locale! 

– le isole galleggianti degli Uros: il popolo locale Uros iniziò a costruire queste isole, composte da canne di totora (tipica pianta locale che è anche commestibile) per allontanarsi dagli invasori Inca e trovare riparo proprio in mezzo al lago. Le isolette, un vero e proprio arcipelago, sono collegate tra loro da passaggi pedonali ed è possibile visitarle, camminarci e imparare dai discendenti degli Uros a fabbricare e rinnovare le piattaforme, ancorate al fondale o semoventi. Quelle degli Uros, realizzate interamente con canna di tortora, sono senza dubbio le isole più visitate del Lago Titicaca. Si trovano a circa mezz’ora di barca da Puno, sul lato peruviano.  La maggior parte dei tour guidati si limita a visitarne un paio. Nella più grande, Huacavacani, diverse famiglie vivono accanto a una scuola missionaria avventista. 

– la totora: La totora è una canna palustre abbondante nel lago Titicaca. Gli Uros hanno imparato a utilizzarne le radici che, intrecciate tra di loro, formano la base delle isole galleggianti su cui vengono distesi e intrecciati vari strati di totora essicata, che agiscono così da coibentazione. Le isole durano dai dodici ai quindici anni e ci vogliono due mesi di lavoro comunitario per realizzarne una nuova.

Camminare su un’isola  galleggiante è una sensazione molto strana; è come essere su un trampolino inumidito. Durante la stagione delle piogge (dicembre-marzo) non è insolito che alcune isole si muovano sulla superficie del lago. La totora viene utilizzata per costruire le capanne e le balsas, le tipiche imbarcazioni

Visitando le isole, appare quasi immediato il connubio antico/moderno, dove l’antico è rappresentato dall’utilizzo della totora, mentre il moderno è rappresentato dai pannelli solari che hanno portato l’elettricità, seppure limitata alla potenza del pannello, agli Uros.

– il turismo e la cultura Uros:  L’influenza delle culture come quella Aymara, ha causato progressivamente la perdita della cultura degli Uros. La loro lingua madre è praticamente scomparsa.  Gran parte della popolazione ha sangue misto quechua e aymara.

Le cose sono migliorate negli ultimi anni e il turismo rappresenta probabilmente il maggior introito per gli Uros e il principale strumento che consente la sopravvivenza delle popolazione e  delle cultura. Molti Uros  vivono ora  sulla terraferma e raggiungono ogni mattina le loro isole per  raccontare la loro vita (o quella dei loro avi?) e vendere i loro articoli ai turisti.Hanno perso  sicuramente un po’ della loro autenticità ma, a mio parere, sono dei “testimoni storici”. Per questo credo che, malgrado tutto, valga la pena visitare le isole degli Uros anche se, a volte – mi dico –  gli Uros sembrano un po’ la rappresentazione di loro stessi.

Siccome dovremo prendere domani mattina il traghetto per Amantani che parte da Chifron, decidiamo di andare a vedere se il porticciolo è sicuro o meno per lasciare la macchina. In paese c’è la festa, sia oggi che domani quindi ci imbottigliamo in un mix tra persone e macchine. Sarebbe bello fare due passi ma ormai è tardi e non sappiamo dove parcheggiare. Torniamo leggermente indietro ed imbocchiamo una strada sterrata che ci fa evitare il paese. Questa penisola sembra un posto dove il tempo si è fermato. Ci sono pastori che riportano a casa il gregge o le mucche, fuochi accesi nelle case di mattoni di terra, persone che rientrano dai campi con ortaggi vari. Molto bello, poi anche qui il sole è alle spalle … e la luce a fine giornata, rende tutto più bello. Arriviamo al nostro pernottamento appena dopo il tramonto. Abbiamo perso un’ora in paese. Da una parte è andata bene così perché i proprietari della casa sono ad una festa in un altro paese quindi ci dicono che arriveranno a breve, di aprire il cancello a mano per parcheggiare e di andare in camera. Ci sono anche altre due coppie nella nostra situazione e sono abbastanza scocciati. La luce non c’è, la camera è gelata come pure l’acqua della doccia. Benissimo. Il nome della casa su Booking indicava che facevano servizio ristorante, ma non ne siamo sicuri. Fuori non c’è nessun posto dove andare a mangiare quindi ci vediamo a passare la serata al buio, al freddo, senza doccia e senza cena. Dopo 1 ora la famiglia arriva. Per fortuna che, quando ci aveva contattati per sapere l’orario di arrivo, le avevamo detto alle 17. Noi siamo arrivati alle 18 per il traffico in paese e la proprietaria ci bussa alla porta della camera alle 19. E’ tutta bella sorridente, in abito tradizionale da festa, e ci chiede se va tutto bene. Me la sarei mangiata. Ci dice che possono farci cena. Ottimo. Accendono il generatore quindi la luce arriva ma l’acqua calda no, quindi doccia gelata. Ci rivestiamo velocissimamente ed attendiamo cena al caldo sotto le coperte. La cena sarà ottima. Hanno un locale con un grosso tavolo e la cucina a fianco. Non è riscaldato ma c’è tepore grazie al fuoco che usano per cucinare. Apprezziamo tantissimo la zuppa di quinoa e poi ci porta un pesce del lago Titicaca, fritto, con verdure ed il dolce. Questa cena ci costa la cifra “folle” di Soles 32 – € 8  a testa. La signora rimane un po’ a chiacchierare con noi e ci racconta della loro vita in questo posto fuori dal mondo. Fino a pochi anni fa, la penisola non aveva strade quindi l’unica possibilità per raggiungere Puno, nel caso in cui avessero avuto necessità di acquistare qualsiasi cosa, era con la barca. Racconta che quando erano piccoli, impiegavano tantissime ore per raggiungere la città visto che le barche erano a remi. Partivano con scorte di cibo perchè il lago stanca e mette appetito. Non sa perché ma sentivano la costante necessità di mangiare. Poi sono arrivate le barche a motore che hanno abbreviato il viaggio, e poi hanno costruito la strada. Apprezziamo molto queste chiacchiere. D’altronde l’home stay serve proprio per avere contatto stretto con la gente del luogo, cosa che negli alberghi non avviene. E’ una cosa che ci piace. Lei parla spagnolo e noi italiano, ma ci si capisce alla perfezione. Andiamo poi in camera.  La stanchezza, l’ambiente freddo ed il tempore delle coperte conciliano il sonno.

Pernottamento:  Hospedaje y Restaurante Saywa – B & B – € 34

http://www.saywalodge.com/

8) 07 agosto 2022 domenica: Llachon / Amantani – km.0

 

Notte super silenziosa. Il sole sorge il sole appena dopo le 6. Vediamo quindi com’è il posto. Si vede il lago dalla camera (ha due grosse finestre su due lati). Il mobilio è semplice ma è tutto pulito. Usciamo per andare a fare colazione. Ci sono 5°. Vediamo nel prato delle grosse bacinelle con il detersivo per il bucato. Ovviamente qui la lavatrice non c’è. La colazione sarà molto buona con frittata, frutta e dolci. Paghiamo il conto in contanti ed in Soles per il pernottamento, la cena ed il transfer fino al porto (Soles 25 – € 6,25). Ci consiglia di lasciare la macchina qui da lei al sicuro (così possiamo lasciare un borsone per evitare di portarne due ad Amantani) e di farci portare da suo marito fino al porto. In condizioni normali non ci sono problemi a lasciarla là ma, con il fatto che c’è la festa, vengono tante persone da Puno, quindi può capitare il malintenzionato. Le barche fanno servizio da Chifron dalle 6 alle 14. Sono barche private di Amantani e la prima corsa parte da là alle 5 del mattino ed impiega 40 minuti per arrivare. Parte quindi ad ogni ora, circa, aspettano sempre che sia quasi piena. Non ci sono barche al pomeriggio perché si alza il vento quindi il lago diventa molto mosso. Oltre ad essere pericoloso, poi le persone stanno male. Questa tratta da Chifron fino ad Amantani è percorsa dai locali, quindi saremo solo noi stranieri. I turisti vanno a Puno e poi prendono battelli pubblici o privati per arrivare all’isola, se pernottano, altrimenti fanno tour giornalieri organizzati che portano, oltre ad Amantani e Taquile, anche alle isole Uros. Noi ovviamente facciamo le cose diverse da tutti. Quindi prendiamo posto dopo aver pagato Soles 10 – € 2,50 a testa. Nell’attesa di partire osservo le persone che ci sono vicine a noi. Hanno tutti i visi bruciati dal sole, soprattutto gli anziani. C’è una signora, non so darle l’età perché a loro non vengono i capelli bianchi, ma dalle rughe ha sicuramente visto parecchie primavere. Indossa vestiti colorati e di stoffa spessa. Qui le temperature sono simili tutto l’anno. Dal tramonto all’alba fa sempre freddo mentre di giorno, se c’è il sole, fa molto caldo. Se è nuvolo ovviamente le temperature sono basse, non come di notte ma basse. La signora vicino a noi, ha diverse borsette che contengono bacinelle di varie dimensioni. Ci siamo fatti l’idea che ha preso la barca questa mattina presto da Amantani, per andare a fare la spesa, ed ora torna a casa. Salendo è inciampata e ha fatto un volo pazzesco. Stoffa dei vestiti che indossa, bacinelle e scarpe dappertutto! Le prendo al pelo la mano e le evito di cadere malamente picchiando la testa. Mi ringrazia con un tremendo sorriso sdentato e ride come una matta.  Ci sono poi uomini anziani tutti eleganti nella loro semplicità. Anche loro sono andati a fare la spesa quindi hanno diverse borse. Ci sono poi due mamme con due bimbi sulle spalle. Nelle stoffe piegate che portano attaccate alla schiena riescono ad inserire di tutto, anche i loro figli. Una bimba che avrà un paio d’anni, indossa una bella cuffietta rosa fatta a mano, ed è tutta sorrisini. L’altra non avevamo idea che ci fosse perché è neonata ed è completamente nascosta e protetta dalla stoffa. Fa due versi quindi la mamma la prende e l’allatta. Classiche immagini di vita normale peruviana, e noi abbiamo il privilegio di poterle osservare. Partiamo dopo una decina di minuti. Il lago è piatto. Il cielo è per lo più nuvoloso. La barca, anche questa ha visto parecchie primavere, va pianissimo. In meno di 40 minuti arriviamo. Su booking avevamo scritto alla struttura dicendo l’orario di arrivo e se potevano venire a prenderci. Ci hanno risposto ok. Aspettiamo un attimo ma non vediamo nessuno. Chiamiamo al telefono ma non rispondono. Ci sono dei ragazzi con le moto e ci dicono che loro fanno servizio taxi al costo di Soles 15 – € 3,75 a moto. Il borsone riusciamo a legarlo dietro alla mia. In 5 minuti arriviamo al nostro pernottamento.

Pernottamento: Amantani Lodge (famiglia Henry e Mariluz) – B & B – € 45

https://www.booking.com/hotel/pe/amantani-lodge.it.html

Ci sono Mariluz ed Henry che ci attendono all’ingresso, tutti sorridenti. Lui ha l’abito della festa, scarpe tirate a lucido, pantaloni blu eleganti con camicia bianca, giubbottino blu e cappello. Lei indossa gli abiti tipici. Non parlano inglese, ecco perché ha risposto al nostro messaggio su booking solo con ok e non con le info chieste su come arrivare da loro. Ci piacciono subito. Henry va a finire si sistemare la nostra camera (letto a tre piazze con bagno, senza riscaldamento, pulitissimo) mentre noi andiamo sul retro, con vista terrazzamenti che scendono al lago, a chiacchierare con Mariluz. Ci capiamo bene pur parlando ognuno la propria lingua. Organizziamo la giornata. Abbiamo fatto in modo di arrivare presto in modo tale da poter sfruttare bene il tempo sull’isola. Partiamo quindi subito con Henry che ci vuole accompagnare fino al tempio di Pachamama. Lui viene vestito elegante, con le scarpe lucide (dopo due minuti saranno tutte impolverate) con sotto il cuoio. Noi siamo in completa tenuta da trekking, per di più pesante perché è nuvolo e fa freddo. Il dislivello è di circa 300 mt. che copriamo in 1 ora. Noi siamo grandi camminatori … a casa e non a queste altitudini …. qui sfiguriamo di brutto. Ci fermiamo più volte a svestirci perché è uscito il sole quindi fa caldo. Con Henry troviamo questa scusa, in realtà ne approfittiamo per respirare. Lasciamo il sentiero sterrato e troviamo quello bello lastricato che parte dal centro del paese ed arriva sia al tempio di Pachamama che a quello di Pachatata. Arriviamo in vetta (mt.4.109). C’è un bel panorama di tutta l’isola. E’ tutta terrazzata. Chissà come è bello nei mesi in cui ci sono le coltivazioni. Ora c’è solo erba gialla. Il tempio è in pietra a forma circolare (senza tetto) con al centro un punto per fare il fuoco. Henry ci spiega che ci sono 10 comunità che vivono sull’isola. 5 credono in Pachamama e 5 in Pachatata. Il terzo giovedì di gennaio, alle ore 12, c’è la festa. Ciascuna comunità si ritrova nel suo tempio. Indossano tutti abiti tipici e ci sono canti e balli. Ci racconta tante cose della vita sull’isola. Si curano con le erbe presenti in loco seguendo i consigli dello sciamano. In caso di necessità hanno anche un’ostetrica, un dentista, un medico, un’infermiera ed un tecnico. Sono autosufficienti in tutto, il turismo è una cosa in più che aiuta ma non è fondamentale. Durante il periodo del Covid i traghetti non partivano. Sono rimasti isolati per 1 anno e mezzo, fino a novembre dello scorso anno. Hanno fatto tre dosi di vaccino anche perché, senza di quello, non potevano salire sul traghetto. Ci indirizziamo poi verso Pachatata ma, chiacchierando non ci siamo resi conto dell’ora quindi, allo svincolo, scendiamo in paese. Mariluz ci attende all’1 per pranzo. Henry ci mostra delle piante e ci dice per cosa vengono usate. Prende dei rametti di muña per fare la tisana dopo pranzo. Al nostro arrivo Mariluz ci attende tutta sorridente. Il pranzo sarà buonissimo. Iniziamo con una zuppa di quinoa. La ciotola, una volta vuotata, lascia vedere sul fondo un disegno fatto a mano con i nomi di Mariluz ed Henry. Anche le ciotole personalizzate!!! Si vede che sono avanti. Ci porta poi il secondo che è un piatto unico con crocchette di pollo (impanate con la quinoa), tre tipi di patate ed una verdura che ci dice essere “oca”. Non capiamo cosa sia, sembrano i germogli di qualche pianta, comunque molto buona. Questo pranzo ci costa Soles 20 – € 5 a testa. Rimaniamo parecchio a chiacchierare poi andiamo a fare un giro in “centro”. Percorriamo a ritroso la strada fatta in moto questa mattina. Ora è tutto nuvolo quindi fa freddo. Ci sono molte case costruite con i mattoni di terra e paglia. Vediamo un posto dove li preparano. Sentiamo musica in lontananza. Andiamo a curiosare. E’ un matrimonio. Tutti gli invitati ballano in cerchio e bevono litri di birra. Andiamo al porticciolo e poi alla piazza principale. Prendiamo in un bar due birre ed un pacchetto di patatine e ci sediamo sulle panchine di fronte alla chiesetta. Torniamo poi in hotel. Anche stasera doccia gelata. Mariluz ci spiega che hanno la corrente da circa 4 anni, prima avevano solo candele, e da ancor meno hanno i pannelli solari. Se è nuvolo non caricano quindi niente acqua calda. Andiamo poi a cena, almeno in quel locale fa più caldo. Arrivano anche i due figli. Hanno 19 e 21 anni. Ci sediamo a tavola tutti insieme così possiamo chiacchierare mentre ceniamo. I due loro ragazzi partono il lunedì mattina con il primo traghetto delle 5 e vanno a Puno a studiare. Hanno un appartamento in affitto. Tornano sull’isola il venerdì sera. Sono ragazzi molto educati. I soldi che guadagnano con l’ospitalità servono per farli studiare. Avendo la casa grande, qualche anno fa, hanno creato una camera per gli ospiti. Ora ne hanno tre ma è il numero massimo altrimenti non riescono a garantire un bel rapporto con gli ospiti. Sicuramente questo è il loro punto di forza e chi sceglie l’home stay cerca proprio il contatto con i padroni di casa. La cena è stata a base di zuppa di mais poi riso con diverse verdure e per finire mela a fettine con cannella. Immancabile tisana di muña. Anche questa la pagheremo Soles 20 – € 5 a testa. Ci ritiriamo poi in camera. In meno di due minuti ci cambiamo e andiamo al caldo sotto le coperte. Fa un freddo abbastanza impegnativo……

  

9) 08 agosto 2022 lunedì: Amantani / Isola Uros – km.81 (h.4 e 1/2)

 

Anche questa mattina ci alziamo e ci vestiamo alla velocità della luce. La colazione è a base di pancake. Paghiamo il conto ad Henry mentre Mariluz va a prendere dei vestiti tipici (ce li fa indossare per fare una foto tutti insieme) e delle cose fatte da lei all’uncinetto e a maglia. Pier compra una cuffia. Arrivano le due moto a recuperarci. Salutiamo le due persone splendide che ci hanno ospitato. Ci spiace tanto andare via. Questo posto ci rimarrà nel cuore. Paghiamo sempre Soles 15 – € 3,75 a moto. Alle 7.30 andiamo via in modo tale da prendere il ferry delle 8. Anche per questo paghiamo come all’andata, Soles 10 € 2,50 a testa. Oggi c’è vento quindi il lago è mossissimo. Dire che si balla è dir poco. Oltretutto la barca, che è vecchia, cicola ad ogni onda …. Per fortuna arriviamo velocemente sulla terraferma. Troviamo il taxi che ci aspetta per portarci a Llachon, dove abbiamo dormito l’altra sera prima di andare ad Amantani, a recuperare la macchina. Il proprietario non poteva quindi ha fatto venire un suo amico. Paghiamo Soles 25 – € 6,25. Una volta arrivati alla casa, il cancello è chiuso con una catena. Si sono dimenticati di lasciarlo aperto! Pier telefona alla proprietaria che dice che arriva subito. Dopo mezz’ora ancora nulla, ma lei non risponde più alle telefonate. Dopo quasi un’ora arriva un’altra signora di corsa.  Meglio non commentare. Finalmente rientriamo in possesso della nostra macchina. Percorriamo a ritroso la strada fatta due giorni fa. Ci sono molti pastori che portano gli animali ai campi. Raggiungiamo Puno. E’ meno brutta di Juliaca, ma niente di che. Il proprietario dell’hotel sulle isole Uros ci aveva dato le coordinate del porticciolo (Puerto Kalapajra) dove vengono a prenderci e dove possiamo lasciare la macchina in un garage (Soles 10 – € 2,50). Questa è un’ottima cosa. Ci dice che è l’unico ad averne uno quindi altri lodge spesso glielo affittano. Alle 11.30, puntuale, la nostra barca arriva. Il transfer (andata e ritorno) costa Soles 10 € 2,50 a testa. C’è il sole e ci sono 13°. Il signore che ci viene a prendere è il proprietario che gestisce il lodge la con moglie e figlio. Parla solo aymara, quindi fatichiamo a capirci. Alla prima isola paghiamo l’ingresso all’area (Soles 8 – € 2 a testa). C’è un bel sole quindi, quanto le canne di totora che crescono nell’acqua, quanto le capanne costruite sulle isole, sono di un giallo acceso. Raggiungiamo il nostro pernottamento in 20 minuti.

Pernottamento: UROs Arantawi Lodge – B & B – € 49

https://www.booking.com/hotel/pe/uros-aruntawi.it.html

Ci sono solo 4 camere. La nostra rimane sulla destra ed è più grossa delle altre. Tutte hanno un terrazzo esterno con sdraio ed un letto. All’interno la nostra ha un letto matrimoniale enorme ed un letto singolo. C’è un fungo riscaldante. Il bagno è sul retro. Oltre alle 4 camere ci sono la struttura ristorante ed un’altra struttura dove abitano i proprietari. Andiamo a pranzo. Ci preparano zuppa di quinoa poi filetto di trota sempre con quinoa e verdure. Buono. Costa Soles 40 – € 10 a testa. Rimaniamo un po’ sul terrazzo a prendere il sole. Se si alza il vento bisogna coprirsi altrimenti si riesce a stare in maniche corte. Alle 15.30 partiamo per un giro tra le isole con il figlio del proprietario (lui parla benissimo inglese). Ci spiega come vengono costruite e com’è la vita della popolazione Aymara che le abita. Le isole sono 120. Impiegano 2 anni a costruirle e durano 40 anni ma ogni 15 giorni devono fare dei ritocchi aggiungendo altra totora. Un tempo anche le barche erano di totora, ma durando solo 1 anno, sono passati a quelle di plastica. Costeggiamo la parte più esterna dove ci sono gli hotel (qui non vengono i visitatori giornalieri perché le barche, con il moto ondoso, rovinano la totora) e poi ci addentriamo tra le isole turistiche. Alcune sono abitate sempre, altre invece i proprietari vivono sulla terraferma e vengono qui al mattino quando arrivano i turisti. Le visite guidate sono al mattino quindi noi vedremo una realtà diversa, senza una barca, senza nessuna persona, tranne quelle che ci abitano, e con la luce del tramonto. Scendiamo a visitarne una. Le donne stanno pulendo il pesce per preparare la cena. I bambini giocano e gli uomini non si vedono. Compriamo una sciarpa e poi proseguiamo il giro. Andiamo fino alla scuola. Ci sono 3 casette. Dentro sono attrezzate con banchi, lavagne ecc.ecc.  Vediamo il tramonto e poi rientriamo. Tutto si colora di rosso. Bella esperienza soprattutto per il fatto che abbiamo visto com’è realmente la vita di queste persone (delle poche che ancora vivono qui costantemente), senza spettacolini vari per turisti. Meno male che la mia incapacità di star ferma, quando sono in vacanza non voglio tempi morti, mi ha fatto chiedere ai proprietari dell’isola, di fare un giro al tramonto. Le altre due coppie che hanno pernottato con noi, sono rimasti a riposarsi sul terrazzo. Al rientro accendiamo il fungo per riscaldare l’ambiente gelido. Facciamo la doccia (calda) e poi andiamo a cena. Per fortuna che ci sono delle coperte di lana da mettere sulle gambe perché il locale non è riscaldato. La cena non sarà nulla di che. Anche questa la paghiamo 40 Soles 10 – € a testa. Andiamo in camera sotto una spanna di coperte a guardare un film.

10) 09 agosto 2022 martedì: Puno / Combapata – km.339 (h.5)

Anche oggi abbiamo un’infinità di cose da fare quindi chiediamo di fare colazione presto (nulla di che) e poi alle 7.15 partiamo in barca. Ci sono 7°. Bella esperienza, peccato il cibo che poi lo ricorderemo come il peggiore della vacanza. Recuperiamo la macchina, andiamo a prelevare e poi partiamo.

Informazioni su quello che c’è da vedere da Puno a Combapata:

– Pukara una piccola città dove c’è il sito archeologico di Kalassaya

– Raya Pass(mt.4.335): bel panorama – ghiacciai a 6000 m

– Las Colcas de Raqchi: bellissimo sito archeologico. E’ una città Inca completa di mura e suddivisa in zone, delle abitazioni alla zona militare e quella religiosa

Il paesaggio è bello, tutto con erba gialla, case di mattoni costruiti con terra e paglia, ed animali che pascolano. A 30 km. dal passo Raja si incomincia a salire. La neve è poco distante. Sono posti molto belli con un grande pianoro e le montagne alle spalle. Arriviamo al passo dopo 3 ore e mezza di viaggio da Puno. Ci sono 11°. Proseguiamo ed arriviamo a Combapata dopo circa 1 ora. Imbocchiamo la strada sterrata che porta a Palcoyo.

Informazioni su Palcoyo (mt.4.910):

 

Se si ha la propria macchina lo si può fare in autonomia.

 

Partenza trekking: mt. 4.722

Altitudine: mt. 4.910

Dislivello: mt. 188 fino al Bosque de Piedra, il punto più alto. Fino agli altri punti panoramici c’è invece solo un leggera salita.

Km: 2 circa a tratta fino al Bosque de Piedra

Tempi: 45 minuti circa a tratta fino al Bosque de Piedra

Volendo si può fare un anello visitando tutti i punti panoramici

 

Palcoyo è una catena montuosa che sembra un insieme di arcobaleni e per questo motivo si distingue dalla montagna di Vinicunca che invece possiede solo una montagna colorata.

Il sentiero che porta a Palcoyo è meno accidentato e più dolce rispetto a Vinicunca. La prima parte di camminata è molto facile, tutta pianeggiante e porta direttamente a un mirador da dove ammirare, (tempo permettendo) l’Ausangate (6385 metri), chiamata dalle comunità locali “Apu”,  la montagna sacra.

Da questo punto panoramico si prosegue in salita per circa 15 minuti lungo un percorso zigzagante, fino al Bosque de Piedra (4.910 mt.). Se non c’è neve si può fare un anello e scendere da lassù direttamente al parcheggio.  

Strada: da Combapata si percorrono in macchina circa 17 km. (1 h. e 15) fino al parcheggio a 4.722 mt. Poi si prosegue a piedi

Impieghiamo 1 ora e 15 per percorrere 17 km. di sterrato. I paesaggi sono belli, la terra è tutta rossa, ci sono rigagnoli di acqua e tanti alpaca. Al villaggio paghiamo Soles 15 – € 3,75 a testa per l’accesso. Le case sono tutte di mattoni rossi fatti di terra e paglia. Arriviamo al parcheggio a 4.722 mt. ci sono 19°. Siamo solo noi. Anche questa è una cosa ottima del fatto di avere la propria macchina. I tour da Cusco portano i turisti qui al mattino quindi, essendo le 14, sono già tutti quanti tornati verso la città. Ci sono alcuni muratori che stanno costruendo una struttura per turisti con bagni ecc. ecc., altrimenti non ci sarebbe nulla. Faremo il giro in 2 ore percorrendo 4 km. Il fatto di essere da soli è davvero impagabile. Arriviamo all’affaccio sulla valle. Wow. E’ tutto rosso, ci sono tanti alpaca e lama che pascolano. C’è il sole quindi i colori rendono tantissimo. Alla nostra destra c’è la prima delle montagne arcobaleno, in lontananza vediamo quella più famosa ma ovunque ce ne sono di più piccole. Al contrario di Vinicunca dove c’è solo 1 montagna arcobaleno, qui ce ne sono diverse. Imbocchiamo il sentiero lastricato, con una pendenza minima, che ci porta al famoso Palcoyo. L’altitudine si sente ma, non facendo fatica a camminare, ci muoviamo velocemente. Oltre Palcoyo c’è un’altra grossa montagna arcobaleno. Da qui si sale fino al Bosque de Piedra (mt.4.910). Ogni 10 passi ci fermiamo a respirare. Facendo sforzo fisico, l’altitudine si sente. Per fortuna non ci da fastidio, a parte il fiato corto. In vetta ci troviamo in mezzo a delle particolari formazioni rocciose che si stagliano verso il cielo. Dal parcheggio a lassù il dislivello è di 188 metri. Dalla cima si potrebbe scendere dalla parte opposta fino alla macchina, ma c’è la neve quindi non chiudiamo l’anello ma torniamo dalla stessa strada. Nel mentre il cielo si è coperto e la temperatura scende in picchiata a 6° e si alza il vento. Torniamo velocemente alla macchina, dopo aver fatto spostare una trentina di alpaca che non ne volevano sapere di uscire dal sentiero. Questo posto ci è piaciuto un sacco. Percorriamo a ritroso la strada dell’andata. Arriviamo al nostro hotel a Combapata (mt.3.530) alle 17.30.

Pernottamento: Casa Chillitupa – B & B – € 67

https://www.booking.com/hotel/pe/casa-chillitupa-cuzco1234567891011121314.it.html

La proprietaria è stata in Italia tanti anni quindi parla molto bene l’italiano. La struttura è semplice ma carina e pulita. La doccia non sarà molto calda. Non c’è il riscaldamento. Fanno servizio ristorante per cena. Non ci sarebbero altre possibilità nelle vicinanze perché l’hotel si trova ad una decina di km. da Combapata, verso Palcoyo. La cena sarà buona con piatto unico carne, riso e verdure ed il dolce. Spendiamo Soles 29 – € 7,25 a testa. Subito dopo, il letto con le coperte calde chiama.

11) 10 agosto 2022 mercoledì: Combapata / Cusco – km.167 (h.4 e 1/2)

 

Oggi facciamo la partenza intelligente, che poi non si rivelerà tale, ragionando sugli orari di partenza dei tour di gruppo da Cusco. Non potendo visitare Vinicunca nel pomeriggio, quando sarebbe impossibile farlo da soli come Palcoyo ma sicuramente con molta meno gente, decidiamo di partire prestissimo. In realtà quando arriveremo al parcheggio, ci sarà già tanta gente in “processione” e tanti anche già in vetta. Avremmo dovuto partire prima in modo tale da iniziare a camminare all’alba, quindi alle 6.

La proprietaria dell’hotel ci organizza presto la colazione. Ci dice che l’unico accesso aperto ora per la Montagna Arcobaleno è da Cusipata. A marzo ed aprile è stata chiusa completamente per diverbi tra proprietari terrieri su chi dovesse accaparrarsi gli accessi dei turisti). Alle 6.15 partiamo. In 15 minuti siamo sulla strada principale e dopo mezz’ora arriviamo a Cusipata allo svincolo (dovesse interessare c’è un ponte Inca a Checaupe). La strada da qui è sterrata. Percorriamo 25 km in 1 ora e 10. Paghiamo due pedaggi, uno di Soles 10 – € 2,50 a testa ed uno di Soles 40 – € 10 a testa, tutti in contanti. Ci sono già tanti pullmini davanti a noi. Ci rendiamo subito conto che dovevamo partire prima.

Informazioni su Vinicunca (mt.5.036):

Se si ha la propria macchina lo si può fare in autonomia.

Partenza trekking: mt.4.604

Altitudine Vinicunca: mt. 5.036 – dislivello 432

Altitudine punto panoramico Valle Rojo: mt. 5.069 – dislivello mt. 465

Km: 9 circa anello Vinicunca – Valle Rojo (se si va e si torna da Vinicunca sono meno di 4 km. a tratta)

Tempi nostri con soste fotografiche: 4 ore circa  anello Vinicunca e Valle Rojo (se si va e si torna da Vincincuca sono meno di 3 ore)

E’ incredibile come, con il semplice passa parola e grazie ai social network, una località rimasta per centinaia di anni sconosciuta e spopolata, si sia riempita improvvisamente di migliaia di persone, che la considerano oramai  una meta imprescindibile in un viaggio in Perù.

E’ il caso del oramai popolarissimo Vinicunca che, dal 2015 è diventata, complici anche ai cambiamenti climatici, una delle mete più agognate e richieste, una volta arrivati a Cusco.  Fino a prima di quella data erano inaccessibili in quanto considerate come montagne sacre e quindi da proteggere.

Gli straordinari colori delle montagne sono dovuti a due principali fattori. La presenza di minerali nel terreno: (giallo= zolfo, rosa= manganese, rosso= ossido di ferro, bianco= carbonato di calcio, blue/verde= ossidazione del rame, nero= granito, marrone= conglomerato formato da detriti della falda e magnesio, nero= presenza di granito), che nel corso di milioni di anni si sono depositati e sovrapposti grazie anche allo scontro delle placche che formano la crosta terrestre e che hanno creato la catena andina.

La bellezza naturale della varietà dei colori è impeccabile e per questo molte persone la chiamano la Montagna dei Sette Colori, montagna arcobaleno, rainbow mountain o cerro colorado, visto che questa tonalità si deve ad una complessa storia geologica di sedimenti marini, lacustri e fluviali che si sono accumulati in milioni di anni.

Le temperature possono variare dai 5 ai 35 °C

Questo nome deriva da due parole quechua. ‘Wini’ significa pietre nere (abbondanti nel luogo). “Kunka” significa collo passante o a forma di bottiglia. Ciò a causa della forma della montagna.

Dal punto in cui si lascia l’autoveicolo alla cima della montagna, è un susseguirsi di parti ripide e più dolci; in particolare l’ultimo tratto è il più arduo sia per la lunghezza del pendio che  per la quota in cui ci si trova. In caso di pioggia il sentiero per il Vinicunca si può trasformare in una sorta di torrentello, rendendo la zona fangosa e scivolosa. Presta veramente molta attenzione!

In molti ignorano la presenza dell’imponente montagna ApuAusangate alle loro spalle e men che meno vengono a conoscenza di una delle vallate più belle che la Cordigliera Vilcanota nasconda: la Valle Rojo. La si raggiunge scendendo leggermente a destra di Vinicunca e percorrendo un traverso fino al punto panoramico Mirador Hatun Rit’ Iyoq: mt. 5.069.

Strade:

Ci sono due possibilità per raggiungere Vinicunca. Spesso le comunità locali litigano per chi deve gestire gli accessi. A volte capita anche che venga chiuso.

– da Cusipata sono 25 km. in macchina (1 h e 10) per raggiungere il parcheggio di Llacton (Phutawasipata) a mt.4.604. – dislivello a piedi 432 mt. – Poi si prosegue a piedi per 4 km. a tratta (circa 1 h. e 30).. Se si va anche al punto panoramico sulla Valle Rojo aggiungere 1 km.. Da qui si può scendere senza tornare verso Vinicunca, collegandosi alla strada più a valle.

– da Checacupe sono 42 km. in macchina (1 h e 10) per raggiungere il parcheggio di Quesiuno a mt.4.376. Dislivello a piedi 693 mt. Poi si prosegue a piedi per 5 km. a tratta (le tempistiche non le so). Se si vuole andare anche al punto panoramico sulla Valle Rojo bisogna proseguire in senso opposto alla strada di arrivo. Scendere un tratto poi imboccare un sentiero che va a sinistra che taglia la montagna di traverso. Poi bisogna ritornare indietro dalla stessa strada. La si allunga in tutto di circa 1 km. e mezzo.

– I Tour da Cusco partono alle 4/5 del mattino.

https://www.exploorperu.com/tours/rainbow-mountain-trekking-tour-cusco-peru/

ritrovo 6.40 a Cusco con pranzo. Chiedere no transfer, arriviamo in macchina  ($ 88 = € 77 x 2 = € 154)

Arriviamo al parcheggio alle 8.10, a mt.4.604, dove ci sono tanti negozietti che vengono i classici tessuti, bibite e foglie di coca per l’altitudine. Ci sono 7° e c’è un bellissimo cielo tutto sereno. Qui inizia la processione di persone su un sentiero sterrato ma perfettamente tenuto, e di cavalli che portano i turisti che non se la sentono di camminare, su un sentiero di fianco. Quelle povere anime mi fanno una pena infinita. Vengono letteralmente trainati dai proprietari. In salita camminano spediti, quando scendono lo fanno di corsa, per ottimizzare i tempi e portare su altre persone. Se si fa questa scelta bisogna considerare che non si arriva fino a Vinicunca. Si viene lasciati prima dell’ultimo tratto di salita, il più difficile, poi bisogna proseguire a piedi. Il paesaggio è bello, ci sono le montagne innevate che fanno da cornice. Deve aver nevicato i giorni scorsi perché, dove non picchia il sole, o picchia poco, c’è ancora parecchia neve. Camminiamo lentamente non per fatica perché il sentiero sale poco, ma per la mancanza di ossigeno. Ogni tanto ci fermiamo a respirare ma procediamo bene. Tanta gente si ferma e torna indietro. Ci estraniamo dalle persone che ci sono intorno. Sapevamo che sarebbe stato così quindi cerchiamo di concentrarci sul paesaggio e sulla respirazione. Camminando ci mettiamo in maniche corte. Impieghiamo circa 1 ora e mezza per arrivare in vetta. Non ci fermiamo dove si ferma la maggior parte della gente, nella parte bassa, ma arriviamo sulla collinetta di fronte alla montagna colorata, dove c’è il cartello con l’altitudine. Da lassù la vista è magnifica. La collinetta è tutta coperta di neve fresca. Lassù c’è vento quindi dobbiamo coprirci. Sulla destra di Vinicunca vediamo il sentiero traverso che porta al punto panoramico sulla Valle Rojo. Focalizziamo da dove parte (si trova vicino a dove arrivano i cavalli) quindi scendiamo velocemente e lo imbocchiamo. Appena dopo paghiamo l’ingresso a due signori (Soles 10 – € 2,50 a testa) (questo tratto di montagna appartiene alla loro comunità quindi non c’entra con il biglietto pagato lungo la strada). Anche questo sentiero è ben tenuto ma è stretto, essendo sul fianco della montagna. Le rocce sono di un colore pazzesco. Camminiamo in leggera salita per mezz’ora ed arriviamo fino all’affaccio sulla valle Rojo. Anche qui bisogna pagare ai proprietari terrieri Soles 10 – € 2,50 a testa. Da qui si può salire a due punti panoramici, pochi metri più in alto, uno sulla destra ed uno sulla sinistra. Noi andiamo a sinistra, al Mirador Hatun Rit’ Iyoq, ed arriviamo al punto più alto mai toccato in vita nostra, mt.5.069. Lassù saremo solo noi. A fare questa deviazione in tutto vedremo 20 persone, un vero peccato che molti non sappiano che esiste questo punto panoramico, perché è magnifico. Sotto di noi abbiamo una conca completamente rossa. Nei punti più alti c’è il grande contrasto con la neve bianca mentre nella parte più bassa c’è un po’ di erba verde/gialla. Sicuramente il sole rende tutto ancor più bello. Dobbiamo metterci cuffia e guanti perché il vento porta aria gelida. Per scendere non torniamo al punto dove abbiamo preso la deviazione dal sentiero principale che porta a Vinicunca, ma scendiamo direttamente da qui e ci lo ritroveremo più sotto, quasi al parcheggio. Ci sono ancora tante persone che si apprestano ad iniziare la camminata. Qui credo che non ci sia la possibilità di non trovare nessuno, andando il pomeriggio, come Palcoyo ieri, ma sicuramente c’è molta gente. Se lo si fa in autonomia consiglio di provare a venire dopo pranzo e poi mettere il pernottamento sulla strada principale, ad esempio a Cusipata, anziché arrivare a Cusco. Arriviamo al parcheggio alle 12.20 super soddisfatti, ci sono 15°. Per tornare alla strada principale impieghiamo più tempo della salita perché ci fermiamo a fare foto. Non lo abbiamo fatto all’andata per non perdere tempo. Fotografo delle signore anziane che portano la legna sulle spalle, dei bimbi, delle case in mattoni di terra rossa con i cavalli che pascolano fuori (sono quelli che portano le persone a Vincunca), una signora che fa il bucato nel fiume e che stende i panni sui sassi ad asciugare, tante fattorie con i recinti in pietra dove pascolano gli alpaca, ecc.ecc. Molto bello vedere come vivono le persone del posto. Mi affascinano molto i vestiti che indossano. Ogni posto ha la sua tipologia di abito e di cappello. In un’ora e mezza siamo quasi alla strada principale. Poco prima vediamo dei ristoranti quindi decidiamo di fermarci a pranzo. Qui portano i clienti i tour operator dopo il trekking, prima di tornare a Cusco. Curiosiamo in un paio e vediamo grandi tavolate e self-service. Ne scegliamo uno ancora deserto e più piccolo, il Vinicunca Restaurant. Cibo buono e spendiamo Soles 80 – € 20 in due. Ripartiamo alle 14.30.

Informazioni su quello che c’è da vedere da Cusipata a Cusco:

Andahuaylillas (a 45 km da Cuzco): sorge una bellissima chiesa, Iglesia de San Pedro, chiamata la Cappella Sistina del sud America, costruita dagli spagnoli sulle macerie di un tempio Inca

– Tipon (a 30 km da Cusco): sito Inca con 12 splendidi terrazzamenti ed un ingegnoso sistema di irrigazione. Uno dei siti più belli di Cusco.

Facciamo solo una sosta veloce a lavare di nuovo la macchina. In due ore siamo a Cusco. Ci sono 20° ed il cielo è tutto sereno.

Informazioni su Cusco, sulla Valle Sacra e sul Boleto Turistico

1) Informazioni su Cusco (mt.3.400):

 

Cuzco , come la chiamiamo noi occidentali, oppure Cusco, come è comunemente chiamata dai Peruviani, o meglio ancora  Qosq,o, come si dovrebbe dire nella lingua Quechua, del popolo Andino Peruviano, è l’antica capitale dell’Impero Inca.

Qosq,o in lingua Quechua vuol dire ” Ombelico”…questo nome le venne dato per 2 motivi, il primo, perché si trova in una conca tra le montagne, a 3326 metri di altitudine, e vista dall’alto ha davvero la forma di un ombelico.

Il secondo motivo e perché essendo la Capitale dello sterminato Impero Inca, era considerata  “l’ombelico del mondo”.

Il centro del potere da cui si irradiava la forza, la giustizia, e la ricchezza della classe dominante, appunto il popolo Inca che dominava su tutti gli altri popoli degli altopiani Andini.

Gli Inca, in poco più di 200 anni, a partire dal XIII secolo erano riusciti a dominare su tutti i popoli che vivevano dalle  Ande della Colombia, agli altopiani del Cile centrale, oltre 4000 km di lunghezza di territori, unificando sotto il suo dominio una massa incredibile di reami, potentati, e  citta stato che fino ad allora avevano continuamente guerreggiato tra loro…

Cuzco è una splendida città, il centro Archeologico e Storico più Importante di tutte le 3 Americhe…per visitare la città, compresi almeno un paio di importantissimi musei necessita di non meno di 3 giorni.

 

Da vedere a Cusco:

– Plazas de Armas: Siamo in una città sudamericana, è naturale: l’inizio della visita di Cusco parte dal suo cuore, la Plaza de Armas. Qui, in questo animato quadrato, potrai ammirare antichi edifici religiosi e governativi, alternati a bar frequentatissimi, agenzie di viaggi perfette per organizzare giri dei dintorni e piccoli ristoranti in cui gustare qualche specialità locale. L’importanza di questa piazza è anche simbolica: qui fu giustiziato alla fine del secolo XVIII Tupac Amaru II, condottiero Inca simbolo della ribellione ai colonizzatori.

– Catedral de Cusco: La Cattedrale di Cusco è stata costruita, come molti edifici religiosi locali, sulle rovine di un antico tempio Inca. Il suo stile che mescola barocco e rinascimento produce un effetto estetico notevole, e la rende a tutti gli effetti uno dei più famosi simboli della città. La Cattedrale, dichiarata Patrimonio UNESCO, è anche sede dell’Arcidiocesi di Cusco.

– Mercado de San Pedro: E’ uno dei migliori mercati del Perù ed è il luogo ideale per immergersi nella cultura locale. Il più importante mercato qui si chiama Mercado Central de San Pedro (Mercato Centrale di San Pedro), è a pochissima distanza dalla Plaza de Armas e al suo interno trovi stoffe, oggetti tipici, frutta e verdura e soprattutto molti banchetti, in cui provare il cibo locale, come zuppe e pesce fritto preparato al momento.

– Tandapata: una via acciottolata molto antica, bella e ancora parecchio autentica.

– Palazzo Arcivescovile  – Inca Roca: Un altro esempio del rapporto tra radici Inca e cultura religiosa è il Palazzo Arcivescovile, che ospita anche il Museo di Arte Religiosa: lungo le sue mura, anticamente parte del palazzo Inca Roca, potrai osservare le testimonianze delle capacità costruttive degli Inca, capaci di intagliare e incastrare perfettamente pietre di dimensioni gigantesche.

– Corinchaca-Santo Domingo: A proposito di edifici religiosi costruiti su rovine di templi Inca: il Coricancha a Cusco racconta esattamente una storia del genere, ma con un finale diverso. In quest’area, infatti, sorgeva il Tempio Inca del Sole, distrutto nel secolo XVII per costruirvi sopra la Chiesa di Santo Domingo. Questa, però, non è sopravvissuta ai terremoti che l’hanno martoriata negli anni, e ha nuovamente lasciato spazio al basamento (intatto!) dell’antico tempio, che ancora oggi fa intendere chiaramente quale poteva essere il suo splendore originario.

– Piedra de los 12 Angulos: La maestosità delle costruzioni Inca e il mistero delle loro tecniche costruttive sono ben raccontati da una delle più intriganti attrazioni di Cusco: la pietra dei 12 angoli (piedra de los 12 ángulos). Questo immenso masso è la componente principale di un muro portante del Palazzo dell’Arcivescovo. Si tratta una pietra intagliata con 12 angoli e perfettamente incastrata tra le pietre circostanti, tanto che non si riesce a infilare nelle fessure neanche un foglio di carta. Nessuno sa ancora come gli Inca potessero trasportare e lavorare pietre così grandi, con una precisione di tale livello. Intorno al palazzo sono “nascosti” tra le pietre anche un serpente e un puma: ci vuole un po’ ma è possibile riconoscerne le sagome. Si trova in Calle Hatunrumiyac, una bella via con delle grosse pietre a fare da basamento agli edifici

– Museo Inca: Alle spalle della Cattedrale di Cusco sorge il Museo Inka: visitarlo è un ottimo modo per farti un’idea di come poteva essere la vita di ogni giorno prima dei Conquistadores. Il museo infatti ospita al suo interno una vasta e interessante collezione di oggetti d’uso comune come vasi e utensili, tessuti, ceramiche, armi e molto altro, oltre ad alcune mummie molto ben conservate. Non mancano, infine, gli oggetti dedicati ai cerimoniali sacri, una parte fondamentale della vita ai tempi degli Inca.

– Museo Machu Picchu: Un altro museo che non puoi perderti a Cusco è il Museo Machu Picchu, ideale da visitare subito dopo aver visto il magico sito archeologico. Al Museo di Casa Concha potrai vedere una vastissima collezione di oggetti ritrovati proprio a Machu Picchu, assieme a più di 100 scheletri risalenti al periodo Inca, alcuni quasi completi.

– Barrio de San Blas: Per  concedersi un po’ di svago il Barrio de San Blas a Cusco è perfetto! E’ un quartiere alternativo molto affascinante, con vie acciottolate strettissime e molto caratteristiche ed il mercatoQui infatti troverai tanti caffè, baretti e ristorantini in cui passare una piacevole serata. La zona è movimentata e forse un po’ “hipster”, ma davvero piacevole per una serata di relax e divertimento.

– Barrio Santa Ana: Dal Barrio di Santa Ana godrai una vista meravigliosa su Cusco e i suoi dintorni, circondati dall’atmosfera calorosa e autentica di uno dei quartieri popolari storici della città.

– Mercado del Baratillo: Se ami i mercati delle pulci, cerca di fermarti a Cusco di sabato: in questo giorno si tiene il Mercado del Baratillo, ed è una vera meraviglia. Al Baratillo (alle spalle del più “istituzionale” San Pedro) si trova davvero di tutto, e curiosando si possono fare ottimi affari, in particolare se sei a caccia di qualche pezzo di artigianato che sia davvero “locale”.

 

2) Informazioni sulla Valle Sacra:

E’ la Valle del Rio Urubamba conosciuta come El Valle Sagrado (la Valle Sacra), da Pisac ad Ollantaytambo.

Le rovine di Cusco si trovano tutte sulla stessa strada che porta da Cusco a Pisac/Calca e si possono visitare una dopo l’altra.

 

– Sacsayhuaman: orari 7-18 – ingresso Boleto Turistico

(https://www.cuscoperu.com/es/viajes/cusco/centros-arqueologicos/sacsayhuaman)

E’ il più bel sito di Cusco. Sorge su una collina e rappresenta la testa di un puma il cui corpo è Cusco. E’ un sito cerimoniale in cui si praticava il culto del dio Sole, quindi non è una forte militare ed è caratterizzato da grossi monoliti intagliati ad incastrarsi perfettamente

Ci si arriva anche a piedi, in taxi o con il proprio mezzo.

 

– Qenqo: orari 7-18 – ingresso Boleto Turistico

(https://www.cuscoperu.com/es/viajes/cusco/centros-arqueologicos/qenqo)

Era un luogo dedicato alle mummificazioni.

 

– PukaPukara:  orari 7-18 – ingresso Boleto Turistico

(https://www.cuscoperu.com/es/viajes/cusco/centros-arqueologicos/pukapukara)

Fortezza rossa costruita con pietre di forma irregolare con funzione di difesa militare.

 

– Tambomachay:  orari 7-18 – ingresso Boleto Turistico

(https://www.cuscoperu.com/es/viajes/cusco/centros-arqueologicos/tambomachay)

Splendida costruzione formata da 4 pareti di pietre tagliate a perfezione. Come da tradizione di ingegneria idraulica da queste pareti sgorga acqua la cui provenienza è ignota. Una serie di fonti e canali d’acqua scorrono da un terrazzamento all’altro. La tradizione conosce questo monumento come “El Baño de la Ñusta” per l’esistenza di due acquedotti che trasportano acqua cristallina tutto l’anno.

 

– Pisac: orari 7-18 – ingresso Boleto Turistico – uno dei siti più belli

(https://www.cuscoperu.com/es/viajes/valle-sagrado-de-los-incas/centros-arqueologicos/pisac)

Piccolo paese ai piedi delle rovine di un tempio inca (1/2 ora A/R)-  mercato tutti i giorni è il più grande e più turistico della regione – porta della Valle Sacra  – laboratorio dell’argento.

Al Mercado Central di Pisac, uno dei più conosciuti e frequentati dai turisti, molti acquisti vengono fatti tramite il baratto.

Il Parco Archeologico Nazionale Pisac è costituito da gruppi di reperti archeologici, tra cui piattaforme, acquedotti, strade legate a mura e portali, corsi d’acqua canalizzati, cimiteri, ponti, ecc. L’area coperta da questo gruppo è di 4 kmq. Su quest’area si trovano i ruderi che occupano le colline, si presentano a formare gruppi di complicata disposizione, mentre in altri si notano costruzioni isolate degli altri gruppi.

Tipon: orari 7-18 – ingresso Boleto Turistico

(https://www.cuscoperu.com/es/viajes/valle-sur/centros-arqueologicos/tipon)

 

(si trova ad est) è uno dei siti più belli di Cusco dove si possono ammirare dodici grandi terrazze verdeggianti in cui avrete la sensazione di stare in un luogo mistico sicuramente usato dagli Inca per i riti religiosi. L’assenza di rumori e la calma del luogo vi faranno sentire rilassati e tranquilli, e il silenzio assoluto verrà rotto solo dalla caduta dell’acqua che scorre attraverso dei canali tipici dell’ ingegneria idraulica Inca che irrigano tutte le terrazze durante la secca e drenano durante le piogge.si deve salire su a piedi (molto lontano) o con taxi.

3) Informazioni sul Boleto Turistico:

(https://www.bigliettomachupicchu.com/come-acquistare-biglietto-turistico-cusco/)

(https://www.cuscoperu.com/es/informacion-util/boletos-turisticos/boleto-turistico-del-cusco)

 

Bisogna acquistare il Boleto Turistico per visitare i palazzi di Cusco ed i templi della Valle Sacra.

Il biglietto turistico consente di accedere alle attrazioni turistiche più popolari di Cusco e dei suoi dintorni.

Ci sono 4 diversi tipi di biglietto. Nessuno di loro include Machu Picchu e le saline di Maras.

Si può entrare una volta sola per sito. Se non si ha il Boleto Turistico non si può accedere ai vari siti in quanto non si può acquistare il biglietto singolo.

 

Si può acquistare:

– All’ingresso di ogni sito.

– Alla sede principale COSITUC : Gallerie turistiche, Av. Sol N ° 103 (dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 17:30 e il sabato, dalle 8:30 alle 12:30).

– Alle Filiali OFEC: Calle Garcilaso s / n (dal lunedì al sabato dalle 8 alle 17 e domenica dalle 8 alle 20).

 

  1. a) Biglietto turistico integrale: Soles 130 € 33 – vale 10 giorni – include tutti e 3 i circuiti (16 siti)

Luoghi inglusi: Sacsayhuaman – Qenqo – Puca Pucara – Tambomachay – Museo di arte contemporanea – Museo storico regionale – Museo di arte popolare – Museo del sito di Qoricancha – Centro Qosqo per l’arte nativa – Monumento all’Inca Pachacuteq – Pikillaqta – Tipon – Pisac – Ollantaytambo – Chinchero – Moray.

 

  1. b) Circuito 1: siti archeologici di Cusco – Soles 70 € 18 – vale 1 giorno – include 4 siti

Luoghi inclusi: Sacsayhuaman – Qenqo – Puca Pucara – Tambomachay

 

  1. c) Circuito 2: circuito turistico dei musei e della valle del sud – Soles 70 € 18 – vale 2 giorni – include 8 siti

Luoghi inclusi : Museo di arte contemporanea – Museo storico regionale – Museo di arte popolare – Museo del sito di Qoricancha –  Centro Qosqo per l’arte nativa – Monumento all’Inca Pachacuteq – Pikillaqta – Tipon

 

  1. d) Circuito 3: siti archeologici della Valle Sacra degli Incas – Soles 70 € 18 – vale 2 giorni – include 4 siti

Luoghi inclusi: Pisac – Ollantaytambo – Chinchero – Moray

 

Arriviamo quindi a Cusco. La periferia della città è proprio brutta. C’è immondizia ovunque. Raggiungiamo velocemente il nostro hotel. C’è un parcheggio proprio di fronte. E’ recintato. Il gestore abita lì, in una micro casetta. Dovesse servire, tra il parcheggio e l’ingresso dell’hotel, c’è una lavanderia. In realtà Cusco è piena di lavanderie, ma questa è comoda e vicina.

 

Pernottamento: Tambo del Arriero Hotel Boutique – B & B – € 72

https://www.tambodelarriero.com/

 

L’hotel è bello. E’ la classica struttura centro/sud americana a due piani. Tutte le camere si affacciano sui due cortili interni, dove ci sono piante e fontane. La nostra camera è bella. Non c’è il riscaldamento. Pier va in lavanderia a portare alcune cose che ci serviranno per il trekking a Machu Pucchu. Ci sognavamo una bella doccia bollente ed abbondante ed invece hanno un problema con l’acqua quindi dobbiamo aspettare un’oretta. Nel mentre prenotiamo il ristorante di questa sera. Essendoci tantissimi turisti, è bene prenotare sempre, anche da un giorno con l’altro, soprattutto se si vuole andare in un ristorante preciso. Usciamo a piedi, l’hotel è a 5 minuti dal centro. Cusco ha un fascino più antico e decadente rispetto alla bianca Arequipa. Tutti i palazzi e le chiese sono di pietra color sabbia. Ci piace da subito. La Plaza de Armas, con le due cattedrali ed i balconi in legno, è molto bella. Raggiungiamo la Uchu Peruvian Steakhouse, dietro la cattedrale di Cusco. Ceneremo benissimo. Prendiamo una cevice da condividere e poi due piatti con tris di carne e 3 tipi di verdura. Prendiamo anche una bottiglia di vino e il Pisco Sour alla fine. Spendiamo Soles 314 – € 79 ma il costo maggiore è quello del vino, non proprio la metà ma quasi. Facciamo ancora due passi per il centro, nelle belle vie acciottolate, e poi andiamo in hotel. Anche oggi giornata impegnativa ma molto soddisfacente. Alle 22.30, in mega ritardo rispetto alle altre sere, andiamo sotto la calda coltre di coperte.

 

12) 11 agosto 2022 giovedì: Cusco – km.0

Oggi sarà una giornata tranquilla senza toccare la macchina. Siccome ci siamo resi conto che la camera che ci hanno dato questa notte, non è quella prenotata, lo facciamo notare e ci dicono che la cambiano. Chiudiamo i borsoni e li lasciamo alla reception. Li troveremo nella camera nuova questa sera. Facciamo colazione (ottima) e alle 9.00 usciamo per visitare la città. Gironzoliamo per il centro visitando tutto quello che c’è da vedere da fuori. Andiamo al Mercato San Pedro. Facciamo un giro veloce perché decidiamo di venire dopo domani, in rientro da Machu Picchu, per comprare quinoa e altro. Se facciamo acquisti ora, dobbiamo portarceli dietro tutto il giorno. Andiamo poi nel bel quartiere San Blas ed entriamo nel piccolo mercato. Ci sono tanti peruviani che pranzano. Ci sono diversi micro ristorantini (3 metri quadrati), uno di fila all’altro, con le panche oltre il bancone. Una signora cucina all’interno ed i clienti pranzano rivolti verso di lei. Non so se riesco a spiegare bene. Comunque ci attira molto, anche perché, se la gente del posto viene qui, vuol dire che è buono. Pier sono giorni che vede la pubblicità del Caldo di Gallina quindi lo vuole provare. Sceglie un punto ristorante e glielo ordina (Soles 10 – € 2,50). A me non ispira molto quindi scelgo un minestrone di verdura dalla signora di fianco (Soles 5 – € 1,25). Qui non servono birra quindi in un altro banchetto prendiamo l’acqua. Devo dire che si rivelerà un’ottima scelta. Quando usciamo cerchiamo un posto dove stare un attimo a rilassarci. Troviamo un piccolo bar dentro un cancello, dove c’è una zona verde. Prediamo due birre produzione locale. Ci portano 3 assaggini in piccoli cicchetti così possiamo scegliere quella che preferiamo. Molto buona. Rimaniamo un’oretta in questo angolino tranquillo, sotto un pergolato (al sole fa troppo caldo). Proseguiamo poi, percorrendo delle belle vie, fino alla statua del Cristo Blanco. Questo è un ottimo punto panoramico sulla città. Andiamo poi al sito archeologico di Saqsaywaman. Questo è l’unico raggiungibile a piedi da Cusco. All’ingresso compriamo il Boleto Turistico integrale (Soles 130 – € 33 a testa). Sicuramente vedremo questo sito, poi Moray ed Ollantaytambo quindi conviene. Queste rovine ci piacciono molto. E’ tutto ben curato, l’erba è perfettamente tagliata. Per la prima volta vediamo da vicino il lavoro pazzesco che facevano gli inca sulla pietra. Tra una e l’altra non passa neppure uno spillo. Le lavoravano a mano levigando millimetro per millimetro fino a farle combaciare alla perfezione. Il problema è che alcune rocce sono enormi, ed ai tempi non avevano le gru. Troviamo un punto panoramico sulla città ma è meno bello rispetto alla vista dal Cristo Blanco. La visita non richiede molto tempo. Rimarremo circa 45 minuti. Scendiamo in città e torniamo al nostro hotel alle 16.30. Andiamo nella nostra nuova camera, quella prenotata mesi fa. E’ grandissima, con salottino e bagno con vasca idromassaggio ad angolo. Nel mentre che ci sistemiamo si scatena un grosso temporale. Organizziamo i bagagli per i prossimi giorni. Sul treno per Machu Picchu, che prenderemo domani, si può portare solo un bagaglio a testa (massimo 5 km). Metteremo quello che ci servirà per la notte e per il giorno dopo nello zaino grosso da montagna di Pier (il mio è tutto occupato dall’attrezzatura fotografica). Quando usciamo per fortuna ha smesso di piovere. Andiamo a cena alla Ceviche Seafood Kitchen, in Plaza de Armas. Abbiamo prenotato ieri sera. Ceneremo benissimo condividendo un piatto di ceviche, una zuppa di pesce ed un piatto di pesce grigliato, con due birre ed un pisco sour (Soles 267 – € 66). Torniamo poi in hotel, sempre a piedi.

Pernottamento: Tambo del Arriero Hotel Boutique – B & B – € 72

https://www.tambodelarriero.com/

 

13) 12 agosto 2022 venerdì: Cusco / Ollantaytambo / Agua Caliente – km.103

(h.4 e 1/2)

Dopo un’ottima colazione, paghiamo il conto, lasciamo uno dei due borsoni alla reception (torneremo qui a dormire fra 3 giorni) e alle 8.00 andiamo alla macchina. Paghiamo Soles 50 – € 12,50 al parcheggiatore.

Informazioni su quello che c’è da vedere da Cusco ad Ollantaytambo:

–  Chinchero (mt.3.762) orari: 7-18 (ingresso Boleto Turistico)

splendido villaggio – chiesa (a pagamento) mentre sito archeologico non è molto interessante – c’è il mercato il martedì, il giovedì e la domenica (bello soprattutto la domenica in quanto tutti si vestono con i vestiti tradizionali) – al mercato si svolge l’antica pratica del trueco (baratto)

da non perdere le dimostrazioni delle tecniche di lavorazione dei tessuti, che è la peculiarità di questo villaggio, noto proprio per la qualità dei suoi manufatti tessili e per le antiche tecniche di tintura utilizzate.

– Salineras di Maras (mt.3.050): orari 7-17  (soles 5 € 1,25) (non è compreso nel Boleto Turistico)

ci sono migliaia di saline

– Moray (mt. 3.497): orari 7-18 (ingresso Boleto Turistico)

c’è un anfiteatro di terrazzamenti concentrici e microclimi differenti per le coltivazioni.

– sito archeologico di Ollantaytambo (mt.2.800): (ingresso Boleto Turistico) rovine inca a gradoni.

– resti di Pinkuylluna di Ollantaytambo: rovine di granai

Saltiamo Chinchero perciò lo vedremo tornando indietro (sarà domenica) per vedere il marcato. Andiamo alle Salineras di Maras. Arriviamo dopo 1 ora e mezza di viaggio da Cusco. Paghiamo Soles 5 – € 1,25 a testa. Lungo la strada ci sono due punti in cui ci si può fermare con la macchina e le si vede dall’alto. Già da lassù sono un gran bel colpo d’occhio. Arriviamo fino alla fine della strada dove si puà parcheggiare. A piedi ci avviciniamo alle pozze. Vediamo la sorgente di acqua salata che sgorga dalla roccia che alimenta tutte le vasche. Davvero molto bello. Il bianco del sale, illuminato dal sole, rende ancor di più. Ci sono 13°. Rimaniamo una mezz’oretta e poi ci spostiamo a Moray che raggiungiamo in 40 minuti. Qui ci sono 18°. Ci chiedono il Boleto Turistico. Guarderemo i terrazzamenti concentrici solo dall’alto. Si potrebbe scendere e andare dalla parte opposta. Dicono che dal primo cerchio all’ultimo, ci siano 15° di differenza. Questo garantirebbe coltivazioni diverse. Rimaniamo una ventina di minuti e poi ripartiamo. Ci sono dei bei paesaggi con tante piante di agave. In mezz’ora ci abbassiamo a mt. 2.865 arrivando al fiume Urubamba e all’omonimo paese. Qui in basso ci sono 24°. Ci sono molte coltivazioni. Dopo un’altra mezz’oretta, alle 12, arriviamo ad Ollantaytambo (mt.2800). Parcheggiamo oltre il fiume in un grosso parcheggio (Soles 5 – € 1,25) e andiamo a vedere il sito archeologico. Ci chiedono il Boleto Turistico. Ci sono vari terrazzamenti e noi arriviamo alla sommità. Da lassù c’è un bel colpo d’occhio su questo paesino molto particolare, tutto in pietra, che sembra fuori dal tempo. Sulle pendici della montagna di fronte ci sono i resti di quelli che erano i granai dove venivano ritirati i raccolti. Si potrebbe andare fino là a piedi, ma non abbiamo tempo. Per uscire dal sito, percorriamo un sentiero in piano a mezza costa, sulla sinistra e da lì scendiamo. Andiamo in centro a piedi. La piazza, molto graziosa, ha una parte verde al centro e tutt’intorno ci sono ristorantini. Scegliamo l’Apu Plaza Inn. Mangeremo bene, una zuppa di quinoa per me ed alpaca con verdure per il Pier, più una birra (Soles 90 – € 22,50). Dovendo arrivare almeno 45 minuti prima alla stazione, recuperiamo la macchina ed andiamo a parcheggiare nelle vicinanze. Ci sono un paio di parcheggi comodi. La zona della stazione è chiusa con cancelli e fanno entrare solo chi ha il biglietto per il prossimo treno. Noi dormiremo domani notte proprio all’interno, all’ El Albergue, quindi andiamo a verificare che abbiano la prenotazione fatta su booking. Chiediamo se possiamo lasciargli il nostro secondo borsone, per non lasciarlo in macchina. Dopo la risposta affermativa, Pier lo va a prendere. Il treno è già sulle rotaie. Ad una ventina di minuti dalla partenza, ci vanno salire.

Acquisto biglietto del treno della Perù Rail:

Costi a testa: andata $ 57 + ritorno $ 65 = $ 122 = € 116

(Acquistati sul sito: https://www.perurail.com/) (rimborsabili al 65% fino a 72 ore prima) oppure alla biglietteria di Ollantaytambo (lo sconsiglio perché si rischia di non trovare posto)

I posti sono assegnati. I nostri sono sul lato sinistro del treno, in senso di marcia, quindi il panorama sarà più bello perché si vedono scorci sul fiume Urubamba. Cambiamo il nostro posto con una famiglia canadese, dando loro la possibilità di stare tutti e tre vicini. Noi ci troveremo faccia a faccia con una coppia italiana, Lara e Michele. Incominciamo subito a chiacchierare quindi non ci accorgiamo che il treno parte alle 15.37 puntuale e l’ora e mezza di viaggio passerà velocissima. Appena dopo le 17 arriviamo ad Agua Caliente.

Informazini su Agua Caliente (mt.2.040):

E’ un paesino insignificante incastrato tra montagne, dalle pendici quasi verticali, la cui vita si svolge in funzione della visita di Machu Picchu.

Al nostro arrivo troviamo la proprietaria dell’hotel con un cartello con il nostro nome e quello della famiglia canadese trovata sul treno. Loro devono ancora acquistare il biglietto del pullman che porta da Agua Caliente fino su all’ingresso di Machu Picchu, quindi li porta davanti agli uffici.

Acquisto biglietto del bus Agua Caliente-Machu Picchu:

Costo a testa: andata e ritorno $ 34 € 32

(https://www.bigliettomachupicchu.com/servizio-autobus-machu-picchu/) (rimborsabili al 65% fino a 72 ore prima) oppure agli uffici in centro ad Agua Caliente che si trovano in una traversa vicino alla partenza dei bus.

Qui veniamo a conoscenza di una cosa che ci manda un po’ in panico. C’è una manifestazione di protesta perché la gente del posto vuole che il governo porti di nuovo gli accessi a Machu Picchu ai numeri pre-Covid. Ora sono al 30%. Ovviamente più biglietti venduti, più lavoro hanno hotel e ristoranti. La ragazza dell’hotel ci dice che i bus domani non ci saranno. L’unico modo per farsi ascoltare è quella di bloccare i turisti o con il treno, o col il bus o con l’accesso a Machu Picchu. Da quando abbiamo deciso di venire in Perù, ho letto su vari gruppi facebook di questi scioperi. Noi il biglietto del pullman lo abbiamo e ci dicono che ci verrà rimborsato. Parliamo con i canadesi e decidiamo di venire qui domani mattina alle 4.30 (il primo pullman parte alle 5.30). Se lo sciopero è confermato, partiremo a piedi per arrivare su alla Cittadella. Sono circa 400 mt di dislivello. La strada è a tornanti ma il sentiero li taglia tutti. Il problema sarà il buio pesto, visto che non abbiamo torce. Useremo i cellulari. Ci girano parecchio le scatole ma così almeno la Cittadella la vedremo, ovviamente non riusciremo anche a salire sulla Montana Machu Picchu perché non riusciremmo a stare dentro ai tempi degli accessi (quando si prenotano le varie cose si hanno orari fissi da rispettare). La maggior parte delle persone visitano solo Machu Picchu, visto che i trekking per la Montana Machu Picchu o Huayna Picchu, oltre ad essere a numero limitato di accessi, richiedono prestanza fisica. Questo vorrà dire che la Cittadella domani sarà quasi deserta. Ci sono parecchie persone arrabbiate perché dicono che hanno organizzato il viaggio in Perù principalmente per vedere Machu Picchu.

Noi ci allontaniamo e raggiungiamo il nostro hotel. Non ci fosse stata la proprietaria non lo avremmo mai trovato perché sono un hotel dentro l’altro, tutti sviluppati in salita. Ci sono un’infinità di scalini.

Pernottamento: Hotel Rupa Rupa High Jungle Eco – B&B – € 51

Home

Ci mettiamo d’accordo sulla colazione per domani mattina (ci farà trovare questa sera un box alla reception) e ci dice che possiamo lasciare una borsa con le cose che non ci servono per il trekking, direttamente in camera. Quando torneremo indietro ce le consegnerà lei. Almeno così evitiamo di portarci dietro tuta e cose da bagno. Andiamo in camera e si scatena un temporale. Facciamo la doccia (calda ma in camera non c’è riscaldamento), scegliamo il ristorante su tripadvisor ed usciamo. Non piove più per fortuna. Abbiamo i poncho ma non è il massimo uscire in modalità spaventapasseri. Facciamo due passi per il paese e poi andiamo a cena da Julian, lungo i binari. Prendiamo osso buco con verdura e lomo saltado poi birra e pisco sour (Soles 250 – € 62). Il cameriere è gentilissimo ed il cibo buono. Facciamo ancora due passi zona partenza del bus per carpire qualche info. Ora il panico sale a mille. Ci dicono che lo sciopero adesso coinvolge anche i treni. Domani nessuno potrà arrivare o andare via da Aqua Caliente. Ci dicono che ci sono solo due possibilità per andare via. La prima è camminare 30 km. sui binari per tornare ad Ollantaytambo. La seconda è andare a piedi lungo i binari, in direzione opposta, fino ad Hydroelectrica (il capolinea del treno) e da lì prendere il taxi che porta su per la montagna fino ad un paesino. Lì bisognerà prenderne un altro fino ad un altro paese e poi ancora un altro fino ad Ollantaytambo. Il tutto richiede due ore a piedi e 6 in strade di montagna, sterrate e a strapiombo. Ottimo. C’è tanta gente impanicata perché, come noi, domani deve tornare a Cusco perché il giorno dopo ha il volo per Lima e di conseguenza l’intercontinentale. Io avevo messo apposta una giornata cuscinetto, perché avevo timore di questi scioperi. Ciò non toglie che non sappiamo se durerà uno o più giorni, quindi dobbiamo trovare una soluzione anche noi. Decidiamo quindi di andare sempre alle 4.30 alla fermata. Se il treno non c’è, ci incamminiamo verso Hydroelectrica, di certo non saremo soli. Il vociare dei manifestanti si fa sentire sempre di più (è comunque una manifestazione assolutamente pacifica). Andiamo in camera. Non riusciamo a dormire per la preoccupazione. Sognavo Machu Picchu da una vita. L’importante è riuscire a tornare a Cusco in tempo per il volo. Verso mezzanotte sentiamo degli urli di gioia. Ci siamo fatti l’idea che possano aver trovato un accordo con il governo. Pensiamo di scendere in piazza per capire se effettivamente è così, ma diluvia ancora e vogliamo evitare di inzuppare i vestiti. Prendiamo sonno a fatica.

  

14) 13 agosto 2022 sabato: Machu Picchu / Ollantaytambo – km.0 

Alle 4.30 siamo alla fermata del pullman (si trova oltre il Puente Enafer, dove il rio Aguas Calientes si getta nel fiume Urubamba). Alcune persone si stanno incamminando a piedi verso Machu Picchu. Ci mettiamo in coda, siamo i decimi. Non si sa ancora nulla. Vedo un responsabile che arriva quindi vado a chiedergli info. Sciopero annullato! Tutto confermato! E vai si va a Machu Picchu! Dopo poco arriva tanta gente. Prendiamo il primo pullman che parte alle 5.30. E’ ancora buio pesto e la strada è tutta sotto la vegetazione. Vediamo ogni tanto qualche torcia di chi sta salendo a piedi. Due signori fanno segno di fermarci. Abbiamo qualche posto vuoto quindi li fanno salire. Sono stravolti. Dicono che è durissima. Arriviamo al parcheggio che sta albeggiando. Noi abbiamo il biglietto per la cittadella e per il trekking alla Montana Machu Picchu.

Acqusito del biglietto per Machu Picchu + trekking Montana Machu Picchu:

Costo a testa: $ 78 = €  74  – Con ingresso alla Cittadella dalle 6 alle 7 e alla Montana dalle 7 alle 8

(acquistati sul sito: www.bigliettomachupicchu.com) (rimborsabili al 65% fino a 72 ore prima)

La mia idea era di andare a vedere l’alba alla casa del guardiano e visitare la Cittadella una volta scesi. Ci si avvicina un signore, guida certificata, che parla italiano quindi decidiamo di entrare con lui. Chiede $ 60. Dice che ci fa da guida nella Cittadella e poi ci porta in tempo all’ingresso per la scalata della Montana Machu Picchu, poco prima delle 8 (noi abbiamo l’accesso dalle 7 alle 8).

Informazioni su Machu Picchu (mt.2.430):

1) Dove si trova: si trova ad un centinaio di km da CUSCO, nella valle dell’Urubamba, scendendo dall’altopiano Andino verso la zona Amazzonica del Perù.

2) Perché questo nome: molto semplicemente in lingua Quechua (la lingua Incas, tutt’ora parlata da praticamente tutta la gente che abita sulle Ande Peruviane ed Ecuadorene) vuol dire ” Montagna vecchia”, contrapposta al picco che le sta di fronte, immortalato in tutte le foto, che invece si chiama Huayna Picchu, ovvero “montagna giovane”. Questo perché in realtà nessuno sa come si chiama la città… Quando all’inizio del 900 l’esploratore americano Hiram Bingham scopri le rovine, chiese agli abitanti del posto come si chiamava quella città, e loro risposero semplicemente nel loro modo di indicare quel luogo, Machu Picchu, montagna vecchia, perché livellata dal tempo… E questo fu il nome con cui passò alla storia.

3) A cosa serviva: In realtà anche su questo gli storici sono sempre stati molto discordanti sulla sua funzione, e le ipotesi sono diverse… Città Sacra, abitata da sacerdoti del culto del Sole… Avamposto commerciale, dove venivano immagazzinati i prodotti alimentari che provenivano dalla zona Amazzonica del regno… Fortezza di confine, a protezione della strada che seguendo la valle del fiume URUBAMBA arrivava fino nel cuore del regno Inca… Centro di villeggiatura invernale per la Corte dell’Inca… Negli ultimi anni gli Archeologi tendono a privilegiare quest’ultima ipotesi. La cosa certa è che questo luogo resto’ sempre sconosciuto ai Conquistadores Spagnoli.  

4) Come arrivare: ci sono  quattro possibilità.

– Con mezzi autonomi (macchina propria o tour privato) da Cusco fino ad Ollantaytambo e poi in treno da qui fino ad Agua Caliente. Da Aqua Caliente alla cittadella o a piedi o con un pullman. Viene fatto o in giornata o con uno o più prenottamenti ad Agua Caliente. 

– quella di gran lunga più gettonata è il viaggio in treno turistico da Cusco, tutto in giornata. Si parte molto presto dalla stazione centrale di CUSCO, 4 ore per arrivare al terminale della ferrovia ad Aguas Caliente. Arrivati ad Aguas Caliente si prende il pullman fino al piazzale di ingresso al sito. Dopo la visita della cittadella, si riprende il bus, ed il treno per tornare a CUSCO in serata…

– Alcuni ci arrivano a piedi, facendo il famoso Inca Trail, e cioè partendo dal paese di Ollantaytambo un percorso che si snoda per 3 giorni sui crinali delle montagne (solo per chi è allenato, visto che si cammina sempre ben oltre i 3000 metri) si arriva direttamente al sito archeologico, entrando dalla Porta del Sole (un tempo l’unico ingresso a Machu Picchu). Precisazione, fino alla fine degli anni 90 era possibile farlo in completa autonomia, senza la necessità di guide, ma dal 2001 il governo per evitare il sovraffollamento, gli incidenti, ed anche le non rare aggressioni ai turisti, ha istituito l’obbligo della prenotazione, e della presenza obbligatoria di guide autorizzate. Questo ha evitato che diventasse una sorta di Cammino di Santiago con folle oceaniche di trekkers (non immaginate lo schifo che molti pseudo viaggiatori lasciavano lungo il sentiero), ha portato una maggior sicurezza, una selezione nella qualità della gente perché non costa poco.  

– con vari piccoli pullmini che attraversano le montagne, con diverse ore di viaggio, da Ollantaytambo alla centrale Idroelettrica, poi trekking fino ad Agua Caliente. Spiego:

Tutti vi diranno che non esiste una strada per mezzi a motore che arriva ad Aguas Caliente, vi diranno che esiste solo il treno oppure l’alternativa e farsela a piedi sull’Inca Trail… e tecnicamente hanno ragione… Non esiste una strada che arriva ad Aguas Caliente, perché la valle dell’Urubamba, dopo Ollantaytambo è talmente stretta che c’era lo spazio solo per fare la ferrovia e nient’altro … Ma… Nessuna guida vi dirà che in realtà una strada che parte da Ollantaytambo c’è, che seguendo la parte alta… mooolto alta della valle, arriva fino alla famosa Centrale Idroelettrica, vero punto finale di arrivo della ferrovia.

Funziona così… Oramai col passa parola è diventato un Must, e quindi molte agenzie si sono organizzate per vendere questo servizio, sulle vetrine hanno grossi cartelli con scritto Hydroelettica.

Si parte al mattino molto presto  (5) da Cusco con un bus di media grandezza verso Ollantaytambo, arrivati qui la strada inizia a salire sul lato destro della valle, la strada è sterrata, e chi soffre di vertigini e meglio che non guardi di sotto, oppure che si sieda sull’altro lato del bus, il baratro e veramente impressionante, e di guardrail manco a pagarli… Verso le 10/ 11 del mattino si arriva al paese di Santa Teresa, dove si fa colazione, e si cambia bus… Si procede ancora per circa 2 ore in uno scenario che a parole mi viene difficile descrivere tanto se ne viene rapiti, dire mozzafiato e dire poco, il problema è che l’attenzione viene rapita anche dal baratro alla sinistra del bus, che, se è possibile e ancora più ansiogeno di prima.  Arrivati al paesino di Santa Maria, si cambia ancora per l’ultimo tratto che viene fatto con dei Micro, piccoli furgoncini da 15 posti, perché la strada diventa ancora più stretta… Verso le 2 del pomeriggio si è arrivati alla Centrale Idoroelettrica, quindi ci si trova dalla parte opposta di Aguas Caliente rispetto all’arrivarci in treno…

 Preso accordi con gli autisti, che si faranno trovare nello stesso posto a mezzogiorno di 2 giorni dopo… Si inizia il cammino di 12 km sul sentiero che costeggia i binari del treno fino ad Aguas Caliente… Non è un trekking, ma una passeggiata di circa 2 ore e mezza, massimo 3 ore, ma proprio massimo… Il sentiero e in totale pianura nel fondovalle,. Tra una natura rigogliosa, sovrastati dai picchi coperti di verdissima foresta che incombono sul fiume Urubamba… Davvero una piacevolissima passeggiata in totale sicurezza… Arrivati ad Aguas Caliente, si cerca il pernottamento in base alle proprie disponibilità, la scelta è vasta… Si acquista il ticket per il bus che al mattino dopo vi porterà su al sito archeologico, il giorno dopo, si visita il sito, il tutto porta via almeno 8 ore, si torna ad Aguas Caliente, si cena si pernotta, e al mattino dopo colazione, si rifà il cammino inverso lungo i binari del treno fino alla centrale Idroelettrica, per essere li entro mezzogiorno, in serata verso le  20 si rientra a Cusco

5) Biglietti Machu Picchu:

 

www.bigliettomachupicchu.com

 

  1. a) biglietto Machu Picchu Solo + Ponte Inca (mt.2.430): $ 60

 

– si può stare all’interno  4 ore.

– ingressi dalle 6.00 alle 14.00 (si può entrare fino alle 15.00) (250 persone per ora)

 

  1. b) biglietto Machu Picchu + Huayna Picchu (mt.2.693): $ 78

 

– dislivello mt.263

– si può rimanere nel sito 6 ore

– massimo 200 persone possono accedere (50 persone in 4 fasce orarie dalle 7 alle 10, si può entrare fino alle 11)

– il trekking richiede 2 ore se si va a Huayna Picchu e si torna dalla stessa strada

– il trekking richiede 4 ore se si va a Huayna Picchu e si scende dal Tempio della Luna (mt.2.266), l’unico sito Inca nel mezzo di una grotta.

– video huaynapicchu: https://www.youtube.com/watch?v=FCEEJyDM9Oo

– La salita a Huayna Picchu è considerata una delle migliori passeggiate brevi al mondo.

– non è accessibile ai bambini sotto i 12 anni

– la scala per salire è chiamata la scala della morte, non è consigliabile salire se si soffre di vertigini

– una volta scesi bisogna seguire i percorsi segnati ed uscire

 

– Ingresso a Machu Picchu dalle 6 del mattino / Ingresso a Huayna Picchu dalle 7 alle 8 del mattino (50 persone)

– Ingresso a Machu Picchu dalle 7 del mattino / Ingresso a Huayna Picchu dalle 8 alle 9 del mattino (50 persone)

– Ingresso a Machu Picchu dalle 8 del mattino / Ingresso a Huayna Picchu dalle 9 alle 10 del mattino (50 persone)

– Ingresso a Machu Picchu dalle 9 del mattino / Ingresso a Huayna Picchu dalle 10 alle 11del mattino (50 persone)

 

  1. c) biglietto Machu Picchu + Montagna Machu Picchu (mt.3.061): $ 78

 

– dislivello mt.631

– si può rimanere nel sito 7 ore

– massimo 400 persone possono accedere (200 dalle 7 alle 8 e 200 dalle 8 alle 9))

– il trekking richiede 4 ore

– la salita è meno impegnativa di Huayna Picchu. E’ fattibile anche con i bambini

– l biglietto ti consente di rientrare a Machu Picchu per visitare il sito archeologico.

– una volta scesi bisogna si ha ancora la possibilità di visitare la cittadella

 

– Ingresso a Machu Picchu dalle 6 del mattino / Ingresso alla montagna Machu Picchu dalle 7 alle 8 del mattino (200 persone)

– Ingresso a Machu Picchu dalle 7 del mattino / Ingresso alla montagna Machu Picchu dalle 8 alle 9 del mattino (200 persone)

 

  1. d) biglietto Machu Picchu + Huchuy Picchu (mt.2.497): $ 60

 

– dislivello mt.67

– si può rimanere nel sito 6 ore

– massimo 400 persone possono accedere (50 persone in 8 fasce orarie dalle 7 alle 14, si può entrare fino alle 15)

– il trekking richiede 1 ora a tratta – è solo 1 km. ma ripido con gradoni

– la salita è meno impegnativa di Huayna Picchu. E’ fattibile anche con i bambini sorvegliati

-Il biglietto ha lo stesso costo dell’ingresso “Machu Picchu Solo”. Pertanto, è un’eccellente opzione avventurosa durante il viaggio.

– nuovo percorso inaugurato nel 2021

 

Nel piazzale dove si arriva con il pullman, oltre ad un albergo con ristorante, ci sono due ingressi. Quello a destra porta alla parte bassa e al trekking di Huayna Picchu. Quello di sinistra porta alla parte alta e al trekking della Montana Machu Picchu. Comunque a me le cose non sono chiare. Se il percorso all’interno della Cittadella è a senso unico, noi teoricamente siamo entrati contromano. Non so se questo ci è stato consentito perché eravamo con la guida. Siamo i secondi ad entrare dalla porta destra. La maggior parte delle persone va a sinistra. Facciamo un piccolo tratto e ci troviamo di fronte ad una delle immagini più belle viste in vita mia. C’è ancora la nebbia (scomparirà con l’arrivo del sole dopo le 7) che rende tutto ancor più magico. Entrando prestissimo la mattina, si ha la possibilità di essere quasi da soli. Noi in queste due ore, in questo tratto, vedremo solo una ventina di persone. Dicevo, la Cittadella è di fronte a noi con lo scenografico Huayna Picchu alle spalle. Uno dei motivi per i quali ho scelto di scalare la Montana Machu Picchu è perché si vede la cittadella con Huayna Picchu. Fossimo saliti su questo, avremmo avuto una visuale che mi affacinava di meno. La nostra guida ci fornisce tantissime informazioni. Consiglio vivamente di fare la visita con chi ti può spiegare tutto bene. Per quanto si possa leggere prima di arrivare, si capisce molto di più con una persona che ti spiega i vari punti man mano che li si trova davanti. Abbiamo apprezzato molto averlo con noi. Arriviamo fino all’inizio del trekking a Huayna Picchu. Anche da laggiù si ha un bel colpo d’occhio della cittadella con l’altissima Montana Machu Picchu alle spalle. Sappiamo essere più di 600 mt di dislivello e noi siamo molto allenati ad andare in montagna, ma vista così, ci fa tentennare sulla riuscita della scalata. Il sole sorge e la nebbia si disperde. Andiamo poi all’uscita ed entriamo dall’altro ingresso. Raggiungiamo velocemente il punto di controllo per la salita alla Montana. La nostra guida ci saluta qui. Sono le 7.55 quindi siamo nei tempi giusti. Registriamo l’ingresso (all’uscita dovremo poi firmare l’uscita) ed incominciamo a camminare. Ci mettiamo subito in maniche corte. Fa molto caldo. Tutto il percorso è a gradoni, tutto ma proprio tutto, non molla mai (alcuni sono molto stretti al punto tale che in discesa dovremo appoggiare i piedi di lato). C’è solo solo un paio di punti un po’ esposti per il resto è in mezzo alla vegetazione. Tante persone boccheggiano come se non ci fosse un domani e tornano indietro. Abbiamo un’ottima andatura e raggiungiamo la vetta in un’ora e 10, stra soddisfatti. La vista da lassù è magnifica. Rimaniamo un’oretta in contemplazione. Scendendo mi metto in pantaloncini. Non fatelo o mettete un repellente (ho capito poi perché all’inizio c’erano dei ragazzi che lo spruzzavano). Non ho visto neppure un insetto ma mi sono trovata con le gambe piene di puntini rossi. Nel giro di qualche ora sono spariti e non mi hanno dato prurito. Dopo il trekking andiamo alla Casa del Guardiano. Da qui ci si trova di fronte la classica immagine della Cittadella con Huayna Picchu alle sue spalle. Chiediamo se possiamo andare al ponte inca, che si trova sulla sinistra ma ci dicono che non possiamo con il nostro biglietto. Sul sito c’era scritto che era aperto a tutti. Boh, ci sono meccanismi che non ho capito. Prima di uscire dall’ingresso principale, vado ancora a fare il giro fatto questa mattina con la guida (Pier mi aspetta fuori). Solo il nostro biglietto (trekking Montana) consente di farlo. Lo faccio velocemente perché c’è troppa gente. Questa mattina, senza nessuno e con la nebbiolina, era mille volte più affascinante. Per prendere il pullman c’è una fila lunga ma è tutto ben organizzato ed in 10 minuti saliamo. Alle 13.00 siamo ad Agua Caliente. Andiamo a pranzo, sempre lungo i binari, al Full House. Prendo una rainbow salad, Pier un riso con il pesce e l’immancabile Cuzqueña (Soles 120 – € 30). Abbiamo un paio d’ore prima di prendere il treno quindi andiamo in hotel a prendere la borsa che avevamo lasciato in camera. La proprietaria, gentilissima, ci dice che se vogliamo aspettare il treno da loro, all’ultimo piano c’è un terrazzo con divanetti. Ne approfittiamo e sarà un’ottima soluzione. Abbiamo il wi-fi. Piuttosto che stare in un bar! Andiamo poi alla stazione. Passiamo in una zona coperta piena di negozietti. All’ingresso troviamo Lara e Michele. Che coincidenza. Sul treno però non riusciremo a stare vicini. Ci mettiamo d’accordo per trovarci per cena questa sera ad Ollantaytambo. Alle 16.45 puntuali partiamo ed alle 18.30 arriviamo a destinazione. Scendiamo dal treno ed entriamo in hotel.

Pernottamento: El Albergue – B & B – € 61

https://www.elalbergue.com/

In camera troviamo il nostro borsone. Non c’è il riscaldamento. Ci sono i tappi per le orecchie, nel caso in cui il treno dia fastidio. Non avevamo inteso che l’hotel fosse proprio nella stazione, altrimenti credo che avremmo cercato altro. Comunque non ci ha dato fastidio il rumore, un po’ per la stanchezza ma anche per il fatto che nelle ore centrali della notte non arriva e parte nessun treno. Tempo di una doccia e ci troviamo con Lara e Michele al ristorante Mawic che si trova sulla strada che porta alla stazione. Saremo solo noi ma mangeremo bene (trota con verdure ed alpaca con verdure – birra) (Soles 120 – € 30). Rimaniamo fino alle 22 poi la proprietaria ci fa un po’ pena visto che sbatte testa dappertutto dal sonno, quindi usciamo. Andiamo in piazza dove troviamo solo un bar aperto. Prendiamo 3 pisco sour che ci aiuteranno a non sentire il freddo visto che sono dose tripla rispetto a quelli presi precedentemente. Rimaniamo a chiacchierare fino ad oltre mezzanotte e poi torniamo a piedi all’hotel. Serata molto piacevole. A dirla tutta saremmo rimasti ancora a chiacchierare ma considerando che la notte scorsa l’abbiamo quasi passata in bianco, che siamo in piedi dalle 4, e che abbiamo scalato la Montana Machu Picchu e che domani la sveglia suona alle 7, forse è bene andare a dormire. Ci mettiamo d’accordo di trovarci per cena anche domani sera.

15) 14 agosto 2022 domenica: Ollantaytambo / Cusco – km.83 (h.4 e 1/2)

Abbiamo dormito bene e non abbiamo sentito i treni che iniziavano a viaggiare. Facciamo colazione, paghiamo il conto e andiamo a recuperare la macchina. Ci sono 15° ma con il sole fa caldo. Non troviamo nessuno al quale pagare il parcheggio. Alle 8.30 partiamo. Per raggiungere Chincero impieghiamo un’ora e mezza.

Informazioni su Chincero (mt.3.762): 

Bel villaggio – chiesa (a pagamento) mentre sito archeologico non è molto interessante (orari: 7-18 ingresso Boleto Turistico – c’è il mercato il martedì, il giovedì e la domenica (bello soprattutto la domenica in quanto tutti si vestono con i vestiti tradizionali) – al mercato si svolge l’antica pratica del trueco (baratto)

da non perdere le dimostrazioni delle tecniche di lavorazione dei tessuti, che è la peculiarità di questo villaggio, noto proprio per la qualità dei suoi manufatti tessili e per le antiche tecniche di tintura utilizzate.

Parcheggiamo vicino al mercato e facciamo un giro. E’ piccolo ma grazioso. Ci sono delle signore che cucinano chicharron. Ci sono diversi peruviani seduti ai tavoli che lo mangiano. Pier ha l’acquolina in bocca ma è presto per pranzare quindi accantona l’idea. Qui si dovrebbe pagare con il baratto ma noi abbiamo visto le persone che facevano acquisti, farlo con i soldi. Non andiamo a vedere il sito archeologico. Oggi cambiamo i programmi e tralasciamo il sito archeologio di Pisac per andare a restituire la macchina. Avremmo dovuto farlo domani mattina prima del volo ma non ci fidiamo. Visto che sarà presto non ci sarà nessuno a controllarla. Gli accordi sono di lasciarla in un punto preciso nel parcheggio dell’aeroporto. Abbiamo letto che qui a Cusco capita che vengano addebitati danni che in realtà non ci sono.  Abbiamo scritto alla Herz e ci hanno detto che oggi nel pomeriggio sono chiusi, quindi andiamo a portarla ora. In un’ora e mezza siamo al rental car. Abbiamo percorso, con questa macchina, 2.429 km. Prendiamo un taxi che per Soles 20 – € 5, ci porta in hotel.

Pernottamento: Tambo del Arriero Hotel Boutique – B & B – € 60

https://www.tambodelarriero.com/

La camera è quella della prima sera. Troveremo all’interno il nostro borsone lasciato in custodia all’hotel 3 giorni fa. Pier va a portare due cose in lavanderia poi usciamo a piedi e torniamo ancora al quartiere San Blas. Scegliamo un ristorantino, Native, che ha solo 3 tavoli. La proprietaria chiacchiera un po’ con noi. Le piace creare piatti con i fiori. Ha la cucina a vista ed il locale è proprio piccolo. Prendiamo una ceviche di trota, una zuppa di zucca ed un piatto di fettuccine con lomo (Soles 100 – € 25). Tutto ottimo. Facciamo ancora un giro per le viuzze e poi torniamo in hotel. Si scatena un temporale. Organizzo tutte le nostre cose per il volo e per l’Amazzonia. Quando domani arriveremo a Puerto Maldonado, lasceremo i borsoni in un deposito dell’hotel e potremo portare in canoa (arriveremo al nostro pernottamento con questo mezzo) solo 1 bagaglio da 10 kg.a testa. Avevo già preparato a casa una borsa con i vestiti estivi e con le cose che ci serviranno per due notti, quindi faccio svelto. Tempo di una doccia ed usciamo. Ci troviamo con Lara e Michele nella Plaza de Armas. Andiamo a cena da Morena (prenotato tre giorni fa, abbiamo aggiunto oggi, passando di persona perché non rispondono al telefono, altre due persone). Il cibo è buono. Prendiamo una zuppa di pollo, una di zucca ed una cevice con ovviamente la birra (Soles 140 – € 35). Quando usciamo andiamo in un bar a prendere un pisco sour e rimaniamo fino a mezzanotte a chiacchierare. Mai fatto così tardi in tutta la vacanza, come queste due sere, ma la compagnia meritava.

 

16) 15 agosto 2022 lunedì: Cusco / Puerto Maldonado

Alle 4.30 arriva il nostro taxi che per Soles 20 – € 5 ci porta in aeroporto. Il volo parte puntale alle 7. In poco più di 1 ora siamo a Lima, facciamo colazione ed attendiamo due ore prima di imbarcarci nuovamente. Dopo 1 ora e 40 atterriamo a Puerto Maldonado. Abituati alle temperature delle Ande, i 30° con un tasso di umidità del 95% ci tolgono il fiato. Il vaccino della febbre gialla non è richiesto ma consigliato, come pure l’antimalarica. Il vaccino lo avevamo fatto per andare in Uganda, quindi ho il libretto ma non lo chiede nessuno. L’antimalarica non la facciamo neppure per andare in Africa quindi ovviamente qui, per soli due giorni, non l’abbiamo neppure presa in considerazione. Troviamo subito la referente del nostro hotel. Ci portano con un piccolo pullman ad un deposito dove lasciamo le valige e poi andiamo al porticciolo sulle rive del Rio Madre de Dios, un affluente del Rio delle Amazzoni. Saliamo su una canoa a motore che in 20 minuti ci porta in hotel. La vegetazione sulle rive è fitta. Nell’acqua ci sono i pirana, le anaconde ed i caimani. Sulla terraferma ci sono i giaguari. Noi ovviamente non vediamo nulla, il fattore “lato B” fa tanto.

Pernottamento: Hotel Inkaterra Hacienda Conception – full board – $ 400 – € 400

https://www.inkaterra.com/inkaterra/inkaterra-hacienda-concepcion/the-experience/

Per due giorni faremo i passivi in tutto. Qui è ogni cosa è organizzata nel minimo dettaglio. Ci sono diverse attività che occupano ogni momento delle giornate. I pasti e gli snack sono tutti inclusi. Si mangia molto bene. Non sono comprese solo le bevande.

 

Informazioni sulla Foresta Tambopata.

La foresta pluviale è in un territorio con precipitazioni annuali elevate, crescita fitta di piante e temperature elevate. È habitat naturale per due terzi dei vegetali ed animali del mondo. Si dice che ci siano ancora tantissime specie da essere scoperte in questo ambiente. La Riserva Nazionale di Tambopata è una delle poche foreste pluviali tropicali ancora vergini e facilmente accessibili. La riserva, con la sua area di 274.690 ettari, è nota per la sua grande biodiversità così come i suoi magnifici paesaggi naturali. Puerto Maldonado, noto come il “Capitale della biodiversità”, è la città più grande della regione di Tambopata. Si trova alla confluenza dei fiumi Tambopata e Madre de Dios. Si trova a 400 metri sul livello del mare. Sebbene la foresta pluviale sia nota per ospitare un vasto numero di specie, gli animali tendono a nascondersi dalla presenza umana, rendendo difficili gli avvistamenti. La ricchezza del bacino amazzonico crea uno scenario spettacolare per il birdwatching e altre attività eco-compatibili. Circa 590 diverse specie di uccelli, tra cui tucani, tanager, pigliamosche e coloratissimi are, sono stati avvistati in giro per la riserva. A causa del clima tropicale della regione è comune osservare tanti tipi di insetti.. Le foreste pluviali tropicali sono state chiamate i “polmoni della terra per la produzione di ossigeno e le “farmacie più grandi del mondo”, per via delle molte erbe medicinali che si trovano lì. Nell’acqua vivono pirana ed anaconde, sulla terraferma giaguari, tarantole e tanti altri animali.

Arriviamo alle 14.30. La struttura è molto bella. Ci sono 25 chalet nascosti nella vegetazione. La struttura principale, dove ci sono 5 camere, è tutta in legno e completamente chiusa da zanzariere. Ha due piani, al primo c’è il ristorante mentre al secondo c’è una zona relax con  divani e poltrone. In alcuni momenti della giornata e della notte, la corrente viene tolta. Andiamo subito a pranzo. Ci saranno sempre un antipasto, un piatto principale ed il dolce, tutti a scelta. Ci sistemiamo in camera ed alle 16 abbiamo appuntamento nella struttura delle attività, per le spiegazioni. Le guide sono tutte molto preparate. Per ogni cosa spiegano come bisogna vestirsi e cosa bisogna portarsi dietro. Chi viene qui, si ferma per 2 o 3 notti, non di più. Ci dividono in gruppi in base alla lingua. Noi saremo sempre con una coppia toscana e la nostra guida è Leon. Dire che è preparata è dir poco. Riconosce tutti i versi degli uccelli. E’ un’enciclopedia vivente. Ci dice che prima era un bracconiere, andava a caccia da quando era bambino, poi ha capito che il turista porta soldi e viene qui solo se c’è qualcosa da vedere. Quindi è passato dalla parte opposta. Il discorso è lo stesso dell’Africa. Anzichè uccidere i rinoceronti per pochi soldi (perché il corno vale cifre esorbitanti ma a loro arrivano pochi dollari) è meglio preservarli così i turisti arrivano per vederli, pagano i lodge (dove tanta gente trova lavoro) e pagano le guide. L’introito è sicuramente maggiore ma il soldo immediato fa più gola.

Dicevo di noi. Andiamo all’incontro dove ci danno info su come verranno organizzati i prossimi due giorni e poi partiamo per una passeggiata nella proprietà. Abbiamo pantaloni lunghi e maniche lunghe e ci siamo spruzzati con l’antiparassitario, ma non vediamo zanzare. Leon ci spiega delle piante (la più bella è il fico perché ha delle radici aeree spettacolari), degli animali, degli insetti ecc. ecc. La mia curiosità più grande sono i pirana. Lui dice che le notizie che arrivano a noi da film e quant’altro sono solo fantasia. Loro fanno il bagno nel fiume e non vengono attaccati dai famosi assassini. Il rischio c’è se si ha una ferita. Idem sono le anaconde o i caimani. Il rischio grande sono gli insetti, più che altro la zanzara che porta la febbre dengue, che vive nelle cittadine e dove c’è l’acqua pulita, al contrario delle zanzare anophele della malaria. Se vieni punto una volta te la cavi. La seconda rischi tantissimo di morire. La passeggiata dura un’oretta. Vediamo le formiche siluro (pericolose) ed un roditore leggermente più piccolo del capibara. L’hotel non ha recinzioni quindi gli animali vagano liberi. Non oso immaginare, se non ci fossero le camere e la struttura ben protetta dalle zanzariere, cosa si rischierebbe di incontrare all’interno. Tornando vediamo un bradipo attaccato al ramo di un albero. Grandissima fortuna. E’ a 50 metri dall’hotel. Considerando che sono venuta qui per cercare di vederlo (ovviamente mi sarebbe piaciuto vedere anche l’anaconda ed il giaguaro, ma non potevo pretendere tanto) posso dire che questo avvistamento ha giustificato alla grande il fatto di essere venuta a Puerto Maldonado. Andiamo alla struttura principale a bere un the e mangiare della torta. Un minimo di relax ed una doccia e alle 19, con il buio pesto (ci hanno fornito delle torce), andiamo alla struttura delle attività. Andiamo alla canoa e navigheremo un’oretta vicino alla riva. Vedremo diversi caimani, alcuni nell’acqua ed altri sulla riva, ed un bellissimo capibara, il cibo preferito del giaguaro. Torniamo poi all’hotel in tempo per la cena. Altra doccia, anche se dopo 5 minuti sarebbe il caso di farne un’altra, e poi si va a dormire.

17) 16 agosto 2022 martedì: Puerto Maldonado

Facciamo colazione alle 5.30 ed alle 6.00 siamo in canoa. Navighiamo per una mezz’oretta godendoci l’alba che colora tutto di rosa. La nebbiolina rende tutto più affascinante. Ormeggiamo sulla riva e ci incamminiamo verso il lago Sandoval. La camminata è tutta su una passerella il legno rialzata da terra una ventina di centimetri. Siamo circondati da una vegetazione lussureggiante, da scimmie che urlano ed uccelli che cantano. Vediamo diversi pappagalli. Uno è grandissimo. Vediamo due tarantole nella tana sottoterra (sono animali notturni ed escono solo di notte quindi noi le intravediamo nel buco), altri tipi di ragni e formiche. Percorriamo con calma i 3 km che ci separano dal lago. Impiegheremo circa un’oretta. Arriviamo dove sono ormeggiate delle piccole canoe. Leon rema. Siamo sempre noi 4 italiani. Usciamo dalla vegetazione ed arriviamo al lago. Sulle rive ci sono palme molto alte. Bell’ambiente. Costeggiamo un lungo tratto dove vedremo molti uccelli come i cormorani ed altri tipi dei quali non ricordo il nome, caimani e tartarughe con le farfalle arancioni appoggiate sul carapace e sul muso. Dopo un’oretta torniamo indietro. Escursione piacevole e rilassante. Ci incamminiamo per tornare alla canoa. A metà strada Leon ci chiede se vogliamo fare una cosa diversa rispetto a quello che fanno gli altri. Lo ha chiesto perché ha capito che ci piace l’avventura. Propone di tornare al lodge a piedi da qui passando tutto nella foresta. Il sentiero non ha la passerella. E’ proprio un sentiero in mezzo al nulla. Tutti accettiamo all’istante ma quando ci dice che c’è il rischio molto alto, camminando con la vegetazione che ci può arrivare addosso, di trovarci sul corpo qualche zecca, accantoniamo l’idea. Evitiamo di andare a cercarci grane visto che siamo dall’altra parte del mondo. Il morso della zecca è molto pericoloso se è infetta. Peccato, ci sarebbe piaciuto molto. Arriviamo alla barca e alle 10.30 siamo in hotel. Relax, pranzo e alle 14.30 ripartiamo. Pier rimane in camera perché quello che andiamo a fare (ponti sospesi) non gli piace particolarmente e quindi ne approfitta per riposarsi, dopo il tour de force dei giorni scorsi. Facciamo una mezz’oretta in barca. Al nostro arrivo (ormeggiamo sempre sulla riva) troviamo una torretta il legno molto alta. Saliamo fino alla sommità, siamo oltre le piante. Credo a 10 metri d’altezza. Iniziamo quindi il percorso sui lunghi ponti. Passiamo uno ad uno. Bello. Qui si hanno grandi possibilità di vedere i bradipi, ma nulla. Alla fine del percorso c’è una casetta in legno. Si può pernottare qui. Ci sono due amache per dormire, portano un wc mobile, la doccia ovviamente non c’è e la cena viene servita sulla torretta di fianco, dalla quale poi noi scendiamo. Leon ci dice che costa sui 500 € tutto il pacchetto. Non si rimane da soli perché, a terra, c’è una guardia per sicurezza. Torniamo al lodge per le 16.30. Solita trafila con merenda, doccia, aperitivo con il pisco sour e patatine fatte con banane fritte e alle 18 si riparte. Questa volta camminiamo nella proprietà ma con il buio pesto, così Leon ci può mostrare come cambia la foresta dal giorno alla notte. In realtà vedremo diversi animali. Come primo un ricchio (da noi vivono per terra ma qui sono sugli alberi), poi una sorta di cicala gialla enorme (ci dice che è una gran fortuna averla vista), diverse rane e poi il pezzo forte, una tarantola su un ramo. Io sono aracnofobica a mille ma mi piace vedere gli animali nel loro ambiente quindi anche si mi fa schifo, la guardo e la fotografo. Credo che il mio ribrezzo sia inversamente proporzionale alle dimensioni. Più sono piccoli più mi danno fastidio. Questa invece la guardo con interesse. Prima di avvicinarci Leon ci ha fatto spegnere le torce. Non essendoci la luna ed essendo nella vegetazione fitta, il buio è pazzesco. I rumori e i versi degli animali hanno venire la pelle d’oca. Leon accende all’improvviso la torca indirizzandola su un ramo vicino a noi. Ed eccola, immobile e, onestamente posso dire, bella. Tempo di fare una foto ed un video col telefono e torna nella tana. Bella esperienza. Di zanzare neanche l’ombra. Andiamo a cena e poi meritato riposo.

Pernottamento: Hotel Inkaterra Hacienda Conception – full board – $ 400 – € 377

https://www.inkaterra.com/inkaterra/inkaterra-hacienda-concepcion/the-experience/

 

18) 17 agosto 2022 mercoledì: Puerto Maldonado / Lima

Avendo il volo al pomeriggio, facciamo ancora un’attività, solo noi 4 con Leon. Prendiamo una piccola canoa e facciamo un giro su un ramo del fiume. Anche qui vediamo uccelli e tartarughe. Ci fermiamo vicino ad una pianta e mi cade l’occhio su una decina di gobbette attaccate al tronco. Sono disposte in verticale e tutte alla stessa distanza una dall’altra. Devo aver fatto una faccia strana, perché Leon ride e mi dice che sono pipistrelli. Non l’avrei mai inteso. Li guardo con il teleobiettivo ed effettivamente hanno gli occhietti e le ali piegate. Sono vicini ma ad occhio nudo, essendo piccolini, non riuscivo a distinguere i dettagli. Carinissimi. Facciamo poi due passi a piedi fino ad un nascondiglio in legno e zanzariere, che si affaccia su una pozza d’acqua. Leon ci dice che qui vengono a volte con i turisti, di notte, ad aspettare gli animali. Torniamo poi all’hotel. Troviamo una decina di scimmie con i piccoli attaccati alla pancia, che fanno un gran baccano, a pochi metri dalla struttura principale. Faccio delle belle foto. Pranziamo. Questo pasto non è compreso e costerà Soles 200 – € 50. Prima di partire paghiamo il conto delle bevande (Soles 240 – € 60). Raggiungiamo la canoa che ci porterà al porto di Puerto Maldonado dove ci attende il pullmino. Andiamo al deposito a recuperare i borsoni e alle 14.30 puntuali siamo in aeroporto. Il volo parte puntuale alle 16.30 e arriviamo a Lima dopo 1 ora e mezza. Prendiamo un taxi che ci porta al nostro hotel (Soles 50 – € 12,50, una follia) che è vicinissimo all’aeroporto.

Pernottamento: Holiday Inn – B&B –  € 154

https://www.ihg.com/holidayinn/hotels/us/en/lima/limap/hoteldetail?cm_mmc=GoogleMaps-_-HI-_-PE-_-LIMAP

Sistemo per l’ennesima volta i borsoni mettendo dentro tutte le cose usate in Amazzonia. Non abbiamo voglia di cercare un ristorante fuori e di prendere di nuovo il taxi quindi ceniamo nell’hotel (Soles 200 € 50). Molto impersonale ma buono. Domani abbiamo una levataccia di nuovo quindi andiamo subito a dormire.

19) 18 agosto 2022 giovedì: Lima / Casa

Facciamo colazione poi con la navetta dell’hotel andiamo in aeroporto. Inizia quindi il lungo viaggio di ritorno. Se all’andata c’è sempre l’entusiasmo del viaggio quindi, anche se sono tante ore, passano veloci, il rientro invece è sempre pesantissimo. Partiamo alle 9 e dopo quasi 7 ore atterriamo ad Atlanta. Ceniamo con un panino ed un’insalata terribili. Dopo 6 ore di scalo ripartiamo.

 

20) 19 agosto 2022 venerdì

Il volo fino ad Amsterdam dura 8 ore e mezza. Dopo 4 ore si riparte e finalmente dopo 1 ora e mezza siamo a Malpensa.

Cos’altro dire? Torniamo super soddisfatti da questa avventura. Tornassi indietro rifarei tutto esattamente come l’abbiamo organizzato. E’ andato tutto bene e senza nessun intoppo.

Il Perù ci ha lasciato bellissimi ricordi. Ricorderemo i paesaggi meravigliosi, il cibo ottimo ma soprattutto i grandi sorrisi e la gentilezza di un popolo davvero ospitale. Mariluz ed Henry di Amantani avranno un posticino solo per loro nella nostra mente e nel nostro cuore.

Alla prossima!

Anna e Pier

PS: Se volete vedere farvi un’idea di come siano i posti, guardate il filmino che ho fatto con le mie foto

 

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Kythnos e Serifos, cosi’ vicine cosi’ lontane

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Anche quest’anno, visto che prenotiamo sempre le vacanze estive con grande anticipo e al momento di decidere il futuro era ancora incerto causa pandemia, la scelta è caduta di nuovo sulla Grecia. Più precisamente scegliamo le Cicladi occidentali. A lungo indecisa tra Kea, Kythnos, Serifos e Sifnos alla fine opto per una settimana a Kythnos e una a Serifos, ritagliandomi poi tre giorni per una bella visita ad Atene al rientro. Contatto alcune strutture, decido per le due che più rispecchiano i miei desideri (e che purtroppo si rivelano anche un po’ care) e invio gli acconti. Un secondo dopo mi accorgo di aver combinato un bel guaio. Sì perché pur essendo vicinissime queste isole non sono affatto ben collegate tra di loro. O meglio lo sono a due per volta, cioè Kea con Kythnos e Serifos con Sifnos ed è bene tenerlo presente se si desidera viaggiare tra una e l’altra. Le due scelte da me sono collegate solo dalla compagnia Zante Ferries e non tutti i giorni, quindi ho dovuto attendere l’uscita degli orari estivi a Maggio per sapere se avrei dovuto o meno stravolgere il mio programma. Altra cosa importante da ricordare riguarda il noleggio di un mezzo, soprattutto a Kythnos, in quanto la disponibilità di auto e scooter è scarsa è conviene prenotare con largo anticipo. Anche qui ho avuto il mio bel da fare perché nessuno rispondeva alle mie richieste telefoniche o via e mail.

Insomma quando il cielo ha voluto sono riuscita a sistemare tutto e a tirare un sospiro di sollievo quando ho visto che il giorno in cui avrei dovuto passare da un’isola all’altra c’era la nave.

KYTHNOS

Dopo aver sentitamente ringraziato Ryanair per essere atterrati ad Atene con due ore di ritardo, col cuore in gola ci precipitiamo all’uscita dove fortunatamente il taxi che avevamo prenotato è ancora in attesa e con una folle corsa raggiungiamo il porto e riusciamo a prendere il traghetto. Kythnos si raggiunge comodamente dal porto di Lavrio in meno di due ore, noi abbiamo acquistato i biglietti con Goutos Lines . Il porto di arrivo è Merichas ed è anche il luogo dove abbiamo scelto di soggiornare. Si tratta di un piccolo paesino tranquillo ma con tutti i servizi e un minimo di movimento la sera con alcuni ristoranti e qualche negozio. Le aspettative che avevo per l’alloggio scelto sono state ampiamente soddisfatte: Kontseta Guesthouse è un edificio con alcuni appartamenti nella parte alta del paese proprio sul porto. Noi avevamo scelto quello all’ultimo piano, un po di fatica per salire la lunga scala ma ampiamente ripagata dalla grande terrazza privata con vista fantastica sul paese inondato di luce di giorno e illuminato di sera, ma soprattutto sul tramonto. Esattamente ciò che cercavamo da alcuni anni.

A Kythnos serve un po di tempo per raggiungere le spiagge, specialmente quelle al sud, bisogna sempre passare dalla Chora o da Dryopida, i due paesi principali, percorrendo strade che girano e rigirano su e giù per le montagne, ma sono strade con pochissimo traffico e la fatica è ampiamente ripagata da panorami meravigliosi. E’ un’isola tranquillissima, fortunatamente ancora non presa d’assalto, frequentata prevalentemente da Greci, pochi i turisti internazionali, Italiani ne avrò visti una decina in tutta la settimana.

Queste sono alcune delle sue tranquillissime spiagge:

KOLONA

La più famosa, praticamente l’emblema dell’isola, si raggiunge con uno stretto sterrato ma ci sono anche taxi boat che fanno la spola dal porto. A onor del vero è stata uno dei motivi che mi ha fatto scegliere Kythnos, avevo visto delle foto e mi ricordava tanto la meravigliosa Simos Beach di Elafonnissos vista l’anno scorso. Anche se non a quei livelli resta comunque molto bella, una sottile lingua di sabbia collegata ad un piccolo isolotto con mare limpido a destra e a sinistra, rimane solo l’imbarazzo della scelta della parte in cui tuffarsi. Ovviamente vista la sua fama è anche la spiaggia più frequentata.

GAIDOUROMANTRA

La strada per raggiungerla è lunga e complicata come il suo nome, contrariamente alle altre spiagge non è segnalata. Si trova nell’estremo sud dell’isola, si svolta praticamente nel nulla e si percorre un lunghissimo sterrato in discesa che fino all’ultimo fa pensare di aver sbagliato strada. E c’è pure una bella scalinata alla fine. Ma quando si arriva ecco il premio. Bella, selvaggia vuota, con acqua limpidissima e una leggera brezza.

LOUTRA

Piccola località nella parte nord occidentale famosa per le sue sorgenti termali. Attirati da questo ci siamo andati una mattina. La spiaggia davanti al paese non è eccezionale ma rimane comunque piacevole per trascorrere qualche ora. La particolarità è il piccolo torrente di acqua termale caldissima che sfocia in mare e le cui acque sono state imprigionate da un cerchio di pietre in modo da formare una rudimentale vasca . Divertente stendersi dentro. Sì, ci si ustiona ma io mi sono divertita. Poi si può sempre fare il bagno nei pressi dove l’acqua è tiepida.

SIMOUSI

Quando il destino decide per te. E ci azzecca. In un pigro pomeriggio decidiamo di raggiungere una spiaggia non troppo lontana. Scegliamo Aghios Ioannis e ci affidiamo completamente al navigatore. In effetti la strada che percorriamo è davvero tanta ma continuiamo imperterriti ad andare avanti, anche quando iniziamo uno sterrato sospetto. E’ ormai troppo tardi quando ci accorgiamo che è lo stesso che avevamo percorso per andare a Gaidouromantra. E quando il navigatore ci dice che siamo arrivati capiamo che ci ha portato alla chiesetta di Aghios Iioannis, all’estremità sud dell’isola, non alla spiaggia. Pazienza, c’è un cartello diroccato che indica Simousi beach, proviamo e scopriamo un altro paradiso nascosto. Con la luce del tramonto, il mare che sembra un lago e pochissima gente si sta che è una favola.

FLAMPOURIA

Altra bellissima scoperta. Essendo una delle spiagge in cui si arriva agevolmente pensavo di trovarla affollata, invece nel pomeriggio era vuota. Come tutte le altre spiagge non è organizzata, quindi anche qui solo mare ed alcune tamerici se si cerca un po’ d’ombra. Un breve sentiero lastricato porta alla chiesa di Panagia Flampouriani che divide in due la spiaggia.

NAOUSA

Si raggiunge facilmente, strada asfaltata e piccolo parcheggio all’arrivo. Anche questa selvaggia e solitaria, con acque limpide.

Dalla parte sinistra della spiaggia parte un sentiero che porta ad una chiesetta su di un isolotto, molto romantica, mi ha vagamente ricordato quella di Mamma Mia a Skopelos.

I paesini principali sono carini, anche se non reggono il confronto con tanti altri visti in Grecia. In particolare la Chora, non colpisce tanto vista da lontano, ma una volta arrivati si scopre un delizioso intrico di vicoletti curatissimi all’ombra di bouganville. Ci ha colpito meno Dryopida, adagiata in una valle nascosta a chi arriva dal mare, dove spicca solo la grande chiesa .

KANALA

Ho tenuto Kanala per ultima perché abbiamo un ricordo particolare di questo paesino. Al di là di belle spiagge e terrazze panoramiche, amiamo molto, quando è possibile, immergerci nella cultura locale, osservare le usanze delle persone del posto, e in questo paesino abbiamo avuto l’occasione perfetta. A Kanala sorge un piccolo monastero sotto l’unica pineta dell’isola, dove il 15 di Agosto si celebra l’Assunzione con una processione. La proprietaria dell’appartamento ci ha dato una dritta, dicendoci di andare anche la sera della vigilia, quando ci sarebbero stati i veri festeggiamenti. Abbiamo seguito il consiglio ed è stato bellissimo. Ci siamo ritagliati un piccolo angolino e siamo rimasti ad osservare. Il sagrestano che distribuiva il pane benedetto, il pope che si preparava per la messa, il sagrato apparecchiato con lunghe tavolate, la gente che arrivava elegantissima, e poi enormi vassoi di cibo, e poi musica, e poi danze folkloristiche e poi risate ed applausi. E bambini sudatissimi che si rincorrevano e si divertivano. Il tempo di rientrare e dormire che già eravamo in sella la mattina dopo per andare a vedere la processione, che culmina con la benedizione delle barche che sfilano in un carosello di fumogeni e sirene davanti all’icona della Madonna.

Alla fine di tutto ci siamo rilassati nella bella spiaggetta del paese.

E’ stato difficile lasciare Kythnos. Ero partita con qualche dubbio, è un’isola poco conosciuta e per la quale ho anche faticato a trovare informazioni, ma alla fine è stata perfetta per i nostri gusti. Tranquilla, poco movimento, spiagge quasi tutte non attrezzate, ritmi lenti e paesaggi sorprendenti. Nonostante ami tutta la Grecia preferisco cambiare sempre destinazione, ma questo è uno dei rari posti in cui tornerei una seconda volta.

SERIFOS

Anche il traghetto che ci deve portare da un’isola all’altra è in ritardo. Pazienza, quest’anno va così. Finalmente nel primo pomeriggio sotto un sole cocente ed in mezzo ad un caos incredibile sbarchiamo a Serifos. Che differenza! Immediatamente però siamo rapiti dalla bellezza della Chora che dalla cima della collina sembra colare lentamente fin giù al porto.

Qui abbiamo realizzato un altro desiderio (purtroppo anche questo non proprio economico): l’appartamento sulla spiaggia.

Galazio Seaside è un piccolo complesso di appartamenti letteralmente sulla sabbia di Livadakia, la bella spiaggia accanto a Livadi, il paesino del porto. Va da se che ogni pomeriggio lo abbiamo pigramente trascorso qui, attendendo che anche l’ultimo raggio di sole se ne andasse.

Le mattine sono invece state dedicate alle spiagge ad est e sud dell’isola, grati per la fortuna che abbiamo avuto di incontrare giornate fantastiche mentre fino al giorno prima del nostro arrivo il Meltemi aveva letteralmente rovinato le vacanze degli sfortunati turisti.

Premetto che le spiagge di Serifos, a onor del vero, ci sono sembrate più belle delle precedenti, i colori qui sono veramente eccezionali. Ma sono anche decisamente più affollate.

PSILI AMMOS

La più conosciuta, sicuramente tra le più belle, sicuramente molto frequentata. Si lascia lo scooter sulla strada e si scende tramite una lunga scalinata. Un paio di taverne e tante tamerici, molto ambite per l’ombra. Sabbia fine come borotalco, acqua azzurra che degrada lentamente.

PLATIS GIALOS

Scegliamo la più lontana da Livadi, pensando di trovare meno persone. Il tempo di un bagno e si riempie. Ecco dov’erano finiti tutti gli Italiani che non vedevo a Kythnos!

Anche questa spiaggia comunque è bellissima, ma le tamerici sono poche e la caccia all’ombra è spietata. Quando lasciamo la spiaggia facciamo una visita al vicino monastero di Taxiarchos, risalente al 1500, con una bellissima chiesa e un monaco a guardia che vieta tassativamente di scattare foto.

AGHIOS SOSTIS

Rischiamo di ribaltarci con lo scooter sull’ultimo ripido tratto del sentiero che va in spiaggia dove c’è chiaramente scritto “divieto di accesso-solo pedoni”. Dei geni proprio. A parte questo inizio brillante troviamo la solita bellissima spiaggia con sabbia dorata e acque turchesi. Qui, come nelle altre, se si arriva presto è possibile nuotare con maschera e boccaglio in compagnia di tantissimi pesci. Ma anche qui, come nelle altre, dopo un po’ arrivano tante persone.

Le due spiagge che abbiamo visitato nel lato sud, GANEMA e VAGIA non ci hanno particolarmente colpito, pur essendo comunque piacevoli e con acqua bellissima. Volendo nel versante sud si può proseguire per vedere i resti di un’antica miniera.

Infine la Chora. Quattro chilometri di tornanti e una strada d’ingresso di grande impatto, caratterizzata da una fila di antichi mulini e la bella piazzetta con la chiesa ed il municipio.

Ma subito fuori da qui in realtà non c’è molto. Soprattutto la sera la Chora è presa d’assalto. Non si trova posto nei bar che riempiono la piazzetta e i pochi ristoranti che ci sono, così come quelli giù al porto, hanno sempre lunghe file davanti. Avevo letto che Serifos era una perla nascosta delle Cicladi, autentica, non ancora troppo conosciuta e raggiunta dal turismo internazionale. Così purtroppo non è stato. Sicuramente un’isola bellissima. Sicuramente non quella in cui desidero tornare.

ATENE

Un ultimo traghetto, puntualmente in ritardo, ci porta nel cuore della notte (dopo una sosta a Kythnos e un tuffo al cuore rivedendo il nostro appartamento) al Pireo. Due giorni e mezzo per vedere il più possibile di Atene. In realtà ci eravamo già stati tanti anni fa ma con una gita in giornata mordi e fuggi che ci aveva lasciato una gran voglia di tornare. Stavolta cerchiamo di fare le cose per bene. Siamo partiti da casa con i biglietti d’ingresso per l’Acropoli (cumulativo), il Museo dell’Acropoli e il Museo Archeologico Nazionale. Alloggiamo all’Acropolis View, hotel carino in posizione strategica (visiteremo tutto a piedi) e con fantastica terrazza vista Partenone.

1° GIORNO

All’orario di apertura siamo già pronti per entrare nel sito dell’Acropoli. Come la prima volta siamo affascinati dai tesori di questo luogo e, anche se ci sono tanti lavori in corso, è sempre un’emozione unica, con una vista a 360° sulla città. Purtroppo anche stavolta non possiamo accedere al teatro di Erode Attico in quanto stanno allestendo uno spettacolo, chissà forse ci rifaremo con una futura terza visita .

Scendiamo dall’Acropoli e raggiungiamo l’Antica Agorà (inclusa nel biglietto cumulativo). Ovviamente anche questa visita è estremamente interessante, particolarmente per il Tempio di Efesto, il tempio meglio conservato in Grecia.

Sapevo che Atene ad Agosto non avrebbe regalato temperature piacevoli, cosi, al momento dell’acquisto dei biglietti dei musei, ho scelto le fasce orarie centrali del giorno. Perfetto per sottrarsi alla calura della città e passare alcune ore al fresco, rapiti da reperti archeologici unici. Nei musei si trovano poi caffetterie per una veloce pausa pranzo.

Il Museo dell’Acropoli, che quando lo avevamo visitato anni fa era all’interno del sito, ora sorge all’esterno, in una struttura funzionale e moderna che, se possibile, valorizza e aggiunge ancora più fascino ai reperti esposti. Visita imperdibile.

All’uscita ci rechiamo al Tempio di Zeus, ma è completamente coperto da strutture e ponteggi, non si vede proprio niente così ci spostiamo a Piazza Syntagma per provare a vedere il cambio della guardia. Quando arriviamo è terminato da un minuto. La prima parte della giornata è andata benissimo, ma la seconda non è iniziata nel migliore dei modi. E prosegue anche peggio. Ci dirigiamo verso la grande e la piccola Mitropoli e dopo averle visitate, mentre ci riposiamo su di una panchina, per un soffio sventiamo il furto dello zainetto, anzi ci rendiamo conto che sono persone che ci seguono da un po’ e continuano a seguirci anche quando andiamo a visitare la Biblioteca di Adriano, nei pressi di piazza Monastiraki. Ci innervosiamo parecchio quando li vediamo appostati fuori ad attenderci e notiamo che ci sono diversi gruppetti di due o tre persone che stanno riservando lo stesso trattamento ai turisti. Purtroppo la visita è rovinata, non riusciamo ad apprezzare ciò che vediamo quindi rientriamo velocemente in hotel. Una bella doccia e un’oretta di riposo, ma soprattutto i documenti e i soldi riposti in cassaforte, ci rimettono in sesto.

Quando usciamo andiamo verso Anafiotika, un piccolo quartiere alla base dell’Acropoli fondato da persone proveniente da Anafi, infatti sembra di passeggiare tra i vicoli di un’isoletta delle cicladi. Inutile dire che questo ci fa tornare subito il sorriso.

Proseguiamo verso la Plaka, tra le sue scalinate e i suoi ristorantini e ci troviamo all’ingresso dell’Agorà Romana con la famosa Torre dei Venti. Anche questo sito è incluso nel biglietto cumulativo e visitarlo con la luce del tramonto e con pochissima gente è stato veramente piacevole.

Continuiamo a passeggiare tra i tantissimi negozi del centro ed arriviamo di nuovo a Monastiraki, praticamente l’ombelico di Atene. Gira e rigira si finisce sempre qui.

Per cena scegliamo di andare a Psirri, quartiere particolare un po trasandato che di giorno potrebbe lasciare perplessi, ma che la sera si trasforma. Un’infinità di ristoranti e localini, tante luci, tanti giovani. Ceniamo in un locale con un bel giardino rigoglioso, una fontana e dei bravissimi musicisti. Con una piacevole passeggiata rientriamo in hotel, accompagnati dalla sagoma del Partenone illuminato. Bellissimo.

2° GIORNO

Nel biglietto cumulativo è incluso anche l’ingresso al Ceramico, il cimitero dell’antica Atene. Sorge in zona leggermente decentrata e non si tratta di un luogo imperdibile, ma se si ha un po di tempo vale una breve visita, specialmente nella totale pace del primo mattino.

Peccato che fosse chiuso il museo, forse la parte più interessante grazie a qualche pezzo importante. Ci incamminiamo in direzione Museo Archeologico Nazionale e a metà strada facciamo una sosta al Central Market, con i pittoreschi mercati della carne e del pesce. Finalmente entriamo al museo, che aspettavo di visitare da tantissimi anni, da quando, a Micene, con grande delusione, ho scoperto che la maschera di Agamennone che stavo ammirando era solo una copia. E dopo tanto tempo eccola qua la maschera, pronta ad accogliermi all’ingresso.

Tre ore abbondanti volano, rapiti dai tesori del museo e alla fine una breve sosta nella caffetteria ci sta proprio bene. La giornata termina senza un programma preciso, passeggiando pigramente tra negozi e vicoli, sempre nei dintorni di Monastiraki e cenando di nuovo a Psirri, visto che la sera precedente eravamo rimasti molto soddisfatti.

3° GIORNO

Oggi si rientra, ma abbiamo tempo fino al primo pomeriggio per vedere qualcos’altro. E’ Domenica, alle 12 ci sarebbe il cambio della guardia con la cerimonia lunga, ma pensiamo che ci sarà troppa gente e troppo caldo quindi rinunciamo. Decidiamo di andare a vedere quella che viene definita la “Trilogia del Sapere”, cioè gli edifici di Accademia, Università e Biblioteca Nazionale per poi rientrare verso il centro.

Sulla strada del ritorno vediamo Piazza Syntagma gremita all’inverosimile, anche se ci sembra ancora presto. Ci avviciniamo per capire meglio e scopriamo che il cambio della guardia è alle 11 non a mezzogiorno come pensavamo, e incredibilmente due ragazze davanti a noi, a causa del caldo allucinante, se ne vanno. Ci troviamo così per puro caso in primissima fila giusto all’inizio della cerimonia. Cerimonia veramente bella, alla quale abbiamo assistito fino alla fine, nonostante il caldo ci abbia messo veramente alla prova.

Alla fine facciamo la fila al chiosco che vende bottigliette di acqua fresca, ci sediamo all’ombra per riprenderci e decidiamo che possiamo finire qui. Concludiamo la giornata, la visita ad Atene e la nostra vacanza in Grecia pranzando senza fretta in un ristorantino con vista sull’Antica Agorà, con lo sguardo che si perde tra le antiche colonne, i turisti accaldati e i banchi del mercatino delle pulci che si tiene qui la Domenica.

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Everest Base Camp: la mia storia……irripetibile!

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Everest Base Camp: la mia storia…irripetibile!

Quel sogno diventato realtà                                      

 

                                                                                              di giusep11      23sett – 09ott 2022

 

 

Premessa

Riuscire a toccare l’Everest Base Camp con trekking in solitaria senza guida né porter è una idea che covavo da tempo e che solo il Covid aveva parzialmente offuscato.

EBC. Si, il sogno di molte persone come me che si innamorano del mistero che avvolge la montagna, i luoghi, gli itinerari, la gente, l’aria che si respira, l’incognito e i grandi scalatori che hanno fatto la storia e che hanno calpestato gli stessi sentieri.

Perchè tutto questo, da dove nasce? Le origini possono essere diverse, ma credo che se c’è un elemento in comune è sicuramente la forza interiore che ti sussurra “anch’io ce la posso fare”, voglio mettermi alla prova, voglio vedere i  miei limiti. Non fa male.  Tutto questo può essere ancor più sottoposto ad esame facendo come me: partire soli, stare con se stessi, ascoltarsi, vivere nel silenzio dei propri pensieri, delle proprie ansie e paure, con uno schema nella mente di quello che si vuole fare e dove arrivare.

Ebbene si, dopo tanto studio e organizzazione accompagnato sempre da grande incertezza per tanti aspetti come quello del Covid, degli scioperi, etc. Dopo tante notti in cui sono andato a dormire alle 2 per mancanza di tempo, ecco che sono riuscito mettere a punto un viaggio che, forse, solo a pensarci metteva paura, ma che a mano a mano diventava sempre più familiare. Ovviamente ci si fa una miriade di domande che non troveranno risposta se non in loco per cui si parte pieno di dubbi ed incertezze che possono andare dalla grandezza dello zaino, al suo peso, al bording pass, all’assicurazione viaggio, etc. Per non parlare della fisicità ovvero della risposta dell’organismo allo sforzo in altitudine.

I tempi sono maturi e cominciano le riaperture tali da alimentare il coraggio di fare quel passo e così a Giugno 2022 mi metto a lavoro pur con delle inquietudini interiori e incertezze. Sono tante le soluzioni che devo trovare agli innumerevoli quesiti che mi pongo e che formano una figura poliedrica con sfaccettature multiple.

Comincio nel pensare a scegliere il periodo e soprattutto la lunghezza di quel segmento di tempo dentro il quale devo portare a termine la mia missione.

Il mio studio avviene esclusivamente su internet leggendo racconti altrui e captando info a 360° scremando tutto ciò che non mi era necessario e applicando sempre uno spirito critico avendo esperienza decennale in viaggi.

Attraverso i dati raccolti ho potuto intuire e fissare il periodo  e l’estensione del viaggio cristallizzando così un arco di tempo dentro cui costruire il viaggio.

Scelgo fine settembre e inizio ottobre appena un soffio prima dell’inizio dell’alta stagione che vede l’arrivo dell’orda massiccia di  viaggiatori incalliti.

Il secondo step era come utilizzare razionalmente il tempo soprattutto se prendere l’aereo per Lukla o meno tenendo presente che qualcosa potesse andare storto, ovvero tenere dei giorni cuscinetto per eventuali complicazioni soprattutto metereologiche, per cui metto il volo per Lukla all’andata e ritorno a Kathmandu con jeep.

I voli dall’Italia sono ormai costosi e per smussare i costi scelgo tratte indipendenti che mi limano le spese aereo del 35% anche se le soste invece che 1 diventano 2 e per ogni volo in più vi è un aumentato rischio di qualche cancellazione.

Gli aspetti da approfondire sono tanti e vanno dall’abbigliamento, all’assicurazione, all’alimentazione, alla valutazione dei rischi, al peso e grandezza dello zaino, cambio valute, allo studio dei percorsi con relative distanze  e caratteristiche. Ma passo dopo passo sono giunto al completamento del viaggio.

23 settembre

L’ora di partire è ormai giunta. Mi alzo molto presto per giungere all’aeroporto di Rimini da cui con volo Wizz arrivo a Tirana. È una giornata molto calda e le persone sono in spiaggia, faccio un giro, mangio qualcosa e alle 13 il primo volo parte puntuale. Avrei tempo per visitare il centro di Tirana in quanto l’aereo successivo è annunciato con molto ritardo, ma resto in aeroporto.

Finalmente si parte con 3 ore di ritardo con volo Wizz per Abu Dhabi.

24 settembre 

Al mattino presto con volo Air Arabia giungo nel primo pomeriggio a Kathmandu. Ero già stato qui qualche anno prima e trovo la situazione migliorata sotto vari aspetti.

Dall’Italia avevo già compilato on line la Visa on Arrival per cui mi reco al banco per pagare il visto per 30 giorni 50usd e rapidamente passo il controllo passaporti.

Con stupore mi accorgo che non occorre più la compilazione della Disembarkation card che avevo dovuto presentare la volta precedente. Il problema ora era il cambio dei soldi o il prelievo ATM? In entrambi i casi ci sono i pro e i contro, io nella fattispecie ho tentato il cambio fuori l’aeroporto ma senza successo in quanto le banche erano chiuse il sabato.

Torno in aerporto e cambio la somma prefissata a uno degli sportelli della zona arrival con tasso molto favorevole ovvero solo 1 rupia di differenza tra l’applicato e l’ufficiale: incredibile! Il tasso offerto era diverso tra i vari sportelli incontrati e quello migliore era l’ultimo verso l’uscita. Puntualmente ho chiesto la ricevuta.

Sempre nella zona arrival ho provveduto ad acquistare una sim Ncell per 700r con internet 20GB e traffico nazionale 80min valido per 15gg. Questo è molto utile soprattutto per usare whatsapp.

Esco dall’aeroporto e cerco un albergo proprio di fronte trovando un’ ampia scelta. Non ritengo di andare in centro in quanto al mattino dopo  avrei dovuto prendere l’aereo per Lukla. Per 1500r prendo una stanza con bagno e dopo aver mangiato un piatto di momo mi ritiro per riposare.

Note

  • nessuna fototessera richiesta
  • nessuna disembarkation card richiesta
  • nessun green pass
  • sim Ncell 700r

25 settembre

È il giorno topico, è quello della partenza, ovvero alle 9 è previsto il volo per Lukla. L’albergo è vicino all’aeroporto, tuttavia preferisco alzarmi presto perché vorrei anticipare sapendo che c’è un posto nel volo delle 7.30

Faccio colazione e mi reco nello stabile delle partenze domestic. All’arrivo il mio sguardo si leva per dare una sbirciata al monitor proprio all’entrata e subito l’angoscia sale perché vedo che non compaiono i voli prima di quello delle 12.

Passo i controlli e mi reco allo sportello di Yetiairline, chiedo del volo e mi dicono che devo attendere perché tutti i voli per Lukla sono sospesi per meteo avverso. Mi guardo intorno e vedo una platea di turisti ammucchiati in piedi e per terra che attendono anche loro di partire. Trovo in tutto questo un po’ di conforto sapendo di non esser il solo.

Il tempo passa inesorabilmente, i miei pensieri corrono verso l’idea di impossibilità di poter terminare il circuito prefissato in tempo utile venendomi a mancare 3 giorni che avrei guadagnato con l’aereo. La speranza di partire si assottiglia fino a svanire alle 12 quando arriva la notizia ufficiale della cancellazione totale dei voli. Ritorno al banco Yeti e dopo che la hostess mi ha comunicato la disponibilità di posto tra due giorni senza avere la certezza di poter partire, chiedo il rimborso immediato ed esco dall’aeroporto dove mi attende una pioggia monsonica di tutto rispetto. L’area adiacente l’ingresso va in tilt per tutte le auto che si mettono in movimento: è il delirio totale.

Finita la pioggia prendo il bus per Chabahil, ma il bigliettaio sbaglia e mi fa scendere a Pashupatinath e approfitto per visitarlo di nuovo. È sicuramente un posto da visitare dove tutto lo spirito induista si traduce in opere come la pratica delle pire per la cremazione dei defunti. Occorrono 1000r per l’entrata ma fortunosamente c’è una entrata laterale non controllata da cui si può accedere. Faccio un giro e approfitto anche per comprare qualche ricordino nei vari mercatini.

Con mototaxi, più veloce ed economico del classico taxi, mi reco a Chabahil per prenotare un posto in jeep per l’indomani presto con arrivo a Salleri, costo 2500r. Avevo avanzato anche l’ipotesi di fare il biglietto fino a Kharikhola  per 5500r, ma poi opto solo per Salleri.

A Chabahil non ci sono molte opportunità di alloggio e faccio fatica a trovare un albergo dignitoso che poi trovo per 2000r molto bello. Ceno e vado a dormire.

Note

A Chabahil non conviene fare il biglietto fino a Kharikhola, in quanto la jeep che porta fin lì non è la stessa ed è possibile che nessuno possa riconoscerti quel ticket pagato anche perché molte jeep sono solo privati e non di agenzie. Quindi occhio!

26 settembre

Sono le 4 del mattino e la sveglia annuncia un giorno nuovo. Mi alzo, preparo lo zaino e via esco quando è ancora buio verso Chabahil dove partono le jeep. Le strade non sono completamente vuote e cominciano ad animarsi.

Arrivo al botteghino dove ho acquistato il biglietto e chiedo della partenza, ma mi dicono di aspettare. Intanto prendo qualcosa da bere dalla signora col carretto per fare colazione. Dopo una lunga attesa il tipo del botteghino chiama il driver della jeep e gli viene comunicato che sta caricando merce e persone poco distante da lì. Raggiungiamo il posto e vediamo che le operazioni di carico sono in corso per cui ci accodiamo anche noi ponendo lo zaino sopra il portabagagli.

La jeep è animata da vari individui e parte solo a pieno carico, ovvero 4 anime dietro 4 al centro 2 davanti + il driver: totale 11 anime. Si possono fare tanti commenti su quale posto a sedere è meno peggio, ma posso dire che dietro è meglio evitare come anche i sedili centrali rispetto a quelli laterali. A me capita il sedile non esterno.

Intanto si parte alle 5.30 con 30’ di ritardo e lungo il tragitto cominciamo a conoscerci. Al mio lato c’è un ragazzo cinese che risiede in Canada mentre sulla destra vi è un chico argentino con la sua ragazza italiana che vivono in Spagna.

Le fermate sono numerose sia per soste food & toilet che per controlli di polizia nei vari check point che rallentano la corsa. Diciamo che il soggettone della jeep è il driver che lungo il percorso mette a nudo tutte le sue caratteristiche di discutibile ecletticità da guidatore poco raccomandabile a uomo multimediale con ricezione di telefonate multiple su diversi telefonini che lo accompagnano per tutto il viaggio, fino a dj-set allietandoci per tutto il viaggio con la medesima musica nepalese traditional a circuito chiuso ad altissimo volume da rimanere sordi. La strada per Salleri è molto lunga e sono tantissimi i tratti in cui il fondo stradale è al limite della praticabilità con aggiunta di rallentamenti dovuti alla formazione di code. Il confort all’interno è precario e personalmente posso dire che ho sviluppato vari dolori soprattutto ai glutei stando seduto metà su un sedile e metà sull’altro con altezze diverse: solo la sosta può dare ristoro alle parti doloranti. Ad ogni check point uno dei due ragazzi seduti davanti deve scendere per evitare contestazioni della polizia in quanto sarebbe permesso solo un posto a sedere e non due; passati i controlli il ragazzo viene ricaricato a bordo. Intanto arriviamo a Salleri verso le 18.00 e comincia a fare buio; cerco un’altra jeep per Kharikhola per sfruttare il tempo, ma a quell’ora non se ne trovano anche perché si arriverebbe a notte fonda.

Intanto i compagni di viaggio prendono ognuno una strada diversa e in un lampo spariscono tutti: chissà se ci rivedremo.

Decido di prendere una camera proprio nella guesthouse dove si è fermata la jeep e dopo aver cenato col  Dalbath vado a dormire.

Note

  • distanza kathmandu- Salleri 260km
  • jeep 2500r
  • tempo impiegato 11 ore
  • camera 500r
  • dalbath 200r

27 settembre

Mi alzo alle 6.30 senza fretta perché le jeep per Kharikhola partono tardi, faccio colazione e mi metto fuori per tastare la situazione partenze. I mezzi che partono sono di 2 tipi, abbiamo la jeep e il pick up che normalmente sono di privati che trasportano merci e persone. Dopo aver chiesto a varie persone il passaggio e aver ricevuto disponibilità, passa una jeep che mi invita a salire  e via parto senza indugio non considerando le promesse fatte agli altri. La strada per kharikhola è relativamente breve ma è in condizioni disastrose con discreto pericolo in termini di sicurezza. Le piogge monsoniche sono state notevoli e hanno determinato un dissestamento stradale notevole da rendere la strada al limite della praticabilità. Questa tratta rispetto alla precedente è ben peggiore anche perché sono stato messo nella fila dietro accusando un gran dolore alle ginocchia. Lungo la strada troviamo un trattore con rimorchio rovesciato, ma considerata la grande capacità e praticità delle persone a risolvere problemi di emergenza, non è stato necessario fermarsi per il soccorso. Il viaggio va avanti e tra un sobbalzo, uno scuotimento, una testata contro il finestrino e la cappotta, arriviamo in uno spiazzale nei pressi di Kharikhola e finalmente scendiamo.

La voglia di cominciare a camminare con le gambe è tanta, è ora di dire basta alla jeep inzeppate di corpi umani.

Sento le mie gambe che gridano vendetta e appena iniziato a camminare, mi giro e vedo la coppia della Spagna che erano con me nella jeep per Salleri e con un rapido saluto mi allontano. Il destino vuole che ci rincontriamo di nuovo in quanto loro avendo una guida hanno accorciato; insieme a noi si associa un’altra coppia spagnola e formiamo un gruppo.

Dopo consiglio di un locale ci addentriamo in un bosco segnato da un sentiero che accorcia molto e dovrebbe portare a Tamdanda. La scelta è stata pessima, appena entrati del bosco abbiamo trovato un livello di fango considerevole testimoniato dai locali incontrati che avevano gli stivali infangati sino alle ginocchia e per evitare di sporcarsi dovevano fare delle acrobazie aggrappandosi a tutte le piante che costeggiavano il sentiero. Non ci potevo credere, sembrava tutto irreale con l’aggiunta del sopraggiungere del buio. Nella poco fiducia che ne saremmo usciti bene, arriva il buio e via le torce frontali accese. Intanto la signora spagnola fa un numero da circo e cade con tutto il suo posteriore di tutto riguardo nel fango nero e con odore poco gradevole. Si continua, non possiamo fermarci anche se ci sono dei tratti difficili molto scivolosi e dopo mia richiesta di chiarimenti mi si dice che il tratto è solo per 500mt. Prima di perdere la speranza si intravede da non molto lontano una piccola luce che ha fatto risalire l’umore della truppa. Evviva ce l’abbiamo fatta, siamo salvi!

Ci dividiamo in diverse case guesthouse e troviamo vitto e alloggio anche se non c’è la corrente elettrica ma solo lampade a olio. Dopo una cena soddisfacente e la prenotazione della colazione all’indomani per le 5.30, ci laviamo con l’acqua del secchio soprattutto le scarpe in pelle e goretex per impedire che il fango formi la crosta dura e dopo una discussione, analizzando le mappe, con la coppia spagnola circa la possibilità di portare a termine il mio giro considerato i 3 giorni persi per volo cancellato, via a dormire sperando che all’indomani non avrei più incontrato sentieri del genere. Prima di chiudere gli occhi penso che ogni giorno deve valere per due altrimenti non ce l’avrei potuta fare. Intanto il target per l’indomani deve essere non meno di Monjo!

Note

  • partenza per kharikhola h. 7.30
  • costo 2500r
  • tempo impiegato 7h  – 35km
  • camera 300r

28 settembre

Durante la notte è quasi sempre un dormiveglia per i pensieri che affluiscono alla mente e per i suoni della natura come la pioggia, scorrimento dell’acqua dei fiumi con portate molto abbondanti dovuti alle piogge.

Suona la sveglia, mi preparo e faccio colazione alle 5.30 con pancake, omelette e black tea insieme agli spagnoli.

Sono pronto per iniziare il percorso da solo tra nebbia e pioggia. Saluto pensando di rivederli ancora, ma sarà l’ultima volta che li vedrò. Il mio pensiero è rivolto alle condizioni del sentiero, ovvero se sarà come quello del giorno prima o no. Copro gli zaini con custodia impermeabile e più tardi mi accorgo di aver perso la protezione dello zaino piccolo. I miei passi sono veloci e il percorso si presenta senza problemi particolari percorrendo un tratto molto lungo in discesa con gradoni in pietra e fango e già penso alla fatica che dovrò fare al ritorno ripercorrendola in salita. La pioggia finisce per oggi e lascia spazio al sole. Nella mattinata tardi comincia a fare caldo e la sete è sempre costante; comincio a pensare come approvvigionarmi di acqua. Varie sono le fontane lungo il percorso e la tentazione di berla è tanta, ma resto sempre frenato dalla paura che possa essere inquinata. Ho con me 2 piccoli flaconcini di ipoclorito e dopo aver riempito la bottiglia in una abitazione privata ne aggiungo 3 gocce. Lascio agire e comincio a bere. Ho la sensazione che la gola e lo stomaco mi bruciassero e cerco di aggiungere un integratore salino per migliorare l’aspetto organolettico, ma serve a poco. Da allora prendo coraggio e bevo senza aggiunta di ipoclorito assaporando la bontà di quell’acqua bevuta in grade quantità senza avere mai problemi. A mezzogiorno faccio pranzo con dalbath in un locale familiare in cui conosco un signore con cui discuto del percorso facendo presente l’esiguo numero di giorni a disposizione e mi traccia un suo prospetto fattibile nei giorni a me disponibili. Mi ricarico e ricomincio il percorso non senza farmi riempire la bottiglia di acqua. Sono a cavallo della giornata e il mio obiettivo è sempre presente nella mia mente, i villaggi vengono raggiunti e attraversati uno dopo l’altro  senza sosta. Durante il percorso raggiungo un check post dove mi viene chiesto il pagamento di 2000r per il Khumbu Pasanglahmu Rural Municipality e mi rilasciano una trekcard che mai più nessuno mi chiederà di esibire. Intanto tra sali e scendi il trekking va avanti e mi ritrovo nel tardo pomeriggio a Monjo. Qui c’è il secondo check post dove bisogna pagare 3000r per Entrance Permit – National Park.

Prima di partire avevo letto che alcune disposizioni locali non permettevano l’entrata a singole persone per cui vivo questi momenti con un po’ di ansia, infatti mi fanno delle domande se ho una guida, un porter o accompagnatori alle quali rispondo no. Menomale che non ho avuto problemi altrimenti erano guai, tuttavia ho capito che basta pagare che è tutto a posto.

Lascio Monjo per passare la notte nel villaggio successivo a poca distanza ma che si trova più in basso. Jorsale mi piace perché c’è aria di quiete e tanta disponibilità di alloggio. Chiedo una stanza alla prima lodge che incontro che mi propone 1500r all inclusive ovvero vitto e alloggio, ma rifiuto subito e vado oltre. Ne trovo un’altra subito dopo il ponte che con 100r mi dà una stanza. Per cena prendo dei nudles non in brodo spettacolari. Mi siedo fuori per respirare quell’aria quiete fresca e rilassante in una serata bellissima e penso di aver fatto un percorso incredibile. Prima di ritirarmi in camera avviso che prenderò colazione alle 5.30

Note

  • 2000r per Khumbu Pasanglahmu Rural Municipality
  • 3000r per Entrance Permit National Park
  • nessuna fototessera richiesta
  • possibilità di entrare singolarmente senza guida
  • distanza percorsa 32km calcolati con maps.me
  • stanza 100r
  • villaggi attraversati:  Tamdanda-Bupsa-Kare-Puya-Surke-Cheplung-Phakding-Monjo-Jorsalle

29 settembre

È una giornata particolare perché c’è molta attesa in quanto so di arrivare a Namche e da lì inizierà un’altra storia, cambieranno i paesaggi, la tipologia della natura, l’altitudine, e spunteranno le cime delle meravigliose montagne.

Faccio colazione con un thè in cui aggiungo delle proteine in polvere e mi metto in cammino. La salite per Namche è lunga e sfiancate con dislivello di 620mt, ma cerco di tagliare seguendo delle accorciatoie praticate dai porter e così che appena attraversato l’arco che segna l’entrata al villaggio guardo l’orologio e incredulo vedo che ho impiegato 2 ore. Tanto che non credendo ho chiesto l’ora a dei passanti  che mi hanno visto saltare dalla gioia increduli. Attraverso le varie stradine piene di negozi che vendono di tutto soprattutto articoli per la montagna, con ATM, exchage money che applicano tassi di cambio molto sfavorevoli, fino a portarmi lungo il sentiero che porta verso le direzioni EBC/Gokyo che incrocia anche il sentiero per il villaggio di Khumjung da cui si possono ammirare varie cime. Finalmente un sentiero privo di pietre e senza fango con una leggera pendenza. Lo si percorre velocemente e arrivati al Tenzin Norgay Memorial sono visibili cime come l’Everest se la giornata lo consente. Si continua attraversando il villaggio di Sanasa gremito di trekker e a seguire l’incrocio con il sentiero per Gorkyo in cui si decide se deviare per Tengboce o per Gokyo. Quasi tutti seguono la direzione classica per Tengboche ma io vado verso Gokyo seguendo un mio schema personale. La salita che mi aspetta è abbastanza lunga fino a Mong La dove pranzo presso una famiglia con un dalbath e riparto attraversando un lungo tratto tutto in discesa fino a Porthse Thanga, poi si attraversa un ponte e dopo una risalita arrivo a Porthse. Questa doveva essere la destinazione finale della giornata ma devo recuperare e non so ancora se ce la farò a raggiungere la meta per cui continuo.

Trovo una bella giornata di sole, i contadini sono nei campi per la raccolta delle patate e legumi, gli appezzamenti di terra sono recintati da muri di pietra(terrazze), gli animali sono al pascolo, si respira un’aria di tranquillità e si gode di un panorama splendido. Saluto cordialmente le persone al lavoro e chiedo più volte la direzione per la mia prossima tappa: Pangboche. Che peccato non poter sostare un po’ e godersi la tranquillità e la pace del posto. Ecco perché Phortse significa “terrazze soleggiate”.

Mi aspetta una discesa molto lunga a mezza costa e sappiamo che ogni discesa è una promessa che ci sarà una corrispondente salita. E’difficile trovare altre persone lungo questa tratta infatti sono completamente solo.

Note

  • percorso alternativo per Gokyo evitando la salitona per Tengboche , ma tuttavia sempre impegnativo
  • stanza 500r con possibilità di ricaricare free
  • villaggi attraversati: Jorsalle-Namche-MonLa-Phortse Thanga-Phortse-Pangboche

30 settembre

Questo giorno è il giorno della verità, ossia in base al percorso che riuscirò a fare posso stabilire con quasi certezza la possibilità di terminare il percorso.

La sveglia sempre alle 5 e si comincia a camminare appena c’è luce sufficiente. I sentieri si presentano completamente diversi, non c’è più fango, la calpestabilità è migliore, i paesaggi più belli, e la vegetazione sparisce lasciando spazio a un territorio che assomiglia più a una steppa: ma a me piace di più.

Comincio il tratto in discesa poi risalita, passando per Shomare, andando avanti si arriva al bivio da cui si può prendere la direzione per Periche o Dingboche.

Scelgo la direzione per quest’ultimo considerando che al ritorno attraverserò il primo. Prima di Dingboche dopo aver effettuato una bella salita si arriva a Thukla Pass (4800mt), un sito commemorativo dove ci sono più di 100 memoriali di alpinisti e sherpa caduti sulle montagne, tra cui Scott Fischer e anche italiani, un luogo molto suggestivo dove vale la pena fermarsi e riflettere.

Intanto arrivo a Dhugla dove c’è un caratteristico passaggio del fiume tra rocce anche abbastanza grandi. Nel pomeriggio arrivo a Lobuche e dopo essermi sistemato nel lodge effettuo una breve escursione insieme ad altri per visitare il Khunbu Glacier. Vado a dormire con la serenità di poter effettuare il percorso previsto entro i giorni prefissati, ormai i giorni persi a causa della cancellazione del volo per Lukla sono stati recuperati. Domani il grande giorno: Base Camp!

Note

  • stanza 500r
  • villaggi attraversati: Pangboche-Shomare-Thukla Pass-Dhugla-Lobuche

1° ottobre

Mi sveglio e dalla finestra vedo uno strato bianco sul terreno. Cos’è? No, non ci posso credere, è neve. Mi preparo, faccio colazione e via lungo il sentiero che va avanti in salita per circa 2 ore. Arrivato finalmente a Gorak Shep, ultimo villaggio prima del campo base, prendo una stanza abbastanza brutta e umida, la peggiore di tutto il viaggio e mi rimetto in cammino. Anche qui il percorso prima in leggero piano e poi in salita va avanti per 2 ore arrivando nei pressi del campo base su un terreno roccioso. Ci siamo, la grande roccia con la scritta Everest Base Camp è di fronte a noi ed è per tutti una festa. Si fanno le foto di rito, ma io non mi accontento voglio arrivare al vero “campo base” dove si vedono le tende gialle, ed è proprio da lì che partono le spedizioni.

Il terreno è pietroso ed è tutto un sali-scendi che prende circa 30’ per arrivare. All’arrivo oltre alle tende gialle ce n’è una molto grande al centro di forma circolare in cui ci sono 2 ragazzi. Tento di entrare, ma uno mi dice che stanno facendo una conferenza, tuttavia viene fuori e risponde alle mie curiosità su vari aspetti delle loro spedizioni. Il tipo aggiunge che non è possibile arrivare fino qui perché bisogna avere delle autorizzazioni, ma essendo bassa stagione non è un problema.

Vengo accolto poi in una tenda gialla che funge da cucina e mi offrono un thè, dopo aver parlato del più e meno, alla mia domanda circa la possibilità di salire sull’Everest, chiamano il capo sherpa che molto interessato mi spiega varie cose tra cui il costo di oltre 30.000 euro tutto compreso.

Torno indietro e dopo aver fatto altre foto sulla roccia EBC riprendo la strada del ritorno alla grigia Gorak Shep. Non arrivo tardi, per cui decido di fare un salto sul Kalapattar prima che faccia buio. Occorrono 2 ore circa per salire su un sentiero accettabile che diventa roccioso in cima ma tutto sommato niente di straordinario. Faccio solo qualche foto e scendo subito per la presenza di vento e foschia che non permette la visuale delle montagne di fronte.

Vado a dormire nella piena coscienza di essere riuscito ad arrivare al campo base quale sogno di molti trekker.

Note

  • stanza 500r
  • dalbath 1000r
  • black tea 200r
  • bicchiere acqua calda 200r
  • sentieri percorsi: Lobuche-Gorak Shep-EBC-Kalapattar

2 ottobre

Non mi sveglio alle 5 come tutte le altre mattine, ma aspetto un pochettino. Dopo colazione risalgo sul Kalapattar per tentare di fotografare le meravigliose montagne come Everest e Lhotse che, anche se non completamente, appaiono alla nostra vista. In questo periodo non conviene tentare di vedere l’alba dalla cima, perché con molta probabilità ci sono le nuvole.

È ora di andare, è ora di tornare a casa, è ora di rifare il percorso indietro in discesa. Si parte, arrivo a Dhugla e appena dopo prendo la strada per Periche e non per Dingboche. Mi aspetta una lunga passeggiata prima in discesa e poi in falsopiano nella valle del Kumbu Kola, non c’è nessuno lungo il sentiero ma solo i ragazzi che trasportano la merce sulle spalle. Comincia a scorgere da lontano il villaggio che si presenta abbastanza grande. Arrivo lì, faccio una piccola sosta e riparto scorrendo verso Shomare.

Passando attraverso i vari villaggi mi fermo a guardare le attività che svolgono i locali come la raccolta delle patate che vengono sbucciate e tagliate a forma di chips, la raccolta dei baccelli di fagiolo che vengono sgusciati, fino all’attività più curiosa che osservo come la raccolta del letame che viene impastato a mano con fibre legnose e fatte seccare al sole che serviranno per alimentare la stufa.

Note

  • stanza 200r
  • elicottero per tornare a Lukla 500 USD, che tirato può arrivare a 300 USD
  • sentieri percorsi Gorak Shep-Lobuche-Dhugla-Periche-Shomare

3 ottobre

Non vedo l’ora di salire a Tengboche per ammirare le montagne visibili da lì e visitare l’antico monastero buddista.

L’arrivo al villaggio mi accoglie col sole e rimango subito catturato dalla presenza del monastero che voglio visitare subito.

È possibile entrare anche durante le preghiere senza fare foto, infatti durante i riti mi siedo da parte e ascolto. Resto un po’ e vado fuori per fotografare le montagne che fanno da contorno al villaggio. Casualmente faccio conoscenza con un sacerdote che incuriosito dalla mia coroncina, la prende e per ogni grano recita delle preghiere di benedizione. Lo invito a fare delle foto insieme e ringraziandolo vado via. Gironzolo ancora un po’ e prendo il sentiero per Namche che prevede una discesa molto lunga (che al contrario da Namche diventa salitona) e poi si risale fino al grande villaggio che come vedo è in rapida espansione. Anche questa volta non mi fermo ma solo do un’occhiata ai vari negozi e con un po’ di tristezza mi lascio alle spalle la parte più bella del viaggio avendo coscienza che da lì in poi ritroverò una vegetazione ricca di alberi con tanto verde ma anche le piogge. Si scende su un lungo tratto fino a Jorsalle, pranzo e riparto attraversando Monjo dove viene applicato il timbro di uscita sul ticket pagato all’entrata.

È ormai tardo pomeriggio e non ho voglia di andare oltre per cui faccio tappa al villaggio Tok Tok. Intanto la ragazza che ho conosciuto lungo la salita per Namche che viaggia da sola e che ho rincontrato varie volte, continua il cammino e vuole arrivare a Lukla prima di sera: good luck!

Note

  • stanza 200
  • sentieri percorsi: Shomare-Pangboche-Deboche-Tengboche-Phungi Thenga-Namche-Jorsalle-Monjo-Tok Tok

4 ottobre

Percorro il sentiero inverso fino a Cheplung accompagnato dalla pioggia e manco la deviazione per Surke ritrovandomi a Lukla allungando un po’ e da lì, lungo il corso del villaggio, devio per Surke su consiglio dei locali.

Intanto la pioggia aumenta e approfitto per mangiare qualcosa prima di ripartire. Attraverso altri villaggi come Puiya e arrivo nella zona di Kare dove per proseguire mi consigliano di fare una deviazione.

Ci risiamo, mi sembra il primo giorno quando a Kharikhola per una accorciatoia abbiamo trovato fango ed è stato difficile uscire da lì. Tuttavia tento di salire un piccolo muretto di terra, ma vengo respinto dalla viscidità del terreno quando ad un tratto compare un signore che mi invita a seguirlo. Gli chiedo più volte se il sentiero fosse giusto e lui me lo conferma. La situazione è veramente a limite, si scivola molto e il fango arriva all’orlo dello scarpone; purtroppo faccio il primo scivolone e mi sporco il pantalone. Lui mi invita a mettere lo zaino piccolo nel suo cesto e dopo una riluttanza accetto. Andiamo avanti con molta difficoltà, lui mi tende anche la mano per trainarmi e via il secondo scivolone. Non ne potevo veramente più avevo il pantalone tutto sporco e alla mia domanda di quanto mancasse lui rispondeva sempre pochino. I dubbi della scelta di seguirlo mi hanno accompagnato fino alla fine quando siamo giunti per miracolo al villaggio e mi indica il posto dove avrei trovato alloggio. Lo saluto cordialmente e vado via. Nel lodge dove trovo riparo sono impresentabile, cerco di lavarmi al meglio compresi gli zaini, mi cambio e ceno. Vi sono 2 ragazzi australiani lì con i quali condivido un po’ di chiacchere davanti alla stufa accesa per far asciugare i panni su mia richiesta e vado a dormire accompagnato dal rumore della pioggia che si fa sentire tutta la notte.

Note

  • stanza 500r
  • sentieri percorsi Tok Tok-Cheplung-Puiya-Kare

5 ottobre

Mi alzo sempre alle 5 per assicurami di arrivare a Kharikhola in tempo utile per prendere una jeep. Ho il timore di trovare il fango lungo il percorso che avrei dovuto fare, chiedo alla signora del lodge la direzione giusta e via comincio il percorso in discesa. Il tratto che percorro non è un sentiero ma una strada carrozzabile fatta da poco quindi abbastanza comoda.

Arrivo in fretta a Bupsa e poi tra strada e sentiero mi trovo a Kharikhola. Mi incammino per arrivare allo spiazzale in cui si erano fermate le jeep all’andata e mentre mi guardo intorno vedo in fondo al villaggio una jeep. Richiamo l’attenzione di alcuni ragazzi che si trovano più in basso e domando loro di chiedere al conducente se avesse posto avendo risposta affermativa. Aspetto sul ciglio della strada che la jeep salga su e si parte. Nel mentre carico lo zaino vedo la mia mano sporca di sangue e aprendo le dita trovo una piccola sanguisuga che faceva colazione e subito mi sciacquo nell’acqua corrente per eliminare lo sporco. Avendo l’ipoclorito ne metto una goccia per disinfettare, ma dopo aver fatto pressione sulla ferita il tutto si blocca.

Ovviamente non mi illudo che la macchina non venga riempita fino all’orlo, infatti così è, lungo la strada carichiamo altre persone e siamo full. Dopo un breve tratto passiamo un ponte oltre in quale c’è una interruzione dovuta alla caduta massi prontamente spostati da un trattore che tramite una corda imbracava il masso e lo tirava via. Liberata la strada il trattore riparte e curiosamente blocca la strada e chiede i soldi per il lavoro svolto, mica scemo! Il viaggio è come all’andata, molto sofferto per le ginocchia che per 6-7 ore sono piegate e il dolore a volte è insopportabile.

Arrivati a Salleri cerco una jeep per Khatmandu ma ormai è già tardi e per un servizio privato occorrono 22000r.

Pernotto nella stessa lodge dell’andata e prenoto la jeep dell’indomani per Khatmandu che partono la mattina presto.

Note

  • stanza 500r
  • jeep 2500r  7-8 ore

6 ottobre

Ormai ci siamo, l’ultimo sforzo per tornare alla capitale. La jeep parte verso le 5.30 e impiega 9-12 ore per arrivare a Kathmandu. I rallentamenti sono frequenti per via delle interruzioni stradali dovute alle piogge e anche per l’intenso traffico essendo periodo di festività nazionale in cui tutti si spostano. Questa volta soffro in modo particolare il dolore delle ginocchia che viene lenito sono nelle soste dopo fatto stretching.

Arrivati a Chabahil magio qualcosa e riprendo lo stesso albergo di un certo livello anche se comunque la pulizia lascia a desiderare.

Note

  • stanza 2000r
  • jeep 2500r, 9-12 ore

7 ottobre

Ho corso talmente tanto che ho ancora 2 giorni da sfruttare per cui la mattina presto con mototaxi arrivo a Bus Park per prendere un microbus per Bandipur. È un capriccio, si lo è, la voglio rivedere, voglio rivedere quel posto che mi aveva lasciato un senso di pace la prima volta che ci sono stato. Lo so che mi costerà anche in termini di soldi e tempo ma voglio andare. Le rupie cominciano a scarseggiare per cui cerco di cambiare 20usd e dopo aver girato un po’ un negoziante me le cambia. Prendo un microbus e in 7-8 ore di viaggio in un affollatissimo traffico per festività mi lascia a Dumre e da lì con bus locale fino a Bandipur. Avrei voluto fare una camminata per Ramkot, il villaggio lì vicino, ma per motivi di pioggia non ho potuto. Ricordo la scorsa volta su quel sentiero incontrai delle ragazze che camminavano a piedi nudi ed era una bella giornata. Non mi rimane che girare un po’ per il centro, cenare e tornare in stanza per un riposo.

Note

  • microbus 900r  7-8 ore
  • bus locale 100r
  • stanza 400r

8 ottobre

Considerato il tempo incerto preferisco tornare alla capitale e non trattenermi oltre. Faccio colazione e mi metto lungo la strada per contrattare un passaggio per Dumre; all’inizio mi chiedono 500/400r ma io rispondo sempre 100r, lo stesso prezzo del bus. Dopo qualche minuto, un tipo che mi aveva chiesto 400r per riempire la macchina mi chiama e accetta 100r. Da Dumre prendo un bus grande per 800r che sono più veloci e più comodi rispetto al microbus. Arrivo nei pressi di Bus Park alle 14.30 e tramite un bus locale fino nelle vicinanze dell’aeroporto dove prendo una stanza.

Passo il resto del pomeriggio a inviare foto e a fare chiamate con Whatsapp sorsegginado un tè e finalmente rilassarmi.

Note

  • stanza 1200r
  • bus per Khatmandu 800r

9 ottobre

È il giorno della partenza per l’Italia. Dentro di me sento che c’è ancora qualcosa che voglio completare, ovvero voglio visitare Tamel e Durbar square. Prendo il solito mototaxi che mi accompagna a Tamel e mi metto a girare per le viuzze. È ancora presto ma pian piano tutti i negozi cominciano ad aprire ed è un delirio generale, dove tutta la gente è riversata per la strada, i motorini che sfrecciano e i venditori che hanno merce di ogni genere.

Ci sono tantissime possibilità di alloggio, infatti la maggior parte dei turisti alloggiano qui, ma a me non piace molto. La volta scorsa per sfuggire al caos ho preso una stanza nella calma Patan. Arrivo alla mitica Durbar square che attraverso velocemente per arrivare a Ratna Park da dove prendo un altro mototaxi per tornare in albergo.

Pranzo con l’ultimo dalbath e a mezzogiorno vado in aeroporto per il volo.

Consigli di viaggio

Abbigliamento

– sacco a pelo leggero 850gr ma poteva essere ancora più leggero

– scarpe alte per proteggere la caviglia e per il fango rigorosamente con goretex per avere i piedi sempre asciutti

– 3 paia calze da trekk leggere

– 2 pantaloni, uno leggero e uno più pesante( va bene solo il leggero)

– 2 magliette corte (ne servono di più)

– 2 magliette a manica lunga(basta una)

– 1 pile

– 3 magliette intime

– 5 slip

– 1 cappello con visiera

– 1 poncho fatto con foglio di plastica

– 1 giacca softshell( si userà poco)

– 1 asciugamano(non farete mai una doccia)

– fazzoletti igienici

– 1 torcia frontale

– 1 powerbank

Medicinali/Integratori

– antibiotico ampio spettro

– rifaximina

– fermenti lattici

– ibuprofene 600

– magnesio

– pomata antibiotica/cortisonica

– vitamine

– barrette proteiche

– bustine in polvere proteiche

– caramelle

– ipoclorito di sodio

–  cerotti + antivesciche

–  crema solare 50+

Meteo

Si può dividere tutto il percorso in 2 parti. Uno fino a Namche e l’altro da qui a Gorak Shep.

La prima parte sotto i 4000mt presenta vegetazione con alberi e molto verde con pioggia tutti i giorni, caldo che richiede un consumo di acqua di circa 3lt/die; la seconda è la parte secca senza pioggia con sole e meno calda che appare simile ad una steppa.

Assicurazione

– Europe Assistance con copertura fino a 4500mt con limite settimanale

– Viaggisicuri  fino a 4000mt

Impossibile trovare altre assicurazioni oltre tale altitudine se non World Nomad  che non assicura i cittadini UE in tale periodo.

Servizio elicotteri

Tutta la valle del Khumbu è coperto dal servizio elicottero per ricerca, soccorso e turismo per un costo di 300/500usd con base a Lukla. Tutti i giorni tali elicotteri sorvolano la zona per una serie di servizi.

Segnalazione

I percorsi sono quasi totalmente privi di segnalazioni il che induce molte volte dei dubbi ed è meglio sempre chiedere ai locali o alle guide che si incrociano che danno sempre la massima disponibilità.

Considerazioni

A margine di quanto scritto, posso dire che è stato un viaggio particolare… irripetibile per tanti aspetti.

Voglio dire a tutti quelli che voglio affrontare il viaggio da soli col peso dello zaino sulle spalle: partite!

Non ascoltate quelli che vi mettono in guardia sulla pericolosità o altro, anche se comunque sarete da soli ad attraversare lunghi tratti senza incontrare nessuno, esposti a pericoli anche solo scivolare e magari non avere nessuno che vi aiuti, ma sono gli stessi rischi che troverete se fate trekking a casa vostra. Tuttavia dovrete porre una serie di attenzioni e precauzioni per salvaguardare la vostra incolumità. Avere gli strumenti come il telefono per chiamare eventuali soccorsi, e che comunque sarete aiutati sempre. Ho visto anche ragazze sole che facevano trekking.

Per il periodo non consiglio settembre e l’inizio di ottobre per la presenza di piogge soprattutto prima di Namche anche se è favorevole per il poco afflusso di turisti che si palesa nei lodge completamente vuoti e solo a Lobuce e Gorak Shep sono gremiti.

Non guardate me se ho impiegato pochissimi giorni per completare il giro senza guida, porter e acclimatazione; non imitate questo perché la mia è stata non una scelta ma un obbligo. Se potete prendete l’aereo per Lukla almeno all’andata vi risparmierete soprattutto quelle jeep disastrose e un percorso poco affascinante fino a Cheplung e sappiate che la cancellazione dei voli è una cosa normalissima e troppo frequente che non vi deve sorprendere e deludere per cui prevedete dei giorni cuscinetto.

Cambiate i soldi a Khatmandu perché lungo il tragitto ci sono 2 punti per ATM di cui uno a Namche assicurandovi di farvi rilasciare la ricevuta. Se non avete tempo potete cambiare all’aeroporto sia con prelievo che ai moneychange, scegliendo quello più conveniente. Gli ATM prendono di norma 500r di commissioni.

Alla domanda: “chi può fare l’EBC?” Tutti. È solo una questione di tempo.

Desidero ringraziare chi ha permesso la riuscita del viaggio in quanto senza di Lei tutto questo non sarebbe stato possibile:             S. Sw. F.K.    J.U.T.

 

Tempo impiegato: Kharikhola-EBC e ritorno 8 giorni

Buon EBC a tutti!

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USA: tour dei parchi dell’Ovest

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8 partecipanti: 2 famiglie da 4 persone, 5 adulti e 3 bambini di 9, 10 e 11 anni

17 giorni di viaggio , dal 18/06/22 al 04/07/22

Spesa per famiglia: circa 7.000 euro

6000 km percorsi

18 GIUGNO

Partiamo al mattino presto con un volo Air Dolomiti per Monaco e dopo qualche ora di scalo ripartiamo con Lufthansa in direzione di Los Angeles, dove arriviamo dopo altre 12 ore di volo.

Atterriamo a Los Angeles alle 13,30 locali, ma prima di uscire dall’aeroporto ci facciamo 2 ore di coda al controllo passaporti. Raggiungiamo quindi il noleggio auto AVIS dove avevo prenotato un furgone a 12 posti, che negli USA si può guidare anche con patente B. Ci consegnano un Ford Transit bianco bello spazioso e riusciamo a caricare nel baule tutte le 8 valige.

Arriviamo al nostro primo hotel, il Motel 6 di Hollywood, che sono oramai le 20,00. Lasciamo le valige in camera e facciamo subito un primo giro sulla Walk of Fame a cercare nomi noti nelle stelle dei marciapiedi.

Il sabato sera sulla Hoolywood Boulevard è piuttosto vivace, con auto con musica a palla (rigorosamente rap), camion dei pompieri a sirene spiegate, ma anche molti barboni che dormono in tenda sui marciapiedi ed un ratto che corre tra le gambe dei passanti…

Mangiamo un panino ad un McDonald e torniamo in hotel dove crolliamo a letto sfiniti dal viaggio e dal fuso orario.

19 GIUGNO

Sempre a causa del fuso orario, ci svegliamo presto e ripercorriamo la Walk of Fame fino al Dolby Theatre. Facciamo colazione in un bar proprio lì di fronte e poi riprendiamo l’auto. Passando in mezzo alle tortuose stradine delle colline di Los Angeles, raggiungiamo la Hollywood Reserve: un laghetto formato da una diga artificiale da cui si gode un’ottima vista della famosa scritta Hollywood e di tutta la città.

Ripartiamo poi in direzione di Las Vegas.

Dopo un paio d’ore di guida ci aspetta una brutta sorpresa: esplode uno dei pneumatici posteriori del furgone!!! Per fortuna riusciamo ad accostare senza inconvenienti ed i nostri uomini riescono a fare un cambio gomme rapidissimo, mentre noi controllavamo che non si facessero investire dal traffico di passaggio. Un signore gentilissimo si è anche fermato a chiedere se avevamo bisogno di aiuto o magari di un po’ d’acqua…

Arriviamo a Calico Ghost Town: una ex cittadina mineraria che è stata completamente abbandonata e poi parzialmente ricostruita ad uso turistico: le abitazioni restaurate sono ora negozi, bar e ristoranti. Il tutto forse risulta forse un po’ finto ma comunque è piuttosto caratteristico e consiglio la visita.

Volevamo poi fermarci a pranzo dalla famosa Peggy Sue, ma c’era quasi un’ora di attesa e quindi abbiamo optato per il vicino Jack in the Box.

Proseguiamo nuovamente il viaggio attraversando paesaggi desertici e a metà pomeriggio arriviamo a Las Vegas. Ci dirigiamo come prima cosa all’AVIS dell’aeroporto dove i nostri uomini vanno a farsi cambiare il furgone mentre il resto di noi aspettano in un Boot Barn (una famosa catena di negozi che vende abbigliamento ed accessori da cowboy).

Ci recuperano poi con un furgone Chrysler più nuovo rispetto al Ford precedente ed andiamo all’hotel prenotato per oggi: il Caesar Palace in centro alla Strip!!! Il posto purtroppo è piuttosto caotico ed ora che riusciamo a raggiungere l’hotel, trovare parcheggio, fare il check in e trovare le camere, si è già fatta sera.

Devo dire che una delle cose che mi ha sconvolto di più di Las Vegas è il fatto che quando entri in un casinò finisci automaticamente per perderti: sono dei labirinti giganteschi assolutamente privi di finestre e dove da nessuna parte è indicata l’uscita…

Ceniamo con un trancio di pizza e camminiamo verso sud ammirando il Bellagio, il Paris, l’Aria, l’MGM, il New York New York e l’Excalibur, godendoci le luci della Strip. Ritorniamo quindi al Caesar trascinando i bambini che non si reggono più in piedi.

Durante il ritorno a causa della folla finiamo per dividerci, noi riusciamo a perderci tentando di attraversare il Cosmopolitan (ci impieghiamo una buona mezz’ora per uscire) mentre l’altra famiglia arriva al momento giusto per godersi lo spettacolo delle fontane del Bellagio.

20 GIUGNO

Ancora reduci dal fuso orario, ci svegliamo piuttosto presto ed andiamo a fare colazione in un IHOP, per provare i loro pancake: le porzioni sono mastodontiche e nessuno riesce a finire il piatto…

Facciamo poi una sosta da Walmart per procurarci un po’ di cibo: la maggior parte dei pranzi della vacanza li faremo al sacco perché dentro nei parchi non ci sono molti punti di ristoro.

Partiamo verso il Zion Canyon National Park. Qui compriamo la tessera parchi che ci permette l’ingresso in tutti i Parchi Nazionali che visiteremo. Ci fermiamo al centro visitatori dove compriamo per i bimbi il passaporto dei parchi nazionali: in ogni visitor center si possono mettere i timbri dei parchi visitati, tipo raccolta punti, e la cosa li diverte molto! Attraversiamo il parco ammirando il panorama e prima di uscire dal parco ci fermiamo per un piccolo trail (Canyon Overlook Trail) da cui si gode una bellissima vista sul parco.

Risaliamo poi in auto ed arriviamo verso sera al Bryce Canyon National Park. Facciamo il check in al Bryce View Lodge, un hotel affiliato al vicino Ruby’s Inn e alle porte del parco. A cena andiamo proprio al Ruby’s Inn e mangiamo delle deliziose bistecche.

Dopo cena visto che c’è ancora il sole, ci dirigiamo verso il parco e per strada vediamo diversi cervi ed un’antilocapra. Arriviamo ad affacciarci all’anfiteatro del canyon ma nonostante non sia ancora l’ora del tramonto è già in ombra (anche al Sunset Point).

21 GIUGNO

I valorosi uomini si svegliano all’alba per andare al Bryce canyon a vedere le rocce che cambiano colore col sorgere del sole. Poi tutta la truppa si reca a fare colazione al Ruby’s Inn (inclusa nel costo della stanza). E’ un buffet molto stile americano e io faccio scorpacciata di mini pancake con squisito sciroppo d’acero. C’è comunque anche pane e marmellata.

Ci dirigiamo nuovamente al Bryce per godercelo illuminato dal sole e lo spettacolo è veramente magnifico. Imbocchiamo il Navajo Loop, un trail di 3 km che scende nell’anfiteatro zigzagando tra i pinnacoli di roccia. Assolutamente imperdibile.

Una volta risaliti ci dedichiamo alle foto dai vari view point prima di risalire in auto.

Imbocchiamo la UT 12 verso est che è considerata una delle strade più panoramiche d’America e a ben ragione: percorriamo paesaggi da film western passando attraverso lande rocciose e canyon, poi facciamo una strada costruita sulla cresta di un altipiano roccioso, poi attraversiamo una foresta toccando i 2865 m di altitudine, fino ad arrivare a Capitol Reef National Park.

Facciamo una breve sosta a Fruita per un po’ di shopping nel negozietto. Purtroppo non è stagione per raccogliere la frutta fresca dalle piante ma compriamo comunque un po’ di prodotti artigianali locali.

Ci aspetta quindi un lungo tratto di strada verso nord, attraversando i pascoli ed i campi dello Utah, arrivando in serata a Salt Lake City. Check in al Motel 6 Downtown e poi ci spostiamo a piedi per cenare in una birreria artigianale locale: Red Rock Brewing Co.

22 GIUGNO

Sveglia con calma, check out e poi andiamo in centro a fare un giretto ed a cercare un posto per la colazione. Purtroppo il monumento più famoso di Salt Lake City, che è la chiesa più importante dei mormoni, è in ristrutturazione e completamente coperto da impalcature.

Ci accontentiamo di girare un po’ tra i grattacieli moderni e le case signorili stile primi del 900, troviamo uno Starbucks per la colazione e poi ci rimettiamo in marcia in direzione Wyoming, attraversando le zone rurali dell’Utah ed un pezzetto di Idaho.

Dopo aver passato alcuni valichi montani, arriviamo nella vallata di Jackson Hole. Facciamo una breve sosta nella cittadina di Alpine, per una bella spesa in un supermarket per procurarci il necessario per la cena e colazione del giorno dopo.

Facciamo un’altra sosta a Jackson, la cittadina più famosa della vallata. È molto turistica, ricca di hotel, ristoranti e negozi per lo shopping (a cui ci dedichiamo anche noi), ma anche piuttosto cara. Per la notte però abbiamo altri programmi: risaliamo in auto e ci dirigiamo a nord entrando nel Grand Teton National Park.

Arriviamo a Colter Bay Village, sulle rive del Jackson Lake, dove abbiamo prenotato delle Tent in un campeggio in mezzo alla foresta, che sono composte da due pareti di legno (su cui sono attaccate 4 brandine) e due pareti ed il tetto di tela, una stufa a legna all’interno e nel patio un tavolo, un armadietto in ferro a prova di orso per riporre le provviste ed un braciere per cucinare. I bagni erano in comune ma molto puliti e persino qui non mancava il distributore di ghiaccio (lo abbiamo trovato in tutti gli hotel e nelle stazioni di servizio, gli americani non possono vivere senza).

Ci rechiamo alla reception per noleggiare i sacchi a pelo (siamo in mezzo a monti ancora innevati e c’è un bel freschino), accendiamo il fuoco con la legna e carbone acquistati al supermarket (ma la vendevano anche al campeggio) e cuciniamo hot dog per i bimbi, bisteccone per noi e pannocchie al burro per tutti. Nonostante fosse tutto improvvisato, si rivelerà una delle cene migliori della vacanza: la carne era fantastica e ci sembrava proprio di essere dei classici americani in campeggio con la famiglia e gli amici…. Alla fine non sono mancati i marshmallow arrostiti sul fuoco!

23 GIUGNO

Anche oggi gli uomini valorosi si svegliano all’alba e vanno sulla riva del Jackson Lake per vedere lo spettacolo dei monti innevati che si illuminano pian piano (il sole è alle spalle).

Dopo la colazione al campeggio rifacciamo i bagagli e ci rechiamo tutti al lago per una passeggiata e tante foto.

Torniamo poi verso sud avvistando i primi bisonti nei prati della valle e giungiamo a Mormon Row: è un vecchissimo fienile in legno in mezzo alla vallata con una vista perfetta sui monti del Grand Teton. È una delle immagini più famose del Wyoming e anche noi non ci facciamo mancare la nostra buona dose di foto.

Ci dirigiamo quindi al Jenny Lake, un altro bel laghetto alpino ai piedi dei monti. Mentre ci avviciniamo alla riva una ranger ci avvisa di evitare uno dei sentieri perché c’era un orso in transito… Prendiamo il traghetto che ci porta al di là del lago e imbocchiamo un sentiero in salita. Passiamo una bella cascata ed arriviamo fino ad Inspiration Point, dove vediamo un meraviglioso panorama sul lago e sulla vallata. Ci fermiamo qui per un pranzo al sacco e dei vivaci chipmunk ci corrono tra i piedi per raccattare tutte le briciole.

Torniamo quindi al traghetto e poi all’auto e ripartiamo verso nord per entrare a Yellowstone.

All’ingresso veniamo inaspettatamente assaliti da nugoli di zanzare: il controllo dei documenti è piuttosto rapido e ci affrettiamo a richiudere i finestrini. Nella zona c’era stata da poco un’alluvione e l’ingresso al parco aveva forti limitazioni, ma noi potevamo entrare perché avevamo prenotato delle notti negli hotel all’interno del parco.

Arriviamo all’Old Faithful Village e facciamo il check in allo Snow Lodge. Per un soffio riusciamo a cenare al fast food adiacente allo Snow Lodge, che incredibilmente chiude alle 19,00. In zona ci sono solo altri 2 ristoranti molto più costosi.

Visto che è ancora presto, dopo cena andiamo a visitare l’Old Faithfull Inn: è un hotel che ha più di cento anni ed è completamente in legno. Ha un grandissimo e magnifico atrio centrale con un gigantesco caminetto e delle balconate su tutti i piani. Il tutto è molto in stile western-montano e rimaniamo incantati.

Poco prima del tramonto ci avviciniamo al famoso geyser Old Faithful, che secondo le previsioni sta per eruttare. Ci accomodiamo sulle panchine a disposizione e ci godiamo il meraviglioso spettacolo, mentre un bisonte passeggia tranquillo tra la folla.

24 GIUGNO

Ci svegliamo alle 6,00 e facciamo colazione al Deli dell’Old Faithful Inn, poi affrontiamo il percorso che parte dall’Old Faithful e passa vicino ad un sacco di geyser, alcuni sempre attivi con piccoli spruzzi o fumarole ed altri momentaneamente silenti, e ad un sacco di pozze d’acqua bollente che sono di una trasparenza incredibile. Sulle rocce attorno qua e là si vedono rivoli d’acqua di varie sfumature di rosso grazie alla presenza dei batteri che si nutrono dei minerali presenti nell’acqua che fuoriesce dal sottosuolo. Il giro è veramente molto bello e consigliatissimo.

Tornando verso l’hotel rincontriamo il bisonte della sera prima e riusciamo a fare un po’ di foto a breve distanza (ma non troppo…).

Prendiamo poi l’auto e andiamo verso la Grand Prismatic Spring: la gigantesca pozza d’acqua calda dai colori meravigliosi che è un altro dei simboli del parco. Ci godiamo prima la vista dall’alto salendo su una collinetta adiacente, poi imbocchiamo la passerella che ci passa vicino e da cui possiamo ammirare anche altre magnifiche pozze. Anche questo giro consigliatissimo!

Ci spostiamo poi verso nord, facendo una breve sosta per vedere dall’alto le Gibbon Falls, e raggiungiamo il Norris Basin mentre il tempo si sta guastando.

Non rinunciamo a iniziare il giro sulle passerelle in mezzo alle pozze ed ai geyser, da cui esce qui un forte odore di zolfo. Purtroppo comincia a piovere e siamo costretti a metterci al riparo. Visto che non ci sono previsioni di miglioramento, torniamo all’hotel per fare una bella doccia calda (la temperatura stava scendendo rapidamente). Poi facciamo un po’ di shopping di souvenir e cerchiamo un posto per la cena. Pensavamo di cenare all’Old Faithful Inn, ma proprio quella sera era in programma un evento riservato agli ospiti dell’hotel, quindi ci rassegniamo a mangiare nuovamente al fast food.

25 GIUGNO

Di nuovo sveglia alle 6,00 e colazione al Deli. Fa davvero freddo: la temperatura di notte è scesa fino a 4 gradi, ma la giornata è soleggiata e l’aria andrà a scaldarsi pian piano. Facciamo i bagagli, partiamo verso lo Yellowstone Lake e visitiamo il bacino West Thumb, dove ammiriamo pozze e fumarole sulle rive del lago.

Ci spostiamo poi verso nord e lungo la strada vediamo ad un certo punto diverse auto in sosta, il che significa che ci sono in vista animali selvaggi. Accostiamo anche noi e sbirciando nella foresta riusciamo a vedere la sagoma nera di un’orsa seguita da due fagottini neri più piccoli… Facciamo poi una nuova sosta alle LeHardy Rapids e a Mud Volcano, dove vediamo un branco di bisonti e diversi cuccioli che si scaldano con il vapore che esce dalle fumarole.

Attraversiamo la Hayden Valley, nei cui prati pascolano parecchi branchi di bisonti, ed arriviamo al Grand Canyon di Yellowstone. Giriamo sia la South Rim che la Nord Rim, soffermandoci nei vari view point per ammirare queste meravigliose cascate che grazie alle piogge dei giorni precedenti erano particolarmente possenti. Il panorama sul profondo canyon con le pareti di roccia gialla è fantastico. Le foto ed i video si sprecano…

Riusciamo anche ad avvistare delle marmotte ed un bellissimo alce che bruca su un lato della strada per la gioia dei turisti che passano di lì.

Pranziamo al Canyon Village e ripartiamo per uscire dal parco attraverso la Buffalo Bill Scenic Byway, che ci regala altri maglifici paesaggi fino alla cittadina di Cody, dove facciamo il check in all’Irma Hotel. Si tratta dell’hotel costruito proprio da Buffalo Bill e chiamato così in onore di sua figlia Irma. È tenuto bene ed è proprio in stile country western: ci sono un sacco di oggetti e foto d’epoca e persino quello che fa il check in sembra uscito da un film western stile ‘800.

Proprio davanti all’hotel tutte le sere allestiscono una scenetta western con tanto di sparatoria, ma la cosa risulta eccessivamente finta e quindi preferiamo entrare a cenare con una bella bistecca.

Dopo cena andiamo a vedere il famoso rodeo di Cody: uno spettacolo di quasi 2 ore con cavalli e tori selvaggi, vitellini presi al lazo, gara di corsa per cowgirl e giovani cowboy, il tutto accompagnato da musica classic rock.

26 GIUGNO

Al mattino colazione leggera in un bar vicino all’hotel, poi andiamo alla periferia di Cody a visitare l’Old Trail Town: un agglomerato di edifici storici prelevati in varie zone del Montana e del Wyoming e qui rimontati, ripieni di foto e cimeli d’epoca. Anche se è tutto ricostruito si tratta comunque di edifici originali e si respira appieno l’aria del vecchio west. Sulla porta del saloon frequentato anche da Butch Cassidy si possono vedere ancora i fori di proiettile… Visita consigliatissima.

Ripartiamo poi in auto verso sud, attraversando le praterie del Wyoming e percorrendo anche un pezzo di Scenic Byway all’altezza della riserva indiana di Wild River.

Arriviamo prima di pranzo a South Pass City, una cittadina sviluppatasi attorno al 1850 su una delle principali rotte che percorrevano i pionieri che viaggiavano alla conquista dell’Ovest degli Stati Uniti e che era prosperata per un po’ grazie ad una miniera d’oro trovata in zona, ma poi completamente abbandonata. Anche qui si possono visitare diverse abitazioni ed edifici tipici (molto carino è il vecchio hotel) e la sosta è stata molto interessante.

Dopo pranzo riprendiamo nuovamente l’auto verso sud: ci aspettano ancora parecchie ore di viaggio attraverso i paesaggi più disparati fino ad arrivare in serata alla cittadina di Vernal dove avevamo prenotato un Quality Inn. Cena veloce a base di tranci di pizza o burrito e poi andiamo diretti a nanna.

27 GIUGNO

Colazione in hotel e poi andiamo a visitare il Dinosaur Quarry Exhibit Hall: si tratta di un museo costruito su una parete di roccia su cui si possono vedere ancora incastrate parecchie centinaia di ossa di dinosauro. Non manca anche la ricostruzione dello scheletro di un allosauro completo. Il museo di per sé è piccolo ma davvero suggestivo.

Riprendiamo nuovamente la strada continuando verso sud ed arriviamo ad ora di pranzo alla cittadina fantasma di Cisco, altra cittadina sviluppatasi lungo la linea ferroviaria e poi completamente abbandonata dal 1990. C’è solo un negozietto/bar che campa con i turisti che si fermano per fare le foto alle baracche e alle carcasse di auto abbandonate.

Da Cisco imbocchiamo la UT 128 verso Moab: una Scenic Byway meravigliosa che costeggia il fiume Colorado e che qui forma un canyon con paesaggi mozzafiato: super consigliata!

Arriviamo a Moab e facciamo il check in al Bowen Motel. Facciamo in tempo a fare un tuffo in piscina prima di riprendere l’auto per andare al parco nazionale di Canyonland (Island in the Sky): un parco panoramico dove dai vari viewpoint di può godere di una vista davvero spettacolare dei canyon e vallate scavate dai fiumi Colorado e Green River. La vista è talmente bella da far invidia a quella del Grand Canyon.

Ci rechiamo poi al vicino Dead Horse Point State Park: altro viewpoint dove si può ammirare dall’alto un’ansa del canyon creata dal fiume Colorado. La zona è così scenografica da essere stata utilizzata come set di parecchi film, come ad esempio Thelma & Louise.

Torniamo quindi in hotel e per cena andiamo da Moab Brewery, una birreria artigianale molto carina.

28 GIUGNO

Ci svegliamo presto e facciamo una colazione veloce in un 7Eleven, per poi andare a Arches National Park, famoso per essere il posto con il maggior numero di archi naturali in pietra del mondo.

Imbocchiamo la scenic road che proprio come promette il nome ci regala delle meravigliose vedute sul paesaggio circostante, ricche di pareti di roccia, pinnacoli ed ovviamente i famosi archi. Facciamo sosta ai vari viewpoint, come ad esempio a Balanced Rock (una bizzarra roccia che se ne sta in assurdo equilibrio sopra ad un pinnacolo), fino ad arrivare dall’altra parte del parco dove parcheggiamo. Imbocchiamo quindi un sentiero che ci conduce fino a Landscape Arch. Sentiero spettacolare e bellissimo arco di dimensioni davvero notevoli.

Il sentiero andrebbe ancora avanti ma noi invece torniamo all’auto per andare a vedere il Sand Dune Arch e poi il Broken Arch.

Le temperature iniziano ad alzarsi ma non rinunciamo a visitare un’altra perla del parco: il meraviglioso e gigantesco Double Arch.

È oramai passata l’ora di pranzo e torniamo al motel per rinfrescarci nella piccola piscina.

Nel tardo pomeriggio, dopo aver fatto una pre-cena a base di pizza, torniamo ad Arches per visitare il vero pezzo forte del parco, nonché il vero e proprio simbolo dello stato dell’Utah: il Delicate Arch.

Il sentiero per arrivare richiede quasi un’oretta e quasi sempre in salita. Non difficilissimo ma tutto al sole. L’arco appare all’improvviso dopo un giro attorno ad una parete di roccia, appoggiato in precario equilibrio sul bordo del burrone. È più grande di quanto mi aspettassi e la vista toglie il fiato. Rimaniamo a contemplarlo per un po’ mentre assume colori meravigliosi al calare del sole.

Torniamo quindi al motel e c’è chi non rinuncia ad un ultimo tuffo in piscina prima di andare a nanna.

29 GIUGNO

Facciamo colazione al Moab Diner, un locale che sembra uscito da un telefilm anni 80, dove servono le tipiche mega colazioni americane. Partiamo poi in auto verso sud, attraversando paesaggi semi desertici ravvivati ogni tanto da canyon.

Facciamo una prima deviazione entrando nella Valley of the Gods: una zona che ricorda molto la Monument Valley. La strada però è completamente sterrata e non ci fidiamo di fare tutto il giro col nostro furgone a noleggio, quindi torniamo indietro sulla strada principale.

Ci dirigiamo quindi al Gooseneck State Park: un altro punto panoramico sopra il Colorado. Qui il fiume ha formato una perfetta doppia ansa che è uno spettacolo davvero incredibile. Facciamo un po’ di foto ed ammiriamo i gommoni che si fanno trasportare dalla corrente del fiume, poi ripartiamo verso sud verso la prossima tappa: la Monument Valley.

Prima di arrivare facciamo una sosta al famoso Forrest Gump Point, da cui si gode una vista spettacolare della strada dritta che porta verso la Valley, con le famosissime Butte sullo sfondo (le montagnole di roccia tipiche di queste zone). Immancabile qui una foto in mezzo alla strada (quasi) deserta…

Entriamo quindi nel parco, che è una riserva degli indiani Navajo. Ci fermiamo prima nel centro abitato per una spesa al supermarket e uno spuntino veloce, poi arriviamo all’hotel The View, l’unico che si affaccia sul panorama reso famoso dai film western di John Ford. La vista è perfetta ed emozionante.

Imbocchiamo la strada sterrata che fa un giro ad anello all’interno del parco. Ci fermiamo in ogni viewpoint e le foto si sprecano. Quando arriviamo al John Ford’s Point alcuni di noi si concedono la foto a cavallo sullo sperone roccioso. Finiamo il giro con molta calma e molte soste e poi torniamo all’hotel per il check in. Avevamo prenotato le premium view cabin: delle casette in legno un po’ staccate dalla struttura dell’hotel ma con una fantastica vista sulla vallata. Per cena raggiungiamo il ristorante dell’hotel. Purtroppo il tempo va peggiorando e la cosa mi rattrista perché speravo di godermi il panorama alle luci del tramonto. Ma durante la cena ci arriva un regalo inaspettato: tra le nuvole nere filtrano dei raggi di sole che illuminano le Butte e formano un arcobaleno perfetto proprio in mezzo alla vallata. La vista è mozzafiato e tutti corrono sul balcone per fare foto e video.

Dopo cena torniamo alle casette. Le nostre giovani ragazze si esibiscono in un balletto sullo sfondo del parco, poi tutti assieme festeggiamo il compleanno di Giulia (11 anni) con una tortina che avevamo preso al market.

Andiamo poi a dormire ma io punto la sveglia alle 3,30 di notte per provare a vedere il cielo stellato. Sono fortunata: le nuvole si sono diradate e si vede anche la via lattea. Riesco a buttare giù dal letto i bimbi e la mostro anche a loro…

30 GIUGNO

Anche sveglia all’alba per fotografare e filmare il sorgere del sole, poi colazione a buffet all’hotel. Partiamo quindi verso il Nevada: abbiamo prenotato un’escursione al Lower Antelope Canyon. Anche questo si trova in territorio Navajo e le visite si possono fare esclusivamente accompagnati da una guida locale. Si tratta di un canyon molto stretto (in molti punti ci passa a mala pena una persona) e profondo decine di metri, le cui pareti di arenaria rossa hanno assunto forme vorticose grazie all’azione dell’acqua che scorre durante le piogge. Quando non piove è completamente asciutto e percorribile. La luce che entra dall’alto fa assumere alle pareti dei colori meravigliosi. I canyon più famosi sono due: il Lower e l’Upper. Abbiamo scelto il Lower in quanto meno affollato. La giornata si preannunciava nuvolosa ma anche qui siamo stati graziati: poco prima di iniziare il tour è uscito il sole e siamo stati in grado di goderci il percorso in tutto il suo spettacolo.

Lasciato il canyon, ci dirigiamo alla volta dell’Horseshoe Bend: un altro punto panoramico da cui si può ammirare dall’alto un’ansa del fiume Colorado. La posizione è veramente strategica, proprio a picco sul fiume, e quando tra le nuvole filtra finalmente il sole, il fiume si colora di bellissime tonalità di verde e blu: una gioia per gli occhi. Tra le varie vedute sul fiume devo dire che è quella che mi è piaciuta di più.

Ripartiamo di nuovo, questa volta in direzione del Grand Canyon. Entrando nel parco da est arriviamo a Desert View Watchover, dove c’è una vecchia torre di pietra costruita proprio su bordo del canyon. La vista non è limpidissima ma comunque spettacolare.

Ci spostiamo verso ovest e sostiamo in un altro paio di punti per goderci il panorama. Prima di arrivare all’hotel ci imbattiamo anche in un alce sul bordo della strada. Accostiamo e senza smontare ci limitiamo a fare un po’ di foto dal furgone (eravamo a meno di 2 metri).

Arriviamo al Canyon Village e facciamo il check in al Yavapai Lodge. L’hotel è tutto su un piano, diviso in varie ali circondate dalla foresta e le stanze sono molto spaziose. Il tempo è in peggioramento quindi rinunciamo ad altre passeggiate, ceniamo al fast food del Lodge ed andiamo a dormire.

Anche stanotte metto la sveglia alle 2,00 per scrutare il cielo e anche stavolta riesco a vedere la Via Lattea…

01 LUGLIO

Ci svegliamo alle 4,30 (lasciando a letto i bambini) per andare sul bordo del canyon a goderci l’alba. Arriviamo a Mather Point e c’è già parecchia gente, comunque troviamo un angolino e ci dedichiamo alle foto ed ai video.

Torniamo poi alle camere per recuperare i bambini e fare le valige ed uscendo i nostri amici si ritrovano sull’uscio della camera un cervo meraviglioso.

Colazione leggera in un bar, poi torniamo a vedere Mather Point e Yavapai Point.

Soddisfatti, ripartiamo in auto in direzione Las Vegas. Facciamo una sosta a Seligman, una pittoresca cittadina che si trova sulla leggendaria Route 66 e che si è riempita di negozietti a tema, decorazioni e vecchie auto che si ispirano in maniera plateale al cartone animato Cars.

Acquistiamo un po’ di souvenir e poi ripartiamo percorrendo un po’ di Route 66 fino a Kingman, per poi riprendere la Highway fino a Las Vegas.

Arriviamo all’hotel Alexis Park a metà pomeriggio e facciamo a tempo a fare un bel tuffo in piscina. Era una bella giornata di sole ed il caldo del deserto era davvero micidiale.

Arrivata l’ora di cena ci spostiamo sulla strip e parcheggiamo al New York New York, poi andiamo a mangiare un hamburger da Shake Shack. Arrivata l’ora del tramonto entriamo al Paris e compriamo la salita alla cima della Tour Eiffel: la vista dall’alto della Strip con le luci di Las Vegas che la illuminano è veramente fantastica.

Ci godiamo le fontane del Bellagio dall’alto e poi scendiamo e ci spostiamo verso nord. Arriviamo vicini al Treasure Island mentre sta eruttando il vulcano e poi entriamo al Venetian per ammirare le decorazioni interne (tutto molto finto ma devo dire che fa comunque un notevole effetto). Ovviamente ci perdiamo anche qui dentro, come in tutti i casinò, e quando riusciamo ad uscire i bimbi sono già sfiniti.

Ci infiliamo dentro Harras per cercare la Monorotaia ed evitare la camminata fino all’auto, ma anche qui le indicazioni sono scarse e ci mettiamo una vita sia a trovarla, sia poi ad uscire dall’MGM una volta arrivati. Finalmente raggiungiamo l’auto e torniamo in hotel.

02 LUGLIO

Sveglia con calma, poi andiamo a fare colazione da Egg Works, un diner molto caratteristico dove servono le loro tipiche mega colazioni. Dedichiamo poi la mattinata allo shopping, prima da Walmart e poi al Premium Outlet South, dove troviamo diverse marche con prodotti a prezzi più convenienti che in Italia (Nike, Polo, Tommy Helfinger, Levis…).

Prima di pranzo partiamo verso Los Angeles, fermandoci a metà strada per un pranzo al sacco. Arriviamo a metà pomeriggio a Santa Monica e facciamo il check in al Ocean Park Inn. Sistemiamo i bagagli per il volo di ritorno e poi usciamo per raggiungere il famoso Pier: un grande molo che si allunga sull’oceano, pieno di negozi, ristoranti e giostre stile luna park. Giriamo un po’ ma c’è una folla incredibile (forse perché è un weekend e la vigilia del 4 Luglio), poi andiamo a cena da The Albright, dove prendiamo dei piatti di pesce stile fast food.

03 LUGLIO

Al mattino torniamo al molo e facciamo colazione da Starbucks, poi andiamo in centro per raggiungere lo Staples Center (lo stadio di basket dei Lakers), ma non riusciamo neanche a parcheggiare perché c’era un evento a tema Anime giapponesi (è stato però molto divertente vedere tutta la gente vestita in cosplay). Ci spostiamo quindi per vedere stadio di football ed il Coliseum, poi andiamo a Venice per fare un’ultima passeggiata sull’oceano.

Il tempo a nostra disposizione era ormai finito e quindi andiamo a restituire l’auto e quindi in aeroporto. Il lungo viaggio di rientro andrà abbastanza bene, a parte un paio d’ore di ritardo a Monaco per il volo verso Verona, dove arriviamo sfiniti ma decisamente felici.

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Istanbul 2022 (Ponte dei Santi)

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Quando: 5 giorni dal 28.10.2022 al 01.11.2022

Prenotazioni: abbiamo fatto tutto da soli.

1) COSTI

Voli: 293 euro a testa

Abbiamo prenotato direttamente sul sito della Turkish a giugno. Nel prezzo era compreso anche un bagaglio a testa da 23 kg. A settembre abbiamo guardato per curiosità quanto costava ed era salito a 1.100 euro! Per fortuna che facciamo sempre le prenotazioni con largo anticipo!!!

Pernottamenti: 390 euro per 4 notti in B & B in camera doppia vista mare.

Hotel Saba Sultan a Sultanahmet (http://www.sabasultanhotel.com/).

Giudizio: ci siamo trovati bene. Personale molto gentile. Struttura pulita e ben tenuta. Molto silenzioso (il richiamo alla preghiera si sentiva molto in lontananza). L’unica pecca sono state le colazioni. C’erano molte cose ma di dolce, a parte un tipo di pane e dei biscotti confezionati, non c’era nulla.

Visite ed attività: 150 euro

– visita Cisterna Basilica: 21 euro x 2 = 42 euro (prenotata su Get your Guide)

– crociera tramonto sul Bosforo: 44 euro x 2 = 88 euro (prenotata su Get your Guide)

– torre di Galata: 10 euro x 2 = 20 euro

Spostamenti: 70 euro

– transfer da e per l’aeroporto 45 euro a tratta

– nella città taxi e tram: 25 euro

Altre spese: parcheggio a Malpensa 56 euro; ristoranti 408 euro; bar 55 euro; varie 79 euro

2) INFO GENERALI

Valuta: lira turca – 1 lira = 0,05 € – 1 € = 18 lire

Cibo: abbiamo sempre mangiato bene. A parte i piatti tipici come kebab, falafel ecc. ecc., anche il pesce era molto buono.

Fuso: +1 in partenza poi in rientro erano 2 di differenza visto che in Italia hanno cambiato l’ora

Corrente: come in Italia

Alba/Tramonto: 7.30 – 18.00

Km. fatti a piedi in 3 giorni: 40

Foto fatte: 1.000

 

Temperatura: durante il giorno bastava una manica lunga, la sera un giubbottino leggero

Siti internet consultati:

  • https://www.scoprireistanbul.com/guida-turistica/
  • https://www.beborghi.com/istanbul-cosa-vedere-3-giorni/
  • https://www.guidaistanbul.com/visitare-istanbul-in-3-giorni-litinerario-migliore/

Istanbul Kart:

Da acquistare per tram, autobus e battelli. Costa 50 lire – 2,78 euro (non ha scadenza) e poi la si ricarica in base alle corse che si devono fare. Per dare un’idea una corsa costa circa 7 lire – 0,40 euro. Se si cambia mezzo si deve ripagare ma la corsa seguente costa qualcosa meno. La si può acquistare e caricare nei chioschi o alle macchinette che si trovano nei punti principali della città. Per ricaricarla alle macchinette è facilissimo. La si appoggia sul display e si vede il credito poi basta inserire i contanti (o carta di credito). Si può usare la stessa carta per più persone.

Taxi: quelli ufficiali sono gialli. Partono da una tariffa fissa di 9 lire – 0,50 euro per le tratte brevi mentre per le tratte lunghe 90 lire – 5 euro. Noi li abbiamo presi due volte ed abbiamo speso cifre irrisorie.

Gatti e cani: i gatti sono adorati quindi ce ne sono ovunque ed in ogni angolo si vedono ciotole con crocchette ed acqua fresca e casette. Ci sono anche alcuni cani di grossa taglia, decisamente pacifici, con un anello di plastica attaccato all’orecchio (penso sia il microchip). Anche loro sono ben tenuti. L’unica cosa è che sono obesi. L’idea è che vanno a ripulire le ciotole dei gatti!!!!! In alcuni punti abbiamo visto anche delle cucce per loro con ciotole d’acqua e cibo.

 

Opinione generale: assolutamente da vedere. L’abbiamo trovata una città affascinate soprattutto al tramonto con le sagome delle moschee che si stagliano contro il cielo, con il richiamo alla preghiera che ogni tot di ore copre tutti i rumori, con i profumi ed i cibi e gli abiti particolari, con i bellissimi mercati, soprattutto quello delle spezie. Tre giorni pieni sono pochi se si vogliono fare visite anche all’interno dei palazzi. Noi ci siamo fatti un’infarinatura generale, torneremo per approfondire.

NB: Tenete presente che il 29 ottobre è la Festa della Repubblica quindi tutti i locali si riversano in strada, i mezzi di trasporto sono gratuiti, quindi pienissimi, ed il Grand Baazar è chiuso. Noi non lo sapevamo e avevamo idea che, tutta quella bolgia, fosse uno standard della città. In realtà non è così, c’è sempre molta gente soprattutto durante i ponti, ma non così tanta. Noi abbiamo dovuto stravolgere tutti i piani di visita visto che quel giorno avremmo dovuto visitare il Grand Baazar e poi abbiamo dovuto fare tutti gli spostamenti a piedi perché era impossibile prendere tram e taxi (imbottigliati nel traffico).

 

3) INFO DEI VARI POSTI

  • Istanbul era un tempo l’antica colonia romana di Bisanzio. All’inizio dei tempi era la città imperiale di Costantinopoli. La storia iniziò quando l’Impero Ottomano prese il controllo di questa città nel 1453.

E’ costruita su 7 colline, proprio come altre grandi città come Roma e Lisbona.

Copre un’area di 5.343 km² e ha 15 milioni di abitanti. Ha una lunghezza di 31,7 km per una larghezza che va dai 550 ai 3000 metri.

Istanbul è una città divisa fra due continenti, Europa ed Asia. Nel lato europeo si possono visitare la parte antica di Sultanahmet, Balat (quartiere ebreo) e Fener (l’antico quartiere greco-ortodosso) e la parte moderna di Piazza Taksim, Cihangir e Babek. Per la parte asiatica invece Kadikoy e Moda.

Le due parti sono divise dal Bosforo, lo stretto che unisce il Mar Nero al Mare di Marmara e segna, assieme allo stretto dei Dardanelli, il confine meridionale tra il continente europeo e il continente asiatico.

A sua volta il lato europeo, la parte antica da quella moderna, sono divise dal Corno d’Oro.

  • Moschee: sono circa 2.500. L’ingresso è gratuito. Sono chiuse nei momenti della preghiera. Gli orari non sono fissi e variano di giorno in giorno essendo legati al sorgere del sole. La preghiera dura circa 30 minuti. È possibile visionare gli orari di preghiera su appositi calendari on-line. Per accedere bisogna togliere le scarpe, indossare un velo sulla testa e bisogna coprire braccia e gambe.
  • Punti tramonto: Torre di Galata, lato asiatico o dalla riva o da Çamlica Hill, la collinetta che sovrasta la zona oppure facendo una crociera sul Bosforo (al tramonto tutte le barche arrivano dove il Bosforo si incontra con il Corno d’Oro quindi si vedono i profili delle moschee).
  1. a) Parte Antica
  • Piazza Sultnahmet:

Si tratta del cuore della Istanbul Antica. È il punto fisso, spesso anche il primo, della visita della città. Questa piazza, un tempo, era l’ippodromo di Costantinopoli.  E’ ben curata con zone verdi e fontane. Da un lato della piazza si trova la Moschea di Santa Sofia, dall’altro la Moschea Blu.

  • Basilica Santa Sofia (Ayasofya):

Ingresso gratis – aperta sempre 24h/24, tranne dalle 12 alle 15 del venerdì

Questa immensa basilica venne fatta costruire dall’Imperatore Giustiniano e inaugurato nel 537. Fu un vero prodigio architettonico e richiese il lavoro di più di 10.000 operai. Giustiniano voleva realizzare il più grande monumento cristiano del mondo e Ayasofya non perse il suo primato fino al 1626, anno di costruzione di San Pietro a Roma. La basilica venne poi trasformata in moschea nel 1453, dopo la caduta di Costantinopoli, e divenne poi museo dal 1935 fino al luglio 2020, quando Erdogan l’ha riconvertito nuovamente in moschea. Gli interni sono bellissimi, soprattutto la grande cupola decorata in oro ed mosaici bizantini.

  • Moschea Blu (Sultan Ahmet Camii):

Ingresso gratis – aperta dalle 9 alle 19 (domenica dalle 7 alle 19) chiusa il venerdì dalle 12 alle 15

È la moschea più famosa di Istanbul e venne fatta costruire dal sultano Ahmet I nel 1616. È una moschea molto grande (ma più piccola di Santa Sofia) il cui nome deriva dalle 21000 piastrelle in ceramica decorata che ricoprono le pareti interne, in cui predomina il colore blu. La Moschea Blu ha inoltre ben 6 minareti (un numero riservato alle moschee “più sacre”) cinque cupole principali e otto cupole secondarie.  La moschea ha un cortile molto grande e, entrando, si vedono i fedeli che pregano. All’interno c’è una sezione separata per i turisti e un’altra per i fedeli dell’Islam. Al momento della nostra visita era in ristrutturazione. Si vedeva solo una parte della cupola.

  • Cisterna Basilica (Yerabatan Sarayi):

Ingresso 21 euro – aperta sempre dalle 9 alle 19 – durata della visita: mezz’ora

Si trova nella piazza Sultanahmet, di fianco a Santa Sofia. Chiamato anche palazzo sommerso, è un monumento bizantino davvero impressionante. Questa immensa cisterna venne fatta costruire da Giustiniano nel 542 e serviva per garantire l’acqua al Gran Palazzo (la residenza degli imperatori). Poteva contenere fino a 80 milioni di litri d’acqua. Fu riscoperto nel 1545, quando uno studioso, impegnato in una ricerca sulle antichità bizantine a Istanbul, venne informato dagli abitanti del luogo che riuscivano a procurarsi l’acqua calando i loro secchi nello spazio buio sotto le loro cantine. Si tratta di una sala immensa con 336 colonne (che provengono da diversi templi) e il colpo d’occhio è davvero spettacolare. Il pavimento è coperto da mezzo metro d’acqua e si cammina su passerelle in ferro.

  • Il palazzo Topkapi:

Ingresso completo con harem 23 euro – aperto dalle 9 alle 18 – chiuso il martedì – Durata della visita: 3-4 ore

 

Il piccolo promontorio alle spalle di Aya Sofya è occupato dal Topkapi, il famoso palazzo del sultano. Fu la residenza ufficiale dei sultani ottomani e sede amministrativa dell’Impero Ottomano, dal 1451 fino al 1839, e ogni sultano apportò modifiche e migliorie a questo immenso palazzo. Tra le cose da vedere c’è sicuramente l’harem, costituito da ben 300 stanze (ma solo poche sono visibili), la biblioteca di Ahmet III, i giardini, la corte degli eunuchi ed il tesoro. I gioielli e gli oggetti preziosi che vedrete in queste 4 sale fanno impallidire il tesoro della corona inglese. Due i pezzi che vi lasceranno a bocca aperta: il pugnale in oro, diamanti e smeraldi (Hancer) e il famoso “diamante del mercante di cucchiai” (Kasikci), il pezzo forte del tesoro, un diamante di 86 carati circondato da 49 enormi brillanti.

  • Grand Bazaar: il mercato coperto più grande del mondo

Ingresso gratis – aperto dalle 8.30 alle 19 – chiuso la domenica e il 29 ottobre (Festa della Repubblica)

È uno dei mercati più famosi di tutto il Medio Oriente ed è attivo sin dal 1400. Venne infatti costruito grazie al sultano Mehmet II nel 1461 e, con 4000 botteghe e 200.000 metri quadri di superficie, è tuttora il mercato coperto più grande al mondo. Tutto il quartiere è dedicato al commercio e tutte le strade intorno al Grand Bazaar ci sono botteghe divise per settori: c’è il mercato delle spezie (il Bazaar Egiziano, scendendo verso il Ponte di Galata), quello dei libri, quello della tecnologia, delle borse e via dicendo. Per visitare la parte più antica e più bella del Gran Bazaar vi conviene entrare dalla porta che si trova vicino alla moschea Nuruosmaniye, così vi troverete nella “strada principale” del bazaar, piena di gioiellerie. La parte più bella del mercato è l’Old Bazaar.

  • Bazar Egiziano (Mısır Çarşısı):

Ingresso gratis – aperto sempre dalle 8 alle 19

Bellissimo mercato delle spezie, del the e dei saponi. È al coperto ma ci sono bancarelle anche all’esterno.

  • Moschea di Solimano (Soleymaniye Camii):

Ingresso gratis – aperta sempre dalle 9 alle 17.30 (domenica dalle 7 alle 19)

È la seconda moschea più grande di Istanbul dopo Aya Sofya ed è considerata il capolavoro del più grande architetto ottomano Mimar Sinan. Intorno è sorta una specie di cittadella con una biblioteca, un ospedale, scuole, hammam, ecc. La sala delle preghiere ha delle dimensioni davvero impressionanti ed è famosa anche per avere un’ottima acustica. Dal terrazzo sul retro c’è un bel panorama della città.

  • Balat (quartiere ebraico) e Fener (quartiere greco-ortodosso)

Balat: da zona ebraica ricca, è diventata zona di immigrati delle classi sociali più basse, con conseguente degrado della zona. Negli ultimi anni però è in corso un progetto di riqualificazione patrocinato dall’Unesco e il quartiere sta cambiando di nuovo faccia. Oggi è una delle zone più bohemienne della città e alcune strade si stanno riempiendo di localini e piccoli negozi carini. Il quartiere si sviluppa tutto in salita e molte case hanno le facciate dipinte con colori accesi. La via più famosa è Kiremit Caddesi.

Sono famosi il Cafè Naftalin K (locale pieno di gatti, stanno anche sui tavoli) e il Balat Antik Cafè luogo in cui i colori regnano sovrani. Questo carinissimo locale è ormai divenuto celebre più che per le pietanze, per l’esterno fatto di pareti colorate e arredi colorati, così come ombrelli multicolore appesi in aria.

Fener: è sede del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, l’equivalente di San Pietro a Roma per la religione Cristiana Ortodossa. L’importanza storica e simbolica di questo luogo è enorme. È una delle cinque sedi principali della chiesa cristiana, in ordine di gerarchia, il patriarcato di Costantinopoli è il secondo dopo Roma, e precede Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Il fulcro del quartiere è la Cattedrale di San Giorgio.

La collina è sovrastata dal bel Rum Lisesi, il Liceo Greco Ortodosso in mattoncini rossi. Il bar Popstel, dal terrazzo, ha un’ottima vista del Liceo. Si trova all’ultimo piano di un edificio in via Akçin Sk, di fronte al bar Portafari Balat (al piano superiore ha molti ombrelli aperti).

  • San Salvatore in Chora (Kariye Müzesi):

Ingresso 3 euro – aperto dalle 9 alle 16.30 (da novembre a metà aprile) e dalle 9 alle 19 (da metà aprile a fine ottobre)

È considerata uno dei più importanti esempi di architettura bizantina sacra ancora esistenti. Dal 1958 è stata trasformata in museo e si possono ammirare al suo interno dei mosaici e degli affreschi pazzeschi, considerati fra le massime espressioni dell’arte bizantina. Al momento è chiusa per restauro.

  • Eyup Sultan:

Ingresso gratis – aperta sempre dalle 9 alle 19 (domenica dalle 9 alle 18)

Bella la Moschea. Quartiere conservatore. Da lì parte la Funicolare per la collina di Pierre Loti (PIerre Loti Tepesi) dove c’è un famoso locale in cui si ha la vista sul Corno d’Oro. Ambientazione di tutte le serie tv turche. A PIerre Loti puoi salire anche a piedi, 15 minuti di salita non impegnativa, attraverso il grande Cimitero monumentale.

  • Eminonu:

È il porticciolo lato parte antica. Partono i traghetti per le crociere sul Bosforo e per la parte asiatica. Si trova prima del ponte di Galata.

  • Ponte di Galata:  

Ponte sul Corno d’oro. Collega la parte antica della città (Sultanahmet) con la parte moderna (Karakoy). È un ponte molto ampio, su due piani, che include 4 corsie per le auto e un susseguirsi di ristoranti di pesce nella parte inferiore, molto frequentati dai locali.

  1. b) Parte Moderna
  • Quartiere Karakoy:

È il quartiere oltre il ponte di Galata, nella parte moderna della città. Partono i traghetti anche per la parte asiatica. Vicino al porticciolo (a sinistra del ponte, arrivando da Eminonu) c’è la zona del pesce. Si sono diversi ristorantini dove mangiare pesce a buon prezzo, in strada fanno lo street food con i panini al pesce (ekmek balik) e si trova il mercato del pesce.

  • Torre di Galata:

Ingresso: € 10 – Orari: 8.30/22

La Torre di Galata è uno dei punti di riferimento più importanti di Istanbul. Si tratta di una torre in pietra completata nel 1348. Un tempo fu una prigione e poi osservatorio astronomico.  È alta 16,5 metri. Ha 9 piani e due ascensori che portano al 7° piano poi si deve salire a piedi un piano. Le code per salire al tramonto (essendo un ottimo posto per vederlo) sono molto lunghe ma sono abbastanza veloci. In cima c’è una piattaforma di osservazione da cui si può ammirare una vista a 360 gradi della città. È molto stretta ed è un anello intorno alla torre.

Vicino alla Torre Di Galata c’è un Rooftop molto carino che si chiama Barnathan. Vista sulla Torre di Galata da 10!

Per fotografarla bene andare a Büyük Hendek Caddesi, che è la strada situata proprio di fronte alla torre.

  • Pera Palace:

Storico hotel visitabile anche come museo. È stato costruito nel 1892 allo scopo di ospitare i passeggeri del mitico Orient Express ed è considerato “il più vecchio hotel europeo della Turchia”. Un hotel dal fascino d’altri tempi, che ha ospitato personaggi del calibro di Agatha Christie, Ernest Hemingway, re Edoardo VIII, Alfred Hitchcock e Jacqueline Kennedy Onassis. La stanza 101, in cui era solito alloggiare Atatürk è stata adibita a museo, nella camera 411, invece, Agatha Christie scrisse buona parte del libro Assassinio sull’Orient Express.

  • Istiklal Caddesi:

È la via pedonale più animata del quartiere Beyoglu, piena di ristoranti, bar e negozi, che finisce nella famosa Piazza Taksim. In questa via passa l’antico tram della città, ancora in funzione, chiamato “tram nostalgico”.

  • Piazza Taksim

Questa piazza è stata il simbolo della contestazione giovanile durante la primavera araba e Erdogan, per tutta risposta, ha iniziato la costruzione di una grande moschea proprio nel centro della piazza.

  • Quartiere Cihangir:

Il quartiere che si trova alla destra di Istiklal Caddesi e che scende verso il Bosforo si chiama Cihangir. È un bel quartiere bohemienne pieno di caffè e negozi di antiquariato. In generale, tutte le strade che partono o tagliano Istiklal Caddesi sono piene di vita ed è probabilmente qui che passerete buona parte delle vostre serate.

  • Palazzo di Dolmabahce (Dolmabahçe Sarayı):

Ingresso € 17 – aperto dalle 9 alle 18 – chiuso il lunedì – Durata della visita: 3 ore

Gli ultimi sultani dell’impero ottomano non risiederono al Topkapi, che era diventato umido e poco confortevole, ma in questo palazzo che si affaccia sul Bosforo. Il palazzo-reggia di Dolmabahce venne costruito guardando a Versailles e ai palazzi reali europei del ‘700 e dell’800, con uno stile barocco unito ad elementi orientali. 280 stanze, 43 saloni e 6 hammam in un tripudio di saloni, arredi in marmo, stucchi, lampadari di cristallo e chi più ne ha più ne metta. Il palazzo si può visitare ma purtroppo non si possono scattare foto all’interno. Piccola curiosità: si trova qui la stanza dove morì “il padre di tutti i turchi” Ataturk e ancora oggi tutti gli orologi del palazzo segnano le 9:05, l’ora della sua morte. Da quel 10 novembre 1938 dalle 9:05 alle 9:06 le sirene del paese suonano per commemorare questo grande presidente.

  • quartiere Ortakoy e la Karakoy Mosque (Büyük Mecidiye Camii):

Il quartiere di Ortakoy si trova lungo il Bosforo, a circa 6 km dal Ponte di Galata. È caratterizzato dal grande ponte sospeso che collega la zona moderna europea di Istanbul con la parte asiatica, c’è anche una bella moschea (Karakoy Mosque) quasi sull’acqua ed un mercatino molto amato dagli abitanti di Istanbul. Veniteci la domenica per pranzo, oppure la sera a mangiare la famosa kumpir (una patata farcita con ogni ben di dio). È sempre in questa zona che si trovano le più belle discoteche di Istanbul.

  1. c) Parte asiatica

Si raggiunge in 15 minuti con i traghetti cha partono dal lato europeo.

  • Kuzguncuk:

Ci sono tante casine colorate, locali per strada, un po’ bohemien.

  • Palazzo BeylerBey:

Ingresso completo 5 euro – aperto dalle 9 alle 18 – chiuso il lunedì

Se non si vuole visitarlo internamente, si possono visitare solo i giardini (l’ingresso costa poche lire). C’è un’altra prospettiva del Bosforo e del Ponte.

  • Kadikoy e Moda:

Il quartiere di Kadikoy (che include la zona chiamata Moda) è uno dei quartieri più moderni e vivaci di Istanbul. Avrete l’impressione di essere in Europa più che in Asia. Perdetevi per le strade di questo bel quartiere residenziale, con bei negozi, ristoranti e locali, fino a raggiungere il Moda Coastal Park, un bel parco con diversi bar che si affacciano sul Mare di Marmara sempre pieno di giovani. Kadikoy è anche famoso per lo street food, ci sono chioschi ovunque e sono di ottima qualità.

  • Maiden’s Tower (Torre di Leandro):

Venne costruita in legno dall’imperatore Bizantino Alessio I nel 1110 per sbarrare l’ingresso del Bosforo con una catena di ferro tesa fra la torre stessa ed un’altra torre posta sulla spiaggia opposta a Costantinopoli. Nel 1763 è stato ricostruito in pietra

  • Çamlica Hill con la Camlica Mosque:

La collina di Çamlıca è la più alta e si trova sul lato asiatico. Da qui si può godere di una vista panoramica di Istanbul, vedere il Corno d’Oro e il Bosforo. Le colline di Camlica sono due: la Piccola e la Grande Collina di Camlica. Molti visitatori dicono che questo è il miglior punto per vedere il tramonto su Istanbul. Sulla collina si trova una grande mosche molto bella.

  1. d) altre cose da fare
  • Hammam e massaggio turco:

L’hammam è un bagno turco tradizionale, che di solito comprende una sauna, uno scrub e talvolta un massaggio. Vedrete molti hammam vicino alle zone turistiche e alcuni di essi costano fino a 50 euro. Tenete presente che tutte le regioni hanno almeno un hammam storico e che gli hammam frequentati dai locali possono costare fino a 30 lire. Alcuni hammam più economici possono non sembrare molto puliti, ma non ci sono germi grazie al calore e al marmo. I tradizionali hammam o bagni turchi risalgono al periodo ottomano. Sono stati creati per scopi culturali, religiosi e commerciali. Ci sono sezioni diverse per uomini e donne, ma i rituali di bagno sono quasi simili per entrambi i sessi.

  • crociera sul Bosforo:

Navigando sul Bosforo si ha l’opportunità di vedere la città da un altro punto di vista. Ci sono vari tipi di crociere. Quelle brevi durano circa 2h e arrivano ad Ortakoy e al secondo ponte. Quelle lunghe durano circa 6h e arrivano fino al Mar Nero, percorrendo i 28 km che lo separano dal mar di Marmara.

La crociera più bella è quella al tramonto, dura 2h e 30’ e il biglietto include l’aperitivo. Quando il sole cala, le barche si posizionano dove il Bosforo incontra il Corno d’Oro quindi si ha un bel colpo d’occhio sul punto più bello della città, con i minareti in controluce. Ci sono vari tipi di barche, meglio scegliere quelle più piccole. Costa di più ma il fatto di essere in pochi è cosa non da poco.

Ci sono anche crociere serali con cena e spettacoli.

  • gita alle isole dei principi:

Le Isole dei Principi sono 9 isolotti che sorgono nel mar di Marmara, circa 20 km a sud di Istanbul. Il nome risale al periodo bizantino, quando ospitavano le residenze dei principi, poi nel XIX secolo sono divenute il luogo di villeggiatura preferito dei nobili locali e stranieri. Con un’ora scarsa di traghetto (si parte dall’imbarcadero di Kabatas o di Eminönü, vicino al Ponte di Galata) si arriva a Buyuk Ada, l’isola più grande, che conserva il maggior numero di edifici coloniali splendidi.

Non pensate a queste isole come “località balneari” e non aspettatevi di sedervi su una spiaggia. Al contrario, queste isole vi offriranno un’esperienza culturale o storica. Vi sembrerà che il tempo si sia fermato qui decenni fa e non sia mai andato avanti. Un aspetto molto interessante della visita alle Isole dei Principi è che i veicoli a motore non sono ammessi. Si può girare in bici. Di conseguenza, le isole sono una buona fuga dalla vita frenetica di Istanbul e dal rumore delle auto. Vedrete invece carri trainati da cavalli e bungalow vittoriani. Aya Yorgi Kilisesi è il punto più alto dell’isola. Vicino ad Aya Yorgi Kilisesi c’è poi un ristorante con vista magnifico! Se volete vedere più di un’isola vi conviene partecipare ad un’escursione organizzata come questa, in cui oltre a Buyuk Ada visiterete anche l’isola di Heybeliada.

 

4) ITINERARIO GIORNO PER GIORNO:

1) 28 ottobre 2022 – Venerdì

Con i nostri amici Laura e Fede raggiungiamo Malpensa. L’auto la lasciamo al parcheggio P4, di fianco all’aeroporto. Lo abbiamo prenotato sul sito di Malpensa (56 euro). Il volo della Turkish parte puntuale alle 20.00. Atterriamo dopo 3 ore (+ 1 ora di fuso). Il transfer è organizzato dall’hotel (45 euro). All’uscita troviamo un ragazzo con un cartello con un numero. Ci sono anche altre persone. Ci accompagna al parcheggio e ci smista tutti su taxi diversi. Organizzato bene e veloce. Il tragitto dura meno di un’ora. Passiamo sul ponte di Galata. Nonostante l’ora ci sono tanti pescatori. Il nostro hotel si trova nel quartiere antico, Sultanahmet. Ha poche camere. La nostra (si intravede il mare in lontananza) è graziosa. Ci troveremo bene. Finalmente, alle 3.00, ora locale, andiamo a dormire.

2) 29 ottobre 2022 – Sabato (km.17)

Alle 8.00, dopo colazione, usciamo ed andiamo a piedi in piazza Sultanahmet. La piazza è molto bella e ben tenuta con fontane, zone verdi e panchine. L’idea, essendo presto, è di vedere subito Santa Sofia. C’è già una coda interminabile per entrare quindi accantoniamo. Andiamo alla Moschea Blu. Non c’è coda perché è in ristrutturazione. Non meriterebbe neppure la visita, ma vogliamo vedere quanto meno la famosa cupola. La intravediamo ed effettivamente è molto bella. Abbiamo la visita guidata della Basilica Cisterna alle 10.30. Ci indirizziamo dall’altra parte della piazza. I biglietti li avevamo acquistati su GetyourGuide quindi abbiamo il salta fila. Siamo un gruppo di 15 persone. Scendiamo con la guida, ascoltiamo la spiegazione che dura una decina di minuti e poi giriamo da soli. Posso dire che è davvero notevole. C’è un pochino di acqua che copre tutto il pavimento. Si cammina su passarelle in ferro e ci sono i giochi di luce. Rimaniamo una mezz’oretta. Quando usciamo ci fermiamo in un bar a prendere il primo di una lunga serie di the e poi ci indirizziamo verso il Grand Bazaar. Dove si trova la Moschea Nuruosmaniye c’è uno degli ingressi principali quindi seguiamo questindicazione sulle mappe del cellulare. Entriamo in un negozio di spezie e the e il proprietario ci dice che oggi è una giornata particolare per la Turchia. È la Festa della Repubblica quindi tutti i turchi si riversano in strada, visto che molte attività (in primis il Grand Bazaar) sono chiusi. Non vedremo oggi la città nella condizione migliore per la tantissima gente (domani e dopodomani sarà decisamente diverso). Dobbiamo quindi cambiare tutti i programmi. Oggi volevamo visitare tutta la parte antica, domani quella moderna e dopo domani la parte asiatica. Ci incamminiamo quindi, passando in un mercato all’aperto dove vendono di tutto e di più, verso la parte moderna della città. Raggiungiamo il quartiere di Eminonu, alla congiunzione tra il Corno d’Oro ed il canale del Bosforo, dove c’è l’imbocco per il Ponte di Galata. Questa è una parte molto viva della città. Ci sono traghetti che vanno e vengono e bancarelle dove acquistare cibo. C’è un bel colpo d’occhio della città nuova e della parte asiatica. Qui si trova la Moschea Nuova. Il ponte è su due piani. Il piano inferiore è un susseguirsi di bar e ristoranti. Il lato destro è perfetto durante il giorno mentre quello sinistro lo è al tramonto perché il sole cala da quella parte. Sul piano superiore del ponte passano le macchine al centro mentre i due lati esterni sono per i pedoni e per i pescatori. Tantissime persone si organizzano con sedie e cibo e passano la giornata qui, in compagnia, a pescare. Raggiungiamo l’altra riva del Corno d’Oro dove si trova il quartiere Karakoy. Da qui la vista è ancor più bella perché si vedono tutti i minareti delle varie moschee che ci sono nella parte antica. La più bella, in posizione strategica, è quella di Solimano. È ora di pranzo. Ci avevano consigliato di venire nella zona a sinistra dopo il ponte a pranzare. Raggiungiamo quindi il piccolo, ma grazioso, mercato del pesce. All’interno c’è un ristorante (ce ne sono altri appena oltre con tavoli anche all’aperto). Noi ci fermiamo in quello dentro al mercato. Prendiamo un piatto per 4 persone misto pesce. Ci sono piccoli pesciolini fritti, salmone, gamberi, tonno ed altri pesci. Spendiamo 10 euro a testa. Un piatto simile, in Italia, sarebbe costato più del doppio. Proseguiamo poi il nostro giro. Arriviamo alla bella Torre di Galata. Il biglietto costa 175 lire – 10 euro a testa. C’è coda ma aspettiamo poco. Si sale in ascensore e si scende a piedi. Saliamo fino all’ultimo piano. Dobbiamo limitarci a guardare il panorama (molto bello) da dietro ai finestroni. Non si può uscire nel balcone esterno perché, per la Festa della Repubblica, stanno piazzando delle luci da accendere questa sera. Peccato. Facciamo un tratto della via Büyük Hendek Caddesi dove ci sono case tinta pastello tante bandiere della Turchia. Da qui si fotografa bene la torre, in condizioni normali. Ora c’è il mondo quindi o la si fotografa con le persone o la si taglia a metà. Percorriamo poi la famosa via Istiklal Caddesi (un susseguirsi di negozi e bar) per raggiungere la bella piazza Taksim. Anche qui c’è una moschea. Facciamo due passi per il quartiere Cihangir (devo dire niente di che) e poi la nostra idea era di prendere un taxi per rientrare in hotel. Dovremo desistere perché sono tutti bloccati dal traffico. Facciamo più veloci a piedi. Raggiungiamo quindi il Bosforo, nella zona dove sono ormeggiate tre grandi navi da crociera, e lo costeggiamo fino al Ponte di Galata. Andiamo a vedere il tramonto nella parte sotto a destra. L’ora blu è sempre il momento più bello della giornata. Si accendono poco per volta tutte le luci, anche quelle della bella Moschea di Solimano. Devo dire molto affascinante. I minareti con il cielo rosso alle loro spalle sono un bel colpo d’occhio. Raggiungiamo la riva opposta. Ci fermiamo in un chiosco ed acquistiamo la card dei mezzi. La facciamo ricaricare per 12 corse (useremo la stessa tutti e quattro). Cerchiamo qui un taxi. Uno, non ufficiale, ci chiede 20 euro per fare 1 km. Rifiutiamo perché è una ladrata. Andiamo a piedi e alle 19 siamo in hotel. Il tempo di una doccia e si riparte. Andiamo a cena sulla terrazza panoramica dell’hotel Santa Sofia, al ristorante Seafront Longue. Ci sediamo con vista Moschea di Santa Sofia. Con la luce dev’essere davvero bello. Ad Istanbul ci sono tanti ristoranti e bar sui tetti degli edifici. Ceniamo molto bene con una grigliata di carne ed una di pesce in condivisione. Prenderemo una bottiglia di vino ed una birra. Spendiamo 50 euro a testa. Vedremo anche i fuochi d’artificio sul Bosforo. Una mia amica, che troveremo domani, questa sera è a cena alla Moschea di Ortakoy e li ha visti proprio di fronte. Riusciamo a toccare di nuovo il letto alle 23.30. Giornata impegnativa ma molto soddisfacente.

 

3) 30 ottobre 2022 – Domenica (km.13)

Alle 8.00 puntuali usciamo. Raggiungiamo il Bosforo a piedi. Sulla via Kennedy Cd prendiamo il pullman fino ad Eminonu. Qui cambiamo e ne prendiamo un altro per raggiungere i quartieri di Balat e Fener. Scendiamo lungo il Corno d’Oro e andiamo subito a visitare il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Entriamo nella Cattedrale di San Giorgio. C’è la messa. La chiesa è bella. Andiamo poi al Balat Antilìk Cafè. Carino e colorato con una parte coperta da ombrelli. Ci sediamo a bere qualcosa poi andiamo a vedere il Liceo (costruzione in mattoni rossi). Ci spostiamo poi nelle viuzze con le case colorate. La più famosa è la Kiremit Caddesi. È piacevole passeggiare in questi quartieri caratteristici. Ci troviamo con Sabina. Una ragazza che ho conosciuto anni fa. Mi aveva contattata su Turisti per Caso e le avevo dato suggerimenti per un viaggio in Sud Africa. Da allora siamo state in contatto e, sapendo che lei è ferratissima su Istanbul, le avevo chiesto delle dritte. Caso vuole che anche lei era qui in questi giorni, quindi ovviamente ci siamo volute conoscere di persona. Con lei andiamo sulla terrazza dove si trova il Bar Postel in via Akçin Sk, di fronte al bar Portafari Balat. Da qui c’è una bella vista del Liceo. Sarebbe stato bello passare più tempo a chiacchierare ma il tempo è tiranno. Noi prendiamo un taxi che con 2 euro ci porta alla Fatih Mosque. Avevamo letto che pochi turisti la visitavano quindi si poteva vedere una realtà con solo persone del posto. Devo dire che è molto bella, la cupola è notevole. La ricorderemo più piacevolmente delle altre soprattutto per l’atmosfera di pace. C’erano solo una ventina di fedeli, nonostante sia molto grande. Quando usciamo chiamiamo un altro taxi. Quante possibilità ci possono essere di trovare lo stesso taxista di prima? Direi una su un milione. Il caso vuole sarà proprio lo stesso. Per altri 2 euro ci porta in piazza Sultanahmet. Oggi, non essendo festa nazionale, c’è decisamente molta meno gente. Abbiamo fame quindi cerchiamo un ristorante. Ci ispira il Palatium in Kutlugun Sk. Ci sediamo nel giardino. Prendiamo tutti piatti tipici e mangeremo davvero bene spendendo 18 euro a testa. Andiamo un attimo in hotel e poi torniamo in piazza Sultanahmet per prendere il tram. Il proprietario dell’hotel ci ha detto che è il mezzo migliore perché, essendo su rotaie, non si blocca mai nel traffico. Raggiungiamo così il capolinea a Kobatas. Abbiamo prenotato la crociera al tramonto che parte da questo porto alle 17. Siamo in anticipo quindi andiamo in un chiosco a prendere della frutta fresca e delle castagne. Raggiungiamo il punto d’incontro, davanti all’ingresso del porto. Troviamo l’addetto di GetyourGuide che ci attende. Saremo una ventina di persone. Raggiungiamo la barca. È un piccolo yacht molto bello su due piani. Ci portano diversi stuzzichini, della frutta fresca e delle bibite. A richiesta hanno anche alcolici ma sono da pagare a parte. Il servizio è ottimo. Costeggiamo tutta la costa ovest fino al secondo ponte e poi costeggeremo la costa est mentre il sole si abbassa sempre più sull’orizzonte. Vediamo hotel e ville molto belli. Per il tramonto raggiungiamo il punto in cui il Corno d’Oro si unisce al Bosforo. Il cielo si colora di rosso ed i minareti delle moschee sono bellissimi in controluce. Ci avviciniamo anche al ponte di Galata. La moschea di Solimano è quella che rende di più. Passiamo vicini a tre navi da crociera. Sono dei condomini. Rientriamo con il buio al punto di partenza per le 19. Ci hanno avvisati di fare svelto a cercare mezzi di traporto per rientrare perché, nello stadio vicino, sta finendo la partita di calcio. In realtà non faremo in tempo perché molti tifosi sono già usciti. Ci troveremo a camminare in mezzo ad una fiumana di persone senza trovare nessun taxi libero. Devo dire che sono dei tifosi assolutamente tranquilli. C’erano molte famiglie con bambini. Tutto molto ordinato. Fatto sta che raggiungiamo a piedi (3,5 km) il quartiere di Ortakoy, dove c’è il primo ponte, dove abbiamo prenotato il ristorante suggerito dalla mia amica Sabina. Si chiama Bayan. Ha la terrazza panoramica dalla quale c’è una vista ottima della bellissima moschea Büyük Mecidiye Camii e del ponte illuminato. Ci sono dei funghi riscaldanti perché è completamente aperto. Credo di non aver mai cenato con una vista così bella. Io e Pier condividiamo un grosso piatto di sushi mentre Laura e Fede prendono due piatti di carne. Condividiamo una bottiglia di vino e la birra. Spendiamo 40 euro a testa. Ceneremo bene. Andiamo poi a fare due passi fino alla moschea (molto scenografica) e bel quartiere. Ci sono tanti banchetti dove fanno la famosa patata ripiena. Si tratta di una grossa patata bollita e la si può farcire con cose a scelta. Cerchiamo un taxi e ci facciamo portare fino al capolinea del tram, dove siamo scesi oggi, a Kobatas. Da lì raggiungiamo direttamente Sultanahmet. Sono le 22.30 e vediamo che non c’è assolutamente nessuno all’ingresso di Santa Sofia quindi non ci pensiamo due volte ad entrare. Le cupole sono bellissime. Ci sono poche persone. Siamo stati fortunati ad averla vista così. Sicuramente con centinaia di persone avrebbe perso il fascino. Le moschee mi davano l’idea di non pulito e di poco profumato, visto che per terra c’è la moquette e le persone entrano senza scarpe, invece mi devo ricredere. Abbiamo visto, in tutte quelle in cui siamo entrati, diverse persone con le aspirapolveri e lavasciuga. Rientriamo quindi in hotel.

4) 31 ottobre 2022  – Lunedì (km.10)

Come ieri mattina raggiungiamo a piedi il Bosforo e poi Eminonu con il pullman. Saliamo su uno dei frequenti traghetti con destinazione Kadikoy, il lato asiatico di Istanbul. Purtroppo questa mattina è nuvolo quindi lo skyline della città non rende molto. Passiamo vicino alla Maiden’s Tower ma è impacchetta per restauri. Facciamo tutta la camminata lungomare nei giardini del quartiere Moda poi, rientrando al porto, attraversiamo una zona in cui ci sono bancarelle di frutta e verdura, pesce e formaggi. Riprendiamo il traghetto e scendiamo nel lato destro del ponte di Galata, così lo percorriamo di nuovo a piedi per rientrare ad Eminonu. Andiamo a vedere il bellissimo Mercato egiziano (Mısır Çarşısı – Bazar delle spezie). Lo raggiungiamo in pochi minuti a piedi. Non è grande ma è un mix di colori e profumi. Ci piace tantissimo. Ci sono spezie, saponi, the e dolci. Assaggiamo alcuni dolci tipici ed alcuni the. Ovviamente facciamo acquisti. È una delle cose più belle da vedere ad Istanbul. Quando usciamo ci fermiamo a mangiare un panino in un bar lungo la strada e poi andiamo alla Moschea di Solimano (Süleymaniye Camii). La moschea è decisamente notevole. Non c’è molta gente quindi la si può apprezzare con calma. Dal terrazzo c’è una bella vista della città. Notiamo alcuni bar sui tetti degli edifici. Decidiamo di andare in uno di quelli a bere qualcosa. Scegliamo quello con la vista migliore e saliamo. Spengono la musica perché c’è il richiamo alla preghiera. Prendiamo un the, ci rilassiamo un attimo e poi proseguiamo il giro. Andiamo direttamente al Grand Bazaar, il mercato coperto più grande al mondo. La parte più bella del mercato è quella antica dell’Old Bazaar. Dobbiamo usare la mappa del telefono per avere un minimo di direzione. Come direzione dalla parte opposta inseriamo la Moschea Nuruosmaniye, punto dal quale avevamo tentato di entrare due giorni fa. Ci sono un’infinità di viuzze nelle quali è facile perdersi. Qui non vendono cibo ma gioielli, stoffe, borse e un’infinità di altre cose. Rientriamo poi verso l’hotel passando nuovamente per la piazza Sultanahmet. Ora è super affascinante. È l’ora blu e le moschee iniziano ad accendere le luci. C’è poca gente quindi non c’è molto rumore. Dai minareti inizia il richiamo alla preghiera. Molto bello. Andiamo poi in hotel per il tempo di una doccia ed usciamo a cena. Scegliamo un ristorante vicino all’hotel. Nella via Akbıyık è un susseguirsi di localini quindi abbiamo l’imbarazzo della scelta. Scegliamo il Rasital_i. È caro ma mangeremo bene con grigliate di pesce e carne più antipastini tipici, vino e birra. Spendiamo 60 euro a testa. Il piatto tipico è una zuppa di pesce che viene portata in una brocca di terracotta e spaccata di fronte ai clienti. L’ultima serata si è conclusa quindi si va a fare le valige.

5) 01 novembre 2022 – Martedì

Facciamo colazione con calma poi arriva il nostro taxi alle 9.00 che ci porta in aeroporto (costo 45 euro). Il volo parte alle 12.40 con arrivo puntuale a Malpensa dopo meno di 3 ore.

Giudizio finale: è una città che va assolutamente vista. A noi è piaciuta molto. Torneremo sicuramente per visitare qualche palazzo internamente. Tre giorni sono stati pochi ma almeno ci siamo resi fatti un’infarinatura generale. Si mangia bene e le persone sono cordiali. Le moschee al tramonto sono un’immagine molto bella. La zona sul Bosforo, sempre al tramonto, è quella più affascinate.

Alla prossima!

Anna e Pier

PS: Se volete qualche info su qualcosa che potrei essermi dimenticata di scrivere …… non esitate a chiedere:  african.dreams2019@gmail.com

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Le città di Tamerlano e il lago d’Aral

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Le città di Tamerlano e il lago d’Aral

L’Uzbekistan da ovest a est, quasi tutto on the road: Tashkent, Nukus, il Lago d’Aral, Khiva, Bukhara, Shahrisabz e Samarcanda

L’Uzbekistan è una meta che avevo in mente da tempo, a completamento di un precedente viaggio lungo la Via della Seta che da Pechino mi aveva portato fino al Kirghizistan. Poi è arrivato il COVID e tutti i piani sono saltati. Ma dall’inizio del 2022 si può cominciare a viaggiare quasi dovunque senza restrizioni eccessive e quindi l’istinto del viaggiatore ancora una volta prevale sulle abitudini poltroniere causate dalla quotidiana frequentazione di internet e social. Inoltre, l’Uzbekistan ha ridotto le formalità doganali e non c’è più bisogno del visto per entrare nel paese.

Volo Milano-Tashkent via Istanbul con Turkish Airlines. Per l’organizzazione del viaggio mi sono appoggiato a un’agenzia locale, Anur Tours di Tashkent. Hanno personale che parla italiano, come la gentilissima Fatima che mi teneva sempre aggiornato via whatsapp sugli alberghi, sul percorso e sugli orari dei trasferimenti, come nel caso del biglietto del treno Samarcanda-Tashkent che fino all’ultimo è rimasto in sospeso.

Il programma che abbiamo costruito assieme prevede di raggiungere il lago Aral da Nukus (volo interno Tashkent-Nukus), poi da lì ritornare in auto con autista fino a Samarcanda, quindi treno per l’ultimo tratto di rientro nella capitale.  Guide locali nelle città, alberghi massimo 3 stelle su mia richiesta, per il mangiare spuntini a base di frutta e samsa lungo la strada e ristoranti locali alla sera.

7 ottobre – Tashkent  

La capitale dell’Uzbekistan è un esteso agglomerato di quartieri che ospita 3 milioni di abitanti. Siamo in ottobre ma il tempo è stupendo: qui si vantano di avere più di 300 giorni di sole all’anno, e non c’è ragione di dubitarne vista la fascia climatica in cui si trova il paese. Lunghi vialoni a 6 corsie congiungono i vari quartieri che si estendono su un’area circolare di oltre 30 km di diametro. Sui viali si affacciano negozi e edifici commerciali, mentre nelle vie laterali, accuratamente evitate dal mio autista, si intravedono gli enormi palazzoni ad alveare di stampo sovietico che ospitano migliaia di famiglie.

Per noi turisti la zona più importante è la città vecchia: la piazza Khazret-Imam con cui si comincia a fare conoscenza delle strutture tipiche delle città storiche uzbeke. In particolare le madrase, cioè le scuole dove si studia la letteratura sacra dell’Islam con i loro caratteristici portali istoriati, le moschee, le torri e i minareti. Visitiamo la madrasa Kukeldash e la madrasa di Muy Muborak (= la madrasa del capello scuro del profeta), che contiene l’antico Corano di Osman, scritto in dialetto Kuraish senza le vocali, conservato in un sarcofago speciale in vetro antiproiettile in una stanza dove luce e temperature sono controllate in modo da mantenere intatte le preziose pagine. Nella Moschea Jameh (o Moschea del Venerdi), ci sono fedeli raccolti in preghiera, che i poliziotti di guardia mi consentono di fotografare, cosa che non mi sarei aspettato.

La madrasa si trova vicino al Chorsu Bazar (= il bazar dei 4 suk, nella foto si vede l’ingresso), che è il mercato principale di Tashkent. Qui si trova di tutto, ma colpisce soprattutto l’abbondanza di frutta, in particolare le cataste di meloni e melograni. Sui meloni bisognerebbe scrivere un capitolo a parte: ce ne sono circa 160 tipi, dolci e a volte profumati di vaniglia e gardenia (non fateveli mancare a colazione!), tanto che si dice che l’Uzbekistan sia il paese dei meloni. Le melonere si trovano dovunque anche lungo le strade. Da vedere anche il forno dove fanno il pane (che si chiama “naan” e si pronuncia “non”): i fornai schiaffano palle di pasta sul cielo di grandi forni a legna, le schiacciano con una spatola e le staccano quando sono cotte. Il risultato sono dei pani circolari molto consistenti che pesano mediamente 1 kg, o anche di più nelle regioni occidentali. Vicino al bazar c’è anche il Plov Centre, dove in enormi pentoloni da 2-3 quintali a botta i cuochi locali preparano il plov, cioè riso con carne e carote che è il piatto tipico nazionale e una vera e propria istituzione uzbeka.  Già appena entrati si vedono i cuochi in azione chini sui kazan, gli enormi pentoloni dove viene preparato il risotto. All’interno il locale sembra una grandissima mensa pubblica con un solo menu a base di plov e pane, per la stellare cifra di circa 3€ a testa.

Dal Chorsu Bazar si scende nella scenografica metropolitana di Tashkent, che ricorda per bellezza architettonica quella di Mosca. Qui le stazioni sono caratterizzate da strutture a colonna, spesso ricoperte di fregi e mosaici.  Ho visto le stazioni Gafur Gulom (poeta uzbeko), Mustaqilik Maydoni (piazza dell’integrità), Pakhtakor (coltivatori di cotone), Kosmonavtlar (cosmonauti, dedicata a Yuri Gagarin e Valentina Tereshkova, primo uomo e prima donna a orbitare nello spazio), Alisher Navoiy (scrittore musulmano chagatay).

Non perdete una visita a queste, o ad altre che la guida vi indicherà: il biglietto costa solo 1400 sum, cioè 0,13 € (!!!). A proposito, le stazioni della metropolitana sono anche i posti dove è più probabile trovare un bancomat che funziona. Essendo il cambio 1€ = 11.000 sum, ho cambiato 200 Euro e mi hanno dato un pacco di sum uzbeki.

La città moderna è meno interessante, piena com’è di palazzi inutili e semivuoti, ammassi di calcestruzzo retaggio del brutalismo e dell’elefantiasi dell’edilizia post-sovietica. L’hotel Uzbekistan, un immenso alveare di gabbie di cemento di 17 piani domina la grande piazza Timur Square, con un imponente monumento equestre di Tamerlano. Vediamo anche il Museo delle Arti Applicate (Amalyi San’at Muzeyi), dove c’è sempre qualche interessante esposizione di artigianato locale.

Cena al ristorante Caravan con plov speciale arricchito di ceci e uvetta e gli immancabili samsa (tortelloni di pasta ripieni di carne trita) per un conto di 13 € circa, e pernottamento all’hotel Milan (ma va…!).

8-9 ottobre – Il Karakalpakstan e il disastro ecologico del lago d’Aral   

Volo interno Tashkent-Nukus con Uzbekistan Airways che ha aerei moderni avendo abbandonato da tempo i Tupolev e gli Yak di produzione sovietica.

Nukus è la capitale della regione occidentale dell’Uzbekistan, o meglio del Karakalpakstan, che qui scrivono spesso con la Q e occupa circa 1/3 del paese. La prima cosa che ci dice la guida è “benvenuti nella Repubblica Autonoma del Qaraqalpaqstan”, mettendo subito in chiaro che qui non sono uzbeki (ciò spiega l’insegna “Nukus International Airport” notata all’arrivo). In effetti parlano una loro propria lingua, hanno la propria bandiera e non nascondono rigurgiti di secessione che a volte sfociano in manifestazioni violente contro il regime. A luglio a Nukus durante una manifestazione antigovernativa la polizia uzbeka ha sparato ad altezza d’uomo e sono morte 18 persone tra civili e poliziotti. Durante la visita comunque nessun problema di sicurezza, anzi gente cordialissima e sorridente, qui come praticamente dovunque in Uzbekistan.

Da Nukus al lago d’Aral ci sono circa 300 km che bisogna fare con la jeep perché la strada asfaltata arriva solo a Moynaq, poco oltre la metà del percorso. Moynaq una volta era il centro peschiero più importante del lago d’Aral, mentre oggi dista ben 150 km da quel poco che ne rimane. Dalla rocca dove prima c’era il molo dei pescherecci, quello che si vede adesso è solo un deserto macchiato di arbusti e sterpaglia. Sotto, adagiati su quello che un tempo era un fondale profondo 60 metri, giacciono decine di relitti di pescherecci, un cimitero di ferraglia arrugginita che mette i brividi. La tragedia del lago d’Aral qui ce l’hai proprio davanti agli occhi. A partire dagli anni ’60 il corso dei fiumi Amu Darya e Syr Darya, che erano gli affluenti del lago, fu deviato azzerando l’afflusso d’acqua al bacino, riducendone progressivamente e inesorabilmente il volume (oggi è il 5% circa rispetto agli anni ’60). La spiegazione ufficiale è che l’acqua dei fiumi serviva per irrigare i campi di cotone, che nel periodo sovietico Mosca richiedeva in grande quantità per le divise dell’Armata Rossa. La guida Aybek, che non nasconde il suo patriottismo karakalpako, ci dice invece che la ragione vera è che i russi avevano scoperto grandi giacimenti di gas sul fondo del lago, e quindi ne provocarono intenzionalmente il prosciugamento per poterlo estrarre a basso costo, senza dovere installare piattaforme di perforazione.

Il Regional History and Aral Sea Museum di Moynaq (da non perdere) con fotografie e un filmato mostra come ferveva la vita lungo le sponde, come era florida l’economia locale basata sulla pesca e sull’industria della lavorazione del pesce. Moynaq era considerata la città più ricca dell’Asia Centrale. Il lago era uno dei bacini più pescosi del mondo, a causa della presenza nel fondale di minerali e nutrienti, magnesio, fosforo, potassio e altri sali che favorivano il metabolismo algale e la produzione di plancton. L’abbondanza di questa risorsa costituiva una inesauribile fonte di nutrimento per i pesci, dal luccio allo storione a varie specie di trota, alcune esclusive di queste acque. Senza contare gli uccelli, le volpi, le lontre, gli anfibi che proliferavano tra i canneti e lungo le coste. La foto che più mi ha colpito è quella che mostra le decine e decine di diverse scatolette di conserve di pesce colorate che venivano prodotte dagli stabilimenti di Moynaq e poi inviate al mercato russo.

Da Moynaq si prosegue lungo una pista che corre esattamente sul fondo di quello che era il lago. Fa impressione pensare che sopra le nostre teste anni fa c’erano 50-60 metri d’acqua. Ormai lo chiamano “Aral Kum”, cioè il deserto dell’Aral, avendo cancellato per sempre dalle mappe e dalla memoria i nomi come “Aral Sea”, o “Aral Dengiz” in lingua locale, che si usavano prima.  Le torri di estrazione e gli stabilimenti per la concentrazione del gas si susseguono una dietro l’altra ai lati della pista, con i caratteristici pennacchi di fuoco del gas incendiato che si elevano al cielo. Arriviamo al campo tendato di Barsakelmes, montato due anni fa sulla riva ma ormai distante 300 metri dalla pozzanghera ex-lago che si sta sempre più ritirando. Oggi l’acqua occupa solamente il 5% dell’antico volume, con una salinità altissima che tra un po’ non consentirà più nemmeno al crostaceo artemia salina di sopravvivere, così scompariranno anche i fenicotteri che vengono qui in primavera. Si stima che entro 8-10 anni della porzione uzbeka del lago non rimarrà più nulla.

Si dorme in yurta, in gruppi di 4. Fa un freddo cane, siamo almeno 3-4 gradi sottozero, ma la dovizia di coperte è notevole. Il tramonto, la salita della luna nel cielo e l’alba sono spettacolari. Rischiando il congelamento, abbiamo dormito poco e siamo stati tutti quasi sempre fuori ad ammirare i colori offerti dalla natura.

Il giorno dopo si torna a Nukus, lungo un percorso più a est che attraversa gli splendidi panorami desertici dell’Ustyurt Plateau, toccando il lago Sudochie, che è un bacino artificiale di acqua dolce, e i distretti di Khojeli e Kungrad dove vivono i lavoratori degli impianti di estrazione del gas. Gente che per un po’ di sum in più nello stipendio accetta di lavorare per qualche anno in queste lande torride d’estate e gelide d’inverno.

Sulla via del ritorno ci fermiamo alla necropoli di Mizdakhan, al confine con il Turkmenistan, un antico cimitero zoroastriano situato accanto ai resti della fortezza di Gyaur-Kala, uno dei luoghi di pellegrinaggio più antichi e visitati del Karakalpakstan. La fortezza ha ricevuto il suo nome durante la conquista araba e significa “bastione di miscredenti”, perché gli arabi consideravano tali gli abitanti zoroastriani.

A Nukus visitiamo il Museo Savitsky, o Museo Statale delle Arti del Karakalpakstan, un vero e proprio “Louvre delle steppe”. Qui sono esposte opere di pittori russi non allineati, uzbeki e kazaki che Igor Vitalievich Savitsky, un artista appassionato di tesori perduti, ha raccolto e portato qui in mezzo al deserto.

10 ottobre – Khiva, il museo a cielo aperto    

A Nukus mi aspetta l’autista che mi accompagnerà fino a Samarcanda. Si chiama Murad Kadyrov e parla un buon inglese. Il cognome al momento mi mette un po’ in apprensione, poi il ragazzo, che si rivelerà bravissimo e disponibilissimo, mi rassicura dicendo di non avere nessuna parentela con il boia ceceno.

Da Nukus a Khiva sono 180 km che si fanno in 3 ore circa ma non ci si annoia. La strada corre attraverso sterminati campi di cotone, con le operaie che sorridono e salutano quando mi fermo per fotografarle, montagne di meloni accatastate qua e là, e le donne che preparano il forno tandir per cuocere i samsa (equivalente degli indiani tandoori e samosa). Ci sono anche molte risaie, come era prevedibile visto che il plov a base di riso è il piatto nazionale, malgrado la penuria d’acqua visto che siamo in una zona desertica.

La città interna di Khiva, circondata da possenti mura con torrioni, si chiama Ichan Kala, ed è una specie di museo a cielo aperto che si scopre passo dopo passo camminando tra i tortuosi vicoli che attraversano i quartieri. Per visitare molti dei monumenti bisogna acquistare un biglietto cumulativo nell’ufficio turistico subito fuori dalla Porta Occidentale. Il momento migliore per la visita è il tramonto, quando dalla Porta Settentrionale, salendo sulle mura si ha una stupenda visione della città al crepuscolo.

Una coppia di sposini in bellissimi abiti tradizionali sta facendo il servizio fotografico per il matrimonio, e ovviamente non ci si può esimere dall’immortalarli. Gli edifici da vedere sono tanti. Il più famoso è il Minareto Kalta Minor, quello rivestito di piastrelle azzurre che appare su tutti i dépliant delle agenzie turistiche.  E’ alto solo 27 metri, essendosi fermata a questo punto la costruzione originale che prevedeva dovesse arrivare a 90 metri. E’ rimasto incompiuto a causa della morte improvvisa del suo committente, Mohammed Amin Khan, ma pare che i calcoli ingegneristici non fossero troppo azzeccati e che a 90 metri non ci sarebbe mai potuto arrivare. La fortezza Kuhna Ark circonda l’Ichan Kala. Fu costruita nel XII e per secoli è stata la dimora dei sovrani di Khiva. All’interno ci sono diversi edifici di interesse (scuderie, prigione, harem, zecca) ma il vero punto forte è la vista stupenda che si gode dall’alto delle sue mura.

Vediamo anche la Moschea Juma, con le sue 218 colonne di legno, il minareto della madrasa di Islom Hoja, che con i suoi 57 metri è il più alto dell’Uzbekistan, il Palazzo Tosh-Hovli e il Mausoleo di Pahlavon Mahmud, poeta, filosofo e lottatore dalla forza straordinaria, che divenne nel XIV secolo il patrono di Khiva.

11-12 ottobre – Bukhara e il deserto rosso   

Da Khiva a Bukhara ci sono 450 km di strada, 7-8 ore attraverso il Kyzyl Kum, il deserto rosso, dove non c’è praticamente niente: una steppa sconfinata puntellata di arbusti alti mezzo metro, e poi non è neanche rosso come dice il nome. Rarissime anche le stazioni di servizio: praticamente ce n’è una sola a metà strada dove convergono tutti i viaggiatori. Per fortuna l’autista Murad conosce un ristorantino a conduzione familiare dove servono il pesce dell’Amu Darja, che si raggiunge con una deviazione segnalata qualche kilometro più a sud della strada nel deserto, nascosto da uno sperone di roccia. Il ristoratore ci mostra anche qualche esemplare degli ultimi pellicani dell’Amu Darja, che se ne guardano bene dal tornare al fiume visto che nel cortile raccolgono a sbafo gli avanzi di pesce gettati dai clienti. Anche questi uccelli sono in via di estinzione come il fiume, la cui portata si riduce di anno in anno.

L’unica variante che rompe la monotonia del deserto è un enorme impianto di concentrazione del gas costruito un’ottantina di km prima di Bukhara, che ha dato il nome anche al villaggio sorto per ospitare i lavoratori (Gazli).

Finalmente alla sera arriviamo a Bukhara, dove dopo tante cene a base di riso con carote riusciamo a trovare un posto dove fanno le bistecche. Con grande fantasia l’hanno chiamato “Ristorante Steakhouse”, ma la carne è davvero buona e i prezzi come sempre sono contenutissimi (non si arriva mai a 20 Euro). Tra l’altro, nelle città turistiche si può pagare anche con la carta di credito e se ti serve contante i bancomat funzionano.

La visita della città è in programma il giorno dopo. Ci guida la gentile Nilufar, che mi invita subito a chiamarla Lili evitandomi così l’imbarazzo di pronunciare male il nome. Parla inglese, russo, uzbeko e tagiko, ma purtroppo non l’italiano …sigh. A Bukhara le cose da vedere sono tantissime, e non tutte localizzate nel centro storico per cui bisogna prevedere degli spostamenti col taxi. Ci ha pensato Lili, che ha anche pagato di persona le corse.

All’ingresso del centro storico ci sono tre cupole con bazar coperto, che espongono una quantità incredibile di merci. Questi bazar di Bukhara sono probabilmente il posto migliore dove comprare i souvenir da portare a casa o regalare agli amici. In mezzo alla onnipresente paccottiglia per turisti si possono trovare delle cose interessanti. Ho puntato subito l’occhio sulla bottega del fabbro, dove forgiano i chust, caratteristici coltelli uzbeki con la lama più larga dell’impugnatura, in osso o legno. Quelli più belli sono i coltelli con intarsi damascati (pichok), per i quali però i prezzi partono da 250 € e si fa fatica a scendere sotto i 200 malgrado la contrattazione. Un chust non intarsiato, comunque bello, si riesce a portarlo via per 50-60 €.  Altre idee-regalo: le sciarpe in seta, gli zucchetti da odalisca o da uomo, i copricapi di feltro o cammello o pelliccia in stile turkmeno, le ceramiche, i manufatti in legno intagliato. Ovviamente ci sono anche i tappeti, ma i migliori non sono in vendita qui nel bazar e si trovano nei laboratori di tessitura specializzati. Invece dei tappeti, meglio puntare su ikat e suzani, tessuti ricamati di cotone e seta tipici dell’Asia Centrale, che si trovano in tutti i bazar e costano molto meno. Una cosa curiosa che ho comprato per me (oltre a un coltello non damascato e naturalmente a una consistente scorta di magneti da frigo): un ciuccio di bronzo smaltato con catenella (sì, proprio come quelli che si mettono in bocca ai bebè per farli stare buoni). Come sempre nei mercati bisogna contrattare, ma si vede che qui hanno sgamato i turisti, e difficilmente si riesce a abbassare il prezzo oltre il 20-25%.

Le cupole azzurre dei mausolei segnano le cose da vedere a Bukhara, che sono tante. Il complesso Lyab-i-Hauz (= la vasca vicino al laghetto) ce l’ho proprio davanti all’hotel Divan Beghi: è un khanqa, o foresteria per sufi itineranti, costruita dal visir Nadir Divan-Beghi con annessa sinagoga. Davanti c’è uno stagno che è una delle ultime vasche di pietra per l’approvvigionamento idrico pubblico rimaste, prima che i bolscevichi le svuotassero creando un sistema idrico più moderno, perché l’acqua stagnante delle vasche era ricettacolo di zanzare e veicolo di malattie. Sulla piazza Lyab-I-Hauz si affaccia la madrasa di Nadir Divan Beghi, la cui facciata non è straordinaria solamente per le piastrelle multicolori, ma anche perché ci sono raffigurati due pavoni che reggono due agnelli ai lati di un sole dal volto umano (come noto la religione islamica vieta di rappresentare creature viventi, siano esseri umani o animali, per cui questa madrasa è davvero un esemplare raro).

Proseguendo la visita del centro storico, tra un bazar e l’altro si incontrano il bellissimo minareto Kalyan, con la relativa moschea Kalyan, che può   ospitare fino a 10.000 fedeli, poi la madrasa di Ulugbek che colpisce per la bellezza delle splendide muqarnas, le decorazioni ad alveoli tipiche dell’architettura islamica, e lì vicino la madrasa di Abdul Aziz Khan. La fortezza di Ark, del V secolo, sta all’estremità ovest delle possenti mura del centro storico, infatti la guida Lili mi fa fare il percorso esterno proprio per potermi mostrare i bastioni. Dentro, c’è pronto un facsimile del trono di Gengis Khan, su cui vi potete sedere per una immancabile foto con in mano lo spadone dei guerrieri tartari. Fatela, è un bel ricordo!

L’ultimo edificio importante del centro storico, dove comunque conviene ritornare in momenti di calma come al tramonto o all’alba, è la moschea di Bolo Hauz, o moschea delle 40 colonne, che sarebbero in realtà venti ma i furbi uzbeki conteggiano anche la loro immagine riflessa nello stagno (hauz) che sta davanti, raddoppiando così il numero.

Fuori dal centro storico, immerso in un parco, c’è il piccolo Mausoleo di Ismail Samani, che si raggiunge dopo una camminata su un vialetto che non finisce mai (si suda adesso in ottobre con 28 gradi, chissà come deve essere in estate con 40°C !). La facciata, in mattoni cotti e senza piastrelle colorate, è coperta da muratura finemente decorata, che presenta motivi circolari che ricordano il sole: un’immagine comune nell’arte zoroastriana della regione che voleva ricordare il dio Ahura Mazdā, in genere rappresentato da fuoco e luce. La forma dell’edificio è cuboide, e ricorda la Kaaba a La Mecca. Il sito è unico per il suo stile architettonico che combina motivi zoroastriani della dinastia sasanide con motivi islamici introdotti dall’Arabia e dalla Persia. Lo stile sincretistico del santuario riflette il IX e X secolo, un momento in cui in questa regione vivevano ancora grandi popolazioni  zoroastriane che avevano cominciato a convertirsi all’Islam in quel periodo. In sostanza, agli zoroastriani veniva prospettata la scelta tra convertirsi all’Islam o venire decapitati.

Per raggiungere l’ultimo edificio di interesse turistico bisogna prendere il taxi. Il Char Minar vorrebbe dire “quattro minareti“, ma in realtà sono torri sormontati da cupole ricoperte da piastrelle di ceramica celeste.  Proprio di fronte c’è un piccolo bazar dove vendono medaglie e uniformi dell’epoca sovietica a prezzi altissimi.

La giornata è stata intensa, abbiamo visto tante cose e camminato parecchio. Serata di relax con spettacolo di danze e sfilata di moda nel cortile della madrasa di Nadir Divan Beghi, con pranzo incluso… e chi ti trovo? Un collega di lavoro con la gentile signora! E’ proprio vero che noi italiani siamo dovunque, e non sarà l’unica coincidenza di questo viaggio :)).

13 ottobre – Shahrisabz, la città natale di Tamerlano    

Partenza di buon mattino verso Shahrisabz, 270 km costeggiando campi di cotone e montagne di meloni e melograni ai lati della strada. L’autista mi compra un melone giallo-verde dolcissimo da 5 kg, per 10.000 sum (90 centesimi di euro). I meloni più grossi arrivano a i 10 kg.

A Shahrisabz, città natale di Tamerlano, la cosa più interessante sono i ruderi del Palazzo Ak-Saray (Palazzo bianco). Fu costruito da Tamerlano alla fine del XIV secolo. Era imponente, ma sfortunatamente sono sopravvissute solo tracce delle sue due torri, alte 65 metri e coperte di mosaici in ceramica, blu, bianco e oro.

Sopra l’entrata si legge ancora una scritta a caratteri cubitali che recita: «Se metti in dubbio la nostra potenza, guarda i nostri edifici». Una grande statua di Tamerlano in piedi sorveglia il sito storico e la vicina moschea di Kok-Gumbaz. Ci sarebbe anche la tomba di Tamerlano, ma in realtà il condottiero fu sepolto a Samarcanda, e non qui nella città natale. Misteriosamente, la camera sotterranea della tomba, dentro sarcofagi con scritte che dichiarano la presenza della salma del re, conteneva due corpi che non sono mai stati identificati.

Nel pomeriggio trasferimento a Samarcanda (90 km). La strada sale sui 1700 metri del Kitab Pass, che superando le ultime propaggini della catena del Tien Shan collega la regione di Kashkadarya a quella di Samarcanda, tra paesaggi bellissimi e finalmente un po’ di piante, perché nelle zone desertiche ovviamente non è che abbondassero.

Sul passo i contadini hanno allestito un mercatino con i loro prodotti: frutta per metà a me ignota, formaggini di latte condensato (un po’ troppo salati, in verità), frutta secca locale, noci e nocciole, minuscole mele mignon che ne puoi tenere una manciata in una mano, giuggiole, azzeruoli (o “lazzarini” come li chiamiamo qui da noi, ma ormai non si trovano più), vari semi da sgranocchiare. Grazie all’aiuto dell’autista Murad azzardo i nomi in uzbeko di due tipi di frutta secca buonissima che ho comprato qui e che mi sono portato a casa come souvenir: nakhut, palline gialle friabili, e yeryongoq, una specie di arachide ricoperta di uno strato zuccherino.

Arriviamo alla sera a Samarcanda, dove c’è un po’ di fresco e persino qualche nuvola, e chiaramente da buon italiano cosa ti vado a cercare? Una pizzeria. Proprio vicino all’hotel Shahdil dove alloggio c’è Bellissimo Pizzeria. Il nome italiano attira: la pizza è buona! E il conto come al solito non raggiunge i 15 Euro, tra l’altro pagabili con carta di credito.

14-15 ottobre – Samarcanda, il cuore della Via della Seta     

Samarcanda è piena di fiori. Dopo tanto deserto si rimane quasi stupiti a vedere giardini pieni di surfinie, petunie e campanule colorate. E’ anche quella col traffico più caotico, stante la scarsità di mezzi pubblici e per il fatto che oggi con la crescita economica e un certo benessere il 60% delle famiglie uzbeke possiede due auto (quasi sempre Chevrolet bianche prodotte nei 3 stabilimenti UZ Automotors di Asaka, Pitnak e Tashkent).

Samarcanda è la più antica delle “città di Tamerlano”. Fu costruita 2750 anni fa ed è stata testimone di molti sconvolgimenti storici che hanno contribuito a creare un incredibile mix di culture: turca, persiana, indiana, mongola, occidentale e orientale. Tamerlano volle che Samarcanda divenisse la città più bella del mondo e decise di farne la capitale del suo impero, che nella massima espansione andava dai territori a occidente del Volga e dal Caucaso fino ai confini con la Cina, e dal lago d’Aral all’Oceano indiano fino alla vallata del Gange in India. In tutto l’Uzbekistan c’è il culto dell’emiro Timur (perché questo è in effetti il suo nome, dato che la desinenza “lan” cioè “zoppo” fu aggiunta dai persiani a sottolinearne la zoppia dovuta a una gamba più corta dell’altra). Tutta la città è impregnata del ricordo di questo condottiero potente e sanguinario, che faceva costruire muraglie utilizzando le teste dei nemici decapitati come mattoni, a cominciare dalla grande statua che lo ritrae incoronato e sul trono, che si trova all’inizio del boulevard dell’Università. Con questa, si chiude il trittico delle statue di Tamerlano: a cavallo a Tashkent, in piedi a Shahrisabz, sul trono a Samarcanda.

La città è “spaccata” in due: da una parte la nuova città ex-sovietica, piena di vialoni alberati, palazzoni e negozi di dubbio gusto, spesso con nomi italiani, dall’altra la città vecchia che cerca di mantenere intatta la magia di un tempo. Per noi turisti, ovviamente, la visita di Samarcanda si svolge quasi completamente nella città vecchia. Come a Bukhara, le cupole a bulbo azzurre, turchese, pervinca, indaco, persino viola, sono l’aspetto più appariscente degli edifici storici. Le piastrelle che adornano madrase, moschee, cupole, minareti, sacrari, tombe reali e quant’altro sono l’attrazione immediata di questa città e un po’ di tutto l’Uzbekistan.

Il Registan. Una delle più belle piazze del mondo. Con questo nome si indica un complesso che include tre madrase e l’immensa piazza su cui si affacciano. Il biglietto per accedere a quest’area dura tutta la giornata, dando così la possibilità di tornare anche la sera per vedere la piazza illuminata (direi una visita obbligatoria) oppure per assistere allo spettacolo “son et lumière” delle 10, che però potete tralasciare perché la proiezione di fasci laser rossi e verdi su monumenti molto più belli con l’illuminazione normale, fa solo un effetto kitsch.

Il primo edificio a sinistra è la Madrasa Ulugbek, la prima delle tre ad essere costruita nel 1420: le stelle che si intravedono sulla facciata sono un omaggio all’amore per l’astronomia di Ulugbek, astronomo nipote di Tamerlano. All’interno, non mancate di visitare il negozio di ceramiche: oltre ad avere vassoi e ciotole incredibili, i proprietari vi racconteranno volentieri i 12 stili di ceramiche uzbeke (ognuna delle quali produce un suono diverso, provare per credere).

Di fronte c’è la madrasa Madrasa Sher-Dor, costruita due secoli dopo. La facciata di questa madrasa ricorda la madrasa di Nadir Divan-Beghi di Bukhara: vi sono infatti raffigurati due cervi inseguiti da una coppia di leoni, sormontati da soli con volto umano, di nuovo in aperta contraddizione al divieto islamico di raffigurare esseri viventi. Potrete notare la differenza rispetto alla madrasa di Ulugbek: qui le decorazioni sono a mosaico, mentre nella prima erano in maiolica. Nella piazza, poco prima dell’ingresso, noterete una tomba: è quella di un macellaio dell’epoca che fece da “sponsor” alla costruzione della madrasa fornendo carne da mangiare a tutti gli operai per ben 17 anni (tanto ci volle per costruire questa meraviglia), a patto di potere essere seppellito qui in eterno.

Ultima delle tre la spettacolare Madrasa Tilya-Kori, quella centrale. Il soffitto decorato in lamina d’oro è favoloso. Il motivo concentrico che vedete raffigurato è il “cerchio della vita” (la nascita al centro e a dipanarsi le varie fasi della vita) ed è lo stesso che poi trovate ripreso sulle ceramiche. All’interno c’è anche un’esposizione di fotografie d’epoca: molto interessanti per fare un confronto su come era Samarcanda meno di un secolo fa.

Moschea di Bibi-Khanym: la leggenda vuole che sia stata la moglie cinese di Tamerlano a ordinare la costruzione di questa moschea, sfruttando il ricco bottino che il marito aveva raccolto saccheggiando l’India. Nel centro del giardino, potete vedere un colossale leggio in marmo per il Corano: secondo la tradizione popolare, le donne che strisciano a carponi sotto i suoi archi avranno molti figli. Vicino alla moschea c’è Il Bazar Siyob, il più grande bazar di Samarcanda. Tutte le provviste quotidiane, come ad esempio il pane “naan”, la frutta e i formaggi, sono vendute qui.

Shah-I-Zinda (= il re è vivo). Insieme al Registan, il complesso Shah-i-Zinda è ciò che contribuisce a rendere Samarcanda un luogo leggendario. Questo viale che si trova nella parte nord-est della città è un trionfo di blu e turchese, un susseguirsi di mausolei e madrase con le pareti istoriate da versetti tratti dalle Sure del Corano. Tra i vari edifici ci sono laboratori e negozietti. Uno è frequentatissimo: quello dove fanno magneti da frigo decorati a mano, molto belli e neanche eccessivamente costosi (30-40.000 sum l’uno). Durante la visita delle madrase, come è capitato a me, vi potrà capitare di trovarvi per errore nel mezzo di una preghiera islamica: beh, tutto sommato di questi tempi anche un’invocazione a Allah può venire buona.

Mausoleo di Tamerlano: il grande emiro in realtà non doveva essere sepolto qui, ma nel Mausoleo fatto costruire apposta a Shahrisabsz. Peccato che il condottiero fu colto dalla peste mentre era in Kazakistan e i valichi di montagna che conducevano a Shahrisabsz fossero impercorribili: da qui la scelta di seppellirlo a Samarcanda.  L’interno è davvero spettacolare: tutto intorno al soffitto vi sono nicchie decorate “a stalattite” con le muqarnas, che fanno da cornice a diverse tombe. Quella di Tamerlano è posta in centro e la riconoscerete facilmente perché è in giada verde. Uscendo dal retro, non perdete anche il Mausoleo di Ak Saray: il soffitto dorato all’interno vi lascerà a bocca aperta.

Ci sono molte altre cose da vedere, come l’Osservatorio Astronomico di Ulugbek, il Quartiere Ebraico, il sito archeologico Afrosyiab, la tomba del profeta Daniele, la moschea di Hazrat-Hizr e chiaramente i bazar, anche se mediamente sono meno forniti di quelli di Bukhara. Magari conviene puntare sul bazar delle spezie, che invece qui è fornitissimo.  Il mio programma del secondo giorno a Samarcanda, oltre che Shah-I-Zinda, ha compreso la visita al Samarkand Bukhara Carpet Centre, un famoso laboratorio artigianale di tappeti. Qui ci sono le tessitrici che lavorano ai telai e sono esposti meravigliosi tappeti in seta e seta/lana, opere meravigliose dai prezzi a volte esorbitanti (oltre 10.000 € per un tappeto di seta medio-grande). Meglio non provare nemmeno la contrattazione: il venditore sa già che non farete l’acquisto e vi orienterà presto verso i tappeti cinesi che qui disprezzano come sottoprodotti di scarto.

Sarà perché è stata la capitale di un impero, sarà per le cupole turchese a costoni coperte di fregi, sarà perché Roberto Vecchioni le ha dedicato una bellissima canzone, o sarà forse per il clima da Mille e Una Notte che si respira tra le viuzze della città storica, ma Samarcanda è una città che ti rimane impressa, in un certo senso il simbolo di questo viaggio. Dedicatele almeno 2 giorni.

Conclusione     

Si torna a Tashkent con il treno veloce Afrosiyob, di costruzione spagnola come i Talgo. Saluto l’autista Murad che mi ha scarrozzato assecondandomi in ogni richiesta.  Il treno prende il nome da Afrasiab, la parte più antica dell’odierna Samarcanda. Prendo il treno n. 761 delle 17.32, che in 2 ore e un quarto raggiunge Tashkent alla velocità media di 200 all’ora. Biglietto 200.000 sum (18 €). Mentre aspetto sulla banchina sento parlare in italiano: niente di strano, gli italiani vanno dappertutto. Ma… un momento: le voci le riconosco! Ebbene sì, dopo l’incontro casuale a Bukhara, qui scopro che con me sta aspettando il treno un gruppo di viaggiatori tra cui ci sono alcuni amici con cui ho viaggiato, chi in Brasile, chi in Myanmar, chi alle Falkland… Ci ritroviamo nello stesso paese straniero, stesso giorno, stessa città, persino stesso treno e stressa ora: coincidenza incredibile! Baci e abbracci, ma siamo almeno su due carrozze diverse: loro tornano a casa, io invece proseguirò verso il Kazakistan.

Il clima: settembre-ottobre sono mesi perfetti per un viaggio nell’Asia Centrale. Fa ancora caldo, ma non si superano i 30 °C e c’è sempre il sole.

Per colazione: gli hotel offrono la classica colazione continentale, persino con uova e bacon e i croissant se li chiedete. Ma provate a fare colazione con melone, anguria, formaggini di montagna, le decine di varietà di frutta secca (che magari potete anche sgraffignare per sgranocchiarla durante il viaggio…)

Ristoranti: a Tashkent il ristorante Caravan, specialità plov con uvetta e ceci. A Samarcanda Restaurant Samarkand, anche questo ottimo per il plov, la zuppa lagman e gli spiedini shashlyk. Quando il riso con le carote vi ha stufato: Ristorante Steakhouse a Bukhara, Pizzeria Bellissimo a Samarcanda. Prezzi attorno ai 15 €.

La frutta: sia fresca che secca, si trova dappertutto. Settembre-ottobre sono i mesi dei meloni e del melograno. In tutti i bazar c’è almeno una pressa per spremere i melograni e produrre un succo fresco e dissetante.

I souvenir: oltre ai soliti, considerate questi: tessuti ricamati suzani, sciarpe di seta, calze di lana invernali, coltelli chust damascati o semplici, zucchetti da uomo e da donna di lana o meglio in pelle di cammello, oggetti intagliati in legno, ceramiche. Per i magneti, cercate i laboratori dove li dipingono a mano. Per i tappeti ci sono le tessiture artigianali, ma come ho scritto nel racconto i prezzi possono essere altissimi.

Bancomat e carte di credito: nelle città turistiche i bancomat funzionano, a Tashkent invece bisogna provare nelle stazioni della metropolitana. La banconota di taglio maggiore è da 100.000 sum (9 euro), ma non la danno sempre. Quindi aspettatevi un pacco di banconote da 10.000 e 50.000 sum. Alberghi e ristoranti accettano le carte di credito. Nei bazar prendono senza problemi euro e dollari.

Gli alberghi: generalmente tutti buoni e puliti. Costo medio di una doppia: 60 €.

Internet: wi-fi perfettamente funzionante in tutti gli alberghi, nei bar e nei ristoranti. Ovviamente non c’è copertura nel deserto e nella regione del lago d’Aral.

Simbolo del viaggio: le piastrelle turchese che ricoprono cupole e minareti

Gli uzbeki: non sono un ceppo etnico definito. Sono in parte turchi, europei, russi, persiani, indiani, arabi, mongoli. Ma hanno una caratteristica comune: sono gentilissimi. I ragazzi ti fermano per la strada cercando di dialogare con l’inglese che hanno imparato a scuola. Le donne sorridono e si fanno fotografare senza tanti problemi, malgrado la fede islamica.

Grazie per essere arrivati fin qui.

Luigi

luigi.balzarini@studio-ellebi.com

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Viaggio in Kazakistan, paese delle steppe e del boom economico

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Viaggio in Kazakistan, paese delle steppe e del boom economico

Scopriamo il Kazakistan, paese dalle risorse infinite dove tutto è troppo grande   

Da Tashkent per arrivare alla frontiera con il Kazakistan (posto di confine di Gisht-Kuprik) ci vogliono solo 40 minuti di macchina. L’autista mi lascia alla barriera uzbeka, poi da lì devo proseguire a piedi. Seguo altre persone che si avviano verso le cabine di controllo dei passaporti. Non c’è coda, tutto tranquillo, militari neanche l’ombra. Qualche frontaliero che evidentemente non ha fretta se ne sta seduto sgranocchiando semini secchi e mi fa cenno di andare pure avanti. Controlli rapidi e guardie rassicuranti da una parte e dall’altra. Qualche cartello in tre lingue, kazako, inglese e presumo russo. Bandiere dei due paesi al vento. Mentre mi avvicino al controllo un signore con la barba mi dice che fino a tre anni fa il passaggio di questa frontiera era libero, mentre adesso ci vuole il passaporto.

Passato il border kazako, dopo un altro breve corridoio metto piede a tutti gli effetti nella Repubblica del Kazakistan (Қазақстан Республикасы).  Qui c’è il prevedibile assalto di tassisti, cambiavalute, guide turistiche improvvisate, una folla che quasi ti toglie il fiato. Cambio i pochi sum uzbeki rimasti in tasca, francamente non so a quale tasso, e ci aggiungo 50 Euro da convertire in tenge, la valuta locale. Il cambio è 1 Euro = 460 tenge. A fatica riesco a liberarmi dal nugolo di gente che mi attornia, tenendo sempre d’occhio il trolley con i bagagli, poi finalmente scorgo un tizio che espone il cartello col mio nome e allora via con la nuova guida, che parla kazese (kazako/inglese). In sostanza, capisco il 20% di quello che dice.

Come quello in Uzbekistan, anche questo viaggio in Kazakistan è stato organizzato in collaborazione con Anur Tours di Tashkent.

16 ottobre – Turkistan oblysy   

La regione del Kazakistan meridionale al confine con la provincia uzbeka di Tashkent si chiama Turkistan oblysy. Le due città principali sono Shymkent e Turkistan.

Le differenze con l’Uzbekistan si notano subito. La strada è a 4 corsie e non ci sono buche né cantieri per lavori in corso, che invece in Uzbekistan erano dappertutto.  Le auto sono quasi tutte Mercedes e BMW, più qualche rara utilitaria Chevrolet bianca di produzione locale, probabilmente di emigrati uzbeki.  Paesaggio collinare abbastanza uniforme, pochissime piante a rompere la monotonia giallognola dei campi disseccati. Siamo in ottobre, e qui sono 5 o 6 mesi che non piove.

Dopo un’ora circa di viaggio arriviamo a Shymkent, capitale della regione e terza città del Kazakistan in ordine di grandezza. Breve sosta per prendere l’acqua, un po’ di frutta fresca e gli immancabili semini di pistacchio e sesamo da mettere sotto i denti, poi via verso la steppa. Prima tappa al Mausoleo di Arystan-Bab, un mistico religioso che secondo la leggenda avrebbe vissuto 400 anni, un importante luogo di pellegrinaggio per i fedeli kazaki. L’edificio è poco appariscente e non suscita particolari emozioni. A una decina di km c’è Otrar, la città dove è morto Tamerlano. Una suggestiva carovana di cammelli e cammellieri in bronzo ci accoglie davanti all’ingresso della fortezza, ricostruita dopo che nel XIII secolo Gengis Khan l’aveva completamente rasa al suolo. Facciamo un giro attorno alle mura e ai resti dello shahristan (la cittadella), dove ci sono imponenti ruderi di fondamenta che dovevano sostenere edifici monumentali. La parte più integra sono alcuni resti di un bagno pubblico con spogliatoi e sale di massaggio e un laboratorio di ceramiche con elementi decorativi. Uno dei reperti di ceramica meglio conservati è un cammello con la testa di donna e una culla sulla schiena, vicino all’immagine sbiadita di un portatore d’acqua.

Altri 150 km nella steppa verso la città di Turkistan, facendo molta attenzione ai cammelli che attraversano la strada o brucano l’erba sul ciglio, incuranti delle auto che passano. In realtà alcuni hanno una gobba, altri due e altri ancora una gobba e mezza, evidentemente nati da un incrocio, quindi non sarebbero cammelli ma nemmeno dromedari. Tra gli arbusti della steppa ogni tanto appaiono greggi di capre e pastorelli che li governano a cavallo di un asino.

Turkistan è il centro religioso e culturale di questa parte meridionale del Kazakistan. La sua importanza è dovuta principalmente alla presenza del mazar (mausoleo) di Khoja Ahmed Yasawi, meta di pellegrini e turisti provenienti da tutta l’Asia Centrale, più qualche raro europeo come me. Fu eretto per ordine di Tamerlano sulla tomba del poeta e maestro sufi Khoja Ahmed Yasawi verso la fine del XIV secolo, come recita l’iscrizione all’ingresso: “Questo luogo santo fu costruito per volere del sovrano amato da Allah, Amir Timur”. In effetti la sua struttura ricorda quella della moschea che Tamerlano fece costruire a Samarcanda in onore della moglie Bibi Khanym.

All’interno del mausoleo ci sono 35 sale con diverse funzioni: preghiera, abluzioni, meditazione, museo. Nel kazandyk, la sala principale, troneggia un enorme ciotolone tay kazan in bronzo del peso di 2 tonnellate, simile a quelli visti in Uzbekistan per la preparazione del plov, ma qui destinato a contenere acqua consacrata che veniva distribuita ai pellegrini. In un certo senso, una specie di grande acquasantiera come quelle che trovavamo in chiesa prima dell’avvento del Covid.

Con mia grande sorpresa la piccola Turkistan (solo 100.000 abitanti) alla sera si accende e si trasforma. Nella piazza principale si illumina una gigantesca palla dorata, che si rivela essere un cinema multisala. Poi scopro il Canal Grande, l’Opera House di Sydney e gli alberi della vita di Singapore, tutto rigorosamente falso, e mi sembra di essere a Las Vegas. Penso tra me e me: va bene che il Kazakistan è un paese ricco,  però potrebbero usare i soldi per scopi socialmente più utili.

Cena al ristorante all’aperto Plow Wow, menu incomprensibile scritto solo in cirillico, ma per fortuna arriva in soccorso una ragazza che biascica un po’ di inglese e riesco a ordinare stufato di cavallo con patatine (eccellente!), accompagnato da un altrettanto eccellente thè limone e menta. La teiera è dotata di una resistenza riscaldata attorno al becco d’uscita, così il thè si riscalda versandolo (precauzione utile per l’inverno che qui è rigidissimo).

17-18 ottobre – Astana, la capitale delle steppe     

Volo Fly Arystan Airways da Turkistan a Astana delle 11.45, con un Airbus A320. All’arrivo, temperatura 6° C e cielo nuvoloso. Tira aria di temporale. Mi aspettano fuori dall’aeroporto la guida Aman e l’autista Diana. Aman, gentilissimo e competente, è una delle 4 guide kazake che parlano italiano (meno male). Due stanno qui a Astana, le altre a Almaty.

Astana è il nome attuale della capitale, che vuol dire semplicemente “la capitale”, ma anche “il luogo dove si decide”. La storia della città è piuttosto curiosa. Il presidente-padrone Nursultan Nazarbaev volle trasferire la capitale qui in mezzo alla steppa al posto della precedente Almaty, giudicata in posizione troppo meridionale e decentrata. Per prima cosa cambiò il nome della città che era Aqmola o Akmolinsk in versione sovietica, che vuol dire “tomba bianca”, perché giudicato non particolarmente evocativo, quindi iniziò a costruire gli edifici necessari per ospitare il governo e le ambasciate, tutti assolutamente grandiosi e mastodontici e tutti sovradimensionati rispetto alla reale esigenza. In pochi anni Astana fu completamente rimodellata e spuntarono interi quartieri fatti solo di grattacieli, enormi piazze circondate da parchi altrettanto enormi, viali alberati,  strade a 8 corsie, torri, palazzi espositivi, arene sportive.

Il 20 maggio 2019, l’ultimo giorno di governo di Nazarbaev, il governo decise di rinominare la capitale col suo nome Nur-Sultan in omaggio ai suoi 30 anni di presidenza. Ma anche questo nome durò poco, perché il nuovo presidente Toqaev nel settembre 2022, a seguito di continue proteste di piazza, decise che la città doveva tornare a chiamarsi Astana. Un evidente tentativo da parte del nuovo governo di distanziarsi dall’ingombrante figura del patriarca Nazarbaev.

La posizione geografica di Astana, proprio al centro dell’immensa steppa dell’Asia Centrale e quindi esposta ai freddi venti siberiani, ne fa una città dal clima tremendo, torrida d’estate quando si superano i 40 gradi, e gelida d’inverno quando si scende spesso a trenta e passa gradi sottozero, contendendo alla capitale della Mongolia Ulan Bator il titolo di capitale più fredda del mondo. La guida Aman, con un messaggio appena ricevuto in questi giorni in cui viene pubblicato il diario (gennaio 2023), mi ha comunicato che la temperatura è scesa a -30 °C, ma percepita addirittura -45 °C a causa del buran, il vento gelido della steppa, al punto che le autorità hanno raccomandato ufficialmente alla popolazione di stare in casa altrimenti rischiano di congelarsi.

Lo stupefacente layout urbano di Astana     

Astana è una città concepita e costruita per stupire. Tutto qui è mastodontico e avveniristico, progettato per essere al top del mondo secondo i voleri del megapresidente Nazarbaev e secondo il piano urbanistico dell’architetto giapponese Kisho Kurokawa, carico di simbolismi evocativi che richiamano ricorrenze storiche talvolta create ad arte. Grattacieli di tutte le dimensioni e di tutti i colori, gialli, verdi, blu, dritti, storti, bislunghi, a forma di libro e di calice, accostati in modo da creare una grandiosa scenografia di arredo urbano. Colore dominante l’azzurro, come nella bandiera kazaka. Condomini lunghi un kilometro e mezzo. Visitando questa città si rimane stupefatti e allibiti. Descrivo i luoghi di interesse nell’ordine in cui li ho visti, cioè da quelli più vicini all’aeroporto fino a quelli del centro città.

La Moschea Nuova: la gigantesca “New Mosque” o “Grand Mosque”, a cui formalmente non è ancora stato assegnato un nome, è la più grande dell’Asia Centrale, battendo il record precedentemente detenuto da un’altra moschea di Astana, quella di Hazret Sultan. Qualche dato e alcuni dettagli: i 4 minareti sono alti 130 metri e sono composti da 5 parti per simboleggiare i 5 pilastri dell’Islam: fede, preghiera, digiuno, zakat (elemosina) e pellegrinaggio – i fedeli possono prendere un ascensore e ammirare la vista della città dall’alto – la cupola centrale azzurra è alta 83 metri ed è la più alta del mondo – la porta d’ingresso è stata realizzata in legno duro iroko, proveniente dalle foreste dell’Africa Centrale – il tappeto della sala di preghiera è stato tessuto con lana proveniente dalla Nuova Zelanda e copre una superficie di 15.525 mq grande come 2 campi di calcio (!!!), che lo rende il più grande tappeto del mondo fatto a mano – la grande lampada centrale ha un diametro di 27 metri, pesa 20 tonnellate ed è costituita da 1.360.890 frammenti di cristallo a forma di petalo. La moschea può contenere 35.000 persone.

Expo Astana 2017: il padiglione del Kazakistan, una enorme sfera di vetro di 80 metri di diametro (altro record: la più grande costruzione sferica di cristallo al mondo), è ancora aperto al pubblico. Lo si vede distintamente dal piazzale della New Mosque. Sono ancora visitabili le sale dedicate ai temi della manifestazione: World of Energy, Energy for the future, Energy for all.

Nurzhol Boulevard: grandioso viale pedonale lungo quasi 4 kilometri posto nel centro commerciale e amministrativo della città, sulla riva sinistra del fiume Ishim. Alle sue estremità ci sono a est il palazzo presidenziale Ak Orda e a ovest il centro commerciale Khan Shatyr, entrambi ben visibili dalla torre Bayterek che è un altro dei simboli della città. Lungo il viale si susseguono edifici dalla struttura spettacolare e dalla funzione misteriosa progettati da famosi architetti. In particolare, colpiscono due alte torri troncoconiche rivestite di pannelli di vetro dorato, che dovrebbero essere un business center e la sede della società Samruk-Kazyna, un fondo sovrano il cui unico azionista è lo stato e controlla le fonti più importanti per l’economia kazaka: la ferrovia nazionale, le poste, la compagna del petrolio e del gas KazMunayGas, la compagnia statale dell’uranio Kazatomprom.  Ho scritto “dovrebbero” perché in realtà a cosa servano i due torrioni non è affatto chiaro.

Torre Bayterek ( = alto pioppo): posta al centro del Nurzhol Boulevard, è un monumento che ha lo scopo di incarnare un racconto popolare sull’albero della vita e sull’uccello magico della felicità samruk, che aveva deposto l’uovo nella fessura tra i due rami di un pioppo. E’ alta 105 metri, con una palla di vetro di 22 metri di diametro all’altezza di 97 metri, corrispondente al 1997 anno in cui Astana divenne capitale, dalla quale si ha una magnifica vista a 360 gradi sulla città. Le foto del Nurzhol Boulevard le ho scattate da qui. La bolla di vetro simboleggia l’uovo dell’uccello samruk, che secondo la leggenda conteneva tutti i desideri umani e le risposte sul loro futuro. All’ultimo livello della torre c’è una specie di altare con l’impronta in bronzo della mano destra dell’ex-presidente Nursultan Nazarbaev, in cui potrete onorarvi di poggiare la vostra mano esprimendo un desiderio, certi che il potente personaggio non mancherà di realizzarlo.

Khan Shatyr Entertainment Center: un altro dei simboli di Astana. Situato in fondo al Nurzhol Boulevard, è un centro commerciale a forma di grande tendone dove distribuiti su 5 piani ci sono shop di ogni genere. Moltissimi marchi italiani, alcuni famosi come Armani e Zara, altri meno noti come Camicissima, De Facto, Giorgio Botta. Al quinto piano di questo centro si può entrare solo a pagamento: dentro, incredibile a dirsi, c’è una laguna con onde artificiali, con tanto di palme e spiaggia finissima trasportata fin qui dalle Maldive. Mah….

Il materiale con cui l’architetto inglese Norman Foster ha progettato e costruito il Khan Shatyr (ETFE, etilene tetrafluoroetilene) consente di mantenere una temperatura gradevole all’interno sia quando fuori ci sono 30 gradi sottozero e soffia il vento della steppa, sia d’estate quando ci sono 40 gradi all’ombra. Aman mi dice che d’inverno anche se fuori si gela la gente viene qui a prendere il gelato.

Edificio Kaz-Munay Gas: proprio davanti al Khan Shatyr si trova la sede della compagnia di stato che presiede allo sfruttamento dei ricchi giacimenti di petrolio e di gas naturale del paese. Il complesso è costituito da due ali unite da un grandioso arco, al centro del quale in fondo si vede la torre Bayterek.

Palazzo Ak Orda: il palazzo del presidente, situato all’altra estremità del Nurzhol Boulevard proprio sulla riva del fiume Ishim, è un imponente edificio con la cupola azzurra e un parco tutto attorno. E’ vigilato continuamente dai militari della guardia presidenziale, che si danno il cambio ogni 2 ore. Nelle due torri dorate poste sul Nurzhol Boulevard che stanno davanti al palazzo non è difficile cogliere la similitudine con le bibliche colonne del tempio di Salomone, a cui forse Nazarbaev considerandosi alla stregua di un dominus desiderava essere paragonato. Si può passare davanti al palazzo ma non entrare nel parco e non è consentito scattare foto, che quindi si possono fare solo di nascosto e a rischio sequestro.

Piazza dell’Indipendenza (Thawelsizdik alany): proprio al centro della città di trova questa grande piazza su cui si affacciano una serie di edifici come al solito enormi e di dubbia utilità: l’Università delle Belle Arti o palazzo della creatività Shabyt, che ha la forma di una gigantesca scodella blu, la serie di grattacieli azzurri che vorrebbero ricordare i monti Zailiyiski Alatau che si trovano nel sud del paese, il palazzo dell’Indipendenza parallelepipedo “aggraziato” da un reticolo di acciaio bianco, la Piramide della Pace e della Riconciliazione, altro edificio di incerta funzione costruito da Norman Foster, il colonnato della pace che riporta il nome “pace” scritto in una cinquantina di lingue, il monumento Kazak Eli, una colonna alta 97 metri con in cima sempre lui, il mitico uccello samruk. Alle estremità della piazza ci sono i due maggiori punti di interesse: il Museo Nazionale e la moschea Hazret Sultan.

Monumento Eoss-Cossack, o monumento al popolo kazako. Meno appariscente e poco conosciuto, si trova anch’esso nella Piazza dell’Indipendenza davanti a un colonnato ad arco lungo 120 metri. Negli archi del colonnato si trovano 4 bassorilievi in bronzo: “il primo presidente e il popolo“, kaharmanyk (coraggio), zhasampazdyk (creazione) e bolashak (il futuro).

Museo nazionale: la scenografica fontana dei guerrieri Sak prelude all’ingresso del museo. E’ dedicata alle tribù nomadi Sak (o Saci) della Siberia e dell’Asia Centrale che abitarono il Kazakistan più di 2000 anni fa. Il museo è molto bello e ben organizzato, ricco di reperti che mostrano la storia delle popolazioni di questi territori centro-asiatici, con spiegazioni in inglese.

La parte più interessante del museo è l’ala dedicata all’Uomo d’Oro. Questo è uno dei simboli della Repubblica del Kazakistan: è un principe, o più probabilmente una principessa, sepolto circa duemilacinquecento anni fa con un abito ricoperto da migliaia di pezzi d’oro. Lo scavo, nel kurgan di Esik nel Kazakistan sud-orientale, portò alla luce lo scheletro di un individuo di 17-18 anni, letteralmente coperto da oltre quattromila oggetti d’oro: placchette decorate, un tempo cucite sull’abito rosso, lamine con figure di cavalli e leopardi, un cinturone con figure di cervi e un copricapo conico alto settanta centimetri, ornato con elementi d’oro tra cui spiccava un grande frontale formato da due cavalli alati provvisti di corna di ariete. Tutti elementi simbolicamente associati alle forze del cielo e della terra. Questo museo è senza dubbio la parte più interessante della visita di Astana.

Moschea Hazret Sultan: un’altra moschea colossale e davvero bella, una delle cose più belle da vedere ad Astana. Nella cupola le decorazioni sembrerebbero i soliti fregi fitoformi islamici, ma in realtà sono raffinati motivi tribali kazaki.

L’interno azzurro e oro marcato da bianche colonne in marmo è stupendo. C’è anche una seconda moschea poco distante con le cupole d’oro, Nur-Astana, ma non regge il confronto con questa e con la Grand Mosque.

In questa foto si vede la lampada pendente della sala di preghiera, vista da sotto.

Auditorium (Kazakstan Ortalyk concert zaly):  progettato dall’architetto italiano Manfredi Nicoletti su richiesta di Nursultan Nazarbaev. La forma  ricorda i petali di un fiore, rivestiti da pannelli di vetro trasparente retro-verniciati in blu, che creano un involucro imponente che protegge le sale interne dalle condizioni climatiche estreme di Astana.

L’edificio ospita una delle sale concerto per musica classica più grandi al mondo, con un totale di 3500 posti a sedere, più due sale minori per cinema e conferenze. La sala concerti principale è stata progettata per adattarsi a vari tipi di spettacoli, dai concerti di musica classica a quelli di musica tradizionale e rock-pop, a balletti e pièce teatrali. Questa flessibilità è dovuta a una speciale conformazione del controsoffitto e a un articolato sistema di tende acustiche.

L’Astana Opera è un altro dei grandi simboli di imponenza voluto da Nazarbaev, che ne ha dettato lo stile e definito l’ingresso somigliante al Partenone di Atene, con colonne sulla facciata e un frontone triangolare sormontato da una quadriga in bronzo. Anche questo teatro è stato progettato da un architetto italiano, Renato Archetti. L’interno ha una pianta simile alla Fenice di Venezia, con 5 ordini di palchi aperti e un grande palco presidenziale in stile orientaleggiante.  Oro, crema e rosso sono i colori delle decorazioni realizzate ad affresco. Un imponente lampadario di cristallo dà luce alla sala. Tutti i materiali impiegati provengono dall’Italia. Ogni tanto La Scala e La Fenice vengono qui a mettere in scena delle opere. Visto però che l’interesse dei kazaki per l’opera classica è decisamente scarso, il teatro è più spesso sfruttato per danze e balletti nazionali kazaki. Al momento della mia visita il balletto dell’Opera Nazionale del Kazakistan stava provando un imminente spettacolo. Vale comunque la pena di visitare questo teatro, perché è davvero bello e assemblato con buongusto.

Chiaramente ci si chiede cosa ci fanno qui in mezzo alla steppa un auditorium e un teatro che farebbero invidia a quelli di molte città italiane e europee con grande tradizione operistica e musicale, e chi mai verrà fin  qui per vedere un’opera classica.

A Astana c’è anche la chiesa cattolica, la Cattedrale della Madre del Perpetuo Soccorso, dove si può entrare a pregare in tutta sicurezza. Dentro, accanto alla fotografia di Papa Giovanni Paolo II, c’è la grande icona Yly Dala Anasy dell’artista kazako Dosbol Kasymov, che raffigura la Madonna delle Steppe, a cui i cattolici locali sono particolarmente devoti. La Madonna tiene in mano il Bambino Gesù avvolto nella vestaglia da adulto chapan, anticipando il suo futuro da uomo. Maria indossa il kimeshek, la veste delle donne sposate che viene consegnata alle madri dopo la nascita del primo figlio. Non è una veste lussuosa, ma pur nella semplicità vuole sottolineare la bellezza e la dignità della donna umile, la donna povera della steppa.

Questi sono alcuni dei tanti centri di interesse della capitale delle steppe che appaiono uno dietro l’altro senza soluzione di continuità. Colpisce la loro ordinata collocazione urbanistica, così come la pulizia delle strade: per terra non si vede una cartaccia, men che meno una lattina vuota o un pezzo di plastica. Sembra di essere a Singapore! Pochi edifici però hanno un effettivo utilizzo: forse le moschee e il museo. Il resto è celebrazione, fasto, grandiosità, esagerazione. C’è anche il museo personale dell’ex-presidente Nazarbaev: ovviamente potete tralasciarlo. Il voto più basso l’ho assegnato alla sua biblioteca personale, un edificio costruito a forma di grande occhio azzurro che guarda verso l’alto (si vede in una delle foto precedenti). Davanti al grattacielo arancione detto “l’accendino”, alla serie di palazzoni dai vetri blu che dovrebbero ricordare le montagne Alatau, all’archivio nazionale a forma di pallottola alta 50 metri e alla maggior parte degli edifici, una volta superato lo shock  ci si chiede a cosa servono e perché li hanno fatti così grandi.

Anche gli abitanti di questa città sembrano messi in soggezione dalla grandeur urbanistica. Il milione di residenti, in gran parte giovani venuti qui alla ricerca di un lavoro stabile (età media degli “astanesi” 32 anni) si vede poco in giro, dispersi negli spazi enormi dei giardini e dei vialoni. Nascosti tra la vegetazione del Parco degli Amanti, tra il Khan Shatyr e il palazzo KazMunayGas, i ragazzi passeggiano mano nella mano come nelle altre città del mondo. In centro ci sono più semafori che persone, ma alle fermate degli autobus c’è sempre gente in attesa, perché quasi tutti gli abitanti vivono nei palazzoni soviet-style in periferia e vengono in centro solo per lavorare. La metropolitana non c’è: la sua costruzione è ferma per mancanza di fondi, e anche questo è un altro mistero kazako.

19 ottobre – Il gulag Alzhir      

Avendo mezza giornata di tempo prima del volo di ritorno, sono andato a vedere il gulag Alzhir, che si trova nella steppa a una quarantina di kilometri dal centro di Astana. Alzhir  è l’acronimo del nome in russo Akmolinsky Lager Zhen Izmennikov Rodiny, che significa “il campo di Akmola delle mogli dei traditori della patria”. I “traditori” erano scrittori, politici, intellettuali, insegnanti, artisti, o qualunque altra voce libera che avesse osato esprimere un’opinione contraria al regime di Stalin. Le loro mogli, ignare dei “delitti” compiuti dai mariti, venivano recluse a scopo preventivo, per evitare che diffondessero notizie non gradite al regime.

Uno dei tanti gulag istituiti da Stalin (la cui immagine appesa al muro si vede dietro il truce gendarme nella foto). Campo durissimo, fatto di baracche di legno esposte al gelo e al vento della steppa. Molte donne non sopravvivevano, altre furono violentate  e se avevano dei figli glieli portavano via all’età di tre anni, dopo di che non li avrebbero più rivisti. Persino i contadini della zona avevano compassione delle prigioniere, e dal recinto del campo tiravano dentro di nascosto palline di kurut, formaggio duro di latte di capra fermentato e essiccato, per dare loro un po’ di sostentamento.

Il gulag è visitabile senza problemi: vale veramente la pena, per conoscere un altro dei tanti orrori delle guerre e delle dittature.

Il Kazakistan oggi      

Questo è il nono paese al mondo per estensione, grande 9 volte l’Italia, anche se l’arida steppa e il deserto sassoso ne occupano circa l’80%. Il suo  confine con la Russia, a nord e a ovest, è uno dei più lunghi al mondo: 6846 km. Questo enorme territorio è abitato solo da 19 milioni di persone.

Nella foto si vedono il sole e l’aquila d’oro, elementi della bandiera kazaka, all’ingresso del Museo Nazionale. Un meccanismo elettronico fa muovere le ali.

E’ un paese potenzialmente ricchissimo e in pieno boom economico, con un prodotto interno lordo che cresce del 9% all’anno. In territorio kazako ci sono circa il 60% delle risorse minerarie dell’ex Unione Sovietica: vengono estratte grandi quantità di ferro nel bacino di Kustanaj nel nord-ovest, notevoli quantità di carbone nei dintorni di Karaganda e Ekibastuz, e inoltre petrolio, metano, rame, cromo, manganese, uranio e diversi metalli rari usati nell’elettronica, nell’ingegneria nucleare e nella missilistica. Le aree coltivabili a nord sono sfruttate in maniera estensiva per il frumento, quelle a sud forniscono frutta, ortaggi, tabacco, riso, canapa e cotone. Le aree più asciutte vengono usate per il pascolo stagionale di pecore, mucche, cavalli e cammelli. Le risorse petrolifere, in particolare, sono enormi e ancora pochissimo sfruttate.

Il patriarca Nazarbaev, dopo essere stato rieletto per l’ennesima volta nel 2015 con il 98% dei voti (elezioni ovviamente truccate), disse senza esitazione che “l’economia viene prima della democrazia”, solo che aveva un concetto un po’ troppo accentratore riguardo alla distribuzione dei proventi dell’economia, in pochissima parte dispensati alla popolazione operaia e agli agricoltori.

C’è però un aspetto positivo del suo periodo di presidenza: l’istituzione di aree protette per la tutela della natura. Così, il Kazakistan con la costruzione della diga di Kokaral ha salvato la porzione settentrionale del lago d’Aral, dove a poco a poco sta tornando a rifiorire la pesca. E’ stato istituito il Parco Nazionale del Charyn Canyon nel sud del paese (che molti ritengono più bello del Grand Canyon in Arizona), sono state create due riserve naturali vicino a Astana (Burabai Park e Korghalzyn Park), dove d’estate arrivano i fenicotteri.

Il paese ha anche grossi problemi di corruzione (diffusa) e di meritocrazia (latente). Per trovare un buon posto di lavoro è molto più importante avere un parente in un posto-chiave o conoscere qualche funzionario ammanicato, che possedere effettive capacità personali. Così, nel 2022 è scoppiata la rivolta popolare, a causa degli aumenti dei prezzi delle materie prime, degli alimentari e del costo della vita. La gente è scesa in piazza e ha preso d’assalto i palazzi del governo.

In seguito a queste proteste il presidente Toqaev ha licenziato l’intero governo di Nazarbev, accusando l’ex-presidente di avere creato una classe di borghesi ricchissimi e di avere impoverito la popolazione lavoratrice. Nel giugno 2022 si è tenuto un referendum costituzionale che ha tolto alcuni dei privilegi concessi a Nazarbaev, compreso il titolo di “guida della nazione”. A settembre, come già scritto all’inizio, è stato riassegnato alla capitale il nome di Astana, cancellando definitivamente dalle cartine geografiche il nome “Nursultan” che Nazarbaev le aveva attribuito a propria gloria.

Conclusione e informazioni utili       

Magari è un commento banale, ma quello che colpisce subito del Kazakistan è che tutto è grande, esagerato, eccessivo: dalla capitale che è una sorta di museo di architettura moderna all’aperto, alla steppa infinita che si perde nell’orizzonte, al gelo delle rigidissime giornate invernali, alle maestose architetture dell’Islam.

Qualche info:

Il clima: settembre-ottobre sono mesi perfetti per un viaggio in Kazakistan. Nel sud fa ancora caldo, ma non si superano i 30 °C e c’è sempre il sole.  A nord da metà ottobre comincia a rinfrescare, ma la temperatura può scendere al massimo fino a 5-6 °C, con qualche probabilità di pioggia. Luglio-agosto torridi, da novembre a aprile gelo da far battere i denti.  Maggio-giugno ok, ci sono molti fiori nei viali e tante fontane zampillanti nei luoghi più frequentati.

Muoversi a piedi: meglio evitare. Le distanze a Astana sono enormi. Un tragitto che visto dall’alto di qualche palazzo o del Bayterek vi può sembrare breve, quando scendete scoprirete che è lungo un paio di kilometri. I taxi costano poco.

Per colazione: gli hotel offrono la classica colazione continentale, persino con uova e bacon e i croissant se li chiedete. Ma si può provare a fare colazione con i meloni dolcissimi e le angurie provenienti dalle fattorie del sud del paese e con  le decine di varietà di frutta secca (che magari potete anche sgraffignare per sgranocchiarla durante il viaggio…)

Ristoranti: a Turkistan il ristorante Plow Wow, dove si mangia all’aperto (stagione permettendo) con riso plov tipo uzbeko, oppure ottimi stufati di carne di cavallo. A Astana i ristoranti non li vedi per la strada perché stanno quasi tutti nei piani interni degli edifici, oppure ci sono ottimi ristoranti negli alberghi. Per i shashlyk, gli spiedini di carne, ottimo il Kafe Tselinnikov, vicinissimo alla Concert Hall. Prezzi attorno ai 20 €.

Bancomat e carte di credito: i 50 € che ho cambiato in tenge kazaki alla frontiera ho fatto fatica a spenderli. La carta di credito è accettata dovunque, ma se proprio avete bisogno di contante p.es. per comprare la frutta o qualche souvenir al mercato coperto di Keruen Global, i bancomat nelle città si trovano dovunque. I mercati scoperti sono nella parte vecchia della città, e si trova di tutto.

Gli alberghi: ottimi ma più cari che in Uzbekistan. A Astana si superano gli 80 € per una doppia. Ho alloggiato all’hotel Kazzhol, sulla riva destra del fiume Ishim,  in una camera standard che praticamente era una suite, con tappeti, poltrone, specchi, mobili in lacca bianca, maxischermo tv.

Internet: wi-fi perfettamente funzionante in tutti gli alberghi, nei musei, nei centri di interesse.

Simbolo del viaggio: le torri dorate del Nurzhol Boulevard

Ringrazio Aman che è stato una guida preziosa e competente. Le foto invernali sono sue, me le ha mandate con whatsapp. Ringrazio Fatima di Anur Tours che mi ha assistito nell’organizzazione del viaggio.

Grazie a tutti i lettori per essere arrivati fin qui.

Luigi

luigi.balzarini@studio-ellebi.com

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