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Madrid, la “Città aperta”

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Madrid è la terza città più grande d´Europa, anche se l’area del centro non è altrettanto vasta ma molte sue vie sono diventate aree pedonali. Con la sua atmosfera cosmopolita è il punto d’incontro in cui attività culturali e ricreative soddisfano il gusto di tutti i suoi cittadini e dei turisti che vi si recano. Eleganti palazzi, splendide piazze e i tanti musei la rendono una capitale da godere anche se in tre giorni è davvero impossibile, qualche rinuncia è purtroppo inevitabile. Arriviamo a Madrid in momenti un poco preoccupanti per i recenti fatti accaduti in Catalogna ma siamo fiduciosi.

16 ottobre

Partiamo da Toledo di nuovo con un treno ad alta velocità “Avant” e  arriviamo alla stazione Atocha di Madrid. Ma parliamo un poco di questa stazione.

Il 9 febbraio 1851 fu inaugurata la seconda linea ferroviaria di Spagna (che univa Madrid e Aranjuez) e con essa la prima stazione dei treni della capitale, la stazione di Atocha, che all’epoca era costituita da una semplice banchina di legno. In seguito, la stazione è stata ampliata tra il 1865 e il 1892. A quest’ultimo anno risale l’elemento più significativo dell’edificio: il tetto della navata principale, progettato dall’ingegner Saint-James, che misura 152 metri di larghezza, 48 di lunghezza e 27 di altezza ed è una delle immagini caratteristiche della città.

Dopo le modifiche apportate da Rafael Moneo tra il 1984 e il 1992, oggi la Stazione di Atocha è un complesso formato da due diverse stazioni: la vecchia e la nuova. La nuova è destinata al traffico ferroviario e ospita i terminal dell’alta velocità, dei treni a lunga percorrenza e della rete di Cercanías, mentre la vecchia è dedicata agli uffici della RENFE e a un centro commerciale e ricreativo nel quale è stato installato un giardino tropicale che ospita 7.000 piante di 400 diverse specie ma anche delle tartarughe!

Il nostro Hotel è il centralissimo Petit Palace posto in Calle del Arenal, la via più frequentata della città, dove si trovano molti bar, ristoranti e alberghi che la rendono la zona più turistica di Madrid. Il suo nome proviene del primitivo ruscello che scorreva lungo il suo tracciato prima che la zona fosse urbanizzata. Siamo arrivati molto prima dell’ora di check-in ma l’addetto alla reception, Vincente, ci da subito la camera dimostrandosi molto gentile. Il tempo di sistemare i bagagli e subito in giro per Madrid. Siamo accolti da artisti di strada ma direi solo “artisti” in quanto sono veri musicisti e cantanti lirici! Il fatto singolare che tra loro c’è un “Sopranista” termine che indica i cantanti maschi che cantano nel registro del soprano. Un caffè da Starbucks, immancabile appuntamento mattutino, ed eccoci alla vicina Puerta del Sol, la piazza più famosa di Madrid che di giorno e di sera si riempie di gente. È dominata al centro dalla statua equestre di Carlo III e all’angolo di Calle del Carmen una statua bronzea di un orso che si arrampica su un corbezzolo, il simbolo della città.

Una insegna posta su un marciapiede indica il “KILOMETRO CERO” (kilometro zero), da cui vengono calcolate tutte le distanze in Spagna.

Percorriamo Calle Mayor fino alla piazza omonima, la piazza principale di Madrid che misura circa 130×95 mt con ben nove accessi ed una capienza di 50.000 persone! Chiamata inizialmente Plaza de Arrabal (piazza dei sobborghi) perché situata fuori delle mura venne completata nel 1619. È stata nel tempo mercato, teatro all’aperto, spazio per corride, esecuzioni capitali, tornei cavallereschi e oggi ospita ragazzi che fanno “street-dance” !

Proseguiamo ed arriviamo alla Plaza De La Villa che è stata il centro del governo locale sin dal Medioevo. Di fronte alla Casa de la Villa, sede del governo nel XII sec, c’è la Casa y Torre de los Lujanes, l’edificio civile più antico di Madrid. Al centro la statua dell’ammiraglio Alvaro de Bazàn che sconfisse i turchi a Lepanto nel 1571.

Direzione nord ed ecco Plaza Isabel II (meglio conosciuta come Plaza de Ópera) al cui centro sorge la statua della sovrana. Il Teatro Real domina la piazza e anticamente, nel luogo dove ora sorge, c’erano le fontane e i lavatoi pubblici. Nel 1704 vi si insediarono dei commedianti ambulanti che fondarono un teatro (Teatro del Caños del Peral) che rimase in attività fino al XIX sec. Nel 1818 fu demolito e ricostruito ma i lavori si protrassero per un lungo periodo fino al 1850 quando Isabel II diede ordine di concluderli. È uno dei teatri più grandi e meglio attrezzati del mondo.

Ci avviamo verso il Palacio Real residenza ufficiale dei Reali di Spagna è costruito su una superficie di 13,5 ettari e con le sue 3418 stanze è il più grande in Europa.

La prima visita è all’Armeria Real. La visita a questa armeria eccezionale è d’obbligo. Considerata la migliore al mondo nel suo genere è aperta al pubblico da oltre 400 anni e vanta una collezione di oltre 2000 pezzi! La parte migliore della collezione è costituita dalle armature personali di Carlo V e dalle armi e armature di Filippo II e Filippo III. Ammiriamo alle pareti i magnifici arazzi del XVI, XVII e XVIII secolo.

Dal cortile principale (Plaza de la Armeria) entriamo nel palazzo risalendo la fantastica scalinata principale. Si racconta che Napoleone vedendola abbia detto al fratello appena insediato sul trono di Spagna: “Giuseppe, la tua dimora sarà migliore della mia!”

Innumerevoli gli ambienti visitati ma ci limitiamo a elencare quelli più importanti:

-la Sala delle colonne una volta teatro di balli e banchetti,

-la Sala del trono che conserva ancora l’arredamento datogli da Carlo III con mobili dorati in stile rococò (realizzati a Napoli, dove Carlo III regnava) pareti rivestite da velluto e orologi di fattura inglese e svizzera,

-la Sala Gasparini (dal nome dell’artista napoletano) dove avveniva la vestizione dei sovrani,

-la Sala pranzo di gala,

-la camera da letto.

Ma ciò che più ci impressiona è la ricca Cappella Reale a pianta circolare che contiene splendide decorazioni in marmo e superbi affreschi. La visita ha occupato buona parte del pomeriggio.

Di fronte al palazzo oltre il cancello si trova la Catedral De La Almudena.

In verità a parte l’imponenza la chiesa non desta molto interesse artistico, almeno per me. Iniziata nell’ultimo quarto del XIX sec con ispirazione medievale contrasta non poco con il classicismo del Palacio Real. I lavori furono terminati nel 1960 e consacrata nel 1993 da Giovanni Paolo II.

Gironzoliamo per le varie strade e piazze della zona e poi in hotel per un meritato riposo. Dopo andiamo in Puerta del Sol brulicante di persone e artisti di strada tra cui due ragazze in costumi quasi brasiliani che ostentano sul dorso la scritta: “I LOVE MADRID” e poi un gruppo folcloristico messicano la cui musica spinge una coppia di anziani a ballare! Spettacolo nello spettacolo!

La cena? Ma naturalmente al “Museo del Jamon”! Il Museo del prosciutto fu originariamente fondato dai fratelli Luis & Francisco Muñoz Heras nell’agosto1978 a Madrid.

Una delle sue caratteristiche più riconoscibili era il gran numero di prosciutti appesi al soffitto. Oggi l’attività è gestita dalle figlie di Luis Muñoz Heras, che continuano ad offrire un’esperienza alimentare estesa. Appena si entra non si possono non notare tutti i prosciutti appesi al soffitto. Sono presenti più piani ma noi scegliamo quello che affaccia sull’ingresso per avere una migliore vista sul movimentato banco di vendita al piano terra sempre pieno di clienti.

Cosa ordiniamo? Leggete!

PESCADITOS DEL MUSEO (pesce fritto)

CHISTURRA (chisturra dal basco txistor, salsiccia)

MORCILLA DE BURGOS  (salsiccia  basata sul sangue di maiale e riso tipico)

DELICIAS DE ALCAHOFA (carciofi)

ENSALADA CLASICA (insalata classica)

CHAMPIGNON AL AJILLO

IL TUTTO INNAFFIATO D 1,5 LT DI CERVECA!

Quasi ubriachi torniamo, per fortuna l’ hotel è a pochi passi…..

17 ottobre

Solito caffè da Starbucks e poi ci dirigiamo a Plaza de Espana.

Percorriamo l’Arenal e diamo uno sguardo all’Iglesia de San Ginès de Arles. È una delle chiese più antiche di Madrid, costruita nel 1645 sui resti di quello che si crede essere una cappella Mozarabica. Il suo portico di archi dà modo ad un interno di tre navate e delle cappelle laterali. Ha un ricco patrimonio artistico di cui si distingue il lavoro della purificazione del tempio di El Greco.

Arriviamo a Plaza del Callao, piazza perennemente affollata, ininterrottamente in movimento, circondata da edifici alti (vanno bene per New York o Tokyo, piuttosto che per una città tranquilla come Madrid). Procediamo per la Gran Via nata all’ inizio del XX sec per collegare la zona di Cibeles con l’ovest della città. Negli anni ‘30 la strada fu prolungato fino a Plaza de España, regalando alla città l’ Edificio Carrión, reminiscenza molto discutibile a parer mio, dell’architettura newyorkese, con la sua scritta al neon della Schweppes.

Arriviamo a Plaza de Espana che con i suoi 36, 900 ettari è una delle più grandi di Spagna. Due enormi e discutibili edifici incombono sulla piazza: la Torre de Madrid (142 mt) e l’Edificio e Espana (117 mt). Noi siamo qui unicamente per ammirare il monumento a Cervantes con le statue dei suoi eroi Don Quijote e Sancho Pancha.

Si continua per l’ameno Parque del Oeste dove c’è il Templo de Debod, donato dal governo egiziano come ringraziamento per la collaborazione prestata dagli archeologi spagnoli per il salvataggio dei monumenti della Nubia danneggiati dalla costruzione della diga di Assuan. Il tempio del IV sec  a.c. era stato fatto costruire dal faraone Azekheramon in onore del dio Amon. Suggestiva la sua collocazione nel parco.

Ed ora il “TELEFERICO”! La teleferica unisce il parco con Casa del Campo il più grande parco pubblico di Madrid e dalla cabina si può vedere l’immensità di un ampio paesaggio con specie di piante autoctone. La funivia scivola sulle cime di castagni, querce, banane, alberi di frassino, salici. Le ottanta cabine di cui l’impianto conta coprono i 2,5 km che separano le due stazioni in un tempo di undici minuti e un’altezza massima di 40 metri al di sopra del livello del suolo. Alla stazione di arrivo si trova un ristorante con un punto di vista da cui si gode dello skyline di Madrid….in verità non esaltante! Abbiamo visto di meglio…. Ed ora uno spostamento repentino alla zona est. Stavolta in metro torniamo a Puerta del Sol da cui procediamo a piedi lungo Calle de Alcalà verso Plaza de la Cibeles. Lungo il percorso la Casa de la Aduana, la Real Academia de Bellas Artes, ilBanco de Espana e il famoso Edicicio Metropolis sulla cui sommità si trova una statua della Vittoria Alata che ha sostituito nel 1975 quella preesistente dell’Araba Fenice.

In questa piazza sorge l’enorme ex palazzo delle poste che oggi ospita il municipio. Al centro della piazza la fontana che rappresenta la Dea Cibele (è un’antica divinità anatolica, venerata come Grande Madre Idea, dal monte Ida presso Troia, dea della natura, degli animali (potnia theron) e dei luoghi selvatici. Divinità ambivalente, simboleggiava la forza creatrice e distruttrice della Natura.) fonte wikipedia.)

La prossima piazza è quella della Indipendencia con la Puerta de Alcalà fatta costruire come arco di trionfo da Carlo III ed è una antesignana di altre presenti in Europa (Arc de Triomphe e Carousel a Parigi e di Brandeburgo a Berlino solo per citarne alcune).

Sulla piazza si apre una delle entrate al Parque del Retiro che si estende per 12 ettari ed è il più famoso di Madrid anche per la presenza di un importante orto botanico. È un susseguirsi di spazi scenici disposti in un labirinto di viali dove la vegetazione si alterna a stagni, statue, piccoli pseudo-santuari. L’Estanque è un bacino d’acqua dove si può andare in barca e sulla cui sponda si trova il monumento ad Alfonso XII. Di rilievo il Palazzo di Velasquez, e la fontana dell’ Angel Caido (Angelo caduto), il monumento al General Martinez Campos e soprattutto il Palacio de Cristal che si ispira al Crystal Palace di Londra a forma di croce greca, realizzato quasi interamente in vetro costituito da una struttura in ferro su una base in mattoni decorata con ceramiche. È stato creato nel 1887 per ospitare  flora e  fauna esotiche e oggi è usato per le mostre d’arte contemporanea organizzate attraverso il Museo Reina Sofia.

Oggi il Palacio de Cristal ospita “Palimpsesto” un’installazione artistica della colombiana Doris Salcedo che riproduce i nomi su lastre di pietra, che con abile gioco d’acqua appaiono e scompaiono, di uomini e donne come un modo per rappresentare la tragedia, ormai solita, di persone che muoiono nel mare durante la loro disperata fuga dal loro paese d’origine. Molto suggestivo. Davanti alla scalinata all’entrata del palazzo c’è un grande lago artificiale che contiene anatre, oche, cigni neri che nuotano vicino ai gradini, o si possono noleggiare barche sul lago per una visione più ravvicinata.

La fontana egiziana del Dio Canopus, meglio conosciuta come la fontana egiziana, è una fontana monumentale concepita come un “capriccio del paesaggio”. Di nuovo al museo del Jamon per la cena!

18 ottobre

Mattinata dedicata al Prado, il famoso museo. Il Museo del Prado un bell’edificio costruito nel 1785, ospita un’importante pinacoteca creata nel 1819 dal re Ferdinando VII su iniziativa della consorte Isabel di Braganza. Oggi espone nel nucleo centrale ben 8000 opere di pittori spagnoli, tedeschi, francesi, fiamminghi, italiani, britannici, olandesi. Arriviamo abbastanza presto per evitare le code e mentre Bianca si mette in fila io faccio foto all’esterno. All’ingresso principale troneggia una statua di Velasquez, nel piazzale degli ingressi del pubblico c’ è quella di Goya e nel piazzale laterale quella di Murillo. Purtroppo no foto, no video e no borse: LA SORVEGLIANZA è MOLTO STRETTA!

Il Casón del Buen Retiro è un edificio annesso al Museo. Dopo lavori di ristrutturazione, completati nell’ottobre 2007, ospita il centro studi del museo e la biblioteca.

Prima tappa alle sale italiane, un’incredibile visione di capolavori di Beato Angelico, Raffaello, Botticelli, Tiziano, Tintoretto e tanti altri artisti di casa nostra. Un solo appunto, manca Leonardo…..anche se esiste una copia della Gioconda fatta sembra da un suo allievo.

La copia della Gioconda di Madrid è un quadro realizzato olio su tavola, appartenente al Museo del Prado. Si tratta di un’opera che ricalca in maniera precisa il famoso quadro della Gioconda di Leonardo da Vinci esposto al Museo del Louvre a Parigi. Esistono molte repliche o copie della Monna Lisa, anche se questa che si trovava al Prado fin dalla sua inaugurazione, proveniente dalle Collezioni Reali, è la più antica che si conosce e soprattutto fu dipinta nello stesso periodo e nello stesso laboratorio dell’originale, da parte probabilmente di un allievo di Leonardo. Di questa particolarità si è venuto a conoscenza solo a partire dal 2010, grazie a un’opera di restauro in occasione di una richiesta di prestito per un’esposizione temporanea al Louvre, detentore e proprietario dell’originale. Il quadro venne sottoposto a esami tecnici che includevano riflettografia infrarossa, fluorescenza indotta con luce ultravioletta, radiografia e ispezione con lente binoculare. La riflettografia e l’esame della superficie della tavola con luce radente rivelarono la presenza di un paesaggio dietro al mezzobusto della donna, nascosto sotto una campitura di colore scuro. La riflettografia fu messa a confronto con quella che si era ottenuta nel 2004 col dipinto originale e si comprovò che il disegno sottostante era simile in entrambe le opere, compreso il fatto che le correzioni effettuate in una si ripetevano nell’altra. Nonostante l’intervento di Leonardo nella realizzazione di quest’opera sia stato escluso, non è ancora stata chiarita completamente l’esecuzione in contemporanea dei due dipinti. Lo stato di conservazione della Gioconda di Madrid è migliore dell’originale; ciò permette di ottenere ulteriori informazioni su particolari come il panorama di fondo, l’abito, il velo e la sedia che vi compaiono. Nella realizzazione del dipinto furono impiegati materiali di ottima qualità e l’esecuzione fu molto accurata, la tecnica è tuttavia diversa, propria di un artista che dipinse un disegno di qualità inferiore, una pennellata molto semplice, continua, lineare e compatta senza la presenza della tecnica pittorica dello sfumato caratteristica del Leonardo maturo. Inoltre relativamente all’opera madrilena, nel ritratto di Lisa Gherardini appaiono le sopracciglia sia pur fini, assenti nel quadro parigino (anche se probabilmente presenti in versioni precedenti del quadro originale). Riguardo alla paternità l’autore è con ogni probabilità uno tra gli allievi migliori e più vicini a Leonardo, forse uno tra Francesco Melzi o il Salaì o uno tra i discepoli spagnoli Fernando Yáñez de la Almedina e Hernando de los Llanos, pittori attivi nell’ambito valenciano e collaboratori vinciani.   Fonte Wikipedia

Tutte le opere degli altri artisti presenti nel museo sono ammirevoli ma io sono particolarmente attratto da Goya e soprattutto dalle sue 14 “pitture nere” forse le più straordinarie di tutta la storia dell’ arte. Quello che hanno in comune queste opere, a parte l’ austero cromatismo, è un sentimento di miseria umana, malattia e morte. A parte la due Maja come si può restare indifferenti alla “FUCILAZIONE ALLA MONTANA DEL PRINCIPE PIO” dove la posizione della figura centrale ricorda quella di Cristo in croce e rappresenta la libertà repressa? Oltre alla spettacolare pinacoteca il museo custodisce 900 sculture classiche e numerosi oggetti preziosi come il Tesoro del Delfino appartenuto al primogenito di Luigi XIV, erede alla corona francese, morto prima di arrivare ad essere re. Ammirevole la coppa d’ oro con sirena, arricchita da rubini e diamanti. La sirena tiene con le braccia un piattino, a forma di mezza sfera, di agata, con una cornice di fiori aperti e foglie smaltate con guarnizioni di rubini. Tutto questo sorretto da quattro delfini smaltati posti su una base sempre di agata.

Non bastano le ore di una mattinata e parte del pomeriggio per vedere tutto, è inevitabile! Come per il Louvre ci vorrebbero mesi! Non ce la sentiamo di visitare il Museo Reina Sofia sia per il poco tempo a disposizione e sia perché in verità non sono molto attratto dalla pittura spagnola del XX-XXI sec. Notevole però l’architettura dell’ampliamento del museo che apprezzo con entusiasmo. . Come apprezzo l’intervento architettonico riguardante il Caixa Forum Madrid sulla struttura dell’antica Centrale Elettrica di Mediodia. L’edificio è dominato dall’acciaio cor-ten che rifinisce i vecchi capannoni in mattoni e dal muro mediano “vegetale”. Veramente notevole!

Ci spostiamo al quartiere al Barrio de La Latina uno dei quartieri più antichi di Madrid con la Cappella di San Isidro, la Chiesa di San Francesco il Grande, il mercato El Rastro l’antico mercatino delle pulci di Madrid e la tranquilla Plaza de la Paja uno dei luoghi commerciali della Madrid medievale il cui nome si deve al tributo in paglia che i mulattieri dovevano versare ai canonici della Chiesa di Sant’ Andrea. Una curiosa scultura di un uomo che legge un giornale seduto su una panchina mi spinge a farmi fotografare con lui in atteggiamenti comici “introspettivi”.

Poi la chiesa di San Pedro el Viejo con la sua torre in stile mudejar unico elemento rimasto del XIV sec. Poi la Plaza de Puerta Cerrada dove nel XII secolo, nelle sue vicinanze furono installate negozi di artigiani di ramee di ottoni. La denominazione di Puerta Cerrada (Porta Chiusa) proviene dalla la decisione di chiuderla durante la notte a seguito di diversi incidenti, come furti e violenze avvenuti nei suoi dintorni. la Plaza de la Cebada, che si ritiene essere il luogo dove i contadini provenienti dalla periferia di Madrid venivano a vendere l’orzo con il mercato omonimo e il Teatro la Latina e infine la Plaza de Cascorro. Il suo nome lo si deve ad una battaglia svoltasi a Cuba nel 1896 e ospita la statua dell’ eroe Eloy Gonzalo un soldato rappresentato ricoperto di petrolio poco prima di dar fuoco al fortino dove si rifugiava un gruppo di ribelli.

Plaza Lavapiès fin dalla fine del XX secolo tra degrado e dimenticatoio, è diventato uno spazio cosmopolita e multirazziale in coesistenza con nuove generazioni e proposte culturali.

Ma la chicca finale del giro è il Cine Dorè posto nel quartiere Lavapiès al n° 3 della calle di Santa Isabel costruito nel 1923 ed oggi sede della Cineteca nazionale.  La sua facciata è fotografata moltissimo per la sua architettura e il colore sgargiante.

Ed ora una panoramica della MADRID MODERNA.

Su un bus turistico panoramico percorriamo la Castellana l’asse vertebrale di Madrid in direzione nord-sud dove fino a pochi anni fa vi si trovavano numerosi palazzi a case signorili del secolo scorso mentre oggi edifici realizzati secondo le più recenti tendenze architettoniche accolgono sedi di banche e aziende: spiccano la Torre BBVA e il complesso ACZA.

Uno sguardo al famoso stadio Santiago Bernabeu veramente enorme e torniamo a Plaza del Sol gremita di gente e con un gruppo di manifestanti che manifestano non so per cosa….ma non ci interessa. Sempre presenti le solite ragazze poco vestite ma sempre con i cartelli “I LOVE MADRID”!

E con questa vista ci congediamo da Madrid! Domani si torna in Italia.

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Il rito delle Farchie a Fara Filiorum Petri (Chieti)

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Rito che si celebra ogni anno a Fara Filiorum Petri, provincia di Chieti, il 16 gennaio. Ciascuna delle 16 contrade del Comune partecipa alla festa in onore di Sant’Antonio Abate attraverso la complessa costruzione e la suggestiva accensione di enormi fasci di canne selvatiche, nello spazio antistante la chiesetta dedicata al Santo.

In una rivista dedicata al turismo, io e mio marito ci siamo imbattuti in un articolo in cui si descriveva sommariamente la Festa delle Farchie che si svolge, ogni anno, il 16 gennaio, vigilia della ricorrenza della festività di Sant’Antonio Abate, a Fara Filiorum Petri, in Provincia di Chieti. Incuriositi dalla particolarità del nome del paese ed attratti dalla percezione di poter assistere all’arcano fascino di un antico rito popolare, abbiamo deciso di andare a conoscere questa realtà. E non siamo stati delusi: per 2 giorni abbiamo avuto la possibilità di godere il piacere dell’incontro e della conversazione con i Faresi, condividendone gli aspetti culturali, sociali, folcloristici, gastronomici, apprezzandone la grande genuinità e ammirando, soprattutto, la forte coesione e identità territoriale che accomuna tutte le fasce d’età impegnate nella preparazione della Festa.

    

Appena arrivati ci siamo diretti nel luogo destinato alla preparazione di una delle Farchie, quella della Contrada di Sant’Eufemia: in un ampio spazio prospiciente la strada principale del paese, si erge una spaziosa baracca di legno, affiancata da un tendone, dove molti contradaioli lavorano intorno ad un enorme fascio di canne selvatiche. In un angolo dell’area antistante arde, ora più ora meno vivace, un falò che dall’inizio alla fine della preparazione della Farchia non deve spegnersi mai.

Qui incontriamo un ragazzo di 24 anni, Matteo Stenta, che ci illustra molti aspetti della Festa, conquistandoci per la passione e l’attaccamento alla tradizione che effonde nel racconto. Di seguito la sintesi della sua esposizione. “La Festa si fa risalire ad un miracolo compiuto da Sant’Antonio Abate al tempo dell’invasione francese, nel 1799. Ai Francesi che avanzavano per conquistare Fara, il Santo apparve nelle vesti di un generale che intimò loro di fermarsi prima della “Selva”, un grande querceto che proteggeva il paese e ne impediva la vista. Poiché i nemici non indietreggiavano, il Santo fece incendiare le querce; i Francesi, spaventati, furono costretti a fermarsi davanti a quelle immense torce e, credendo che tutto il paese stesse bruciando, si ritirarono.

Sul luogo del miracolo, in contrada Colli, nei pressi della selva che delimita il territorio, i Faresi costruirono una Chiesetta davanti alla quale, ogni 25 anni, la Festa delle Farchie viene celebrata in forma solenne: tutte le farchie vengono portate proprio davanti la chiesa della Selva, con un’arrampicata lunga e faticosa, che mette in marcia tutte le contrade lungo la stessa strada che sale verso il colle (saranno 3/4 km). È una ricorrenza davvero eccezionale: l’ultima risale al ’99, quindi si attende il 2024 per celebrare nuovamente il rito in modo grandioso.

Come descritto nella brochure a cura del Comune di Fara, la festa di S. Antonio Abate rappresenta un valido esempio di conservazione di riti purificatori e di propiziazione della fertilità connessi al solstizio invernale. È il fuoco purificatore l’elemento emblematico di cesura tra l’anno vecchio con la natura spoglia e l’anno nuovo che prelude alla rigenerazione della terra.
Inoltre, la farchia racchiude in sé gli elementi essenziali della vita, è un simbolo di forza, di vigore, di sacrificio e di caducità.

Questa celebrazione evoca anche, secondo me, un’analogia con ciò che accade nel rito di costruzione e distruzione dei “mandala” orientali: un gruppo di persone, dopo aver impiegato tempo ed energia mentale e fisica per costruire un’opera “perfetta”, sacrifica, qui attraverso il fuoco, quanto ha faticosamente e pazientemente ha realizzato.

LA COSTRUZIONE DELLA FARCHIA

La realizzazione della farchia inizia con la creazione di un’anima rigida costituita da un “palo” di canne robuste legate strettamente; intorno a questa spina dorsale si effettua il “rinfascio” ricoprendo via via il nucleo centrale con fasci di canne in modo simmetrico e compatto fino a raggiungere la dimensione finale.

Man mano che si procede al rinfascio si eseguono legature a distanze regolari utilizzando i rami di salice; in genere lungo tutta la farchia si contano 17 o 19 legamenti. Questa operazione richiede forza ed abilità ed è tecnicamente complessa e molto delicata in quanto determina la solidità e la bellezza della farchia dalla base – il piticone – alla cima – il fiocco-. Dall’esecuzione e dall’allineamento perfetto dei nodi dipende la verticalità, la compattezza e la stabilità della costruzione. Queste caratteristiche sono fondamentali soprattutto nel momento in cui, dopo l’innalzamento, un uomo si arrampica sui nodi delle legature per sistemare la batteria di mortaretti che dovrà incendiare la paglia pigiata tra le canne del “fiocco”.

L’esecuzione della Farchia si protrae per una decina di giorni; inizia, di solito, subito dopo l’Epifania, ma la preparazione dei materiali necessari impegna la contrada per gran parte dell’inverno: nei giorni intorno all’8 dicembre si procede al reperimento dei rami, necessari per legare il fascio di canne, che vengono accuratamente scelti e tagliati da un salice rosso sulla cui ubicazione si deve mantenere scrupolosamente il segreto. Le canne, anch’esse selezionate con cura, vengono tagliate nel mese di febbraio di ogni anno, raccolte in fasci, pulite e conservate in ambienti chiusi fino al gennaio dell’anno successivo. Anche il luogo in cui ogni contrada va a tagliare le canne non deve essere rivelato; la tradizione, poi, vuole che tutto il materiale venga custodito gelosamente. In passato, infatti, poteva accadere che alcuni contradaioli, con blitz notturni, andassero a rubare o a danneggiare il materiale altrui sia per procacciarsi facilmente l’occorrente alla loro opera, sia per procurare danni agli altri costruttori. Questo pericolo incombeva in particolare a costruzione completata, per questo, ancora oggi, per tutta la notte del 15 gennaio, gli uomini della contrada usano vegliare la farchia scaldandosi al fuoco del gigantesco falò, bevendo abbondantemente e mangiando i gustosi piatti cucinati dalle loro donne.

Le contrade che preparano la farchia sono 16, ma, soprattutto in passato, il numero poteva variare perché, quando la rivalità era più forte e i contradaioli litigavano tra loro, alcune famiglie si dissociavano e decidevano di costruire autonomamente un’altra farchia. In alcune contrade anche i bambini sono direttamente coinvolti e si cimentano nella costruzione di una farchia più piccola.

La Farchia pesa circa 8 quintali, un diametro di circa 80-100 cm e raggiunge una lunghezza di 8 metri. Le misure, da qualche anno, sono regolamentate dal Comune, che fissa i parametri, mentre in precedenza le dimensioni erano libere e le varie contrade gareggiavano a chi costruiva la Farchia più imponente, arrivando a volte ad esagerare e a creare potenziali pericoli nel trasporto e nell’innalzamento della stessa.

La Farchia viene trasportata da circa 15-20 persone e molti cercano di mettervi sotto una spalla o almeno un braccio perché, comunque, anche dare un piccolo sostegno viene ritenuto un vanto.

Ci dice Matteo con orgoglio: “La cosa più bella di questa opera è che riunisce più generazioni; in questo periodo dell’anno gli abitanti della contrada, di tutte le età, si ritrovano insieme, è come se si vivesse in un’altra dimensione temporale, si sperimenta una diversa percezione della realtà. Gli anziani della contrada, pur con gli acciacchi dell’età, sono molto presenti e sono quelli che guidano la costruzione della farchia dando indicazioni e consigli, quelli più giovani, anche se partecipano ormai da tanti anni alla preparazione del fascio di canne e sarebbero capaci di fare da soli, lasciano spazio agli anziani e ai loro suggerimenti.”
Mentre gli uomini lavorano, le donne sfaccendano intorno ai fornelli per preparare dolci e piatti tradizionali che saranno serviti a cena, evento cui partecipa tutta la contrada. I bambini e gli adolescenti si nutrono della gioiosa atmosfera di questo rito collettivo ed alcuni di loro si esercitano nel suonare” lu dobbotte”, un tipo di organetto detto anche “trevucette”.

La tradizione è così forte che alcuni Faresi che lavorano lontano si riservano almeno una settimana di ferie per tornare al paese e partecipare alla realizzazione di questa opera d’arte collettiva. Chi non può tornare sostiene i compaesani con generose donazioni di denaro, anche dall’estero.

L’ACCENSIONE DELLE FARCHIE

Il giorno 16, verso le 13,30, dopo aver ricevuto gli ultimi ritocchi e decorazioni di fiori, fiocchi e bandiere, la farchia viene sollevata dagli uomini più forti della contrada, sistemata su rimorchi di trattore, appositamente predisposti, e trainata verso la Chiesa di Sant’Antonio circondata da uno stuolo festante che canta la vita del Santo. Intorno e sopra la farchia trova posto qualche bambino e l’immancabile suonatore che accompagna il canto con il suono del “dobbotte”. Le 4 contrade più vicine al luogo dell’ accensione trasportano il pesante fascio di canne portandolo a spalla per quasi 1,5 km lungo un tragitto in gran parte in salita, con grande fatica, difficoltà e pericolo soprattutto in caso di neve e ghiaccio.

Giunti alla meta finale verso le 16,30, nello spazio tra la Chiesa di Sant’Antonio e il cimitero, si celebra il rito della presentazione delle farchie alla statua del Santo, del loro innalzamento e accensione a ricordo del’evento prodigioso. Ogni contrada deposita a terra la farchia e, a turno, la innalza. L’operazione è molto impegnativa e richiede notevole sforzo muscolare ed attenta sinergia: i portatori, al comando del capofarchia e attraverso l’utilizzo di una scala, due lunghi pali legati a X (filagne) e corde, in più riprese e con notevole suspense per gli spettatori, dispongono la farchia in posizione verticale.

Quando la farchia è stabilizzata uno dei farchiaioli si arrampica lungo i nodi delle legature, raggiunge l’involto dei mortaretti che è fissato vicino al fiocco e lo fa srotolare affinché da terra si provveda ad avvolgerlo tutt’intorno al fastello di canne.

All’imbrunire tutte le farchie sono innalzate e inizia lo spettacolo del loro incendio. Ad una ad una vengono accese le micce e, al termine dello scoppio dei mortaretti, le fiammelle cominciano a guizzare all’interno del “fiocco”; pian piano, la paglia si accende sprigionando fiamme sempre più alte e dando vita ad uno scenario magnifico.

A sera, ogni contrada getta a terra la propria farchia dopo averla lasciata bruciare quasi fino a metà, la taglia e trasporta la parte inferiore, solida e massiccia come un rudere di colonna di un antico tempio, nel luogo di costruzione: qui rimarrà come simbolo e trofeo in attesa della nuova farchia nell’anno successivo.

Per finire, mi piace citare una nota del Sindaco di Fara, Sig. Camillo d’Onofrio: “Dal 2011 l’Unesco nella “Declaration Universelle sur la diversité culturelle” fa appello alla tutela delle feste autentiche perché ritenute essere patrimonio dell’umanità laddove esse sono espressione unica e irripetibile del pensiero umano: la festa delle Farchie è patrimonio dell’Umanità perché racchiude in essa innegabili valori di autenticità.”

Completo il reportage con notizie riguardanti il paese e il territorio di Fara F.P.

ORIGINE DEL NOME E STORIA DI FARA FILIORUM PETRI

Il singolare nome di questo paese in Provincia di Chieti è di origine longobarda e risale all’Alto Medioevo. Come suggerisce la traduzione letterale dei termini: “ Borgo dei figli di Pietro”, il paese ha avuto la sua genesi dalla stirpe di Pietro, un fedele amministratore dei beni dei Longobardi, che lo ripagarono per i suoi servigi con il dono delle terre da lui curate. La stessa posizione del nucleo antico di Fara, arroccato su uno sperone breccioso di origine glaciale, fa intuire la sua origine longobarda e la sua verosimile evoluzione da accampamento militare a villaggio rurale. Intorno all’anno mille si estese sul territorio farese l’influenza dei monaci benedettini di Montecassino, come testimoniano i resti del Monastero e della Chiesa di Sant’Eufemia, che perdurò per diversi secoli facendo del paese un importante centro di religiosità, mentre il dominio temporale passava dagli Orsini ai Colonna. Solo nel 1800 Garibaldi determinò la caduta dei Colonna e Fara iniziò la sua trasformazione culturale, architettonica e logistica ad opera della borghesia. Furono ricostruiti antichi edifici, fu innovato il sistema viario anche a servizio della campagna, avviate iniziative culturali come la costituzione della Banda Musicale di 20 elementi e, all’inizio del ‘900, furono costruiti gli imponenti muraglioni a sostegno del dosso su cui sorge il centro storico. Nonostante le numerose perdite umane e le devastazioni subìte nei due conflitti mondiali, Fara riuscì a conservare, e, tutt’oggi mantiene, il ruolo di paese guida in tutta l’Alta Val di Foro.

IL TERRITORIO

Tra la dorsale collinare preappenninica e le falde della Maiella, a circa 300m di altitudine, si estende il territorio del Comune di Fara Filiorum Petri, caratterizzato da una zona pedemontana e una zona collinare argillosa, risalente al Pleistocene, in cui si sono formati i caratteristici calanchi, a lama di coltello, con spigoli molto vivi e brulli, che rivestono un notevole interesse geologico e turistico.

Questa terra, in passato ricchissima di acque dove, per gli antichi, abitavano le ninfe e, per la fede cattolica, scorrevano acque miracolose, è solcata da 2 fiumi, il Foro e la Vesola Sant’Angelo che si congiungono nei pressi del paese. In vicinanza del centro di Fara, con argini artificiali lungo il fiume Foro, sono stati realizzati 2 laghi ricchi di fauna ittica, tra cui il lago Piattelli che si estende proprio sotto le mura, in cui si può praticare la pesca sportiva delle trote Fario e Iridee.

ECONOMIA

L’attività economica più importante è l’agricoltura, con una estesa coltivazione della vite (vitigni Montepulciano d’Abruzzo, Trebbiano, Chardonnay e Pecorino), dell’ulivo e di alberi da frutto che trovano il terreno ideale nella zona collinare argillosa. Diffusa è anche la coltivazione delle classiche colture orticole mediterranee (pomodori, patate) tra cui si distingue la secolare coltivazione di una particolare cipolla bianca, “la cipolla piatta di Fara” che raggiunge dimensioni notevoli ed è particolarmente adatta al consumo fresco avendo sapore dolce e scarsità di quei solfuri che rendono l’alito pesante.

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Dalmazia – Spalato (Split) – Trogir (Traù) – 2017

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La Dalmazia è famosa in particolare per la sua affascinante natura, tipicamente mediterranea, i cibi squisiti, i vini rinomati e il clima mite. Il nostro viaggio vuole soprattutto scoprire le sue ricchezze storiche.

25 maggio

Partiamo da Roma Fiumicino con un volo della Vueling in partenza alle 9.30 diretto a Spalato. Dovendo arrivare all’aeroporto alle 7:00 abbiamo pernottato a Roma con sveglia alle 4:00 e transfer alle 5:00….NO COMMENT!

 Atterriamo a Spalato alle 10:45 attesi dall’autista dell’auto prenotata dall’Italia che ci ha pazientemente atteso in quanto le formalità dell’aeroporto si sono dilungate un po’ troppo! Arriviamo all’appartamentino o apartamani come viene chiamato, qui “Villa Veli Varos” che si rivela veramente delizioso. Piano terra, quindi comodissimo, e arredato con molto gusto. La proprietaria Marina si rivela una persona affabile e disponibile. Sistemazione bagagli, doccia e subito all’ufficio turistico per informarci sulla città e poi ci addentriamo nel centro storico.  Le sue viuzze piene di bar, empori con un brusio ininterrotto lo rendono vivace e pittoresco. Gradita sorpresa un’orchestra di bambini che si esibisce per il piacere dei turisti ma anche per la gente del posto. Incontriamo anche una caratteristica fontana a cascata.

Arriviamo fino al molo e vediamo arrivare un imbarcazione tipo “caravella” che svolge giri turistici lungo la costa e fino alle isole vicine.

È ora di cena e ci fermiamo ad un ristorante dove consumiamo un’ottima bistecca e saggiamo la ottima birra croata Karlovacko, non per niente c’è un karl nel nome! Poi passeggiamo sul lungomare ossia sulla  famosa “Riva” che ha iniziato ad assumere le sue sembianze attuali due secoli fa, ai tempi dell’occupazione napoleonica, quando il maresciallo Marmont governava la Dalmazia. Oggi il lungomare è diventato il “salotto della città”, il più noto ed il più importante spazio pubblico ed offre una spettacolare scenografia con lo sfondo della facciata meridionale del Palazzo di Diocleziano e le case costruite nei secoli posteriori nel suo lato occidentale ma anche sul palazzo…ahimè!

La Riva oggi è un paradiso pedonale pieno di bar e ristoranti, da sempre palcoscenico della vita cittadina dove hanno luogo diversi eventi culturali, feste cittadine (come lo sfrenato Carnevale), festeggiamenti sportivi ma anche raduni di massa a sfondo politico. Splendida di giorno, al calar del sole si trasforma in regina della notte.

Torniamo all’hotel, pardon a casa, risalendo via Marmontova dal nome del maresciallo di Napoleone, Marmont, che meritò di vedersi dedicata la più bella via cittadina per il contributo che aveva dato all’urbanizzazione delle città dalmate. Ospita il primo cinematografo della città, il Karaman. Vi si trova, inoltre, il mercato del pesce, uno dei pochi al mondo privo delle mosche grazie all’odore di zolfo proveniente dalle vicine terme con acque sulfuree.

In questa via si trovano anche due bellissimi palazzi secessionisti. Siamo arrivati a casa… meritato riposo!

26 maggio

Oggi abbiamo in programma la visita di Trogir

Trogir (Traù), uno dei gioielli della costa Dalmata, è una piccola città situata 20 km ad ovest della città di Spalato, posta su un isolotto separato da un ponte dalla terraferma e da un altro dall’isola di Clovo. Fondata dai greci col nome di Tragyrion (Isola delle capre) a cavallo tra quarto e terzo secolo, nel primo secolo d.C. diviene comune romano col nome di Tragurium Civium Romanorum unito a Salona. Dopo la caduta dell’impero romano nel V secolo diviene un comune autonomo e nel sesto secolo vi si stabilirono i Croati che cominciarono lo sviluppo culturale. Dal 1997 è Patrimonio mondiale dell’UNESCO.

Ci avviamo al porto percorrendo via Marmontova e arriviamo all’ estremità occidentale della Riva, nella piazza dove ci sono la Chiesa e il Convento di San Francesco, eretti nella località paleocristiana accanto alla tomba e chiesetta di San Felice, martire dei tempi di Diocleziano. Nel XIII secolo la chiesa diviene la dimora dei frati minori di San Francesco. La chiesa conserva alcuni oggetti di grande valore tra cui il crocifisso gotico dell’inizio del XV secolo, opera del pittore Blaž Juraj Trogiranin, e il sarcofago con rappresentazione del Passaggio del Mar Rosso risalente al periodo romano. Accanto alla chiesa è ubicato il Convento dei Francescani con il bellissimo chiostro del XIII secolo e una ricca biblioteca che raccoglie circa 3000 pezzi tra cui alcuni risalenti al XVI secolo. La chiesa ed il convento ospitano i sepolcri di illustri spalatini quali Marko Marulić, padre della letteratura croata, e Ante Trumbić, uno dei maggiori politici croati, il cui sarcofago è opera del famoso scultore Ivan Meštrović.

Percorriamo il lungomare fino al molo dove prenderemo la barca della “Bura Line” che in meno di un’ora ci porterà a Trogir. Allo stesso molo dove peraltro c’è l’edificio della Capitaneria di Porto, è attraccata la “pseudocaravella” che abbiamo visto ieri! Lungo il cammino vediamo attraccati gommoni che porteranno bagnanti sulle isole vicine e stands di artigiani che fabbricano ombrelli variopinti.

Partiamo da Spalato, la navigazione ed il paesaggio sono molto piacevoli. Una sosta a Slatine un piccolo villaggio turistico di pescatori, situato sulla parte nord-est della isola di Čiovo, a soli 8 km da Trogir. Arrivati a Trogir percorriamo il ponte e entriamo in città dalla Porta Marina.

Percorrendo caratteristiche viuzze arriviamo alla Piazza della Loggia e della torre dell’Orologio (piazza Giovanni Paolo II). Una gradita sorpresa: davanti all’edificio del Comune distribuiscono piatti di spezzatino di carne e di risotto con frutti di mare! Che fortuna! Infatti avevamo fame!

Ci manca la musica? Ma no, sulla Loggia cantori croati si esibiscono in cori a “cappella”. Mi sembrano cori alpini ma… scopro che è musica tradizionale del luogo, la klapa, una forma vocale armonicamente complessa, dalle cinque alle dieci voci, cantata prevalentemente da voci maschili.

Visita alla Cattedrale di San Lorenzo ostruita nel XII secolo e più volte rimaneggiata, è un misto di stili romanico, gotico, rinascimentale e barocco. È una basilica a tre navate con vestibolo sopra il quale si trova il campanile che è l’edificio più alto e caratteristico di Trogir. Si tratta di una torre alta quarantasette metri costruita in tre stili diversi nel corso di quasi quattro secoli. Il portale del tredicesimo secolo è opera di Radovan.

Ai lati del portale campeggiano le statue di due leoni (simbolo di Venezia) e, sopra di esse, le figure di Adamo ed Eva, primo esempio di nudo nella scultura dalmata. In fondo al portico si nota un’altra pregevole struttura scultorea, il battistero, realizzato nel 1464 da Andrija Aleši.

Interessante è anche il tesoro della cattedrale, che conserva un trittico in avorio e diversi manoscritti miniati di epoca medievale. La  bellissima Cappella del Beato Giovanni Orsini del quindicesimo secolo è un capolavoro del rinascimento europeo.

Non ci facciamo mancare la salita sul campanile tra il suono assordante della campana.

Arrivati in cima, smette… per fortuna! Il panorama dall’alto è notevole!

Scendiamo dalla torre e andiamo ancora in giro per scoprire angoli caratteristici come il palazzo Cippico, il monastero e la Chiesa di San Domenico con vicino la statua di Agostino Casotti, noto anche come Agostino di Traù (in croato: Augustin Kažotić), fu un religioso dalmata appartenente all’ordine domenicano; divenne vescovo di Zagabria e quindi di Lucera; è venerato come beato dalla Chiesa cattolica.

Ultima visita la Fortezza Kamerlengo, costruita a cavallo tra i secoli XIV e XV nella parte occidentale dell’isola, a rafforzamento delle difese della città nel quindicesimo secolo dai veneziani come base navale in questa parte dell’Adriatico. Nel XIV secolo i Genovesi avevano costruito una torre a nove lati quale base della loro flotta sull’Adriatico. Subito dopo l’occupazione di Trogir nel 1420, i Veneziani ampliarono la torre trasformandola nella poderosa fortezza che porta tutt’oggi i segni delle varie tappe di costruzione. Il suo nome deriva dal funzionario di Stato, il camerlengo, “camerarius”, incaricato degli affari economico – finanziari.

Una passeggiata sul lungomare e poi di nuovo in barca torniamo a Spalato.

Una capatina a Brace Radic questa piazza, forse la più bella della città, ai cittadini di Spalato è più familiare sotto il suo nome non ufficiale Trg Braće Radić (piazza dei fratelli Radić) ma “della frutta”. Il suo nome “familiare” deriva dal fatto che era una volta sede del mercato vivace e colorato dove le donne dei villaggi circostanti venivano a vendere i loro frutti. Ci sono diversi punti di riferimento che decorano questa non così grande piazza unitamente ai  bar, ristoranti e negozi esclusivi. Il più grande è certamente la torre ottagonale veneziana (torre della marina), il resto dell’ex fortezza, costruita nel XV secolo per la difesa della città.

Di fronte alla torre è un magnifico palazzo della vecchia famiglia Milesi del XVII secolo con una spettacolare facciata barocca, uno dei migliori esempi di questo stile in tutta la Dalmazia. Proprio davanti ad esso sorge il monumento al padre della letteratura croata, il cittadino di Spalato Marko Marulić, uno dei più importanti filosofi e intellettuali del XV secolo. L’autore del monumento, così come di molti altri in città, è Ivan Meštrović.

Ceniamo in anticipo per poi concludere la giornata passeggiando lungo la Riva che al crepuscolo è ancora più attraente e gustando un ottimo gelato. Notiamo il grande numero di gelaterie che offrono ottimi gelati e decine e decine di gusti! Se venite in Croazia  lo noterete certamente!

27 maggio

Entriamo nel Palazzo di Diocleziano dalla Porta Aurea dove vi è la statua di Gregorio di Nin o Nona (in croato: Grgur Ninski) che era un vescovo croato nel X secolo. Il motivo per cui questa statua è più famosa è il suo alluce sinistro che si dice porti fortuna se si tocca. Dal tanto toccare è diventato tanto lucido fino a brillare.

 

La cattedrale di San Doimo

In origine era il mausoleo dell’imperatore Diocleziano. Nella metà del VII secolo il mausoleo dell’imperatore, persecutore dei cristiani, divenne cattedrale nella quale i posti d’onore furono riservati agli altari con le reliquie di San Doimo e Sant’Anastasio, martiri giustiziati nella vicina Salona. La struttura è considerata la più antica cattedrale cattolica al mondo che non ha avuto sostanziali trasformazioni nel tempo a parte la costruzione del campanile romanico (XIII-XIV sec.) alto 57 mt. e l’aggiunta del coro ligneo duecentesco. Nella sacrestia, ora museo della cattedrale, sono conservate molte ed importanti opere d’arte come, oggetti liturgici in oro e argento, antichi manoscritti, icone medievali e paramenti sacri. Visitiamo anche la cripta. Una volta entrati nello stretto cunicolo, ci ritroviamo all’interno dove vi sono vari spazi e delle grosse pietre ammassate con un pozzo centrale e proseguendo troviamo la statua di Santa Lucia. La cripta è dedicata proprio a Santa Lucia di Syracuse protettrice dei ciechi.

Il vicino Tempio di Giove, definito “uno dei più bei monumenti d’Europa” dall’archeologo Robert Adam, è un tempio a forma rettangolare, originariamente dedicato al culto di Giove e successivamente trasformato in battistero. In origine aveva un portico sorretto da colonne, di cui oggi ne rimane soltanto una. All’esterno è posta una sfinge di granito che fu portata dall’Egitto in epoca antica; splendida anche la statua di San Giovanni Battista nell’interno realizzata da Ivan Meštrović, il più grande scultore croato del Novecento.

Un veloce spuntino e riprendiamo il nostro tour. Su una casa ad angolo con la Riva notiamo una targa dedicata Freud dove abitò nell’autunno del 1898 ospite con sua moglie e figli del ricco cittadino di Spalato, Steve Perovic.

Il palazzo di Diocleziano

Affacciato sul porto, è un magnifico esempio di architettura romana. Sebbene abbia subito numerose modifiche nel corso del tempo, ha conservato il fascino antico ed è ancora ben conservato. Il palazzo di Diocleziano è più simile a una piccola cittadella costituita da due strade che si incrociano, formando quattro zone separate. La sua funzione originaria era un misto di residenza imperiale e fortezza militare; oggi all’interno del palazzo si possono contare più di 200 edifici, molti dei quali abitati o adibiti a negozi, bar o ristoranti. Costruito con la splendida pietra bianca di Brac ed altri marmi pregiati, che creano un suggestivo contrasto con il blu del mare sullo sfondo, il palazzo è un labirinto in cui è un piacere perdersi, esplorando ogni angolo e scorcio.

Il Palazzo è lungo 215 mt. e largo 180 mt.

Il peristilio misura 35 mt. per 13 mt.

La superficie del palazzo misura 31000 mq.

Le mura sono alte 26 mt.

Al punto di incontro tra la cinta muraria e gli assi viari principali si aprivano le quattro porte, affiancate da torri a base ottagonale: la Porta Aurea a Nord, la Porta Argentea a Est, la Porta Ferrea a Ovest e la Porta Aenea o Bronzea a Sud, verso il mare.

Circa 3000 persone vivono attualmente all’interno del palazzo.

Molto impressionante il Vestibulum, una sala d’ingresso circolare, la cui cupola è sprovvista di copertura. Proprio qui assistiamo all’esibizione di un coro.

Imboccando le scale che vi si aprono al disotto, raggiungiamo i sotterranei, le cosiddette “cantine di Diocleziano”, che erano ambienti di supporto per gli appartamenti del piano superiore destinati all’abitazione dell’imperatore. Le “cantine” perfettamente conservatesi, sono oggi di fondamentale interesse perchè ci informano su come dovessero essere i piani superiori, oggi distrutti o stravolti dalle ristrutturazioni. Oggi in questi ambienti trovano posto innumerevoli bancarelle che vendono di tutto, souvenirs a volontà ma anche oggetti di un certo pregio. In alcune camere si conservano reperti che gli scavi hanno restituito, come un frantoio medievale, un sarcofago quasi intatto con dedica, una trave di legno attribuita all’epoca della costruzione del palazzo e una lastra decorata. In questi ambienti sono state girate molte scene della famosa serie Game of Thrones.

Torniamo nel peristilio che è un brulicare di persone e di “Centurioni” che come al Colosseo a Roma si lasciano fotografare dai turisti.

Il campanile della cattedrale (57m) è la più originale costruzione dalmata medievale, iniziata nel XIII secolo. A cavallo tra il XIX ed il XX secolo il campanile fu completamente restaurato e alquanto modificato. Vale la pena salire la scalinata che porta in cima al campanile per godere il bellissimo panorama di tutta la città. Non manca la salita al campanile da cui si gode una splendida vista.

Torniamo a casa per riposare!

Prima di cena ci rechiamo in Piazza del Popolo, centro degli affari della città nel XV sec., dove vi sono edifici di pregio come il Palazzo Cambi in gotico veneziano e il rinascimentale Palazzo Comunale, eretto nella prima metà del XV sec., con una loggia a tre archi al piano terreno e una bella trifora al piano superiore.

Dopo cena non ci perdiamo la serata al Peristilio. Per gli abitanti di Spalato il peristilio del palazzo di Diocleziano è il centro di Spalato e del mondo. È la piazza centrale del palazzo e situata tre gradini più in basso rispetto alle vie circostanti. Per la sua bellezza e per la buona acustica, caratteristica piuttosto insolita per un luogo all’aperto, il peristilio è usato come palcoscenico per rappresentazioni teatrali di opere antiche o concerti di musica classica e lirica. Assistiamo ad una esibizione di un musicista che intrattiene i visitatori notturni, tra cui noi.

28 maggio

Ultimo giorno a Spalato. Passeggiamo sulla Riva e notiamo un banchetto che offre un tour con un semi-sommergibile di colore rosso (lo preferivo “yellow”…ricordando i Beatles). Incuriositi ci imbarchiamo insieme ad una signora con i suoi figli  e dopo un breve percorso verso il largo scendiamo giù sottocoperta in un ambiente fornito di oblò. In verità il fondale non è quello caraibico ma era un’esperienza da fare. E’ più un’attrazione per bambini ma noi in fondo lo siamo ancora!

Pranziamo, ci riposiamo e poi su una vetturetta elettrica ci rechiamo al terminal dei bus da dove partiremo alle 16:00 per Sebenico. Il viaggio, a bordo di un ottimo bus della “Cazmatrans”, dura appena 1 ora e 30.

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Il rito delle Farchie a Fara Filiorum Petri (Chieti)

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Il rito delle Farchie a Fara Filiorum Petri

In una rivista dedicata al turismo, io e mio marito ci siamo imbattuti in un articolo in cui si descriveva sommariamente la Festa delle Farchie che si svolge, ogni anno, il 16 gennaio, vigilia della ricorrenza della festività di Sant’Antonio Abate, a Fara Filiorum Petri, in Provincia di Chieti. Incuriositi dalla particolarità del nome del paese ed attratti dalla percezione di poter assistere all’arcano fascino di un antico rito popolare, abbiamo deciso di andare a conoscere questa realtà. E non siamo stati delusi: per 2 giorni abbiamo avuto la possibilità di godere il piacere dell’incontro e della conversazione con i Faresi, condividendone gli aspetti culturali, sociali, folcloristici, gastronomici, apprezzandone la grande genuinità e ammirando, soprattutto, la forte coesione e identità territoriale che accomuna tutte le fasce d’età impegnate nella preparazione della Festa.

Fiamme nel fiocco della farchia

Appena arrivati ci siamo diretti nel luogo destinato alla preparazione di una delle Farchie, quella della Contrada di Sant’Eufemia: in un ampio spazio prospiciente la strada principale del paese, si erge una spaziosa baracca di legno, a fianco della quale, riparati da un tendone, molti contradaioli lavorano intorno ad un enorme fascio di canne selvatiche. In un angolo dell’area antistante arde, ora più ora meno vivace, un falò che dall’inizio alla fine della preparazione della Farchia non deve spegnersi mai.

Farchia della Contrada di Sant’Eufemia

Qui incontriamo un ragazzo di 24 anni, Matteo Stenta, che ci illustra molti aspetti della Festa, conquistandoci per la passione e l’attaccamento alla tradizione che effonde nel racconto. Di seguito la sintesi della sua esposizione. “La Festa si fa risalire ad un miracolo compiuto da Sant’Antonio Abate al tempo dell’invasione francese, nel 1799. Ai Francesi che avanzavano per conquistare Fara, il Santo apparve nelle vesti di un generale che intimò loro di fermarsi prima della “Selva”, un grande querceto che proteggeva il paese e ne impediva la vista. Poiché i nemici non indietreggiavano, il Santo fece incendiare le querce; i Francesi, spaventati, furono costretti a fermarsi davanti a quelle immense torce e, credendo che tutto il paese stesse bruciando, si ritirarono.

Secondo un’altra leggenda, sul luogo del miracolo, in contrada Colli, nei pressi della selva che delimita il territorio, i Faresi costruirono una Chiesetta davanti alla quale, ogni 25 anni, la Festa delle Farchie viene celebrata in forma solenne: tutte le farchie vengono portate proprio davanti la chiesa della Selva, con un’arrampicata lunga e faticosa, che mette in marcia tutte le contrade lungo la stessa strada che sale verso il colle (saranno 3/4 km). E’ una ricorrenza davvero eccezionale: l’ultima risale al ’99, quindi si attende il 2024 per celebrare nuovamente il rito in modo grandioso.

Come descritto nella brochure a cura del Comune di Fara, la festa di S. Antonio Abate rappresenta un valido esempio di conservazione di riti purificatori e di propiziazione della fertilità connessi al solstizio invernale. E’ il fuoco purificatore l’elemento emblematico di cesura tra l’anno vecchio con la natura spoglia e l’anno nuovo che prelude alla rigenerazione della terra.

Inoltre, la farchia racchiude in sé gli elementi essenziali della vita, è un simbolo di forza, di vigore, di sacrificio e di caducità.

Questa celebrazione evoca anche, secondo me, un’analogia con ciò che accade nel rito di costruzione e distruzione dei “mandala”orientali: un gruppo di persone, dopo aver impiegato tempo ed energia mentale e fisica per costruire un’opera “perfetta”, sacrifica e distrugge, qui attraverso il fuoco, quanto ha faticosamente e pazientemente ha realizzato.

LA COSTRUZIONE DELLA FARCHIA

La realizzazione della farchia inizia con la creazione di un’anima rigida costituita da un “palo” di canne robuste legate strettamente; intorno a questa spina dorsale si effettua il “rinfascio” ricoprendo via via il nucleo centrale con fasci di canne in modo simmetrico e compatto fino a raggiungere la dimensione finale.

Rami di salice annodati per formare il palo della Farchia

Man mano che si procede al rinfascio si eseguono legature a distanze regolari utilizzando i rami di salice; in genere lungo tutta la farchia si contano 17 o 19 legamenti. Questa operazione richiede forza ed abilità ed è tecnicamente complessa e molto delicata in quanto determina la solidità e la bellezza della farchia dalla base –il piticone- alla cima –il fiocco-. Dall’esecuzione e dall’allineamento perfetto dei nodi dipende la verticalità, la compattezza e la stabilità della costruzione. Queste caratteristiche sono fondamentali soprattutto nel momento in cui, dopo l’innalzamento, un uomo si arrampica sui nodi delle legature per sistemare la batteria di mortaretti che dovrà incendiare la paglia pigiata tra le canne del “fiocco”.

L’ esecuzione della Farchia si protrae per una decina di giorni; inizia, di solito, subito dopo l’Epifania, ma la preparazione dei materiali necessari impegna la contrada per gran parte dell’inverno: nei giorni intorno all’8 dicembre si procede al reperimento dei rami, necessari per legare il fascio di canne, che vengono accuratamente scelti e tagliati da un salice rosso sulla cui ubicazione si deve mantenere scrupolosamente il segreto. Le canne, anch’esse selezionate con cura, vengono tagliate nel mese di febbraio di ogni anno, raccolte in fasci, pulite e conservate in ambienti chiusi fino al gennaio dell’anno successivo. Anche il luogo in cui ogni contrada va a tagliare le canne non deve essere rivelato; la tradizione, poi, vuole che tutto il materiale venga custodito gelosamente. In passato, infatti, poteva accadere che alcuni contradaioli, con blitz notturni, andassero a rubare o a danneggiare il materiale altrui sia per procacciarsi facilmente l’occorrente alla loro opera, sia per procurare danni agli altri costruttori. Questo pericolo incombeva in particolare a costruzione completata, per questo, ancora oggi, per tutta la notte del 15 gennaio, gli uomini della contrada usano vegliare la farchia scaldandosi al fuoco del gigantesco falò, bevendo abbondantemente e mangiando i gustosi piatti cucinati dalle loro donne.

Le contrade che preparano la farchia sono 16, ma, soprattutto in passato, il numero poteva variare perché, quando la rivalità era più forte e i contradaioli litigavano tra loro, alcune famiglie si dissociavano e decidevano di costruire autonomamente un’altra farchia. In alcune contrade anche i bambini sono direttamente coinvolti e si cimentano nella costruzione di una farchia più piccola.

La Farchia pesa circa 8 quintali, un diametro di circa 80-100 cm e raggiunge una lunghezza di 8 metri. Le misure, da qualche anno, sono regolamentate dal Comune, che fissa i parametri, mentre in precedenza le dimensioni erano libere e le varie contrade gareggiavano a chi costruiva la Farchia più imponente, arrivando a volte ad esagerare e a creare potenziali pericoli nel trasporto e nell’innalzamento della stessa.

La Farchia viene trasportata da circa 15-20 persone e molti cercano di mettervi sotto una spalla o almeno un braccio perché, comunque, anche dare un piccolo sostegno viene ritenuto un vanto.

Ci dice Matteo, con orgoglio: “La cosa più bella di questa opera è che riunisce più generazioni; in questo periodo dell’anno gli abitanti della contrada, di tutte le età, si ritrovano insieme, è come se si vivesse in un’altra dimensione temporale, si sperimenta una diversa percezione della realtà. Gli anziani della contrada, pur con gli acciacchi dell’età, sono molto presenti e sono quelli che guidano la costruzione della farchia dando indicazioni e consigli, quelli più giovani, anche se partecipano ormai da tanti anni alla preparazione del fascio di canne e sarebbero capaci di fare da soli, lasciano spazio agli anziani e ai loro suggerimenti.”

Mentre gli uomini lavorano, le donne sfaccendano intorno ai fornelli per preparare dolci e piatti tradizionali che saranno serviti a cena, evento cui partecipa tutta la contrada. I bambini e gli adolescenti si nutrono della gioiosa atmosfera di questo rito collettivo ed alcuni di loro si esercitano nel suonare” lu dobbotte”, un tipo di organetto detto anche “trevucette”.

La tradizione è così forte che alcuni faresi che lavorano lontano si riservano almeno una settimana di ferie per tornare al paese e partecipare alla realizzazione di questa opera d’arte collettiva. Chi non può tornare sostiene i compaesani con generose donazioni di denaro.

L’ACCENSIONE DELLE FARCHIE

Il giorno 16, verso le 13,30, dopo aver ricevuto gli ultimi ritocchi e decorazioni di fiori, fiocchi e bandiere, la farchia viene sollevata dagli uomini più forti della contrada, sistemata su rimorchi di trattore, appositamente predisposti, e trainata verso la Chiesa di Sant’Antonio circondata da uno stuolo festante che canta la vita del Santo. Intorno e sopra la farchia trova posto qualche bambino e l’immancabile suonatore che accompagna il canto con il suono del “dobbotte”.Le 4 contrade più vicine al luogo dell’ accensione trasportano il pesante fascio di canne portandolo a spalla per quasi 1,5 km lungo un tragitto in gran parte in salita, con grande fatica, difficoltà e pericolo soprattutto in caso di neve e ghiaccio.

Trasporto a braccia della Farchia

Giunti alla meta finale verso le 16,30, nello spazio tra la Chiesa di Sant’Antonio e il cimitero, si celebra il rito della presentazione delle farchie alla statua del Santo, del loro innalzamento e accensione a ricordo del’evento prodigioso.

Chiesetta di Sant’Antonio

Ogni contrada deposita a terra la farchia e, a turno, la innalza. L’operazione è molto impegnativa e richiede notevole sforzo muscolare ed attenta sinergia: i portatori, al comando del capofarchia e attraverso l’utilizzo di una scala, due lunghi pali legati a X (filagne) e corde, in più riprese e con notevole suspense per gli spettatori, dispongono il fascio di canne in posizione verticale.

Innalzamento della Farchia

Quando la farchia è stabilizzata, uno dei farchiaioli si arrampica lungo i nodi delle legature, raggiunge l’involto dei mortaretti che è fissato vicino al fiocco e lo fa srotolare affinché da terra si provveda ad avvolgerlo tutt’intorno al fastello di canne.

Sistemazione dei mortaretti

All’imbrunire tutte le farchie sono innalzate e inizia lo spettacolo del loro incendio. Ad una ad una vengono accese le micce e, al termine dello scoppio dei mortaretti, le fiammelle cominciano a guizzare all’interno del “fiocco”; pian piano, la paglia si accende sprigionando fiamme sempre più alte e dando vita ad uno scenario magnifico.

Accensione della Farchia
Farchie accese

A sera, ogni contrada getta a terra la propria farchia dopo averla lasciata bruciare quasi fino a metà, la taglia e trasporta la parte inferiore, solida e massiccia come un rudere di colonna di un antico tempio, nel luogo di costruzione: qui rimarrà come simbolo e trofeo in attesa della nuova farchia nell’anno successivo.

Per finire, mi piace citare una nota del Sindaco di Fara, Sig. Camillo d’Onofrio: “Dal 2011 l’Unesco nella “Declaration Universelle sur la diversité culturelle” fa appello alla tutela delle feste autentiche perché ritenute essere patrimonio dell’umanità laddove esse sono espressione unica e irripetibile del pensiero umano: la festa delle Farchie è patrimonio dell’Umanità perché racchiude in essa innegabili valori di autenticità.”

Completo il reportage con notizie riguardanti il paese e il territorio di Fara F.P.

ORIGINE DEL NOME E STORIA DI FARA FILIORUM PETRI

Il singolare nome di questo paese in Provincia di Chieti è di origine longobarda e risale all’Alto Medioevo. Come suggerisce la traduzione letterale dei termini: “ Borgo dei figli di Pietro”, il paese ha avuto la sua genesi dalla stirpe di Pietro, un fedele amministratore dei beni dei Longobardi, che lo ripagarono per i suoi servigi con il dono delle terre da lui curate. La stessa posizione del nucleo antico di Fara, arroccato su uno sperone breccioso di origine glaciale, fa intuire la sua origine longobarda e la sua verosimile evoluzione da accampamento militare a villaggio rurale. Intorno all’anno mille si estese sul territorio farese l’influenza dei monaci benedettini di Montecassino, come testimoniano i resti del Monastero e della Chiesa di Sant’Eufemia, che perdurò per diversi secoli facendo del paese un importante centro di religiosità, mentre il dominio temporale passava dagli Orsini ai Colonna. Solo nel 1800 Garibaldi determinò la caduta dei Colonna e Fara iniziò la sua trasformazione culturale, architettonica e logistica ad opera della borghesia. Furono ricostruiti antichi edifici, fu innovato il sistema viario anche a servizio della campagna, avviate iniziative culturali come la costituzione della Banda Musicale di 20 elementi e, all’inizio del ‘900, furono costruiti gli imponenti muraglioni a sostegno del dosso su cui sorge il centro storico. Nonostante le numerose perdite umane e le devastazioni subìte nei due conflitti mondiali, Fara riuscì a conservare, e, tutt’oggi mantiene, il ruolo di paese guida in tutta l’Alta Val di Foro.

Centro di Fara Filiorum Petri

IL TERRITORIO

Tra la dorsale collinare preappenninica e le falde della Maiella, a circa 300m di altitudine, si estende il territorio del Comune di Fara Filiorum Petri, caratterizzato da una zona pedemontana e una zona collinare argillosa, risalente al Pleistocene, in cui si sono formati i caratteristici calanchi, a lama di coltello, con spigoli molto vivi e brulli, che rivestono un notevole interesse geologico e turistico.

Maiella e Passo Lanciano

Questa terra, in passato ricchissima di acque dove, per gli antichi, abitavano le ninfe e, per la fede cattolica, scorrevano acque miracolose, è solcata da 2 fiumi, il Foro e la Vesola Sant’Angelo che si congiungono nei pressi del paese. In vicinanza del centro di Fara, con argini artificiali lungo il fiume Foro, sono stati realizzati 2 laghi ricchi di fauna ittica, tra cui il lago Piattelli che si estende proprio sotto le mura, in cui si può praticare la pesca sportiva delle trote Fario e Iridee.

ECONOMIA

L’attività economica più importante è l’agricoltura, con una estesa coltivazione della vite(vitigni Montepulciano d’Abruzzo, Trebbiano, Chardonnay e Pecorino), dell’ulivo e di alberi da frutto che trovano il terreno ideale nella zona collinare argillosa. Diffusa è anche la coltivazione delle classiche colture orticole mediterranee(pomodori, patate) tra cui si distingue la secolare coltivazione di una particolare cipolla bianca, “la cipolla piatta di Fara” che raggiunge dimensioni notevoli ed è particolarmente adatta al consumo fresco avendo sapore dolce e scarsità di quei solfuri che rendono l’alito pesante. Questa cipolla è un presidio di Slow Food:

Cipolla bianca di Fara Filiorum Petri

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Dalmazia – Sebenico – (Sibenik) – 2017

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29 maggio

Ci svegliamo abbastanza presto anche perché le persiane dei balconi (3!) lasciano trapelare molta luce. Dopo l’ abbondante colazione ci rechiamo all’ ufficio turistico per informarci come fare per visitare le antiche fortezze della città e il “KRKA NATIONAL PARK” dove troveremo le famose cascate. Decidiamo di andare subito alla fortezza di S. Michele sfruttando la temperatura ancora fresca dell’ aria, il sito si trova in alto… Passiamo per la Piazza della Loggia Vecchia dove ha sede il Municipio accanto alla famosa Cattedrale di S. Giacomo che visiteremo con calma in seguito. 

Lungo la strada incontriamo la piccola chiesa di Tutti i Santi e più avanti la chiesa e il monastero di S. Lorenzo con il suo famoso giardino medievale.

Questo giardino è un’attrazione rara poiché rappresenta l’unico giardino di un monastero di questo tipo in Croazia ma è anche molto raro in quanto ce ne sono solo pochi in questa parte dell’Europa. Il giardino segue il famoso schema medievale: percorso trasversale con un piccolo pozzo al centro, platea arredata in maniera semplice e circondata da bossi e da bellissime rose profumate. In quattro aree sono state piantate erbe medicinali e aromatiche. Una parte speciale è dedicata alla collezione di timo con bellissimi colori per le sue foglie quali il rosso, viola, grigio, verde chiaro e scuro. Un’altra attrazione del giardino sono i capperi. Secondo la leggenda, i capperi sono stati portati a Sebenico da Juraj Dalmatinac (Giorgio Orsini) il grande architetto italo-croato.

Di fronte alla chiesa si innalza il convento francescano, un grande complesso architettonico dove spicca il Palazzo Foscolo, il più bell’esempio dell’architettura abitativa a Sibenik, costruito in stile gotico fiorito dallo stesso Dalmatinac.

Passiamo accanto al cimitero di S. Anna chiuso ai turisti a causa di atti di vandalismo!

Arriviamo alla Fortezza di S. Michele.

L’edificio fu costruito nel Medioevo e fino al Seicento ha subito diversi restauri. Le campagne archeologiche di scavo hanno confermato che la costruzione fu commissionata dal governo veneziano. Gli archeologi hanno provato che sotto l’imponente struttura difensiva si trova una fortezza antica, forse appartenuta al popolo degli Illiri. Oggi la Fortezza di San Michele viene utilizzata come teatro all’aperto.

L’interno è spoglio e non ci sono molti cartelli che spiegano la storia del castello. Tuttavia rimane il fatto che dalle mura si gode di un panorama fantastico, che concede una vista mozzafiato sul canale di Sant’Antonio e sulle isole. Uno spettacolo!

Interessanti le cisterne che contenevano le riserve d’ acqua. Attraverso un passaggio sotto le mura usciamo sulla strada per recarci alla Fortezza di S. Giovanni che come la precedente era parte del sistema difensivo veneziano.

La fortezza è dismessa e abbandonata e possiamo solo vederla dall’ esterno in quanto un cartello ci avverte che a entrarci è a proprio rischio e pericolo. Ci sarebbe da visitare la Fortezza Subicevac o del Barone, più piccola di quella di San Giovanni, costruita nel 1646, stesso anno della Fortezza di San Giovanni, ed è stata importante per la difesa di Šibenik dagli attacchi turchi del 1647. A lungo è stata definita la Rocca del “Barone Degenfeld”, ufficiale veneziano di origini germaniche e governatore di Dalmazia dal 1645, che difese fino all’ultimo la città contro i turchi. Da qui il nome Subicevac, che significa barone. Decidiamo di non visitarla per la lontananza e poi abbiamo saputo che non offre molto.

Scendiamo dirigendoci verso il centro ed arriviamo alla Loggia Grande costruita nel Cinquecento.

Fu costruita in epoca veneziana per ospitare il governo di città ed era parte del Palazzo ducale. La facciata principale presenta due ordini di colonne mentre il  piano terra è scandito da deliziosi archi a a tutto sesto, mentre l’ordine del primo piano presenta colonne che richiamano lo stile corinzio e gli ambienti del Mediterraneo orientale. Inconfondibili sono anche le decorazioni a testa di leone, che portano in trionfo l’icona di Venezia: il Leone di San Marco. In piazza si erge il monumento all’ architetto Juraj Dalmatinac.

La  Cattedrale di San Giacomo, uno dei simboli della cultura locale e dal 2000 sito UNESCO,è l’ edificio più significativo della città. Una costruzione senza campanile e con una cupola che ricorda tanto il rinascimento italiano. La costruzione fu iniziata nel 1432 da parte di artigiani veneziani secondo le regole dello stile gotico. Dopo una momentanea interruzione i lavori ripresero e al nuovo progetto furono apportate alcune modifiche in chiave rinascimentale. La chiesa fu consacrata ufficialmente nel 1555, ben 124 anni dopo la posa della prima pietra. La facciata è simmetrica con un timpano ad arco nella parte centrale e a quarto di cerchio nelle laterali.

L’ interno è a tre navate e la parte terminale di quella a destra è occupata dallo splendido battistero ricco di sculture e rilievi. Il fonte battesimale è retto da tre putti.

Decidiamo di andare alla fortezza di S. Nicola…ci attende un arduo cammino. Con un bus arriviamo a Zablaće, un piccolo villaggio di pescatori, e da lì proseguiamo fino al primo isolotto con i bunker della Seconda Guerra Mondiale ci incamminiamo verso la Fortezza che dista un bel po’ di strada (circa un’ ora!) ma ne  approfittiamo per una passeggiata in mezzo alla natura…

La fortezza di San Nicola sorge all’entrata del canale di Sant’Antonio e fu costruita nel corso del XVI secolo per proteggere la città dagli attacchi ottomani provenienti dal mare. Fu progettata dall’ingegnere militare veneziano Michele Sammichele. Le parti inferiori furono realizzate in pietra bianca, mentre quelle superiori in mattoni. La fortezza di San Nicola fa parte del gruppo di fortificazioni sul mare più possenti della costa croata dell’Adriatico. Dopo circa un’ ora arriviamo ad una passerella in legno che ci porta su un’ isolotto da cui possiamo vedere tutta la fortezza. Lungo il paesaggio lagunare che ricorda molto quelli veneti, ammiriamo piccole calette, il volo degli aironi e la posa delle gru sull’acqua ma anche i bunker della Seconda Guerra Mondiale.

L’ accesso è molto impervio e lo evitiamo: abbiamo sbagliato calzature, ci volevano quelle da trekking! Torniamo a Zablaće ma apprendiamo che siamo in largo anticipo per il bus che passerà tra oltre un’ ora. Troviamo una coppia di svedesi e decidiamo di tornare in taxi. Spesa irrisoria: 35 euro fino all’ hotel!  Meritato riposo, cena in hotel, passeggiata sul lungomare  assistendo ad un splendido tramonto e un giro in centro.

 

30 maggio

Oggi visita al Parco Nazionale del fiume Krka.

Il Parco, con una superficie di 10.900 ettari, protegge il tratto mediano e quello finale del fiume Krka di origine carsica che nasce nei pressi di Knin e lungo un percorso di 75 km all’ interno di un suggestivo canyon dopo aver formato le suggestive cascate di Rog e di Skradinski buk sfocia nella baia di Sebenico. In bus arriviamo a Skradin dove prendiamo un’imbarcazione per arrivare al parco nazionale.

Le imbarcazioni partono ad ogni ora e ritornano dal parco nazionale ogni mezz’ora. Il viaggio in nave di sola andata da Skradin a Skradinski buk (parte meridionale del parco nazionale) dura 25 minuti e si naviga tra sponde di un verde lussureggiante.

Dal luogo in cui approdano le imbarcazioni ci vuole un giro a piedi di 5 minuti per arrivare ai piedi delle cascate. Skradinski buk che scende da 45 mt di altezza con ben 17 balzi accanto ai quali si passa attraverso alcuni sentieri tra un turbinio di spruzzi: uno dei più grandiosi spettacoli ambientali naturali della Croazia.

Alcuni fanno anche il bagno ma l’ acqua è terribilmente fredda!

Altro giro che facciamo è quello che ci porta all’ isola di Visovac con annesso monastero francescano. Percorrendo un sentiero abbastanza scomodo per la presenza di un minuto pietrisco che immancabilmente si insinua nei miei sandali (in questo viaggio mi sono convinto ad usarli) raggiungiamo l’ imbarcadero distante 400 mt e con una confortevole imbarcazione pilotata da un simpatico personaggio raggiungiamo l’ isola  di proprietà della Chiesa cattolica che sorge lungo il corso inferiore del fiume Krka, tra le cascate di Rog e Skradinski buk.

Prima di essere popolato, era solo una “roccia bianca” in mezzo al lago. Acquistò l’aspetto odierno grazie al lavoro dei frati, che bonificarono parti dell’isolotto e costruirono argini. In questo modo, Visovac si trasformò in “un piccolo paradiso terrestre”. A partire dai primi abitanti, gli eremiti di Sant’Agostino, che costruirono sulla roccia il monastero e la chiesetta, ogni successiva generazione eresse qualche nuovo elemento, ristrutturò le parti più antiche, trasformò o ricostruì dalle fondamenta ciò che guerre e calamità naturali avevano distrutto.

Visovac è anche l’isolotto della Madonna della Pietà, uno dei molteplici santuari dedicati alla Vergine nella Repubblica di Croazia.

Con la presenza di novizi, pellegrini e turisti, Visovac è diventato uno di quei luoghi in cui cultura, religione e conoscenza vivono a stretto contatto.

Torniamo all’ imbarcadero e poi al molo di Skradin prendiamo la motonave che ci porta a Skradin. Tutto è proceduto bene solo che gli orari dei bus di ritorno sono una catastrofe: arrivati troppo presto aspettiamo quasi 2 ore…

La visita al parco ci ha tenuto impegnati quasi tutta la giornata ma ne è valsa la pena.

Altra tappa conclusa, riposo, cena, passeggiata serale e a letto. Domani saremo a Dubrovnik.

31 maggio

Oggi partiamo per Dubrovnik alle 11:30 con arrivo alle 18:30, un bel viaggio!

Ci svegliamo presto e occupiamo le ore che ci separano dal viaggio con ulteriore visita della città. Sapendo che a Sebenico ci sono ben 24 chiese, di cui 12 sono al servizio di Dio mentre sei di esse svolgono oggi un’altra funzione, ci mettiamo alla ricerca delle principali.

La chiesa di San Crisogono è il più antico monumento sacro conservato, risalente al XII secolo. È stato costruito in stile romanico. Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale la chiesa era in funzione, mentre durante la guerra è stata molto danneggiata. Dopo i lavori di restauro è diventata uno spazio espositivo del Museo della Città di Sebenico e oggi viene chiamata Galleria di San Crisogono.

La chiesa di San Giovanni è una costruzione in stile gotico-rinascimentale, innalzata nel XV secolo, con il nome di Chiesa della Santa Trinità. Le scale che si trovano nella parte meridionale della chiesa sono opera del famoso costruttore di Sebenico, Ivan Pribislavić, decorate da un bassorilievo. Ai piedi del campanile si trova una finestra rinascimentale, opera di Nikola Firentinac, e sopra di essa è collocato un rilievo con la rappresentazione di un agnello e di un angelo con le ali aperte. Il campanile è molto interessante perchè qui si trova un orologio turco con una sola lancetta che è stato portato da Dernis, dopo la fuga dei Turchi nel XVIII secolo. La cupola del campanile manca dal 1862, in seguito a un forte terremoto.

S. Anna

La chiesa di San Nicola è stata innalzata nel XVII secolo in stile barocco e qui si trovano oltre a varie tombe anche vari modelli di velieri, regalati alla chiesa come doni votivi. La facciata termina in un campanile, mentre la parte inferiore è suddivisa da finestre e dal portale con forme semplici. Nel soffitto barocco a cassettoni si trovano le rappresentazioni dei santi e i ritratti dei donatori in costumi tradizionali e con scritte che rappresentano i loro nomi.

Chiesa della Dormizione della Madre di Dio (chiesa ortodossa)

Nel 1810 gli ortodossi serbi acquistarono un’ulteriore chiesa a Sebenico, dedicata alla Dormizione della Madre di Dio, che divenne poi cattedrale sostituendo la chiesa dell’Ascensione come edificio di culto principale per la comunità serba locale. La chiesa fu dotata di un’iconostasi nel 1827 ed arricchita di dipinti bizantini di varie epoche, dal XV al XIX secolo, così come un ricco tesoro di oggetti liturgici e manoscritti.

 

Chiesa dell ‘Assunzione della Bogomatere

La Chiesa dell’Ascensione della Madonna fu costruita nel luogo in cui, nel XII secolo, si riunivano i templari. Si tratta di un complesso barocco risalente ai secoli XVII-XVIII. Fino agli inizi del XIX secolo, questa era una chiesa cattolica dedicata a San Salvatore e apparteneva al monastero delle suore benedettine. Nel 1810, su decisione di Napoleone, la chiesa fu concessa al vescovo ortodosso Benedikt Kraljević.

Torniamo in hotel e nelle vicinanze della chiesa di S. Barbara assistiamo ad un’ ultima performance di cantori di “klapa”.

Prendiamo i bagagli e ci rechiamo al bus terminal dove in perfetto orario partiamo con un mezzo dell’ ottima compagnia Cazmatrans.  Il percorso stradale rasenta il precipizio sul mare….Anche se ci sono i guardrails la mia fobia per le strade a mezza costa si riaccende…

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Dalmazia – Dubrovnik – 2017

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Fondata pare dai fuggiaschi romani di Epidaurum (l’attuale Cavtat) nel VII sec, fu dominata dai bizantini e poi da Venezia (1205-1358), conseguendo una formale indipendenza dopo il 1382 e nel XV e XVI sec. arrivò ad avere una flotta di 500 navi. Incastonata nell’Adriatico è stata sino allo scoppio della guerra del 1991 una delle mete del turismo in Dalmazia per la bellezza dei suoi monumenti, la grandiosità delle sue mura, il piacere di vivere in un ambiente accogliente ed elegante.

31 maggio

Arriviamo al bus terminal di Dubrovnik alle 19 passate e in taxi arriviamo alla porta Pile, quella principale di accesso al centro antico, l’ accesso è solo pedonale. Dobbiamo portare noi i bagagli e ahimè il nostro mini appartamento si trova nella parte alta…. Sapevo delle varie scale di Dubrovnik ma la realtà è veramente dura come dura è la fatica per salirle anche perché ci indicano quelle che vanno “direttamente” vincendo il dislivello in un’ unica soluzione, a Villa Vesna! L’appartamentino, anch’esso al piano terra come quello di Spalato, situato in una caratteristica corte, è completo di tutto e arredato in modo minimale. La salita si rileva un buon allenamento per le nostre gambe ma per fortuna la discesa che effettuiamo dopo verso il centro antico è agevole!

Arriviamo in piazza della Loggia alla fine della famosa Stradun (il nome deriva dal veneziano e significa “stradone, strada larga”), l’ampia via chiamata anche Placa,  che attraversa la città da ovest ad est delimitata da cortine di palazzi costruiti dopo il terremoto del 1667 e oggi gremita di bar e caffè.

Su Piazza della Loggia troneggia la Torre dell’orologio che oltre a quello a quadrante e lancette ne mostra uno a caratteri luminosi, si affacciano anche la chiesa di S. Biagio e il Palazzo Sponza che ospita l’Archivio di Stato.

Ceniamo in un caratteristico ristorante all’aperto vicino alla chiesa di S. Biagio e dopo passeggiamo per lo Stradun dove Bianca adocchia un negozio di Max Mara, suo fornitore ufficiale di moda….

Andiamo poi al porticciolo molto caratteristico di sera! Torniamo a casa risalendo le graziose ed eleganti scale barocche disegnate da Pietro Passalacqua, simili a quelle di Trinità dei Monti a Roma, che sfociano sul piazzale della Chiesa dei Gesuiti poi, percorrendo comodi gradoni, arriviamo dolcemente a casa!

C’è tanto da vedere, domani scopriremo Dubrovnik!

1 giugno

La posizione dell’appartamentino è incredibile, a ridosso delle famose mura di Dubrovnik ma abbastanza lontano dal centro affollato. Tutto sommato la “scalata” di ieri ci viene ripagata da questa location veramente particolare. Di buon’ora ci incamminiamo verso le famose scale che ci facilitano la discesa verso il centro dove facciamo colazione (potevamo benissimo farla a casa dove c’ è tutto l’occorrente the, caffè ma non qualcosa di solido) in un bar al porto con buoni dolci ed ottimo caffè quasi napoletano, quasi…. Ben rifocillati ci avviamo alla scoperta delle mura di Dubrovnik.

Qualche notizia sulle mura.

1.080 gradini da salire a partire da tre accessi (da Porta di Pile, via San Domenico o dal Museo del mare) per raggiungere la sommità della cinta muraria meglio conservata del Mediterraneo e concedersi quasi due chilometri di passeggiata in compagnia dei gabbiani ma a senso unico. Le pareti delle mura della città che collegano gli ingressi hanno un totale  di 1.080 gradini che comprende i tre ingressi. Tutta Dubrovnik ha 5.423 gradini! Furono costruite nel X secolo e fortificate nel 1453, rinforzate sino al XVI sec e sopravvissero persino a un enorme terremoto nel 1667. 

Il fronte verso terra ha uno spessore da 4-6 rinforzato da 10 bastioni semicircolari metri mentre quello verso il mare hanno torri di forme diverse. Ognuno dei quattro angoli della città vecchia ha una propria fortezza, la torre Minceta, la Fortezza di Revelin, la fortezza di San Giovanni e il bastione Bokar.

Entriamo dall’ingresso vicino a Porta Pile ed inizia un’ esperienza che ci resterà impressa nella memoria. Un percorso a oltre venti metri d’altezza che attraversa torri e bastioni, si affaccia all’interno sulla città e all’esterno sul mare Adriatico.

Da quassù lo sguardo abbraccia la città antica, il vecchio porto e la costa fino all’isola di Lokrum spingendosi sull’Adriatico.

Nel 1991 e 1992 caddero le duemila bombe che distrussero buona parte di Dubrovnik ma le perfette geometrie della città, ricostruita fedelmente dopo i bombardamenti, dall’alto sono talmente affascinanti che non si può che restarne ammirati. I tetti sopravvissuti sono di un rosso-argilla antico…..Le stradine perpendicolari allo Stradun sono popolate di minuscoli caffè e art bar o gallerie d’arte e in cui – tempo permettendo – anche le scalinate che si inerpicano verso la parte alta diventano parte dell’arredamento.

La visita ci ha preso quasi tutta la mattinata e si conclude idealmente, dopo aver pranzato, in cima al monte Srdj (Sergio), che si raggiunge in funivia la cui stazione si trova poco lontana. Uscendo dal centro attraverso Porta Ploce arriviamo dopo pochi minuti alla stazione inferiore della funivia, simbolo del turismo raguseo d’una volta (costruita nel 1969) che non era in funzione dai recenti conflitti bellici del 1991, ma grazie all’investimento di cinque milioni di euro per il suo rinnovamento, oggi di nuovo brilla nel suo splendore originario offrendo anche due terrazze panoramiche, un negozio di articoli da regalo e uno snack bar. Ci informano che prossimamente sarà aperto anche un anfiteatro che potrà contenere 250 persone, adatto ad ospitare vari eventi.

In soli quattro minuti, a bordo della moderna cabina che può ospitare trenta persone, si raggiunge l’altitudine di 405 metri del monte Srđj (Sergio), da dove è possibile godere di un indimenticabile panorama mozzafiato su Dubrovnik.

2 giugno

Oggi visita della città. Passiamo per Piazza Gundulic dove in mattinata si svolge il mercato popolare di frutta. Si trova sul lato meridionale dello Stradun, proprio dietro la Cattedrale di Dubrovnik, con edifici eleganti e numerosi negozi e ristoranti. Al centro si erge il monumento del famoso poeta del XVIII sec Ivan Gundulić. Sul piedistallo del monumento ci sono alcuni rilievi di bronzo raffiguranti le scene di Osman, la famosa poesia di Gundulic. Facciamo colazione con un gustoso misto di frutti di bosco che alcuni venditori espongono sulle loro bancarelle.

Percorriamo lo Stradun fino alla piazza che si apre subito prima di Porta Pile dove vediamo la Fontana Grande di Onofrio monumento fra i più celebri della città. Fu realizzata nel 1438-44 dall’architetto napoletano Onofrio de la Cava incaricato di progettare il sistema di approvvigionamento idrico della città. In origine era a due piani ma quello superiore fu abbattuto dal terremoto del 1667.

Nei pressi c’è la Chiesa del Salvatore la cui facciata è un interessante esempio di architettura rinascimentale veneto-dalmata e il convento francescano iniziato nel 1317 completato quasi un secolo dopo e rifatto dopo il terremoto del 1617. Integro è rimasto il chiostro che nelle forme documenta il passaggio dal romanico al gotico (lo si nota dai capitelli delle colonne) al cui centro si trova una fontana del XV sec.

Da uno dei suoi lati si accede alla farmacia, attiva dal 1317, in cui si ammirano esposti su antichi scaffali, alambicchi, mortai, strumenti di precisione e bei vasi decorati.

Procediamo verso Piazza della Loggia fino al Palazzo Sponza, un magnifico edificio rinascimentale del XVI sec, con un cortile interno e un’elegante loggia poggiata su sei colonne. In origine sede della Dogana e oggi ospita gli Archivi di Stato.

I magazzini doganali hanno nomi di santi mentre sull’arco sul fondo troneggia la scritta:

FALLERE NOSTRA VETANT ET FALLI PONDERA

MEQUE PONDERO CUM MERCES PONDERAT IPSE DEVS

(I nostri pesi non permettono l’imbroglio o il trucco.

Quando misuro le merci che il Signore misuri con me.)

Difronte c’è la Chiesa di San Biagio, protettore della città, ricostruita nei primi decenni del ‘700 secondo il progetto seicentesco che conserva molte opere d’arte in stile barocco.

Di fianco la piccola Fontana d’ Onofrio del 1438 e poco più avanti la statua di Marino Darsa, in croato Marin Držić (Ragusa di Dalmazia, 1508 – Venezia, 2 maggio 1567), un commediografo, poeta e drammaturgo croato.

Nella piazza sorge la Colonna d’Orlando del 1418, una raffigurazione in pietra del leggendario Rolando, protagonista della più importante opera letteraria del medioevo europeo, la Chanson de Roland, ma che ha anche un valore molto più ampio in quanto è riconosciuto simbolo dell’indipendenza e della libertà della città: sulla sua cima, infatti, per quattro secoli ha sventolato la bandiera della Repubblica. L’aspetto attuale della colonna è quello degli inizi del XV secolo e rappresenta un’importante testimonianza della scultura di quel periodo storico.

Procediamo fino alla Cattedrale realizzata dopo il terremoto del 1667 dagli architetti romani Andrea Buffalini e Paolo Andreotti. Ha tre navate, tre absidi e ospita sull’altare maggiore troneggia una gigantesca Assunta di Tiziano.

Andiamo al porto per rifare il tour sul semi-sommergibile anche se probabilmente sarà una delusione, ma che importa, ci piace giocare. Stavolta il colore del natante è giallo ben intonato alla “Beatles” memoria! Al ritorno incrociamo una moltitudine di canoisti!

 

Ci allunghiamo ai Lazzaretti. Nel Medioevo, l’Asia e l’Europa furono devastati da epidemie di malattie incurabili come peste e malaria. A causa del commercio marittimo, Dubrovnik non è stata risparmiata da queste epidemie. Nel 1527, la peste in un solo colpo fece 20 mila vite. I Lazzaretti sono posti all’entrata orientale della città e presentano edifici imponenti e consentivano l’attracco a grandi imbarcazioni. Avevano grandi magazzini per le merci e bestiame, e ambienti  per ospitare mercanti e viaggiatori in isolamento. Oggi i lazzaretti hanno diversi scopi di svago, commercio e intrattenimento e nelle vicinanze non manca un lido balneare molto raffinato.

Torniamo in città ed assistiamo ad una curiosa esibizione, per la gioia dei turisti, di variopinti pappagalli mostrati da una ragazza con un costume da pseudo-pirata con tanto di pistolone alla cintura……mah…

La cena la consumiamo in un locale posto in una delle tante traverse dello Stradun, il Konoba Dundo Maroje (taverna Zio Maroje) un ristorante piccolo e intimo ma anche con tavoli all’aperto disposti lungo la stradina, e un luogo piacevole per trascorrere una notte d’estate, optiamo per questa soluzione. Tutto a base di pesce e che pesce!

Dopo la cena un buon gelato (in Croazia fanno dei gelati ottimi e giganteschi!) e poi assistiamo ad uno spettacolo di luci e musica in Piazza della Loggia.

Domani torniamo in Italia ma Dubrovnik ci saluta con lo sfilare della Ronda storica, giusto commiato da questa terra piena di storia e paesaggi fantastici! Ma torneremo al più presto per godere del suo splendido mare!

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Dalmazia – Isola di Lokrum (Dubrovnik) – 2017

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1 giugno

Nel 1859 l’Arciduca Massimiliano d’Asburgo vi fece costruire un palazzo e restaurò il chiostro in seguito adibito a Museo di Scienze Naturali.

Durante l’occupazione Francese dell’isola i Francesi edificarono una cittadella fortificata chiamata Fort Royal sul punto più alto a 91 m sopra il livello del mare: oggi è un belvedere che offre una vista spettacolare sull’isola e città di Dubrovnik. Decidiamo di arrivare in sommità ma l’impresa si rivela presto ardua!

L’escursione è impegnativa, il sentiero fino al forte è molto ripido e roccioso quindi dobbiamo fare molta attenzione ma una volta arrivati in cima la nostra fatica viene premiata non tanto dai resti diroccati del forte ma dagli splendidi  punti panoramici!

I RESTI DI FORT ROYAL

Lokrum è stata usata per girare scene della  serie “Il trono di Spade” ed in un allestimento museale proprio su questa serie mi faccio fotografare sul famoso “trono”!

Dopo aver riposato torniamo giù e incontriamo un pavone che ci fa festa col tremito della sua coda! I pavoni di Lokrum, importati dalle Canarie 150 anni fa, sono una delle attrazioni principali dell’isola. Bellissimi e amichevoli accolgono i turisti e spesso li accompagnano nella loro esplorazione dell’isola.

Anche scendere non è facile….

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Bratislava senza infamia e senza lode….

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La Repubblica Slovacca (in slovacco Slovensko o Slovenská republika) è una repubblica dell’Europa centrale, con capitale Bratislava. Confina con la Repubblica Ceca a nord-ovest, con la Polonia a nord, con l’Ucraina a est, con l’Ungheria a sud e con l’Austria a sud-ovest. La Repubblica Slovacca e la Repubblica Ceca sono nate il 1° gennaio 1993 dalla divisione pacifica (detta anche separazione di velluto) della Cecoslovacchia che già dal 1990 aveva assunto il nome di Repubblica Federativa Ceca e Slovacca. Al contrario di come spesso accade in stati da poco giunti all’indipendenza, è importante sottolineare come gli slovacchi non abbiano nessun risentimento contro gli ex-compatrioti cechi. Il nome Bratislava è stato deciso da un concorso pubblico. Agli abitanti non piaceva affatto il nome tedesco di Pressburg con cui era definita quando era capitale del Regno d’Ungheria sotto il domino degli Asburgo. In realtà, gli austriaci che a migliaia si riversano a Bratislava ogni fine settimana continuano a chiamarla così. La capitale slovacca, infatti, si trova a 60 km da Vienna, ma anche a 200 da Budapest e a 300 da Praga.

22 giugno

Dopo la notte trascorsa a Roma come nostro solito, partiamo da Ciampino alle 15:35 con un volo Ryanair e atterriamo all’ aeroporto Letisko MR Stefànik di Bratislava alle 13:35. Come da programma studiato prima, prendiamo il bus 61, solo con l’ aiuto di una simpatica hostess che parla benissimo l’ italiano e ci aiuta a capire il funzionamento della macchinetta che vende i biglietti, (solo le macchinette alle fermate erogano i biglietti che non si trovano negli esercizi pubblici come da noi, ricordatelo se andate a Bratislava!) Arriviamo alla stazione ferroviaria  Hlavnà Stanica e dopo con il 93 arriviamo al nostro Hotel, anzi il “Botel” Gracia, una struttura alberghiera galleggiante sul fiume Danubio! Molto caratteristica con splendida vista sul famoso ponte! io

A titolo informativo il trasporto pubblico è molto efficiente, anche se sovradimensionato secondo me, comprende 9 linee di tram, 13 di filobus e 60 di autobus che funzionano dall’ alba fino alle 23:00, più 20 linee di autobus notturni. Forse una metropolitana era più appropriata. (n.d.r.)

Sistemiamo i bagagli, una sistemata anche a noi e subito all’ ufficio turistico per le informazioni. Domani andremo a Devìn interessante sito a circa 13 km. La temperatura è abbastanza fresca. Torniamo passeggiando sul lungofiume e ceniamo al ristorante dell’ albergo posto sul roof garden: zuppa saporita kuracia polievka (brodo di pollo), pezzi di carne e rezance (tagliatelle) e il famoso piatto nazionale “bryndzové kalusky” un delizioso misto di kalusky (gnocchetti di patate) con bryndza (formaggio morbido di pecora) con cipolle fritte e pancetta. Ottimo strudel e naturalmente ottima birra slovacca! L’ impatto è esplosivo, cibo per niente leggero! Domani e gli altri giorni a “pranzo” solo un dolcino o un gelato…..

23 giugno

Iniziamo la nostra visita da Ribnè Namestie la piazza vicino al molo a cui è ancorato il nostro hotel-battello è che rappresenta in effetti l’ ingresso del centro storico ovvero la Città Vecchia.

In questa piazza, in memoria di una terribile epidemia di peste del 1713, si erge una colonna con la Santa Trinità su una base triangolare ai cui angoli  ci sono statue di tre santi considerati protettori contro la peste: San Rocco-San Carlo Borromeo-San Andrea. Le statue di St. Stefano, il primo re d’Ungheria e Nostra Signora dell’ Immacolata sono poste su due piedistalli laterali. Tali monumenti frequenti in città e villaggi della Slovacchia sono chiamati “pali della peste”.

Arriviamo in Hviezdoslavovo namestie (nome impronunciabile) dedicata a Pavol Országh Hviezdoslav drammaturgo, traduttore e poeta slovacco, per breve tempo deputato al parlamento. Gli studiosi di letteratura lo considerano uno dei più importanti poeti slovacchi di tutti i tempi.

All’ inizio c’è la statua di Hans Christian Andersen raffigurato con un cappello in mano, una  lumaca  vicino ai piedi e con un piccolo bambino con in testa un cappello cilindrico sulla spalla sinistra. Il famoso autore di fiabe si fermò a Bratislava dove, per una serie di circostanze (una favola dipinta sulle pareti di una casa e l’incendio che colpì il villaggio di Devin) nacque la “Piccola Fiammiferaia“.

Più che una piazza è un grandioso viale alberato con fontane, caffè, bar, ristoranti e una gigantesca scacchiera usata in estate. In questi giorni ospita degli stands di prodotti tipici italiani. C’ è la parte siciliana con i famosi cannoli ma…..non sono quelli genuini….

Sul fondo della piazza si trova la fontana di Zeus che rapisce Ganimede, il Teatro dell’ Opera ed a destra lo splendido edificio “Reduta” in stile eclettico che ospita la Filarmonica. In piazza stazionano i caratteristici “trenini” che effettuano i tours turistici.

Oggi ci aspetta il castello di Devìn (Hrad Devìn). In bus, esattamente il 29 che passa proprio vicino all’ hotel,  arriviamo al sito considerato centro storico e culturale della Slovacchia. L’ insediamento è datato al 5000 a.C. ed è stato dominato da Celti, Romani e Ungheresi fino a Napoleone che lo fece esplodere nel 1809….E’ situato a 212 mt di altezza alla confluenza dei fiumi Danubio e Morava quindi luogo ideale per erigere una fortezza praticamente inespugnabile.

Lungo la strada si incontra il “Monumento al 1968” dedicato a coloro che tentarono di attraversare il Danubio per andare ad ovest verso i paesi liberi. Quelli che non annegarono furono fucilati.

Il sentiero che porta in cima è ripido e faticoso da percorrere ma la vista è stupenda sia sui due fiumi che sulla cittadina di Devìn. Il castello ha quattro porte: Devìn, Bratislava, Danubio e Morava e la collina di fronte, Devinska Kobyla,  è un’ area protetta e destinata a parco naturale. Sul vasto piazzale un pozzo profondissimo!

Prima di salire sul punto più alto c’è una bancarella con oggettistica replica d’ epoca medievale come spade, pugnali, scudi gestita da due ragazze in costume.

C’ è anche un elmo con tanto di corna, la foto è d’ obbligo!

La parte più affascinante e particolare del castello è sicuramente la Torre della Vergine, una piccola torre in bilico su una roccia avvolta da un mistero. Si dice, infatti, che una giovane si suicidò buttandosi da questa torre, al seguito dell’ uccisione del suo futuro sposo per mano della sua stessa famiglia che non condivideva l’ unione. Ovviamente è solo una leggenda ma resta però un mistero.  

I lavori di ricerca archeologica hanno portato alla luce numerosi reperti e le fondamenta di una chiesa cristiana del IX secolo con tre absidi e una lunga navata ed i resti di una torre romana del I secolo d.C. Nel 1961, il castello di Devin è stato dichiarato monumento nazionale.

All’interno del castello c’è una piccola esposizione di oggetti rinvenuti durante gli scavi, riportando così alla luce una vera e propria fetta di storia tutta da scoprire.

Il ritorno a Bratislava decidiamo di farlo con il battello che percorre il Danubio e che ci fermerà proprio nei pressi del nostro hotel. Da notare che il percorso con corrente a favore dura solo 30 minuti mentre per arrivare da Bratislava controcorrente occorrono 1 ora e 30 minuti!

Avvicinandoci vediamo il famoso ponte Most SNP che vedremo tra poco e il Castello e la Cattedrale che visiteremo nei prossimi giorni.

Andiamo al famoso ponte Most SNP (Slovenskè nàrodnè povstanie, ovvero Insurrezione Nazionale Slovacca) nuovo nome del Novi Most (Ponte nuovo) costruito nel 1972 che però porto all’ abbattimento di oltre 200 edifici della Città Vecchia (circa i 2/3 del totale) e dell’ intero quartiere ebraico.  Questo è il primo ponte asimmetrico sospeso ad essere stato costruito in Slovacchia e il secondo di questo tipo al mondo. Il nastro stradale in acciaio è appeso a un unico pilone inclinato, posto sulla sponda destra del Danubio, è lungo 430,8 metri, largo 21 metri con due piani di scorrimento: sopra gli automezzi e sotto, ai due lati, due carreggiate per pedoni e biciclette.

Sulla sua cima, a 84,6 metri di altezza, sostiene una struttura chiamata UFO, infatti sembra un disco volante, che ospita un ristorante panoramico girevole un tempo destinato alla élite del Partito comunista.

La struttura ardita della costruzione fu voluta dal regime per dimostrare al mondo la sua forza ed efficienza. Dal basamento della torre, in acciaio e cemento armato, è possibile salire in ascensore inclinato di 45° (ci ricorda l’ inclinator dell’ hotel Luxor di Las Vegas) al ristorante e da qui, con una stretta scala, sulla cupola panoramica a 95 metri di altezza. Il vento a quest’ altezza è fortissimo ma la vista è mozzafiato! Una panoramica a 360 gradi di tutta la città. Si può vedere il castello, la città antica, Petržalka, il quartiere costruito in epoca comunista, che si estende a perdita d’occhio oltre il fiume, con i suoi palazzoni tristi e anonimi e i monti all’orizzonte.

Scendiamo e dopo una rinfrescata in hotel, ci dirigiamo verso il centro per cenare. Avevamo già intravisto un locale carino , il Cafè Cafè il cui nome accattivante ci ha incuriosito. In effetti è un ristorantino moderno ben arredato. Stavolta ordiniamo sempre gnocchetti ma di altra forma e cucinati in un modo particolare: conditi con burro, guarniti con granella di noci e spolverata di zucchero a velo. Gusto particolare! Non si serve frutta e il caffè è discreto…..

Passeggiata lungo il Danubio per ammirare il ponte con il suo UFO illuminato. Buonanotte e a domani.

24 giugno

Oggi usciamo presto, abbiamo appuntamento con le famose “statue” di Bratislava! Passiamo per Hlavnè namestie, la piazza principale che dal XIII secolo è il centro della vita della città. La fontana centrale conosciuta come di “Massimiliano”, rappresenta proprio l’ imperatore con l’ armatura à la Roland. Secondo la leggenda a capodanno si volta e comincia a camminare!

All’ angolo della piazza con Rybàrska Brana ecco “Schone Naci” (il bell’Ignazio), il “dandy” di Bratislava. Ignac Lamar fu una nota figura nei primi anni del 20° secolo un gentiluomo caduto in disgrazia e malato mentale a causa di un amore non corrisposto, che si pavoneggiava per le strade di Bratislava con un vestito vecchio, ma elegante, di velluto, che accoglieva i passanti con il suo cappello a cilindro e si inchinava cortesemente alle signore che passavano.

Di fronte all’ ambasciata di Francia la statua del soldato napoleonico appoggiato ad una panchina.

Poco distante quella di una sentinella nella sua garitta.

All’ angolo tra Laurinskà e Radnicnà la statua del “paparazzo” che armato di teleobiettivo è pronto a scattare una foto.

Ma la statua più famosa è certamente quella di Cumil, anche detto il Guardone, lo strano ometto che fa capolino da un tombino all’ angolo tra via Panská e via Laurinská. Sebbene non si sappia con certezza se Cumil abbia appena finito di pulire la fogna, oppure sbirci sotto le gonne, sta di fatto che l’insolita scultura è sicuramente una delle più divertenti.

Va detto che più di una volta il povero Cumil è stato decapitato a causa di automobilisti imprudenti, tanto che è stato necessario porre un cartello stradale per segnalare la sua presenza!

Con il tram 1 (abbiamo fatto provvista di monete!) ci rechiamo a visitare una curiosità che pochi conoscono: lo Spirit Hotel.

Spirit Hotel o forse meglio dire “Crazy Hotel” è situato nel quartiere della stazione ferroviaria principale. È considerato uno degli hotel più strani al mondo. Dipinto in un tripudio di tinte pastello, con il suo aspetto fiabesco sorprendente e il design architettonico d’avanguardia, è ora una rarità di Bratislava. Sfortunatamente non abbiamo informazioni sull’architetto di questo pazzo edificio meraviglioso esempio di architettura d’ avanguardia.

Andando verso sud incontriamo un altro strano edificio: la piramide rovesciata della Radio Slovacca. Anche se la struttura è molto ardita, è stato inserita nella lista dei 30 edifici più brutti del mondo… ma il giudizio è soggettivo…

Vicino c’è la Piazza della Libertà così chiamata dopo la Rivoluzione di Velluto del 1989. La statua del leader comunista Klement Gottwald fu rimossa ed al suo posto messa una fontana di acciaio a forma di fiore. Il tutto però versa in triste abbandono….

Siamo ora al Palazzo Presidenziale. Costruito come residenza estiva dal conte Anton Grassalkovich nel 1760 divenne il centro dell’ alta società di Bratislava e fu frequentato anche da Maria Teresa D’ Austria nei mesi estivi. Alle sue spalle un parco pubblico. Fu poi adibito a residenza del Presidente della Repubblica  Slovacca nel 1940. Sulla piazza antistante la fontana “Terra, pianeta della pace”, punto d’incontro molto popolare tra i giovani.

Continuando ecco è un’ altra attrazione abbandonata: in Hurbanovo nàmestie strani oggetti metallici posti sul prato e somiglianti a tombini che avrebbero dovuto essere un carillon che suonava  passandoci sopra….

Nei pressi c’è il Palazzo Mirbachov splendido esempio di architettura barocca e il Palazzo del Primate, ossia dell’ arcivescovo, in stile neoclassico famoso anche per il cappello cardinalizio in ferro pesante 150 kg posto in cima allo stemma sul frontone.

Dal cortile del palazzo si accede ad un altro cortile, quello del palazzo Ruttkay-Vrutocky in cui c’ è una fontana con quattro statue di bambini che fanno la pipì! La fontana era in origine nella piazza principale facendo parte del monumento a Massimiliano ma venne spostata nel XVIII secolo perché considerata di cattivo gusto.

Uno strano rituale si compie davanti ai nostri occhi: alcuni giovani in costume d’ epoca incoronano passanti volenterosi per celebrare il glorioso passato della città in occasione della festa dell’ Incoronazione a Re d’Ungheria di Carlo VI d’Asburgo, successivamente anche Imperatore del Sacro Romano Impero.

Sulle strade del corteo, che iniziava dalla Cattedrale di S.Martino proseguendo lungo Kapitulskà, Prepostskà, Venturska e Sedlaska, sono incastonate 178 corone di ottone che segnano il percorso.

Cena al caratteristico “Linos Bistro” gestito da tutti giovani. Mangiamo ottimamente!

25 giugno

Il castello di Bratislava.

Chiamato anche “tavolo rovesciato” dagli abitanti, domina dall’ alto la città con le sue fortificazioni. Per la sua importante posizione strategica, il colle su cui sorge il castello fu abitato fin dal IV secolo a.C. prima dai Celti, poi dai Romani. Nel IX secolo, gli Slavi vi edificarono un castello, baluardo moravo sul Danubio e una basilica, di cui rimangono le fondamenta sul lato orientale del complesso. La prima testimonianza scritta è del 907 l’ anno che segnò la fine dell’Impero della Grande Moravia in seguito alla vittoria della dinastia ungherese. Bratislava fu incorporata nell’allora crescente stato ungherese e il castello divenne fortificazione di confine del nuovo regno (XI secolo). Sigismondo di Lussemburgo, imperatore e re d’Ungheria, lo fece ampliare e rafforzare contro il dilagare delle incursioni ottomane che avevano conquistato Buda, trasformandolo in una fortezza inespugnabile. Ad accoglierci, la statua equestre di Svatopluk I, sovrano di Moravia del IX secolo.

L’attuale aspetto del castello è però il risultato delle ricostruzioni operate tra il XV e il XVII secolo (in stile rinascimentale prima e barocco poi) che valse a conferirgli una forma quadrangolare con tanto di cortile centrale e torri angolari. Grazie all’ Imperatrice Maria Teresa, che nelle vesti di regina d’Ungheria spesso soggiornava qui, il castello da cupa fortezza fu trasformato in una magnifica residenza regale. Trascurato dai successori, il castello nel 1784 divenne prima seminario e poi nel 1802 caserma. Nel 1811, a causa dell’imprudenza dei soldati napoleonici, il castello bruciò completamente e rimase in rovina fino al 1953 quando cominciarono i lavori di recupero che ha fatto diventare asettico il monumento nel suo monocromatismo di un bianco esasperante. La visita degli interni del castello è abbastanza deludente: non ci sono arredi originali, solo l’ esposizione di targhe pubblicitarie anche in  lamiera, poster di vecchi film, ricordi storici come un’ aula scolastica con banchi e lavagna, la ricostruzione di una bottega, il tutto con musica di sottofondo anni ”30 e “40.

Scendiamo dal castello e ci rechiamo alla Cattedrale di San Martino, la più importante chiesa di Bratislava. Costruita in stile gotico su un luogo dove sorgeva un’antica chiesa romanica, è stata per secoli il luogo di incoronazione dei sovrani ungheresi quando la regione apparteneva all’Impero magiaro. Per oltre due secoli e mezzo, dal 1563 al 1830, tra le sue mura ben 11 monarchi del Paese, tra cui Maria Teresa d’Asburgo, cinsero la Corona di Santo Stefano. Fascino e suggestione della cerimonia, rivivono, ogni anno nel mese di settembre, nella rievocazione storica della celebrazione che commemora i trascorsi reali della città. Sulla cima del campanile neogotico (87 mt), il cui profilo domina la Città Vecchia, si trova una copia della corona imperiale ungherese ricoperta d’oro dal peso di 300 kg poggiante su cuscino sempre dorato di 2×2 mt.

L’interno è diviso in 3 navate per una lunghezza complessiva di 69.37 mt, 22.85 di larghezza e 16 di altezza.

Sono da ammirare il grande portale in rilievo e il gruppo scultoreo in piombo di San Martino raffigurante il santo nell’atto di donare parte del suo mantello ad un mendicante. All’ interno della cattedrale sono sepolti personaggi illustri, dignitari ecclesiastici ed esponenti delle famiglie più potenti della città. Il 13 novembre 1835 Beethoven vi diresse la prima della Missa solemnis op. 123.

Uno spuntino a base di pizza….Rischiamo nella Pizzeria che incontriamo lungo la strada….In verità niente male!

Ci spostiamo ad est per vedere un monumento particolare: la Chiesa Blu. (Modrý Kostolík)

In realtà questa chiesa non è un granché interessante dal punto di vista architettonico, anche se è un raro esempio di Art Nouveau nell’architettura sacra, ma merita di essere visitata per un solo motivo: il colore delle facciate, blu turchese, che la fa assomigliare più a una torta o a una casa dall’aspetto fiabesco.

La chiesa è dedicata a Santa Elisabetta d’Ungheria che visse nel Castello di Bratislava. La costruzione è recente, del 1907, il che spiega lo stile scelto dall’architetto progettista ungherese Ödön Lechner pioniere dell’Art Nouveau ungherese, il quale impiegò per la sua realizzazione materiali assolutamente nuovi per l’epoca (cemento armato, pietra, maioliche) ed arricchì l’opera di singolari dettagli architettonici (mosaici di piastrelle, grondaie di rame), in un insieme di decorazione eclettica. Tutta la zona circostante la chiesa è costellata di case e palazzi in cui spuntano elementi dell’ Art Nouveau. Caratteristica la torre cilindrica alta circa 36 metri, sormontata da una cupola poligonale e sorprendente anche l’interno per inconsueto accostamento cromatico (azzurro pastello e bianco), ad unica navata con volta a botte. Ad abbellirlo, gli arredi in stile Liberty provenienti dalla bottega dello stesso Lechner.

Bighelloniamo nel centro storico alla ricerca di souvenir. Troviamo la bandiera slovacca da aggiungere alle altre ed anche il prisma di cristallo con dentro il disegno della cattedrale! C’è anche la boutique di MAX MARA….Bianca si trattiene a spendere unicamente per la difficoltà di inserire l’ eventuale abbigliamento acquistato nel trolley…Meno male!

Si è fatta sera e ci concediamo una passeggiatina notturna passando naturalmente a salutare il Bell’ Ignazio!

26 giugno

Oggi risaliamo il centro antico fino alla Porta di S. Michele (Michalskà bràna) unica rimasta delle fortificazioni medievali che nel XIV secolo contavano quattro torri. Alta 51 mt ospita sui 5 piani un Museo delle armi (abbastanza modesto) ma in compenso dalla balconata in cima offre una bella veduta sulla città. Ci arrampichiamo, letteralmente, sulla scala ripida soprattutto per godere della vista panoramica…..

Nella piccola galleria di  passaggio sotto la torre, nel pavimento è inserita un  disco di ottone che indica le distanze di varie città. Una specie di “km ZERO” come quello di Madrid.

Lo stesso biglietto ci consente la visita di un museo, anch’ esso modesto, che ripercorre la storia della Farmacia che a Bratislava risale al XIV secolo.  (Penso alla splendida farmacia dell’ Ospedale degli Incurabili di Napoli…n.d.r.)

Torniamo al ponte Most SNP che attraversiamo sugli appositi percorsi pedonali fino ad arrivare al parco Sad Janka Kràl, uno dei più antichi di Europa, nato nel 1775 per volere di Maria Teresa d’ Austria e intitolato al poeta rivoluzionario Janko Kràl. La sua superficie si è notevolmente ridotta rispetto al passato perché lo Stato vi costruì i “panelaks”, alti casermoni residenziali.

Attualmente, il parco ha una funzione culturale e sociale, che funge da luogo di relax e punto d’incontro. Crea un’oasi di pace mentre serve come luogo per attività sportive per persone di tutte le età.

L’ elemento architettonico più eccezionale nel parco Jan Kral è il cosiddetto “gazebo da giardino”, in origine un campanile di una chiesa francescana trasportato qui dalla città vecchia alla fine del 1800. Ora è un popolare punto di riferimento per incontri ma per noi non è stato facile trovarlo anche per la mancanza di indicazioni. Nel cuore del parco c’è una statua di Jan Král dello scultore accademico František Gibal. La statua è il centro del crocevia di percorsi che intersecano l’intero parco. L’atmosfera generale è completata da ampie aiuole. Approfittiamo per ritemprarci. Torniamo in tram attraversando stavolta lo Stary Most ossia il “ponte vecchio” che risale al 1891 quando si decise di unire le due sponde del Danubio. Negli anni ha cambiato più volte nome e paradossalmente pur essendo stato completamente ricostruito tra il 2013 e il 2015 viene ancora denominato “ponte vecchio”. Permette il transito di tram, biciclette e pedoni tra Petrzalka e il centro commerciale Eurovea.

In effetti a noi serve per avvicinarci al Museo Nazionale di Storia naturale che ospita anche il Museo della Musica.

E’ un palazzo piuttosto imponente, con davanti un monumento ai martiri che hanno versato il loro sangue per liberare la Cecoslovacchia dall’oppressore e renderla l’ unita nazione che è oggi. Il Museo ospita più di due milioni di pezzi storici, etnici, faunistici, naturalistici e archeologici La quantità di animali imbalsamati stipata nei vari settori è sbalorditiva. Foto con ricostruzione di un mammouth è d’ obbligo!

La parte dedicata alla musica è abbastanza interessante. Una meravigliosa collezione di strumenti e documenti del patrimonio musicale slovacco.

Torniamo nel centro e lungo  Hviezdoslavovo namestie, ci accoglie un gruppo giovanile musicale norvegese che si esibisce nella cassa armonica, invece nella Piazza principale si svolge una rappresentazione storica con personaggi in costume.

Un bel sorriso non guasta!

Ultima passeggiata serale per salutare Bratislava.

27 giugno

Con un volo Ryanair torniamo a Ciampino, poi siamo a Roma e in treno a Napoli.

La capitale slovacca è stata piacevole ma nessun coinvolgimento di amorosi sensi da parte nostra, anche se dobbiamo riconoscere che ha i suoi lati positivi: accogliente, organizzata, a misura d’uomo, i prezzi sono contenuti, si mangia abbastanza bene spendendo poco.

Amici come prima.

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Dintorni trapanesi

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Dintorni Trapanesi dal 10 luglio 2021 al 20 luglio 2021

(Trapani la sontuosa, Marsala la serena, Saline di Mozia al tramonto, Segesta mitica, Custonaci con matrimonio , Erice magica in notturna,Dattilo golosa, Castellammare del golfo nella quiete, Scopello e i faraglioni, San Vito lo Capo mare caraibico)

10 luglio 2021:

Partiamo da Torino con BueAir per Trapani. Alloggeremo al B&B Secret nel vecchio quartiere della Giudecca.

Arrivando in taxi dall’aeroporto, incontriamo Sonia, anche lei appena arrivata, ed entrando ci sorprende il B&B, per il suo aspetto minimal ma accogliente, e ci sorprende il soriso di Lory la titolare del b&b , che al ricevimento ci fornisce tante informazioni.

Ceniamo in un ristorante nei pressi.

11 Luglio 2021

Dopo una abbondante colazione passeggiamo per Trapani e sostiamo per un paio di ore nella spiaggia libera ( che abbraccia tutta Trapani). Pulita, mare bello e nonostante sia domenica non c’è affollamento.

Attendiamo le 14 e l’arrivo del nostro amico Roberto con il volo da Genova.

Dopo la Reunion, camminiamo per Trapani centro storico, ammirando questa stupenda città , denominata “città fra due mari” perché si trova su una lingua di terra bagnata da un lato dal mar Mediterraneo, e dall’altro dal mar Tirreno. Non è una città molto grande, visitabile tranquillamente a piedi, ricca di chiese come la cattedrale di San Lorenzo in cui è conservata la Crocefissione attribuita a Van Dyck, la chiesa del Purgatorio dove sono custoditi 20 gruppi sacri dei Misteri di Trapani, la chiesa di Santa Maria del Gesù che accoglie una Madonna con Bambino di Andrea Della Robbia. Davvero opere preziose, che vale la pena visitare, fra una granita della gelateria Culicchia, e la lunga passeggiata sulle mura a Tramontana fino alla Torre di Ligny edificata nel 1671 come torre di avvistamento che offre l’incontro fra i due mari.

La sera ceniamo in centro e assistiamo alla partita per la finale degli europei di calcio

12 luglio 2021

Con la macchina che abbiamo affittato presso autonoleggio Anelli a Paceco ( 50 euro al giorno) ci spostiamo verso Marsala e ci fermiamo alla Spiaggia di San Teodoro, una bella baia in parte attrezzata (20 euro 2 lettini e ombrellone). Ci godiamo il relax e a pranzo mangiamo nel chiosco sulla spiaggia. Nel pomeriggio è la volta della visita di Marsala e del suo centro storico.

E’ una città di storia, di mare, e di vino.

Tutto qui ricorda lo storico sbarco di Garibaldi con i suoi mille, Città con edifici barocchi, piazze eleganti e lo stupendo Duomo. Ci perdiamo fino al tardo pomeriggio, gustando un gelato buonissimo e guardando i negozi. Vicini al tramonto ci rechiamo alle saline di Mozia, lungo la famosa via del sale, che offrono uno spettacolo molto particolare.

Nella tarda serata per cena decidiamo Erice, ed allora in funivia (9 euro ) ci arriviamo.

Ceniamo con le busiate trapanesi in una piazza di Erice, con il mitico golfino (a Erice fa sempre fresco). Erice è famosa per il suo borgo incantevole, i dolci e le ceramiche tipiche.

Il simbolo di Erice è il Castello di Venere e la Chiesa Madre detta Matrice. Ci sono numerose chiese, le strade selciate, botteghe artigiane, il tutto rende Erice un luogo magico, sopra tutto di sera, immergendo il visitatore nel Medioevo.

13 luglio 2021

Dopo la colazione è la volta della baia del Cornino e della sua bella spiaggia, quasi tutta libera.

Il mare è bello di sabbia con alcuni punti di accesso con delle rocce. E’ all’ora di pranzo , il caldo si fa sentire e ci spostiamo di poco, verso le grotte di Mangiapane nel comune di Custonaci.

E’ un museo a cielo aperto, All’interno di una grotta esiste un vero paesino abitato fino al 1950 da una famiglia di agricoltori che si chiamavano Mangiapane. Realizzarono tutto ciò che a loro serviva, rifugi per animali, barbiere, forno per la cottura del pane, stanza dei telai, circondati da un bellissimo panorama che comprende il monte Cofano, e il bellissimo mare del golfo di Erice. Ogni anno qui si svolge un presepe vivente, il luogo è visitabile con una piccola offerta libera.

Una sosta pranzo è nel paese di Custonaci di fianco al Duomo, in un bar anni 70 che ci fa scoprire la “vera granita” e la brioche con gelato.

Prima di cena facciamo un bel giro sulla Tramontana e assistiamo ad un bellissimo tramonto.

Ottima cena da Macri.

14 luglio 2021

Alla volta di Scopello e dei suoi faraglioni, poi un po’ di mare alla spiaggia di Guidaloca ed infine pranzo a Castellammare del Golfo che sorge alle pendici del complesso montuoso dei Monti Inici. Dopo pranzo relax sulla spiaggia. Rientro e cena a Trapani in Pizzeria Amici miei.

15 luglio 2021

Giornata di cultura e allora verso Segesta.

Segesta è una città storica non più abitata, fondata dagli Elimi e situata nella parte nord-occidentale della Sicilia. La vecchia città sorge sul monte Bàrbaro, nel comune di Calatafimi-Segesta, a una decina di chilometri da Alcamo e da Castellammare del Golfo..Di particolare bellezza sono il tempio, in stile dorico, e il teatro, in parte scavato nella roccia della collina. La data della fondazione non è conosciuta, ma da documenti risulta che la città era abitata nel IV secolo a.C .

Lo storico greco Tucidide narra che i profughi troiani, attraversando il Mar Mediterraneo, giunsero fino in Sicilia, e fondarono Segesta ed Erice. Questi profughi presero il nome di Elimi. Secondo il mito (ripreso in parte da Virgilio nell’Eneide), Segesta sarebbe stata fondata da Aceste (di cui fu il primo re), figlio della nobile troiana Egesta e del dio fluviale Crimiso. Prezzo del biglietto per la visita è di 6 euro, più 1,50 per la navetta che porta al teatro. La giornata è calda, quindi parcheggiamo l’auto e acquistiamo il tutto.

Dall’alto la vista è meravigliosa ,l’anfiteatro ellenistico., circondato da montagne e dal mare fa sentire piccoli piccoli.

Visitiamo o per lo meno osserviamo il tempio dorico che è in ristrutturazione.

Dell’antico splendore di Segesta rimangono resti archeologici di una bellezza straordinaria, inseriti in un contesto naturale , rimasto pressoché inalterato grazie al fatto che dopo lo spostamento della città verso la costa, non ci furono in questa zona insediamenti urbani d’età successiva. Tutto quello che riguarda Segesta è ancora in parte un mistero , forse nuovi studi e scavi potranno restituire immagini migliori.

Finita la visita scendiamo verso Alcamo e poi Alcamo marina, per qualche ora di relax , allietata dai preparativi di un matrimonio sulla spiaggia. Rientro in hotel

16 Luglio 2021

Andiamo a trovare la nostra nuova amica Sonia (che abbiamo conosciuto al b&b) che si è trasferita a San Vito Lo Capo.

La cittadina è carina, troppo affollata e turistica , ma il mare è qualche cosa di incredibile, il colore è davvero un colpo d’occhio e qui ci fermiamo per tutta la giornata.

Rientro in hotel e cena al ristorate l’Approdo a base di cozze

17 luglio 2021

Ritorniamo alla spiaggia di Baia del Cornino, il tempo non è granché, nuvoloso e ogni tanto qualche goccia di pioggia, facciamo la pausa pranzo a Custonaci nel bar che avevo scoperto qualche giorno precedente, e assistiamo ad un bellissimo matrimonio nella cattedrale adiacente. Ci fermiamo al paesino di Bonagia dove c’è una tonnara trasformata in museo, ma è chiusa, e dopo un piccolo giro, riprendiamo la strada.

Sulla via del rientro la nostra meta è Dattilo ( è la seconda volta che ci torniamo), un paesino nel nulla, ma famosissimo per il suo bar e i mitici cannoli siciliani. Qui, ne vale davvero la pena…..all’irrisorio prezzo di 2,80 Euro, il cannolo più buono del mondo di circa 400 grammi.

Riconsegniamo l’auto a Paceco e cena al ristorante Vento dal Sud.

18 luglio

Questi due ultimi giorni dovevano essere dedicati alle isole Favignana, Levanzo, Marettimo. Ma c’è molto vento, il mare non promette nulla di buono, quindi restiamo a Trapani, sul suo lungomare, mangiando, rilassandoci.

19 Luglio

Dovendo optare per una scelta (impossibile fare tre isole insieme) decidiamo per Marettimo. Troviamo posto per aliscafo delle 9,10 del mattino (costo 34 Euro A/R).

La maggior parte delle persone a bordo scende a Favignana e noi procedendo troviamo il mare mosso. Marettimo è la più lontana delle isole Egadi , la più occidentale, la più selvaggia e quindi la meno turistica. Arrivando troviamo le imbarcazioni dei pescatori che propongono le gite in barca, purtroppo a causa delle condizioni del mare , non si può circumnavigare l’isola, ma solo costeggiarne alcune parti. Decidiamo per Michele ( la rosa dei venti 20 euro a testa). Ci porta al castello di Punta Troia, lasciandoci il tempo per la faticosa salita e la visita. Poi bagni in mare, in un’acqua blu, e la visita della grotta del cammello. Rientro per le 14 , pranziamo con pane cunzato e birra in una piccola trattoria.

Facciamo una passeggiata e una sosta nella spiaggia del vecchio porto per assaporare almeno un po’ il fascino di quest’isola dove il tempo sembra scorrere lento, dove tutto è calmo, dove la vita si svolge nel piccolissimo centro davanti al porto dove in questi giorni stanno allestendo il Marettimo film festival.

Rientriamo con l’aliscafo verso Trapani (finalmente con il mare calmo) Cena con una pizza molto buona da Baciamo le mani.

20 Luglio

Valigia fatta e tutto il giorno per gironzolare per Trapani, una granita, una” graffa” alla Rinascente, il mare trapanese. Con il bus che ci porta in aeroporto salutiamo questa città cosi ricca

culturalmente , cosi accogliente, cosi a misura di persona, e ci dispiace, lasciare un mare incantevole , una cucina che abbiamo amato, Lory e il suo b&b, ma sopratutto ci dispiace lasciare (ma li porteremo nel cuore) tutti i sorrisi che Trapani e i trapanesi ci hanno regalato.

Luisa Deninotti

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Giordania, cuore arabo ma cervello inglese!-1a tappa: Jerash (Gerasa)

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29 aprile

Abbiamo scelto per questo viaggio il tour operator Boscolo. La nostra guida è Maher coadiuvato da Evelina. Il nostro viaggio inizia con un volo da Napoli per Roma poi su un aereo della Royal Jordanian atterriamo ad Amman, l’ antica Philadelphia romana, e col pullman della Boscolo raggiungiamo l’ albergo, l’ Hirar Hotel, veramente ottimo, e a noi, come spesso accade, viene assegnata una suite…Cena abbondante, senza birra né vino purtroppo rigorosamente vietati in Giordania, e briefing con la guida che ci informa sul programma dell’ indomani, quindi a nanna.

29 aprile

Jerash nel passato

Il sito esisteva già in epoca neolitica e Il primo insediamento di una certa importanza avvenne ad opera dei Greci dopo la conquista operata da Alessandro Magno; tuttavia Gerasa divenne veramente importante solo con l’avvento dei Romani a seguito della conquista della regione operata da Pompeo, nel 64 a.C. Gerasa fece parte di un sodalizio commerciale e militare assieme ad altre nove città denominato Decapolis e nel I secolo d.C., la città  assunse il classico aspetto e lo schema urbanistico dell’epoca romana : una strada colonnata principale in direzione nord-sud (cardo massimo) intersecata da due strade orientate in direzione est-ovest (decumani). Dopo che l’imperatore Traiano, nel 106, aveva annesso il regno nabateo, Gerasa incrementò le sue ricchezze e molti edifici furono sostituiti da altri ancora più imponenti. L’opera continuò anche durante il governo di Adriano che, nel 129, visitò la città, ed in suo onore a sud della città venne edificato un Arco di trionfo.. Nel 130, la città era abitata da circa 20.000 abitanti.

Prima di entrare nel sito passiamo per un bazar zeppo di gente e venditori di souvenir vari e con somma sorpresa beviamo un buon caffè fatto all’ italiana!

Iniziamo la visita sotto un sole cocente…fa molto caldo benchè siamo alla fine di aprile, non è consigliabile andare in Giordania in piena estate! Lungo il tragitto brevi soste con ragazze giordane con spiegazione  della guida sulla situazione dei profughi palestinesi che si trovano in Giordania: sono circa 1 milione! L’ UNRWA è unica come organizzazione in termini di impegno di lunga data per I rifugiati. Ha contribuito al benessere e allo sviluppo umano di quattro generazioni di rifugiati palestinesi, definiti come “persone il cui normale luogo di residenza era la Palestina durante il periodo dal 1 giugno 1946 al 15 maggio 1948, e che hanno perso sia la casa che i mezzi di sussistenza come risultato del conflitto del 1948. “I discendenti dei maschi rifugiati in Palestina, inclusi i bambini legalmente adottati, possono anche registrarsi.

Monumenti visitati:

Venne costruito in pietra color ocra, con raffinate decorazioni, nel 129 d.C. per onorare l’ arrivo dell’ imperatore Adriano.

La struttura più grande di Gerasa (245 mt per 51 mt) che poteva ospitare ben 15000 spettatori.

Di fronte all’ ippodromo, caratteristica per il suo mosaico monumentale con svastiche.

Era l’ ingresso per chi proveniva da Philadelphia (odierna Amman). Sulla pavimentazione a sinistra si notano ancora i solchi lasciati dai carri.

Uno dei monumenti più importanti eretto tra il 162 e il 163 d.C su un  tempio preesistente del I sec a.C. , sorge su un’ altura. Sulla terrazza a cui si accede attraverso un scala monumentale, si trovano i resti di un altare appartenente probabilmente al tempio precedente.

Il più grande, costruito tra il 90 e il 91 d. C. Sulle 32 file di gradini, alcuni dei quali con incise lettere greche per facilitare la prenotazione, sedevano 3500 spettatori che potevano godere di un’ acustica eccezionale!

Il Foro, vasta piazza ovoidale circondata da colonne ioniche, la pavimentazione in pietra calcarea e con al centro un podio colonnato.

Il mercato in cui venivano convogliate le merci destinate alla vendita: si trattava di un mercato specializzato nella vendita al dettaglio di carne e di pesce.

L’ incrocio del Cardo con il decumano sud costruito nel I sec. Quattro massicce basi quadrate sormontate da quattro colonne in granito.

Probabilmente edificata nel 365 versa in cattivo stato di conservazione ma si riesce ancora ad individuare la pianta basilicale a tre navate e abside

Monumentale fontana costruita nel 191 consacrata alle divinità delle fonti coronato da una semicupola, da cui cascava l’acqua che si raccoglieva in una grande piscina, da cui defluiva nella strada sottostante attraverso le teste di sette leoni. Sul davanti una grande vasca in granito rosa del periodo romano-bizantino.

Monumentale scalinata formata da sette rampe di sette scalini ognuna che conduce al temenos del tempio di Artemide.

Il monumento più famoso di Gerasa caratterizzato da raffinate colonne corinzie di cui alcune, per la perfetta giunzione dei rocchi, oscillano in modo impercettibile. Erano pertanto antisismiche!

Un complesso formato da quattro colonne e un massiccio muro esterno. Consacrata nel 533 in memoria di due fratelli gemelli, entrambi medici, che avevano dedicato la propria vita alla cura dei poveri e dei bisognosi e che furono martirizzati durante il regno di Diocleziano, la chiesa possiede i mosaici meglio conservati di Jerash. Osservandoli dal muro di sostegno potrete distinguere chiaramente figure di animali, motivi geometrici e simboli medici.

Costruita nel 115 circa commissionata da Claudio Severo si presenta come una struttura modesta.

Era l’ odeon della città costruito nel 164-165 e conteneva  2000 spettatori. Ogni fila dei sedili era dedicato ad una divinità e ogni posto è numerato o intitolato con il nome di una tribù.

CCi Ci accoglie un duo cornamusa/tamburo. Eredità inglese….La musica è Fra Martino campanaro….strano….           Immortalo Bianca vicino allo “zampognaro” giordano!

Concludiamo la visita ed andiamo a pranzo in un caratteristico ristorante con tante fontane. Un ambiente fresco dopo tanto caldo!

Ovviamente specialità giordane!

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Giordania, cuore arabo ma cervello inglese!-2a tappa: Ajlun

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Una strada panoramica ci porta al  Qalat (castello) di Ajlun uno dei migliori esempi di architettura militare araba. Sorge su una montagna alta 1250 mt da cui la vista spazia dalla valle del Giordano fino alle alture di Galilea.

Fu fatto costruire da Izz ad-Din Osama, uno dei generali di Saladino nel 1184 per controllare le miniere di ferro locali e scongiurare l’invasione da parte dei franchi, come venivano chiamati allora i crociati.

Poi, per secoli, ha sorvegliato le principali vie carovaniere che conducevano alla Valle del Giordano e collegavano il Mediterraneo con il Mar Rosso. Tra le caratteristiche principali del castello di Ajlun: il fossato, il ponte levatoio all’ingresso principale, un cancello fortificato, una torre esposta a sud e 4 altre torri lungo tutto il perimetro.

Nel 1260 i mongoli distrussero parzialmente la fortezza poi ricostruita parzialmente in epoca mamelucca.

Attraversiamo il fossato anticamente dotato di ponte levatoio oggi sostituito da una passerella che conduce all’ ingresso e poi ad un ampio corridoio  munito di feritoie fino a raggiungere la seconda porta del XIII sec.

Più avanti un altissimo pozzo di luce mostra i vari livelli di fortificazioni creati per organizzare la difesa in caso di sfondamento delle prime porte. Il castello nasconde un labirinto di passaggi coperti, scale a chiocciola, lunghe rampe, stanze adibite a sale da pranzo, camere da letto e scuderie.

Ma anche aree private destinate ai signori del castello (dotate di una piccola vasca in pietra e finestre con feritoie).

Abbandonato agli inizi del XIII sec fu riscoperto nel 1812 da Johann Ludwig Burckhardt, l’esploratore svizzero a cui si deve la riscoperta della città di Petra, nel suo viaggio verso la terra dei nabatei. All’ uscita assistiamo al ballo di alcune ragazze arabe.

Si torna in albergo per la cena, domani ci aspetta la visita alla Cittadella di Amman che faremo da soli, avendo rinunciato all’ escursione  a Betania o ai castelli nel deserto che non ci interessano molto in verità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giordania, cuore arabo ma cervello inglese!-3a tappa: Amman

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1° maggio

Amman

Capitale del regno e capoluogo dell’omonimo governatorato. Dal 1947, quando contava 90.000 abitanti, ha conosciuto un fortissimo incremento di popolazione, soprattutto per il massiccio afflusso di profughi verificatosi dopo la costituzione dello Stato di Israele e dopo la guerra del giugno 1967. (1.155.000 ab. nel 2016). È il massimo centro industriale e commerciale del paese, con impianti tessili e alimentari, cementifici, manifatture di tabacco. Negli anni recenti si è sviluppato un discreto movimento turistico. Nodo di comunicazioni stradali, raggiunto dalla ferrovia di Damasco che prosegue poi verso sud, fino a Ras an-Naqb. Nella regione circostante, estrazione di fosfati, la maggiore risorsa locale. Già capitale degli Ammoniti con il nome di Rabbat Ammon, nella prima metà del III sec. a.C. fu chiamata Philadelphia in onore di Tolomeo II Filadelfo che l’ aveva ricostruita. Amman è anche detta la Città Bianca per i suoi edifici in massima parte realizzata con la pietra locale  appunto di colore bianco.

Con un taxi ci dirigiamo alla Cittadella e lungo la strada ammiriamo la bellissima moschea di Re Abdullah che si riconosce per l’imponente cupola blu e bianca bordata da linee in oro e fiancheggiata da due minareti. Per i musulmani in preghiera la variazione cromatica della cupola simboleggia il cielo e i raggi in oro il sole che illumina Allah.  La pianta ottagonale ricorda invece la Cupola della Roccia a Gerusalemme. Realizzata in stile contemporaneo, l’opera rispecchia comunque la tradizione più antica per le decorazioni interne.

Arriviamo alla Cittadella, la corsa in taxi ci costa appena 3 JD (Dinari giordani) in pratica meno di 4 euro!

La Cittadella. (Gebel al-Qalah)

E’ situata sulla cima del colle più alto tra i 7 su cui si sviluppa la città, a circa 850 metri di altitudine, ed offre una vista a 360 gradi sulle case ammassate del centro, che si inerpicano sulle colline con il pennone con bandiera nazionale più alto del mondo: 134 mt!.

Qui ci si può godere la vista della  gran parte della capitale della Giordania camminando tra la storia antica del paese. E’ l’ ora della preghiera e il richiamo del muezzin si spande nell’ aria con una eco suggestiva! Nella Cittadella gli scavi hanno rilevato resti dell’età del Bronzo, del Ferro (VIII secolo b.C.), dell’antica Grecia, resti Romani e del Medioevo Arabo-Islamico. Ci incamminiamo lungo la strada che sale verso la sommità e subito incontriamo i resti delle colonne che componevano il:

TEMPIO DI ERCOLE

Costruito in onore di Marco Aurelio nel II sec d.C. sul luogo di un preesistente santuario dedicato alla divinità ammonita Melkom.

Sul lato destro:

LA CHIESA BIZANTINA

qui si trovano i resti di una piccola basilica bizantina con le classiche colonne corinzie che risalgono al VI o VII secolo d.C.

Procedendo oltre la chiesa:

IL PALAZZO

questo enorme complesso (Al-Qasr) risale al periodo Umayyad, circa 720 d.C.. La sua funzione non è nota, ma l’edificio comprende un ingresso monumentale, una sala delle udienze cruciforme e quattro camere a volta.

Sul lato orientale dell’ingresso si apre un ampio serbatoio per acqua, probabilmente una cisterna di epoca romana per approvvigionare il palazzo.

Torniamo sulla strada principale fino al

MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DELLA GIORDANIA

Questo museo custodisce reperti raccolti in tutto il territorio giordano e appartenenti ad un ampio spettro di epoche storiche. Tra i pezzi ospitati dal luogo, godono di una certa notorietà le sculture di gesso risalenti all’età della pietra (6500 a.C.) alcuni dei reperti più antichi al mondo rinvenuti durante gli scavi effettuati all’interno della stessa Cittadella.

Tutto molto interessante! Finita la visita facciamo un sostanzioso spuntino e  scendiamo a piedi verso la “città bassa” ossia l’ antico centro della Philadelphia romana per visitare il:

TEATRO ROMANO

Molto simile a quello di Gerasa venne completato tra il 169 e il 177. La  cavea si apre nel fianco della collina utilizzando un supporto naturale roccioso come accadeva per i teatri greci e orientato verso nord per proteggere il pubblico) dal sole.

Poteva ospitare circa 6000 persone le quali accedevano mediante corridoi laterali con il tetto a volta. Ben restaurato e ben tenuto viene ancora usato per manifestazioni culturali e spettacoli.

Vicino vediamo un piccolo teatro:

ODEON

Era un piccolo teatro del II sec, probabilmente con copertura in legno, che poteva contenere circa 500 spettatori che si riunivano per riunioni o spettacoli musicali.

C’ incamminiamo sulla via principale Shari al-Amanah piena di negozi alla ricerca di qualche souvenir e compriamo unicamente la solita bandiera per la nostra collezione in quanto non vediamo niente di interessante.  Speriamo di trovare qualcosa in un altro emporio durante il viaggio! Ancora in taxi verso il nostro hotel per un breve riposo, doccia e la cena.

Domani Madaba-Monte Nebo-Kerak-Petra

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Giordania, cuore arabo ma cervello inglese! – 4a tappa: monte Nebo-5a tappa: Madaba

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2 maggio

Il Monte Nebo, localmente conosciuto come Siyagha, il punto più alto in questa parte dell’antico regno di Moab. Si può godere una vista panoramica magnifica sul Mar Morto e sulla Valle del Giordano fino alle colline dall’altro lato della spaccatura, con le torri di Gerusalemme visibili all’orizzonte.

Una lastra in pietra illustra il Memoriale di Mosè.

Da qui parte un viale al termine del quale è stato posto un monumento commemorativo realizzato dallo scultore italiano Vincenzo Bianchi. Il monumento, alto 6 metri, è chiamato Libro d’Amore tra le Genti; esso celebra infatti una sorta di comunione tra la Torah ebraica, il Corano musulmano e il Vangelo cristiano. Sul basamento è riportata la frase «Dio è Amore» in greco, arabo e latino. La collina è ricordata come il luogo dal quale Mosè guardò la terra promessa di Canaan, dove Dio gli aveva proibito di entrare; e si dice che sia morto e sepolto qui. Il centro didattico è allestito come esposizione museale delle scoperte archeologiche e del loro significato storico e religioso

Una grande porta in pietra sembra sia stata la chiusura dell’ antica  basilica.

Gli interni del centro con interessanti reperti.

A circa 30 km dalla capitale della Giordania Amman, lungo la Strada dei Re, sorge l’antica città di Madaba che con i suoi 70.000 abitanti rappresenta una delle città più popolose della Giordania. Madaba sorta sull’antico sito biblico di Medba o Medeba, da cui ha poi preso il nome. è una delle perle della Giordania che ogni anno attira visitatori affascinati dalle sue antiche rovine e dalla bellezza dei suoi mosaici tanto da essere soprannominata la “città dei mosaici”.

E fra i tanti mosaici, nella Chiesa greco-ortodossa di San Giorgio, si trova il mosaico più famoso raffigurante la mappa della Palestina e realizzato appositamente per i visitatori che nei secoli giungevano in pellegrinaggio in Terra Santa. Attualmente solo una parte della mappa-mosaico si è conservata.

Interni della chiesa

Proseguiamo lungo la “STRADA DEI RE”

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Giordania, cuore arabo ma cervello inglese!-6a tappa: Kerak

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2 maggio

Iniziamo a percorrere la leggendaria “strada dei re” che si snoda per quasi 300 chilometri  che, partendo  dalla città di Madaba nel cuore della Giordania,  arriva nella misteriosa e bellissima Petra tra tornanti che disegnano canyon mozzafiato, deserti e antichi villaggi.

Percorrere il tortuoso itinerario è uno dei tanti modi per scoprire, in totale tranquillità, l’accogliente terra DI Giordania.


Ci fermiamo a Kerak, la fortezza crociata dalla possente torre di guardia al cui interno si snoda un labirinto di sale e corridoi.

TAPPA A KERAK

LA FORTEZZA

Fu eretta intorno al 1142 da Pagano il coppiere, signore di Montreal, ed entrata nei possessi di Rinaldo di Chatillon, signore dell’ Oltregiordano, nel 1176, in seguito al suo matrimonio con Stefania di Milly. In questi anni i rapporti tra cristiani e musulmani andarono migliorando grazie all’opera di pacificazione di Baldovino IV, il re lebbroso, che strinse col Saladino una serie di tregue con le quali sperava di assicurare stabilità al regno. La mancata conquista di Kerak da parte dei musulmani fu un risultato importante per i cristiani, che poterono così prolungare la sopravvivenza del loro regno. Dopo la caduta di Gerusalemme nel 1187 la fortezza rimase ancora a lungo sotto il controllo cristiano, per poi cadere nelle mani dei musulmani nel 1263. 

La sua posizione sulla collina a est del fiume Giordano ne faceva un ideale punto di controllo su tutta la valle e sui gruppi di pastori beduini che vi transitavano.

L’ottimo stato di conservazione, le immense sale sovrastate da archi su due livelli, l’ intrigante percorso nei suoi labirinti sotterranei impiegati al tempo come rifugi e gallerie da combattimento, fanno del sito un ricordo particolare.

Presenti anche un vecchio cannone turco e macine per grano.

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Giordania, cuore arabo ma cervello inglese! – 7a tappa: Petra

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In viaggio verso Petra, città unica al mondo scavata nella roccia, 2° meraviglia del mondo dopo la Grande Muraglia. In hotel ci attende la cena. L’ Hotel Old Village Resort 5 stelle, uno dei pochi in stile arabo in Giordania, dispone di tutti i più moderni servizi necessari. Il ristorante, che giova di una bella vista sulle montagne  offre anche una vasta gamma di piatti tradizionali arabi e dispone di una piscina coperta riscaldata con terrazza esterna servita da snack bar a bordo piscina.

3 maggio

TAPPA A PETRA

Petra (da πέτρα, roccia in greco) città trogloditica posta a circa 250 km a Sud di Amman, in un bacino tra le montagne ad Est del Wadi Araba, la grande valle che si estende dal Mar Morto fino al Golfo di Aqaba. Il suo nome semitico era Reqem o Raqmu («la Variopinta»), attestato anche nei manoscritti di Qumran.

Le numerose costruzioni dalle facciate tagliate direttamente nella roccia ne fanno un monumento unico, che è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO il 6 dicembre 1985. Anche la zona circostante è stata costituita dal 1993 parco nazionale archeologico. Nel 2007, inoltre, Petra è stata dichiarata la seconda meraviglia del mondo moderno dopo la Grande Muraglia cinese.

Svegliati alle 4:00 dal richiamo del muezzin….ci prepariamo con calma per la visita del sito archeologico di Petra che dista pochi km. La guida ci raccomanda di coprirci il capo, bere molto ed essere moderati negli sforzi. La temperatura sarà abbastanza alta! Ci racconta che l’ anno scorso un turista ad agosto, peraltro anziano, ci restò secco avendo richiesto troppo dal suo fisico…Dico io si va in posti del genere ad agosto dove si toccano temperature fino 50°?

Superato il cancello d’ ingresso si segue il letto asciutto di uno Wad (letto di un torrente, quasi un canyon o canalone in cui  scorreva un corso d’acqua a carattere non perenne).

Lungo il Wadi ci sono importanti monumenti:

I BLOCCHI DI JINN

Blocchi di pietra decorati dedicati agli spiriti guardiani della città.

Si vedono poi le prime tombe scavate nella roccia.

TOMBA DELL’ OBELISCO

La Tomba dell’Obelisco a un primo sguardo appare un edificio a più piani. Fu costruita infatti sopra una struttura molto più antica, dalla facciata decorata con colonne doriche. Questo edificio è noto come Triclinio, o sala da pranzo, ed è uno dei numerosi edifici di questo tipo che si trovano a Petra. Questo è il luogo dove ogni anno si tenevano i banchetti per commemorare i defunti, anche se è difficile immaginare l’allegria di un banchetto nel vuoto silenzioso di oggi.

Si entra quindi in una gola (siq)  stretta fra altissime pareti. La strada, che più volte ha subito alluvioni trattandosi del letto di un torrente, era stata pavimentata dai Romani e ci sono ancora alcuni tratti di basolato. La pietra era sacra per gli arabi e il dio nabateo Dushara era rappresentato da una pietra levigata.

I Nabatei costruirono un acquedotto che attraversava la gola, scavato sulla parete della roccia per portare acqua alla città e questo fu il loro punto debole quando furono assediati da Traiano, che lo tagliò.

Il percorso è molto trafficato da visitatori a piedi o a bordo di calessi.

Si incontrano anche improbabili soldati nabatei…un poco come i nostri “centurioni” al Colosseo di Roma!

Interessanti sono le:

NICCHIE VOTIVE SACRE

La più importante nel muro del Siq è stata scolpita da Sabinos Alexandros, maestro delle cerimonie religiose a Dara’a in Siria, e offre protezione a coloro che passeggiano sul Siq. Raffigura una rappresentazione ovoidale del dio Dushara di Adra’a (l’odierna Dara’a in Siria).

Interessanti la scultura del dromedario sulla destra e della divinità Atargatis su due leoni di cui restano poche tracce.

Il percorso della gola finisce bruscamente con la visione inaspettata e spettacolare dell’edificio più noto di Petra:

al-KHAZNEH FARUM (il Tesoro del Faraone)

Il monumento più spettacolare di Petra, un edificio interamente scolpito nella roccia  di stile ellenistico per l’influenza tolemaica.

L’ emozione è forte! Anche se il piazzale è pieno di visitatori che comunque non ci distraggono con il loro vocio, di cammelli, di asini, di venditori vari, non possiamo che restare incantati dinanzi a tanta meraviglia estraniandoci dal tutto, ammirando  la mirabile tecnica costruttiva e di scultura adoperata. Resto per molto tempo come stregato!

L’edificio è il meglio conservato di Petra perché è circondato da alte pareti di roccia ed è ben protetto dalla sabbia e dalla pioggia. Il colore rosa della facciata è dovuto all’ arenaria di cui è composta la parete e il nome deriva da una leggenda secondo cui vi era stato nascosto un tesoro in un’ urna cilindrica con la statua della dea Iside, dea della fertilità, con segni di proiettili di fucile tirati dai beduini per impossessarsi del tesoro. Si tratta in realtà di una tomba rupestre fatta costruire dal re Areta III (87-62 a.C.).

La facciata è alta 40 m, ma il pavimento originale del piazzale si trova due metri sotto l’attuale, sabbia e detriti hanno alzato nel tempo il livello pavimentale. La facciata è costituita da un portico a 6 colonne non equidistanti sovrastato da un timpano. All’interno c’è una stanza quadrata disadorna e, dietro, una stanza più piccola.

Non mancano i finti soldati nabatei!

La strada prosegue a destra nel siq esterno e la gola si allarga di nuovo e compaiono altri monumenti funerari scolpiti sulla roccia sempre più numerosi fino a creare una vera necropoli.

VIA DELLE FACCIATE

Tombe decorate in stile assiro.

TEATRO

Scavato nella roccia con 33 emicicli che potevano contenere fino a 8000 spettatori. Fu costruito dai Nabatei all’inizio del primo millennio, poi i Romani rifecero l’orchestra semicircolare.

Dopo il teatro, la valle si apre completamente,  e sulla  parete di roccia a oriente, al-KHUBTHAH, si trovano altre tombe monumentali le:

TOMBE REALI

Sarebbero state scolpite per volere di una famiglia reale nabatea (I-II sec). Costituiscono un meraviglioso insieme di edifici.

La prima e più grande è la Tomba dell’Urna (Um) con una terrazza aperta sostenuta da due ordini di volte, la facciata ha due semicolonne altissime e all’interno si apre una sala che misura 20 x 18 m. Un’abside scavata nella parete di fondo e un’iscrizione in greco indicano che l’ambiente è stato usato come chiesa dai Bizantini; i Romani l’avevano usato invece come tribunale.

Lasciamo la zona delle tombe e ci si dirige verso ovest, dove sorge la città ricostruita dai Romani. Si imbocca la via colonnata che qui è il decumanus sull’asse est-ovest e si passano le porte monumentali. Sulla destra correva l’alveo del fiume con gli argini romani.

Chiude la via una porta a tre fornici, decorata su due lati eretta attorno al II sec. detta di Traiano o del Tenemos.

Sulla sinistra è il

IL GRANDE TEMPIO

Uno dei monumenti più importanti non scavato nella roccia. Della  fine del I sec rimase in uso fino al periodo bizantino. Il tempio si trova su un terrapieno lastricato sulla cui prima terrazza sorgevano il tenemos e il propileo.

QASR AL-BINT

Un monumento nabateo noto ai beduini come il “castello della figlia del Faraone”

Eretto dai Nabatei, per le loro divinità, (vi si venerava il dio Dushara che con Atargatis, dea della fertilità, erano le due divinità principali nabatee)  attorno al 30 a.C., dopo l’occupazione fu adattato al culto degli imperatori romani e infine fu distrutto, nel III secolo. Il nome completo del tempio è Qasr al-Bint al-Pharaun, castello della figlia del Faraone, e gli fu dato dai beduini. Originariamente il tempio era alto 23 metri e aveva scalinate di marmo, imponenti colonne con capitelli con decorazioni floreali. Questo era il principale luogo di culto della città nabatea.

LE ROCCE COLORATE

Una caratteristica particolare di queste rocce è la variazione del colore, con sfumature dal giallo ocra al rosso fuoco al bianco, dovute alla diversa concentrazione degli ossidi durante il lungo processo di consolidamento.

La guida Maher ci offre degli squisiti biscotti con sesamo e mandorle.

Il caldo si fa sentire quindi arrivati al piazzale del Tesoro decidiamo di far l’ ultimo tratto in calesse. Mezzo di trasporto per niente comodo che ci sballotta di quà e di là per tutto il percorso…..Almeno abbiamo digerito!

Nel piazzale dell’ ingresso notiamo un artigiano che confeziona in diretta bottiglie riempite di sabbia e decorate. Ne compriamo una. Solo 15 JD!

Si torna in hotel per la cena ed un salutare riposo! Domani vivremo l’ emozione del deserto del Wadi Rum!

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Giordania, cuore arabo ma cervello inglese! – 8a tappa: Wadi Rum

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4 maggio

Siamo di nuovo svegliati dal canto del muezzin alle 4:00 del mattino….

Ci mettiamo in viaggio verso Wadi Rum attraversando scenari aridi e pietrosi dall’ aspetto quasi lunare.

Una breve sosta in una vecchia stazione della  ferrovia dell’ Hegiaz che attraversa la Siria, la Giordania e l’Arabia Saudita. I lavori per la costruzione iniziarono nel 1900, da parte dell’Impero Ottomano con fondi della Germania, e l’inaugurazione ci fu il 1º settembre 1908. In origine la linea doveva arrivare alla Mecca, ma venne accorciata di 400 chilometri fino a Medina.

La linea a scartamento ridotto (1050 mm) è di tutto rispetto, perlomeno per la sua lunghezza, 1322 km di percorso, in ambiente spesso di pieno deserto. Attualmente la linea è in gran parte smantellata e distrutta. Della maggior parte, relativa alla Penisola araba, non restano che qualche terrapieno e alcuni manufatti. Una vecchia locomotiva a vapore made in Japan del 1859 con carrozze passeggeri e vagoni attrezzati con  supporti per mitragliatrici, il tutto sotto una bandiera turca. Il treno viene saltuariamente usato per manifestazioni turistiche.

TAPPA A WADI RUM

Il più esteso e stupefacente deserto della Giordania su un altopiano di 450 mt s.l.m. con i suoi paesaggi surreali, senza tempo e incontaminati fatto di pinnacoli di arenaria che dominano letti di antichi fiumi. Un dedalo di formazioni rocciose si innalza in un territorio desertico fino ad altezze di 1.750 metri, creando una sfida naturale anche per gli scalatori più esperti. Noto anche come “Valle della Luna”, in questo luogo il Principe Faysal Bin Husssein e T. E. Lawrence (Lawrence d’Arabia) insediarono il loro quartier generale durante la Rivolta Araba contro gli Ottomani durante la Prima Guerra Mondiale, e le loro imprese si intrecciano con la storia di questa fantastica regione.

Qui fu girato gran parte dell’epico film di David Lean “Lawrence d’Arabia”, interpretato da Peter O’ Toole, Alec Guinnes e Omar Sharif.

Alloggiamo al campo tendato Sun City Camp che offre serenità e un’esperienza spirituale rilassante nel deserto e gode della semplice vita beduina della valle con il suo inconfondibile fascino e bellezza. Il campo si trova a circa 60 km dalla città di Aqaba e a 313 km da Amman. Ci consigliano di non sostare a lungo nelle tende per l’ enorme caldo che vi regna.

Ambiente unico, un bel bagno spazioso con doccia senza aria condizionata….

Ci prepariamo all’ escursione nel deserto a bordo di fuoristrada 4X4. Prima però un veloce pranzo nella terrazza tendata davanti alla quale di sera ci siamo seduti per delle ore ad ammirare Giove e le stelle che si aggiravano su di noi …altro che TV!! Un ottimo the ci viene servito prima della partenza. Si intravedono piccole tempeste di sabbia ma sono abbastanza lontane.

Appena il 4X4 parte e lasciamo alle nostre spalle il villaggio di Rum, mi sale l’emozione: davanti a noi si apre immediatamente una distesa di sabbia  che lascia a bocca aperta….quindi consigliabile coprirla per evitare il suo ingresso!

Il cielo è coperto, cosa che rende ancora più drammatico l’ aspetto del paesaggio. Il deserto lascia subito senza parole. Qui le distese di sabbia fine e rossa che hanno riempito i miei occhi in Marocco hanno lasciato spazio ad una superficie prevalentemente rocciosa con colori che vanno dal giallo al rosso al marroncino. La terra si è sbizzarrita nel creare gole e rocce dalle più svariate forme.

Imponente il massiccio della montagna dei Sette Pilastri della Saggezza dal titolo del libro di T.E. Lawrence, il colonnello inglese noto come “Lawrence d’ Arabia” immortalato da un bassorilievo scolpito in una roccia.

Una grande duna di sabbia rossa si erge davanti a noi: mi ricorda molto il Marocco!

Sul lato occidentale del massiccio dell’ Anfashieh vi sono delle incisioni risalenti anche a 3000 anni fa: raffigurano, manco a dirlo,  figure umane, dromedari e scene di caccia.

Si torna al campo. Un ottimo the ci viene servito prima della cena che è  a buffet con spettacolo della carne cotta sotto la sabbia. Il mangiare è buonissimo ed abbondante.

Ma il pezzo forte è stata la  performance del ballo beduino improvvisato dal simpatico personale, a cui si sono uniti molti turisti.

Qualche innocente goccia di pioggia ma i componenti seduti al mio tavolo non si sono mossi! Bravi tutti noi! Torniamo alla nostra tenda percorrendo un percorso illuminato. Domani puntata ad Aqaba poi al Mar Morto.

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Giordania, cuore arabo ma cervello inglese! – 9a tappa: Aqaba-Mar Morto

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5 maggio

Lasciamo il deserto per dirigerci ad Aqaba. Aqaba è situata nel sud della Giordania, sulla costa del Mar Rosso, l’unico sbocco sul mare della Giordania. Il porto commerciale si estende a sud della città e, nella seconda metà del secolo scorso, si è molto sviluppato, per cui oggi ʿAqaba, è ormai la seconda città della Giordania per status, reddito e potenziale turistico. E’ adiacente al porto israeliano di Eilat, a cui ha iniziato a fare concorrenza, come località turistica. In verità questa tappa serve solo per dare uno sguardo al Mar Rosso.

Percorrendo la Via della Pace, aperta al traffico civile dopo la firma degli accordi tra Israele e Giordania, arriviamo alla cosiddetta statua di Lot che, riconosciuto come ‘giusto’, poté fuggire liberamente dalla città di Sodoma prima che Dio la desse alle fiamme per punizione. Mentre si allontanava con la sua famiglia, la moglie di Lot disobbedì all’ordine di non voltarsi a guardare e fu trasformata in una statua di sale. Questa formazione rocciosa sulla costa giordana del Mar Morto è nota appunto come “Statua di Lot”.

Trovandosi 400 mt sotto il livello del mare, il Mar Morto è il punto più basso della terra.  Il Mar Morto è un luogo magico, il bacino idrico più salato della terra dove è possibile sperimentare l’ incredibile sensazione di galleggiare a pelo d’ acqua senza nuotare!

Il bacino, nonostante il suo nome non è un mare, bensì un lago la cui elevatissima salinità delle acque non permette che si sviluppi alcuna forma di vita. L’unica forma di beneficio e vita generata da questo stupefacente lago è quella data dalle sostanze minerali di cui è ricchissimo e che hanno preziose proprietà curative, tanto che il Mar Morto è un eccezionale centro termale.

Questo gigantesco bacino, lungo 75 chilometri e largo 15, vecchio di mille secoli, è il luogo al mondo in cui è possibile riscontrare un’ altissima combinazione di benefici termali. A garantire i risultati un dato su tutti: l’acqua qui ha il 27% di contenuto in sali e minerali, con particolare concentrazione di calcio, che pulisce la cute dalle impurità, magnesio dall’’effetto antiallergico, bromina (effetto rilassante), bitume (antinfiammatorio). Bitume, calcio e magnesio abbondano anche nel fango nero, che in più si compone di silicati dal benefico potere astringente.

Con questo concentrato di sostanze benefiche si curano molte malattie della pelle tra cui psoriasi, vitiligine, acne, micosi e sclerodermia. Anche le vie respiratorie traggono giovamento dall’umidità praticamente inesistente tutto l’anno, dalla pressione atmosferica molto alta e dall’aria purissima e ricca di ossigeno.

Entriamo in uno straordinario stabilimento dove ci cambiamo per il bagno tonificante.

La sensazione è davvero unica! Potrei tranquillamente leggere un giornale facendo il cosiddetto “morto” in acqua!

Ovviamente non rinunciamo alla spalmata di fango! Chissà che la nostra pelle non tragga un beneficio immediato….

Dopo questa straordinaria esperienza torniamo ad Amman.La partenza dall’ Hotel è prevista per le ore 9:00 di domani e prima di cena prepariamo i bagagli.

6 maggio

Alle ore 12:00 partiamo in aereo per Roma-Fiumicino dove ci aspetta la  coincidenza per Napoli-Capodichino.

Dal mito di Petra all’affascinante deserto del Wadi Rum, dalle splendide rovine di Jerash al castello delle crociate di Karak, un viaggio in Giordania tra le meraviglie del Medioriente, tra sacro e profano, alla scoperta dei siti biblici come il Monte Nebo ed il Mar Morto. Deserti surreali, canyon spettacolari, vie di comunicazione storiche che hanno visto il passaggio dei Nabatei, di Mosè, dei Crociati, la Giordania ci ha sorpreso per la varietà dei paesaggi, per la sua storia.

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Uzbekistan-2019- KHIVA

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E’ una città unica che rivendica giustamente il titolo di “settima meraviglia del mondo”, grazie alla sua autentica atmosfera che sembra si sia fermata  in una età lontana. La maggior parte della città di Khiva è simile ad un museo e nel nucleo di questo museo – il castello-fortezza “Itchan-Kala” – sono concentrati tutti i suoi capolavori architettonici.

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Uzbekistan: architettura, arte e storia sulla via della seta – 2019 – 1a tappa: KHIVA

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L’attuale Uzbekistan corrisponde in buona parte all’antica provincia persiana di Sogdiana, già importante in epoca achemenide (primo impero siriano). Conquistata da Alessandro Magno nel IV secolo a.C., passò poi sotto il dominio dei turchi. Tra il VII e l’VIII secolo la regione conobbe il dominio degli arabi, per passare  nuovamente sotto il controllo dei turchi nel X secolo. Nel XIII secolo entrò a far parte dell’impero mongolo, prima sotto Genghis Khan e poi sotto Tamerlano e così Samarcanda diverrà uno dei grandi centri dell’ Impero Timuride e dell’Asia Centrale musulmana. Dal XVI secolo, con la dinastia di origine mongola degli Shaybanidi il paese comincia a chiamarsi Uzbekistan.

6 MAGGIO

KHIVA

Khiva è la città uzbeka più peculiare e la sua storia è inestricabilmente connessa con la storia del leggendario stato di Khorezm con capitale a Urgench. Nel X secolo Khiva è menzionata come un importante centro commerciale sulla Via della Seta. Tutte le carovane da e per la Cina vi facevano una sosta e dall’alba al tramonto un flusso infinito  di cammelli entrava in città. E’ una città unica che rivendica giustamente il titolo di “settima meraviglia del mondo”, grazie alla sua autentica atmosfera che sembra si sia fermata  in una età lontana. La maggior parte della città di Khiva è simile ad un museo e nel nucleo di questo museo – il castello-fortezza “Itchan-Kala” – sono concentrati tutti i suoi capolavori architettonici. Coloro che entrano nella fortezza, restano  meravigliati per i suoi  minareti, i vicoli lastricati in pietra, le facciate degli edifici rivestiti di mattoni cotti intramezzati da mattonelle vetrificate dai colori suggestivi. Questa favola orientale dal 1990 è stata inclusa nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO.

Itchan-Qala (letteralmente “fortezza interna”) forma il nucleo interno di Khiva e i suoi confini coincidono con quelli dei secoli XVI-XV. E’ circondata da un muro di mattoni di oltre 2.200 m di lunghezza e 7-8 m di altezza fortificato con torri semicircolari e camminamento  merlato sulla parte superiore anticamente percorribile a cavallo. Le mura difensive di Itchan-Kala hanno protetto in modo affidabile Khiva fino all’invasione di Nadir-Shah verso la metà del XVIII secolo. La città si era espansa durante la dinastia Qungrad, poi gli iraniani la  conquistarono e il sistema di fortificazione fu parzialmente distrutto.Ci sono più di sessanta monumenti architettonici: palazzi, moschee, madrase, minareti e mausolei. Ognuno dei quattro lati di Ichan-Qala ha una porta (darvaza).

Le porte:

Ata-darvaza a ovest

Nelle vicinanze si trovava la statua del grande studioso Al-Khorezmi (dal suo nome deriva il termine Algorithmo), padre dell’algebra e astronomo. Per lavori alla metro è stata purtroppo temporaneamente spostata…

Tash-darvaza verso il deserto di Karakum, a sud

Palvan-darvaza verso Hazarasp e il fiume Amu-Darya, a est

Bahcha-darvaza  sulla strada per Urgench, a nord

Dopo la colazione iniziamo la visita entrando in città attraverso la porta Ata-Darvasa, ammirando le possenti mura, semidistrutte da bombardamenti ma in parte egregiamente ricostruite. Sulla sinistra la cittadella-fortezza Kunya-Ark e a destra la Madrasa di Muhamad-Amin-khan con il famoso minareto Kalta Minor.  Questo “Mini minareto” e la Madrasa di Muhammad Amin-khan avevano lo scopo di completare il piano della grande piazza vicino alle porte occidentali di Itchan-Qala. Sarebbe dovuto diventare il minareto più grande e pi ù alto dell’Asia centrale tuttavia, la costruzione fu interrotta dopo la morte di Muhammad-Amin khan nel 1855, dopo una battaglia con i turkmeni, come riportato dallo storico Munis. La sua base massiccia ha un diametro di 14,2 metri ma è alto soli 26 metri. La leggenda racconta invece che il Bukhara-khan, scoperta la costruzione di questo  grandioso minareto a Khiva, avesse concordato con il suo architetto la costruzione di un minareto più alto a Bukhara. Il Khiva khan si arrabbiò,  fermò la costruzione e ordinò di gettare l’architetto  dall’ alto del minareto. Decorativamente parlando il minareto blu brillante di Kalta-Minor non ha eguali in Asia centrale ed è l’unico la cui superficie è interamente ricoperta da piastrelle smaltate colorate.

Da notare gli elementi decorativi  in ceramica  che rappresentano i quattro elementi dello zoroastrismo: terra, aria, acqua, fuoco.

Proseguiamo verso Kunya Ark  la cui costruzione iniziò nel 1686-1688 e alla fine del diciottesimo secolo era “una città in una città”, separata dall’ Itchan-Kala da un alto muro. Il forte serviva da residenza per i Khan e consisteva di molti ambienti : harem, moschee invernali ed estive, zecca e annessi servizi (stalle, magazzini, officine, ecc.). Gli edifici sono stati costruiti attorno a cortili e cortili collegati da un sistema di corridoi. L’area vicino all’ingresso del  Kunya Ark era utilizzata per parate militari, addestramento e cerimonie. C’era anche un posto speciale per l’esecuzione delle sentenze capitali e lo “Zindan” (prigione), adiacente al muro orientale.

Molto è stato distrutto ma il kurinishhana (area di accoglienza), è sopravvissuto con un bellissimo talar con pareti maiolicate che si eleva dal terreno di cinque gradini per conferire a questo spazio una rilevante importanza in quanto ospitava il trono del khan.

Visitiamo un bottega di intagliatori del legno che producono tra i tanti oggetti un curioso leggio trasformabile per molti usi.

Curiosa la ricostruzione di una bottega di fabbri con manichini dall’ aspetto molto naturale ed interessante anche un laboratorio di ricamo con ragazze al lavoro.

Pausa pranzo non senza aver assistito alla produzione del pane cotto nel tandoor posto affianco al ristorante e incontrato un assonnato cammello che riposa sulla sabbia.

Il tandoor (ˈtaːnduːr) o tandoori (tanˈdoˑori) è un forno d’argilla a forma di campana rovesciata o cilindrico con il fuoco posto sul fondo. In Uzbekistan esistono ben 17 tipi diversi di pane.

Dopo pranzo visita alla necropoli e al  Mausoleo Pahlavan Mahmud. La necropoli è il centro religioso di Itchan-Qala e risale al 1362 ma venne poi ricostruita nel XIX secolo e nel 1913 requisita per essere trasformata nel mausoleo di famiglia del khan.  Si formò attorno alla tomba del mecenate di Khiva, Pahlavan-Mahmud (1247-1326) che era poeta, filosofo e conosciuto come “lottatore santo”, maestro spirituale di tutti i sovrani di Khiva e patrono della città. Fu sepolto nel suo laboratorio di pellicciaio che divenne presto un piccolo mausoleo poi trasformato in un luogo di culto.

La sala che custodisce la tomba del khan Mohammed Rakhim che regnò dal 1806 al 1825 è vicina al mausoleo.

Ancora oggi gli uzbeki usano effettuare pellegrinaggi alle tombe dei santi e questa antica tradizione si perpetua con l’ ascolto degli imam che recitano versetti del Corano, mangiando pezzi di pane benedetto e bevendo l’ acqua del pozzo collocato nel cortile esterno. La tradizione è praticata non solo da persone malate ma anche da giovani coppie che vorrebbero un figlio, da chi desidera una grazia, ma anche in occasioni di matrimoni, circoncisioni, compleanni e anniversari.

Si prosegue verso la Madrasa Islam-Khodia dedicata al primo ministro durante il governo di Muhammad Rahim-khan II (1863-1910) e a  suo figlio Esfendiyar-khan (1910-1920). A Islam-Khodia si deve  la costruzione di questa madrasa che ha venti stanze per gli studenti, la biblioteca e un paio di sale di studio che con i loro caratteristici iwan (iwan: ambiente chiuso e coperto – sito a un’estremità di una qualsiasi costruzione, in genere moschea, madrasa o mausoleo- che si apre verso l’esterno e il cui ingresso sia per lo più sormontato da un arco) si affacciano sul piano terra di un cortile rettangolare). Fece costruire anche un ospedale, la farmacia, l’ufficio postale e telegrafico e le scuole laiche di Khiva.

La moschea occupa il settore sud-orientale della madrasa e svariati ganch  (ganch: uno dei più antichi tipi di arti decorative architettoniche dell’Uzbekistan) decorano il mihrab.

Chiunque non sia stato in Asia centrale difficilmente conosce il significato di ganch: non è né pietra né argilla, ma qualcosa nel mezzo. Si ottiene cuocendo una roccia contenente gesso e argilla e macinandola in una polvere che viene poi mescolata con acqua e una soluzione di colla vegetale. Poi si solidifica lentamente mentre si asciuga. Le sue sfumature vanno dal grigio chiaro al giallo chiaro. La scultura di Ganch è una delle forme uniche e antiche dell’artigianato artistico dell’Asia centrale. La tecnica di base del ganch è la seguente: sullo strato di sfondo bianco o colorato del ganch viene applicato lo strato bianco e il contorno del disegno viene ritagliato lungo l’intonaco con uno scalpello appuntito in modo tale che lo sfondo colorato sia visibile attraverso gli spazi vuoti. È un’arte intricata che richiede molti anni di duro lavoro per impararla. Fonte Wikipedia

Un piccolo approccio al palazzo Tash-Khovli costruito nella prima metà del XIX sec nella parte orientale della città interna. Nella parte meridionale si trovano il cortile di accoglienza, Arz-Khovli, e un cortile per l’intrattenimento, Ishrat-Khovli. La parte settentrionale è occupata da un harem e labirinti di corridoi uniscono le varie parti degli edifici.

Particolare il basamento in marmo di una colonna recante il disegno di una svastica inscritta in un ottagono. La forma della svastica è molto antica, già radicata nelle civiltà mesopotamica e iranica.

Ora eccoci davanti ad un capolavoro di architettura: La “MOSCHEA CATTEDRALE DI KHIVA”

Un fatto curioso: cinque dei minareti di Khiva si trovano sulla stessa linea ad una distanza di circa 200 mt. Saliamo su un terrazzo panoramico di Kunya Ark per la rituale fotografia con lo sfondo di Itchan-Kala per poi tornare in hotel per la cena.

In serata torniamo nel centro antico per ammirare i monumenti illuminati.

La scritta su un chiosco ci fa sorridere….(sia ben chiaro che la scritta è in russo…..)

 

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Uzbekistan: architettura, arte e storia sulla via della seta – 2019 – 2a tappa: BUKHARA

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7 MAGGIO

BUKHARA

La città è molto antica ma il nucleo che corrisponde all’ attuale insediamento risale al VIII secolo, al tempo dei Tahiridi  (Dinastia Tahirida: la prima dinastia di origine iraniana della Persia islamica) che regnarono per gran parte del IX secolo che, cingendolo di mura, lo trasformarono in una cittadina fortificata.  Fu anche il fulcro della cultura musulmana e soprattutto degli studi islamici divenendo grazie ai numerosi mausolei dei grandi santi e dei sufi (asceti) un importante luogo di culto e di pellegrinaggio inferiore soltanto alla Mecca, a Medina e a Gerusalemme: i credenti definiscono Bukhara la “Città Santa”. Con più di 2000 anni di storia, questo piccolo gioiello medievale sulla Via della Seta – inserita nel Patrimonio UNESCO dal 1993 – ospita numerosi monumenti, così tanti da perderci la testa: con oltre 140 monumenti architettonici è una vera e propria” città museo”.

Il nome di Bukhara deriva dalla parola “vihara”, che significa “monastero” in sanscrito. Un tempo era un famoso centro nel mondo islamico per studiare, ed è il luogo di nascita del grande sceicco Bakhouddin Nakshbandi.

Dopo la colazione ci trasferiamo all’ aeroporto di Urgench e partenza con un volo interno per Bukhara dove arriviamo dopo circa un’ ora di volo. Alloggiamo all’ Hotel Shakristan con una facciata che ricorda molto l’ aspetto di una madrasa e con una hall molto sfarzosa!. Dopo il disbrigo di rito dell’ accettazione e preso possesso della camera si inizia il giro delle visite partendo dall’ “Ark”  una grande fortificazione situata nella parte nord-occidentale di Bukhara contemporanea e si affaccia sul piazzale antistante, il Registan (Registan: tradotto dall’ uzbeco significa  un “posto di sabbia” in quanto nei tempi antichi, era un spazio coperta di sabbia dove si svolgevano le esecuzioni capitali, le feste popolari, le parate e le esercitazioni militari).

All’ interno, su un terrazzamento, vi si trovavano le residenze del khan, dei dignitari e della servitù, l’ harem, la cancelleria, la caserma, la tesoreria con una zecca per il conio delle monete. L’ingresso cerimoniale nella cittadella è architettonicamente incorniciato da due torri del XVIII secolo collegate da una galleria con una lunga rampa, dotata di scale laterali che si propaga sulla grande piazza e conduce attraverso un portale e un lungo corridoio coperto alla moschea di Dzhuma e poi al cortile delle cerimonie.

All’ interno di questo, collocato su una piattaforma, si trovava  il trono del khan di cui una riproduzione è usata dai turisti per le fotografie ricordo.

Si trova anche un grande complesso di edifici tra cui uno dei meglio conservati è la moschea di Ul’dukhtaron o del venerdì, che è collegato ad una  leggenda secondo la quale quaranta ragazze furono torturate e gettate in un pozzo.

Ci dirigiamo verso la moschea jameh Bolo Khauz che risale al 1712, detta Moschea sopra l’ acqua in quanto si affaccia su una vasca, una delle tante di Bukhara, che in passato erano la fonte d’acqua per la popolazione e purtroppo causa  di molte malattie. Il talar è costituito da 20 colonne  dotate di capitelli decorate con stalattiti che non furono costruite in legno di olmo  ma di albicocco dal caratteristico colore rossiccio.

E’ in preparazione il rito della preghiera e viene allestito lo spazio esterno con i tradizionali tappeti. Non ci è permesso entrare…

In pullman ci spostiamo verso il Complesso di lyab-i hauz, probabilmente l’attrazione turistica più popolare di Bukhara, spesso usata come punto di ristoro grazie alla sua grandezza e tranquillità, si trova nel sud-est della città all’interno delle mura ma al di fuori della cittadella, vicino alla principale via commerciale di Bukhara. Ha un grande laghetto artificiale (42 metri di lunghezza, 36 metri di larghezza e 5 metri di profondità).

Sui tre lati troviamo la Madrasa Nadir Divan-Begi costruita nel 1622, la Khanaka (luogo per ritiro spirituale) e la Madrasa Kukeldash.

La Madrasa Nadir Divan-Begi l’ edificio, così come la Khanaka (luogo per ritiro spirituale) nelle vicinanze, porta il nome del visir Nadir uno dei più forti e potenti rappresentanti della dinastia Ashtarkhanid Imamkuli-khan, che regnò a Bukhara nel 1611-1642.

La madrasa è decorata con immagine di uccelli simurgh che rappresentano l’ accesso alla conoscenza suprema rappresentata dal sole, soggetti insoliti per i monumenti islamici.

Nota: Simurgh, era secondo la mitologia persiana, l’uccello che viveva – come tramandano anche i racconti metafisici di Sohravardi – sull’albero dei semi, l’Albero Tūbā[1], da cui erano generate le sementi di tutte le piante selvatiche, posizionato accanto all’albero dell’immortalità (secondo alcuni studiosi, l’albero era invece l’albero della scienza). Fonte Wikipedia

Nel giardino della piazza i trova la statua di Nasreddin Khodja che cavalca un asino, Il leggendario personaggio popolare conosciuto in Aia centrale, in medio Oriente e gran parte dei Balcani il cui suo nome è legato ad un gran numero di fiabe sarcastiche e leggende, presenti anche nella letteratura del sufismo.

Visse ai tempi di Tamerlano e si racconta che quando gli fu detto:

-Dal momento in cui sono diventato SIgnore della città, qui non c’ è stata mai stata nessuna peste. Cosa ne dici Khodja?

Egli rispose:

-Allah è misericordioso! Non manda mai due sciagure insieme nello stesso posto!

Nei pressi si trova la moschea Maghoki-Attar che è la più antica moschea dell’Asia centrale. L’edificio venne eretto nel IX secolo, mentre altre parti sono state aggiunte da Abdul Aziz Khan nel 1546-71.

La moschea sopravvisse alle devastazioni mongole, perché (secondo la leggenda) la gente del posto la seppellì sotto la sabbia occultandola. La moschea ospita attualmente il museo del tappeto.

Ora ci aspetta una visita interessante.

Madrasa Chor-Minor o dei “Quattro minareti”

A proposito dei monumenti insoliti di Bukhara, prima di tutto, dovremmo parlare della madrasa Chor-Minor del 1807 su ispirazione della più antica moschea indiana Chai Minar sita ad Hyderabad in India ma che ricorda anche il Taj Mahal di Agra sempre  in India. Si trova proprio dietro il complesso Lyabi-Khauz. “Chor-Minor” significa “quattro minareti” e questo nome è ben giustificato: dagli angoli dell’ edificio della madrasa sono posti quattro piccoli minareti coronati da cupole blu, diversamente decorati l’uno dall’altro. Ciascuno dei quattro minareti ha una forma diversa. Si ritiene che gli elementi decorativi delle torri riflettano la comprensione filosofico-religiosa delle quattro religioni del mondo infatti è facile vedere che alcuni elementi sembrano una croce, un pesce cristiano e la ruota di preghiera buddista.

Pausa pranzo al Ristorante “Bella Italia” che però non onora questo appellativo…

Si riprende il tour con la visita alla residenza reale estiva Sitorai Mohi Khosa

Di grande valore artistico, costruito durante il regno dell’ultimo emiro di Bukhara Said Alim-khan accanto al vecchio e comprende vari edifici. Troviamo l’ arco trionfale, la porta d’ingresso con una decorazione a mosaico, e un talar su un lato del cortile. In generale, il palazzo è stato costruito in stile europeo ma diviso per uomini e donne, e l’interno è decorato in stile orientale.

Si compone di varie sale per feste, l’ harem, stanze private, una sala da tè, un piccolo minareto e un appartamento per gli ospiti, riccamente arredato.

La Sala Bianca  è decorata con ganch e le  pareti sono ricoperte di specchi che creano un riflesso, che viene ripetuto fino a 40 volte.

In una sala viene mostrato come i bambini venivano preparati per la culla (fasciati e muniti di catetere per le femmine e una specie di imbutino per i maschietti per i bisogni corporali). Immancabile la ninna nanna finale fatta da una donna con splendidi denti d’ oro!

Si torna in città e si visita la vecchia madrasa Abdalal-aziz Khan che prende  il nome dal suo fondatore sciita che la realizzò nel 1652-1654. Fa parte di un complesso architettonico assieme alla madrasa Ulugh Beg (1417), di fronte al bazar orientale dei gioiellieri.

Di fronte seguendo la disposizione a specchio detta Kosh ovvero di due edifici simili che si fronteggiano, c’ è la madrasa Ulugh Beg, nipote di Tamerlano, uomo di alto ingegno e sensibile alla divulgazione della cultura e delle scienze, che la fece edificare nel 1417, la prima delle tre erette per sua volontà. Il nome del costruttore di questo monumento è scritto nel timpano del portale; Ismail ibn Takhir ibn Makhmud Ispfargoni. È possibile che sia un nipote di uno dei maestri catturati da Timur in Iran e che hanno lasciato il loro nome sul portale del complesso Gur-Amir a Samarcanda. La facciata, decorata con piastrelle di maiolica per volere di Abdullah Khan nel 1585, si conclude con due minareti che in origine erano molto più alti.

Una capatina ai bazar la cui costruzione risale al XVI secolo quando la città divenne capitale e per un centro come Bukhara, punto di scambio di merci lungo la via della seta, erano un fattore di estrema vivacità.

Lungo le direttrici principali si contano diversi bazar:

Taki-Sarrafon

Questo bazar si trova non troppo lontano dal Lyab-i Hauz e era il bazar dei cambiavalute. Venne costruito verso la fine del XVI secolo, laddove sorgeva un aryk (acquedotto).

Taki-Telpak Furushon

Era in origine il bazar dei cappellai. Una delle strutture interne più in evidenza è senza dubbio la grande cupola sferica di 14,5 m di diametro dove si concentrano la maggior parte dei negozi.

Taki-Zargaron

La parola zargaron significa “gioielli”, infatti questo era il bazar dei gioiellieri con 36 negozi. Secondo le cronache di Khafizi Tanysh nel 1569-70 esso era il più antico e importante bazar della città.

Tim Abdullakhan

Anche questo bazar con imponente cupola, è ricco di attività commerciali.

Gironzoliamo per questo bazar pieno di botteghe che mettono in vendita souvenirs per i turisti. Noi non compriamo nulla in quanto abbiamo già in mente cosa portare a casa come ricordo….

Incontri inaspettati: una coppia di sposi un suonatore ed  una suonatrice di dombra, liuto decorato a manico lungo con corde in metallo.

Torniamo in hotel per riposare. Questa sera assisteremo ad uno spettacolo di danze e canti intercalati da sfilate di moda di produzione locale nella suggestiva cornice della madrasa Nodir Divan Beghi con relativa cena.

8 maggio

Stamane una visita molto importante: il Mausoleo di Ismail Samani.

Di tutti gli edifici medievali di Bukhara, è di particolare interesse. Questo capolavoro architettonico di fama mondiale fu costruito alla fine del IX secolo. Ismail ibn Aḥmad, noto anche come Ismail Samani, era l’ emiro Samanide di Transoxiana e Khorasan e il figlio di  Ahmad ibn Asad e un discendente di Saman Khuda, l’omonimo antenato della dinastia Samanide che rinunciò allo zoroastrismo e abbracciò l’ Islam.

ll mausoleo rivela un’ architettura molto semplice che si vede nella sua composizione composta da una cupola semisferica che poggia su un cubo di 9 mt di lato e nel disegno equilibrato delle facciate identiche e degli interni. Il nucleo è caratterizzato da regolari mattoni cotti che formano motivi orizzontali e verticali sulle pareti. La buona conservazione dell’ edificio fu possibile in quanto durante l’ invasione dei turchi fu ricoperto interamente di terra come era accaduto per la moschea Maghoki-Attar. Scomparso nel nulla per molti secoli, fu rinvenuto nel 1930 dall’ archeologo russo Sciscin.

Ed ora Poi-Kalyan, il complesso architettonico principale nel centro di Bukhara, situato sulla strada per il commercio all’ incrocio di “quattro bazar”.

Vi si trovano quattro  monumenti: la moschea di Kalyan e la madrasa Miri-Arab, l’una difronte all’altra; tra loro c’è il minareto e a sud di Miri-Arab c’è la piccola madrasa Amir-Allimkhan.

La moschea

Risale al 1514 ed è la seconda più grande dell’Asia centrale con un’ ampiezza di 127 per 78 metri e può ospitare 12.000 credenti. Il perimetro del cortile è costruito con gallerie a cupola (ci sono 208 pilastri e 288 cupole).

La Madrasa Miri-Arab

Si trova si fronte alla moschea e fu costruita nel 1535 da Sayyid Mir Abdullah, un santo sufi yemenita che divenne noto con il nome di Mir-i-Arab, e finanziata da Ubaydulla-khan con la vendita di tremila schiavi persiani. La madrasa ha una forma rettangolare semplice di 73 per 55 metri con due bellissime cupole blu che torreggiano dietro il portale.

Il minareto

Una serie di fasce orizzontali salgono verso la sommità; i mattoni sono disposti in rilievo e diventano particolarmente risaltanti quando sono colpiti dai raggi del sole. Hazar-baf (mille tessiture) è il temine persiano che indica questa tecnica di disporre i mattoni ad ispirandosi ai tessuti pregiati. All’inizio del XII secolo Arslan-khan ordinò di ricostruire il minareto della vecchia moschea ma quando i lavori di costruzione furono terminati, il minareto crollò e 2/3 di esso furono danneggiati, Arslan-khan ordinò di ricostruirlo. Con iscrizione in maiolica turchese, sotto la leggera cornice, si legge che fu terminato nel 1127.

L’ architetto fu Bako il quale poste le fondazioni sparì per evitare di venire sollecitato dal governatore prematuramente al prosieguo dei lavori.  Si racconta che tornò solo quando fu sicuro della buona tenuta della fondazione che era posta a ben dieci metri sotto terra. Con i suoi 45,6 metri di altezza, una base con un diametro di 9 metri, era allora l’edificio più alto del mondo. Meravigliato per la sua bellezza, Gengis Khan evitò di farlo distruggere. Più assomigliante ad una torre che ad un minareto fu l’ ispirazione per altri che in seguito furono realizzati fino al XX secolo anche in altre città dell’ Asia centrale. Si ricorda che Il Mangit Uzbeks-khan giustiziava ladri e criminali facendoli gettare, chiusi in un sacco, dall’ alto del minareto.

La Madrasa Amir-Allimkhan

Dietro il minareto si trova questa piccola madrasa costruita nel 1914 e dal 1924 utilizzata come biblioteca per bambini. Anche qui il computer sta prendendo il sopravvento sui libri e l’aspirazione per i giovani uzbeki al giorno d’oggi è principalmente quella di diventare ricchi…..

Di nuovo al bazar –quello che noi chiameremmo meno poeticamente mercato–. ed altro incontro con suonatore di liuto. L’esplorazione d’un bazar In Uzbekistan è caratterizzato dal  richiamo allo straniero “Frans!” e guardano con simpatia….interessata… anche noi italiani, accennando ad Al Bano, a Toto Cotugno e a qualche squadra di calcio. Questo è quello che arriva di noi in Uzbekistan: dovremmo prestare più attenzione alla nostra immagine internazionale.

Jasur, la nostra guida, ci accompagna in un laboratorio di “marionette” di cartapesta dipinta, dove l’emiro, le belle dell’harem e i coraggiosi cavalieri, tutti in favolosi costumi, son pronti ad inscenare eroiche imprese ed amori fatali.

Gli spettacoli di burattini sono una tradizione consolidata in molti paesi e  la tradizione del teatro dei burattini in Uzbekistan risale al VI-IV secolo a.C., tuttavia, fu nel XIV secolo che ottenne un’ampia diffusione, sotto l’Impero Timuride,  creato dal condottiero turco-mongolo Tamerlano. Ancora oggi le rappresentazioni vengono fatte nei teatri dell’Uzbekistan e il laboratorio dove ci rechiamo è, a detta dell’ insegna,  il più importante dell’ Asia centrale.

Immancabile ed inevitabile…sosta in un mercato di tappeti….

Dopo un giro in centro per vedere il minareto illuminato ceniamo in un bel ristorante posto su un terrazzo da cui si gode una bella vista sulla città. Una mezza luna nel cielo fa da sfondo al  minareto Kalyan illuminato.

Ultima notte a Bukhara domani partenza per Samarcanda con sosta a Shakrisabz.

The post Uzbekistan: architettura, arte e storia sulla via della seta – 2019 – 2a tappa: BUKHARA appeared first on Il Giramondo.

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