Quantcast
Channel: Diari di viaggio – Il Giramondo
Viewing all 574 articles
Browse latest View live

Stati Uniti (Yellowstone e parchi ovest) – agosto 2018

$
0
0

 

  1. A) INFORMAZIONI GENERALI:

IMPORTANTE: come sempre avviso che l’itinerario ha 36 pagine … almeno sapete … di che morte morire se iniziate a leggere … In corsivo ho fatto copia incolla di tutte informazioni raccolte, prima della partenza e poi durante la vacanza. In carattere normale è narrata la nostra avventura. Scrivo i prezzi dei vari ristoranti in modo tale da dare un’idea di quanto si spende in quel posto (i prezzi sono riferiti a due adulti e due ragazzi … che mangiano quasi più di noi …) e i vari orari per sapere quanto tempo richiede ogni cosa. Mi spiace ma racconto anche qualcosa di personale che a chi legge non interessa. E’ l’unico itinerario che scrivo quindi deve essere anche un nostro ricordo. Portate pazienza  …

Quando: 24 giorni dal 28.07.2018 al 20.08.2018.

Itinerario in self drive: 4 notti a New York, volo interno a Bozeman, Yellowstone, Grand Teton, Flaming Gorge, Dead Horse Point, Arches, Monument Valley, Grand Canyon, Page sul Lake Powell, Antelope Canyon, Horseband, Bryce Canyon, Las Vegas, Dead Valley, Yosemite, San Francisco, costa pacifica e Los Angeles.

Perché questo viaggio: per accontentare i nostri figli. Dopo anni di Africa hanno chiesto pietà per un anno … Martina ci teneva tantissimo a vedere New York quindi abbiamo fatto in modo di inserirla. Io e mio marito, a parte NY, Yellowstone e gli Arches NP, avevamo già visto tutto 19 anni fa. Matteo non ci sembrava tanto entusiasta quando gli abbiamo spiegato il giro e ha detto a sua sorella: Martina non farti infinocchiare da questi due … ci fanno vedere tutti i parchi … come se fossimo in Africa!!! Matteo, più sgamato, ci ha beccati subito …. quindi abbiamo inserito 4 città per loro e i parchi per noi … Noi siamo da spazi infiniti e sovrumani silenzi … quindi il caos del traffico e della gente non ci fa impazzire. Abbiamo trovato un compromesso. Devo dire che poi noi torneremo tutti super entusiasti di ogni cosa vista e nei punti in cui c’era più affollamento, abbiamo trovato sempre educazione e rispetto delle code e degli spazi. Quindi, esperienza più che mai positiva.

Valuta: 1 $ circa € 1,14

Prenotazioni: abbiamo fatto tutto noi 10 mesi prima della partenza.

Voli: li abbiamo prenotati direttamente sul sito delle compagnie aeree, per un totale di € 4.102. L’intercontinentale l’abbiamo acquistato sul sito della KLM (€ 761,50 a testa): andata Malpensa – New York (operato da Alitalia) e rientro Los Angeles – Milano via Amsterdam (operato da KLM). Volo interno acquistato sul sito della Delta (€ 247,50 a testa): New York – Bozeman, via Minneapolis (operato sempre da Delta). Per quest’ultimo abbiamo dovuto pagare al momento del check-in on-line il costo delle valige perché non avevamo potuto farlo quando abbiamo prenotato (€ 22 a valigia, totale € 66).

Lodge:

01.08.2018 Absaroka Lodge Gardiner quadrupla pernottamento $ 220,00 193,76
02.08.2018 Canyon Lodge (nel parco) Yellowstone NP quadrupla pernottamento $ 400,93 346,00
03.08.2018 Colter Bay Village (nel parco) Grand Teton NP quadrupla pernottamento $ 287,12 245,40
04.08.2018 Flaming Gorge Resort Flaming Gorge NP quadrupla pernottamento $ 161,70 142,69
05.08.2018 Moab Spring Ranch Moab – Arches NP quadrupla SC con cucina $ 240,14 211,00
06.08.2018 The View Hotel (nel parco) Monument Valley quadrupla pernottamento $ 236,17 200,10
07.08.2018 Yavapai Lodge Grand Canyon NP quadrupla B & B $ 250,74 216,38
08.08.2018 La Quinta Inn & Suite Page-Lake Powell quadrupla B & B $ 261,43 232,67
09.08.2018 Best Western Plus Ruby’s Inn Bryce Canyon NP quadrupla pernottamento $ 192,39 172,38
10.08.2018 Holyday In Express Las Vegas quadrupla B & B $ 225,63 202,53
11.08.2018 Yosemite Gateway Motel Mono Lake quadrupla pernottamento $ 234,08 206,00
12.08.2018 Comfort Inn Yosemite NP quadrupla B & B $ 201,98 181,84
13.08.2018 Comfort Inn Half Moon Bay-S.Francisco quadrupla B & B $ 190,78 171,70
14.08.2018 Comfort Inn Half Moon Bay-S.Francisco quadrupla B & B $ 190,78 171,70
15.08.2018 Cayucos Beach Inn Curayos quadrupla B & B $ 179,20 160,85
16.08.2018 Venice Breeze Suite Venice-Los Angeles appartemento SC con cucina $ 332,50 277,19
17.08.2018 Venice Breeze Suite Venice-Los Angeles appartamento SC con cucina $ 342,00 307,00
18.08.2018 Venice Breeze Suite Venice-Los Angeles appartamento SC con cucina $ 342,00 307,00
$ 5.682,81  4.975,35

I lodge nei parchi (Yellowstone, Monument Valley e Grand Canyon) li abbiamo prenotati direttamente sui rispettivi siti e pagati subito, tutti gli altri invece sulla Booking. Alcuni hanno voluto il pagamento immediato, altri un acconto, altri hanno fatto l’addebito un paio di giorni prima del nostro arrivo e altri invece li abbiamo pagati in loco. Tutte le prenotazioni sono andate a buon fine a parte un disguido con quella di Los Angeles, prima di partire, e di overbooking a New York, al nostro arrivo.

Siti internet dei lodge:

– Absaroka Lodge – Gardiner (http://www.yellowstonemotel.com/)

– Canyon Lodge (nel parco) – Yellowstone NP (https://www.yellowstonenationalparklodges.com/lodgings/cabin/canyon-lodge-cabins/)

– Colter Bay Village (nel parco) – Grand Teton (http://www.gtlc.com/lodges/colter-bay-village)

– Flaming Gorge Resort – Flaming Gorge NP (http://www.flaminggorgeresort.com/)

– Moab Spring Ranch – Moab, Arches NP (http://www.moabspringsranch.com/)

– The View Hotel (nel parco) – Monument Valley (http://monumentvalleyview.com/)

– Yavapai Lodge – Grand Canyon (https://www.visitgrandcanyon.com/yavapai-lodge)

– La Quinta Inn & Suite – Page, Lake Powell (http://www.laquintapageatlakepowell.com/)

– Best Western Plus Ruby’s Inn – Bryce Canyon NP (https://www.rubysinn.com/)

– Holyday In Express – Las Vegas (https://www.ihg.com/holidayinnexpress/hotels/it/it/las-vegas/lasrr/hoteldetail#scmisc=nav_hoteldetail_ex&)

– Yosemite Gateway Motel – Mono Lake (http://yosemitegatewaymotel.com/)

– Comfort Inn – Half Moon Bay, San Francisco (https://www.choicehotels.com/california/half-moon-bay/comfort-inn-hotels/ca853?source=gyxt)

– Cayucos Beach Inn – Cayucos (http://www.beachinncayucos.com/)

– Venice Breeze Suite – Los Angeles (http://www.venicebreezesuites.com/)

Auto: sono anni che prenotiamo le macchine sul sito della Rental Car (https://www.rentalcars.com/it/). Si vedono le proposte dei vari operatori più famosi. Noi abbiamo affittato dalla Budget una berlina della Chevrolet (Malibu) al costo di € 788 (€ 43,78 x 18 giorni). Abbiamo pagato un acconto di € 90 al momento della prenotazione e poi il saldo un mese prima. Il drop-off ce l’hanno addebitato alla consegna della macchina ed è costato $ 347 € 280. Per il giro che abbiamo fatto noi una berlina va benissimo. Ci siamo sempre trovati bene con questo operatore. Un anno in Africa avevamo avuto un problema con una macchina (ci avevano dato un 2×4 e il giorno seguente ci hanno raggiunti con un 4×4 come prenotato) e ci hanno accreditato 400 € per il disguido. Questa volta abbiamo dovuto portare la macchina da un meccanico per una spia che era accesa quindi ci hanno rimborsato il costo sostenuto ($ 47) più $ 53 per il fastidio avuto. Quindi sono molto professionali.

Altri costi: oltre agli importi dei voli, hotel e auto bisogna aggiungere le spese sostenute in loco: benzina € 380 per quasi 6.000 km. (costo al litro benzina € 0,778); spesa al supermercato per qualche colazione, i pranzi e varie € 466; pranzi e cene al ristorante € 2072; escursioni € 905; ingressi ai parchi € 111 (comprensivi dell’annual pass di $ 80); Esta (documento per l’ingresso negli Usa) $ 56 € 48; varie € 123; autista per e da Malpensa € 140.

Patente e guida: la guida è come in Italia. A seconda degli stati ci vuole o meno la patente internazionale convenzione di Ginevra che ha validità 1 anno (http://www.mit.gov.it/mit/site.php?p=cm&o=vd&id=3870 oppure http://www.mit.gov.it/come-fare-per/patenti-mezzi-e-abilitazioni/patenti-mezzi-stradali/permesso-internazionale-di-guida). Noi avevamo quella di Vienna (che vale 3 anni) fatta per i viaggi in Africa (costa sugli 80 €) e non abbiamo voluto fare anche quella di Ginevra. Abbiamo rischiato ma il rental car non ci ha chiesto nulla e la polizia non ci ha mai fermato. Per averla bisogna appoggiarsi alle agenzie di pratiche auto e le tempistiche sono di circa 2 settimane.

Il rischio poteva essere per l’Arizona perchè in alternativa alla patente internazionale avremmo dovuto avere una traduzione in inglese (in quel caso avremmo dato la patente convenzione di Vienna) e il Wyoming però risultava che era esonerato dall’averla chi era in possesso dell’Esta (quindi avremmo dovuto essere a posto). Invece per Montana, Utah, Nevada e California era ok quella italiana.

Documenti e visti:  Passaporto ed Esta (documento che consente di entrare negli Usa, senza richiedere il visto, per un massimo di 90 giorni). Lo si richiede almeno 72 ore prima della partenza, direttamente sul sito: https://esta.cbp.dhs.gov/esta/application.html?execution=e4s1. Vale due anni (o fino a quando scade il passaporto) e lo si può rinnovare senza problemi. Noi abbiamo fatto un’unica richiesta per tutti e 4. Costa $ 14 a testa. Nel giro di qualche ora ci è arrivato l’ok. In arrivo negli Usa ormai eravamo schedati … quindi non ce l’hanno chiesto.

Km. percorsi:  5.728

Tasse e mance: su tutto quello che si acquista (non sui generi alimentari, su questi il prezzo esposto è finito), viene sempre aggiunta la tassa comunale che attualmente ammonta al 8,875%. Al ristorante, oltre alla tassa sempre del 8,875% si DEVE aggiungere la mancia del 20%. Se il totale è 100 $ devi aggiungere circa 30 di mancia. Non abbiamo capito come sia possibile ma a fine cena portano la strisciata della carta di credito con l’importo giusto. Noi firmavamo, aggiungevamo la mancia che ritenevamo opportuna, scrivevamo il totale e consegnavamo il tutto. Il messaggio che arrivava immediatamente sul cellulare era del puro costo della cena. Poi evidentemente c’è il modo di correggere l’importo perchè sull’estratto conto sono risultati tutti gli importi compresi di mancia. A dirla tutta, dove abbiamo scritto il 15% l’addebito è poi stato del 20.

Annual Pass: tessera annuale da acquistare se si visitano diversi parchi. Si risparmia parecchio. Vedi info all’inizio dell’itinerario.

Cibo: siamo sempre andati al ristorante per cena. Le colazioni le facevamo in giro oppure, dove potevamo, in camera. I pranzi o al ristorante o con quello che compravamo nei market. I fast food li abbiamo evitati. Nessuna cena è stata memorabile a parte le tre sere a San Francisco dove abbiamo mangiato pesce davvero buono. Il peggiore è stato il ristorante del The View Hotel alla Monument Valley … abbiamo provato piatti locali Navajo … terribili!!!! L’acqua non si paga mai. Portano dei bicchieroni pieni di ghiaccio con acqua naturale (per intenderci quella del rubinetto super filtrata che si usa anche da noi). Non siamo mai riusciti a berla. E’ cattiva ovunque. La birra media costa sui 9 $. Il vino non lo abbiamo mai preso.

Sicurezza: Nelle zone dei parchi e lungo le strade, problemi zero. A parte nelle grandi città dove girava parecchia polizia, per il resto non abbiamo mai visto un posto di blocco o poliziotti.

Documentazione: info varie raccolte on-line. Ho buttato anche un occhio alla guida della Deagostini che avevamo acquistato quando siamo stati nel 1999 ma onestamente con tutto quello che si trova su internet, si può evitare di acquistarla.

Fuso: Montana, Wyoming e Utah sono – 8. Invece sono – 9 il Nevada, la California e l’Arizona (a parte le riserve Navajo come la Monument Valley che sono – 8. Quindi noi una volta atterrati a Bozeman (Yellowstone) eravamo a – 8 e lo siamo stati fino alla Monument Valley poi siamo passati con il Grand Canyon e Page a  – 9. Al Bryce Canyon di nuovo – 8  e da Las Vegas fino alla fine del tour sempre – 9.

Fotografia: Come lenti ho usato 10-20, 24-105, 70-300. Contrariamente ai miei soliti viaggi africani dove consumo il 70-300 e non uso mai il 10-20, quest’anno ho quasi usato sempre quello. A New York, e nelle città, è fondamentale se si vogliono fotografare i grattacieli mentre in alcuni punti panoramici addirittura non bastava. A dirla tutta, a volte ho dovuto fare le panoramiche con il cellulare perchè rendesse l’immensità dei posti. Per esempio al Goosenecks State Park, per riuscire a riprendere le due anse del fiume, l’unica soluzione è stata la panoramica.

Corrente: serve l’adattatore per caricare le varie tecnologie.

Temperatura e abbigliamento: caldo esagerato ovunque tranne Yellowstone, Grand Teton, Bryce Canyon e San Francisco (fino a quando non è uscito il sole). Abbigliamento super estivo ovunque. Nei punti freschi abbiamo usato i pile la sera. Durante il giorno no. Avevamo i giubbotti ma non li abbiamo neppure tirati fuori dalla valigia. Il posto più freddo è stato Yellowstone la sera.

Misure:

– la temperatura è indicata in gradi Fahrenheit. Per convertirli in Celsius bisogna fare questo calcolo: (xx °F – 32) × 0,555 = xxx °C   esempio: (50°F – 32) x 0,555 = 9,99° C.  Oppure (xx °F – 32) : 1,8 = xxx °C   esempio: (50°F – 32) : 1,8 = 10° C Nell’itinerario indico sempre i gradi Celsius.

– si usano le miglia: 1 miglio = 1,6 km.

– si usano i galloni: 1 gallone = 3,78541 litri

Siti internet generali: (posto per posto li elenco nell’itinerario):

mappe parchi Utah: https://www.myutahparks.com/basics/national-park-maps

sito ufficiale di tutti i parchi americani: https://www.nps.gov/index.htm

differenza fuso orario Arizona Utah: https://www.viaggi-usa.it/fuso-orario-arizona-utah/

info generali: www.viaggi-usa.it

info varie sui parchi: http://www.experienceamerica.it/parks/parks.php

State Park Utah: https://stateparks.utah.gov/parks/

sito ufficiale dello Utah: https://utah.com/destinations

sito con info varie sui parchi: http://www.americansouthwest.net/

fari: http://www.turismo.it/oltreconfine/articolo/art/i-pi-spettacolari-fari-del-pacifico-id-1573/

       http://www2.stile.it/vacanze/estate/2012/west-coast-viaggi-usa-i-fari-piu-belli/index.html

california: http://www.visitcalifornia.com/it

Opinione generale: ottima

  1. B) ITINERARIO GIORNO PER GIORNO:

 

1) 28 luglio 2018 sabato – a piedi km.8

Alle 8.30 si parte con un signore del nostro paese che fa servizio taxi (140 € andata e ritorno). Solitamente andiamo con la nostra macchina e la lasciamo al Green Parking. Quest’anno però non ci ha fatto una tariffa agevolata quindi, per pochi euro di differenza, preferiamo lasciarla a casa, più cha altro perchè è nuova. Arrivati a Malpensa impieghiamo una vita a lasciare le valige, nonostante abbiamo già fatto il check-in on-line, perchè da oggi …. dopo gli attentati delle torri gemelle … del ………. 2001 … hanno iniziato a fare ulteriori controlli. Fanno a ciascun passeggero delle domande che trovano il tempo che trovano. Va beh. Ci troviamo con un compagno di scuola di Matteo e i suoi genitori. Anche loro fanno qualche giorno a NY per poi andare fino a Boston in macchina. Ci mettiamo d’accordo per trovarci una sera a cena. Mangiamo qualcosa e poi partiamo puntuali alle 13.00. Il volo dura 9 ore quindi atterriamo a JFK alle 16.00 locali (- 6 ore). Serata a New York.

 

2) 29 luglio 2018 domenica – a piedi km.18 – tempo sereno

Giornata a New York

3) 30 luglio 2018 lunedì – a piedi km.17 – tempo sereno/nuvolo/pioggia

Giornata a New York

4) 31 luglio 2018 martedì – a piedi km.21 – tempo sereno

Giornata a New York

 

5) 01 agosto 2018 mercoledì

Alle 6.30 partiamo per l’aeroporto di La Guardia dal quale partono i voli nazionali. Solita trafila in aeroporto, facciamo colazione ed alle 10.00 puntuali, con volo Delta, su un aeromobile piccolino, partiamo diretti nella terra degli orsi. Dopo 2 ore e 1/2 di volo facciamo scalo a Minneapolis (qui bisogna tirare indietro l’orologio di 1 ora). 3 ore di scalo dove ne approfittiamo per pranzare (€ 30). Si riparte alla volta di Bozeman, Montana. Altre due ore di volo ed atterriamo alle 15.30 locali (ancora – 1 ora), dall’Italia siamo a – 8. L’aeroporto è in classico stile … Montana. Tutto in legno con orsi ed alci non so se imbalsamati o finti. Il nostro è l’unico volo che arriva quindi recuperiamo i bagagli subito. Andiamo alla Budget e ritiriamo la macchina, una Malibu della Chevrolet. I ragazzi al banco sono di pochissime parole. Ci dicono dov’è la macchina in modo indicativo. Usciamo per cercarla ma giriamo 1/2 ora senza trovare il posto giusto. Fa un caldo pazzesco (38°C) quindi apriamo le valige e ci mettiamo i pantaloncini. Torniamo al banco e ci facciamo accompagnare a fatica … la macchina non era effettivamente dove ci avevano detto. Notiamo subito che ha la spia dell’olio accesa e che quindi o sistemano la cosa o ci danno un’altra macchina. Non c’è molto da discutere con quei due, però. Dicono che si è appena accesa e che può arrivare tranquillamente a Los Angeles. Effettivamente l’olio non ci ha darà problemi. Partiamo con il collo storto alle 17.00. Siamo stupiti dal caldo. Non avrei immaginato delle temperature così alte qui. In 1 ora e mezza di viaggio arriviamo a Gardiner, al gate nord di Yellowstone. Vediamo prima del paese mamma cervo con un piccolo. Andiamo subito a fare l’Annual Pass (80 $) all’ingresso.

Informazioni sull’Annual Pass (America The Beautiful):

https://www.viaggi-usa.it/tessera-parchi/

https://store.usgs.gov/pass/index.html

http://web3.ncentral.com/treasurer/golden_eagle_passport.htm

La tessera che consente di entrare in tutti i parchi americani tranne per le riserve indiane. Fino al 01.01.2007 si chiamava Golden Eagle Passport. Costa 80 $ e vale per 1 macchina, il conducente e altri 3 passeggeri maggiorenni. Vale dal primo giorno del mese in cui è stata fatta all’ultimo giorno del mese dell’anno seguente. Può avere al massimo due proprietari in quanto sul retro c’è lo spazio per due firme. Quando la si acquista si firma il primo poi, a fine vacanza, la si può cedere ad un altro gruppo. Il nuovo proprietario dovrà apporre la firma nel secondo spazio dopodiché, a scadenza, deve essere buttata. La si può acquistare on-line oppure al gate del primo parco nel quale si entra. Conviene acquistarla se si visitano più di 3 parchi nazionali.

Acquistando ora l’Annual Pass evitiamo di perdere tempo domani mattina. La ranger è gentilissima, è vestita proprio come nel cartone animato dell’orso Yoghy … Paghiamo con la carta.  I gate sono aperti 24/24 h.

Informazioni sullo Yellowstone National Park:

https://www.yellowstonepark.com/

https://www.viaggi-usa.it/parco-yellowstone/

http://yellowstone.net/

https://www.nps.gov/yell/index.htm (sito ufficiale parchi USA)

http://www.experienceamerica.it/parks/wy/yellowstone.php

http://www.americansouthwest.net/wyoming/yellowstone/national-park.html

http://www.yellowstone.co/

http://www.geyserstudy.org/browsebasins.aspx?pField=YNP (elenco di tutti i gayser del parco)

https://geysertimes.org/retrieve.php (elenco di tutti i gayser del parco con orari di eruzioni avvenute e previsioni delle future)

  1. A) Il Parco di Yellowstone (Pietra Gialla, il colore dello zolfo) è il più antico parco nazionale d’America, nonché uno dei più grandi e affascinanti. E’ stato istituito nel 1872. Ha una superficie di 8990 kmq., circa come l’Umbria. Ha un’altitudine media di 2.400 mt. Si trova in Wyoming ma ha una piccola parte di territorio anche in Montana e nell’Idaho. Le attrazioni naturali di Yellowstone sono davvero spettacolari, contribuendo a rendere la visita un’esperienza unica nella vita. È qui che troverete più della metà dei geyser di tutto il mondo, sono circa 200, meravigliose sorgenti termali multicolori, spettacolari laghi montani, profondi e suggestivi canyon, fumarole, cascate, solfatare e una fauna decisamente variegata (fra cui orsi, bisonti, alci, puma, qualche lupo). Difficilmente si trova in natura una tale concentrazione di meraviglie in unico posto e non a caso il parco è stato dichiarato nel 1978 patrimonio dell’umanità dall’Unesco. I gate e le strade sono aperte 24 h/24 7 giorni su 7 nei mesi estivi. D’inverno bisogna informarsi perchè alcune sono chiuse come pure i lodge. Il costo d’ingresso è di $ 30 a macchina ed è valido per 7 giorni. Costa $ 50 se si acquista anche l’ingresso per il Grand Teton.

 

  1. B) Il parco dispone di 5 entrate, 2 delle quali sono nel Wyoming e 3 nel Montana.
  • Ingresso Occidentale (West Entrance): ci si arriva dalla US-20, permette l’accesso al parco in prossimità del fiume Madison. La zona è quella dei geyser, che troverete sia verso sud (Upper, Midway e Lower Geyser Basin) sia verso Nord (Norris Geyser Basin). La città più vicina è West Yellowstone e l’ingresso è aperto da fine aprile a inizio novembre, mentre i veicoli in viaggio attrezzati per la neve possono entrare da metà dicembre a metà marzo.
  • Ingresso Meridionale (South Entrance): si tratta dell’entrata che passa dal Grand Teton National Park. Se passate da questo parco attiguo vi conviene visitarlo facendo un biglietto unico (50 dollari) che, senza alcun sovrapprezzo, vi permetterà di esplorare entrambi parchi nazionali. L’entrata è aperta a partire da metà maggio fino a inizio novembre, consente l’ingresso con catene da neve da metà dicembre a metà marzo.
  • Ingresso Orientale (East Entrance): è l’entrata migliore per visitare il lago Yellowstone e risalire poi vero Hayden Valley. La città più vicina è Cody. L’entrata è aperta a partire dai primi di maggio fino a inizio novembre
  • Ingresso Nord-Orientale (North-East Entrance): aperto tutto l’anno, nei periodi invernali è l’unico collegamento funzionante con Gardiner (gate nord). La città più vicina è Cooke City.
  • Ingresso Settentrionale (North Entrance): aperto tutto l’anno, nei periodi invernali è l’unico collegamento funzionante con Cooke City (gate nord-orientale). La città più vicina è Gardiner

 

  1. C) Le cose da vedere sono tutte in zona o a breve distanza dalla Loop Road, una strada interna di 227 km. a forma di 8 a cui sono collegati tutti e 5 gli ingressi. In totale i km. che si possono percorrere nel parco sono circa 400. Il limite di velocità è di circa 73 km all’ora (attenzione ai radar!), ed è bene rispettarlo perché l’attraversamento di bisonti e altri animali selvatici è abbastanza frequente. Non di rado, proprio a causa di questi episodi, si creano dei veri e propri ingorghi che dovrete sopportare con pazienza. Calcolate quindi che i tempi degli spostamenti potrebbero essere più lunghi del previsto. Anche se avete la macchina, considerate l’idea di fare qualche escursione a piedi, il modo migliore per godervi da vicino le bellezze del parco. 
  1. D) Gli aeroporti per raggiungere il parco sono:
  • Cody, WY
  • Jackson, WY
  • Bozeman, MT
  • Billings, MT
  • West Yellowstone, MT. Servito da giugno ai primi di settembre da Salt Lake City (Utah)
  • Idaho Falls, ID
  1. E) Animali: ci sono 67 tipi di mammiferi. Tra questi: grizzly (690 nel 2016, soprattutto nella Lamar Valley, Hayden Valley, Fishing bridge ed entrata est), orso nero (prevalentemente nella parte nord del parco a Mammoth e Tower) i grizzly sono marroni e più piccoli, gli orsi bruni sono neri ma anche marroni, biondi e gialli, e sono più grossi,  lupi (99 nel 2016, sono tornati nel parco nel 1995), lince rossa (bobcat), lince canadese(candadian lynx, sono circa 100), puma (cougar, sono 25/35 e sono molto difficili da avvistare), coyote (sono molti), donnola dalla coda lunga (long-tailed weasel), donnola dalla coda corta (short-tailed Weasel), tasso (budger), martora (marten), volpe rossa (red fox), lontra di fiume (river otter), ghiottone (wolverine), alce (moose), cervo (elk),  bisonte (bison, circa 4.800 ad agosto 2017, si vedono soprattutto nella Hayden e Lamar valley), muflone (Bighorn Sheep, circa 160),  capra di montagna, ecc.ecc. Diversi roditori ed uccelli. 
  1. F) Le meraviglie del parco: https://www.nps.gov/yell/learn/nature/canada-lynx.htm
  • I geyser: sono circa 200. Si formano perchè l’acqua che si trova in fondo alla stretta fessura, anche se è fortemente surriscaldata, fatica ad arrivare ad ebollizione a causa della forte pressione esercitata dalla colonna d’acqua soprastante. Quando l’acqua riesce a raggiungere il punto di ebollizione si trasforma in vapore, supera la forza di pressione che al comprime e spinge violentemente verso l’alto tutto ciò che si trova nella fessura, fino a liberarla completamente, poi il processo riprende. Questo spiega perchè i geyser sono intermittenti. Il tempo fra un’eruzione e l’altra dipende dalla profondità e dalla larghezza della fessura. L’altezza del getto dipende dalla larghezza della fessura, dalla pressione e dalla forza del vento.
  • Le sorgenti calde: l’acqua piovana che penetra nel terreno si riscalda in profondità e torna poi in superficie sotto forma di sorgenti calde calcaree o sulfuree e comunque ricche di vari minerali. Quando l’acqua in superficie evapora lascia depositi di silicio che, accumulandosi formano strati di concrezioni. Il colore dell’acqua dipende in parte dai minerali in essa disciolti ma soprattutto dalla sua temperatura che permetto o meno ad alghe e microrganismi di vivere. Più è blu e trasparente più è calda mentre quando si raffredda diventa marrone.
  • Le fumarole: sono sorgenti esaurite da dove escono solo gas
  • I vulcani di fango: originano da sorgenti calde. Quando queste vengono ossigenate si forma idrogeno solforato. Nel fondo delle sorgenti il disossido di zolfo si scioglie nell’acqua e diventa acido solforoso. Quest’ultimo decompone la roccia in particelle finissime che sporcano l’acqua mossa dai gas che salgono dal basso. Producono le caratteristiche bolle che si osservano in superficie. I vulcani di fango sono spesso maleodoranti. 
  1. G) Pernottamento all’interno o fuori dal parco:
  • fuori dal parco:

– gate nord: Gardiner

– gate nord-est: Cooke City

– gate est: Cody

– gate ovest: West Yellowstone

  • all’interno del parco ci sono diverse possibilità, tutte prenotabili con larghissimo anticipo, sul sito ufficiale: https://www.yellowstonenationalparklodges.com/stay/. Le prenotazioni aprono ai primi di maggio per la stagione estiva dell’anno seguente.

In tutte le aree dei lodge ci sono ristoranti, benzinai e market. Per dare un’idea dei periodi di apertura, indico quelli dell’anno prossimo (2019). Di anno in anno al massimo variano di qualche giorno. Li indico in senso orario partendo da nord.

– Mammoth Hot Springs Hotel & Cabins (26 aprile – 13 ottobre) e (16 dicembre – 03 marzo ma per inverno 2018/2019 rimarrà chiuso per lavori)

– Roosevelt Lodge & Cabins (31 maggio – 02 settembre)

– Canyon Lodge & Cabins (17 maggio – 13 ottobre) la reception si trova al Washburn Lodge mentre le camere, oltre in questo, sono distribuite in diverse strutture (Rhyolite Lodge, Cascade Lodge, Dunraven Lodge, Moran Lodge, Chittenden Lodge, Hayden Lodge). Le Cabin sono in un’area vicina.

– Lake Yellowstone Hotel & Cabins (10 maggio – 07 ottobre)

– Lake Lodge Cabins (10 giugno – 22 settembre)

– Grant Village (lodge)(24 maggio – 29 settembre)

Old Faithful Snow Lodge & Cabins (26 aprile – 20 ottobre) e (16 dicembre – 03 marzo)

– Old Faithful Lodge Cabins (10 maggio – 29 settembre

– Old Faithful Inn (3 maggio – 7 ottobre)

E poi ci sono le aree campeggio sia per tende che per i camper (anche queste prenotabili sul sito e aperte solo d’estate). Le aree pic-nic sono ovunque. C’è la possibilià di prenotare attività e ci sono tantissimi sentieri per fare trakking.

Torniamo indietro di poche centinaia di metri, al paesino di Gardiner, dove dormiremo. Sembra fuori dal mondo. Un torrente lo attraversa. Tutte le costruzioni sono in legno. Chissà come sarà quando la neve, dai primi di ottobre, ricoprirà tutto. Ci piace un sacco questo posto. Adocchiamo un ristorantino vicino al fiume poi andiamo in hotel, l’Absaroka Lodge, (https://www.yellowstonemotel.com/en-us) (€ 194 – solo pernottamento – prenotato su Booking e pagato all’arrivo). Il ragazzo alla reception è di poche parole, sbrighiamo le formalità ed andiamo in camera. Praticamente tutti gli hotel saranno simili: due letti matrimoniali ed il bagno senza finestre. Questo è carino perchè le camere si affacciano sul torrente. Il cielo è uggioso e fa fresco. Doccia veloce ed usciamo per cena. La scelta cade all’unanimità sull’Iron Horse Pub (€ 90). Accantoniamo l’idea di sederci fuori, c’è la terrazza sul fiume, perchè minaccia pioggia … scelta azzeccata perchè dopo 10 minuti si scatena il finimondo. Bel locale con atmosfera molto piacevole. Il cameriere è simpaticissimo. I ragazzi e Pier assaggiano il bisonte. Per la prima volta mangiamo le famose pannocchie alla griglia. Spettacolari. Usciamo davvero soddisfatti. Non piove più. Andiamo a fare la spesa. C’è un piccolo market super fornito. Prima cosa acquistiamo una borsa frigo che sfrutteremo tantissimo aggiungendo il ghiaccio preso nei vari distributori o acquistato nei negozi (lo vendono ovunque). Così avremo sempre tutto fresco anche quando raggiungeremo i 45°. Tornati in hotel ci addormenteremo subito cullati dal rumore del fiume.

6) 02 agosto 2018 giovedì – km.186 (Yellowstone) – tempo sereno/nuvolo

Partiamo alle 7.00 quando apre la reception per lasciare le chiavi, andiamo in un bar a prendere i primi di tanti caffè/the take away e facciamo colazione davanti al cartello Yellowstone con delle brioscine deliziose acquistate ieri sera. Si sta bene con una semplice felpa. Ci sono 18°C. Il paesaggio è piacevole, ci sono dolci collinette in parte ricoperte di pini. Vediamo il Roosevelt Arch.

Informazioni sul Roosevelt Arch: L’idea della costruzione dell’arco è da attribuire a Hiram Martin Chittenden. Il progetto si pensa che sia  dell’architetto Robert Reamer. La costruzione  iniziò il 19 febbraio 1903 e fu completata il 15 agosto 1903, al costo di circa $ 10.000. L’arco fu costruito all’ingresso nord, il primo gate del parco. Il presidente Roosevelt era in visita a Yellowstone durante la costruzione e gli fu chiesto di posizionare la pietra angolare, gli diedero quindi il suo nome  La pietra che posò Roosevelt posò coprì una nicchia che contiene una Sacra Bibbia. Sulla parte alta c’è la scritta: For the benefit and enjoyment of the people (per il beneficio e il divertimento delle persone).

Entriamo alle 7.30. Si sa, come in Africa, che gli avvistamenti migliori si fanno al mattino quando ci sono poche macchine. Luglio e agosto sono i periodi di punta per il parco quindi gli animali si tengono alla larga dalle strade principali. Noi ci teniamo tantissimo a vedere gli orsi e i lupi … pretendiamo poco …. Entrando nel parco lasciamo il Montana ed entriamo nel Wyoming. Qui il fuso è sempre – 8 ore. Questa parte del parco è meno battuta. Ci sono pini, radure, ruscelli, laghetti. Bellissimo. Vediamo qua e là qualche femmina di cervo e la femmina di big horn con il cucciolo. Raggiungiamo velocemente Mammoth Hot Springs. Ci sono hotel, campeggio, market e benzinaio.

Informazioni su Mammoth Hot Springs: Sono sorgenti termali, sono una serie di terrazze di calcare dalle forme impressionanti, dove cascate avvolte dal vapore scendono fra meravigliose sfumature di colori. La maggior parte dei visitatori si limita alle Lower terraces ma questo è un grave errore perché anche le Upper Terraces sono incantevoli! Le Upper Terrace si visitano in macchina fermandosi ai vari punti panoramici (Opal Terrace, Liberty Cap, Palette Spring, Minerva Terrace, Cleopatra Terrace, Jupiter Terrace, Main Terrace and Canary Spring.). Mentre le Lower Terrace a piedi (circa 40 minuti). Rendono di meno in estate perchè l’acqua è poca. Bellissimo il panorama dalla Minerva Terrace. Carino il Villaggio di Mammoth Hot Springs. Qui c’è il Fort Yellowstone del 1886 costruito dall’esercito americano per proteggere i l parco

Lasciamo la macchina e facciamo a piedi il giro sulle passerelle delle Lower Terraces. C’è poca acqua ma è carino. Impieghiamo circa 30 minuti poi ci spostiamo in macchina e percorriamo la strada a senso unico delle Upper Terrace. Proseguiamo. Da qui fino alle Tower Falls è il tratto in cui vengono fatti i maggior avvistamenti di orsi e lupi. Anzichè rimanere sulla strada principale percorriamo quella a senso unico che si chiama  Blacktrail Plateau Drive. Passiamo solo noi ma non vediamo nulla. I paesaggi comunque appagano ugualmente la vista. Deviamo per vedere l’albero pietrificato, ma nulla di che. Al Roosevelt Lodge giriamo a sinistra nella Lamar Valley.

Informazioni sulla Lamar Valley: Ci sono molti cervi wapiti e bisonti. Qui c’è la più alta concentrazione di animali del parco. Splendida valle dove scorre l’omonimo fiume. Bei panorami.

Qui ci sono grandi radure. Dopo poche centinaia di metri ecco che vediamo un bisonte a bordo strada. E’ un maschio per nulla intimorito. Quel poco di pelliccia spessa sulla schiena, che gli rimane dalle scorso inverno, si stacca in vari punti. Bell’animale. Proseguiamo e ne vedremo in tutto una cinquantina. Molti sono sdraiati a ruminare, altri camminano, qualcuno si rotola sulla schiena nella polvere ed un paio di maschi fanno versi per attirare l’attenzione di una povera femmina che non sa più dove andare perchè i due pretendenti la tampinano in modo esasperante. Dopo qualche km. torniamo indietro. Non ci fermiamo per vedere le Tower Falls perchè dobbiamo fare delle scelte visto il poco tempo a disposizione. Da qui la strada è chiusa da metà ottobre a metà giugno. E’ il punto più alto del parco quindi la neve tarda a sciogliersi. Vediamo il monte Washburn. 

Informazioni sul monte Washburn: si trova nella Tower Valley (10243 piedi, 3122 metri), un’altura ideale per fare una bella escursione e ammirare il panorama (la via più semplice è il sentiero che parte da Tower Fall). La camminata dura 3 ore circa ma si può salire anche in macchina (strada molto tortuosa).

Vediamo due aquile in un nido e poi scatto una foto, una delle tante, ad un panorama di un ruscello  tra i pini. Quando arriviamo a casa, sul computer, noto subito una sagoma nera. Ingrandisco … noooooo un orso …. tra le grosse rocce vicino all’acqua. Mi ricordo di quel punto, ci siamo fermati solo un paio di secondi, il tempo di un clic quindi il dettaglio importantissimo non l’avevo proprio notato. Che nervoso! Onestamente, era distante quindi, o mi cadeva l’occhio proprio in quel punto o era impossibile notarlo nel contesto di un grande spazio. Arriviamo nella zona del Canyon (dove dormiremo questa sera).

Informazioni sul Grand Canyon of Yellowstone: Risale a un periodo che va dai 10.000 ai 14.000 anni fa. E’ lungo circa 20 miglia, profondo da 244 a 366 mt. e largo da 457 a 1220 mt. E’ stato creato da un processo di erosione dello Yellowstone River che dallo Yellowstone Lake si dirige verso nord per poi unirsi al fiume Missouri. Processi chimici nel corso del tempo hanno contribuito a creare strisce e macchie colorate variegate nella roccia. Il giallo è il colore predominante, da qui il nome Yellow Stone. Nel canyon ci sono 3 possenti cascate: Upper Falls, Lower Falls e Crystal Falls. Tutti i punti panoramici si possono raggiungere a piedi percorrendo sentieri ben segnalati, ma il percorso richiede parecchie ore, oppure lo si può fare in macchina sostando nei vari parcheggi. I punti di vista migliori sono, percorrendo il North Rim, Inspiration Point, Grand View e Lookout Point mentre percorrendo il South Rim sono, Uncle Tom’s Point, Artist Point (bellissimo) e Sublime Point.  L’Uncle Tom’s Trail sono 328 scalini (circa 15 minuti) che consentono di avvicinarsi alle Lower Falls scendendo nel canyon (imperdibile)

Le Upper Falls: sono alte solo 33 metri ma sono comunque affascinanti. Si vedono bene dall’Uncle Tom’s trail.

Le Crystal Falls: sono piccole. Si trovano tra le Upper e le Lower Falls. Si vedono dall’Uncle Tom’s Trail.

Le Lower Falls: Nel lontano 1870, un membro del partito Washburn, il signor N.P. Langford descrisse le Lower Falls del Grand Canyon di Yellowstone in questo modo: “Un’immagine più bella non fu mai vista da occhi mortali.” E’ alta 94 metri ed è è la cascata più alta del parco. La quantità di acqua che scorre sulle cascate varia notevolmente a seconda della stagione. Nei picchi di deflusso primaverili, 63.500 gal / sec mentre nei minori tempi di deflusso, in autunno, il flusso diminuisce a 5.000 gal / sec. Si può vedere vedere da vicino visitando la piattaforma al Brink of the Lower Falls. Altri punti sono il  Red Rock Point, Artist Point, Brink of the Lower Falls Trail, Uncle Tom’s Trail e in vari punti lungo il South Rim Trail.

Volevamo iniziare dal North Rim ma c’è una fila di macchine praticamente ferme per un bel tratto dallo svincolo. Abbiamo paura di perdere due ore quindi decidiamo di lasciarlo per ultimo. Decidiamo di andare al South Rim e di percorrere a piedi tutto l’Uncle Tom Trail fino all’Artist Point ma accipicchia … amara sorpresa, il trail è chiuso per ristrutturazione. Non si può neppure scendere fino al punto dal quale si vedono da vicino le Lower Falls. Che jella. Andiamo avanti in macchina e ci imbottigliamo. Ci sono tantissime macchine. Troviamo un parcheggio distante e proseguiamo a piedi. Devo dire che c’è tanta gente ma tutti molto rispettosi e non rumorosi. Il cielo si copre ma nonostante l’assenza del sole, il panorama dall’Aritst Point è meraviglioso. Il canyon è magnifico. In lontananza si vedono le Lower Falls. Torniamo alla macchina e ci spostiamo nel parcheggio prima di tornare sulla strada principale, prendiamo qualcosa da sgranocchiare e ci sediamo un pochino distanti, ma non troppo, dalle macchine. Il rischio di attacchi da parte degli orsi non è proprio così remoto e noi non abbiamo lo spray. E’ assolutamente fondamentale se si fanno camminate, bisogna tenerlo legato alla vita e si deve essere ben a conoscenza di come funziona. Lo vendono in tutti i market del parco. Riprendiamo poi direzione sud. Attraversiamo la Hayden Valley.

Informazioni sulla Hayden Valley: E’ ricoperta di artemisia e qui pascolano mandrie di bisonti, è chiamata appunto la vallata dei bisonti.

I paesaggi sono notevoli. In una sorta di parcheggio, in un punto panoramico sul fiume e sui prati, ci sono parecchie persone attrezzate con seggioline, binocoli, cose da mangiare ecc.ecc. Da quello che sentiamo passano le giornate intere qui ad aspettare gli animali. Poco distanti ci sono alcuni bisonti. Ad un certo punto ci troviamo a passo d’uomo. Ci viene paura di essere in coda per arrivare al lago … e ci viene male … dopo una mezz’oretta capiamo il problema. Un grosso bisonte cammina sulla strada, nella nostra corsia, quindi le macchine devono superarlo una ad una. Questo mi mette tristezza perchè c’è davvero troppa gente. Gli animali hanno il loro habitat completamente invaso. A mio avviso dovrebbero regolamentare gli ingressi. So che questo afflusso è limitato a  3/4 mesi all’anno (soprattutto a luglio ed agosto) però il troppo stroppia. Raggiungiamo poi il Yellowstone Lake.

Informazioni sul Yellowstone Lake: E’ il lago alpino più ampio di tutta l’America settentrionale. E’ naturale. Si trova ad una altitudine di 2357 mt. ed ha una profondità di 131 mt. per 136 miglia quadrate di superficie e 110 miglia di costa. Nasce sul Monte Yount nella catena montuosa di Absaroka, al di fuori del confine sud-est del parco, e completa la sua corsa di 671 miglia raggiungendo il fiume Missouri vicino al confine tra Montana e Nord Dakota. Le sue acque poi viaggiano verso il fiume Mississippi e sull’Oceano Atlantico nel Golfo del Messico. Nel lago vivono diversi tipi di pesci.

Qui c’è il Fishing Bridge, il ponte dei pescatori dal quale, dal 1973, non si può più pescare in quanto è il luogo di riproduzione, avendo il fondale ghiaioso, di un tipo di trota (cutthroat trout). Qui c’è il Lake Hotel, storico resort che si trova in riva al lago.

Andiamo al Fishing Bridge dove c’è il visitor center. Facciamo in tempo ad entrare ed ecco che si mette a grandinare. Tutto si copre di bianco. Quando finisce andiamo sulla spiaggia. Torniamo verso il Canyon of Yellowstone facendo sosta al Mud Vulcano e al Dragon’s Mouth Springs.

Informazioni sul Mud Vulcano e sul Dragon’s Mouth Springs: Si tratta di un vulcano di fango che assomiglia ad un grande calderone bollente. Emana puzza di zolfo. Da qui partono sentieri che portano ad altri bacini che, come dice il loro nome, sembrano profonde gole di draghi. L’area non è grossa. Il fumo che esce ed il rumore che si sente rendono il posto particolare.

Ci sono tante macchine ma troviamo subito posto. Minaccia pioggia ma dopo poco torna il sole. Visitiamo tutto il sito. Notiamo in qualche punto delle cacce secche di bisonte. Non essendoci gayser, con grosso rischio per loro perchè le eruzioni sono imprevedibili, vengono qui a scaldarsi quando le temperature diventano proibitive. Ripartiamo e ci riproviamo con il North Rim del canyon ma di nuovo una coda di macchine ferme. Decidiamo di andare in hotel e tornare dopo cena. L’area del Canyon Village ha alcuni ristoranti, il market ed il benzinaio. Ne approfittiamo. La nostra macchina è un benzina e costa $ 3,39 al gallone (€ 0,778 al litro). Un’area è dedicata all’hotel (https://www.yellowstonenationalparklodges.com/lodgings/cabin/canyon-lodge-cabins/). Andiamo alla reception presso il Washburn Lodge (€ 346 – solo pernottamento – pagato tutto al momento della prenotazione sul loro sito). Raggiungiamo la nostra sistemazione, il Moran Lodge. Tutte le strutture sono in legno e sono tenute benissimo. Quando arriviamo non c’è nessuno nei corridoi … mi sembra l’hotel di Shining … I ragazzi iniziano a lavarsi mentre io e Pier andiamo a fare la spesa dove c’è l’area ristoranti e la lavanderia. Torniamo, doccia e usciamo subito per andare a cena. Dalle recensioni lette non si mangia bene da nessuna parte quindi scegliamo a caso. In effetti non sarà nulla di che (€ 55). Quando usciamo fa fresco. Ci riproviamo con il North Rim. Questa volta la strada non è bloccata. Vediamo tutti i punti panoramici da questa parte (anche su questo lato c’è un sentiero che li collega, oltre alla strada asfaltata). Anche se il sole ormai è calato c’è ancora tanta luce. I ragazzi e Pier non hanno voglia quindi scendo da sola fino al Brink Of Lower Falls. Ci si trova proprio sul salto della cascata. Di fronte il bellissimo canyon. Si vede bene la scaletta dell’Uncle Tom’s (quella chiusa per ristrutturazione e dove non siamo riusciti ad andare questa mattina) e in fondo alla valle l’Artist Point. Risalgo (in tutto ci ho messo meno di mezz’ora) e proseguiamo in macchina. Volevamo andare all’Inspiration Point ma anche questo è chiuso …. d’altronde d’inverno i lavori non si possono fare … Alle 20.30 siamo in hotel. L’aria è davvero frizzante.

7) 03 agosto 2018 venerdì –  km.179 (Grand Teton) – tempo sereno

Andiamo a fare colazione dove abbiamo cenato ieri sera (€ 16) e alle 7.30 partiamo. Ci sono 6°C poi con l’arrivo del sole saliranno poco per volta fino a 25°C. Sarà una giornata con vento (non fastidioso) quindi terrà lontane le nuvole regalandoci un cielo azzurrissimo. Puntiamo diretti al Norris Gayser Basin.

Informazioni sul Norris Gayser Basin: E’ composto dal Black Basin (immerso nella foresta e con fenomeni più isolati ) e dal Porcelain Basin (una vasta area aperta in cui si condensa un gran numero di fenomeni geotermici). Il percorso del Porcelain Basin (un loop di 800 metri) si snoda tra fumarole e pozze ribollenti, con vista su numerose mud pots. Bello il panorama sull’area. Per andare al Black Basin bisogna tornare al visitor center e scendere dalla parte opposta. Da lì parte la passerella in legno che tra le altre vi porterà alla favolosa Emerald Spring, allo Steamboat Geyser (il geyser attivo più alto del mondo i cui getti di acqua e vapore, assolutamente “unpredictable”, possono superare i 90 metri d’altezza. Vedere un’eruzione di questa portata non è cosa da tutti i giorni, perché hanno una frequenza che varia da qualche giorno ad alcuni anni, ma il geyser dà sempre spettacolo con piccole eruzioni minori e continue di 3-5 metri d’altezza, quasi fosse il camino di una “steamboat”, da cui appunto il nome) e all”Echinus Geyser è il più ampio geyser d’acqua acida del mondo. Erutta a intervalli irregolari (dai 35 ai 75 minuti).

Mettiamo i giubbotti e ci incamminiamo. Prima visitiamo velocemente il Porcelain Basin per poi andare al Back Basin. Percorriamo tutto l’anello. Molto belle l’Emerald Springs e la Cistern Spring. Il famoso Steamboat Gayser è eruttato il 20 luglio alle 22.36 quindi poche persone l’avranno visto. Leggeremo che è poi erutterà domani alle 14.10. (https://geysertimes.org/geyser.php?id=Steamboat). Dicono che sia un’esplosione di potenza e che si sente fin dal parcheggio. Dura da qualche minuto fino a più di un’ora. Tutti i gayser sono monitorati e vengono scritti i dati. Nella pagina internet indicata sono segnate le eruzioni dal 1965 perchè son poche. Per altri Geyser, bisogna indicare i giorni di interesse perchè sono troppe. Qui sembra di essere su un altro pianeta. Ovunque si vedono colonne di vapore che salgono. Decisamente bello. Proseguiamo. Non possiamo fermarci in ogni punto quindi dobbiamo fare delle scelte. Saltiamo:

– Artist Paint Pots: Poco più a sud del Norris Basin. Ci sono sorgenti termali e due pozze di fango (mudpots). C’è un trail di 1 miglio da percorrere su passerelle.

– Monument Geyser Basin

– Gibbon Falls

Deviamo sulla Firehole Canyon Drive (E’ un anello di 2 miglia che devia dalla strada principale, da fare in macchina. Scorre un fiume caldo dove si può fare il bagno. Ci sono anche delle cascate). Ci fermiamo nel punto indicato e scendiamo alla spiaggetta. Ci sono dei ragazzi che fanno il bagno. Tocchiamo l’acqua. Non è per niente calda ma probabilmente fra tutti i fiumi del parco, questa è quella meno fredda. Arriviamo poi all’inizio dell’area con la maggior parte di geyser. Ci fermiamo al Lower Geyser Basin.

Informazioni sul Lower Geyser Basin: Una passeggiata di circa 1/2 ora, che parte dalla Fountain Paint Pot permette di vedere tutti i fenomeni del parco: geyser, sorgenti termali, fumarole e vulcani di fango. Molto bello lo Spasm Geyser. Altri sono Silex Spring, Red Spouter, Clepsydra Geyser (un tempo esplodeva con regolarità, ora invece di continuo).

Molto bella la Fountain Paint Pot (Celestine Pool). Dallo Spasm Geyser continuano ad uscire zampilli più o meno alti. Saltiamo la Firehole Lake Drive (A senso unico direzione sud-nord, 3 miglia. Bello il Firehole Lake con il White Dome Geyser, la coloratissima Firehole Spring e il Great Fountain Geyser, esplode ogni 8/12 ore) ed arriviamo al Midway Geyser Basin.

Informazioni sul Midway Geyser Basin: Il Grand Prismatic Spring è la più grande sorgente termale del parco Yellowstone, con circa 112,8 metri di diametro e oltre 37 metri di profondità. Si tratta di una delle più incredibili meraviglie naturali degli Stati Uniti, che, con la sua colorazione arcobaleno, attira esploratori, scienziati e turisti da 200 anni. L’intensità di colori proviene da batteri e microbi che si sviluppano lungo i bordi della sorgente, mentre la purezza dell’acqua al centro di questa piscina naturale ha una tinta blu vivace ed è piuttosto rara. La colorazione dipende dalle stagioni e dalle temperature. La temperatura è di circa 160° C. Si visita la zona camminando su passerelle superando il Firehole River. Quest’area non è estesa. Oltre al Grand Prismatica Spring ci sono anche l’Excelsior Geyser Crater, la Turquoise Pool  e l’Opal Pool. Il problema è che visto dalla passerella, il Gran Prismatic Spring non rende al 100% e quindi l’alternativa è salire sulla collina che sta di fronte, e per arrivarci bisogna prendere il trail che parte dal parcheggio ad 1 miglio di distanza con indicazione Fairy Falls. Si trova un ponte di ferro e 10 minuti di camminata che costeggia il fiume poi iniziare a salire sulla collina

Ci sono tante macchine quindi evitiamo di fare il giro sulle passerelle e puntiamo direttamente alla camminata. Parcheggiamo senza difficoltà un paio di km. dopo, al punto di partenza per il Fairy Falls Trail. Percorriamo una strada in piano che costeggia il Firehole River e poi bisogna lasciarla ed imboccare il sentiero che sale sulla collina a sinistra. Non ci si può sbagliare … basta seguire le altre persone … ci si impiega circa 15 minuti. Il panorama è spettacolare. I colori della Grand Prismatic Springs sono bellissimi. Torniamo indietro e vediamo una volpe, per niente intimorita dalle persone, ha la pelliccia estiva quindi è spelacchiata. Proseguiamo cercando un punto dove fermarci per pranzo lungo il Firehole River. Troviamo una radura non distante dalla strada … per avere la via di fuga nel fortunatissimo caso in cui avvistiamo un orso …. utopia … Facciamo un bel pic-nic e poi ci spostiamo al parcheggio del Buiscuit Basin. Pier e i ragazzi si fanno un pisolino in macchina mentre io visito il sito.

Informazioni sul Biscuit Basin: si visita camminando su passerelle, è un anello. Imperdibile la Sapphire Pool.

Se non avete tanto tempo andate per lo meno alla Sapphire Pool, è vicina al parcheggio. Secondo me è la più bella di tutto il parco. L’acqua è di un azzurro incredibile e trasparentissima. Da questa esce un rigagnolo che ha colorato le rocce di giallo. Strepitosa. Ripartiamo e raggiungiamo il punto più famoso di tutto il parco, dove c’è la più grande concentrazione di geyser e quindi hotel, ristoranti e tantissime persone, l’Upper Geyser Basin.

Informazioni sull’Upper Geyser Basin: Si tratta del bacino più a sud, ed è una delle aree più battute e popolari di Yellowstone. Il sito è collegato da passerelle di legno che consentono di avvicinarsi a tutti i geyser e alle piscine. E’ molto esteso, 1 miglio quadrato, è il più grande del parco e la più grande concentrazione al mondo di sorgenti termali. Verificare al visitor center quando esplodono.

        – Old Faithful: il vecchio fedele, il geyser più famoso del parco. Fu scoperto nel 1870 dalla Washburn Expedition, i cui membri si imbatterono nel         geyser durante l’eruzione. Erutta ogni 92 minuti, per 4 minuti, con un potente getto d’acqua che può toccare anche i 55 metri.

        – Grand Geyser: continuate la passeggiata sulle passerelle di legno predisposte e arrivate fino al Grand Geyser, che erutta ogni 6/8 ore con getti di oltre 60 metri d’altezza.

        – Castle Geyser: esplode regolarmente ogni 11/13 ore per circa 50 minuti.

        – Riverside Geyser: è unico in quanto esplode dal fiume Firehole. Nel pomeriggio si può vedere l’arcobaleno. Esplode per 20 minuti ogni 6 ore.         (imperdibile)

        – Moring Glory Pool: un tempo era più colorata poi i turisti, buttando monete, hanno fatto morire i batteri che vivevano qui quindi ora i colori sono più spenti. Poco tempo fa hanno indotto un’esplosione dalla quale sono usciti, oltre alle monete, bottiglie di vetro e sassi. Ora c’è il divieto totale di buttare qualsiasi cosa nella speranza che torni alle condizioni iniziali. (imperdibile)

Fatichiamo a parcheggiare. All’ingresso del Visitor Center c’è un cartello con indicata la prossima eruzione dell’Old Faithful. Sarà alle 14.24 quindi tra 20 minuti. Usciamo all’aperto e ci troviamo di fronte ad un migliaio di persone sedute su panche in legno a semicerchio con vista del geyser. Troviamo un buchino per sederci ed attendiamo. L’esplosione sarà puntuale. Bello. Dovesse interessare si può salire a piedi sulla collina che c’è alle spalle del geyser. Da li si possono fare foto al tramonto con il sole che cala dietro il geyser. Il sentiero parte dalla Geyser Hill, oltre il Firehole River. Ci indirizziamo a piedi al percorso oltre il Firehole River. Davvero notevoli i colori. Arriviamo fino al Grand Geyser. L’eruzione dovrebbe essere a breve (la precedente è stata questa mattina alle 9.09. Ci sediamo ed attendiamo una mezz’oretta ma, vedendo che non succede nulla, dobbiamo andare via. Si sta facendo tardi. Non riusciamo ad arrivare alla fine del percorso, alla Morning Glory Pool, il tempo è tiranno. C’è un ponte per poter riattraversare il fiume e quando arriviamo al Castle Geyser (ha eruttato questa mattina e poi lo rifarà questa sera) sentiamo in boato e d’istinto ci giriamo … il Grand Geyser sta dando il meglio si se. Prendiamo dei gelati e ci indirizziamo all’Old Faithful in tempo per vederlo eruttare di nuovo. Andiamo poi alla macchina. Ci indirizziamo verso il gate sud senza più fare soste. Ci sarebbe da vedere ancora:

Informazioni sul West Thumb:  Molto affascinante per la location e per i colori, anche se non ci sono geyser che eruttano. La cosa più caratteristica è il Fishing Cone. Un pescatore, recuperando una trota, per sbaglio l’ha gettata nel cono. E’ andata sul fondo ed è tornata in superficie … cotta … La voce si sparse e da allora molti pescatori pescavano e cuocevano in questo modo le trote. La pesca e la cottura sono vietate in dal 1921 quando un uomo, per un’eruzione improvvisa, si è ustionato gravemente. Questo geyser esplose spesso nel 1919 e poi qualche volta nel 1939. 

Informazioni sul Lewis River (vicino al gate sud): Si vedono ancora i danni che ha fatto il terribile incendio del 1984 quando il 35% del parco è andato a fuoco.  

Mio papà, quando è venuto negli Stati Uniti nel 1992, avrebbe voluto realizzare il suo sogno venendo qui. Non ha potuto perchè era tutto devastato e da dovuto ripiegare sulla costa est. Yellowstone non ha più fatto in tempo a vederlo … l’ho fatto io per lui… Usciamo dal parco ed entriamo nel Grand Teton National Park senza che ci fermino al gate. Tanto siamo a posto avendo l’Annual Pass.

Informazioni sul Grand Teton National Park:

https://www.viaggi-usa.it/grand-teton-national-park/

https://www.nps.gov/grte/index.htm (sito ufficiale parchi USA)

https://www.jacksonholewy.net/

http://www.experienceamerica.it/parks/wy/grandteton.php

http://www.americansouthwest.net/wyoming/grand-teton/national-park.html

Ci sono tre gate, uno ad est, a Moran ed uno a sud a Moose ed uno a nord dal quale si entra nello Yellowstone National Park. Il gate nord è chiuso da novembre a maggio quindi se si vogliono visitare entrambe i parchi passando da qui in questo periodo, non è fattibile.

Il costo d’ingresso è di $ 30 a macchina ed è valido per 7 giorni. Costa $ 50 se si acquista anche l’ingresso per Yellowstone.

Buona parte del parco è occupata da laghi, il più grosso è il Jackson Lake.

Jackson è la cittadina, Jackson Hole è tutta l’area. Questa cittadina è in stile far west. Il bar più famoso è il Million Dollar Cowboy Bar. Fanno il rodeo e ci sono anche molti negozi alla moda visto che quest’area è molto gettonata per gli sport invernali.

Ci sono due strade che collegano Jackson, a sud, a Moran, nel centro del parco. La 191, che costeggia lo Snake River il principale affluente del Jackson Lake, le collega direttamente e più velocemente e poi, la più panoramica Teton Park Road (chiusa da novembre a maggio).

Cosa si può vedere percorrendo la Teton Park Road (da sud verso nord):

Si imbocca 13 km. dopo Jackson, svoltando a sinistra.

Un miglio dopo la Moose junction c’è l’ Episcopal Chapel of the Transfiguration, una graziosa chiesetta in legno immersa nel verde, costruita negli anni ’20 del secolo scorso. 

Si entra poi nel parco dal gate di Moose.

1) Menors Ferry: Dopo Moose, appena superata la stazione dei rangers, girate a destra e raggiungete il punto d’attracco della Menors Ferry. Da qui, dopo il tour di una fattoria storica della zona, parte una traversata in barca sullo Snake River.

2) Taggart Lake Trail: Dopo circa 3 miglia dalla stazione di Moose, sulla sinistra vedrete un’area parcheggio, in corrispondenza del sentiero che porta a due laghi: Taggart Lake e Bradley Lake. Il sentiero ha una durata variabile a seconda del lago che si vuole raggiungere: calcolate comunque un minimo di 2 ore (3 miglia di sentiero facile) per raggiungere il Taggart Lake e tornare alla macchina. Per raggiungere il Bradley Lake ci vogliono almeno 3.30 h.

3) Jenny Lake: Incontrerete le acque cristalline del Jenny Lake dopo altre 4 miglia di macchina e, in questo caso, una sosta è d’obbligo. Se avete un po’ di tempo, potete decidere di prendere un battello (a pagamento) e raggiungere l’altra sponda del lago: dalla West Shore Boat Dock partono alcuni tra i più noti sentieri del parco.

Se non volete spendere per il battello, potete raggiungere l’altra sponda con la vostra auto tramite la Jenny Lake Road, ma la West Shore Boat Dock è distante dal parcheggio e dovrete percorrere il Jenny Lake Trail (2 miglia) per raggiungerla. Dalla Boat Dock partono sentieri per:

        – Inspiration Point, un point of view sopraelevato (circa 1 miglio in salita) che offre splendidi panorami sul lago;

        -le Hidden Falls, cascate nascoste nel bosco, raggiungibili tramite lo stesso sentiero che vi porta a Inspiration Point, chiamato Cascade Canyon    Trail. Attenzione agli orsi!

4) Signal Mountain Scenic Drive: Lasciandovi alle spalle Jenny Lake, continuate a procedere in direzione Colter Bay-Yellowstone. Dopo circa 5 miglia, vedrete un cartello con su scritto Signal Mountain Summit: imboccatela se volete percorrere le 4 miglia di una strada che si inerpica nel bosco della Signal Mountain. Vi porterà nei pressi del Jackson Lake Overlook, un punto da cui si gode di una bella vista della valle del Jackson Lake.

Cosa si può vedere percorrendo la 191 (da sud verso nord):

Allo svincolo per il Moose Gate bisogna proseguire diritto.

– superato di poco lo svincolo per il Moose Gate, girare a destra sulla Antelope Flats Road e poi a destra in Mormon Row. Troverete sulla destra la fattoria più “scenografica” del Grand Teton, la Mormon Barn, simbolo del parco.

– 14 miglia prima del Moran Gate, girando a destra sul Cunningham Cabin Loop, c’è un brevissimo sentiero che porta a ciò che rimane di una vecchia fattoria. Fotografatela cercando la migliore angolazione per inquadrare anche le splendide cime che la incorniciano. 

Una volta arrivati a Moran, da una delle due strade descritte, 2,5 miglia dopo la stazione dei rangers nei pressi del meandro del fiume chiamato Exbow Bend, c’è uno splendido panorama e spesso si vedono gli alci. Dal parcheggio del Jackson Lake Lodge partono alcuni brevi sentieri. Uno di questi porta in cima alla collinetta di Lunch Tree Hill, dalla quale c’è uno splendido panorama del lago.

Colter Bay Village è la maggiore area di accoglienza turistica del Grand Teton, ed anche uno dei posti migliori dove alloggiare se si vuole pernottare all’interno del parco. Si trova sulla sponda del maestoso Jackson Lake dal quale partono molti sentieri. Uno dei più belli è il  Colter Bay Lakeshore Trail.

I paesaggi sono molto belli. Costeggiamo il grande Jackson Lake con lo sfondo dei Teton innevati. Arriviamo a Colter Bay, dove dormiremo, in 1 ora e 1/2. La cosa che notiamo è che ovunque ci sono indicati i cartelli di pericolo degli orsi. Molti di più rispetto a Yellowstone. Questo credo perchè qui è molto meno battuto dal turismo di massa quindi gli animali sono più liberi di girare senza paura. Andiamo a fare un pò di spesa al market, dovesse interessare c’è anche una lavanderia. Andiamo poi a buttare un occhio alle uniche due possibilità che ci sono per la cena (un ristorante ed una pizzeria) e poi andiamo in hotel, al Colter Bay Village (http://www.gtlc.com/lodges/colter-bay-village) (€ 242 – solo pernottamento – prenotato su Booking e pagato al momento della prenotazione). Sono tutti chalets in legno sparsi tra i pini. Bello. Anche qui questa sera fa fresco. Doccia e andiamo a cena. Inizialmente puntiamo al ristorante, il John Colter’s Ranch House, ma poi c’è troppo da aspettare quindi andiamo nel locale di fianco, The Court Pizzeria. Ordiniamo due pizze giganti in 4 e proviamo le birre locali. Tutto buono (€ 68). Facciamo un giro in macchina nei dintorni sperando di vedere qualche animale, ma nulla. Allora andiamo a dormire.

8) 04 agosto 2018 sabato – km.530 (Flaming Gorge NP) – tempo sereno

Il market apre alle 7.30 quindi per quell’ora andiamo a prendere the e caffè take away per la colazione e poi partiamo. Ci sono 5°C. Per raggiungere il gate sud optiamo per la panoramica Teton Park Road. Costeggia i laghi. Carino il Jenny Lake. Viaggiamo per un tratto verso ovest quindi, avendo il sole alle spalle, ci fermiamo diverse volte a fotografare i Teton. Anche qui cartelli di pericolo orsi. Ci fermiamo un attimo a Dornans dove ci sono un ristorante e alcuni market. Poi ci spostiamo alla Chapel of the Transfiguration per fotografarla con i Teton alle spalle. Bello. Arriviamo poi alla 191 che collega direttamente Jackson con Colter Bay e andiamo a sinistra, per pochi km, per poi girare a destrasulla Antelope Flats Road e poi a destra sulla Mormon Row. Qui ci sono due fattorie antiche. Una sulla destra dove rimane solo la costruzione principale e poi sulla sinistra un’altra con le recinzioni in legno per gli animali. Entrambe sono tenute molto bene e sullo sfondo ci sono sempre i Teton. Foto da cartolina. Peccato che non ci siano bisonti nei dintorni. Sono le 10 e dobbiamo partire. Ci aspettano 450 km. Yellowstone è completamente fuori mano rispetto agli altri parchi dell’ovest degli Usa quindi noi decidiamo di spezzare il viaggio arrivando alle Flaming Gorge. Il posto è carino se si è di passaggio, venire appositamente, no. Ci indirizziamo quindi verso sud. Passiamo per il grazioso paesino di Jakson Hole. Fra 3 giorni una famiglia del nostro paese (Roberta ed Emilio con un figlio più grande, la seconda coetanea di Matteo e la terza compagna di scuola di Martina, soprannominati i Basket) arriveranno fin qui direttamente dall’Italia. Studieremo i due tour in modo tale da trovarci un paio di volte. Sarebbe stato bello fare il viaggio insieme ma non siamo riusciti a far combaciare le date delle ferie e i giorni a disposizione. Ci fermiamo per pranzo in un’area pic-nic, super attrezzata e tenuta benissimo, lungo la strada. Incomincia a fare davvero caldo (33°C), abituati alle temperature dei giorni scorsi …. ci dobbiamo abituare velocemente perchè il caldo folle lo sentiremo sempre da qui in poi. Facciamo scorta di ghiaccio da mettere nella borsa frigo. Arriviamo sulla 191 fino a Rock Springs. Se si prosegue sempre sulla 191 si arriva più velocemente all’hotel ma noi vogliamo fare la strada panoramica sulle gole quindi facciamo un tratto della 80 fino a Green River e poi prendiamo la 530.

Informazioni sulle Flaming Gorge:

https://utah.com/flaming-gorge

https://www.viaggi-usa.it/flaming-gorge/

http://www.americansouthwest.net/utah/flaming_gorge/nra.html

Da Green River prendere la strada 530 che costeggia il lato occidentale delle gole. A Manila dal Wyoming si entra in Utah. Paesaggi molto belli con poca gente.  Non si paga l’ingresso. Le gole sono lunghe 145 km. e si sviluppano lungo il fiume Green.

Si incontrano:

-lo Sheep Creek loop (km.18 dicono che ci vuole circa 1 ora ?? per percorrerlo e poi si torna sulla stessa strada qualche miglio più a sud. Volendo, dalla parte più occidentale, parte una strada di 32 km. che porta al piccolo Spirt Lake, 3048 mt., dove ci sono un albergo ed un campeggio)

– Dallo Sheep Creek Overlook (Rt.503, Manila, coordinate N.40° 54’ 28.87” w.109° 41’ 54.48”) si gode una visuale da cartolina (con particolari effetti di luce all’alba e al tramonto), uno degli scorci probabilmente più sfruttati del luogo, proprio perché è uno dei più suggestivi: le Navajo Cliffs con splendide stratificazioni rossastre e l’altopiano più in lontananza, leggermente inclinato, che sembra emergere dall’acqua. Davvero un’immagine incantevole, un simbolo della spettacolarità di Flaming Gorge.

Down Mnt Overlook (da non perdere). Da qui parte percorso di quasi 18 chilometri, perfetto per gli amanti dell’hiking e della bicicletta, che permette di vivere un rapporto ancor più diretto con la bellezza del Red Canyon e del lago. Nei giorni di cielo terso la prospettiva si estende fino al Wyoming.

– il bellissimo Red Canyon Overlook.

– la diga, lunga 392 metri e alta 154

– Kingfisher Island, un’isola a cui si accede solo in barca, dove si campeggia in modo spartano perfettamente in armonia con la natura. La rampa d’attracco più vicina è quella di Sheep Creek (a meno di 5 chilometri). Molti appassionati pescatori vengono a praticare il loro hobby preferito qui e si godono anche i profumi e i suoni della natura (uccelli che cantano, pesci che saltano, gracidii delle rane) come pure i suoi silenzi.

– Horseshoe Canyon è una spettacolare gola a forma di ferro di cavallo molto apprezzata anche dall’alto per la sua conformità ma comunque ideale per le uscite in barca e la pesca.

A Manila entriamo nello Utah e i punti carini da vedere iniziano dopo il paese. Facciamo un paio di soste e poi deviamo per vedere il lago dal Red Canyon. Bello. Prima di andare in hotel vogliamo arrivare sul lago, dove, dalle mappe sul telefono, vediamo che c’è un porticciolo. Si chiama Cedar Springs Marina. C’è un campeggio ma la maggior parte delle persone sono qui con le barche. C’è un ristorantino galleggiante con la musica e tanti ragazzi. Decidiamo di venire qui a cena. Torniamo indietro e alle 16.00 siamo in hotel, il Flaming Gorge Resort ((http://www.flaminggorgeresort.com/) (€ 143 – solo pernottamento – prenotato su Booking e pagato all’arrivo). Senza infamia e senza lode. Costruzione vecchiotta ma pulita. Doccia e poi andiamo a cena alla Marina (€ 76). Ci è piaciuto molto. I ragazzi che ci hanno servito erano fortissimi. Mangeremo in stile messicano, tacos con all’interno pesce. Buono. Nel mentre si mette a piovere ma solo uno scrocio. Molte persone che hanno le barche vengono qui anche solo per bersi una birra. Tanti hanno il cane. Diversi hanno i labradors … e ci scatta la nostalgia. Torniamo in hotel subito dopo perchè domani mattina vogliamo partire presto. La giornata di domani dovrebbe durare 48 ore dalle cose che ci saranno da vedere ….

9) 05 agosto 2018 domenica –  km.600 (Dead Horse Point – Arches NP) – tempo sereno

Alle 7.00 lasciamo l’hotel. Lungo la strada vediamo diversi cervi. Ci fermiamo a Vernal per fare colazione da Betty’s (€ 28). Scegliamo un classico bar americano come quelli che si vedono nei film, dove c’è un jukebox e la cameriera che continua a passare con la caraffa del caffè (paghi solo il primo, le aggiunte sono comprese nel prezzo). Proviamo i famosi pancake con lo sciroppo di acero. Buoni. La proprietaria continua a guardarci e ci sorride. Alla fine non resiste più e ci viene a chiedere da dove arriviamo. Ci dice che l’Italia è il suo sogno. Che non appena potrà, organizzerà un viaggio. Ripartiamo. Raggiungiamo i 38°C all’arrivo al Dead Horse Point. Quando si scende dalla macchina sembra di entrare in un forno. Purtroppo per questione di tempo, dobbiamo saltare il Canyonlands National Park.

Informazioni sul Canyolands National Park:

https://utah.com/destinations

https://www.myutahparks.com/basics/official-canyonlands-national-park-map-pdf (mappa ufficiale)

http://www.discovermoab.com/canyonlandsnationalpark.htm

https://www.nps.gov/cany/index.htm (sito ufficiale parchi USA)

https://www.viaggi-usa.it/visitare-canyonlands/

http://www.experienceamerica.it/parks/ut/canyonlands.php

http://www.experienceamerica.it/parks/ut/canyonlands_islandinthesky.php

http://www.experienceamerica.it/parks/ut/canyonlands_needles.php

http://www.americansouthwest.net/utah/canyonlands/national_park.html

Orari: aperto 24 h su 24 – Costo ingresso: $ 25 a veicolo. Accettato il pass annuale. E’ diventato parco nel 1964. Ha una dimensione di 1.366 kmq. L’altitudine varia da 1.200 a 2.300 mt. Ci sono due fiumi, il Colorado River e il Green River.  Il clima è desertico con inverni freddi ed estati caldissime con molta escursione tra la  notte ed il giorno. Piove poco e l’umidità è bassissima. Non ci sono strutture ricettive per i turisti.

Ci sono 3 aree da visitare (tutto il giro sono 36 miglia):

1) Island in the sky che si raggiunge dal gate nord, dalla strada 313. Quest’area si trova alla confluenza del Green River con il Colorado River. Si possono vedere:

– sulla strada principale, a 7 miglia dal gate, il Mesa Arch (0,5 miglia a piedi) (al mattino il sole sorge proprio dietro l’arco)

– imboccando la strada che porta verso sud, sulla destra, c’è il Murfy Point. A piedi bisogna percorrere 1,3 miglia a tratta. Nulla di che.

– proseguendo verso sud c’è il Buck Canyon Overlook

– proseguendo sempre diritto, dopo altre 3 miglia, il Grand View Point Overlook (1850 mt.) dal quale si vede la confluenza dei due fiumi (a piedi 1 miglio a tratta)

Tornando indietro fino quasi a Mesa Arch, si imbocca l’altra strada dove si vedono (la strada è lunga 5 miglia):

– Green River Overlook

Con il caldo che fa i ragazzi sognano la piscina dell’hotel nel quale pernotteremo quindi facciamo solo una puntatina al Dead Horse Point, che non richiede tanto tempo.

Informazioni sul Dead Horse Point:

http://www.discovermoab.com/stateparks.htm

https://www.viaggi-usa.it/dead-horse-point-state-park/      

http://www.experienceamerica.it/parks/ut/canyonlands.php#deadhorse

https://stateparks.utah.gov/parks/dead-horse/ 

Costo: 20 $ – Non accettano l’annual Pass perchè non è parco nazionale – Orari: 6 – 22

Il Dead Horse Point Trail è brevissimo e porta ad una terrazza che si affaccia sull’ansa del fiume Colorado dal quale c’è una vista spettacolare. Viene chiamato Dead Horse Point perchè sono morti molti cavalli. I cowboys lasciavano su quest’ansa a strapiombo sul fiume quelli che dovevano domare. Poi chiudevano l’altro lato con delle ramaglie formando un recinto naturale. Una volta qualche misterioso motivo li hanno “dimenticati”. Morirono tutti di sete guardando dall’alto l’acqua del fiume che scorreva sotto di loro. Un’altra versione narra che si gettarono nel vuoto perchè era meglio morire liberi piuttosto che vivere domati dall’uomo. In questo luogo è stata anche girata la scena finale di Thelma & Louise in cui le due protagoniste si gettano con l’auto nel canyon sottostante.

Ci affacciamo in tutti i punti panoramici. Non riconosco il punto in cui hanno girato il film anche perchè hanno costruito muretti di protezione ed una grossa tettoia per riparare dal sole. Bel colpo d’occhio. Vedremo, oltre questo, altri due punti simili, questo forse è il meno bello. In primis metterei l’Horseshoe Bend a Page e poi il Gooseneks prima della Monument Valley. Comunque, se si passa di qui, merita una sosta. Ci spostiamo poi a Moab. Arriviamo alle 15.00. Facciamo un giro di perlustrazione del paese. Ci piacerà l’atmosfera che c’è qui. Andiamo in hotel, il Moab Spring Ranch (http://www.moabspringsranch.com/) (€ 211 – solo pernottamento – prenotato su Booking e pagato al momento della prenotazione). La proprietaria è gentilissima. Le chiediamo se c’è la possibilità di lavare i vestiti. Lei dice che essendo domenica la lavanderia non funziona con servizio a domicilio ma solo self service nel negozio in paese. Si offre di portare lei le cose e di andare a prenderle, visto che noi andremo a visitare l’Arches National Park. Rifiutiamo. L’hotel è una piacevolissima sorpesa. La nostra camera è una dei 5 chalets che ci sono all’ingresso, altri sono in costruzione. E’ tutto nuovo e davvero bello. All’interno c’è anche una piccola cucina e i letti sono immensi … abituati ormai a dormire in quelli queen size … I ragazzi e Pier vanno subito in piscina, c’è anche una zona con un laghetto naturale, io lavo a mano giusto due cosine, tanto … 1 ora al massimo … sarà tutto asciutto, e poi li raggiungo. Alle 17.00 siamo di nuovo in macchina destinazione Arches National Park.

Informazioni sull’Arches National Park:

https://utah.com/arches-national-park

https://www.myutahparks.com/basics/official-arches-national-park-map-pdf (mappa ufficiale)

http://www.discovermoab.com/archesnationalpark.htm

https://www.nps.gov/arch/index.htm (sito ufficiale parchi USA)

https://www.viaggi-usa.it/arches-national-park/

http://www.experienceamerica.it/parks/ut/arches.php

http://www.americansouthwest.net/utah/arches/national_park.html

Orari: aperto 24 h su 24 – Costo ingresso: $ 30 a veicolo. Accettato il pass annuale

Parco istituito nel 1971 caratterizzato da tanti archi di roccia naturali e pinnacoli  roccia rossa erosi dall’acqua, dal vento e dalle temperature estreme. Ci sono più di 2000 “sculture”. Ha una superficie di 296 kmq e si sviluppa ad un’altitudine che va da 1200 a 1700 mt. E’ aperto tutto l’anno ma il momento migliore per visitarlo va da aprile a settembre anche se le temperature sono elevate. L’acqua si trova solo al Visitor Center e al Devil’s Garden. Una strada lo attraversa per tutta la lunghezza e poi bisogna percorrere dei trail segnalati per visitare i punti di interesse. Dal Gate al punto più lontano con punti di interesse notevoli, il Devils’ Garden, sono 18 miglia.

– Al gate, che si trova nella parte sud del parco, c’è una zona chiamata Park Avenue dove ci sono grossi monoliti che danno l’impressione di trovarsi tra i grattacieli di New York. C’è un viewpoint

– Courthouse Towers Viewpoint (panorama)

– Balanced Rock (bizzarra roccia, fare un giro a piedi intorno, lunghezza 0,3 miglia)

– proseguendo si devia a destra per la zona delle “Finestre” (North e South Windows), molto bella al tramonto, da fare a piedi. Dal parcheggio bisogna percorre 1 miglio a tratta. Ci sono anche il Turret Arch e il Double Arch (splendido per il tramonto)

– tornando alla strada principale si arriva poi allo svincolo per il Delicate Arch, bellissimo. E’ il simbolo del parco e dello stato dello Utah. Si parcheggia a Walfe Ranch (nei pressi del quale si può ammirare anche una parete di roccia con antichi petroglifi, incisioni rupestri lasciate dai nativi) e bisogna percorrere un sentiero di 1,5 miglia a tratta, a piedi ma si può vedere da lontano anche dall’Upper Viewpoint. Si parcheggia la macchina al Viewpoint Parking e si fa un tratto in salita a piedi. Lo si vede ad 1 miglio di distanza nel contesto della zona.

– sempre dalla principale, Fiery Furnace Viewpoint e Salt Valley Overlook poi, a piedi, il Sand Dune Arch (molto bello), il Broken Arch, lo Skyline Arch. Per visitare a piedi il Fiery Furnace, in un labirinto di rocce, vista la pericolosità, bisogna avere permessi chiesti al Visitor Center oppure farsi accompagnare dai ranger al costo di $ 4 a testa. E’ bellissimo.

– appena oltre, sempre sulla destra, si devia per il Devils’ Garden. Partono molti sentieri per un totale di 7 miglia (Devils’ Garden Trail e Primitive Loop Trail). Qui si trovano il Tunnel Arch (bello) , il Pine Tree Arch (bello), il Landscape Arch l’arco più lungo al mondo (alto 23 mt e lungo 93), il Double O Arch e il Dark Angel. Dal parcheggio al Double O Arch sono 4,5 miglia totali, andata e ritorno.

Fuori dal parco se si vuole, si può percorrere in macchina la Scenic Byway UT-128 che costeggia nel primo tratto il canyon del fiume Colorado.

Abbiamo scorta di acqua, per fortuna perchè il visitor center ha chiuso alle 17.00. E’ da pazzi entrare sprovvisti. Questo parco merita una giornata intera con le numerose passeggiate che ci sono, se si sopporta bene il caldo. Noi andiamo fino a piedi fino al North e South Windows e al Turret Arch. Andiamo poi in macchina fino al Devils Garden Trailhead. Da qui partono delle passeggiate fino a punti panoramici molto belli ma, come al solito, visto il poco tempo, bisogna fare delle scelte. Torniamo indietro fino al parcheggio per vedere il Delicate Arch dal view point di fronte (si arriva in una decina di minuti a piedi). Ormai il sole è basso sull’orizzonte quindi non avremmo fatto in tempo a fare la camminata per raggiungerlo. E poi onestamente fa un caldo pauroso (40°C). Secondo me i mesi ideali per visitare questo posto sono maggio/giugno e settembre/ottobre. Lo spettacolo dell’arco e delle rocce sul quale si trova è decisamente notevole. Torniamo alla macchina e rientriamo. Arriviamo a Moab alle 20.00. Decidiamo di andare direttamente a cena. Scegliamo The Peace Tree Café (€ 75) (http://www.peacetreecafe.com/Home). Mangeremo bene. Alle 22.00 rientriamo e ci sono ancora 35°C …. Doccia e a letto belli climatizzati. 

10) 06 agosto 2018 lunedì – km. 338 (Goseneeck – Mounument Valley) – tempo sereno

Mi sarebbe piaciuto andare a vedere l’alba al Mesa Arch nel Canyonlands National Park, punto di ritrovo di appassionati di fotografia ma accantoniamo l’idea. Bisognerebbe tornare indietro di 50 km. e anche oggi abbiamo tanto da vedere. Andiamo a prendere la fare colazione take-away al bar del benzinaio e alle 8.30 partiamo. Circa 40 km. a sud di Moab, appena dopo lo svincolo con la 46 si vede il Wilson Arch (https://www.visitutah.com/articles/wilson-arch/). Ci fermiamo a Bluff, piccolo paesino da far west, al Twin Rocks Cafè per vedere le due rocce che lo sovrastano (https://www.visitutah.com/places-to-go/cities-and-towns/bluff/). Vediamo due camper parcheggiati, passiamo di fianco e quando i proprietari, italiani, sentendoci parlare, ci fermano per fare due chiacchiere. Progettano interni di camper e una delle ditte per la quale lavorano, glieli hanno dati da provare per un mese, da New York a San Francisco. Quindi si fanno praticamente le vacanze gratis… Ripartiamo. Dovesse interessare si potrebbe fare una deviazione di 5 miglia a tratta dalla strada principale, la 163 (si devia a sinistra dopo 3 miglia dallo svincolo per la 191) per vedere le River House Ruins (https://www.visitutah.com/articles/the-history-of-river-house-ruin-and-how-to-experience-it-today/). Vediamo in lontananza la Valley of gods & moki dugway (https://www.visitutah.com/places-to-go/state-and-federal-recreation-areas/southern/bears-ears-national-monument/valley-of-the-gods/). Anche questa sarebbe stata da visitare … Noi passiamo dritto e, 6,4 km. prima di Mexican Hut, deviamo a destra sulla 261 e poco dopo a sinistra sulla 316. Arriviamo nel Goosenecks State Park alle 11.00.

Informazioni sul Goosenecks State Park:

– https://www.visitutah.com/places-to-go/state-and-federal-recreation-areas/southern/goosenecks-state-park/)

– https://www.viaggi-usa.it/goosenecks-state-park/

– https://stateparks.utah.gov/parks/goosenecks/

L’ingresso costa $ 5 – non accettano l’annual pass. C’è una vista meravigliosa sulle due anse del San Juan River.

Riesco a fotografarle solo con la panoramica del cellulare vista l’immensità del posto. Il 10-20 non serve a nulla. E’ una piccola deviazione, consiglio assolutamente di farla. Richiede 10 minuti di visita.  C’è un altro punto panoramico più avanti, è distante però decidiamo di andare ugualmente. Si chiama Muley Point. Torniamo sulla 261 e la percorriamo per 14 km. La strada sale con grossi tornanti sulla montagna. Non c’è neppure una pianta, tutto deserto. Dalla sommità c’è una gran bella vista. Svoltiamo poi a sinistra. Non ci sono indicazioni quindi seguiamo la mappa del cellulare. Dopo 6 miglia siamo al punto panoramico.

Informazioni sul Muley Point:

– https://www.nps.gov/glca/planyourvisit/muley-point.htm

Si vede in lontananza la Monument Valley. Bello ma se si è di fretta, non consiglio la deviazione fino a qui perchè richiede tempo. Sono solo 21,6 km. a tratta dalla strada principale ma ci vuole più di 1 ora e poi sulla sommità della montagna, la strada è sterrata. Torniamo indietro, facciamo una foto alla famosa roccia che sembra un sombrero, in ingresso a Mexican Hut, e poi cerchiamo un posto per pranzo. Questo è il classico paesino americano fuori dal mondo. Alcuni locali sono chiusi, uno è aperto ma quando entriamo … usciamo all’istante. Non c’è nessuno e i due proprietari ci guardano con delle facce da spiritati …. andiamo oltre. Ci fermiamo all’Old Bridge Grill e Motel (http://www.sanjuaninn.net/) (€ 47) vicino al ponte sul San Juan River. Non mangiamo bene. Ripartiamo subito dopo diretti alla Monument Valley. Sosta d’obbligo al Forrest Gump Point dal quale si può fare la classica foto della strada dritta, leggermente in discesa, con i panettoni della Monument Valley sullo sfondo. Ora non è il momento indicato perchè non c’è una gran luce e con 40°C, non è terso. Secondo me l’ideale è all’alba in modo tale che si ha il sole alle spalle o al tramonto per avere il sole dietro ai panettoni. Siamo in 8 a voler fare la stessa foto al centro della strada quindi, con educazione, facciamo a turno di arrivo. Ed ecco che arriva un piccolo pullman dal quale scendono una ventina di asiatici e… ovviamente non rispettano la coda … si piazzano davanti a tutti ed incominciano a farsi 3000 selfie. Io e gli altri ragazzi ci guardiamo schifati. Non rispettano mai nulla, hanno sempre la precedenza su tutto. Non so la nazionalità ma li identifico tutti come prezzemolini … perchè li trovi ovunque come il prezzemolo negli orti …. e uno più sfacciato dell’altro. E intanto noi, sotto il sole cocente, attendiamo fino a quando se ne vanno. Non voglio generalizzare per carità ma i prezzemolini in vacanza proprio non li sopporto … Ripartiamo per arrivare alle 14.30 all’ingresso della Monument Valley. Prima di girare dalla strada principale, nella riserva, noto sulla destra il Goulding’s Lodge (https://www.gouldings.com/). Questo lodge è il più vicino al gate ed inizialmente avevamo prenotato qui con la Booking poi, quando sono venuta a conoscenza del The View Hotel (http://monumentvalleyview.com/), nel parco con vista sui panettoni, ho cancellato immediatamente la prenotazione e l’ho fatta nell’altro. Da qui in poi sono posti che io e mio marito avevamo visto nel 1999. Allora avevamo dormito a Kayenta, il paese più vicino. Non ho idea se già allora qui ci fossero questi due hotel, io ricordo il nulla completo. Andiamo al gate.

Informazioni sulla Monument Valley:

https://utah.com/monument-valley

https://www.viaggi-usa.it/visitare-monument-valley/

http://www.americansouthwest.net/utah/monument_valley/index.html

Orari: aperto tutto l’anno.

Orari Visitor Center: dal 1 aprile al 30 settembre 6:00 / 20:00 – dal 1 ottobre al 31 marzo 8:00 / 17:00

Orari Scenic Valley Drive: 1 aprile al 30 settembre 6:00 / 19:00 – dal 1 ottobre al 31 marzo 8:00 / 16:30

Gli orari indicano l’ingresso quindi basta entrare prima dell’orario di chiusura poi si può rimanere all’interno quanto si vuole.

Costo: $ 20 in contanti a veicolo con 4 persone essendo riserva Navajo non si può usare l’Annual Pass. 

Questo bellissima riserva si trova sul confine tra Utah ed Arizona. Ha una superficie di 120 kmq e si trova ad un’altitudine di 1.700 mt. E’ zona protetta dal 1960 ed appartiene alla riserva Navajo. Alcune famiglie vivono ancora qui nelle capanne di legno e fango (hogan), pascolando le pecore e costruendo tessuti e gioielli. La caratteristica di questo parco sono i monoliti, alti anche 600 mt, che si ergono dal deserto. Al tramonto questo posto è spettacolare perchè si colora tutto di rosso. Qui registrarono molti film tra i quali Ombre rosse, Billy the Kid, Sfida infernale ecc ecc e la Walt Disney registrò il documentario “il deserto che vive”.

Si può visitare con la propria auto percorrendo, dal Visitor Center, un anello, la Scenic Valley Drive, di 25 km. Ci vogliono circa 2 ore.

Tour di Gruppo:

-https://www.partner.viator.com/it/17050/tours/Monument-Valley/Scenic-Express-Safari/d24945-15251P1?SUBPUID=mvsafari

-https://www.partner.viator.com/it/17050/Monument-Valley/d24945-ttd?SUBPUID=mvlista

Paghiamo 20 $ ed entriamo. Andiamo subito in direzione degli chalets. Qui si può pernottare nel lodge (si trova nel retro della struttura del Visitor Center) oppure nelle cabin (chalets in legno che si trovano sulla sinistra, guardando i monoliti). Vedendo che c’era questa possibilità, che più è in linea con quello che ci piace, non abbiamo dubbi su dove prenotare. Avevo letto che questo posto aveva prezzi folli rispetto al Goulding’s ma non mi sembra proprio. In una location così potrebbero anche chiedere 500 $. Secondo me i turisti prenotano ugualmente. Tanto per dire, prezzi per agosto 2019, sempre per 4 persone e in camere con due letti queen size, il Goulding’s costa $ 264, The View Hotel, nelle camere in base al piano da $ 272 a 306 (l’ultimo non ha il tetto sul balcone quindi si ha migliore visuale del cielo, c’è una tariffa ancora più bassa per il primo piano ma è sempre tutto prenotato dai tour operator) mentre le cabin da 250 a 306. Noi abbiamo prenotato ad ottobre l’unica ancora disponibile, la Valley Rim Premium View da $ 236 € 200 (solo pernottamento – pagato tutto al momento della prenotazione sul loro sito). In una scala di prezzo da 1 a 4, è la seconda ma è l’unica che garantisce la vista completamente libera sui monoliti perchè è in prima fila. Andiamo alla reception, appena prima delle cabin, ma la ragazza ci dice che fino alle 16.00 non possono darci le chiavi quindi facciamo un giro al visitor center, facciamo due foto dal terrazzo prima di entrare (questo è uno dei punti migliori per fotografare il sito) e poi alle 16 siamo di ritorno. La nostra cabin sarà la 29. Essendo la prima a destra, i tre monoliti si vedono tutti per intero. Più ci si sposta a sinistra più quello centrale si copre un pochino. Le cabin che hanno la vista leggermente coperta sono comunque in buona posizione per il fatto che sono rialzate. Questo che credo sia uno dei posti con la vista più bella in cui abbiamo dormito. E’ uno spettacolo unico. Le casette sono tutte in legno, hanno il letto matrimoniale nella stanza principale e poi un letto a  castello (va bene anche per due adulti) in una piccola cameretta a parte. C’è il microonde, dovesse servire, se si decide di cenare qui. Mamma mia che posto. Rimaniamo qui a fare foto e poi andiamo a in macchina nella Scenic Valley. Rimango impressionata dal numero di macchine. 19 anni fa eravamo in pochissimi mentre ora si scende incolonnati e a passo d’uomo. Facciamo numerose soste fotografiche. Verso il tramonto, come all’alba, tutto si colora ancor di più di rosso. Rimaniamo per 1 oretta e 1/2 poi doccia e andiamo a cena al ristorante del The View Hotel, non c’è molta scelta … (http://monumentvalleyview.com/the-view-hotel/dining/) (€ 73). Il servizio è velocissimo. Proviamo dei piatti tipici Navajo … credo sia la peggior cena fatta in vita nostra. Terribile. Noi non siamo prentenziosi sul cibo … anche perchè io sono una schiappa in cucina quindi i miei familiari si adattano …. ma qui abbiamo davvero cenato male … Andiamo in camera. Il sole è tramontato alle 20.30 quindi c’è l’ora blu, come la chiamano i fotografi, l’ora in cui c’è luce pur essendo calato il sole. Regna il silenzio e lentamente i monoliti divenano sempre meno visibili fino a scomparire. E poi arrivano le stelle. Bellissimo. Quando è proprio buio pesto ci ritiriamo. Questa sera aggiungiamo una notte a San Francisco perchè ormai siamo a ridosso al 12 agosto e la situazione a Yosemite, dove avremmo dovuto dormire, non si risolve a causa del Ferguson Fire che sta devastando il parco dal 13 luglio. Nel mentre, avendo una giornata piena in più a San Franscisco, Matteo e Pier prenotano on-line la visita all’Oracle Arena (basket) ad Oakland. Ora possiamo dormire.

11) 07 agosto 2018 martedì – km.340 (Grand Canyon NP) – tempo sereno

Il sole sorge alle 6.30 ma io, già da molto prima, sono fuori sul terrazzo munita di macchina fotografica. Alba da urlo!! Partiamo alle 8.00. Lungo la strada vediamo l’Agathla Peak, un vulcano spento. Sul lato opposto della strada c’è una colonna rocciosa. Per chi arriva da Kayenta, sembrano i guardiani dell’accesso alla Monument Valley. Appena si lascia la Monument Valley si entra in Arizona quindi dobbiamo tirare indietro di 1 ora l’orologio (- 9 rispetto all’Italia). Quest’ora in più a disposizione ce la mangiamo subito. Appena prima di Kayenta la macchina rallenta all’improvviso, sembra che il motore non abbia più potenza. Non poteva capitarci in posto migliore perchè troviamo subito un meccanico. Inizialmente ci dice che dobbiamo farci mandare una macchina nuova, poi che è colpa della benzina non buona fatta a Mexican Hut (da qui in poi, nel dubbio, useremo quella che costa di più, la 91, le altre sono 87 la meno cara e 89 la media) poi dice che prova a scollegare la batteria, lasciarla staccata 1/2 ora e vedere se si risolve. Boh, se si scollega la batteria la si può ricollegare subito, non serve aspettare comunque va beh … a ciascuno il suo mestiere. Fatto sta che dopo mezz’ora la macchina è a posto. Paghiamo con ricevuta $ 47 (la rentalcar ce li rimborserà), andiamo al market a fare scorta di viveri e a prendere the e caffè al take away. Finalmente alle 10.00 partiamo diretti al Grand Canyon. Facciamo una sosta veloce al punto panoramico sul Little Colorado (gestito dai Navajo, offerta libera). Ci sono diverse bancarelle. Martina cerca uno scacciapensieri ma sono troppo colorati. Andiamo al gate. Sono le 11.30.

Informazioni sul Grand Canyon:

https://utah.com/grand-canyon-national-park

https://www.nps.gov/grca/index.htm

https://www.mygrandcanyonpark.com/

https://grandcanyon.com/

http://www.experienceamerica.it/parks/az/grandcanyon.php

Costo: $ 35 a veicolo con tutti i passeggeri – valido per 7 giorni – accettato l’Annual Pass

Orari: aperto tutto l’anno 24 h su 24

1) EAST RIM

https://grandcanyon.com/category/planning/east-planning/ 

Il Grand Canyon East è  un’area che si trova dal Lake Powel a nord, lungo il fiume Colorado in direzione sud-ovest e ad ovest del South Rim. Grand Canyon East NON è ufficialmente riconosciuto dal National Park Service. È una definizione utilizzata dalle persone locali per contrassegnare l’area in cui è possibile visitare numerosi siti. Gran parte di questa zona è anche conosciuta come Glen Canyon Nation National Recreation area e il resto è la terra dei Navajo.

– Il Cameron Trading Post si trova a Cameron, vicino all’incrocio tra State Route 64 e US 89. I Native American Arts and Crafts sono esposti in tutto il negozio. La maggior parte degli articoli sono in vendita. Si potrebbe anche vedere una donna navajo che mostra come tessere un tappeto.

– Il Little Colorado River Gorge nel Little Colorado River Tribal Navajo Park. Si trova nelle Terre Tribali Indiane Navajo. Si trova sulla 64 ad ovest di Camerun. Questa strada porta al gate est del South Rim. Ci sono due punti panoramici. Uno è a pagamento, l’altro no. Non c’è un prezzo fisso ma chiedono una donazione.

2) NORTH RIM

– https://grandcanyon.com/category/planning/north-rim-planning/

– https://grandcanyon.com/planning/north-rim-planning/things-to-do-north-rim/ (attività)

Si trova ad ovest di Page e si raggiunge deviando sulla 67 da Jacob Lake. E’ più remoto e più scomodo da raggiungere in quanto non ci sono autostrade ed aeroporti vicini. Si può accedere solo dal 15 maggio al 15 ottobre.

Si trova ad un’altitudine di 2700 mt.

Si può pernottare nel The Grand Canyon North Rim Lodge (http://www.grandcanyonforever.com/)

– Da non perdere i punti panoramici: Point Imperial, Cape Royal, Roosevelt Point, Walhalla Overlook e Bright Angel Point (vicino al Grand Canyon Lodge North Rim).

– Punti panoramici che richiedono  camminate: Cape Final (circa due miglia a tratta), Saddle Mountain (raggiunta da Point Imperial), Uncle Jim Point (circa due miglia a tratta), The Widforss Trail (circa cinque miglia a tratta).

– raggiungibile solo con jeep 4×4: Point Sublime

3) SOUTH RIM

– https://grandcanyon.com/category/planning/south-rim-planning-planning/

– https://grandcanyon.com/planning/south-rim-planning-planning/things-to-do-south-rim/ (attività)

Si trova ad un’altitudine di 2400mt. Questa zona è la più frequentata del Grand Canyon.

  1. a) Punti panoramici di facile accesso:
  • Lookout Studio – situato vicino a Bright Angel Lodge, si trova proprio sul bordo del Canyon, con spettacolari viste panoramiche sul canyon
  • Yavapai Point – Uno dei luoghi più popolari perché è il modo migliore per vedere in profondità nel canyon interno compreso il fiume Colorado e il Bright Angel Canyon
  • Mather Point – Da Mather Point, è possibile vedere oltre la metà dell’intero Canyon con una magnifica vista dei pinnacoli di roccia chiamati Tempio di Vishnu e Tempio di Zoroastro. Questo è un ottimo posto per vedere il tramonto
  • Moran Point – Da Moran Point, puoi vedere l’acqua bianca delle Rapide Hakatai e il Canyon Rosso. Questo punto di vista è anche famoso per la visione del tramonto a causa dell’illusione della “Nave affondante”. Le formazioni rocciose creano la parvenza di una nave che affonda mentre il sole inizia a immergersi dietro il Canyon
  • Desert View and Watchtower – Salire sulla torre di guardia (85 scalini) per ottenere una perfetta visione a 360 ° del Canyon..
  • Lipan Point – Questo è uno dei pochi posti in cui è possibile vedere il “Grand Canyon Supergroup” di formazioni rocciose sedimentarie. È anche un ottimo modo per vedere la gola interiore.
  1. b) Punti panoramici che richiedono una camminata:
  • Grandview Point – Lungo il Desert View Drive, c’è un sentiero per il Grandview Point, uno dei punti più alti del South Rim. Il sentiero è un po ‘stretto e ripido a volte, ma il punto di vista è meraviglioso di Horseshoe Mesa.
  • Zuni Point – Zuni è un po ‘riservato dal momento che non ci sono cartelli o sentieri ma si trova tra i pontili 257 e 258 dove il bordo è a pochi metri dalla strada tra gli alberi. Zuni ha una splendida vista del Canyon Rosso simile a Moran Point
  • Yuma Point – È un’escursione di un giorno per raggiungere l’appartato Yuma Point seguendo la Boucher Trail. Questo sentiero è per escursionisti ESPERTI a causa del suo terreno molto difficile, che distrugge il ginocchio. Ma se stai cercando il solitario e la natura incontaminata, questo è il naturale Grand Canyon.
  1. c) tramonto

bello da Yaki point raggiungibile con la linea arancione del pullman

  1. d) Trail:

Volendo fare tutto i percorso a piedi, il Rim Trail, parte appena prima dello Yaki Point ad est e finisce ad Hermits Rest ad ovest. Si può interromperlo in vari punti. 

  1. d) Ci sono 4 percorsi da farsi con gli autobus. Sono gratuiti. Guardate sul sito ufficiale i percorsi e gli orari:

Hermit’s Rest Route – Red route: Bello da fare a piedi da Hopi Point a Monument Creek – i più belli sono: Maricopa Point, Powell Point, Hopi Point, Mohave Point, The Abyss, Prima Point e l’ultimo Hermitt Rest.

– Kaibab Rim Route – Orange route

Village Route – Blue route

Tusayan Route – Purple route

4) WEST RIM

– https://grandcanyon.com/category/planning/west-planning/ 

Questi territori sono sempre stati abitati dagli indiani. Le tribù che vivono all’interno del canyon è quella Hualapai e quella Havasupai (https://grandcanyon.com/planning/south-rim-planning-planning/havasupai-falls-arizona/ e http://theofficialhavasupaitribe.com/). I loro territorio si trovano ad ovest del visitor center del South Rim ma non li si raggiunge da qui. Si arriva percorrendo una strada parallela a quella che porta al South Rim ma che si mbocca deviando dalla 40 sulla Route 66 e poi direzione nord, in prossimità di Peach Spring. Nella Havasupai Indian Reserve ci sono un lodge ed un campeggio. Dal 1° febbraio 2018 è possibile prenotare on-line. Prima era fattibile solo telefonicamente. I turisti vengono qui soprattutto per le bellissime cascate raggiungibili solo a piedi con ore di cammino.

Grand Canyon Skywalk

– https://grandcanyon.com/planning/west-planning/grand-canyon-skywalk-price-tickets/

– https://www.grandcanyonwest.com/skywalk–eagle-point.htm

Nella parte più ad ovest del Gran Canyon,  stato costruito il Grand Canyon Skywalk, aperto al pubblico il 28 marzo 2007 nella riserva indiana dei Hualapai. Dista da Las Vegas 125 miglia. Bisogna seguire la 93 direzione sud-est poi girare a sinistra per arrivare a Dolan Spring. Se segue la 25 e poi si devia a destra sulla 261 direzione Grand Canyon Western Ranch. Poi si prende la 7. La struttura, composta da una passeggiata in vetro a sbalzo a forma di U, che si snoda a 70 metri oltre il bordo del Grand Canyon. Sognato dall’uomo d’affari di Las Vegas David Jin mentre partecipa a un tour del Grand Canyon nel 1996. Con l’aiuto di Lochsa Engineering di Las Vegas, la creazione di Jin è abbastanza robusta per tenere il peso di una dozzina di 747 completamente carichi e abbastanza forte per sopportare a venti fino a 100 km orari. Astronaut Buzz Aldrin ha accompagnato i primi turisti durante una cerimonia privata il 20 marzo 2007. Si può accedere solo partecipando ad escursioni che uniscono altre cose o con tour privati che vengono effettuati da Las Vegas.

Havasu Falls

https://www.nps.gov/grca/planyourvisit/havasupai.htm

Si trovano dentro Havasu Canyon, nella Riserva Indiana Havasupai, un territorio controllato dall’omonima tribù indiana e quindi fuori dalla giurisdizione del Grand Canyon National Park. Le cascate Havasu sono conosciute in tutto il mondo per la loro bellezza e, fra le cose da vedere al Grand Canyon, rappresentano una delle tappe più affascinanti: si tratta infatti di una sorta di anfiteatro naturale scavato in scogliere di roccia rossa tipiche dei grandi canyon dell’ovest americano, su cui però la presenza di cascate e piscine naturali dall’acqua color turchese forma un contrasto di colori unico e meraviglioso, non troverete mai un altro posto così! Si arriva in macchina all’Hualapai Hilltop (punto d’attracco della camminata, a una quindicina di km di distanza). Conviene pernottare qui in modo tale da partire presto al mattino. Nei mesi estivi il caldo è notevole. Al punto d’attracco troverete solo un parcheggio, niente servizi, quindi per qualsiasi esigenza (benzina, cibo, acqua, bisogni impellenti!) organizzatevi nelle città Peach Springs (ad un centinaio di km) e Seligman (144 km). L’ingresso alla riserva è a pagamento e così anche l’area di campeggio. Occorre prenotare con notevole anticipo, visto che il numero dei visitatori accettati è limitato. Se vi presentate senza aver prenotato, potreste dover pagare il doppio del prezzo. Trovate tutte le informazioni sul sito ufficiale. Sullo stesso sito ci tengono a precisare che l’area di Havasu Canyon è un ambiente fragile e soggetto a inondazioni; alcune zone del canyon sono off-limits per i visitatori e in alcuni casi potrebbero verificarsi delle chiusure improvvise. La zona può essere visitata in tutti i momenti dell’anno, tuttavia il clima e l’afflusso turistico cambia molto a seconda delle stagioni.  I mesi migliori per il nuoto e le escursioni sono marzo-maggio e settembre-ottobre. Il calore di giugno-agosto può essere insopportabile per molti con temperature medie di circa 100 gradi Fahrenheit, anche se viene considerato comunque un periodo di alta stagione. Luglio-settembre è la stagione dei monsoni, quando si hanno maggiori probabilità di vedere tempeste e alluvioni lampo, con il rischio di vedersi rovinata la vacanza. Se siete alla ricerca di un’esperienza con meno turisti o per attività come birdwatching o speleologia i mesi invernali sono ideali. Il percorso da fare a piedi è affascinante, ma piuttosto lungo, 10 miglia, ed è anche abbastanza impegnativo. Considerate un tempo di 4-7 ore a tratta. Vicino alle cascate potrete pernottare sia in un’area per il campeggio, sia in un albergo nel centro abitato di Supai (Havasupai Lodge), capoluogo della riserva indiana e mezz’ora di cammino dalle cascate. Dal parcheggio il sentiero scende ripidamente attraverso una serie di tornanti scavati nella roccia. Dopo solo 1 miglio, sarete scesi di oltre 2000 piedi e vi ritroverete direttamente sul fondo del Hualapai Canyon. Il sentiero vi porterà poi a incunearvi fra le strette pareti rocciose del Canyon Havasu, dove incontrerete Havasu Creek, il fiume che dovrete seguire fedelmente per arrivare alle cascate. Prima di arrivare (a 30 minuti circa di distanza) incontrerete il villaggio di Supai, dove potrete rifocillarvi.

Altre cascate che si trovano vicino sono:
Mooney Falls
Navajo Falls
Beaver Falls
Rock Falls

Iniziamo la visita del Grand Canyon. Ci sono “solo” 34° … confronto ai 40 dei giorni scorsi …. Vediamo i punti panoramici Desert View (si vede molto poco per colpa del fumo dovuto al grosso incendio che sta bruciando nel North Rim), Navajo Point, Lipan Point, Moran Point poi pic-nic nell’area Buggeln e Grand View Point (facciamo una breve passeggiata che scende un pochino nel canyon). Il resto lo tralasciamo perchè decidiamo di andare ad informarci per un giro in elicottero. Usciamo dal gate sud ed andiamo a Tusayan dove ricordavamo ci fossero attività di questo genere. Entriamo negli uffici del primo operatore che troviamo, il Papillon (https://www.papillon.com/). Il primo volo disponibile è alle 16.10. Costa $ 218 € 193 a testa e dura più di 30 minuti. Prenotiamo per 3. Pier non ha mai sofferto le vertigini però … invecchiando … incomincia ad avere fastidio quindi non prende neppure in considerazione la cosa. Cazzeggiamo per un’oretta e poi torniamo. E’ tutto ben organizzato, a partire dal peso di ciascuno (fanno salire su una bilancia) …. si può salire in 6 ma noi saremo in 5. Con noi ci sono papà e figlia olandesi. La figlia è super composta, il papà, simpaticissimo, è un tipo yeah … tutto selfy e super sorrisi … Martina la fanno sedere davanti. Bella esperienza. Bel colpo d’occhio. Pazzesco l’incendio che brucia nel North Rim. Quanto rientriamo Martina finalmente trova l’acchiappasogni perfetto nel negozio all’interno della struttura … molto Navajo …. io lo avrei preso alle bancarelle …. Alle 17.30 siamo al lodge all’interno del parco, il Yavapai (https://www.visitgrandcanyon.com/yavapai-lodge) (€ 216 – colazione compresa – pagato tutto al momento della prenotazione sul loro sito). Ci sono diversi edifici tra i pini. C’è la possibilità di cenare qui ma noi preferiamo andare a Tusayan dove c’è più scelta. Usciamo presto e ci indirizziamo in una Steakhouse dove eravamo stati 19 anni fa ci rifiutiamo di entrare. Abbiamo fatto il conto che una bistecca tra tasse e mancia ci sarebbe costata 40 $ … ci sembra un pochino esagerato … quindi optiamo per We Cook Pizza & Pasta (http://wecookpizzaandpasta.com/) (€ 85) prendiamo cose diverse io e Pier mentre i ragazzi le pizze. Riescono a mangiarne solo metà a testa quindi le portiamo via e sarà il perfetto pranzo di domani. Alle 21.30 dormiamo ….

12) 08 agosto 2018 mercoledì – km.302 (Antelope Canyon – Page) – tempo sereno

Facciamo colazione in hotel e alle 8.00 partiamo. Vediamo alcuni cervi nei boschi lungo la strada. Ci sono dei cartelli stradali con il simbolo del puma … quante possibilità ci sono di vedere un puma con tutte le macchine che passano di qui? Volevamo fermarci prima di arrivare a Page per vedere il punto panoramico Horseshoe Band ma siamo in ritardo sulla tabella di marcia quindi ci riproponiamo di andare questa sera. Arriviamo a Page, sul Lake Powell.

Informazioni su Page e dintorni:

https://utah.com/lake-powell

https://www.nps.gov/glca/index.htm

http://www.experienceamerica.it/parks/az/lakepowell.php

http://www.americansouthwest.net/utah/glen_canyon/lake_powell.html 

Per accedere all’aerea del lago si può usare l’Annual Pass.

1) A SUD-OVEST 

  1. a) Il Marble Canyon e il Navajo Bridge si trovano una decina di miglia in linea d’aria da Page, Queste terre appartengono alle tribù Navajo. Il Navajo Bridge inizialmente si chiamava Grand Canyon Bridge. Fu aperto nel gennaio del 1929. Prima della costruzione del ponte si poteva attraversare il fiume Colorado solo con il Lee’s Ferry che si trova poco distante. Inizialmente si pensava di continuare a far funzionare anche il traghetto ma dopo un incidente avvenuto nell’estate del 1928, che costò la vita a 3 persone, si decise di non usarlo più. Con il passare degli anni le auto e i camion aumentarono le dimensioni quindi il ponte non era più sicuro. Si decise di costruirne un altro identico poco più a valle ma più grosso. Questo ancora oggi viene usato per le macchine mentre quello vecchio per i pedoni. Si può parcheggiare al Centro interattivo dei Navajo, attraversare il vecchio ponte e fare delle foto dall’altra parte.
  1. b) Horseshoe Bend: https://www.viaggi-usa.it/visitare-horseshoe-bend/

E’ uno degli scenari più belli dell’Arizona. Si trova sulla 89, 6 km. a sud di Page. Si trova un piccolo parcheggio sulla sinistra (arrivando da sud). Bisogna percorrere 1 miglio a piedi. Non si paga l’ingresso. Per i colori bellissimo al mattino. Si ha il sole alle spalle. Se si volesse vedere questo posto anche dal fiume, bisogna andare alla Glenn Canyon Dam, scendere a livello dell’acqua ed imbarcarsi su una delle zattere che portano fino a questo punto. 

2) A NORD

  1. a) Wahweap Marina: Cittadina dove vengono organizzate molte attività acquatiche e dalla quale c’è un bel panorama. Si può fare il bagno. L’Wahweap Overlook è uno spettacolare balcone dal quale si ha una veduta a perdita d’occhio del lago, del fiume Colorado e di una parte del Glen Canyon. Si possono vedere la Lone Rock, l’Ice Cream Canyon, raggiungibile in kayak, – e tutta una serie di baie, canyon e butte che si trovano molto più a nord. Una fra tutte, la Padre Bay, la più grande baia del lago, dove si può godere di un panorama davvero suggestivo. Da qui partono le escursioni in barca sul lago.
  1. b) Lone Rock: Non lontano dalla Wahweap Bay, questo imponente massiccio di roccia rossa sulla riva del lago è facilmente raggiungibile appena usciti dalla Highway 89: un miglio scarso, 15 $ di biglietto, e vi troverete su una stupenda spiaggia dove potrete fare un bagno. 
  1. c) Stud Horse Point: http://www.americansouthwest.net/utah/glen_canyon/stud-horse-point.html

Vicino a WHEWEP MARINA, deviare dalla 89 a sinistra (vicino a Greenehaven Mobile Home Estate). Un possibile approccio alle bufale è lungo una pista sabbiosa che lascia US 89 a ovest, appena a nord della strada laterale a Lone Rock Overlook, e termina dopo 1,3 miglia in un recinto; la gola del cappuccio è a mezzo miglio di distanza, raggiunta dopo una salita su un pendio ripido. L’itinerario più utilizzato lascia tuttavia l’autostrada a 2 miglia a sud della svolta di Lone Rock – una vecchia strada asfaltata che punta a nord-ovest, diventa ghiaia poi si piega verso ovest, la superficie ora sabbiosa e conduce all’estremità sud delle scogliere, qui solo una stretta fascia di pietra arenaria scoperta. I veicoli non 4WD dovrebbero probabilmente parcheggiare qui, accanto a un bunker di cemento coperto di graffiti a Bishops Tank, ma altre piste, un po ‘più sabbiose, continuano a piegarsi verso nord lungo il bordo superiore delle scogliere e su una collina direttamente sull’orlo del burrone. Uno di questi percorsi punta a sud-ovest verso il canyon del fiume Paria.  Dall’area di parcheggio 2WD, le hoodoos possono essere raggiunte camminando lungo il bordo della mesa, sopra o accanto alla pista 4WD, ma un approccio più interessante è più basso, attraverso il slickrock, che diventa più ampio dopo circa un miglio, estendendosi più a est e innalzarsi a un ampio apice. Questo è direttamente di fronte al piccolo canalone che contiene i hoodoos. Questo burrone è delimitato a nord-ovest da scogliere verticali ma da un terreno più dolcemente in pendenza verso sud-est, posizione delle formazioni. Più in basso il drenaggio forma una fessura breve e ripida attraverso arenaria uniformemente grigio chiaro, ma le rocce sopra sono di colore più vario; le basi degli hoodoos sono composte da sottili strati verdi o grigi o verdastri, mentre le cime sono di colore giallo o marrone più duro, spesso fatte di conglomerato – simili ai vicini Hoodoos Wahweap. Alcuni più pinnacoli si trovano all’estremità superiore del burrone, mentre le scogliere a nord hanno occasionalmente quelle più piccole, estendendosi per un altro miglio verso la punta orientale di Stud Horse Point. Strati di roccia fratturati e multicolori dalla parte superiore delle scogliere, mentre più in basso la superficie è più liscia e più omogenea. I hoodoos sono alti e spessi, non sottili e graziosi come in alcuni luoghi simili. Il burrone è in parte in ombra all’inizio e alla fine della giornata, ma questo è ancora un buon posto per la fotografia al tramonto.

Slot Canyon: Una buccia isolata si alza dal fondovalle poco a nord del burrone del cappuccio, e non molto oltre vi sono due biforcazioni di un drenaggio secondario, che formano entrambi canyon poco profondi; se ci si avvicina dalle menagramce, il percorso più facile è ripidamente lungo il lato est del burrone, seguito da una passeggiata di 20 minuti sulla terra battuta per lo più pianeggiante, con pochi lavaggi asciutti e sabbiosi da attraversare, e l’AZ / UT Stateline. La forcella più a sud del drenaggio ha la sezione chiusa più lunga, mai molto stretta o profonda ma incorniciata da alcuni bei passaggi attraverso rocce grigie / marroni con trame lisce o fratturate. In alcuni punti la via d’acqua si allarga abbastanza da far crescere i cespugli, ma la maggior parte delle sezioni ha solo roccia nuda. Lo slot inizia con una diapositiva verso una camera ed è stretto per 0,3 miglia. Non ci sono chokestones o piscine significativi, ma alcune parti sono troppo strette per camminare a livello del pavimento. Il canyon si apre all’improvviso all’incrocio con la forcella nord più corta, in cui il principale punto di interesse è un arco, sul lato di una camera vicino all’estremità superiore della sezione chiusa, appena al di sotto di una secca. 

  1. d) Wahweap Hoodoos: I Wahweap Hoodoos non sono per tutti. Uno, perché non sono affatto un classico itinerario turistico, né se ne trova notizia sulle guide generali. C’è bisogno di una buona guida specialistica, o di un’approfondita ricerca sulla rete. Due, perché raggiungerli non è affatto facile, è richiesta una jeep 4X4 da guidare su terreno accidentato e non adatto ai neofiti della guida in fuoristrada, oppure un lungo percorso a piedi. Per arrivarci da Page si prende la US 89 fino ad arrivare a Big Water nello Utah. Fra il miglio 6 e 7 si trova sulla destra la Ethan Allen Road, esattamente di fronte al visitor center che si trova dall’altra parte della strada. Proseguire fino ad una T (leggermente sbilenca) e girare a sinistra. Da qui, si passa accanto ad uno stadio di softball, ad alcune industrie, ed infine dopo circa 3 miglia di sterrato non impegnativo (attenzione però a verificare le condizioni del tempo, con la pioggia potrebbe diventare problematico proseguire) si arriva ad uno spiazzo dove parcheggiare. Da qui, si comincia a risalire il Wahweap Creek. Si tratta di una hike Passeggiata di 4.5 miglia circa sola andata, quindi pur essendo piatta e poco impegnativa, non è indicata per chi non cammina abitualmente. La hike di per sé non è entusiasmante, si cammina sempre nel fiume con minime variazioni di paesaggio (occhio ad una barriera per il bestiame dopo circa mezzo miglio, sembra insuperabile ma guardando con attenzione si scorge un’apertura sull’estrema sinistra). Ma è quasi surreale aggirarsi per il greto del fiume asciutto, circondati da collinette ed osservando ogni tanto l’impronta di qualche piccolo animale che si è evidentemente aggirato in cerca di cibo, in un silenzio che all’inizio sembra quasi irreale. Anche se pensiamo di sapere cosa sia il silenzio, non ne abbiamo davvero idea finchè non si capita in un posto del genere, abituati a considerare di sottofondo tanti rumori quotidiani, e quasi a non udirli. Qui di sottofondo non ce n’è. Solo il solitario camminatore, e la natura. Sì, solitario. Nella giornata quasi intera trascorsa qui, non un solo essere umano si è frapposto fra me e la mia meta. Non un passo, non un respiro, non una parola. Sembra quasi impossibile pensare che si possa camminare un’intera giornata senza incontrare una sola persona e senza aprire la bocca se non per respirare. Dopo tanto camminare, si arriva finalmente in vista degli hoodoos. Un pinnacolo di roccia sedimentaria solitamente creata nel corso dei millenni dall’erosione di forze come vento ed acqua, un primo gruppo non troppo esteso, poi proseguendo un altro e infine il terzo, quello più numeroso. Lo spettacolo, come detto, è intenso. Alte colonne bianche svettano verso il cielo azzurro sulle pendici di una ripida collinetta, regalando anche un ottimo background per un bello scatto. Con un po’ di fantasia, è facile immaginare che questi monoliti di roccia assomiglino a figure conosciute. 
  1. e) Paria Rimrocks: Un’ottima alternativa per osservare da vicino degli hoodos senza dover percorrere lunghe distanze è rappresentata invece dai Paria Rimrocks. In questo caso è sufficiente percorrere un chilometro circa su terreno completamente pianeggiante per arrivare alla meta. La contropartita da pagare è una minore concentrazione e spettacolarità dei pinnacoli di roccia, ma d’altra parte non tutti siamo maratoneti o, più semplicemente, non sempre abbiamo una giornata intera da destinare a quelle che, per gli itinerari turistici classici, rimangono destinazioni minori!
    Anche in questo caso, pur nella semplicità d’accesso, la zona è poco frequentata e sarà probabilmente a quasi completa disposizione di chi avrà voglia di addentrarvisi. Per arrivarci, bisogna percorrere la solita US 89. Sono 29 miglia a nord di Page, appena dopo Big Water. Tra il milepost 19 e 20 nello Utah (sulla destra venendo da Page) si trova un piccolo parcheggio in corrispondenza di alcuni tralicci della luce. C’è un recinto, e un libro dove registrare la propria presenza. Da qui ci si incammina lungo uno stretto wash Letto di un fiume asciutto, a volte parzialmente pieno stagionalmente 
    asciutto, fino ad arrivare ad un piccolo plateau roccioso. Un hoodoo Un pinnacolo di roccia sedimentaria solitamente creata nel corso dei millenni dall’erosione di forze come vento ed acqua ci accoglie solitario, quasi sprezzante nel suo risaltare in mezzo al nulla. Da qui si può liberamente esplorare la zona in cerca di altre formazioni rocciose. Un gruppo abbastanza consistente si trova addentrandosi verso sinistra, in una specie di piccola vallata. Sono molto interessanti anche le badlands che si incontrano, con pareti dove è possibile notare un netto cambio di colorazione dal bianco, al giallino, al rossiccio man mano che differenti strati di minerali si alternano. 
  1. f) Alstrom Point: il miglior punto per vedere il Lake Powell. Dista da Page 40 miglia. Si va verso nord sulla 89 fino a Big Water e poi si devia a destra. Ci vuole un Suv. 

3) Il LAGO

  1. a) Lake Powell: Si trova all’interno della Glen Canyon National Recreation Area. E’ un bacino artificiale da quanto è stata costruita la Glen Canyon Dam. Si estende per oltre 300 km. e ha 3.000 km. di rive. Il lago è alimentato dal fiume San Juan e quando esce dalla diga prende il nome di Colorado River. Ai bordi del lago le rocce, o meglio the Sandstone – la sabbia solidificata – presenta due colori, rosso in alto e bianco sopra il pelo dell’acqua, ma il suo vero colore non è nessuno dei due. La parte chiara, a contatto con l’acqua è quasi bianca per i depositi di calcare, mentre la parte rossa, quella emersa, deve il suo colore alla ruggine del ferro di cui queste “rocce” sono molto ricche.

– Antelope Island view point, uno spiazzo panoramico dinnanzi all’Antelope Island, che diventa una penisola nei periodi di siccità.

  1. b) Glen Canyon Dam: E’ alta 216 metri. La costruzione è stata autorizzata nel 1956. Tra il 1963 e il 1966 furono sistemati i generatori e le turbine che producono 3 miliardi di kilowattora di elettricità all’anno e servono 7 stati dell’ovest degli Stati Uniti. Nei pressi del ponte, troverete il Carl Hayden Visitor Center, che organizza visite guidate gratuite all’interno della diga. C’è il Glen Canyon Dam Overlook, una terrazza naturale che da un lato offre una vista frontale sulla diga mentre dall’altro mostra i rossi canyon rocciosi del fiume Colorado. Qui c’è il Visitor Center per le info.
  1. c) Page: Paesino anonimo che vive grazie al turismo.
  1. d) Cathedral Rock: Da farsi con una guida. Alcuni tratti sono da fare a piedi.
  1. e) Rainbow Bridge National Monument: https://www.lakepowell.com/things-to-do/boat-tours/rainbow-bridge-tour/

Si raggiunge in barca con escursioni che partono da Wahweap Marina o dall’Antelope Island. Dista 80 km. quindi l’escursione richiede circa 4/5 ore. Il costo è di $ 120 circa a testa. D’estate partono alle 12.30. E’ uno dei più grandi “ponti naturali” del mondo. Sarà spettacolare l’entrata nel Forbidding  Canyon (eloquente fin dal nome) e la navigazione tra le pareti rocciose, fino ad arrivare, dopo un paio di miglia, nei pressi del ponte. Quando vi arriverete, godetevi lo spettacolo, ma siate rispettosi, perché per le tribù indiane questo luogo ha un grande valore spirituale. L’arco è alto 97 metri, lungo 90 e alla sommità è largo 14 metri.

  1. f) Tower Butte: Ci sono escursioni che portano in elicottero sulla sommità di questo panettone (https://it.papillon.com/lake-powell-page/lake-powell-page-tours/tower-butte-landing-tour).

4) A SUD

Antelope Canyon

– https://www.viaggi-usa.it/antelope-canyon/

– https://travelourplanet.com/destinations/north-america/page-visitare-antelope-canyon

L’Antelope Canyon è forse il più fotografato canyon di arenaria del nord dell’Arizona. I colori brillanti arancione e viola e le pareti intagliate dal vento e dall’acqua lo rendono uno spettacolo unico, fra i più suggestivi dei parchi Usa.  Essendo di proprietà Navajo non viene accettato l’Annual Pass. Si deve pagare $ 8 a testa per accedere al parco più il costo dell’escursione. Non si possono visitare in autonomia. Si può accedere solo con una guida che accompagna gruppi di 15/20 persone. La principale ragione per cui l’Antelope Canyon può essere visitato solo tramite guida è il pericolo inondazioni e allagamenti (il 12 agosto 1997, 11 persone morirono all’interno del canyon). Le ore migliori della giornata sono quelle centrali in quanto il sole entra perpendicolare nella spaccatura della roccia. E’ in queste ore che all’interno del canyon si possono osservare i famosi light beams, i fasci luminosi prodotti dal sole che entra dalle aperture sopra il canyon. Dei due canyons ad essere interessato dai light beams è soprattutto l’Upper, nel Lower invece di fasci luminosi non ce ne sono o ce ne sono di meno. I Tour partono intorno alle 7.00 del mattino fino alle 16.30 circa. Ci sono tour per turisti e tour per fotografi. Quelli per turisti “normali” vengono fatti a qualsiasi ora della giornata, durano poco più di 1 ora, costano intorno ai 40 $ e si può portare qualsiasi tipo di macchina fotografica (monopiedi e treppiedi sono vietati). I tour fotografici invece vengono organizzati dalle 11 alle 13 e durano di più rispetto agli altri, costano sui 100 $ e non puoi partecipare se non hai una reflex ed il treppiede. Ogni gruppo parte circa 20/30 minuti uno dall’altro. C’è il rischio che alcuni gruppi poi si raggiungano, soprattutto all’Upper Canyon perchè è il più frequentato. Fate attenzione ad una cosa. Solitamente le riserve Navajo, anche se si trovano in Arizona (- 9 rispetto all’Italia), hanno l’ora dello Utah (- 8) ma l’Antelope Canyon, pur essendo riserva Navajo, mantiene l’ora dell’Arizona.

Ci sono 3 canyon da visitare:

  1. a) l’Upper Antelope:

– Per osservare i famosi light beams penetrare all’interno del canyon devi andare tra aprile e settembre quando il sole è alto nel cielo. L’ora migliore di partenza è tra le 10.30 e le 11.30 così da trovarti all’interno del canyon tra le 11 e le 13.

– Fuori da questi orari e da ottobre a marzo i colori sono meno accesi ma la bellezza del canyon rimane inalterata.

– L’Upper Antelope è spesso strapieno di turisti. Quasi sempre più gruppi si dividono nello stesso identico momento gli stretti spazi del canyon e l’atmosfera va a farsi benedire.

– Quasi tutti dicono che il canyon è meraviglioso ma sono parecchi a lamentarsi di non aver apprezzato la visita. Per l’affollamento ed i metodi spicci di alcune guide. 

  1. b) il Lower Antelope:

– Anche il Lower Antelope Canyon si trova circa 4 miglia e mezzo ad est di Page, ma a nord (a sinistra arrivando da Page) della US 98, la svolta si trova praticamente di fronte al parcheggio dell’Upper Antelope.

– Così come l’Upper anche il Lower è accessibile solo ed unicamente con visite guidate di gruppo.

– Le visite del Lower vengono compiute interamente a piedi. L’ingresso vero e proprio del Lower Antelope Canyon si trova infatti a 250 metri dal parcheggio, senza dover viaggiare scomodi sui 4WD che sono invece necessari per raggiungere l’entrata dell’Upper e che a volte causano ritardi nello svolgimento delle visite.

– A differenza dell’Upper che si snoda in piano tra due pareti rocciose, il Lower Antelope Canyon si sviluppa in sotterranea. Per accedervi si utilizzano delle scale metalliche che scendono nel sottosuolo da una stretta apertura, quasi invisibile ad un occhio non attento. Altre scale sono presenti all’interno ed all’uscita del Lower Antelope, il percorso è tortuoso e molto misterioso.

– Il fatto che per entrare ed uscire dal canyon occorra utilizzare delle ripide scale e che rispetto all’Upper il Lower sia meno interessato dai famosi light beams fa si che il Lower Antelope è meno visitato del più famoso vicino.

– Questo è solo un bene perché essendoci meno gente la visita risulta di solito ben più gradevole e coinvolgente. A leggere le reviews sembra che il grado di soddisfazione dei visitatori del Lower sia solitamente più alto di quelli dell’Upper.

– Anche perché il Lower Antelope è un canyon davvero magnifico, altrettanto se non più spettacolare dell’Upper, leggermente più lungo e più stretto. A volte le pareti del canyon si restringono così tanto da permettere il passaggio di una persona alla volta. Ci sono dei tratti dove per procedere hai spazio solo per un piede…

 – In estate all’interno del canyon la temperatura è 10° inferiore che all’esterno, non fa caldo e si sta bene. Possibile ma molto raro incontrare serpenti a sonagli, il continuo afflusso di visitatori fa si che se ne stiano lontani.

– All’interno del Lower Antelope la (poca) luce è abbastanza uniforme nel corso della giornata, anzi non sono pochi quelli che ritengono che la luce migliore si abbia al mattino ed il tardo pomeriggio e non nelle ore centrali della giornata.

– Anche se meno visitato rispetto all’Upper anche il Lower attrae un buon numero di visitatori, quindi non aspettarti di avere il canyon tutto per te.

  1. c) l’Antelope Canyon X: è poco conosciuto ma comunque bellissimo. Ci sono meno turisti.

Alcuni operatori sono:

– Ken’s Tour per il Lower (http://lowerantelope.com/general-tour/) non abbiamo prenotato con loro. Si paga tutto all’arrivo.

– Antelope Canyon Tour per l’Upper (https://www.antelopecanyon.com/reservations/#) si deve pagare all’atto della prenotazione. Si può scegliere fra tour fotografici che vengono fatti nelle ore centrali della giornata ($ 100) e tour normali ($ 37) che vengono fatti prima e dopo quelli fotografici.

–  Antelope By Taadidiin Tours per l’Antelope Canyon X e il  Cardiac Canyon (https://www.antelopecanyon-x.com/). Costa $ 40 per i tour normali (durano massimo 1 ora e 1/2) e $ 80 per quelli fotografici  (durano massimo 3 ore). Si paga tutto all’arrivo.

Altri per l’Upper sono: Antelope Slot Canyon Tours by Chief Tsosie, Adventurous Antelope Canyon Photo Tours e Antelope Canyon Navajo Tours

Un altro operatore per il Lower: Lower Antelope Canyon Tours

Arrivando a Page andiamo a vedere la diga, arriviamo a piedi fino a metà e poi ci spostiamo all’Antelope Canyon per la visita. Abbiamo scelto il tour operator Taadidiin perchè, dai commenti letti su internet, risultava meno affollata la visita del Canyon X. Abbiamo pagato all’arrivo ma ho visto, prima di partire, che le cose sono cambiate. Per le nuove prenotazioni il pagamento è da farsi subito con carta di credito. Chiedono di mandare una mail di conferma alla prenotazione due giorni prima di arrivare e poi, il giorno seguente alla nostra visita, me ne è arrivata un’altra con i ringraziamenti per aver scelto loro. Paghiamo in contanti (il pos dicono che non gli funziona ma non so se è una bugia o meno). Il costo è $ 150 anzichè 160 (doveva essere 40 a testa) e non ci fanno pagare gli 8 $ della tassa Navajo. Il tour parte puntuale alle 11.00. Siamo in 21. Facciamo un tratto con le jeep. All’arrivo troviamo un grosso frigo dove poter prendere le bottigliette di acqua. Scendiamo a piedi, su una strada di sabbia soffice, fino all’ingresso del canyon. Anche qui c’è un altro frigo. Con questa escursione possiamo visitare due parti del canyon. Ci sono 39°C ma la temperatura all’interno è inferiore. Davvero bello. I giochi di luce sono pazzeschi. Vediamo solo un light beam che dura poco. Bella esperienza che dura un pochino meno di due ore. Andiamo poi in macchina al lago. Cerchiamo il posto in cui eravamo stati a fare il bagno nel 1999, ma non abbiamo assolutamente idea di dove sia, quindi puntiamo all’Antelope Point. Accettano l’Annual Pass altrimenti l’ingresso costa $ 30 al giorno. Siamo a 41°C. Al parcheggio giriamo a destra verso una sorta di porticciolo, parcheggiamo e scendiamo. Troviamo una spiaggetta tutta per noi. Fuori dall’acqua è impensabile stare quindi rimaniamo a mollo per un bel pò, poi andiamo a prendere in macchina le pizze di ieri sera e mangiamo sempre in acqua … Andiamo in hotel alle 15.00, La Quinta  Inn (http://www.laquintapageatlakepowell.com/) (€ 232 – colazione compresa – prenotato su Booking e pagato all’arrivo). Molto carino e ben curato. I ragazzi vanno in piscina, io ricompatto un pò i borsoni, consumiamo un pochino il wi-fi e poi alle 18.00 quando la temperatura scende leggermente …. si fa per dire … io e Pier andiamo al punto panoramico Horseshoe Band. Il parcheggio si trova qualche km. a sud di Page sulla 86. Non potete sbagliarvi, dove vedete un numero impressionante di macchine … quello è il posto … rimango colpita da un container strapieno di bottigliette vuote di acqua e altri sacchetti sono stati appesi a questo. In 10 minuti a piedi raggiungiamo il posto. Dire bellissimo è poco. Ci troviamo un angolino ed aspettiamo il tramonto. Da urlo. Farò una foto incredibile. Torniamo a fare una doccia, recuperiamo i ragazzi e andiamo a cena alla Fiesta Mexicana (http://www.fiestamexrest.com/) (€ 102) mangeremo davvero bene. Locale caratteristico. La ricorderemo positivamente questa serata … anche perchè abbiamo preso un Margarita ed era parecchio forte …. Quando usciamo ci sono ancora 36°. Andiamo a dare un lavaggio veloce alla macchina e torniamo al fresco dell’hotel. Qui e Moab sono i posti in cui abbiamo percepito più caldo, anche la sera.

13) 09 agosto 2018 giovedì – km.334 (Bryce Canyon NP) – tempo sereno

Facciamo colazione in hotel, spesa al Safeway Market e alle 9.00 partiamo. Ci sono 32°C.  Appena oltre Page si passa nello Utah quindi perdiamo 1 ora portando avanti gli orologi (- 8 dall’Italia). Lungo la strada ci sarebbero delle cose interessanti da vedere, in primis The Wave. Mi sarebbe piaciuto provare a fare richiesta per vederla ma poi, se ci avessero estratti, non avremmo fatto in tempo a visitare il Bryce Canyon quindi avremmo dovuto annullare la prenotazione. Spiego.

Informazioni su quello che c’è da vedere da Page al Bryce Canyon:

  1. A) The Wave

http://www.experienceamerica.it/parks/az/wave.php

https://www.blm.gov/visit/paria-canyon-vermilion-cliffs-wilderness

Nel Paria Canyon – Vermillion Cliffs Wilderness un’area molto bella sono le Coyote Buttes (North e South). Nella parte nord si trova The Wave. Non ci sono orari d’accesso. 

Prenotare: Possono accedere solo 20 persone al giorno.

– 10 vengono estratte tra le richieste fatte on-line 4 mesi esatti prima della data scelta. Ad esempio, se vuoi andare ad agosto le iscrizioni verranno fatte dal 1° al 30 aprile e l’estrazione avverrà il 1°maggio. Fai l’iscrizione sul sito https://www.blm.gov/node/7605 – https://www.blm.gov/az/paria/index.cfm?usearea=CB, paghi $ 5 con carta di credito a testa. Ti arriverà mail sia per l’esito positivo che negativo. Puoi scegliere di ritirare il permesso presso la Paria Ranger Station (più o meno a metà strada fra Page e Kanab, sulla sinistra venendo da Page) oppure di fartelo inviare per posta.  I $ 5, comunque, non verranno restituiti.

– Gli altri 10 vengono estratti tra quelli che fanno richiesta il giorno prima (ci si deve iscrivere alle 9.00 del mattino al Visitor Center di Kanab e l’estrazione avviene alle 9.30). Se non si riesce quel giorno si può riprovare il giorno seguente. In questo caso, anzichè un biglietto, ne vengono dati due.

L’iscrizione in entrambi i casi, deve essere fatta indicando il numero delle persone del proprio gruppo. Se si è in 4 si deve fare un’unica registrazione. Se si viene estratti, quel giorno potranno accedere solo altre 6 persone. Se il gruppo seguente sarà di 8 verranno scartati e riestrarranno fino a trovarne uno di 6, oppure 2 + 2 + 2 oppure 4 + 2, Bisogna raggiungere il numero 10 senza dividere i gruppi, sia on-line che per le richieste fatte di persona a Kanab.

Per arrivare: Circa 35 miglia a nord di Page, dopo la Paria Contact Station bisogna percorrere la US 89 in direzione di Kanab per circa 4,5 miglia. Non appena avrete superato il milepost 26 fate molta attenzione alla vostra sinistra e vedrete una strada sterrata proprio in prossimità del punto in cui la strada principale effettua invece un ampio curvone a destra: è la BLM 700, meglio conosciuta come House Rock Valley Road, una strada solitamente ben mantenuta e che può essere percorsa anche dalle normali autovetture, ma solo in condizioni di asciutto. Dopo aver percorso all’incirca 8 miglia arriverete al parcheggio del Wire Pass Trailhead, un ampio spiazzo alla vostra destra facilmente individuabile anche per la presenza di una toilette. Da qui la distanza che vi separa da The Wave è di 3 miglia.

In generale non è così difficoltoso localizzare The Wave, ci sono alcuni evidenti punti di riferimento che guidano il nostro cammino e che vengono anche ben spiegati (addirittura con un supporto fotografico) alla Paria Contact Station, però è uno di quei percorsi in cui l’utilizzo di una unità GPS potrebbe rivelarsi utile, soprattutto per il fotografo che intende trattenersi fino al tramonto e pertanto  sarà costretto ad effettuare il percorso di rientro nell’oscurità, un percorso che, a differenza di quello di andata, non ha dei punti di riferimento così facilmente individuabili.
Consiglio pertanto vivamente a tutti quelli che non sono dotati di un GPS, di voltarsi indietro ad intervalli regolari durante il tragitto di andata, in modo tale da memorizzare o addirittura segnare su un foglio tutti quei riferimenti visivi che gli permetteranno poi di ripercorrere il tragitto a ritroso. Dal Wire Pass Trailhead bisogna seguire il corso del wash Letto di un fiume asciutto, a volte parzialmente pieno stagionalmente 
asciutto finché non troverete, alla vostra destra, una vecchia pista per jeep che si inerpica su una scarpata: percorretela interamente (è molto breve ma molto ripida), finché non arriverete in cima ad un altopiano in cui comincerà invece un trail ben segnato e sabbioso. Fate molta attenzione a non perdere la pista per jeep. Infatti fino un paio di anni fa, in prossimità del bivio, c’era un cartello segnaletico che indicava la direzione per il Buckskin Gulch e quindi la vecchia pista era facilmente individuabile, ma adesso questo cartello è stato tolto e capita spesso che le persone proseguano nel wash Letto di un fiume asciutto, a volte parzialmente pieno stagionalmente asciutto fino all’imbocco del Wire Pass, uno slot canyon Canyon con pareti particolarmente strette il cui attraversamento permette di accedere al Buckskin Gulch. Nel caso che questo capiti anche a voi, basterà semplicemente tornare indietro, senza però rinunciare (dal momento che siete già lì!) a dare una occhiatina a questo slot e, perché no!!, mettere magari un piede nel Buckskin. Ma torniamo sull’altopiano e al trail sabbioso. Lo dovrete percorrere finché non arrivate in prossimità di un’altro wash Letto di un fiume asciutto, a volte parzialmente pieno stagionalmente asciutto che si trova proprio ai piedi di una catena di collinette rocciose: siete arrivati alle Coyote Buttes e adesso dovrete oltrepassarle. Cercate di individuare il punto di accesso che vi consente di arrampicarvi sulla loro sommità con maggiore facilità, è una specie di “scalinata” naturale facilmente localizzabile alla vostra sinistra, proprio là dove le colline di roccia sono meno alte rispetto a quelle che sovrastano la vostra visuale frontale. Una volta arrivati in cima alle Coyote Buttes girate a destra, cercando di mantenervi il più in alto possibile sul pendio, sforzatevi cioè di camminare bene in alto ed in costa sul pendio mantenendo sempre la cresta delle colline alla vostra destra, anche se questo comporta delle difficoltà nella marcia, evitate soprattutto di scendere nella ampia conca di terreno pianeggiante che si apre poco più sotto, questo è fondamentale per poter individuare tutti quei punti di riferimento che vi condurranno a The Wave. Molto presto individuerete davanti a voi una coppia di rocce a forma di cono, come delle gobbe di un cammello, dirigetevi direttamente verso di loro mantenendovi sempre bene in alto sul pendio e, una volta che le avrete raggiunte, oltrepassatele poi alla loro sinistra. A questo punto, dopo pochi minuti di cammino sempre bene in alto ed in costa, riuscirete finalmente a vedere davanti a voi Top Rock, la cresta montuosa sotto cui si nasconde The Wave. Top Rock sarà facilmente individuabile perché alla sua sommità c’è una evidente spaccatura nera che la percorre per una parte del suo fianco. Una volta localizzata Top Rock dovrete tenerla come punto di riferimento e dirigervi verso di lei, finché non arriverete ad un piccolo promontorio di roccia le cui striature ricordano vagamente quelle ben più stupefacenti che troverete a The Wave: sotto di voi vedrete un altro wash Letto di un fiume asciutto, a volte parzialmente pieno stagionalmente secco, questa volta dalle dimensioni abbastanza rilevanti, scendete ed attraversatelo, dirigendovi poi verso un albero isolato che si trova ai piedi della parete di roccia su cui svetta Top Rock. Oramai siete quasi arrivati! L’ultimo (ma terribile) sforzo, sarà quello di arrampicarvi sulla duna sabbiosa che riposa dietro l’albero, adagiata proprio alla parete rocciosa. Dopo poche decine di metri arriverete all’entrata del giardino incantato, nel regno della meraviglie: siete finalmente arrivati a The Wave! Il percorso per arrivare a The Wave può essere molto faticoso, sia per la presenza di tratti sabbiosi che rallentano la marcia che per l’effettiva difficoltà di dover camminare quasi sempre sulla parte più ripida del pendio delle Coyote Buttes. Un ultimo consiglio: non limitatevi solamente a fotografare The Wave, ma vi invito ad esplorare l’area che la circonda. Sarete così deliziati dalla scoperta di straordinarie formazioni rocciose e di impreviste opportunità fotografiche, come quel sorprendente doppio vortice di roccia scolpita e levigata dal vento, una vera e propria rampa di lancio per le stelle, che molti chiamano The Second Wave. Per individuarla basta che, lasciandovi The Wave alle spalle, risaliate per alcuni metri verso la spaccatura nella parete di Top Rock, finché non vedrete alla vostra destra un piccolo pianoro con alcune formazioni rocciose dalle forme ed i colori più bizzarri e che vengono chiamate “brain rocks”. Continuate a camminare su questo pianoro sempre in direzione sud-ovest per circa 200 metri, finché non incontrerete un piccolo pendio caratterizzato da ampie striature diagonali: aggiratelo allora sulla sinistra e sarete così arrivati a The Second Wave. Questa suggestiva formazione rocciosa, essendo caratterizzata da colori più chiari rispetto a The Wave, può essere fotografata con buoni risultati solo nel tardo pomeriggio, quando la luce è più calda ed intensa, il che ne fa una meta ideale da raggiungere non appena avrete finito di riprendere The Wave, a perfetto coronamento di una intensissima ed indimenticabile giornata fotografica.  

  1. B) Coral Pink Sand Dune State Park

– https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g57030-d208382-Reviews-Coral_Pink_Sand_Dunes_State_Park-Kanab_Utah.html

– https://stateparks.utah.gov/parks/coral-pink/discover/

– https://utah.com/coral-pink-sand-dunes-state-park

Costo ingresso $ 8, non accettano l’Annual Pass

Dopo Kanab girare a sinistra sulla 43. La si percorre per 12 miglia. C’è una terrazza panoramica dalla quale si vedono le dune. Da qui partono sentieri a piedi per avvicinarsi. Molto bello al tramonto. 

  1. C) Red Canyon

– https://www.viaggi-usa.it/red-canyon-utah/

– http://www.americansouthwest.net/utah/red_canyon/

Si trova, lasciando la 89 ed imboccando la 12 che porta al Bryce Canyon. Fa parte del Paunsaugunt Plateau e inserito nel contesto naturale della Dixie National Forest. La strada attraversa questo canyon per 5 miglia. Ci sono 2 archi fatti dall’uomo sotto i quali bisogna passare. La maggior parte delle persone passa fermandosi solo a fare qualche foto ma volendo ci sono alcuni sentieri da fare a piedi:

  • Cassidy Trail:  prende il nome dal famoso fuorilegge Butch Cassidy che si nascondeva in questi posti. Inizia a 1.2 miglia dal Visitor Center, in corrispondenza del Red Canyon Trailhead; la passeggiata offre degli splendidi scorci sulle rocce rosse di Red Canyon e Losee Canyon e può essere combinato con il Loose Canyon Trail. La lunghezza del sentiero è di 9 miglia e il livello di difficoltà medio.
  • Tunnel Traildall’altro lato della strada si snoda il Tunnel Trail, un sentiero decisamente più semplice che offre un bel panorama sulla valle e sui due tunnel/archi citati in precedenza. L’escursione dura non più di una mezz’ora.
  • Buckhorn Trail: in corrispondenza del Red Canyon Campground, inizia una breve escursione sul Buckhorn Trail (1 miglio a piedi circa in totale). Il sentiero si svolge inizialmente in un bosco di conifere, per poi continuare su un terreno aspro e rossastro. Alla fine del percorso, si arriva in un punto sopraelevato da cui si gode di un bel panorama sul Red Canyon.

Noi ci fermiamo solo a fare una sosta nel parcheggio del Red Canyon poi puntiamo dritti (impieghiamo 3 ore da Page) al Bryce Canyon. Tutto è come 19 anni fa, dormiremo pure nello stesso hotel. Andiamo al gate.

Informazioni sul Bryce Canyon:

– https://www.myutahparks.com/basics/official-bryce-national-park-map-pdf  (mappa ufficiale)

– http://www.americansouthwest.net/utah/bryce_canyon/national_park.html

– https://www.nps.gov/brca/index.htm

– https://www.viaggi-usa.it/bryce-canyon-cosa-vedere/

– http://www.experienceamerica.it/parks/ut/brycecanyon.php

– https://travelourplanet.com/destinations/north-america/bryce-canyon-national-park-le-escursioni-piu-facili-e-brevi-e-le-gite-a-cavallo

– http://www.brycecanyoncountry.com/bryce-canyon-main-viewpoints/

Il costo d’ingresso è di $ 35 ad auto, valido per 7 giorni, ma si può usare l’Annual Pass. E’ aperto tutto l’anno senza vincoli di orari. Dal Visitor center fino al Rainbow Point sono 27 km. Diventato parco nel 1923, prende il nome dal mormone Ebenezer Bryce, falegname scozzese venuto a vivere in Utah e che contribuì alla costruzione della Cappella della Pine Valley nel 1868. Questo parco è famoso per i colori e per la presenza di tantissimi hoodoos, pinnacoli creati con l’erosione della roccia dovuta agli eventi atmosferici. In realtà non è un canyon bensì un insieme di anfiteatri. Occupa un piccolo territorio (146 kmq). E’ una spaccatura dell’altopiano Paunsaugunt a 2.400/2.700 mt. di altitudine. L’albero tipico è il pino ponderosa che può raggiungere fino a 45 mt. di altezza. Il punto in cui ce ne sono di più e di più grandi dimensioni è il Ponderosa Cayon. Ci sono diversi punti panoramici. L’alba a Bryce Point è da non perdere. Questo posto richiederebbe due notti per poter fare almeno un trail.

Trail (da nord a sud):

Fairyland Trail: 13 km.è un anello. Si può tornare al punto di partenza oppure non concludere il giro e risalire dal Sunrise Point. Qui c’è il Tower Bridge. Se si parte dal Sunrise point sono 2,4 km. a tratta.

dal Sunrise  al Sunset Point: km.0,8 circa 30 minuti. Tutto in piano.

Navajo Loop: da Sunset Point: km.2,2 massimo 1 ora. E’ un loop.

Queen’s Garden Trail: parte dal Sunrise Point e si collega al Navajo Loop. Fino all’incrocio sono km.2,6.

Volendo si possono percorrere tutti e 3 i trail partendo e tornando nello stesso punto, sono in tutto 4,4 km.

– dall’incrocio tra il Navajo Loop trail e il Queen’s Garden Trail parte il Peekaboo Loop Trail (un anello di 4,8 km.) che arriva sotto il Bryce Point (dal quale si può uscire senza concludere l’anello percorrendo ancora 1,8 km). E’ percorribile sia a piedi che a cavallo. Qui  c’è un punto chiamato Tunnel view dove c’è una finestra panoramica.

– dal Bryce Point c’è un lungo sentiero che porta fino al Rainbow Point, si chiama Under-The Rim-Trail. Ci sono 3 punti di risalita quindi si può scegliere di percorrerne solo un tratto. Si può uscire dallo Swamp Canyon, dal Whiteman e dall’Aqua Canyon. Se lo si percorre tutto sono 37 km. (circa 3 giorni di cammino). Ci sono 8 aree campeggio per tende. (https://www.backpacker.com/trips/rip-go-under-the-rim-trail-bryce-canyon-national-park-ut).

– dallo Swamp Canyon partono due sentieri il Swamp Canyon Connecting Trail ed il Sheep Creek Connecting Trail. Entrambi si uniscono al Under-The Rim-Trail creando un anello di 7 km. Questo quindi è il primo punto di uscita dal Under-The Rim-Trail.

– dal Rainbow Point c’è il facile Bristlecone Loop Trail (1,6 km), oppure il difficile Riggs Spring Loop Trail (12,2 km) con 4 punti sosta per il campeggio in tenda

Ci indirizziamo subito al punto più lontano il Rainbow Point. Lungo la strada vediamo i danni che ha fatto il grandissimo incendio del 2009 o 2010, non ricordo, ha devastato anche diversi punti degli anfiteatri. All’arrivo pranziamo su un tavolo da pic-nic. Le carote crude già pulite che ha scoperto Martina, con il Philadelphia … andranno per la maggiore in questa vacanza. Ci sono 28°C. Vediamo tutti i punti panoramici. I più belli sono il Paria, Bryce (meraviglioso) ed Ispiration (si trova sullo stesso anfiteatro del Sunset e del Sunrise). Andiamo poi in hotel il Best Western Plus Ruby’s Inn (https://www.rubysinn.com/) (€ 172 – solo pernottamento – prenotato su Booking e pagato all’arrivo). Ci sono lavatrici ed asciugatrici quindi ne approfittiamo. C’è il rodeo, non mi piacciono queste cose quindi decido di non entrare. I ragazzi mi vengono a dire che c’è lo spettacolo dei bimbi con le pecore e allora faccio un salto. Troppo carini … rimaniamo poco e poi andiamo a cena al Bryce Canyon Pines (https://www.brycecanyonmotel.com/bryce-restaurant/) (€ 94), nulla di che. Abbiamo aspettato 1 ora  e mezza il tavolo quindi conviene informarsi se prendono le prenotazioni. Quando usciamo fa freschino … 18°C.

14) 10 agosto 2018 venerdì – km. 453 (Las Vegas) – tempo sereno

Lasciamo i ragazzi a dormire e andiamo a vedere l’alba al Bryce Point … ma sbagliamo i tempi perchè ci sembrava ancora completamente buio alle 6.00 quindi, partendo alle 6.30, siamo arrivati che il sole era appena sopra la linea dell’orizzonte. Comunque ugualmente bello spettacolo in questo anfiteatro pazzesco. Ci sono 10°C. Vediamo tanti bambi nei boschi lungo la strada. Ci spostiamo in macchina al Sunset Point per fare il Navajo Loop + il Queens Garden fino al Sunrise e rientro al Sunset in piano (km.4,6 in tutto). Scendiamo i tornanti di Wall Street. Siamo solo noi. Durante il giorno è battutissimo. Il problema è che tra una foto e l’altra perdiamo troppo tempo e quindi quando siamo all’incrocio con il Queens dobbiamo a malincuore decidere di chiudere il Navajo Loop senza fare tutto il giro. Se camminavamo decisi non avremmo avuto problemi a farlo velocemente perchè siamo montagnini … ma se attacco a fare foto è la fine. E comunque volevamo anche goderci il posto in solitudine. In 50 minuti siamo di nuovo al parcheggio. Recuperiamo i ragazzi e partiamo. Ci fermiamo ad Hatch per fare colazione nel grazioso bar Galaxy Diner, stile anni 50 (http://www.galaxyofhatch.com/) (€ 25), e poi ripartiamo. Sosta a St.George per il pranzo. Troviamo un bel supermercato (Smith’s) all’interno del quale c’è una zona insalate take away, te le componi tu con quello che vuoi e quanto ne vuoi. Il prezzo va in base al peso (€ 27). Perfetto!! Quello che volevamo. In giro per gli Stati Uniti ci sono tanti posti come questo. Non si è per forza obbligati a mangiare schifezze nei fast food. Cerchiamo un’area pic-nic ma nulla quindi mangeremo in macchina. Non è il massimo ma vista la temperatura è meglio rimanere climatizzati. Ripartiamo. Passiamo un tratto in Arizona e poi entriamo in California. Tiriamo indietro di 1 ora l’orologio (- 9 dall’Italia). Da qui alla fine della vacanza sarà sempre questo il fuso. Raggiungiamo alle 15.00 Las Vegas, tempo effettivo di viaggio: 6 ore dal Bryce. Facciamo un giro in macchina lungo lo Streep e poi andiamo in hotel l’Holyday In Express (https://www.ihg.com/holidayinnexpress/hotels/it/it/las-vegas/lasrr/hoteldetail#scmisc=nav_hoteldetail_ex&) (€ 202 – con colazione – prenotato su Booking e pagato all’arrivo). Ci sono 43°C. Andiamo subito in piscina e rimaniamo a mollo per 2 ore … non si può fare altro … Alle 20.00 usciamo raggiungendo in 5 minuti l’hotel Mandalay con la navetta dell’hotel. Proseguiamo a piedi fino al New York – New York (nostro hotel del 1999) dove ci troviamo, con gioia di tutti, con i nostri amici Basket. Percorriamo tutto lo streep da un lato e poi torneremo dall’altro. Se non si è appassionati di casino, Las Vegas va vista in un paio d’ore alla sera, quando non si muore di caldo e con tutte le luci accese. Ci fermiamo a cena nel primo posto che troviamo, non so dove fosse e comunque niente di che. Solo la compagnia è piacevole. I nostri ragazzi sono felicissimi di poter stare con le loro amiche. Torniamo al New York-New York e ci separiamo da loro a mezzanotte. Avremo la possibilità di rivederci una sera a Los Angeles. Non vogliamo fare il tratto a piedi fino al Mandlay e poi aspettare la navetta quindi prendiamo un taxi (€ 9).

15) 11 agosto 2018 sabato – km. 622 (Dead Valley – Mono Lake) – tempo sereno

Alle 7.00 partiamo dopo aver fatto colazione. Oggi raggiungeremo la punta massima delle temperature percepite. Partiamo con 32°C per poi scendere a 25, su un passo prima di entrare nella Valle della Morte, ed arrivare a 45° alle 10 del mattino a Badwater …. poi siamo scappati …

Informazioni sulla Dead Valley:

– https://www.nps.gov/deva/index.htm

– https://www.viaggi-usa.it/visitare-death-valley/

– https://www.nps.gov/hfc/carto/PDF/DEVAmap1.pdf (mappa)

– http://www.americansouthwest.net/california/death_valley/national_park.html

– http://www.experienceamerica.it/parks/ca/deathvalley.php 

E’ il posto più caldo al mondo. Il 10 luglio 1913 i termometri hanno indicato 56,7°, la più alta temperatura mai registrata sulla terra a Greenland Ranch. E’ lunga 230 km. e larga circa 26. Posti da vedere:

– Dante’s View: molto bello all’alba quando le Panamint Mountains vengono illuminate dal sole che sorge. punto panoramico sulla piana asciutta del lago Manly

– Zabriskie Point: Bel panorama con le montagne alte  1.500 mt. sullo sfondo. Qui sono stati girati alcuni film ed alcuni video di canzoni. La cima più alta si chiama Manly Beacon

– Golden Canyon Trail: Si può percorrere un tratto in questo canyon color oro lungo 1,6 km. Molto caratteristica la Red Cathedral.

– Desolation Canyon: dal parcheggio c’è un trail di 2,9 km che porta fino all’Artist Drive

– Devil’s Golf Course: distesa di sale pietrificato

– Natural Bridge Canyon: bello il ponte ma anche le Dry Falls che si vedono lungo il percorso.  La strada non è asfaltata.

– Badwater: questo è il punto più basso di tutto il nord America. Si trova 86 mt. sotto il livello del mare. E’ il fondo di quello che un tempo era il lago Manly

– Artist’s Drive con il punto clou che è l’Artist’s Palette: sembra la tavolozza di un pittore. Qui hanno girato la saga Star Wars. La strada è a senso unico.

– Mesquite Flats: scenografiche dune di sabbia che ricoprono una superficie di 40 kmq.

– Mosaic Canyon: appena oltre Stovepipe Wells. E’ da perccore a piedi. Ci sono meravigliose pareti di mille colori, levigate dagli agenti naturali.

– Rhyolite: lasciando il parco in direzione est verso Beatty sulla 374 fare sosta a questa piccola città fantasma. E’ un’ex città mineraria. 

Se si prosegue verso nord:

– Scotty’s Castle: un castello in mezzo al deserto: Villa spagnola fatta costruire negli anni ’20 da un ricco finanziere di Chicago, Albert Johnson; si trova vicino al cratere di Ubehebe. Se deciderete di vistare l’interno verrete accolti da guide vestite in autentici abiti d’epoca, che vi accompagneranno durante il tour. E’ chiuso fino al 2020 per danni dovuti ad un temporale sia alla struttura che alla strada. E’ vietato anche accedere al Grapevine Canyon che porta fino a là. Al momento si può arrivare al castello solo a piedi e con guida.

– Ubehebe Crater

Racetrack Playa: dall’ Ubehebe Crater parte una strada sterrata da percorrere solo con 4×4. Per arrivare ci vuole 1 ora e 1/2, sono 43 km. I cellulari non prendono. Qui si possono vedere le famose pietre che camminano. Fenomeno che gli scienziati non riescono a spiegarsi.

I paesaggi sono desolati da quando usciamo da Las Vegas. Arriviamo al gate. Non c’è nessuno. E’ impensabile che qualcuno possa stare qui a controllare chi ha l’annual pass o a fare i biglietti giornalieri. Penso che si debba andare al Visitor Center di Furnace Creek per pagare il biglietto. Noi siamo a posto con l’Annual Pass. Saltiamo il Dante’s View, andiamo diretti al Zabriskie Point. Saliamo a piedi sulla collinetta. Le formazioini rocciose hanno dei bei colori. Fa già caldissimo nonostante sia presto quindi puntiamo direttamente al punto sotto il livello del mare, Badwater. I ragazzi non scendono neppure dalla macchina. Io e Pier vogliamo raggiungere la piana salata quindi ci indirizziamo a piedi. Dopo poco Pier torna indietro, io  … devo andare a fare le foto. Il punto in cui si parte dal parcheggio è battuto per una larghezza di una ventina di metri, il sale non è bianco ma marrone. Questo percorso si stringe man mano che si va avanti. La maggior parte delle persone desiste e torna indietro. Quando si arriva nel bianco completo, è solo un piccolo sentiero … è tutto sale cristallizzato. Arriviamo fino a qui solo in 5. Nel tratto, circa 15 minuti, ho bevuto quasi tutto il litro e mezzo di acqua che avevo come scorta. Giusto il tempo di fare due foto e torno. Ho avuto il serio dubbio di non farcela. Il sole viene coperto per un minuto da una nuvola, l’unica in tutto il cielo. Se non ci sono i raggi del sole a fonderti la testa (nonostante il cappello) è tutt’altra cosa, altrimenti si ha la sensazione di morire. Due ragazzi hanno un ombrellino, l’hanno pensata giusta. Vedevo le macchine in lontananza ma erano sempre troppo lontane. Credo di essere andata nel panico al punto tale da mettermi a dire il rosario … fatto sta che sono riuscita ad arrivare alla macchina con le mie gambe. Pier e i ragazzi sono rimasti sconvolti dal colore della mia faccia. Mi buttano in testa dell’acqua. Credo sia stato il momento della mia vita in cui me la sono vista più brutta … anzi .. l’unico, pur sapendo che, se avessi avuto un cedimento, c’erano delle persone che avrebbero potuto aiutarmi. Anche gli altri ragazzi arrivano allo stremo delle forze. Forse ad agosto è bene evitare di andare fino a là …. ma le foto sono venute bene … 🙂 🙂 Da qui in poi non scendiamo più. Sosta veloce al Davil’s Golf Course, percorriamo l’Artist Drive (bei colori), vediamo da lontano le dune di sabbia sulla 190 ed arriviamo a Panamint Springs dove facciamo sosta. Decidiamo di mangiare un boccone qui (€ 40). Stiamo fuori, fa caldo ma all’ombra è tollerabile (32°C). Alle 13.00 ripartiamo. Lentamente i paesaggi cambiano fino a diventare collinette con vegetazione bassa e poi montagne con i pini. Arriviamo al Mono Lake alle 16.30.

Informazioni sul Mono Lake:

– http://www.monolake.org/visit/southtufa

– http://www.experienceamerica.it/parks/ca/monolake.php

La caratteristica di questo lago salato, di 60 miglia quadrate, sono le formazioni saline di varie dimensioni che si si trovano sia nell’acqua che sulle rive. Il punto panoramico migliore è South Tufa che dista 6 miglia dall’hotel. Bello al tramonto. Volendo da qui si può fare un percorso ad anello che dura un paio d’ore.

Pernotteremo al Yosemite Gateway Motel (http://yosemitegatewaymotel.com/) (€ 206 – solo pernottamento – prenotato su Booking e pagato al momento della prenotazione). La struttura tutta in legno, è vecchiotta, il lago si vede in lontananza. Per una notte va bene. Dopo il caos folle di ieri apprezziamo molto questo paesino fuori dal mondo. Chiediamo conferma alla proprietaria sull’apertura completa, da ieri, della Tioga Road che attraversa lo Yosemite National Park. La ricordavo bellissima e mi sarebbe spiaciuto non poterla percorrere. Purtroppo ci salta la visita della Yosemite Valley con tutte le sue meravigliose cascate, e il pernottamento (faremo una notte in più a San Francisco). Come ho detto, dal 13 luglio, un tremendo incendio, il Ferguson Fire, ha devastato la parte sud-ovest del parco. Hanno chiuso subito la Wawona Road che portava alla Yosemite Valley poi la El Portal Road ed infine l’ultima, la Big Oak Flat Road. Dopo la chiusura di quest’ultima la valle è stata diversi giorni completamente isolata. Non ha riscontrato danni, il problema è che il fuoco ha raggiunto le strade di accesso e l’aria era irrespirabile.. Ogni giorno scrivevano sul sito ufficiale che l’apertura sarebbe stata prossima, ma poi rimandavano perchè la situazione peggiorava sempre. Alla fine riapriranno la valle il 14 agosto e il fuoco verrà spento completamente il 19 agosto.

Si mette a piovere per una mezz’oretta e quando smette andiamo a cena nel ristorante dall’altra parte della strada, Nicelly’s (€ 66). Cena buona e cameriera attempata, tutta cotonata, stile anni 60, graziosa e gentile. Ci sono 20°C una meraviglia … alle 21.00 siamo tutti tra le braccia di Morfeo.

16) 12 agosto 2018 domenica –  km.491 (Yosemite NP – San Francisco) – tempo sereno

Pier va a prendere al bar the e caffè take away  poi partiamo alle 7.30. Ci sono 15°C. Siccome abbiamo tempo non potendo visitare la Yosemite Valley e possiamo arrivare a San Francisco solo pe dormire, decidiamo di andare a visitare al città fantasma di Bodie, anche se non è di strada. Si trova 50 km. più a nord. Bisogna percorrere la 395 fino a Dog Town e poi girare a destra sulla 270.

Inforamazioni su Bodie:

https://www.bodie.com/

Orari 9-18 – costo $ 8 a testa

Si tratta di una delle numerose “ghost town” presenti in California, antiche città minerarie insediate durante il periodo della corsa all’oro di fine ‘800, che sono state poi abbandonate una volta esaurite le miniere. Questa però è famosa perché è straordinariamente ben conservata, tanto da essere stata dichiarata State Historic Park nel 1962.

Ci impieghiamo 45 minuti ad arrivare ed aprirà … dopo 45 minuti … Non era previsto che venissimo qui quindi sapevo che esisteva ma non ero ben documentata. Ieri sera ho cercato su internet velocemente delle info ma non ho trovato gli orari. Non possiamo aspettare quindi faccio solo qualche foto con il teleobiettivo. Anche se da lontano, è molto bella. A malincuore, rientriamo a Mono Lake e poi ci indirizziamo verso il Tioga Pass. Arriviamo, facendo qualche sosta foto, al gate dello Yosemite National Park.

Informazioni sullo Yosemite National Park:

– https://www.nps.gov/yose/index.htm

– https://www.nps.gov/yose/planyourvisit/maps.htm (mappe)

– https://www.viaggi-usa.it/visitare-yosemite-national-park/

– https://www.viaggi-usa.it/tioga-pass-road/

– http://www.experienceamerica.it/parks/ca/yosemite.php

– http://www.experienceamerica.it/parks/ca/yosemite_tiogaroad.php

– http://www.americansouthwest.net/california/yosemite/national_park.html

– https://www.travelyosemite.com/

– http://www.visitcalifornia.com/it/destination/focus-yosemite-national-park-ynp

Orari: sempre aperto – costo $ 30 – accettano l’Annual Pass.

Dal Mono Lake alla Yosemite Valley sono 120 km.

Dichiarato parco dal presidente Roosevelt nel 1903, per proteggere la Sierra Nevada ed il suo ricchissimo patrimonio faunistico e vegetale, si estende per 3.080 kmq ad altitudini che variano da 600 a 4.000 mt. Ci sono 325 km di sentieri. E’ uno dei parchi più visitati ma la ricettività non è elevata quindi è molto difficile trovare da pernottare all’interno del parco. La maggior parte dei turisti si concentrano nella Yosemite Valley (13 km. per 3 di larghezza) che si sviluppa lungo le rive del fiume Merced. E’ caratterizzato dalla presenza di 8 grandissimi monoliti. El Capitan, simbolo del parco, è uno dei più alti al mondo con i suoi 1.100 mt. L’Half Dome, con i suoi 2693 mt. è la vetta più bella dello Yosemite,  per soli 7° non è perfettamente verticale. Il nome Yosemite significa “Terra degli orsi” in lingua indiana. Oltre a questi bellissimi animali vivono altri 76 tipi di mammiferi, 220 specie di uccelli, 25 di rettili e 9 di anfibi. Queste terre sono sempre state abitate dagli indiani Miwok. Si può parcheggiare la macchina e spostarsi con il pullman, The Valley Visitor Shuttle,  in funzione dalle 7 alle 22.00.

 

1) Tioga Road: Si imbocca la Tioga Road (aperta da giugno ad ottobre, mentre il resto del parco è visitabile tutto l’anno).  Il Tioga Pass (3031 mt) è l’ingresso est dello Yosemite National Park. Collega Lee Vining, sul Mono Lake, a Big Oak Flat ed è lunga 102 km.

– Appena imboccato la 120 c’è un distributore di benzina sulla sinistra (in Vista Road) dal quale c’è un bel look-out sul Mono Lake.

Tuolumne Meadows: ci sono tanti sentieri che costeggiano il fiume. Se non si ha tempo per percorrerli, una sosta comunque merita. C’è un Visitor Center dove chiedere info.

– non molto segnalato ma c’è un parcheggio per vedere il Tenaya Lake. Molto grazioso.

– sosta al Olmsted Point. Bellissimo panorama, c’è il parcheggio. Se si segue un tratto il sentiero si vede l’Half Dome della Yosemite Valley

– Sosta a Tuolumne Grove (a pochi km. dalla Big Oak Flat Road) per vedere le sequoie giganti. Non riuscendo a vederle in altri posti, bisogna approfittarne qui. Dal Visitor Center 20 minuti in macchina e poi bisogna fare una semplicissima camminata di 3 km. (andata e ritorno), circa 1 ora e 1/2. Ci sono 10/15 di queste piante. Una ha il tronco bucato. Se si ha tempo fare una sosta.

– in alternativa, pochi km. oltre ci si può fermare a Merced Grove. Anche qui c’è un trail di circa 2 ore per vedere le sequoie (redwood).

 

2) Nella Yosemite Valley i punti di maggiore interesse sono:

  1. a) Ispiration Point (ad ovest della Yosemite Valley dal quale si può ammirare tutta la vallata con i monoliti e le cascate), El Capitan, Cathedral Rock e Cathedral Spires con la Bridal Veil Fall (cascata Velo da Sposa), Sentinel e Half Dome
  2. b) Glacier Point: punto panoramico a 2.199 mt. raggiungibile in macchina in 1 ora (circa 50 km.) dalla Yosemite Valley o con lo shuttle o a piedi percorrendo il Four Mile Trail (km.7,7 tempo 3/4 ore dislivello 1 km. vedi dettaglio trail). E’ il miglior punto panoramico. Molti salgono con lo shuttle e scendono a piedi. Al tramonto è bellissimo. In linea d’aria è a solo 1 km. e 1/2 dallo Yosemite Village ma con un dislivello di 1 km. Sono 24 km. arrivare alla deviazione che c’è sulla Wawona Road per imboccare la Glacier Point Road e poi altri 25 km. https://www.viaggi-usa.it/glacier-point/
  3. c) nella parte est della Yosemite Valley c’è una valle laterale, il Tenaya Creek, in direzione nord. Con una passeggiata si possono vedere le Indina Caves, abitate un tempo dagli indiani e oltre si arriva al bellissimo Mirror Lake (https://www.nps.gov/yose/planyourvisit/mirrorlaketrail.htm), nel quale si riflette, soprattutto all’alba e al tramonto, il North Dome. A luglio ed agosto c’è pochissima acqua. Per le due escursioni vedi sotto nel capitolo Trail.

3)Trail nella Yosemite Valley:

https://www.nps.gov/yose/planyourvisit/valleyhikes.htm

  1. a) Bridalveil Fall Trail: 0,8 andata e ritorno – h.0,20 – difficoltà bassa – si parte dal Bridalveil Fall Parking Area – il pullman non si ferma qui
  2. b) Lower Yosemite Fall Trail: E’ un anello di km.1,6 – h .0,30 – difficoltà facile (percorso giallo) – Il parcheggio è allo Yosemite Village o allo Yosemite Lodge (meglio) oppure in pullman shuttle stop #6 al Lower Yosemite Fall Trailhead.
  3. c) Cook’s Meadow Loop: E’ un anello di km.1,6 – h .0,30 – difficoltà facile (percorso arancione della foto sopra) Il parcheggio è allo Yosemite Village o allo Yosemite Lodge oppure se si prende il pullman ci sono varie fermate: shuttle stop #5 or #9, shuttle stop #11 vicino al Sentinel Bridge e shuttle stop #6 al Lower Yosemite Fall Trailhead .
  4. d) Mirror Lake Trail: https://www.nps.gov/yose/planyourvisit/mirrorlaketrail.htm

arrivare al lago km.1,6 a tratta – h.1 a tratta – difficoltà facile – colore giallo – anello sopra il lago km.8,00 – difficoltà media – colore arancione

parte dal Mirror Lake Trailhead  –  parcheggio delle macchine all’Half Dome Village (Curry Village) o pullman (shuttle stop #17)

  1. e) Yosemite Valley Loop Trail: https://www.nps.gov/yose/planyourvisit/valleylooptrail.htm

Trail di tutta la valle. Parte dal Lower Yosemite Fall Trailhead (shuttle stop #6). Si può fare 1/2 loop fino al El Capitan Bridge (percorso giallo) e poi rientrare seguendo l’altra riva del fiume (sono 11,6 km. da percorrere in 2,5/3,5 ore) oppure proseguire oltre il ponte fino al Pohone Bridge (aggiungendo al precedente il percorso rosso), per poi rientrare dall’altra riva fino al punto di partenza (sono 18,5 km. che si percorrono in 5/7 ore).  La difficoltà è moderata.

  1. f) Vernal Fall and Nevada Fall Trails

– Vernal Falls: km. 2,6 andata e ritorno – h.1/1,5 – difficoltà media

– sopra le Vernal Falls: km.3,4 andata e ritorno via Mist Trail – h.3,00 – – difficoltà alta

– Nevada Falls: km.8,7 andata e ritorno via Mist Trail – h.5/6 – difficoltà alta

Parcheggio delle macchine al Half Dome Village (dista km.1,6 dalla partenza del trail) oppure in pullman scendere a Happy Isles (shuttle stop #16)

  1. g) Snow Creek Trail: e’ un anello di Km.15,1 – h.6/7 – difficoltà elevata – parte dal Mirror Lake Trailhead parcheggio all’Half Dome Village o pullman (shuttle stop #17) – si raggiunge il Mirror Lake e si prosegue
  2. f) Four Mile Trail (trail to Glacier Point): 7,7 a tratta – h.3/4 a tratta – difficoltà elevata – parte dal Four Mile Trailhead along Southside Drive dove c’è il parcheggio
  3. g) Half Dome Day Hike: 25 andata e ritorno – h.10/12 – difficoltà elevatissima – ci vogliono permessi e grande preparazione – Parcheggio delle macchine al Half Dome Village (dista km.1,6 dalla partenza del trail) oppure in pullman scendere a Happy Isles (shuttle stop #16) – Si raggiungono le Venal Falls, le Nevada Falls e poi si prosegue
  4. h) Indian Caves: Le indicazioni per le grotte indiane vicino a Mirror Lake sembrano inesistenti. Ma questo non li rende impossibili da trovare. Dall’Awahanee Hotel (The Majestic Yosemite Hotel), oltrepassate il prato sul retro, la piscina e i cottage fino a raggiungere la pista ciclabile diretta a Mirror Lake. Svoltare a sinistra e rimanere sulla pista ciclabile fino a quando non si individua il percorso a piedi che corre proprio accanto a sinistra. Continua su questo sentiero più piccolo attraverso la foresta finché non ti trovi quasi direttamente di fronte alla base della Colonna di Washington. Il sentiero si apre in una grande distesa da non perdere. Non preoccuparti di cercare i marcatori qui per confermare che hai trovato il posto; non ne troverai

4) Cascate nella Yosemite Valley:

  1. a) Yosemite Falls (vedi indicazioni scritte prima nella parte dei trail). E’ la cascata più alta del parco (739 mt.) che scende in 3 salti (1 piede = 30,48 cm.):

– Upper Yosemite Fall (436 mt)

– Middle Fall (206 mt)

– Lower Yosemite Fall (97 mt)

Scorrono da novembre a fine luglio. Il picco massimo è a maggio.

  1. b) – Scorrono da marzo a giugno. Il picco massimo è a maggio: Sentinel Falls (607 mt.) – Ribbon Fall (491 mt.) e Royal Arch Cascade (381 mt.)
  2. c) Scorrono da dicembre ad aprile: Horsetail Fall (305 mt.)
  3. d) A febbraio, per 2 settimane, le Horsetail Falls si colorano di rosso al tramonto. Organizzano escursioni guidate che partono dallo Yosemite Valley Lodge al costo di $ 29 (https://www.travelyosemite.com/discover/points-of-interest-waterfalls/horsetail-fall/)
  4. e) Scorrono tutto l’anno. Il picco massimo è a maggio: Nevada Fall (181 mt.) – Vernal Fall (97 mt.) – Illilouette Fall (113 mt.) – Wapama Falls (427 mt.) –  Chilnualna Falls (671 mt.) –  Bridalveil Fall (189 mt.)   

5) Mariposa Grove National Park

https://www.nps.gov/yose/planyourvisit/mariposagrove.htm

Uscendo dal gate sud del parco, il Wawona, c’è questo piccolo parco, di un solo kmq, ad un’altitudine di 2.000 mt, dove si trovano 500 sequoie. Un tempo era abitato da tanti grizzly e da tante farfalle (Mariposa in spagnolo). Ora non ce ne sono più. Un trenino scoperto permette di fare un giro di un’ora facendo sosta alla Grizzly Giant, una sequoia di 2.700 anni, alta 64 mt. e  la cui circonferenza è di 29 mt., e alla Wawona, sequoia immortalata in tante foto nel tronco della quale era stata scavata una galleria per far passare le carrozze. Una grande nevicata del 1968 l’ha fatta cadere.

Vogliamo fare una passeggiata quindi ci fermiamo al visitor center di Tuolumne Meadows e ci indirizziamo verso Soda Springs. Il paesaggio è bellissimo. C’è una radura nella quale scorre il fiume Tuolumne. Intorno alla radura ci sono tantissimi pini e sullo sfondo i meravigliosi massicci granitici del Fairview Dome e Cathedral Peak. Il bello di questo posto, che mi era rimasto impresso, sono proprio le gigantesche formazioni rocciose, lisce e senza una pianta. Davvero un bel posto. Vediamo un gruppo animaletti definiti marmotte, da alcuni signori. Da noi questi roditori sono molto più grossi e scuri. Superiamo il fiume e ci inoltriamo nel bosco. Vediamo un cervo con i palchi, non è intimorito. Non ci fidiamo a proseguire perchè non abbiamo lo spray per gli orsi quindi andiamo a vedere la sorgente (nulla di che), immergiamo i piedi nell’acqua gelida del fiume e poi torniamo alla macchina. Il tutto fatto in 1 oretta. Ci sono 23°C. Lungo la strada vediamo la distruzione di un altro incendio precedente. Facciamo una sosta per fare due foto al Tenaya lake (bello) ed una al Olmsted Point. Da qui, nelle giornata terse, si vede l’Half Dome … ora il fumo creato dal Ferguson Fire avvolge tutto e rende l’aria irrespirabile fino a qui. Chissà laggiù che incubo. Chissà gli animali!!! Un patrimonio forestale devastato. Non sono riuscita a capire se è stato doloso o meno. Si sa che dopo un incendio la vegetazione rinasce molto più forte perchè ben concimata. Questo però vale per i cespugli e i pascoli, anche in Africa nei parchi, danno fuoco ad alcune aree a rotazione. Per le piante secolari invece è un altro discorso perchè ci vogliono decine e decine di anni primache tutto torni come prima. Arriviamo poi al parcheggio del Tuolumne Grove. Anche qui è indicato ovunque il pericolo orsi. Le immondizie sono blindate. Lasciamo la macchina e ci indirizziamo a piedi. Ci sono tante pigne giganti. Arriviamo nel punto in cui ci sono le sequioie. Non sono tante. Una è stata colpita da un fulmine ed, essendo morta, hanno scavato una galleria alla base. Ci fermiamo a fare il pic-nic su un tavolo in legno, facciamo due foto e poi ritorniamo. In tutto impieghiamo poco più di 1 ora. Non avevamo mai visto queste piante e avendo tempo, abbiamo fatto questa camminata, ma in realtà non so se merita. Secondo me conviene concentrarsi su Mariposa Grove (nella parte sud di Yosemite) dove si ha la possibilità di vederne molte di più oppure al Squoia National Park. Ripartiamo ed arriviamo allo svincolo sulla Big Oak Flat Road. A sinista la strada, che porta alla Yosemite Valley, è completamente bloccata dalla polizia. Noi andiamo a destra diretti a San Francisco. Pazzesco, lungo la strada si vedono colonne di fumo ovunque. Le manichette dei vigili del fuoco sono ancora stese sull’asfalto nel caso in cui il fuoco riparta. Hanno usato l’asfalto come linea tagliafuoco. D’altronde questa strada è stata riaperta solo ieri mattina … Lasciamo il parco alle 14.45. Dobbiamo percorrere 290 km . per arrivare al nostro Hotel di San Francisco. Toccheremo di nuovo i 39°C per titornare ai 17 quando superiamo il ponte ($ 5) della 92 che ci porta sulla penisola di San Francisco. Pazzesco, prima del ponte il cielo è sereno e oltre c’è la nebbia. Abbiamo scelto di dormire ad Half Moon Bay per evitare il casino e i prezzi folli della città. Questa piccola cittadina aveva ottime recensioni. Impiegheremo circa 40 minuti per arrivare in centro. Perenottiamo al Comfort Inn – Half Moon Bay (https://www.choicehotels.com/california/half-moon-bay/comfort-inn-hotels/ca853?source=gyxt) (€ 182 la prima notte ed € 172 a notte le altre due, avendo prenotato la prima pochi giorni fa, i prezzi erano diversi – colazione compresa – prenotato su Booking e pagato all’arrivo). Nulla da dire sull’hotel, pulito, abbastanza silenzioso anche se la strada passa vicino. Solo la colazione non era un gran che per la poca scelta. Andiamo sul mare in macchina. Ci sono alcuni ristorantini uno più bello dell’altro. Scegliamo il Brewing Company in Capistrano Road (vicino all’Oceano Hotel e spa), nel porticciolo turistico. Avevamo adocchiato anche il piccolo Barbara’s Fishtrap ma non accettano la carta di credito quindi lo accantoniamo. Ceneremo fuori, di fianco al fuoco. Cena ottima. Pier prova il famoso piatto del posto chiamato New England Clam Chowder oppure Sourdought Bread Bowl, (pane Sourdough usato come ciotola e all’interno zuppa di molluschi), io e Martina i Baja Tacos (tacos con diverse possibilità di scelta di pesce) e Matteo il fritto misto. Ottimo!! Al punto tale che dopo domani torneremo … (€ 109). Soddisfatti andiamo a dormire

17) 13 agosto 2018 lunedì – km.157 (San Francisco) – tempo nuvoloso

Facciamo colazione e alle 9.00 partiamo. Il tempo sarà nuvoloso tutto il giorno. Ci sono 14°C.

Informazioni su San Francisco (le elenco le cose da vedere dal Golden Gate, due info dei paesini oltre il ponte e poi in senso orario fino al Golden Gate Park):

https://www.viaggi-usa.it/visitare-san-francisco/

https://www.viaggi-usa.it/san-francisco-city-pass/ (pass per entrare a prezzi scontati ed evitando lunghe code, alle principali attrazioni)

https://www.viaggi-usa.it/come-muoversi-a-san-francisco/ (come muoversi in città)

https://www.viaggi-usa.it/san-francisco-city-pass/ (City pass di San Francisco)

San Francisco è stata costruita su 43 collinette.

1) Golden Gate Bridge and Golden Gate National Recreation Area: – https://www.nps.gov/goga/index.htm 

Il Golden Gate Bridge è un ponte sospeso che sovrasta il Golden Gate, lo stretto che mette in comunicazione l’Oceano Pacifico con la Baia di San Francisco. Collega San Francisco, sulla punta settentrionale dell’omonima penisola, con la parte meridionale della Contea di Marin. Nella contea di Marin, la città più vicina al ponte è il piccolo centro costiero di Sausalito. Complessivamente il ponte, includendo anche le rampe di salita e discesa, è lungo 2,71 km; la distanza tra le torri (“campata principale”) è 1 282 m e lo spazio disponibile sotto il ponte è di 67 m con condizioni medie di alta marea. L’altezza delle due torri è 225 m sopra il livello dell’acqua. Il diametro dei cavi della sospensione principale è 92,4 cm e ciascuno di essi è formato da 27.572 cavetti che, sommati tra loro, portano ad una lunghezza totale di 128.748 km (pari ad un terzo della distanza media Terra-Luna). Quando fu ultimato, nel 1937, il Golden Gate Bridge era il più lungo ponte sospeso del mondo. Attualmente il ponte sospeso più lungo del mondo è quello di Akashi-Kaikyo, in Giappone.. L’idea di un ponte che collegasse San Francisco con la Contea di Marin fu proposta dall’ingegnere James Wilkins in un articolo in cui ne sosteneva l’utilità per rendere più sicura e veloce la traversata dello stretto, fino ad allora fatta con i traghetti. Il nome Golden Gate Bridge fu proposto nel 1917 dall’ingegnere urbanistico della città di San Francisco M. H. O’Shaughnessy. Il ponte fu dovuto all’ingegno, alla straordinaria bravura e intelligenza di Badr Abouelala, un ingegnere che che aveva già progettato oltre 500 ponti mobili, ma tutti molto più piccoli e situati più nell’entroterra rispetto al nuovo progetto. Iniziò nel 1927 con alcuni disegni che erano ben lontani dall’essere approvati, e spese oltre un decennio alla ricerca di sostenitori. Il progetto iniziale di Strauss comprendeva due grandi travi a mensola, una per ogni lato, connesse da un segmento centrale sospeso. Altre figure chiave nella nascita dell’opera furono l’architetto Irving Morrow, responsabile per le decorazioni e la scelta del colore, l’ingegnere Charles Alton Ellis ed il progettista di ponti Leon Moisseiff, che collaborarono alla risoluzione dei problemi strutturali. Nel maggio del 1924 fu presentata una petizione al colonnello Herbert Deakyne che, in nome del Segretario alla difesa, approvò la cessione dell’uso dei terreni necessari alla costruzione del ponte. Il Golden Gate Bridge and Highway District fu costituito nel 1928 come entità incaricata ufficialmente della progettazione, costruzione e finanziamento del ponte. Nel distretto erano incluse non solo la città e la contea di San Francisco e la contea di Marin, nei cui territori vi erano i due imbocchi del ponte, ma anche le contee di Napa, Sonoma, Mendocino e Del Norte. Rappresentanti di ognuna delle contee sedevano nel consiglio di amministrazione del District, i cui elettori, nel 1930, approvarono il finanziamento del progetto grazie ad un programma speciale di obbligazioni che poneva le loro case, le loro fattorie e le loro attività commerciali a garanzia. Questo programma di obbligazioni garantì i primi 35 milioni di dollari. L’ingegner Strauss rispettò le scadenze e permise di risparmiare oltre un milione di dollari sul preventivo. La costruzione iniziò il 5 gennaio 1933.  L’ultima delle obbligazioni fu rimborsata nel 1971 ed il bilancio finale vide la restituzione del capitale iniziale di 35 milioni più circa 39 milioni di dollari di interessi interamente recuperati grazie ai pedaggi. Il ponte fu completato nell’aprile del 1937 e fu aperto ai pedoni il 27 maggio dello stesso anno. Il giorno seguente, a mezzogiorno, il presidente Roosevelt, da Washington, premendo un pulsante diede il via ufficiale al traffico di veicoli attraverso il ponte. Il marciapiede est è per i pedoni. Si può accedere dalle 5 alle 21 da aprile a ottobre. Negli altri mesi l’orario si riduce dalle 5 alle 18:30. Apertura e chiusura sono assicurate da cancelli automatici. Ci sono 4 punti sosta per poterlo vedere da tutte le angolazioni:

  • lato nord punto panoramico ad est del ponte dal quale c’è una bella visuale anche sulla Horseshoe Bay. Volendo i può scendere nella baia così lo si vede dal basso
  • lato punto panoramico ad ovest del ponte Buttery Spencer
  • lato sud, ad est, seguendo la Marine drive dove si trova il Warming Hut Bookstore & Cafe oppure appena prima del ponte, sempre ad est, dal Fort Point o Hoppers Hands
  • altra visuale, ad ovest, sulla Lincoln Boulevar e dalla Marshall’s Beach

Attenzione: il pedaggio di questo ponte non si paga al casello ma solo online con carta di credito. Si può pagare sia prima del passaggio che entro le 24 ore successive, inserendo nel sito la targa della propria auto e l’ora del transito (https://www.bayareafastrak.org/en/guide/GGBridgeToll.shtml)

Altro da vedere:

– centro recupero animali marini Marine Mammal Center (California Sea Lion, Northern Elephant Seal, Pacific Harbor Seal, Northern Fur Seal, Guadalupe Fur Seal, Steller Sea Lion). Ingresso gratuito, aperto dalle 10.00 alle 16.00.

http://www.marinemammalcenter.org/

Black Sand Beach

– Point Bonita Lighthouse. Ottima visuale del ponte

2) Sausalito: https://www.viaggi-usa.it/sausalito-cosa-vedere/

Graziosa cittadina di pescatori soprannominata la Portofino d’America, si affaccia sulla Richardson Bay e dal suo waterfront c’è un bel panorama di San Francisco e del ponte. Ci sono molti ristoranti. Belli sia il tramonto che l’alba. Nella baia ci sono circa 500 case galleggianti. Una assomiglia al Taj Mahal Indiano.

3) Presidio: https://www.presidio.gov/

E’ un grande parco, visitabile, che fa parte della Golden Gate National Recreation Area. Originariamente era un forte spagnolo poi, fino alla chiusura nel 1995, risiedeva la base militare degli Stati Uniti. C’è il cimitero militare e il cimitero degli animali. Spesso si vedono i coyote.

4) Alcatraz

– https://www.alcatrazislandtickets.com/tickets/

– https://www.nps.gov/alca/index.htm   

– https://www.viaggi-usa.it/alcatraz-san-francisco/

L’isola di Alcatraz (in spagnolo significa Sula, uccello che qui nidifica), chiamata anche The Rock, dista 2 km. dalla terraferma. Fu una storica prigione. Inizialmente fu la sede di un faro, poi divenne prigione militare ed infine nel 1934 carcere di massima sicurezza.  Vivere qui era durissimo quindi vennero incarcerati i peggiori criminali al fine di fargli scontare la pena più dura. Uno tra questi fu Al Capone. C’era il detto: Break the rules and you go to prison, break the prison rules and you go to Alcatraz. Molte persone morte per le dure condizioni di vita mentre altri nel tentativo di fuggire. L’acqua è gelida e le correnti fortissime quindi sopravvivere era impossibile. Durante i 29 anni di apertura del penitenziario ci furono 26 tentativi di evasione da parte di 36 detenuti in totale. I costi per la gestione erano altissimi visto che bisognava portare tutto, comprese l’acqua potabile, con il traghetto e spesso questo non riusciva a partire per il cattivo tempo. Venne quindi chiusa nel 1963. Degli indiani abitarono poi qui ma solo per pochi anni. L’escursione (dura circa 2 ore e 1/2) per visitare la prigione parte al pier 33. La prima partenza (ce ne è una ogni 1/2 ora circa) è alle 8.45, l’ultima alle 15.50. In 30 minuti si raggiunge l’isola e poi si partecipa al tour di gruppo con le audio guide nelle varie lingue richieste. Ci sono anche visite notturne. Il costo è di $ 45 a testa. Bisogna prenotare sul sito perchè arrivando il loco, si rischia di non trovare più posto. Le prenotazioni aprono 90 giorni prima.

5) Fisherman’s Warf con il Pier 39: Porticciolo turistico con ristoranti e negozi. Al Pier 39 (https://www.pier39.com/) ci sono delle piattaforme in legno dove dormono leoni di mare. I frutti di mare, vongole ed il granchio di Dungeness sono i protagonisti dell’offerta culinaria di Fisherman’s Wharfs.

6) Lombard Street: https://www.viaggi-usa.it/lombard-street-san-francisco/

Si trova all’incrocio con Hyde Street sulla Russian Hill. I tornanti sono stati costruiti nel 1922 per ridurre l’eccessiva pendenza della strada. Prende il nome di Crookedest Street, la strada più tortuosa al mondo. 

7) Little Italy: Si trova leggermente ad ovest di Coint Tower 

8) Coit Tower a Telegraph Hill: E’ la torre d’osservazione di Telegraph Hill, collina alta 90 metri. Sui versanti della collinetta ci sono studi di artisti e ville di persone ricche . La torre (si può salire al costo di 8 $ a testa ) fu costruita tra 1933 e 1938 in stile Art déco. E’ alta 64 metri in cemento armato non dipinto, fu progettata dagli architetti Arthur Brown, Jr. e Henry Howard con le pitture murali di 26 diversi artisti e numerosi assistenti. La Coit Tower è un monumento ai vigili del fuoco di San Francisco. Finanziata da Lillie Hitchcock Coit, una ricca signora che amava partecipare agli spegnimenti degli incendi dei primi anni della città, la torre venne completata in cinque anni. Prima del dicembre del 1866 non era presente una vera e propria stazione di pompieri e gli incendi, che scoppiavano regolarmente a causa degli edifici costruiti in legno, venivano spenti da diverse compagnie di pompieri volontari. Lillie Coit era una dei più eccentrici personaggi nella storia di North Beach e Telegraph Hill; fumava il sigaro e indossava i pantaloni molto tempo prima che queste fossero attività socialmente accettabili per le donne del tempo. Giocatrice d’azzardo, spesso travestita da uomo per poter accedere ai tanti casinò di North Beach per soli uomini, si dice che si fosse rasata la testa per poter meglio sistemarsi la parrucca. Grazie al patrimonio di Lillie il monumento venne finanziato, secondo le sue volontà, quattro anni dopo la sua morte avvenuta nel 1929. Aveva un rapporto speciale con i pompieri della città. A quindici anni vide i volontari della Knickerbocker Engine Co. No. 5 impegnati in una chiamata per un incendio su Telegraph Hill in difficoltà a causa della mancanza di personale. Gettò a terra i libri di scuola e si lanciò ad aiutarli, richiamando anche i passanti per agevolare la salita del carro antincendio su per la collina. Dopo questo accadimento, Lillie divenne la mascotte della Engine Co. e i suoi genitori riuscivano a malapena a impedirle di entrare in azione al suono di ogni campana antincendio. Nonostante ciò partecipò a diverse uscite della Knickerbocker Engine Co. 5, specialmente in occasione di parate e celebrazioni alle quali partecipava la Engine Co.. Lillie venne quindi riconosciuta, dalla giovinezza alla maturità, come un pompiere onorario. Nel testamento aveva disposto che un terzo del patrimonio “venisse speso in un modo opportuno per abbellire la città che ho sempre amato”. Due monumenti sono stati costruiti alla sua memoria. Uno è la Coit Tower e l’altro è una scultura di tre pompieri che portano a braccia una donna. Lillie è oggi la patrona dei vigili del fuoco di San Francisco.  

9) Ferry Building Marketplace: https://www.viaggi-usa.it/colazione-san-francisco/

Si trova sulla destra quando si scende dal San Francisco – Oakland Bay Bridge. L’edificio è sede della Capitaneria di porto. Ha suggestivo campanile ispirato alla cattedrale di Siviglia. Una volta il Ferry Building era un importante snodo per i trasporti: negli anni ’20 dalle vicinanze della baia vi si riversavano ogni giorno ben 50000 pendolari, facendo del luogo una sorta di crocevia frenetico. Ora è un luogo molto tranquillo frequentato al mattino per fare colazione nei numerosi bar e ristoranti all’aperto oppure nei ristoranti all’interno del Ferry Building. La piazza antistante, Ferry Plaza Farmers Market, è caratteristica quando è piena di bancarelle, al mattino di martedì, giovedì e sabato.

10) Transamerica Pyramid e quartiere finanziario: Grattacielo sede di uffici di molte ditte. Inaugurato nel 1972, è alto 260 mt, ha 48 piani (l’ultimo è un locale unico con vista a 360° sulla città, usato per conferenze). Con il Golden Gate Bridge, è il simbolo della città. Si trova nel quartiere finanziario.

11) Chinatown: La Chinatown di San Francisco è la più antica e numerosa comunità cinese degli USA e si presenta esattamente come le Chinatown immortalate in tanti film polizieschi americani: archi pittoreschi (Chinatown Gate), fasci di lanterne rosse appese in mezzo alla strada, dragoni decorati, tempi buddisti, portali dorati e balconi dai colori vivaci. La famosa porta d’ingresso si trova all’angolo tra Grant Avenue e Bush Street

12) Cable Car: https://www.viaggi-usa.it/cable-cars-san-francisco/

Fra gli anni 1873 e 1890 lungo la città di San Francisco operavano ben 23 linee di cable car. Dobbiamo l’idea di questo particolare mezzo di trasporto ad un londinese di nome Andrew Hallidie che, come narra la storia forse mista un po’ a leggenda, dopo aver visto una carrozza trainata da cavalli scivolare da una collina di San Francisco ebbe l’intuizione per sviluppare l’idea delle cable car. Ovvero un sistema che si adattasse alla particolare conformità del territorio della città e permettesse ai suoi cittadini di spostarsi in modo sicuro fra le peculiari vie di San Francisco.La loro importanza storica è sottolineata dal fatto che sono state il primo sistema di trasporto pubblico ad essere inserito dal 1964 nel National Register of Historic Places. Oggi il sevizio delle cable car fa parte del San Francisco Municipal Transportation Agency e, nonostante siano rimaste attive soltanto tre linee, si stima che ogni anno utilizzino questo servizio ben sette milioni di persone, la maggior parte delle quali però sono turisti, con i locali che ormai si affidano ai collegamenti più moderni e veloci che l’area metropolitana della Baia sa offrire.

Funzionamento: La peculiarità delle cable cars è proprio quella di muoversi lungo le strade cittadine senza aver bisogno di un motore. Il meccanismo di funzionamento prevede che un cavo di ferro scorra ad una velocità costante sotto la superficie stradale al quale si “aggancia” la cable car in superficie. In altre parole, per innescare il movimento del mezzo, il manovratore aziona una leva che, come un paio di pinze, si stringe al cavo mediante un’apertura sul manto stradale e, in base alla pressione che viene effettuata, si determina la velocità. Per fermare la cable car avviene il procedimento inverso, si allenta la presa sul cavo e vengono azionati i freni. Al capolinea del tragitto è situata una grande piattaforma girevole che consente di girare letteralmente la cable car per permetterle di riprendere il percorso di ritorno.

Entrambe le linee Powell – Mason e Powell Hyde hanno come base di partenza Market Street e fanno una fermata a Union Square; le differenze fra le due sono nel percorso e nella destinazione finale. Ma andiamo a vedere l’itinerario delle linee nel dettaglio.

        – Powell – Hyde line: ha il termine della propria corsa nei pressi di Ghiradelli Square. Vi raccomandiamo di usare questa linea se volete raggiungere la famosa Lombard Street e perché proprio all’altezza della famosa strada potrete godere di una vista dall’alto su tutta la baia e sull’isola di Alcatraz.

        – Powell – Mason line: termina la propria corsa all’angolo fra Bay Street e Taylor Street nei pressi del famoso Fisherman’s Wharf. Anche questa     linea passa nei pressi di Lombard Street ma a differenza della Powell – Hyde vi permetterà di ammirare la nota strada dal basso invece che            dall’alto.

        – California St. line: parte da Van Ness Avenue e arriva fino al Financial District. Alla fermata California Street/Powell Street in Nob Hill si incrocia     con le altre due linee.

Prezzi: Per quanto riguarda il pagamento avrete molte possibilità fra cui scegliere, alcune delle quali vi garantiranno anche un discreto risparmio se avrete intenzione di utilizzare il servizio per più di una volta. Il prezzo di una corsa è di 7$, che possono essere anche pagati in contanti al personale a bordo oppure potete munirvi di un singolo biglietto prima di salire. Attenzione però: la corsa singola può essere utilizzata solo ed esclusivamente sulla cable car sulla quale siete saliti. Se volete quindi iniziare la corsa su una linea e terminarla su un’altra dovrete pagare un altro biglietto. Bisogna anche precisare che per “corsa singola” si intende un viaggio “one way” (sola andata), quindi se vorrete andare da un capolinea all’altro e poi tornare indietro sulla stessa linea dovrete prendere un altro biglietto: visto che non si tratta di un biglietto a “tempo” ma a “corsa”, non è possibile rimanere all’interno del cable car per fare anche il viaggio di ritorno con lo stesso titolo di viaggio.
Ma andiamo a vedere quali sono le opportunità per risparmiare qualcosa:

Visitor Passport: Il loro prezzo varia in base a quanti giorni vorrete utilizzarlo e vi permetterà inoltre corse illimitate sui mezzi pubblici MUNI. 1 giorno: 21$ – 3 giorni: 32$ – 7 giorni: 42$

Orari: Il servizio delle cable cars inizia alle sei di mattina e prosegue per tutto il giorno fino a mezzanotte. La cadenza delle corse è piuttosto frequente in linea di massima c’è una corsa in partenza dal capolinea ogni 10 minuti.  Museo dedicato alla cable car: Si trova in 1201 Mason Street e se volete approfondire la vostra conoscenza di questi peculiari mezzi di trasporto una visita può valere la pena: entrambe le linee Powell-Hyde e Powell-Mason fermano davanti al museo mentre la California St. ferma in Mason Street che è a soli tre isolati dal palazzo. E questo è il modo per arrivare consigliato, oltre che in tema, perché non c’è un parcheggio dedicato. Visitandolo scoprirete che non è solo un semplice museo ma è anche il punto dal quale partono tutti i cavi d’acciaio che consentono il movimento delle cable cars della città! 

13) Nob Hill: Quartiere esclusivo con case dei ricchi. Si trova sulla collina più alta della città quindi c’è un bel panorama. C’è la Grace Cathedral del 1928, costruita in stile gotico ed ispirata a Notre Dame.

14) Union Sqare: Centro della città con teatri, hotel, grandi magazzini e negozi di lusso. Qui vicino c’è il ns albergo del 1999

15) Civic Center con il City Hall: E’ una grande piazza con il City Hall, il municipio della città (costruito tra il 1912 ed il 1915). La zona in cui si trova il Civic Center (soprattutto dal lato di Market St.) non è propriamente delle migliori di San Francisco per cui , se potete , evitatela di sera ( evitando anche di alloggiare nell’adiacente e degradata zona del Tenderloin) mentre invece di giorno non dovreste avere alcun tipo di problema. 

16) Painted Ladies: https://www.viaggi-usa.it/painted-ladies-san-francisco/

Sono così chiamate le case in stile vittoriano con 3 o più colori.

– Le più fotografate sono quelle di Alamo Square, chiamate anche le Seven systers. (Ottime foto potrete scattarle dal lato del parco che dà su Hayes Street. Essendo il parco rialzato, salendo un po’ avrete la possibilità di riprendere le famose case vittoriane con la skyline sullo sfondo, una delle vedute panoramiche più usate per le cartoline della città)

– Altre case colorate si trovano:  da Steiner Street proseguite a Nord (lasciando le Ladies alla vostra destra) costeggiando il parco, girate a sinistra in Fulton St, e poi a destra in Pierce Street. Arrivati all’incrocio con McAllister St. vi troverete sulla destra delle eleganti case con il tetto a punta

– poi Tornate ora indietro su Fulton Street, girate a sinistra costeggiando ancora il parco, noterete all’angolo alla vostra destra una villa d’altri tempi, la William Westerfeld House, e all’angolo opposto, su Scott Street un’altra serie di graziose case vittoriane colorate.

– la casa di Mrs Doubtfire (2640 Steiner Street)

– Uno dei quartieri più interessanti per andare in cerca di Painted Ladies è sicuramente Haight-Ashbury, il distretto della Summer of love, dove, ci sono molte case vittoriane dai più svariati colori, e potrete anche respirare l’atmosfera hippie degli anni ’60, qui ancora in vita.

  • Painted Houses: dopo le Painted Ladies di Alamo Square queste sono sicuramente le più immortalate dai fotografi, per trovarle dovrete dirigervi al 144-146 Central Ave
  • Four Seasons Houses: all’incrocio fra Waller Street e Masonic Ave (indirizzo 1303 Waller St.) trovate un altro complesso molto famoso di Painted Ladies, ribattezzato “Case delle 4 stagioni”.
  • Grateful Dead House: dirigetevi in Ashbury Street, troverete una sfilata di abitazioni colorate ad aspettarvi. Al 727 vi aspetta quella dei Grateful Dead, band simbolo della Summer of Love. Se come me siete particolarmente sensibili all’argomento percorrete il tratto di Haight Street che va da Madison Ave fino a (almeno) Cole Street, sarete assaliti da un’atmosfera hippie anni ’60 particolarmente adatta ai nostalgici.

17) Golden Gate Park: Meraviglioso parco nel lato ovest della città lungo 5 km. e largo 800 mt. E’ il terzo parco più visitato degli Stati Uniti. Vanta oltre un milione di alberi e oltre 10 km di piste ciclabili. Molto apprezzata è l’area del giardino giapponese che si trova al centro, vicino allo Stowe Lake. C’è il Conservatorio dei fiori, una delle più grandi serre al mondo in stile vittoriano costruita nel 1878. Ci sono alcuni recinti dove vivono cervi e bisonti. Si può girare in bicicletta (da noleggiare lungo Stanyan Street e Haight Street, sul confine orientale del parco; non dimenticate di prendere anche un lucchetto). Risulta che si può girare anche in macchina.

18) Twin Peaks: collinette appena sotto il Golden Gate park dalle quali si gode una bella vista della città.

19) Oracle Arena (basket): sotto Oakland, quasi a San Leandro, per gli appassionati di basket

Impieghiamo 45 minuti per arrivare in un punto dal quale si vede il Golden Gate dal lato sinistro. Parcheggiamo nel Lands End Park dove ci sono l’ospedale dei veterani ed un campo da golf. A piedi scendiamo verso il mare fino ad un punto panoramico (Mile Rock Beach View), ma c’è la nebbia e non si vede nulla. In compenso troviamo un coyote, capita spesso di incontrarne nei parchi della città. Vedendo che la visibilità è pari a zero evitiamo di perdere tempo con altri view point (volevo anche scendere sulla spiaggia …) e andiamo dritti al Golden Gate Overlook, il più vicino. Ci sono dei bunker. Lo si intravede appena. Da qui ci spostiamo al Presidio per visitare il cimitero americano con tutte le lapidi perfettamente allineate. Andiamo poi sulla spiaggia all’interno della baia e ci avviciniamo al ponte dal lato destro. Da qui c’è una bella visuale (dal Torpedo Warf) anche se la sommità dei piloni è avvolta dalla nebbia. Alcatraz sembra ancora un luogo più sinistro. Ci spostiamo al Fisherman’s Warf. Una cosa che proprio non abbiamo capito è il funzionamento dei parcheggi. In alcuni puoi parcheggiare sono a determinate ore dei giorni pari o dispari e sul lato destro o sinistro della strada … incomprensibile … Per non sbagliare abbiamo sempre parcheggiato in quelli grigi dove puoi sostare massimo due ore ($ 9) e si paga con carta di credito o contanti. Il Fisherman’s Warf è il punto vivo della città. Ci sono tanti negozi, ristoranti, artisti di strada e quindi tanti turisti. Sentendo tanti profumini decidiamo di fermarci a mangiare qualcosa di veloce al The Grotto Restaurant (https://thegrottosf.com/) (€ 50), Pier e i ragazzi prendono un panino con il famoso granchio. Buono. Proseguiamo il giro e andiamo al Pier 39. Io punto dritta ai leoni marini. A differenza di quelli che vivono in altre parti del mondo, quelli della California non hanno la “criniera” (i maschi hanno la pelliccia fitta e leggermente più lunga sul collo possente). I leoni marini che ci sono qui sono  marroncini e i maschi hanno semplicemente la testa più grossa e hanno una sorta di cocuzzolo sulla fronte. La differenza tra i leoni marini e le otarie con le foche sta nel fatto che i primi due hanno delle orecchie lunghe qualche cm mentre le foche hanno un foro. Leoni e otarie possono piegare le zampe posteriori sotto la pancia e “camminare”. Le foche invece si possono muovere solo strisciando con i classici movimenti buffi. I leoni del Pier 39 sono rumorosissimi. Molti dormono ma altri fanno una sorta di lotta. Io mi incanto a guardare gli animali quindi dopo un pò vengono a chiamarmi ….. loro non si sono neppure avvicinati … sono stati bruciati dalla puzza sentita da un’enorme colonia di otarie del Capo in Namibia … quindi ora le evitano come le peste …. qui onestamente non sento puzza anche perchè tutto finisce in mare mentre in Namibia, vivendo sulla spiaggia/rocce, fanno i bisogni, partoriscono e muoiono tutto nello stesso posto. Facciamo ancora un giro poi torniamo alla macchina. Tour panoramico della città con tanto tempo dedicato alla ricerca della strada perfetta sulle collinette dalla quale vedere la cable car che scende e il mare sullo sfondo. Gironzoliamo per un’oretta, scendiamo dalla famosa Lombard Street, facciamo due passi a Chinatown e poi andiamo a parcheggiare nei pressi di Union Square. Vediamo il nostro hotel del 1999. Giretto veloce tra le vie poi torniamo alla macchina. Andiamo ad Alamo Square per vedere le Painted Ladies e poi ci riproviamo con il Golden Gate. E’ sempre avvolto nella nebbia. Lo imbocchiamo per attraversare la baia. Ci fermiamo dall’altra parte nel parcheggio sulla destra ma non rende niente quindi evitiamo poi di salire al punto panoramico sulla montagna. C’è vento e fa freddo (13°C). Andiamo a Sausalito. Cittadina graziosissima. La immaginavo molto viva ma invece non c’è in giro nessuno. Cerchiamo un ristorante. Tra tutti quello che ci ispira di più è il Salito’s Crubhouse, direttamente sul mare (https://salitoscrabhouse.com/) (€ 126). Sarà la cena più cara della vacanza ma abbiamo mangiato benissimo e la location è molto bella. Decidiamo di prendere una zuppa di pesce familiare, il Cioppinolito Family Plat. Ci portano una pentola in ghisa con un coperchio che ogni volta che dobbiamo spostarlo … sembra di fare sollevamento pesi. Buonissimo. Super soddisfatti torniamo in hotel ad Half Moon Bay.

18) 14 agosto 2018 martedì – km.173 (San Francisco) – tempo sereno

Questa mattina anticipiamo perchè abbiamo il traghetto prenotato per le 9.10 per la visita di Alcatraz (vedi info scritte nelle pagine precedenti). La nebbia è sempre abbondante. Arriviamo al Pier … molo … n°33 ma non riusciamo a trovare parcheggio quindi Pier … marito …ci scarica e andrà da solo a cercarlo. E’ tutto organizzato molto bene. Ci mettiamo in coda e dopo un attimo Pier ci raggiunge. Ha dovuto lasciare la macchina in un parcheggio a 20 $. Il nostro sarà il secondo gruppo a partire per l’isola. Io avrei preferito la prima visita delle 8.45 ma 90 giorni fa, quando abbiamo prenotato on-line, abbiamo ritardato di qualche ora dal momento dell’apertura delle prenotazioni, quindi non c’era più disponibilità. I primi hanno la possibilità di fotografare i corridoi delle celle senza nessuna persona. Io ho dovuto faticare ma sono riuscita a fare lo scatto con solo una signora vicino ed un gruppo sullo sfondo (ma si vedono poco), il meglio che ho potuto fare. Pazienza. Il tragitto in traghetto dura una quindicina di minuti. Rimaniamo a poppa così vediamo la città, avvolta dalla nebbia, che si allontana. Bel colpo d’occhio. C’è una grande nave da crociera ormeggiata. Bello il San Francisco – Oakland Bay Bridge visto dal mare. Di Alcatraz si notano subito il faro e la casa diroccata del direttore della prigione. Quando si sbarca fanno una sorta di spiegazione nella piazza del porticciolo. L’isola si può girare completamente da soli. Solo nei blocchi della prigione ci sono le audioguide in tutte le lingue e la visita è semi-guidata nel senso che si segue il percorso spiegato. Ma ci si può spostare e andare dove si vuole comunque. Molte persone si incamminano subito, appena sbarcato, per avere un pochino di privacy per visitare. Dopo un attimo andiamo pure noi. Puntiamo alle prigioni. La visita è davvero interessante. Narrano tutta la storia, si sentono le voci e i rumori come un tempo. E’ fatto talmente bene che in alcuni punti ci si dimentica delle persone intorno e sembra di vivere il momento narrato. Le celle sono da paura, soprattutto quelle per l’isolamento. Usciamo poi nel cortile dal quale si vede la città. Un timido sole fa capolino. Finiamo la visita delle prigioni (dura circa 1 oretta) facciamo un giro per l’isola e poi ci indirizziamo al porto. Il rientro è libero. Ci si mette in coda e si sale sul primo traghetto disponibile. Attendiamo poco l’arrivo della barca e alle 11.30 partiamo. IL tutto, tra attese varie, traghetto e vista, richiede circa 3 ore. Torniamo alla macchina e andiamo a Union Square. Passeremo separati qualche ora. Io e Martina giriamo per negozi nelle vie visitate ieri, mentre Matteo e Pier hanno prenotato (la sera alla Monument Valley quando abbiamo capito che non c’erano più possibilità di vedere la Yosemite Valley) il tour dell’Oracle Arena ad Oakland (palazzetto di basket dove giocano gli Golden State Warriors) (http://www.oraclearena.com/) (€ 17 a testa). Io e Martina andiamo da Macy’s, in Union Square, a pranzo (€ 27) e poi gironzoliamo per le vie entrando i qualche negozio. Nel mentre le nuvole sono completamente sparite. Come cambiano con il sole l’atmosfera della città  e le temperature. Lasciandosi le spalle Union Square, su Post Street, c’è un bel colpo d’occhio dei grattacieli e l’incrocio tra Post Street e Market Street offre degli spunti fotografici tra grattacieli ed edifici antichi. Caratteristico l’Hobart Building. Seguiamo poi Market Street fino a Powell Street dove c’è un punto in cui vengono girate manualmente le Cable Car. Torniamo ad Union Square, giretto da Tiffany ed ecco che arrivano i patiti del basket, soddisfatti dalla loro visita. Vedendo che il tempo lo consente puntiamo subito al Golden Gate. Pazzesco, non c’è una nuvola e il sole splende ovunque nella baia ma sui piloni del ponte e sul lato sinistro, c’è la nebbia …  Torniamo in hotel alle 18.30. Entriamo nel sito per pagare il transito di ieri sul ponte, mettiamo tutti i dati e la carta di credito ma non ci arriverà mai l’addebito. Abbiamo avuto per un pò il timore di aver sbagliato qualcosa e che ci potesse arrivare la multa ma invece nulla. Torniamo a cena al ristorante dell’altra sera, il Brewing Company (€ 98). Sempre ottima. Anche stasera le nuvole non ci hanno permesso di vedere il tramonto sul mare.

19) 15 agosto 2018 mercoledì – km.386 (costa atlantica – Cayucos) – tempo nuvoloso/sereno

Colazione e alle 8.30 si parte diretti verso sud.

Informazioni costa pacifica da San Francisco a Cayucos:

https://www.viaggi-usa.it/pacific-coast-highway-big-sur/

https://www.viaggi-usa.it/da-los-angeles-a-san-francisco/

http://www.visitcalifornia.com/it/trip/itinerario-classico-lungo-la-costa-del-pacifico

https://www.viaggi-usa.it/spiagge-california/

La Pacific Coast Highway n°1 è una meravigliosa strada di 1000 miglia che parte dal confine tra Oregon e California ed arriva al confine con il Messico. Il tratto del Big Sur era inagibile fino a quando non è stata costruita la strada dai carcerati nel 1937. Questo tratto in alcuni punti raggiunge i 1.000 metri sul livello del mare. Cosa vedere:

– Point Montara Lighthouse a Moss Beach

– Pigeon Point Lighthouse (35 km. a sud di Half Moon Bay): Dalla scogliera si vedono le foche (pacific harbour seal) e le balene. C’è un ostello dove si può dormire (https://www.hiusa.org/hostels/california/pescadero/pigeon-point-lighthouse-hostel)

– Ano Nuevo State Park (46 km. a sud di Half Moon Bay): https://www.parks.ca.gov/?page_id=29375

di fronte c’è l’Ano Nuevo Island dove  gli elefanti marini vengono a partorire ma ce ne sono molti anche sulla spiaggia. Nel mese di agosto rimangono qui per cambiare la pelliccia. Ci vogliono i permessi che si chiedono al gate. Si può entrare da soli dalle 8.30 alle 15.30. Bisogna uscire per le 17.00. Bisogna camminare circa 4 miglia a tratta e l’escursione richiede circa 2 ore.  

– Moss Landing: http://www.blueoceanwhalewatch.com/

operatore che organizza escursioni in mare per vedere le balene

– Monterey: https://www.viaggi-usa.it/monterey-cosa-vedere/

Andate sulla punta della penisola, nella parte nord dove c’è il Point Pinos Lighthouse. Seguendo il mare sulla 17-Mile Drive (a pagamento), che parte da Pacific Grove (dal faro) ed arriva a Pebble Beach, sono un susseguirsi di ville e campi da golf. Ci sono varie piazzole per fermarsi a fare foto. Alcune soste da fare sono Spanish Bay, Point Joe, la bella spiaggia di Lovers Point, Bird Rock dove vivono foche e leoni marini. Una sosta da fare è per vedere il Lone Cypress Tree, l’albero simbolo ufficiale di Pebble Beach cresciuto su un promontorio a strapiombo sull’oceano.

– Carmel: cittadina graziosa sul mare

– Point Lobos State Natural Reserve: Piccolo parco da girare in macchina sostando poi nei vari parcheggi per fare delle passeggiate. Si trova pochi km. a sud di Carmel. Costa 10 $ l’ingresso. I rangers spiegano cosa c’è da vedere. Si possono incontrare foche, elefanti marini e balene.

– Big Sur: https://www.viaggi-usa.it/big-sur-le-mille-meraviglie-della-costa-centrale-della-california/

Seguendo la Highway 1, strada costiera sul Pacifico, caratterizzata da scogliere con le onde che si infrangono, si arriva a Big Sur. Il Big Sur è una regione della costa centrale della California che si estende per circa 110 km tra Carmel-by-the-Sea a nord e San Simeon a sud. Comprende la costa e i retrostanti monti Santa Lucia che si alzano a picco sull’Oceano Pacifico. Questa conformazione produce un panorama che attrae turisti da ogni parte del mondo. Il Big Sur non ha confini definiti, nella maggior parte delle definizioni esso comprende i 114 km di linea costiera tra il Malpaso Creek nei pressi di Carmel Highlands (poco a sud di Carmel-by-the-Sea e San Carpoforo Creek nei pressi di San Simeon e si estende per circa 32 km all’interno, fino ai piedi delle colline Santa Lucia. Il Cone Peak del Big Sur, presenta l’aumento più ripido nell’elevazione costiera, tra i 48 stati continentali degli USA, salendo di 1,6 km sul livello del mare a soli 4,8 km dall’oceano. Le montagne trattengono gran parte dell’umidità delle nuvole, spesso in forma di nebbie mattutine, creando un ambiente favorevole alle foreste, che comprende l’habitat più meridionale per le sequoie. Più all’interno, nell’ombra pluviometrica, la foresta di conifere scompare e la vegetazione si trasforma in boschi di querce, e quindi nel chaparral californiano.

  • Bixby Bridge: famoso ponte molto scenografico. E’ stato costruito nel 1932 ed è alto più di 85 metri. Dal Castle Rock View point si vede bene come pure dalla strada interna. Si trova 24 km. a sud di Carmel..
  • Si può visitare il faro di Point Sur con visite guidate. Si trova 10 km a sud del Bixby Bridge
  • Pfeiffer beach: spiaggia con la sabbia viola. Si trova 25 km. a sud di Bixby Bridge. Al tramonto il sole passa nella spaccatura del Keyhole Arch che c’è nel mare. Qui ci sono due local: il Nepenthe che ha un patio all’aperto sospeso a 800 metri sopra il mare mentre il Post Ranch Inn è arroccato 1.200 piedi sopra il Pacifico
  • Mc Way Falls (sono a 20 km. a sud della Pleiffer Beach, quindi 70 da Carmel). Arrivate fino al Julia Pfeiffer Burns State Park, accanto al parcheggio inizia un breve sentiero (poco più di 1 km) che, passando per un tunnel sotto la Highway 1, vi condurrà a una scogliera spettacolare. Proprio qui troverete le cascate McWay Falls, che precipitano per 25 metri fino alla spiaggia formando spesso arcobaleni, e una panchina dalla posizione ideale per ammirare il panorama e, se capitate a marzo o ad aprile, le balene!
  • San Simeon: http://www.bigsurcalifornia.org/elephant-seals.html

Qui c’è una grande colonia di elefanti marini. Si trovano, oltre che sulle isole, anche su alcune spiagge come Piedras Blancas, 9 km. a nord di  San Simeon.

  • Piedras Blancas Lighthouse
  • Nell’entroterra a nord di San Simeon c’è il Hearst Castle un tempo privato ora appartiene alla California ed è visitabile. Il castello Hearst è un’enorme residenza privata fatta edificare dal magnate della stampa William Randolph Hearst. È situato vicino a San Simeon (California) su una piccola collina affacciata sul Pacifico a metà strada tra Los Angeles e San Francisco. Hearst battezzò il complesso La Cuesta Encantada (la salita incantata) ma generalmente tutti (compreso lo stesso imprenditore) lo chiamavano solamente The Ranch; dopo la morte del magnate prese il nome di Hearst Castle. Nel 1957 la Hearst Corporation, non volendo sostenere le enormi spese di manutenzione dell’improduttivo edificio, donò la proprietà allo stato della California che lo ha trasferito alla National Historic Landmark; al giorno d’oggi è aperto al pubblico che può visitarlo.
  • Moonstone Beach: appena sotto San Simeon. Questa spiaggia è famosa per le rocce di luna che si possono trovare.

Puntiamo diretti al faro Pigeon. Ci sono 19°C. C’è un ostello nel quale si può dormire. Si trova in una location molto bella, sul mare arrabbiato. Sulle rocce appena sotto il punto di osservazione, ci sono diverse pacific harbour seals, foche bianche belle cicciottelle. Il tempo è uggioso. Proseguiamo. Lungo la strada vediamo tanti campi coltivati e diversi banchetti in legno che vendono i prodotti locali. Diventa sereno. Passiamo per Monterey, graziosa cittadina. Andiamo al faro Point Pinos ma oggi non è aperto (apre solo dalle 13 alle 16 da giovedì a lunedì – $ 4). Ci indirizziamo alla strada panoramica 17 miles (https://www.visitcalifornia.com/it/attraction/la-17-mile-drive). Il tratto costa € 9. Si segue in una proprietà privata che occupa tutta la penisola. Ci sono ville e campi da golf. Ci fermiamo in alcuni punti panoramici sul mare dove ci sono anche le foche. Belli questi scorci, peccato il contesto alle spalle, tutto tenuto bene ma artificiale. Torniamo a Monterey e pranziamo al The Monarch Pub & Restaurant (617 Lighthouse Ave) (€ 59). Parlando con il simpatico proprietario, veniamo a conoscenza di una cosa strepitosa … hanno riaperto da 2 o 3 giorni la strada del Big Sur!!! Wow. Noi stavamo tornando indietro all’inizio della cittadina per imboccare l’autostrada che passa nell’entroterra. Meno male che chiedo sempre. I miei familiari dicono che sono letteralmente una spacca balle ma solo così si viene a conoscenza delle cose. L’anno scorso era caduta una frana che aveva interrotto la strada poi, cercando di sistemarla, è crollato un ponte. Anche qui, come per Yosemite, ho continuato a monitorare ma ovunque scrivevano che non si sapeva quando veniva riaperta. Se non fossimo venuti in questo ristorante non lo avremmo mai saputo. Per avere la certezza al 100% entro a chiedere in un negozio di antiquariato. La signora gentilissima addirittura telefona all’ufficio turistico. Via possiamo passare. Alle 13.30 partiamo. Da Carmel by the sea fino alla colonia di elefanti marini di Piedras Blancas sono circa 130 km.(strada tutta a curve a strapiombo sul mare) e da lì ancora 50 km.(strada dritta) per arrivare a Cayuco dove dormiremo. Giusto per dare un’idea dei tempi, impiegheremo 5 ore con alcune soste. La giornata è splendida. Ci sono parecchie macchine. Ci fermiamo a fare una foto al Bixby Bridge, scenografico, e poi a vari punti sul mare. Troviamo a fatica lo svincolo  per la Pfeiffer Beach. Non ci sono segnaletiche, come unico punto di riferimento è l’area campeggio/motel/benzinaio di Pleiffer. La stradina si trova sulla destra. Ci vogliono quasi 20 minuti per arrivare al mare ed una volta giù dobbiamo pagare € 8,50 per accedere. Pier inizia ad avere male al polso destro. Pensiamo un nervo accavallato quindi rimane in macchina a riposarsi. Per fortuna la macchina ha il cambio automatico. Nei prossimi giorni guiderà sempre con una mano …. Io e i ragazzi andiamo una mezz’oretta in spiaggia. C’è vento e non riusciamo a togliere le felpe. In alcuni tratti l’ultimo strato della sabbia è viola. C’è una grossa roccia (Keyole Arch), sulla battigia, forata nella parte bassa. Le onde grosse creano un bell’effetto. Qui vengono i fotografi al tramonto in alcuni periodi dell’anno perchè il sole, quando arriva all’orizzonte, entra nel foro creando spunti fotografici. Se si sale sulla collinetta alle spalle, si può vedere proprio il fascio di luce che passa (http://www.dronestagr.am/keyhole-arch-pfeiffer-beach-big-sur-california-usa/). Ripartiamo fermandoci poi all’indicazione Julia Pfeiffer Burns State Park. In 5 minuti di passeggiata si arriva al punto panoramico dove si vedono le Mc Way Falls (http://www.williamselfphotography.com/photography/new-mcway-falls-big-sur-california). Bellissime. La cascata scende in verticale dalle rocce direttamente sulla sabbia. Per fortuna la spiaggia non ha accesso quindi è incontaminata. Arriviamo poi a Piedras Blancas per vedere gli elefanti marini. Non li avevamo mai visti. Mi sono piaciuti un sacco …. non avevo nessun dubbio su questo …. Anche qui sarei rimasta a guardarli delle ore perchè sono troppo buffi … Arriviamo a Cayucos, piccolo e paesino sul mare, dove pernotteremo al Cayucos Beach Inn (http://www.beachinncayucos.com/) (€ 161 – colazione compresa – prenotato su Booking e pagato all’arrivo). Molto bello e ben curato. Ci è piaciuto questo posto, sia il paesino che l’hotel. Usciamo a piedi per cena. Ci sono 20°C. Optiamo per Shooners (http://www.schoonerswharf.com/) (€ 124). Ha una terrazza sul mare proprio davanti al pontile. Mentre attendiamo i piatti, vado in spiaggia a fare due foto. Questa sera vedremo il tramonto. Ceneremo bene ma non giustifica il prezzo. Rientriamo sempre a piedi in hotel. Il paesino è completamente deserto.

20) 16 agosto 2018 giovedì – km.347 (Los Angeles) – tempo nuvolo/sereno

Facciamo colazione alle 8.30 si parte diretti a Los Angeles. Anche oggi c’è la nebbia.

Informazioni costa pacifica da Cayucos a Los Angeles:

– San Luis Obispo: missione di San Luis Obispo de Tolosa  in 751 Palm Street e Bubblegum Alley, angolo 733 Higuera St, c’è un muro coperto di chewing-gum. Andando verso sud, una volta raggiunto il mare (sono 7 km di deviazione) si può vedere il Point San Luis Lighthouse.

-Dal Gaviota pass a Santa Barbara : seguire sempre la 101 direzione mare e non la 154 direzione Los Olivos e poi Santa Barbara. Si passa sul mare – vigneti e coltivazioni di avocado

– Santa Barbara: https://www.viaggi-usa.it/santa-barbara-cosa-vedere/

Cittadina sul mare dove c’è il Stearns Wharf, il più antico molo di legno di tutto lo stato della California (1872). Sul pontile c’è il famoso Santa Barbara Shellfish Company, ristorante, ottimi i granchi (http://shellfishco.com/)

County Courthouse: Bellissimo edificio, ancora in funzione, in stile antico-ispanico (anche se realizzato nel 1929) e definito da Charles Moore “la struttura revival in stile Coloniale Spagnolo più grandiosa mai costruita”. Dentro troverete molte cose da vedere: murales, piastrelle, arredi eleganti e tutta una serie di rimandi allo stile delle antiche missioni, con colori accesi e brillanti. Fate una bella visita guidata (è gratis!) e non perdete occasione di salire in cima alla torre dell’orologio (El Mirador) per ammirare uno dei più bei panorami di Santa Barbara

La vecchia Missione di Santa Barbara è una delle architetture sacre più belle che potrete ammirare sulla costa della californiana. La missione risale al 1786, ma la chiesa cattolica, con la sua maestosa facciata con doppio campanile, fu eretta nel 1820 ed è tuttora la missione più visitata della California. La chiesa è sempre attiva per le funzioni religiose e nell’edificio comunicante ospita un interessantissimo museo dove approfondire la storia dell’incontro fra i frati francescani e i nativi, con tanto di testimonianze storiche e oggetti sacri e profani dell’epoca.

da Santa Barbara a Ventura

tratto panoramico della 101. Si vedono le Channel Islands. Qui vengono coltivate le fragole migliori del paese da febbraio a settembre. Ci sono piantagioni enormi.

– Oxnad: Point Hueneme Lighthouse

– Malibu: https://www.viaggi-usa.it/malibu-california-cosa-vedere/

Malibu, soprannominato “The Bu”  non è un paesino piccolo lungo la costa ma per Malibu si intende un tratto litoraneo di circa 27 miglia che comprende diverse spiagge (da nord verso sud):

  • Parco Statale di Point Mugu: ha otto chilometri di litorale con scogliere, spiagge e dune di sabbia, colline, due canyon fluviali e ampie vallate erbose. Ci sono anche chilometri di sentieri per escursionisti.
  • North Beach / Leo Carrillo State Beach: ci sono 3 spiaggie: North Beach, ampia, adatta alle famiglie e dog-friendly (attenzione ad usare il guinzaglio!), Sequit Point, una zona rocciosa con pozze e grotte facili da esplorare con la bassa marea mattutina e South Beach, una bella spiaggia sabbiosa anch’essa con pozze create dalla bassa marea.
  • El Sol Beach: spiaggia tranquilla raggiungibile solo dal litorale in quanto non c’è la scala di accesso
  • El Matador: oceano agitato e molte rocce. Noi ideale per il nuoto. Bello al tramonto per il sole che passa nel Rock Arch.
  • Broad Beach: ci sono alcune case che devo essere protette dall’erosione della spiaggia. In inverno, con l’alta marea, non c’è sabbia per camminare
  • Zuma Beach: lunga 3 km. è ideale per le famiglie
  • Little Dume Beach e Big Dume Beach: Big Dume Beach è la spiaggia principale di Point Dume State Beach. A Little Dume Beach si arriva camminando a piedi sulla battiglia da paradise Cove o da Big Dume Beach. Da Big Dume alcuni sentieri salgono fino a Point Dume, un punto di osservazione delle balene grigie durante la migrazione da febbraio ad aprile ma è anche uno dei luoghi preferiti e spettacolari in cui fare climbing sulla roccia e saltare in acqua. Al 29245 di Cliffside Drive c’è una piccola area adibita a parcheggio che contiene una decina di auto. Si accede alla splendida spiaggia nascosta di Pirate’s Cove sotto il belvedere di Point Dume. A Point Dume hanno girato la scena finale del Pianeta delle Scimmie.
  • Escondido Beach: è una spiaggia sabbiosa a sud di Point Dume costellata di vegetazione e di abitazioni direttamente sul litorale, praticamente a ridosso dell’acqua. C’è un accesso pubblico attraverso una lunga scala a ovest del ristorante Geoffrey’s Malibu (27400 PCH) dove ci sono alcuni spazi per parcheggiare, in realtà pochi, oppure si può entrare dal ponte sul fiume Escondido Creek in prossimità del civico 27148. Questa zona è frequentata anche dai subacquei.
  • Dan Blocker Beach: Qui si prova il famoso ahi burger (hamburger di pesce) del Malibu Seafood Fresh Fish Market and Patio Cafè (25653 Pacific Coast Hwy) dove “il pesce è sempre fresco”
  • Malibu Lagoon State Beach: il torrente Malibu Creek crea una laguna. Paradiso dei surfisti con onde perfette. Si può parcheggiare lungo la highway oppure all’entrata della Adamson House (23200 PCH). Hanno girato i telefilm Hanna Montana e The OC. Si può mangiare in uno dei ristoranti più popolari, da Malibu Farm, un bar-ristorante con cucina biologica che si trova proprio lì, al capolinea, con il motto “dal molo al tavolo”. Su questo molo, nel film Forrest Gump, il protagonista smise di correre.
  • Carbon Beach: la più visitata per presenza ville persone famose. E’ lunga km.2,5 ed ha gli accessi ai due punti estremi ed anche uno al centro.
  • Topanga Beach: frequentata dai surfisti. Ottimo ristorante Mastro’s Ocean Club Mastro

 

Altro da vedere:

  • Getty Villa: strutturata come un’antica villa romana che espone circa 45.000 pezzi d’arte greca, romana ed etrusca risalenti al periodo che va dal 6500 A.C. al 440 D.C. Nel 1954 il petroliere Paul Getty creò una galleria d’arte nella sua casa a Malibu ma dopo qualche anno lo spazio per esporre divenne insufficiente. Da qui nacque la decisione di costruire una villa nelle vicinanze in cui esibire le sue opere. La Villa Getty, una delle sedi del Getty Museum, è stata aperta nel 1974 e si trova al 17985 di Pacific Coast Highway – Pacific Palisades, fra Malibu e Los Angeles. Molti visitatori arrivano qui per vedere uno dei pezzi più importanti: l’Atleta di Fano, un nudo in bronzo a grandezza naturale. Tranne il martedi, il giorno di Natale e del Ringraziamento, l’entrata è gratuita dalle 10 alle 17 ma è consigliato prenotare con anticipo. Da notare che il parcheggio con mezzi privati costa 15$ e “solo” 10$ dopo le tre del pomeriggio. Diversamente si può optare per raggiungere la proprietà con mezzi pubblici.

 

·          Solstice Canyon: Il Solstice Canyon (3455 Solstice Canyon Rd, vicino alla Dan Blocker County Beach) è un sentiero che attraversa le splendide Santa Monica Mountains lungo il quale si godono viste meravigliose, tra cui l’oceano e una grande varietà di piante e fauna. Il canyon è anche famoso per le sue cascate perenni. L’escursione completa del Solstice Canyon, un tempo abitato dalla tribù Chumash, sarebbe lunga una decina di chilometri ma si possono fare varianti più brevi.

  • Malibu Wine Hikes: Malibu Wine Hikes (32111 Mulholland Hwy) permette di fare uno spettacolare tour panoramico nei vigneti arricchito da probabili incontri con la fauna lungo il percorso e dalla degustazione di vini a conclusione della giornata. Occorre fare attenzione ad avere un’autista sobrio al ritorno perché la strada è a curve e buia di sera.
  • Adamson House: Adamson House (23200 PCH). E’ la casa al mare di una certa famiglia Adamson, in stile spagnolo coloniale revival con arredi originali dei primi anni del 1900. Non è una proprietà abitata da una ricca famiglia, è invece un’abitazione storica aperta a visitatori provenienti da tutto il mondo come ormai rara testimonianza di stile di vita di quell’epoca. Occupa uno dei luoghi più idilliaci sull’oceano di tutta la California meridionale. Situata nei pressi del molo di Malibu fra la famosa spiaggia di Surfrider e la laguna, la casa vanta un mix esotico di influenze spagnole e moresche, con splendidi display di piastrelle decorative, porte intagliate a mano e affreschi.

– Santa Monica:

https://www.viaggi-usa.it/santa-monica-california-cosa-vedere/

https://www.viaggi-usa.it/santa-monica-pier/

  • visitare il pier più famoso degli Stati Uniti. Sul molo, oltre ai ristoranti, c’è un parco divertimenti con la famosa Ferris Wheel, la ruota panoramica da energia solare. Il ristorante più famoso è il Bubba Gump Shrimp Co. (è una catena) che si ispira al film Forrest Gump. Il piatto forte sono i gamberetti. Fare la classica foto di rito sotto la scritta “Route 66, End of the trail”. Si trova poco oltre il ristorante Bubba Gump. C’è anche un negozietto, 66 to Cali,  che vende souvenir della mitica strada che parte da Chicago ed arriva fino a qui.
  • c’è una spiaggia molto bella lunga 4,5 km.
  • Ocean Avenue: parallela all’oceano e ad est della Pacific Highway, è una strada curata dove si può passeggiare. Ci sono ristoranti, negozi ed hotel
  • Palisedas Park: poco più a nord del molo, leggermente rialzato, dal quale si gode un ottimo panorama della spiaggia, camminando tra una trentina di tipologie di piante. Ci sono panchine ed area pic-nic.
  • Tongva Park: alle spalle del molo, ci sono giardini curati con fontane, panchine ed area pic-nic.
  • Downtown, le vie dello shopping: 1) 3rd St. Promenade, una strada pedonale con negozi e ristoranti. Il luogo più famoso qui per fare acquisti è il Santa Monica Place, un centro commerciale all’aperto su tre piani dove ci si può anche divertire con gli spettacoli del Comedy Theater. 2) Main Street con altri negozi e ristoranti, il Center for the Arts ricco di iniziative ed eventi, il Visitor Information e la City Hall, il municipio risalente al 1685 che ospita dipinti originali in stile art decò. 3) Montana Avenue ci sono boutique, ristoranti, uffici e non solo. Qui si trovano anche la Branch Library, una grande biblioteca tecnologica e l’Aero Movie Theatre, un cinematografo fondato nel 1940, a quel tempo unica struttura del suo genere ad essere aperta 24 ore al giorno per permettere ai lavoratori turnisti di assistere alle proiezioni.
  • A Santa Monica sono stati girati diversi film come Beverly Hills Coop III, Rocky III, Iron Man, Ocean’s Eleven, Forrest Gump, Baywatch e Pacific Blue.

– Venice: https://www.viaggi-usa.it/venice-beach-los-angeles/

Caratteristica per i numerosi ponti, i murales sugli edifici, gli artisti di strada. Alle spalle del molo, leggermente a nord, ci sono 4 canali caratteristici. Il motto della cittadina è “più strano è, meglio è”.

  • Venice Beach Boardwalk chiamato anche Venice Ocean Front Walk strada lungo il mare ornata di palme dove ci sono ristoranti e negozi. Qui ci sono persone che praticano sport, artisti di strada ecc ecc, è il punto focale della cittadina.
  • Gingerbread Court (517 Ocean Front Walk) è un delizioso angolo che merita una visita, con edifici in mattoni dall’aspetto gradevole e una stradina costellata di negozi e ristoranti caratteristici
  • Venice Beach Skate Park (1800 Ocean Front Walk) area per gli skate dove si possono vedere acrobazie incredibili
  • Breakwater: la spiaggia, dove i surfisti fanno da padrone.
  • Muscle Beach: la spiaggia più famosa, vicino allo skate park. Qui ci sono tantissimi culturisti che si allenano c’è un tratto di strada, la Walk of Fame, dove ci sono targhe di persone che hanno contribuito all’industria del fitness.
  • Fishing Pier (incrocio fra Ocean Front Walk e Washington Blvd.) è un molo aperto tutti i giorni lungo il quale, oltre alla passeggiata d’obbligo, si può pescare e osservare i surfisti. Da qui l’oceano e la spiaggia regalano splendide vedute.
  • Venice Sign: un’insegna luminosa che riporta il nome VENICE è diventata un’icona del luogo. Si trova tra Windward e Pacific Avenue
  • Abbot Kinney Boulevard: battezzata così in onore del fondatore di Venice, via per lo shopping con ristoranti. Qui hanno girato molte scene di film e telefilm. E’ la seconda via più importante della cittò
  • Il Venice Canal Historic District (Eastern Court, Strong Dr., Carrol Ct. e Canal Ct.) è la zona dei canali ideata da Abbot Kinney nel 1905, quella per cui questa città prende il nome di Venice. Questa graziosa zona residenziale, con tanta vegetazione, palme, piante e angoli fioriti, non è transitabile solo via acqua, è un’area pedonale dove molte abitazioni hanno costi elevati e stili architettonici. Per raggiungere le sponde del fiume ci sono graziosi ponti, principalmente di colore bianco, di forma arcuata per consentire il transito di piccole imbarcazioni, anche canoe. Assieme all’Ocean Front Walk e ad Abbot Kinney Boulevard questo distretto è un must see in città. I tre siti rappresentano il minimo da vedere se si ha poco tempo a disposizione per farsi un’idea della città

– Marina del Rey: Insenatura con il porto turistico. E’ la zona alle spalle di Venice.

– Long Beach: https://www.viaggi-usa.it/long-beach-los-angeles/

– Queen Mary ancorata al porto, meraviglioso transatlantico ora hotel e visitabile

Point Vicente Lighthouse (ad ovest della città, sulla penisola)

Point Fermin: ad ovest della città, sulla penisola, sotto il Point Vicente Lighthouse

– Harbor Breeze: https://2seewhales.com/about-us/ –  operatore che organizza escursioni per vedere le balene

In un paio d’ore arriviamo con il sole a Santa Barbara. Come cittadina non ci dice nulla. C’è il lungomare con le palme e la spiaggia libera. Ci sono tantissimi barboni. Facciamo due passi e poi andiamo al pontile. Non sarebbe proprio ancora ora di pranzo ma vedendo i piatti che escono dal Shellfish restaurant … decidiamo di fermarci. I tavoli proprio del ristorante, dove servono al tavolo, sono tutti pieni, quindi ordiniamo e poi ci sediamo su altri tavoli esterni (€ 39). Prendiamo solo due piatti in 4 perchè non abbiamo fame … questa è gola. Spettacolari le polpette di pesce. Ripartiamo. Ci fermiamo alla spiaggia El Matador (€ 2,50 all’ora). Io e i ragazzi scendiamo in spiaggia. Pier rimane in macchina per il male al polso. Ne approfitta per rilassarlo. La spiaggia è bella con diverse grosse rocce. Adesso che scrivo l’itinerario (17 novembre) continuo a vedere alla tele le immagini del grande incendio che sta devastando la zona di Malibu. Ho trovato un’immagine proprio di questa spiaggia e del parcheggio in fiamme. Mamma mia quanta devastazione. Rimaniamo un attimo con i piedi a mollo e poi partiamo. A fatica riusciamo a trovare posto per la macchina ad Escondido Beach. Le indicazioni che dicevano di parcheggiare al ristorante Geoffrey’s Malibu non sono attendibili, come immaginavamo. Difficile che diano il permesso di lasciare la macchina nel parcheggio di un ristorante per andare in spiaggia …. Scendo solo io una corsa e loro rimangono in macchina. In prossimità di questo ristorante c’è una spiaggia libera dalla quale iniziano le case su palafitte. Bel colpo d’occhio. Mare bellissimo con le onde. Certo che avere una casa qui è veramente strepitoso anche se alle spalle c’è Pacific Coast Hwy, strada ad alto scorrimento. Tutte le vie di accesso laterali alle casette sono blindate. Da qui in poi saltiamo tutto, anche il molo di Malibu perchè Pier non ce la fa più con il polso quindi andiamo diretti al nostro hotel a Venice il  Venice Breeze Suite (http://www.venicebreezesuites.com/) (solo pernottamento – prenotato su Booking e pagato la prima notte € 287 al momento della prenotazione e le altre due, 307 a notte, all’arrivo). Riguardo a questo pernottamento c’è da dire una cosa. Cinque mesi prima di partire abbiamo dovuto cambiare l’appartemento prenotato. Avevamo fatto la prenotazione all’Ellison Suites a 300 € a notte con accordi che 96 ore prima del nostro arrivo avrebbero addebitato tutto l’importo. A febbraio ci scrivono direttamente loro dicendo che se non pagavamo tutto subito la nostra prenotazione sarebbe stata annullata. Guardo su Booking ed in effetti leggo che hanno cambiato le modalità. C’è stata una serie di mail perchè avevamo paura che fosse una truffa. Ci dicono alla fine che va bene com’era stato pattuito. A giugno ci chiedono di nuovo il pagamento. Sentiamo la Booking e ci dicono che non possono fare una cosa del genere. Se hanno cambiato le condizioni questo deve essere per le nuove prenotazioni, non per le vecchie. Qui è questione di principio. Se ci avessero chiesto tutto l’importo subito, l’avremmo pagato senza problemi ma non possono cambiare le carte in tavola dopo. Disdiciamo quindi la prenotazione e la rifacciamo al vicino Venice Breeze Suite. Quando siamo arrivati a Los Angeles per curiosità abbiamo guardato sulla Booking e … ma toh … la camera che avevamo liberato, era ancora disponibile. Gli sarebbe convenuto lasciare le cose come stavano … Il Venice Breeze Suite è carino, pulito e direttamente sulla via principale sulla spiaggia, vista mare. Gli appartamenti sono spaziosi. Hanno un letto matrimoniale, un divano letto e la cucina. L’unico neo è che non c’è il parcheggio privato. Bisogna lasciare l’auto o lungo le strade interne o in parcheggi a pagamento. Arriviamo alle 17.00, scarichiamo i borsoni e Pier cerca un buco, invano, dove lasciare la macchina. Alla fine trova fino alle 11 di domani ad € 35. Sa che è una ladrata ma non ragiona più dal male al polso quindi va bene così. Poi domani troveremo una soluzione decisamente più conveniente facendo un pacchetto per due giorni. Andiamo in un market nella via sulla spiaggia a fare due acquisti anche per le colazioni dei prossimi giorni. Venice non è cambiata affatto in tutti questi anni. E’ davvero particolare, va vista. Ci sono una serie di bancarelle dove i barboni vendono cose improbabili (di notte dormono sotto le palme), ci sono artisti di strada, negozietti, campi da basket e palestre a cielo aperto e poi c’è una pista per skateboard. Hanno dipinto murales ovunque. E’ un posto vivace ma non c’è nessuno che ti rompe le scatole.  I nostri amici Basket sono arrivati ieri sera e ripartiranno domani quindi abbiamo solo questa sera per incontrarci ma non riusciamo. Loro sono al molo di Santa Monica e noi non vogliamo spostare la macchina … non che al ritorno non troviamo più posto o che dobbiamo ripagare … Cerchiamo su internet un ristorante nelle vicinanze e andiamo a piedi in direzione Santa Monica. Nel mentre vediamo il tramonto. Si trova sul lungomare si chiama Venice Ale House (http://venicealehouse.com/) (€ 98) ceneremo abbastanza bene. Anche se ormai è buio torniamo a piedi. I barboni sono già tutti in branda … e praticamente non c’è in giro nessuno.

21) 17 agosto 2018 venerdì – km.67 (Los Angeles) – tempo sereno

Questa mattina ce la prendiamo comoda. Facciamo colazione in camera (la cucina è attrezzata anche con macchinetta del caffè) e poi alle 10.30 partiamo per il centro di Los Angeles. Quando abbiamo prenotato il viaggio volevamo passare la giornata di oggi agli Universal Studios e domani in giro per la città. Abbiamo accantonato l’idea perchè fa troppo caldo (30°C), dopo tutti questi giorni di viaggio abbiamo anche piacere di rilassarci un pò e anche perchè costa parecchio. Non saremmo riusciti a rimanere dentro tutto il giorno. Con il senno di poi avremmo potuto partire un giorno prima, ma non potevamo prevedere di saltare gli Studios.

Informazioni sul Los Angeles in senso orario:

https://www.viaggi-usa.it/cosa-vedere-a-los-angeles/

Los Angeles è una metropoli immensa. Da Est a Ovest si estende per circa 47 chilometri mentre da Nord a Sud per 71 km.

1) Mulholland Drive: appena prima della congiunzione tra la 405 e la 101, a sinistra, fare un salto al punto panoramico sulla città. E’ una strada che appare spessissimo nelle pellicole hollywoodiane. Lungo il percorso si può godere di scorci mozzafiato sulla metropoli.

2) Bel Air: https://www.viaggi-usa.it/bel-air-los-angeles/

A meno di 20 minuti di macchina da Beverly Hills, si trova il sito per eccellenza delle dimore dei divi (circa 8.000 abitanti), una collina che non solo annovera alcune fra le proprietà più costose della città ma si rivela anche un piacevole percorso di guida fra le colline. Potete procurarvi una mappa delle ville

3) Universal Studios

https://www.universalstudioshollywood.com/

https://www.viaggi-usa.it/universal-studios-los-angeles/ 

Orari: 9-22 $ 119 a testa – conviene comperare su internet i biglietti il giorno prima. Si risparmia, si evita la coda per il biglietto e si può entrare 1 ora prima.

per arrivare sono 37 km. la strada più scorrevole è la 10 (Santa Monica) poi la 405 (San Diego) poi la 101 (Ventura)

I tradizionalisti ameranno soprattutto lo Studio Tour, che porta i visitatori in giro per i set cinematografici più famosi degli Studios, da_ Ritorno al futuro_ (con la famosa piazza dell’orologio di Hill Valley…) a I pirati dei Caraibi, dalle case delle protagoniste di Desperate Housewives al motel di Psycho. Altri tour vi renderanno protagonisti di vere e proprie scene di film, con tanto di effetti speciali e stuntman: vi sentirete come al cinema… ma dall’altra parte dello schermo! la migliore attrazione in assoluto, Harry Potter and the Forbidden Journey. A seguire lo Studio Tour, un’ora molto piacevole a spasso tra i set cinematografici di Hollywood. Il mio consiglio è quello di scendere poi nella parte bassa del parco e fare Jurassic Park, The Revenge of the Mummy e i Transformers per poi tornare su e completare il giro con i Minion, Springfield e la Simpsons Ride e infine The Walking Dead. Da non perdere anche lo show di Waterworld, quello di Animal Actor e degli Special Effects. Si possono invece tralasciare il volo sull’Hippogriff e la bottega di Hollivander in zona Harry Potter. Appena fuori dal parco e prima del parcheggio (25$) si trova la coloratissima Universal City, con negozi e ristoranti di ogni genere.  

4) Beverly Hills: https://www.viaggi-usa.it/beverly-hills-los-angeles/

Il quartiere dei ricchi (circa 37.000 abitanti), immortalato da centinaia di pellicole cinematografiche. Ci sono le case di personaggi famosi, strade importanti, musei, parchi, edifici in stile coloniale. Inoltre si tratta di un quartiere verde e decisamente piacevole da visitare.

  • Rodeo Drive (https://www.viaggi-usa.it/rodeo-drive-los-angeles/)

Nel 2003 il comitato per Rodeo Drive ha fondato la Rodeo Drive Walk of Style per onorare “leggende di stile che hanno dato un importante contributo al mondo della moda, del costume e del design”. Normalmente viene selezionato per questa onorificenza un personaggio all’anno. Ogni targa riporta il nome e la firma del destinatario unitamente alla motivazione per il riconoscimento. Il 9 settembre 2003 è stata presentata la prima targa, dedicata a Giorgio Armani. In questa occasione è stata inaugurata l’opera di Robert Graham denominata Torso, una lucente scultura di donna senza veli, priva di testa e braccia, realizzata in alluminio e alta 4 metri. Questa scultura si trova all’incrocio fra Rodeo Drive e Dayton Way, punto d’inizio della Walk of Style, simbolo della “passeggiata dello stile”  dove si possono notare non solo i nomi di stilisti, gioiellieri e maestri della moda come Ferragamo, Valentino, Missoni, Bulgari, Cartier e i fratelli Versace che si sono aggiunti ad Armani, ma anche personaggi simbolo di stile ed eleganza, come la principessa Grace. Si può svoltare nel grazioso loop (una breve deviazione semicircolare che rientra su Rodeo Drive) denominato Two Rodeo. 

  • Civic Center e City Hall: Il Beverly Hills Civic Center (455 N. Rexford Dr.) con il monumentale City Hall (municipio) in stile coloniale spagnolo e la sua cupola piastrellata, è il simbolo della città. E’ davvero molto bello. Risale al 1932 ed ora la costruzione è collegata al nuovo centro civico tramite cortili, balconi, corridoi con arcate che richiamano sempre lo stile ispanico. 
  • Beverly Wilshire hotel (Pretty Woman)

·          Beverly Gardens Park:  Al 9990 di Santa Monica Boulevard, una grande insegna dalla forma a mezzaluna (molto fotografata dai turisti) con la scritta BEVERLY HILLS posta sopra una fontana di ninfee ci segnala che siamo arrivati al Beverly Gardens Park. All’interno di quest’area verde lunga più di tre chilometri e mezzo, si passeggia fra sentieri ammirando cactus e rose. All’interno del Beverly Gardens Park, nell’angolo di Santa Monica Blvd. e Wilshire Blvd. si trova l’Electric Fountain, una singolare fontana con una colonna alta sei metri da cui svetta una statua che ritrae un membro di una tribù locale indiana inginocchiato in preghiera. La struttura, costruita nel 1931, di notte crea un affetto molto particolare in quanto è illuminata da una successione di luci colorate. In questo parco si svolge l’evento artistico Beverly Hills Art Show nel terzo fine settimana di maggio e ottobre (vedi sezione eventi).

5) Hollywood: In Hollywood Boulevard

  • Walk Of Fame: ci sono le stelle di oltre 2400 personaggi famosi
  • TCL Chinese Theatre: Fu commissionato in seguito al successo del vicino Egyptian Theatre. Costruito in circa 18 mesi a partire dal gennaio 1926, venne inaugurato il 18 maggio 1927 in occasione dell’anteprima del film Il re dei re. Da allora è stato sede di numerose anteprime e di tre cerimonie degli Academy Awards, svoltesi nel 1944, 1945 e 1946. Tra le caratteristiche più peculiari del teatro vi sono i blocchi di cemento fissati nel piazzale, che recano le firme, le impronte delle mani e dei piedi di personaggi popolari del mondo dello spettacolo dal 1920 a oggi. L’esterno del teatro è stato realizzato sulla base della pagoda cinese. Sulla parete anteriore dell’edificio è raffigurato un grande drago, mentre due cani ming sono posti ai lati dell’entrata principale; sui fianchi del tetto in rame vi sono delle piccole sagome di drago. E’ stata la sede della consegna degli Oscar dopo il Roosvelt hotel e prima dell’attuale Dolby Theatre.
  • Dolby Theatre: dal 2001 ospita la cerimonia degli Oscar. Si trova sul retro del Teatro Cinese.
  • Roosvelt Hotel: hotel storico dove hanno fatto la prima cerimonia degli Oscar nel 1929 (ns albergo nel 1999)

6) scritta Hollywood: Si trova nella parte ovest di Griffith Park, sui pendii del Monte Lee. Osserva Los Angeles dall’alto fin dal 1923, quando vi si leggeva ancora “Hollywoodland”: la scritta nacque infatti come cartellone pubblicitario per un nuovo progetto di sviluppo immobiliare con quel nome, prima di diventare il vero simbolo della capitale del cinema. Ristrutturata in diverse occasioni, la scritta Hollywood è comparsa in infiniti film e serie TV (provate a ricordarne qualcuno!). Ogni lettera, costruita in lamina di metallo, è alta 15 metri, e in origine era illuminata da lampadine. Il punto migliore per osservarlo e scattare foto ricordo è sicuramente la zona a nord di Franklin Ave e più precisamente N Beachwood Drive, che arriva proprio sotto al monte Lee in cui si trova la gigantesca insegna e soprattutto Mulholland Hwy dove ci sono anche molti parcheggi lungo la strada ed un grande parco frequentato dai tantissimi fan di Hollywood.

7) Griffith Park: Griffith Observatory è al tempo stesso un osservatorio, un planetario e un museo d’astronomia situato a Griffith Park, dove si gode di una splendida vista del centro di Los Angeles e della famosa scritta di Hollywood. L’attrazione è gratuita, ma se volete dare uno sguardo al cielo notturno, soprattutto in estate, mettetevi in fila prima di sera; chiudono la fila dopo un certo numero di persone. Comunque una visita val la pena per vedere l’edificio stesso e il magnifico panorama che permette di ammirare. Nel parco corrono oltre 80 chilometri di sentieri, alcuni dei quali raggiungono Mount Hollywood: con i suoi 495 metri di altezza, il monte è il punto più elevato della zona. Nel Griffith Park si trovano anche un teatro, il Greek Theater, e uno zoo 

8) Sunset Boulevard: Strada trafficata ma caratteristica dove sono stati girate molte scene di film. Ci sono negozi, locali, hotel ecc.ecc. 

9) La Brea Tar Pits (Hancock Park): Nella preistoria, ben prima che la saga dell’Era Glaciale spopolasse nei cinema di tutto il mondo, mammuth e tigri dai denti a sciabola già abitavano l’area di Los Angeles. I loro resti fossili sono stati ritrovati nella zona di La Brea, presso Hancock Park, e raccolti nel George C. Page Museum of La Brea Discoveries, uno dei musei più amati dai bambini di tutta Los Angeles. La più famosa attrazione di La Brea però sono le oltre 100 tar pits, delle grandi pozze di catrame maleodorante che si trovano nel parco. Negli anni dal catrame sono stati “pescati” innumerevoli resti fossili, e altri vengono ancora ritrovati.

10) Olvera Street (Pueblo de Los Angeles):

https://www.visitcalifornia.com/it/attraction/olvera-street/  – https://www.viaggi-usa.it/el-pueblo-olvera-street/

l’area è parte di El Pueblo de Los Angeles Historic Monument nella zona più antica del centro cittadino, testimoniato dalla Avila Adobe, una casa storica dove si respira l’aria di quella che fu la prima Los Angeles. Questa fu la prima casa costruita in città, nel 1818, da Don Francisco Avila. Potrete girellare fra le bancarelle di un coloratissimo mercatino messicano e mangiare piatti tipici accompagnati da musica dal vivo. Ristorante El Paseo Inn, ottimo.

11) Downtown (financial district):

  • Walt Disney Concert Hall: https://www.visitcalifornia.com/it/attraction/walt-disney-concert-hall

Si trova al n°111 di South Grand Avenue nel Downtown di Los Angeles, costruito sulla Bunker Hill, è il quarto salone del Los Angeles Music Center. Viene utilizzato come sede per la Los Angeles Philharmonic Orchestra e la Corale di Los Angeles e dispone di 2265 posti a sedere. L’edificio, disegnato da Frank Gehry, è stato inaugurato il 23 ottobre 2003. La sua architettura (come negli altri lavori di Gehry) ha ricevuto critiche contrastanti, mentre l’acustica è largamente considerata migliore del suo predecessore, il Dorothy Chandler Pavilion.

  • City Hall: si può salire all’ultimo piano per vedere il panorama

 

12) Staples Center (stadio Basket): https://www.staplescenter.com/

Andiamo a Beverly Hills. Lasciamo la macchina nei parcheggi ad ore. Facciamo qualche foto alle vie con le palme e le villette, alla scritta Beverly Hill nel Beverly Garden Park in Santa Monica Blvd e poi andiamo in Rodeo Drive. Fuori dai negozi delle grandi firme ci sono macchinoni notevoli. Per pranzo andiamo al Whole Food Market (https://eu.wholefoodsmarket.com/?destination=www.wholefoodsmarket.com%2F)  (€ 47), una sorta di nostro Naturasi (prodotti biologici), ma più grande. In questo supermercato – che fa parte in una catena presente anche in altre città della California – hanno anche un self service con tavoli per colazione, pranzo e cena. C’è un self service spettacolare di insalate. Te le puoi comporre come vuoi. Pranziamo sui tavolini all’interno del market. Ci indirizziamo poi all’Hollywood Boulevard. Troviamo parcheggio stranamente gratuito in Las Palmas Avenue, una perpendicolare. Vediamo un signore che fotografa il Las Palmas Hotel (http://las-palmas-suites.los-angeles-hotel.com/en/) e ci dice che è quello dove hanno registrato la scena finale di Pretty Woman. Una volta a casa guardo il finale del film ed effettivamente è proprio lui. A piedi andiamo fino al teatro cinese cercando di fotografare qualche stella sul marciapiede. E’ strapieno di gente. Non duriamo tanto … torniamo alla macchina e ci indirizziamo alla scritta di Hollywood sulla montagna. La vediamo bene dall’Lake Hollywood Park in Canyon Lake Drive. Volendo si può parcheggiare qui e avvinarsi un pochino di più andando a piedi lungo la strada. Se si cammina un pochino si arriva alla Last House on Mullholland (https://www.lasthouse.la/), punto panoramico. Alle 16.30 partiamo. Ci fermiamo ancora al Whole Food Market a fare un pò di spesa e poi ci indirizziamo in hotel percorrendo un tratto della Route 66. Ci sono cartelli colorati che indicano che si è sulla famosa strada che parte da Chicago e finisce al molo di Santa Monica. Troviamo un parcheggio e questa volta barattiamo … otteniamo € 35 fino a dopodomani alle 12.00, quando partiremo per l’Italia. Sotto il nostro hotel c’è una sorta di pizzeria da asporto quindi prendiamo una grossa pizza (€ 13) e in più cuciniamo quanto acquistato al market biologico. Non abbiamo proprio voglia di uscire ancora. Vediamo nel mentre il tramonto. I nostri amici Basket sono partiti questa sera, ci si rivedrà a casa.

22) 18 agosto 2018 sabato – km.66 (Los Angeles) – tempo sereno

Colazione in camera e poi andiamo in centro. Puntiamo, per la gioia di Matteo e un pò meno di Martina … il basket le esce dalle orecchie … andiamo allo Stable Center. Facciamo un giro nel negozio poi facciamo due foto all’esterno e ai dischi in metallo applicati sui marciapiedi (come fossero le stelle in Hollywood Boulevard) con i nomi di chi ha vinto i Grammy Awards per la musica (in S Figueroa Street, dove si trova il Grammy Museum). E’ un premio paragonabile agli Oscar del cinema. Gironzoliamo in macchina per Downtown fotografando i grattacieli. Essendo sabato è tutto chiuso. Mi piace molto la struttura del Walt Disney Concert Hall. Puntiamo poi ad Overa Street, il quartiere messicano. Parcheggiamo senza dover pagare. In questa zona ci sono tanti barboni lungo le strade. Addirittura sono attrezzati con le tende canadesi. Raggiungiamo velocemente la via. Sembra proprio di essere in Messico. Ci è piaciuto molto. Vediamo da fuori la Avila Adoe, la prima casa costruita a Los Angeles. Ci sono diversi ristoranti. Scegliamo El Paseo Inn (http://www.elpaseoinn.com/) (€ 78). Pranziamo molto bene … questa volta evitiamo il Margarita ….. Torniamo poi a Venice. Lasciamo la macchina al solito parcheggio e percorriamo la via che costeggia la spiaggia. Essendo sabato, abbiamo idea che buona parte degli abitanti della città si siano trasferiti qui. Ieri e l’altro ieri c’era poca gente. Ci sono molti artisti di strada quindi ci fermiamo a vedere alcuni spettacoli. C’è un ambiente di festa. Andiamo in hotel a mettere i costumi e andiamo un paio d’ore in spiaggia (l’hotel fornisce i teli da bagno). I ragazzi fanno il bagno. Ci sono le onde grosse e i bagnini sono tutti all’erta. C’è scritto di entrare in acqua solo se nuotatori esperti. Ci divertiamo un sacco, non solo noi ma anche tutte le persone che abbiamo intorno, a guardare un ragazzo con una piccola tavola da surf. Non so se ha fumato qualcosa o se è un pò fulminato di suo … ma continua a ridere, sale sulla tavola e poi si butta giù. Se la spassa a più non posso e noi pure. Rientriamo per una doccia e poi Pier va a prendere due pizze (€ 26) come quelle di ieri sera. Ceneremo in camera tranquilli. Ultima notte americana.

23) 19 agosto 2018 domenica – km.13 (aeroporto) – tempo sereno

Questa mattina **** puro. Matteo si vede con una sua amica (con la quale ha fatto diverse vacanze studio in Irlanda). Anche lei ha fatto un tour dei parchi ovest con i genitori e questa mattina è l’unica occasione in cui si sono riusciti a trovare. Vanno a fare colazione insieme e poi vanno in spiaggia. Vedranno i delfini vicino alla riva. Noi tre andiamo a piedi fino all’inizio di  Santa Monica. Non riusciamo ad arrivare fino al pontile con mio grande dispiacere. Volevo fotografare il cartello che indica il punto in cui finisce la Route 66. Torniamo poi dalla spiaggia. Il mare è quasi piatto e molto bello. Raggiungiamo Matteo ed Irene che nel mentre sono a mollo e poi andiamo a farci la doccia e a chiudere i borsoni. Alle 12.00 lasciamo l’hotel. L’aeroporto è vicinissimo e ad un paio di km. sul cruscotto esce di nuovo la scritta che era uscita alla Monument Valley e la macchina va ai 30 all’ora … Per fortuna ci porta fino a destinazione con 5728 km alle spalle. Solita trafila, pranzo (€ 52) e alle 17.15 partiamo con volo KLM.

24) 20 agosto 2018 lunedì

Dopo 9 ore e 1/2 atterriamo ad Amsterdam. Per noi sono le 2.45 di notte e ma qui le 11.45 del mattino come in Italia. Completamente rimbambiti troviamo un angolino dove ci sono dei puff molto comodi e ci spiaggiamo … Con un’ora di ritardo ripartiamo. Alle 19.30 siamo a Malpensa. Rientro a casa con lo stesso signore dell’andata. Purtroppo i nostri labrador non ci sono ad attenderci perchè dovremo andare a recuperarli domani mattina. Arrivare a casa senza di loro è triste … La nostra avventura americana è finita e ci lascerà bellissimi ricordi. Alla prossima ….

se avete bisogno di info scrivetemi: african.dreams2019@gmail.com

The post Stati Uniti (Yellowstone e parchi ovest) – agosto 2018 appeared first on Il Giramondo.


Sudafrica: meravigliosa terra fra due oceani

$
0
0
(by Luca, Sabrina, Federico, Leonardo e Valentina)

Venerdì 9 Agosto:

“Di Venere e di Marte non si sposa e non si parte”… certo che si parte! … anzi, alcuni dei nostri viaggi più belli li abbiamo intrapresi proprio in questo giorno della settimana!

In un caldissimo pomeriggio di piena estate prendiamo così il via, nella ormai collaudata formazione a cinque, come dodici mesi fa, verso una nuova intrigante meta. Questa volta andremo in Sudafrica, venticinquesimo stato più grande del mondo, detto anche Nazione Arcobaleno e istituito, come dice il nome, agli antipodi del continente africano, che esploreremo lungo un ambizioso itinerario. Partiremo infatti da Città del Capo, per poi toccare la costa dell’Oceano Indiano, quindi l’Atlantico, poi il confine con la Namibia e quello con il Lesotho, quindi, dopo esserci affacciati nuovamente sull’Oceano Indiano, attraverseremo lo Swaziland e sfiorando il Mozambico arriveremo a Johannesburg per l’epilogo della vacanza.

Lasciamo casa alle 15:50 e un quarto d’ora più tardi siamo a Faenza, dove passiamo accanto ad un grosso incendio, menzionato anche sui telegiornali delle reti nazionali, poi entriamo in autostrada A14 verso nord e dopo meno di un’ora, nonostante il traffico intenso, giungiamo a Calderara di Reno, nei pressi di Bologna, ai Parcheggi Low Cost, dove lasceremo in deposito l’auto per l’intera durata del viaggio.

Subito dopo, con la navetta gratuita, raggiungiamo l’Aeroporto Marconi, quando sono passate da poco le 17:00. Imbarchiamo le valigie direttamente per Città del Capo (speriamo bene) e oltrepassati i controlli di sicurezza ci mettiamo in attesa del volo TK 1320 per Istanbul alla porta numero 19. Quasi in perfetto orario saliamo poi sull’Airbus A320 della compagnia Turkish Airlines, che alle 19:23 si stacca dalla pista felsinea virando immediatamente verso sud.

Scavalchiamo i Balcani e poi planiamo in direzione della capitale turca, dove atterriamo alle 22:25 locali, un’ora in più rispetto all’Italia, ma lasciamo le lancette dell’orologio nella loro posizione, perché il Sudafrica, in questo periodo dell’anno, grazie all’ora legale, ha lo stesso fuso del Bel Paese e quindi dovremmo rispostarle.

Appena messo piede nell’aeroporto turco cerchiamo poi il volo successivo sui tabelloni elettronici, ma quando lo troviamo abbiamo una sgradita sorpresa, perché è prevista un’ora e quaranta minuti di ritardo, così ci sistemiamo mestamente su alcune poltrone e nell’attesa arriva pian piano la mezzanotte, quindi…

… Sabato 10 Agosto:

Le ore notturne sono maledettamente lunghe e dobbiamo pazientare ancor più di quattro ore prima di prendere quota, alle 4:08, sull’Airbus A330 della Turkish Airlines che, identificato come volo TK 044, prende il via virando subito sempre più a sud.

In questo modo attraversiamo tutto il continente africano, dalla foce del Nilo a Cape Town (ma quanto è lungo!) e dopo una stretta virata sull’Oceano Atlantico atterriamo, finalmente, nell’International Airport della grande città sudafricana che sono le 13:17, come in Italia del resto.

Oltrepassiamo i controlli doganali, nei quali è risultato indispensabile il certificato di nascita multilingue di Leonardo, poi, poco dopo, accogliamo con entusiasmo le nostre cinque valigie e usciamo all’aria aperta dell’inverno australe… frizzante ma piacevole, in una bella giornata di sole.

Una breve camminata ci porta così alla Avis per ritirare l’auto a noleggio prenotata fin da casa e lì, purtroppo, abbiamo un altro contrattempo, perché non è ancora pronta e dobbiamo pazientare oltre un’ora prima che ci venga consegnata. Sommando, in questo modo, il ritardo a quello dell’aereo non possiamo far altro che constatare, in pratica, la prematura fine di questa giornata.

Finalmente, un po’ prima delle 16:00, ci affidano le chiavi di un Mercedes Vito bianco (targato HS 60 GF GP) e con quello partiamo subito per la nuova avventura “On the road”.

Guidando sulla sinistra della carreggiata andiamo verso il centro di Cape Town, che dista una ventina di chilometri, e passando anche accanto ad una miserabile e angosciante township, grazie al navigatore e allo scarso traffico del fine settimana, giungiamo abbastanza in fretta alla House on the Hill, semplice struttura tipo bed & breakfast, situata nei pressi del Waterfront e del grande stadio dove si svolsero i mondiali di calcio del 2010, che ci ospiterà per le prossime tre notti.

Portiamo i bagagli in camera e ripartiamo subito, cercando di sfruttare al meglio le due ore di luce a nostra disposizione.

Nel cuore di Cape Town andiamo così a vedere (solo esternamente perché ha già chiuso i battenti) l’antico Castle of Good Hope, massiccia struttura eretta dagli olandesi fra il 1666 ed il 1679, mentre arriva a guastare la festa anche qualche nuvola.

Subito dopo ci fermiamo a scattare una foto alla House of Parliament e poi saliamo al punto panoramico di Signal Hill, dal quale un tempo si avvistavano le navi in arrivo. Da lì ci godiamo un bel tramonto, nonostante le nubi avvolgano le vette più alte della Table Mountain, quindi facciamo ritorno col buio ormai completo alla House on the Hill.

A piedi ci rechiamo poi a far spesa in un vicino food-market e poco più tardi andiamo a cena da Mario’s Italian Restaurant, situato a due passi dalla nostra struttura, infine, stanchi dopo il lungo viaggio, ci ritiriamo in camera per il meritato riposo.

Domenica 11 Agosto:

Eccoci così pronti e pimpanti per affrontare, tappa dopo tappa, “tutta” l‘esplorazione del Sudafrica… È però piovuto abbondantemente durante la notte e quando ci svegliamo è freddo e tutto grigio, non certo il massimo in prospettiva degli eventi.

Facciamo colazione e poi prendiamo il via sotto la pioggia battente, mentre all’incrocio più vicino una persona di colore, probabilmente senza dimora, trema come una foglia per il freddo e viene assistita da un’altra, di buon cuore, che gli dà qualche indumento.

Il nostro obiettivo questa mattina sarebbe stato quello di salire sulla Table Mountain, una scenografica asperità, inserita all’interno dell’omonimo parco nazionale, che supera di poco i mille metri di quota e domina tutta Cape Town, ma neanche s’intravvede per quanto è avvolta dalle nubi. Allora ci muoviamo in direzione della periferia sud della città e verso il Kirstenbosch National Botanical Garden, dove saremmo dovuti andare nel pomeriggio.

Questo giardino botanico, che si estende ad oriente e ai piedi della Table Mountain, nel suo genere è uno dei più importanti al mondo (fondato nel 1913) e addirittura, per le sue qualità è stato inserito nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, fin dal 2004.

Quando arriviamo nel parcheggio del giardino, poco dopo le 9:00, siamo fra i primi visitatori e, in pratica, è appena smesso di piovere, seppur il cielo sia ancora completamente grigio.

Entriamo senza troppo entusiasmo nel parco seguendo un viale di piante secolari e poi ci inoltriamo fra la fitta vegetazione, percorrendo anche la Tree Canopy Walkway, un’ardita passerella fra gli alberi, mentre qualche timido raggio di sole comincia a filtrare fra le nuvole, e poi via via sempre di più, fin quando il cielo si apre e si accendono tutti i colori della natura, così possiamo goderci la parte finale della visita.

Osserviamo belle piante e alcuni fiori sorprendenti, senza mai dimenticare che qua siamo, tutt’ora, in pieno inverno, ma anche qualche rappresentante della locale fauna ittica, fra i quali due bellissimi gufi… insomma, un’ottima esperienza, considerati i presupposti.

Dopo andiamo in direzione della Table Mountain, con la speranza di potervi salire sopra. La funivia però (lo sapevamo) è chiusa per manutenzione fino al 18 di agosto, per cui l’unica maniera è quella di andare a piedi, attraverso la Platteklip Gorge.

Percorriamo così tutta la strada, fino all’inizio del sentiero, ma inutilmente perché, nonostante gli ampi sprazzi di sereno, la vetta della montagna risulta ancora nascosta sotto a grossi nuvoloni.

Scendiamo allora verso il centro di Cape Town per andare al famoso quartiere di Bo-Kaap, la cui origine risale al XVIII secolo, quando tale Jan De Waal fece costruire alcune casette per ospitare gli schiavi, per lo più di origine malese e indonesiana, quindi musulmani, che col tempo si impegnarono ad insediarvi le prime moschee.

Dopo l’emancipazione schiavile del 1834 si prese l’abitudine di dipingere le facciate delle case con colori sgargianti (ciò era considerato come espressione di libertà) e tutt’oggi è questa la principale caratteristica del quartiere.

Lasciamo l’auto in un parcheggio custodito e ci avventuriamo lungo le principali vie (Wale, Rose e Chiappini Street), tutte disseminate di splendide casette colorate, che formano quadretti particolarmente fotogenici… un’altra bella visita, dopo il giardino botanico. Intanto le nuvole sulla Table Mountain sono ulteriormente calate, allora ci riproviamo.

Saliamo di nuovo fino al parcheggio di fronte all’imbocco del sentiero e lì pranziamo con i nostri panini, poi prendiamo a seguire il tracciato, che s’inerpica subito fra grandi massi e forti pendenze.

Dopo un’ora dalla partenza arriviamo all’ingresso della gola, contornati da splendide viste… L’impressione è quella di essere quasi in cima, ma da lì inizia il tratto più duro e serve un’altra ora, lungo un impervio sentiero che si dipana fra le rocce.

Così, passate da poco le 15:00, giungiamo, anzi, conquistiamo la vetta della Table Mountain e ci ritroviamo, purtroppo, fra le nuvole… Niente vista panoramica quindi, anche se possiamo ritenerci soddisfatti dell’impresa, ma la parte più difficile dell’escursione deve ancora arrivare, perché a volte può risultare più faticosa la discesa della salita, infatti, incredibile ma vero, impieghiamo più tempo e arriviamo, fisicamente devastati, all’auto una manciata di minuti dopo le 17:00.

Riprendiamo strada mentre si scatena un intenso acquazzone… e non oso pensare se ciò si fosse manifestato anche solo trenta minuti fa. Un motivo in più per assaporare il piacere di stare comodamente seduti all’asciutto, nei sedili del nostro Vito.

Andiamo verso la House on the Hill, ma prima passiamo dall’enorme centro commerciale di Waterfront, dove facciamo spesa e acquistiamo anche la cena da consumare in camera, così da non dover più uscire vista la stanchezza accumulata… però ne è valsa la pena perché possiamo dire di aver concluso positivamente il primo vero e proprio giorno di visite della vacanza.

Più tardi andiamo a dormire mentre continua a piovere con insistenza, ma siamo fiduciosi perché da domani dovrebbe migliorare.

Lunedì 12 Agosto:

Splende un magnifico sole, anche se alcune nuvole si addensano ancora sulle vette più alte e sulla Table Mountain.

Poco dopo le 8:00 prendiamo a seguire la strada che va verso sud lungo la costa e in breve giungiamo nella località balneare di Camps Bay e al punto panoramico dal quale si può assaporare la vista sull’omonima baia, oggi battuta da grandi onde e contornata dalla magnifica quinta di rilievi montuosi chiamata Twelve Apostoles (dodici apostoli), che però sono nell’ombra delle prime ore mattutine.

Scattiamo alcune foto e poi proseguiamo, fino al paese di Hout Bay, dal cui porticciolo salpano abitualmente le imbarcazioni per Duiker Island: poco più di uno scoglio, popolato da una folta colonia di otarie del Capo. Oggi però il mare è troppo mosso e l’escursione prevede solo un giro nella baia, senza avvicinarsi all’isola, così rinunciamo e ci accontentiamo di vedere solo alcuni simpatici esemplari di otaria, semi-addomesticati, che vivono praticamente nella zona del porto.

Da Hout Bay affrontiamo poi l’ardito tratto di strada (a pedaggio) chiamata Chapman’s Peak Drive, che si sviluppa a sud dell’abitato fra spettacolari e vertiginose scogliere, purtroppo senza la presenza di un bel sole, che nel frattempo è andato a nascondersi fra le nuvole.

La nostra beneamata stella si riprende poi la scena quando, ancora più a sud, entriamo nella sezione più meridionale del Table Mountain National Park e più precisamente quella che ingloba il leggendario Capo di Buona Speranza (Cape of Good Hope), cruccio dei più noti navigatori di fine Cinquecento.

L’area è anche un’importante riserva naturalistica, che ci apprestiamo a visitare. Seguiamo così la strada che termina nel parcheggio dal quale, con una funicolare, si può raggiungere lo storico faro di Good Hope, risalente al 1860… Il tragitto si potrebbe fare anche a piedi, ma le scorie della scalata alla Table Mountain sono oggi un fardello troppo grande da traghettare.

Giunti a destinazione saliamo comunque le rampe di scalini che portano, fra stupende viste sulla costa circostante, ai piedi del faro, poi seguiamo il sentiero che si reca nei pressi del nuovo faro (eretto nel 1919 per sopperire alle mancanze del primo, a volte ingannevole per la sua posizione troppo elevata sulle scogliere del Capo) e lì immortaliamo superbi panorami, impreziositi anche dalla presenza di alcune balene, che avvistiamo in lontananza… semplicemente meraviglioso!

Torniamo così entusiasti alla funicolare e pienamente soddisfatti facciamo ritorno all’auto… ma non è certo finita qui. Proprio nel parcheggio, infatti, osserviamo molto da vicino alcuni esemplari dei famosi babbuini endemici del luogo, che risultano simpatici, ma la cui reputazione ci sconsiglia di consumare sul posto il nostro quotidiano pranzo al sacco.

Ci muoviamo allora su gomma lungo un tragitto che porta, nella costa sottostante, al vero e proprio Cape of Good Hope, il punto più sud-occidentale del continente africano, ma non quello più meridionale, come spesso si è portati a credere.

Lungo il percorso avvistiamo alcune antilopi, oltre ad una nutrita schiera di grandi uccelli bianco-neri (probabilmente esemplari di ibis sacro) e giunti al termine della strada, finalmente, possiamo placare i morsi della fame.

Dopo scattiamo una doverosa foto ricordo con il cartello commemorativo del luogo e, una volta esplorate le scogliere circostanti, riprendiamo l’itinerario.

Seguendo la strada che conduce all’uscita del parco incontriamo poi un borioso struzzo e successivamente, risalendo la costa orientale del Capo lungo False Bay, giungiamo nella località di Boulders, presso l’omonima spiaggia, dove si trova la più famosa colonia di pinguini africani dell’intera regione.

Parcheggiamo l’auto e a piedi ci avviamo per le passerelle che si dipanano nell’area protetta, accanto alle quali possiamo ammirare tante simpatiche bestiole, estremamente buffe nei loro movimenti e in numerosi atteggiamenti, ma non ridicole quanto l’affermazione di una turista italiana che mi è capitato di ascoltare:… «Tanto li ho già visti a Genova…».

Assaporata anche questa eccezionale esperienza ci avviamo poi verso la parte più settentrionale di False Bay e, affrontati alcuni incolonnamenti dovuti all’intenso traffico, arriviamo anche nella cittadina di Muizenberg, importante località balneare durante l’estate australe.

Qui, in una spiaggia bianchissima, regno dei surfisti, si trova una originale e intrigante sfilata di cabine vittoriane multicolore, in uno stato di semi-abbandono vista la stagione, che andiamo a fotografare nella calda luce dell’ormai tardo pomeriggio.

Da questo luogo ci avviamo quindi spediti verso Cape Town, dove arriviamo quasi al tramonto, con il sole che incendia le (solite) nubi sulla Table Mountain, a chiudere il sipario su di una giornata indimenticabile.

Più tardi, per cena, torniamo da Mario’s e lì ascoltiamo l’avvincente storia dell’anziana proprietaria italiana, originaria di Lodi, prima di ritirarci per la terza ed ultima notte nella House on the Hill.

Martedì 13 Agosto:

Prende così il via oggi il nostro tour itinerante attraverso quel grande paese che è il Sudafrica.

Partiamo dal bed & breakfast intorno alle 8:00 e poco più tardi ci lasciamo alle spalle Cape Town, aggirando da oriente la Table Mountain (che anche oggi, strano ma vero, è fra le nuvole), e poi andiamo a sud-ovest.

Guadagniamo così il mare sul lato di levante della False Bay e seguendo la strada costiera arriviamo anche al cospetto della scenografica Kogel Bay, che però è ancora nell’ombra delle severe montagne che la fiancheggiano. Proseguiamo allora fino al villaggio di Rooi Els, che sembra un pezzetto d’Islanda trapiantato nell’emisfero australe, e doppiando un promontorio arriviamo nella località di Betty’s Bay, dove giriamo in direzione della costa per guadagnare il parcheggio della Stony Point Nature Reserve.

Questa piccola area protetta, fondata negli anni ottanta del secolo scorso laddove c’era una stazione di caccia alle balene, ospita un’altra nutrita colonia di pinguini africani, oltre ad altre specie di uccelli marini e alcune affabili procavie del Capo.

La riserva, notevolmente più tranquilla di quella di Boulders, vista ieri, è molto bella e ce la possiamo godere con tutta calma, senza dover fare le spinte con altri turisti per scattare una foto. Il panorama sulle limitrofe scogliere poi, in una splendida giornata di sole, fa il resto, anche se soffia da sud un vento piuttosto pungente.

Ripresa strada, più tardi, proseguiamo ad est lungo la costa, sempre fra splendidi paesaggi, mentre alcuni babbuini ci attraversano impavidi la via, e prima di mezzogiorno arriviamo nella cittadina di Hermanus, nota per gli avvistamenti, anche da terra, delle balene.

Parcheggiamo l’auto in riva all’oceano e subito ci affacciamo dall’alto delle scogliere, assieme a tante altre persone, che sono in paziente attesa, ma purtroppo l’unico spettacolo odierno pare essere il mare agitato, che produce enormi onde ed eccezionali schizzi… e forse proprio per questo motivo le balene stanno alla larga del profilo costiero. Anche il “whale crier”, folcloristico personaggio che è l’avvistatore ufficiale di Hermanus, non suona mai il suo corno per avvisare i turisti della presenza dei grandi cetacei.

Ripartiamo e poi ci fermiamo in un altro paio di punti di avvistamento, ma con identico risultato… peccato! … Pranziamo allora con i nostri panini e lo sguardo rivolto al mare (non si sa mai), quindi riprendiamo il viaggio.

A questo punto andiamo verso l’interno, perché la strada litoranea è destinata, poco più avanti, ad interrompersi e attraversando bucolici paesaggi, lungo vie a volte sterrate, ma in buone condizioni, alla fine arriviamo, nuovamente sulla costa, nella località di L’Agulhas, l’abitato più meridionale di tutta l’Africa.

Attraversiamo la cittadina e andiamo al Cape Agulhas Lighthouse, storico faro risalente al 1848, alla cui visita ci dedichiamo salendo anche i 71 irti scalini che conducono alla sommità, per godere dei panorami sul piatto paesaggio circostante.

Subito dopo percorriamo un solo chilometro di pista e arriviamo a Cape Agulhas, che è il punto più a sud del continente nero, dove idealmente si incontrano due oceani: quello Atlantico e quello Indiano.

Scattiamo le dovute foto del caso e poi proseguiamo ancora un paio di chilometri lungo la costa, fino ad arrivare al relitto della nave giapponese Meisho Maru, qui arenatasi nel 1982, della quale resta la sola prua.

Sono quasi le 17:00 ed è ora di andare spediti verso il termine della tappa, con Federico che sperimenta per la prima volta nella vita la guida a sinistra. Così passiamo dal vicino Struisbaai Harbour, dove ci sarebbe la possibilità di veder nuotare alcune razze, fra le quali quella chiamata Parrie, diventata famosa nel web, ma non oggi, e poi puntiamo decisamente verso la cittadina di Swellendam per la notte, che dista un centinaio di chilometri.

Nella magica luce del tardo pomeriggio attraversiamo così meravigliose lande collinari, fino a giungere a destinazione poco prima del tramonto.

Prendiamo alloggio alla Cypress Cottage Guest House, una struttura a gestione famigliare davvero carina e da lì usciamo a cena, a piedi, al vicino Republic Restaurant, mangiando ottima carne ad un prezzo molto conveniente, poi andiamo in camera a riposare, in previsione di un’altra intensa giornata.

Mercoledì 14 Agosto:

Alla sveglia nel tranquillo paese di Swellendam il cielo risulta in gran parte nuvoloso.

Consumiamo una piacevole colazione alla Cypress Guest House e poi prendiamo il via per questa nuova tappa. Così, pochi chilometri fuori l’abitato verso sud-ovest, deviamo su di uno sterrato che va in direzione della costa, seguendo le indicazioni per la De Hoop Nature Reserve, che per la sua ricca biodiversità è stata inserita nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco a partire dal 2004.

Lungo il percorso, fra belle colline coltivate e sconfinati pascoli, comincia anche a piovigginare… non proprio il massimo, ma dovrebbe migliorare.

Dopo oltre trenta chilometri di carrareccia svoltiamo definitivamente in direzione del parco. Saliamo su di una collina e scendiamo sul lato opposto, mentre come per incanto si apre il cielo ed esce fuori il sole, con, in lontananza, l’evidente macchia bianca delle grandi dune che caratterizzano l’area.

Varchiamo il gate e in breve arriviamo nel centro visitatori del parco, mentre quasi subito notiamo qualche esemplare di bontebok, un’antilope endemica della zona, un tempo molto cacciata e giunta quasi a rischio estinzione, molto elegante, di color cioccolato con le regioni inferiori bianche ed una striscia bianca che va dalla fronte alla punta del naso, davvero un bell’animale, che osserviamo affiancato, ogni tanto, da qualche vanitoso struzzo.

Facciamo poi un breve loop attorno al centro visitatori, lungo il quale vediamo tante altre antilopi, anche della specie eland (o antilope alcina), quindi andiamo in direzione della costa e dove termina la strada, al parcheggio di Koppie Alleen.

Da qui ci avviamo a piedi sulle enormi dune di sabbia bianca, che sono la principale attrattiva della riserva e a giusta ragione, perché sono una vera e propria meraviglia della natura, impreziosite dallo spettacolo che si consuma fra le onde dell’oceano di poco al largo della battigia, con diverse balene che ogni tanto sbuffano, oppure mostrano l’inconfondibile coda: sono le balene franche australi, che vengono abitualmente a riprodursi in questo tratto di costa, rendendo la De Hoop Nature Reserve uno dei migliori siti al mondo per osservarle.

Restiamo a lungo a guardarci intorno e a contemplare l’orizzonte e poi passeggiamo lungo la costa verso est, contornati da un’esplosione di fiori dai mille colori e altre balene fra le onde, fin quasi a mezzogiorno, quando riconquistiamo la nostra auto con gli occhi pieni di meraviglia.

Lasciamo un po’ a malincuore questo luogo magico e facciamo ritorno al centro visitatori, dove seguiamo un inutile loop sterrato di quasi otto chilometri, lungo il quale avvistiamo zero animali. La speranza era quella di vedere la rara zebra di montagna del Capo, ma non ci è stato concesso l’onore, allora ci fermiamo a pranzare in un’apposita area prima di lasciare definitivamente la De Hoop Nature Reserve, che mai dimenticheremo.

Percorriamo a ritroso tutto lo sterrato delle prime ore del mattino, fra belle viste esaltate dalla presenza del sole, e riconquistato l’asfalto puntiamo la prua del Vito decisamente verso nord.

Maciniamo così chilometri a buon ritmo e subito dopo la cittadina di Robertson attraversiamo una vasta regione ricca di vigneti e relative cantine, tutta contornata da scenografiche montagne. Montagne che non ci abbandonano mai e ci accompagnano per l’intero tragitto pomeridiano, fino a superare il Michell’s Pass e giungere nel paesone di Ceres (nulla a che fare con la nota birra), poi lo spettacolare Gydo Pass, contornato da grandiose vedute.

Più avanti affrontiamo anche, con un pizzico di apprensione, l’ardito Middleberg Pass, che si dipana tutto su sterrato nella parte più meridionale della catena montuosa del Cederberg, e poi planiamo sulla località di Citrusdal, dove prendiamo alloggio, nei paraggi, al Piekenierskloof Mountain Resort.

In questo modo ceniamo divinamente e a buon prezzo all’interno della struttura, concludendo un’altra eccezionale giornata.

Giovedì 15 Agosto:

Comincia molto presto per noi il Ferragosto, perché la sveglia suona ancor prima delle 6:00, quando fuori è ancora buio.

Facciamo colazione in camera e poi, mentre albeggia, poco dopo le 7:00, prendiamo il via scendendo dalle alture nelle quali si trova la struttura che ci ospita, verso la cittadina di Citrusdal, che si trova più in basso, nella vallata, ed è completamente invasa dalla nebbia.

Procediamo verso nord sulla strada numero 7, accompagnati da una rigida temperatura esterna, che oscilla fra i quattro e i cinque gradi, fino a giungere ad una deviazione sulla destra per un percorso sterrato, che riporta le indicazioni circa la località di Algeria e sale subito di quota, uscendo dalla nebbia.

Oltrepassato un valico, fra grandiosi panorami, arriviamo proprio ad Algeria e dopo una breve sosta alla réception per registrarci entriamo nella Cederberg Wilderness Area, vasta area protetta (Patrimonio Unesco), che abbraccia l’intero ed omonimo massiccio montuoso.

Proseguiamo poi per altri venticinque chilometri lungo la strada che s’inoltra nel parco. Il nostro obiettivo, infatti, è quello di giungere alla deviazione che porta al parcheggio del Maltese Cross Trail, un percorso escursionistico di media difficoltà che siamo intenzionati a seguire, mentre, per fortuna, cresce un po’ la temperatura.

Le indicazioni non sono però eloquenti e incontriamo qualche difficoltà, così ci rechiamo alla vicina Dwarsriver Farm, dove c’è un’altra réception e dove ci registrano ancora (a dire il vero ad Algeria non lo avevano fatto), quindi ci danno le giuste direttive, e questa volta imbocchiamo la pista giusta, che in realtà avevamo già preso, ma che ci lasciava dei dubbi, vista la presenza di un cancello. Il cancello invece si doveva aprire e poi richiudere, dopodiché una carrareccia di cinque chilometri in discrete condizioni conduce al parcheggio.

A quanto pare siamo gli unici visitatori e, lasciata l’auto in sosta con il solo imbarazzo della scelta, ci avviamo subito lungo il sentiero.

Percorse poche centinaia di metri c’è da attraversare un ponticello formato da due tronchi, poi si comincia a salire, a tratti anche con forti pendenze (ma non come alla Table Mountain) e, contornati da intriganti paesaggi, dopo 3,5 chilometri e un’ora e quarantacinque minuti di cammino, giungiamo al cospetto della Maltese Cross, uno spettacolare pinnacolo di arenaria, alto circa venti metri, modellato dall’erosione in una forma che ricorda vagamente, appunto, una croce. Una formazione rocciosa molto bella, imponente ed inserita in uno splendido contesto, esaltato fra l’altro dall’eccezionale giornata, meteorologicamente parlando, con cielo terso e temperatura perfetta, malgrado il freddo del primo mattino.

L’avventura si completa, dopo la discesa, in circa tre ore e mezzo, così da riguadagnare l’auto giusto, giusto per l’ora di pranzo. Il tempo però vola e subito dopo dobbiamo ripartire con sollecitudine perché si sta facendo tardi.

Scendiamo dal Cedergerg e riconquistato l’asfalto della strada numero 7 procediamo verso nord per venticinque chilometri, fino a giungere allo svincolo dal quale, andando a sinistra, in altri sessanta chilometri arriviamo in riva all’Atlantico nella località di Lambert’s Bay, mentre un poco rassicurante messaggio circa il livello dell’olio (troppo alto…?) si accende più volte nel display del computer di bordo.

Nelle immediate vicinanze del porto di questa cittadina, uno dei pochi della costa occidentale del Sudafrica, si trova la Lambert’s Bay Island Nature Reserve, che raggiungiamo camminando lungo il molo sul quale si abbattono le grandi onde oceaniche. In questa piccola isola di soli tre ettari dimora una nutrita colonia di sule del Capo, non come quella delle loro parenti più prossime di Île-Bonaventure in Canada (vista l’anno scorso) ma comunque ben popolata.

Restiamo per un po’ ad osservare questi splendidi uccelli dagli occhi azzurri nei loro tipici atteggiamenti, tutti ammassati gli uni agli altri, fra assordanti grida, quindi, scattate le dovute foto, ripartiamo nuovamente con un una certa urgenza. In effetti altri 93 chilometri ci dividono dalla prossima meta, e siamo già a pomeriggio inoltrato.

Percorriamo così a ritroso tutto il tragitto fino alla strada numero 7, che poi attraversiamo per proseguire sul lato opposto, di nuovo verso le montagne del Cerderberg, e poco prima delle 17:00 arriviamo all’ingresso del Sevilla Rock Art Trail, un semplice sentiero che porta alla scoperta di alcuni siti di arte rupestre dei boscimani (i san), popolazione che abitava anticamente la zona, databili in un’ampia forchetta di tempo, compresa fra gli 800 e gli 8000 anni fa.

Subito ci dicono che è troppo tardi per intraprendere la passeggiata, ma al mio insistere ci consentono di esplorare i primi sei di nove punti di interesse, disseminati lungo il corso del Brandewyn River, con la promessa di tornare indietro prima che faccia buio.

Osserviamo nei pressi della réception due alberi brulicanti di uccelli tessitori e dei loro incredibili nidi e poi ci avviamo di buona lena lungo il percorso. Così, in poco più di mezzora vediamo i sei siti, ricchi di splendide pitture rupestri dalle calde tonalità, che spiccano sulle chiare rocce autoctone.

Dopo, sulla via del ritorno, perdiamo un po’ la bussola, ma, accodandoci ad un gruppo di francesi, alle 18:00, come previsto, siamo nuovamente alla réception.

A questo punto comincia la corsa verso la destinazione finale della tappa, cercando di evitare, quanto più possibile, l’oscurità.

In questo modo, riconquistata per l’ennesima volta la strada numero 7, intorno alle 19:00 giungiamo in vista della cittadina di Klawier, alla cui periferia ci ferma anche la polizia sudafricana per un controllo, poi, alcuni minuti più tardi, arriviamo all’Oasis Country Lodge, che ci ospiterà per la notte. È una struttura piuttosto datata, ma che assolve a tutto quanto richiesto, compresa la cena e la colazione per domattina, il giusto epilogo di un altro positivo episodio della vacanza.

Venerdì 16 Agosto:

Anche a Klawier, come a Citrusdal, c’è nebbia quando partiamo, dopo una ricca colazione consumata in hotel.

Quella odierna sarà una giornata piuttosto impegnativa, con parecchia distanza da percorrere, che andiamo ad iniziare con la prua rivolta a nord lungo la strada numero 7, accompagnati per diverse decine di chilometri, appunto, dalla nebbia, a tratti anche fitta, tanto che a volte ci sembra di vedere l’uscita per Occhiobello… poi si dissolve ed esce fuori il sole.

Maciniamo grandi distanze (oltre duecento chilometri, lasciando la regione del Western Cape per entrare in quella del Northern Cape), con l’avvoltoio sulla spalliera di quella spia dell’olio che ogni tanto si accende, fino alla sperduta località di Kameskroon, dove usciamo dalla strada principale per seguire lo sterrato che porta al Namaqua National Park.

Questo grande parco nazionale, che si estende fin sulle rive dell’Oceano Atlantico, in un ambiente semidesertico, va famoso soprattutto per quella che viene chiamata “The blooming spectacular Namaqualand wild flowers”, una eccezionale fioritura che si manifesta ogni anno fra la metà di agosto e fine settembre… noi siamo quindi agli albori della stagione, ma vale la pena tentare, sperando in una certa precocità dell’evento.

Dopo circa 15 chilometri di pista arriviamo al gate dell’area protetta, mentre qua e là si nota già qualche macchia floreale. Così facendo ci inoltriamo nella sezione di Skilpard, l’unica del parco visitabile senza l’ausilio di un 4×4 (ma per noi può bastare) e strada facendo le lande ai nostri lati si ravvivano sempre di più, di un arancio acceso, fino a giungere al centro visitatori, letteralmente immerso in una esplosione di colore.

Per godere appieno dello spettacolo seguiamo prima il loop destinato alle auto e poi una parte del trekking che si addentra nell’incredibile tappeto floreale, lasciando in noi emozioni difficilmente descrivibili.

Ci gustiamo il luogo quanto più possibile e poi, seguendo a ritroso tutto lo sterrato fino a Kamieskroon, torniamo a seguire la strada numero 7 verso nord.

Intorno a mezzogiorno arriviamo così nella cittadina di Springbok e da lì ci avviamo verso la vicina Goegap Nature Reserve, una piccola riserva sulla quale non avevo tante informazioni.

Varchiamo il gate e una volta giunti al centro visitatori pranziamo con i nostri panini, poi visitiamo brevemente la collezione di piante succulenti dell’Hester Malan Wildflowers Garden, con alcuni begli esemplari di alberi faretra, una specie di aloe diffusa fra il Sudafrica e la Namibia, tipici delle zone desertiche.

Ci avviamo quindi lungo un loop sterrato, che si inoltra nel selvaggio paesaggio circostante, dove si manifesta solitamente una fioritura simile a quella del Namaqua National Park, ma qui evidentemente la stagione è più indietro, allora dobbiamo accontentarci di qualche intrigante veduta e dell’avvistamento in lontananza di una sola antilope.

Alla fine, poco dopo le 14:00, siamo già pronti a riprendere l’itinerario verso il termine della tappa, che è ancora molto distante. Prendiamo così a macinar chilometri verso est lungo la strada numero 14, che avanza fra vastissimi panorami nel deserto sudafricano ai confini con la Namibia (di tanto in tanto assillati da quella maledetta spia).

Il percorso si fa a tratti sconcertante per la sua monotonia, ma proprio per questo terribilmente affascinante, con interminabili rettilinei fra due ali di terre giallastre e l’azzurro del cielo… sempre diritto. Deviamo solo per raggiungere il remoto villaggio di Pella, a pochissimi chilometri dalla Namibia, caratterizzato da una chiesa risalente al 1895, poi riprendiamo la strada, che è ancor più rettilinea… fino alla successiva deviazione, in corrispondenza del fiume Orange, per la località di Augrabies e l’Augrabies Falls Lodge, che ci ospiterà per la notte.

Lì ceniamo molto bene e ad una cifra irrisoria all’interno della struttura e poi andiamo a riposare, al termine di una bella ma faticosa giornata.

Sabato 17 Agosto:

All’inizio della seconda settimana di viaggio ci svegliamo nel cuore della regione desertica all’estremo nord-ovest del Sudafrica, mentre un presunto meccanico ci tranquillizza sulla temuta spia dell’olio.

La meta odierna è il vicino Augrabies Falls National Park, rilevante parco istituito nel 1966 lungo il corso del fiume Orange, uno dei più importanti dell’Africa meridionale, con i suoi 2200 chilometri di lunghezza, che in questo punto forma delle impetuose cascate ed una impressionante gola profonda 240 metri. La riserva si estende però in un’area ben più vasta, all’interno della quale si potrebbero incontrare anche diversi animali selvatici, ma non i grandi predatori.

Facciamo colazione nel lodge e poco dopo le 8:00 siamo pronti a varcare il gate del parco, situato a soli due chilometri di distanza. Successivamente facciamo tappa alla réception, dove ci registriamo, prima di avviarci lungo la pista che si sviluppa nella zona più occidentale della riserva.

Subito affrontiamo alcuni semplici guadi e poi avvistiamo diverse specie di antilopi, a cominciare dal piccolo klipspringer, quindi un bellissimo kudu maggiore, dalle imponenti corna ricurve, e tanti agili springbok, che, timorosi, fuggono fra splendidi alberi faretra, a volte invasi dagli smisurati nidi degli uccelli tessitori sociali.

Pian piano arriviamo poi ad una biforcazione, dove il percorso diventa un loop a senso unico, piuttosto lungo (ma con possibili tagli), che richiede un certa dose di pazienza.

In questo modo, dopo cinquanta chilometri dall’imbocco e circa due ore di guida, cominciamo a tornare verso il centro visitatori… ma il bello deve ancora venire. All’uscita di una curva si presenta infatti al nostro cospetto una bella giraffa (la nostra prima giraffa!) e poco più avanti ne vediamo altre cinque, inframmezzate da uno splendido gemsbok, un’altra antilope, simile al bontebok, ma dalle corna più irte ed il muso che ne è praticamente il negativo in fatto di colorazione.

Completato il loop giriamo a sinistra verso il primo dei punti panoramici sul canyon dell’Augrabies e così facendo, a sorpresa, davanti a noi si parano due magnifiche zebre di Hartmann’s, una rara specie considerata quasi a rischio estinzione… bingo! Con questo abbiamo infatti visto quasi tutti i più rappresentativi animali del parco.

Dopo giungiamo all’Overlook di Echo Corner… bello, ma con una visuale non troppo ampia, così, tornati quasi subito al tracciato principale imbocchiamo anche la deviazione per il punto panoramico di Oranjekom. Questo invece è spettacolare, ubicato com’è su di un terrazzamento naturale a picco sul canyon. Lì c’è anche una piccola area attrezzata e ne approfittiamo per pranzare.

Alla ripartenza completiamo la serie di overlook con il più noto, quello di Ararat, dal quale si può osservare la prorompente bellezza del canyon in un bel tratto dei suoi ben 18 chilometri di lunghezza.

Più avanti un’altra piccola deviazione ci porta al curioso sito di Moon Rock, dove una granitica collina assume le sembianze, appunto, di un ipotetico paesaggio lunare, infine rientriamo alla zona della réception e del centro visitatori, dove parcheggiamo l’auto per andare a vedere le famose cascate che danno il nome al parco.

Non è certo la stagione migliore quella attuale per la portata dell’acqua, ma è comunque spettacolare il salto di 56 metri del fiume Orange, che si getta con fragore dall’altopiano all’interno del canyon, in questo punto particolarmente stretto e profondo.

Seguiamo così tutte le passerelle attrezzate che portano alla scoperta dei punti più suggestivi, notando qua e là anche qualche esemplare di lucertola di Broadley, una specie endemica i cui maschi presentano una stupefacente e vivace colorazione, che va dal blu scuro della gola, al giallo degli arti anteriori e arancione di quelli posteriori, e in questo modo completiamo la visita.

Ora però, nonostante i trenta gradi, siamo intenzionati a fare anche un breve trekking e, dopo esserci segnati alla réception nell’apposito registro, ci avviamo lungo il Gorge Trail, un facile sentiero che in poco più di un chilometro porta allo spettacolare Arrow’s Point, laddove una biforcazione del canyon forma un grande sperone roccioso.

Dalla sommità l’impressione è quella di trovarsi sulla prua di una smisurata nave che si appresta ad entrare nella gola, con in più, sulla sinistra, la sublime veduta delle Twin Falls, un bel doppio salto formato da un ramo secondario dell’Orange River… Quest’ultima cascata, inserita in uno straordinario contesto, ci ha forse stupito oltremodo, rispetto alla più nota sorella.

Riconquistata l’auto, ormai nel tardo pomeriggio, si è fatta l’ora di lasciare il favoloso Augrabies Falls National Park e anche senza troppi indugi, perché circa 120 chilometri ci dividono ancora dalla sede di tappa, che è la città di Upington, la più importante della regione.

Giunti a destinazione prendiamo alloggio alla Tarentaalrand Guest House (molto carina ed accogliente) e per cena ci rechiamo, in un vicino centro commerciale, ad un locale della catena Ocean Basket, sulla quale avevo ottime referenze… confermate. Poi andiamo subito a riposare, in previsione del prossimo, intensissimo, capitolo del viaggio.

Domenica 18 Agosto:

Prende quindi il via oggi la tappa più lunga dell’itinerario, quasi di solo trasferimento, dai confini con la Namibia, attraverso le zone più interne e desolate del Sudafrica, fino a rasentare la frontiera con il Lesotho, piccola e povera enclave monarchica che non attraverseremo… “solo” 860 chilometri di strada presumibilmente scorrevole.

Impostato il navigatore mi fido troppo, forse erroneamente, di lui, che mi propone un percorso più corto di 15 chilometri rispetto a quello previsto. Infatti, ad un certo punto, ci fa fare uno sterrato decisamente fuori programma, ma nulla di proibitivo.

Dopo quasi quattrocento chilometri arriviamo così al primo punto di un certo interesse della giornata, ovvero il sito di Wildebeest Kuil.

Su di una piccola collina, a breve distanza dalla strada, si trovano numerose immagini di arte rupestre boscimane, realizzate con la tecnica del “pecked”, cioè scolpite sulla roccia con una pietra più dura, mettendo in risalto il colore più chiaro sottostante, che risalgono ad un periodo compreso fra qualche centinaio e quasi duemila anni fa.

Le numerose e suggestive figure sono visitabili tramite una passerella in legno e meriterebbero forse maggior considerazione, visto l’aspetto piuttosto trasandato del luogo.

Ripresa strada da Wildebeest Kuil, che speriamo possa risollevarsi dal suo stato di semiabbandono, ci spostiamo alla vicinissima città di Kimberley, capoluogo del Capo Settentrionale e indiscussa capitale del diamante sudafricano. Qui, infatti, è nata la De Beers (nel 1888) e lo slogan “Un diamante è per sempre”.

Tralasciando altri aspetti storici di Kimberley andiamo diritto a parcheggiare nei pressi di Big Hole, la vecchia e originaria miniera De Beers. Paghiamo il biglietto d’ingresso e saliamo sulla struttura metallica che si affaccia sulla grande voragine a cielo aperto, considerato il più ampio scavo al mondo effettuato con la sola forza delle braccia umane: profondo 215 metri e con un diametro di 240… impressionante!

In seguito visitiamo anche il villaggio circostante, che è una parziale ricostruzione (anche con il recupero di edifici originali) dell’insediamento di Kimberley nel 1880, a tratti anche molto interessante, poi dopo un essenziale pranzo al sacco riprendiamo strada con sollecitudine, perché non siamo neanche a metà percorso.

Andiamo ad est lungo la strada numero 8, lasciando quasi subito la provincia del Capo Settentrionale per entrare in quella del Free State e, oltrepassato il capoluogo Bloemfontein, arriviamo nei pressi della frontiera con il Lesotho, che si intravvede in lontananza.

Seguiamo poi la strada chiamata Maloti Drakenberg, che corre parallela al confine fra i due stati per quasi 150 chilometri, con seducenti scenari di alture che ricordano, molto vagamente, gli spettacolari butte della Monument Valley americana e infine giungiamo, quasi al tramonto, nella località di Clarens, al fresco delle alte vette circostanti.

Lì prendiamo alloggio alla Golden View Oak on Church, una magnifica intera casa tutta per noi, della quale prendiamo possesso senza neanche incontrare i proprietari, solo con un codice di accesso, poi usciamo a cena nei paraggi al Clementin Restaurant, mangiando bene, come sempre, e a buon prezzo.

Lunedì 19 Agosto:

È frizzante la sveglia ai quasi duemila metri di altezza di Clarens, da dove partiamo, subito dopo colazione, per il vicino Golden Gate Highlands National Park, istituito nel 1963 per proteggere un’ampia e spettacolare area montuosa, che un tempo fu rifugio delle popolazioni boscimani.

Varchiamo il gate e, passando ai piedi della Brandwag Bottres, la formazione rocciosa simbolo del parco, arriviamo alla réception, dove ci registrano (e per fortuna siamo gli unici, perché impiegano una vita), poi ci avviamo lungo il Blesbok Loop, un itinerario a senso unico (su asfalto) di circa sette chilometri che si dipana sulle alture circostanti.

Il percorso ci permette di assaporare belle viste su di un paesaggio arido, a causa della stagione secca, e fare conoscenza di alcune antilopi, oltre allo gnu nero e la zebra di Burchell, una sottospecie della zebra di pianura.

Riconquistata la strada principale seguiamo anche l’Oribi Loop, simile al suo predecessore, ma forse meno spettacolare e con una fauna più ridotta. Nel frattempo, però, il sole è salito alto in cielo e adesso inonda di luce l’intera vallata, così torniamo alla réception e, parcheggiata l’auto, ci apprestiamo a seguire il Brandwag Trail.

Il sentiero sale gradualmente, fra stupendi panorami, fin sulla rupe più rappresentativa del parco e, scattate le dovute foto del caso, dopo circa un’ora e trenta di facile trekking facciamo rientro al nostro fedele automezzo.

Ripreso l’itinerario attraverso il Golden Gate Highlands National Park, dopo una ventina di chilometri, arriviamo alla deviazione sulla destra che porta al Basotho Cultural Village, l’interessante ricostruzione di un tradizionale villaggio basotho, fiera popolazione del vicino Lesotho.

Lungo una breve passeggiata osserviamo così i diversi tipi di abitazione, sempre molto colorati, adottati da questa etnia a partire dal XVI secolo, fino ai giorni nostri, facendoci una sommaria idea della loro evoluzione.

Dopo questa piacevole esperienza lasciamo il parco verso est fra altri notevoli scenari, quindi fiancheggiamo il vasto lago originato dalla Sterkfontein Dam, con la vista che spazia in lontananza, nell’odierna foschia, sulla catena montuosa del Drakenberg ed i suoi picchi che superano i tremila metri di altezza per dividere il Sudafrica dal Lesotho. Lasciamo poi la provincia del Free State ed entriamo in quella del Kwazulu-Natal, per giungere, poco prima delle 13:00, all’ingresso della Spioenkop Nature Reserve.

Questa modesta riserva, istituita intorno al lago formato dall’omonima diga, si trova proprio sulla nostra rotta e, offrendo la possibilità di osservare un po’ di fauna selvatica, decidiamo dei dedicargli un tantino del nostro tempo.

Varchiamo il gate di ingresso al sito e subito ci rechiamo nella rest-area, sulle rive del lago, per pranzare, quindi affrontiamo le poche strade sterrate praticabili alla ricerca di animali e, a parte qualche antilope, all’inizio è una piccola delusione, poi seguendo l’ultimo loop in parte rimediamo, collezionando la vista di tante zebre, ma non le sperate giraffe.

Lasciamo la Spioenkop Nature Reserve con sollecitudine poco dopo le 14:00, perché ci attendono ancora tanti chilometri per giungere al termine della tappa.

Attraversiamo ora quella vasta regione che un tempo fu il regno della nobile popolazione zulù, scontratasi sul finire dell’Ottocento con l’esercito inglese (la cosiddetta guerra anglo-zulù). Queste ostilità diedero luogo a sanguinose battaglie, ricordate con numerosi siti commemorativi, che spesso ci capita di incontrare lungo il percorso… Ne prendiamo atto, ma non li visitiamo. Notiamo però che la povera popolazione locale vive tutt’ora, spesso, in semplici tukul dal tetto di paglia.

Dopo un’altra impegnativa tappa, compreso un passo montano tutto su strada bianca, giungiamo, passate da poco le 18:00 e col buio ormai completo, nei pressi della città di Ulundi (antica capitale zulù) all’Uzumi Ondini Guest House, una sorta di villaggio tutto fatto di moderni tukul, in due dei quali prendiamo alloggio. Lì, più tardi, ceniamo sotto ad un grande albero e ad una magnifica stellata, di fianco ad un focolare acceso… una bella esperienza, allietata anche dall’inebriante distillato di marula, un frutto selvatico tipico della zona, che così impariamo a conoscere.

Martedì 20 Agosto:

Primo giorno del viaggio dedicato alle grandi riserve sudafricane… infatti, per l’emozione, appena suona la sveglia, alle 5:30, in pochissimo tempo il piccolo Leo è già vestito e pronto a partire.

Non c’è tempo per consumare la colazione, compresa nel prezzo della stanza, così ci facciamo consegnare i cestini e alle 6:30 siamo già per strada, a macinar chilometri verso il Cengeni Gate, l’ingresso più meridionale dell’Hluhluwe-Imfolozi Park.

Nella più antica riserva del continente africano (istituita nel 1895), sono presenti tutti i cosiddetti big five (elefante, leone, leopardo, rinoceronte e bufalo), ma sono difficili da vedere, in compenso all’interno del parco è presente la più grande popolazione di rinoceronte bianco al mondo, con oltre 1600 esemplari.

Percorsi una trentina di chilometri, intorno alle 7:00, varchiamo finalmente il gate, dove ci registrano e ci fanno un sacco di domande, compresa quella se abbiamo armi da fuoco, che un po’ ci stupisce, ma che forse non è completamente fuori luogo, visti i numerosi episodi di bracconaggio che si verificano.

Subito dopo ci fermiamo a fare una veloce colazione e poi ci avventuriamo lungo le strade sterrate del parco, nella zona a sud, quindi in quella di Imfolozi.

Inizialmente non vediamo grandi cose, solo qualche impala (un’antilope molto diffusa), poi ci affacciamo su di un’ansa del fiume Witmofolozi e, tornando sui nostri passi, ci avviamo verso il cuore del parco. In questo modo avvistiamo con immenso stupore, in lontananza, prima un rinoceronte, poi un elefante e un altro ancora.

Passiamo da Mpafa Hide, ma la cascata e la relativa pozza sono completamente secche… peccato. Ciò non ci impedisce di vedere, poche centina di metri più avanti, due splendidi rinoceronti bianchi proprio a bordo strada, con tanto di bufaghe, degli uccellini passeriformi che stazionano quasi costantemente, per simbiosi, sul dorso dei grandi mammiferi.

Seguendo la pista poco dopo incrociamo uno gnu e due bellissime giraffe, oltre ad alcune zebre… dobbiamo però prendere atto che, causa la siccità, le pozze sono quasi tutte in secca.

Successivamente imbocchiamo il Sontuli Loop, inoltrandoci nella zona del parco dove si potrebbero vedere anche i leoni, ma, soprattutto, i rari wild dogs, però non siamo fortunati. Allora ci affacciamo dall’alto sul corso del fiume Black Mfolozi, avvistando poco dopo alcuni facoceri e due bufali fra la sterpaglia.

Gli incontri si fanno poi sempre più radi, anche perché l’importante zona umida di Ubhejane Hide è completamente asciutta. In questo modo riguadagniamo la strada asfaltata che si dipana nella parte centro settentrionale del parco per giungere, poco dopo mezzogiorno, nell’area del Centenary Centre, dove ci fermiamo a pranzare, con il barrito di alcuni elefanti in lontananza.

A pancia piena riprendiamo poi l’itinerario e passando sotto alla strada R618, che divide praticamente a metà il parco, ci inoltriamo nella sua parte settentrionale, ovvero in quella di Hluhluwe.

Prima su asfalto e dopo seguendo una deviazione su sterrato alla nostra sinistra, che porta al Seme Lookout, partiamo alla grande, avvistando un bel gruppo di giraffe proprio di fianco alla carreggiata, poi alcune magnifiche zebre con tanto di cucciolo, un rinoceronte che fa la pennichella e un elefante in lontananza, quindi lungo il Mansiya Nzimane Loop altre zebre che invadono la sede stradale ed un piccolo coccodrillo sulle rive di un torrente quasi in secca.

Fra magnifici panorami, in seguito, imbocchiamo la pista che va a nord costeggiando il fiume Hluhluwe, pieni di aspettative, ma qui non facciamo importanti avvistamenti, solo qualche antilope e due belle tartarughe in uno stagno.

Riguadagnata così la strada principale, asfaltata, torniamo con sollecitudine verso sud e l’uscita del parco, perché si sta facendo tardi. Ciò non ci impedisce di vedere ancora una bella mamma rinoceronte con piccolo, un folto gruppo di babbuini ed un branco di giraffe, ormai nella calda luce del tardo pomeriggio.

Usciamo estremamente soddisfatti dall’Hluhluwe-Imfolozi Park poco dopo le 17:00 e subito ci precipitiamo verso il termine della tappa. In questo modo scendiamo in direzione del mare, mentre il sole corre inesorabile contro la linea dell’orizzonte, e arriviamo nella località di St. Lucia col buio già completo.

Prendiamo alloggio a The Bridge Unit 30, una sorta di condominio con appartamenti in affitto, quindi usciamo a cena nelle vicinanze, da Alfredo’s, un bel locale gestito da un romano nato in Sudafrica, col quale scambiamo quatto piacevoli chiacchiere, assaporando fra l’altro buona carne di impala, della quale va fiero.

La giornata però non è ancora finita, St. Lucia infatti va famosa per gli ippopotami, che a volte, di notte, si possono vedere mentre vagano nel villaggio, così, quasi per scherzo, dopo cena facciamo un giro nei paraggi e lungo la via principale ne incontriamo uno che sta tranquillamente brucando l’erba! … È sempre più incredibile ed emozionante questo paese, che ogni giorno sa riservarci sorprese grazie alla strabiliante ricchezza della sua natura.

Mercoledì 21 Agosto:

Sveglia presto e già pronti alle 7:00 sul vicino molo, presso il ponte che scavalca il fiume emissario del St. Lucia Lake, per prendere parte alla Hippo & Croc Boat Cruise, prenotata fin da casa.

Poco più tardi salpiamo, in compagnia di un’altra decina di persone, a bordo di una sorta di chiatta, alla ricerca soprattutto di ippopotami, per i quali la zona va famosa, ma anche di coccodrilli.

Per avvistare i primi non dobbiamo impegnarci troppo, perché già si notavano in lontananza dal pontile e, naturalmente, dalla barca si vedono meglio… molto meglio!

Navighiamo così lungo il corso d’acqua per circa novanta minuti, osservando, spesso molto da vicino, tanti irascibili ippopotami, che litigano ripetutamente fra di loro e che, in certe situazioni, risultano fra i più pericolosi animali selvatici anche per l’uomo… Un’esperienza incredibile, che difficilmente dimenticheremo!

Lungo il tragitto scorgiamo anche qualche coccodrillo, che poi osserviamo meglio, quasi al termine dell’escursione, in un canale laterale.

Sbarcati al punto di partenza, poco dopo le 9:00, torniamo alla Unit 30 a recuperare le valigie e poi partiamo per l’odierna tappa su strada.

Andiamo a nord di St. Lucia e percorsi alcuni chilometri entriamo nell’iSimangaliso Wetland Park, la terza più grande area protetta del Sudafrica, alla quale in verità appartiene anche la zona degli ippopotami esplorata in mattinata. Fu istituita, in vari step, a partire dal 1895 e nel 1999 venne dichiarata anche Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, con una manifestazione alla quale prese parte anche Nelson Mandela.

iSimangaliso in lingua zulù significa “una meraviglia”… e con questi presupposti varchiamo il Bhangazi Gate per inoltrarci nella Eastern Shore, ovvero la sezione più orientale del parco, che si sviluppa fra il Lake St. Lucia e l’Oceano Indiano. Qui si trovano tutti i più famosi animali africani, ma non i predatori, ad eccezione del raro leopardo.

Cominciamo a seguire la strada principale, asfaltata, e da lì imbocchiamo, uno dopo l’altro, tutti i loop laterali, su percorso sterrato. In questo modo ci rendiamo presto conto che il parco è sì molto verde ed ha, in alcuni punti, una fitta vegetazione, ma gli animali di certo non abbondano. Ciò nonostante vediamo qualche antilope e alcune simpatiche scimmiette, prima di affacciarci sull’oceano a Mission Rock, dove, di poco al largo, notiamo sbuffare una inconfondibile balena.

Successivamente, affrontando alcune piste secondarie ci imbattiamo in due bei rinoceronti ed un elegante kudu, quindi, dopo aver toccato le rive del St. Lucia Lake a Catalina Bay, ci affacciamo nuovamente sull’oceano nell’immensa spiaggia di Cape Vidal, dove ci fermiamo per goderci una passeggiata sulla soffice e chiara sabbia che la caratterizza.

In questo splendido e selvaggio luogo vorremmo far sosta per pranzare, ma la presenza nei paraggi di tante vivaci scimmiette in agguato ci sconsiglia di farlo, così consumiamo i nostri panini poco più tardi lungo il Grassland Loop, che si inoltra, fra immense brughiere, nelle zone più aperte della riserva.

Qui, nel primo pomeriggio, avvistiamo delle splendide zebre e alcuni bufali, prima di riguadagnare la strada principale e uscire da questa sezione del parco intorno alle 14:00.

Tornati nel centro di St. Lucia ne approfittiamo per fare rifornimento e poco dopo, scavalcato il fiume verso l’interno, superiamo il Dukuduku Gate per entrare (dopo aver pagato nuovamente l’ingresso) nel Western Shore dell’iSimangaliso Wetland Park, che si sviluppa ad occidente del St. Lucia Lake.

Anche in questa zona del parco (ancor più che in quella precedente) gli animali non abbondano e comunque, oltre ai soliti erbivori, vediamo un bel branco di giraffe (certo che stiamo diventando esigenti!), poi seguiamo l’Umthoma Aerial Boardwalk, un percorso che culmina con una passerella fra gli alberi, e, passati da un’importante pozza, purtroppo secca, arriviamo nuovamente fin sulle rive del St. Lucia Lake a Charters Creek, prima di uscire definitivamente dal parco attraverso il Nhlozi Gate verso ovest.

In questo modo guadagniamo la strada numero 2, pedinando la quale, per circa ottanta chilometri vero nord, giungiamo, intorno alle 18:00 e praticamente al buio, nella località di Mkuze, dove brighiamo un po’, ma alla fine troviamo il Biweda Ngoni B&B che ci ospiterà per la notte.

Ceniamo, non tanto bene, nel vicino Country Club e poi, soddisfatti degli eventi, andiamo presto a dormire, in previsione della prima di una bella serie di levatacce nei prossimi giorni.

Giovedì 22 Agosto:

La sveglia suona alle 5:00… Così, dopo una striminzita colazione in camera partiamo dal Biweda B&B verso l’eMshophi Gate dell’uMkhuze Game Reserve, che dista una ventina di chilometri.

Questa riserva, nella quale in teoria si potrebbero vedere tutti i big five, è stata creata nel 1912 ed oggi costituisce la sezione nord-occidentale dell’iSimangaliso Wetland Park.

Già prima delle 7:00 siamo dentro al parco e subito incontriamo tre belle giraffe, poi uno gnu lungo la strada sterrata che giunge alla pozza di kwaMalibala, che però è completamente secca, quindi deserta.

Proseguiamo allora sulla via principale per poi imboccare quella secondaria che conduce ad un’altra pozza, quella di kuMahlala, ma anche questa è senz’acqua.

Continuiamo quindi sul nastro d’asfalto che va verso il settore est del parco, lungo il quale notiamo montagne di escrementi, ma non i colpevoli, purtroppo.

Arriviamo così al punto di osservazione sul vasto lago Nsumo, formato dall’Mkuze River, ma qui, oltre a qualche uccello, dobbiamo accontentarci solo dei versi di alcuni ippopotami in lontananza.

Ripartiamo, non troppo entusiasti, verso la zona meridionale della riserva, in gran parte bruciata dagli incendi controllati, una pratica molto diffusa e ritenuta utile per il buon funzionamento dell’ecosistema in Sudafrica, e qui invece vediamo giraffe, zebre e gnu, oltre ad un superbo rapace, probabilmente un’aquila.

Tornando con sollecitudine verso l’uscita del parco ci fermiamo poi, senza troppe aspettative, anche alla pozza di kuMasinga, che ci saremmo aspettati secca, come tutte le altre… niente di più sbagliato, perché invece c’è ancora tanta acqua e le sue rive sono più vive che mai!

Ci appostiamo nel punto di osservazione, restando quanto più possibile in silenzio, e ci godiamo letteralmente questo piccolo paradiso terrestre, che da solo vale l’intera mattinata… Uno dopo l’altro arrivano infatti ad abbeverarsi le più svariate specie di animali, dalle antilopi agli gnu, dalle zebre ai facoceri e poi le scimmie, ma anche tanti volatili dai colori sgargianti… una indescrivibile esperienza (a sorpresa) che ci ha riempito di gioia interiore. In questo modo però si fa tardi e dopo ci precipitiamo verso l’uscita del parco.

Torniamo a Mkuze, dove facciamo spesa prima di riprendere il nostro itinerario verso nord sulla strada numero 2. Così facendo, dopo meno di un’ora, giungiamo al confine con lo Swaziland e lì ci apprestiamo a superare il border post di Golela.

È una dogana africana, per cui serve armarsi di pazienza… e in circa mezzora, dopo un’infinità di timbri, entriamo finalmente nel piccolo e povero regno di eSwatini, come il suo sovrano (Mswati III) ha deciso di chiamarlo da un anno a questa parte.

Ad esclusione di qualche riserva privata di caccia non ci sono però in questo stato particolari punti di interesse, quindi, dovendo attraversarlo nel minor tempo possibile, ci lanciamo spediti lungo le sue strade. In questo modo, dopo una manciata di chilometri, restiamo inevitabilmente vittime di un locale laser-autovelox… Novanta chilometri orari laddove il limite è di sessanta… epperò! … Sessanta inesorabili Rand di multa, l’equivalente di ben quattro euro, da pagare immediatamente! … Però, vista la cifra, è quasi un piacere, e a costo di far la collezione di multe riparto subito, senza remore!

Poco più avanti ci fermiamo a pranzare ai bordi della carreggiata, quindi, causa lavori, affrontiamo anche un lungo tratto di sterrato e riguadagniamo il confine con il Sudafrica alla dogana di Mananga.

Questa volta le procedure sono più snelle ed in breve rientriamo nella Nazione Arcobaleno, lungo le strade appartenenti alla provincia del Mpumalanga. Ci fermiamo a far spesa e rifornimento nel paese di Sibayeni e subito ripartiamo perché il tempo è tiranno.

In tal modo sfioriamo la frontiera con il Mozambico, nella località di Komatipoort, e da lì ci avviamo verso il gate di Crocodile Bridge del celeberrimo Kruger National Park, primo parco nazionale sudafricano, istituito nel 1926, a partire dall’originaria riserva risalente al 1902, che nel tempo si estese gradualmente. Oggi il parco ha una superficie di quasi ventimila chilometri quadrati, poco meno dell’intera Lombardia, ed è Riserva Internazionale dell’uomo e della biosfera sotto l’egida dell’Unesco.

Arriviamo sul posto poco dopo le 16:30, giusto in tempo per espletare le formalità d’ingresso e puntare verso il camp di Lower Sabie, dove alloggeremo questa notte.

Appena entrati in questo mitico parco facciamo tantissimi avvistamenti, a partire dagli elefanti, ma anche zebre, gnu, giraffe e i più svariati ungulati, poi con le calde luci del tramonto giungiamo in vista del camp.

Prima di varcare il cancello, però, andiamo alla vicina Sunset Dam, un bacino lacustre dove, fra i riflessi dorati delle sue acque, notiamo coccodrilli e ippopotami, anche sovrastati da impavidi trampolieri, e tanti altri uccelli, fra i quali alcune cicogne della specie dal becco giallo… un’altra eccezionale esperienza.

Entriamo poi nel camp e prendiamo possesso dei nostri bungalow, quindi andiamo a cena nel ristorante sulla terrazza che sovrasta il fiume Sabie… tutto intorno, nella notte africana, si odono tanti versi, a volte anche inquietanti, mentre troneggia su di noi un magnifico cielo stellato, nel quale si distingue anche la Via Lattea… una sensazione, a dir poco, emozionante! … Ed è solo l’inizio, crediamo, del magico Kruger National Park…

Venerdì 23 Agosto:

Oggi è il primo vero e proprio giorno all’interno del Kruger National Park e vogliamo iniziare, dopo una inevitabile levataccia che ci fa lasciare il camp poco dopo le 6:00, esattamente da dove eravamo rimasti ieri sera al tramonto, ovvero dalla Sunset Dam, anche questa mattina brulicante di vita.

Ci avviamo poi lungo il percorso studiato preventivamente attraverso il parco, imboccando la pista S28 verso sud, attorniati da qualche mattutino banco di nebbia, che non ci impedisce di fare subito il primo importante incontro: due splendidi leoni, appostati sul ciglio della strada, che si dileguano presto nel brumoso paesaggio circostante.

Arriviamo così al punto di osservazione di Nthahdanyathi Hide, affacciato su di un piccolo corso d’acqua, dove vediamo un bell’esemplare di cicogna dal becco a sella, che risalta per i suoi sgargianti colori, e più in lontananza, appollaiata su di un ramo, un’elegante aquila pescatrice.

Ripresa strada, subito dopo, facciamo un altro eccezionale avvistamento: a pochi metri di distanza dalla nostra auto scorrazzano, infatti, una mamma leopardo ed il suo cucciolo, che ci fermiamo a contemplare fin quando non si dileguano entrambi fra la vegetazione.

Riguadagnato l’asfalto della strada H4-2 ci avviamo poi verso la parte sud-occidentale del parco lungo le piste H5 ed S26, dove incontriamo, in successione, gruppi di giraffe, zebre ed elefanti, anzi, ad un certo punto ci troviamo nel bel mezzo di un branco di pachidermi… poi di nuovo zebre e ancora elefanti… Sono da poco passate le 9:00 e abbiamo già visto una quantità impressionante di animali!

In seguito la strada sterrata S114 ci fa giungere all’incrocio con il nastro d’asfalto della H1-1, da dove, andando a sinistra arriviamo prima al bel punto panoramico di Mathekeyane, quindi, dopo altri avvistamenti ormai di routine, alla breve deviazione per la Transport Dam, un piccolo specchio d’acqua dove ci sono ad abbeverarsi una quantità impressionante di gnu ed impala. A breve distanza poi, all’ombra di alcuni cespugli, tre magnifiche leonesse… fantastico!

Alla successiva pozza, quella di Nwaswitshaka, c’è invece un curioso ippopotamo sul cui dorso si contano almeno quattordici tartarughe e negli arbusti circostanti centinaia di piccoli uccelli che si spostano a sciami, continuamente ed in modo quasi nevrotico.

Subito dopo, lungo il tragitto, ancora diversi elefanti, prima di approdare al punto di osservazione di Lake Panic Bird Hide dove, in un paesaggio incantato, si possono scorgere tanti uccelli e tartarughe, oltre ad un enorme coccodrillo, mentre in una pozza adiacente tre elefanti provvedono a cospargersi di fango.

Al termine di quest’ultima esperienza entriamo nel vicino camp di Skukuza, il più grande del parco, e lì andiamo a pranzare in un’apposita area, dove Leonardo si mette a piangere per lo spavento quando una scimmietta gli ruba dalle mani un pezzetto del suo prezioso panino.

Alla ripresa delle “ostilità” con il Kruger ripartiamo alla grande, con una impressionante sfilata di elefanti che ci attraversano al strada, poi, scavalcato il fiume Sabie, ci avventuriamo più a nord, in una zona prevalentemente più arida, viste le pozze tutte in secca, con gli animali che progressivamente spariscono alla nostra vista.

Passiamo dal memoriale dedicato a Paul Kruger, leader boero a cui il parco fu dedicato come gesto di riconciliazione da parte dell’amministrazione britannica nel 1926, e pochi chilometri più avanti saliamo anche al punto panoramico di Mkumbe, alla sommità di una delle rare colline della zona, per immortalare la vastità della savana dall’alto.

Al punto di osservazione della Orpen Dam, uno sbarramento lungo il corso dello Nwaswitsontso River, in uno splendido scenario naturale, torniamo poi a fare qualche avvistamento. Quindi, seguendo il corso del fiume verso nord, incontriamo un folto branco di gnu, ma anche elefanti e tante giraffe, infine seguendo un breve deviazione andiamo a vedere il baobab più a sud del parco, una pianta colossale e affascinante.

Intorno alle 17:30 facciamo il nostro ingresso nel Satara Rest Camp, uno dei più noti del Kruger, che ci ospiterà per la notte, ma la giornata non è affatto finita, perché ci attende un safari notturno, che prenderà il via dalla réception alle ore 20:00.

Con sollecitudine andiamo a cena nel ristorante del camp e poco prima dell’orario previsto ci presentiamo al via del tour… Saliamo così a bordo di un grosso mezzo fuoristrada scoperto e con quello ci avventuriamo al buio e al freddo della notte sudafricana.

Durante le due ore dell’escursione vediamo alcune iene, uno sciacallo, un porcospino, alcune genette (piccoli felini dalla lunga coda), un branco di zebre ed un elefante… bene, ma non benissimo, perché ci aspettavamo qualcosa di più.

Alla fine ci ritiriamo in camera, sfiniti dopo una lunghissima ma indimenticabile giornata, consumata nell’affascinante natura del Kruger National Park.

Sabato 24 Agosto:

Dormito bene nel Satara Rest Camp, ma troppo poco, solo dalle 23:00 alle 5:00, ma non abbiamo alternative, del resto non possiamo proprio lasciarci sfuggire le occasioni che ci propone questo magico luogo.

Trascorse così due settimane dall’inizio della vacanza ci svegliamo ancora nel Kruger National Park e dopo una veloce colazione partiamo per una nuova giornata di avvistamenti.

Andiamo ad est del camp, in direzione del confine con il Mozambico ed in quella che dovrebbe essere la zona migliore del parco per vedere i leoni… In principio però non incontriamo nessun felino, solo qualche struzzo ed una splendida iena. In questo modo arriviamo alla Gudzani Dam, dove c’è acqua, ma nessun animale ad abbeverarsi, quindi imbocchiamo la pista S100, nota per essere la strada dei leoni.

Lungo il tracciato notiamo un inquietante avvoltoio dalla testa rossa appollaiato in cima ad un albero, un grosso lucertolone ed un nutrito branco di babbuini, poi… all’ombra di un cespuglio, tre magnifici leoni… bingo!

Ci fermiamo e spegniamo il motore dell’auto per osservare la scena. Attendiamo con pazienza e ad un certo punto uno dei tre si alza e ci viene incontro. È un esemplare non più tanto giovane e si nota dall’andatura non proprio fluida, però si fa una bella passeggiata e noi pian piano lo seguiamo, così possiamo scattare alcune foto da pochissimi metri… molto bene!

Poco più tardi chiudiamo con successo il cerchio ripassando dal Satara Rest Camp, quindi andiamo ad ovest lungo la strada asfaltata H7 e in breve giungiamo alla pozza di Nsemani Dam. Qui ci sono un sacco di auto ferme e subito capiamo che c’è un importante avvistamento… Un folto branco di leoni (circa una ventina) si è infatti recato ad abbeverarsi e naturalmente tutti gli altri animali hanno lasciato campo libero… peccato solo che ciò avvenga piuttosto in lontananza.

Dopo proseguiamo sulla H7 e, notato qualche bufalo, conquistiamo il punto panoramico di Bobbejaan Krans, che spazia dall’alto di una collina sulla savana e sul sottostante corso del Timbavati River, praticamente in secca.

Da qui imbocchiamo poi lo sterrato S39, che segue le anse del fiume, facendo, purtroppo, pochi avvistamenti, se si esclude qualche zebra, fino a raggiungere la Timbavati Picnic Area, preceduta da un bel baobab.

Ripresa la strada, al termine di una breve sosta, andiamo ancora lungo il fiume e in questo modo incontriamo alcuni kudu, oltre a qualche esemplare di otarda kori, un grosso uccello dalla livrea marrone, con inserti bianconeri, e un bello stormo di cicogne appollaiate su di un grande albero completamente spoglio, prima di riconquistare l’asfalto della H1-4, che prendiamo a seguire verso nord.

Così facendo, per mezzo di un lungo ponte, scavalchiamo lo spettacolare corso dell’Olifant River, sulle cui verdissime sponde stazionano tanti animali, e lasciamo la provincia del Mpumalanga per entrare in quella del Limpopo.

Passiamo dal punto panoramico di Nwamanzi e successivamente facciamo il nostro ingresso nell’Olifant Rest Camp, così da pranzare e godere del panorama dall’apposita terrazza su di una delle più belle anse del fiume Olifant, mentre intorno a noi volteggiano uccelli dai mille colori e più in basso scorrazzano gli ippopotami.

Alla ripresa dell’itinerario, lungo la pista S44, passiamo da un altro paio di punti panoramici sull’Olifant River, quindi prendiamo a seguire il corso di un suo affluente: il Letaba River.

Transitiamo accanto al Von Wielligh’s Baobab, sul quale l’omonimo personaggio (un topografo) incise il suo nome nel 1891 e poi, fiancheggiando sempre il fiume, incontriamo un bel branco di elefanti. In questo modo sfioriamo il Letaba Rest Camp e subito dopo imbocchiamo uno sterrato che ci porta fino a Mantambeni Hide, un punto di osservazione sul fiume Letaba, interessante ma non entusiasmante.

Sulla via del ritorno da Mantambeni Hide, ad un certo punto, un elefante ci sbarra la strada e perdiamo un po’ di tempo, così, riconquistata la strada asfaltata H1-6 andiamo spediti verso nord, fino alla pozza di Malopenyana.

Qui c’è un nutrito gruppo di pachidermi ad abbeverarsi e trastullarsi nell’acqua, allora scattiamo le dovute foto del caso e poi ci rimettiamo, con sollecitudine, in moto, perché si sta facendo davvero tardi. Dobbiamo però fare i conti con un grosso elefante che intralcia completamente la strada e viene diritto verso di noi, obbligandoci a fare retromarcia e ad attendere i suoi comodi.

Questo imprevisto ci fa perdere così altro tempo e la possibilità di vedere l’ultima pozza di giornata, ma non è tutto, perché più avanti un terzo elefante ci intralcia momentaneamente la via e in extremis (solo dieci minuti prima della chiusura) riusciamo a varcare il gate del Mopani Camp, che ci ospiterà per la conclusiva notte all’interno del Kruger National Park.

Ci consegnano il nostro chalet (un’intera casa tutta per noi) e poi, sotto ad una splendida stellata, andiamo a cena nel ristorante del camp, prima di portare fra le lenzuola i magnifici ricordi di un’altra indimenticabile giornata.

Domenica 25 Agosto:

Con la vacanza che volge ormai al termine ci apprestiamo a consumare l’ultimo dei nostri personalissimi capitoli all’interno del Kruger National Park.

Poco dopo le 6:00 lasciamo così il Mopani Camp, accompagnati da un’alba infuocata, e imboccata la pista S142 passiamo da due punti di osservazione sul vicino Tsende River… completamente deserti, se si esclude qualche raro ippopotamo.

Seguendo poi un loop che si dipana a nord-ovest del camp vediamo un bel bufalo, molto da vicino, ed una solitaria iena, quindi battiamo un lungo tratto disseminato di enormi termitai, senza fare grossi avvistamenti, e riconquistato l’asfalto della strada H1-6 giungiamo al punto in cui passa il Tropico del Capricorno, evidenziato da un piccolo monumento.

Subito dopo ci avviamo per un altro loop su sterrato, che attraversa una zona particolarmente arida, fino a conquistare la Tihongonyeni Waterhole, dove ci sono ad abbeverarsi parecchi animali, fra i quali tante zebre, alcuni elefanti ed uno schivo sciacallo.

Proseguendo oltre questa pozza, in una zona più umida popolata da molti pachidermi, chiudiamo infine una sorta di cerchio, tornando in vista del Mopani Camp, e lì imbocchiamo la strada asfaltata H14 che va verso l’uscita del parco.

Ci fermiamo ancora lungo il percorso ad una deviazione sul Letaba River, dove incontriamo un branco di zebre, e poi alla pozza di Nandzama, nella quale vediamo un bel gruppo di elefanti, zebre ed impala, che sembrano volerci salutare, poi usciamo dal Phalaborwa Gate e, pensandoci bene, lasciamo il mitico Kruger National Park con tantissime esperienze positive, ma senza aver incontrato nemmeno un rinoceronte… e per fortuna lo abbiamo visto molto bene in altre riserve.

Facciamo rifornimento e poi partiamo subito verso la successiva meta, così, poco prima delle 13:00, lasciamo la provincia del Limpopo per tornare nel Mpumalanga e giungere nei pressi della Blyde Poort Dam, una grande diga situata nella parte bassa del Blyde River Canyon, il terzo canyon più grande al mondo, con i suoi 26 chilometri di lunghezza e ottocento metri di profondità.

Il paesaggio circostante, formato da picchi in arenaria rossastra, è molto suggestivo e ricorda il west americano, così scattiamo qualche foto dalle rive del lago, all’imbocco della voragine, quindi pranziamo con i nostri panini prima di ripartire per la parte alta del canyon, che dista “solo” un centinaio di chilometri.

Tornando anche momentaneamente nel Limpopo affrontiamo lo scenografico Abel Erasmus Pass e poi imbocchiamo la strada R532, che si sviluppa a breve distanza dal bordo del canyon. Così facendo arriviamo al punto panoramico di The Three Rondavels (a pagamento) e, parcheggiata l’auto, possiamo finalmente affacciarci dall’alto sull’impressionante baratro formato dal Blyde River, che serpeggia diverse centinaia di metri più in basso.

La vista è meravigliosa, nonostante un po’ di foschia, e lascia senza fiato, con la formazione rocciosa di The Three Rondavels: tre asperità tondeggianti che ricordano vagamente le capanne locali (rondavels), che domina letteralmente la scena.

Ci godiamo lo spettacolo dalle varie terrazze e poi ci spostiamo di qualche chilometro al punto panoramico di Lowveld, meno importante del precedente, ma comunque grandioso.

Da lì, in una manciata di minuti, giungiamo poi al sito di Bourke’s Luck Potholes, laddove il piccolo affluente Treurriver si getta nel fiume Blyde formando una serie di gole e voragini impressionanti, purtroppo già nell’ombra del pomeriggio avanzato.

Ripresa strada, in una regione montana molto verde, andiamo quindi a vedere alcune cascate, anche se la stagione attuale è quella secca e non possiamo aspettarci grosse portate.

Parcheggiata l’auto ci affacciamo prima di tutto sulle Berlin Falls, un filo d’acqua che si getta da una bella parete rocciosa alta circa ottanta metri, e poi, a breve distanza, sulle Lisbon Falls, meno spettacolari anche se le più alte della provincia con i suoi 94 metri, ma comunque intriganti.

Da quest’ultima cascata ci avviamo infine, con le ombre ormai lunghe della sera, lungo la strada R534, che offre diversi spunti panoramici, ma la semioscurità e la foschia non ci permettono di godere delle opportunità in dote ai vari Wonder View, God’s Window e The Pinnacle.

In questo modo approdiamo nella località di Graskop, dove prendiamo alloggio, per l’ultima notte in Sudafrica, in un cottage del Log Cabin & Settlers Village.

Sistemiamo le valigie, in vista della partenza verso casa di domani, e poi usciamo a cena nel vicino Canimambo Restaurant, che a suo modo ci accompagna positivamente verso l’epilogo della vacanza.

Lunedì 26 Agosto:

Sveglia “con calma” poco prima delle 7:00 al Log Cabin e dopo aver sistemato definitivamente le valigie da lì prendiamo il via per questa ultima giornata in Sudafrica, che ci condurrà fino all’aeroporto di Johannesburg… ci resta però da fare i turisti ancora per buona parte della mattinata.

La zona montuosa compresa fra Graskop, dove ci troviamo, e la vicina cittadina di Sabie, va famosa per diverse cascate e noi le andremo a scovare, anche se, come già detto, siamo nella stagione secca e saranno povere d’acqua.

Le prime, che si trovano poco fuori Graskop e si chiamano Panorama Falls sono, oggi, totalmente asciutte, così risparmiamo il biglietto d’ingresso e andiamo spediti verso le seconde.

Lungo il percorso ci fermiamo a vedere il modesto Natural Bridge e poi arriviamo all’ingresso delle Mac-Mac Falls, che apriranno i battenti alle 8:00… Mancano solo dieci minuti, ma grazie alla puntualità africana ne attendiamo almeno il triplo. Alla fine entriamo e, parcheggiando un po’ indispettiti, da lì ci rechiamo al cospetto delle cascate: un bel salto di 65 metri in un accattivante scenario naturale… non male, ma dopo tutto quello che abbiamo visto negli ultimi giorni…

Ripreso il via arriviamo a Sabie e subito andiamo a vedere l’omonima cascata, situata proprio sotto al ponte della strada principale… nulla di eccezionale, ma almeno risalta, essendo esposta completamente al sole.

Nei dintorni del paese ci sono almeno altri due interessanti salti d’acqua, così, percorrendo anche uno sterrato, ci rechiamo alle Bridal Veil Falls, che, piuttosto aride, ci accontentiamo di osservare in lontananza, quindi ci approssimiamo alle Lone Creek Falls, che invece meritano di essere esplorate più da vicino. Parcheggiata l’auto, con una breve passeggiata, arriviamo così alla loro base e lì terminiamo, in pratica, le straordinarie visite di questo indimenticabile viaggio.

Ora rimane solo il tragitto per arrivare a Johannesburg: scendiamo così dalle montagne fino ad incrociare la strada numero 4 che va in quella direzione… appena trecento comodi chilometri attraverso l’ondulato paesaggio di queste regioni centrali del Sudafrica.

Abbandoniamo il Mpumalanga per entrare nella provincia del Gauteng, comprendente la capitale della Nazione Arcobaleno, e dopo aver pranzato in un’area di servizio ci approssimiamo alla meta.

Ci fermiamo a fare il pieno al fedele Vito, che poco dopo riconsegniamo alla Avis. Con lui in Sudafrica abbiamo percorso la bellezza di 6232 chilometri, in gran parte polverosi, tanto che è arrivato un po’ provato, senza un copricerchio, e decisamente sporco, ma soprattutto integro al traguardo… grazie a lui!

Entriamo nel Tambo International Airport, facciamo check-in imbarcando le valigie direttamente per Bologna e poi, dopo aver oltrepassato la dogana ed i controlli di sicurezza, ci mettiamo in attesa del nostro volo (TK 043) alla porta A6.

Non ci sono ritardi e quando scendono le prime ombre della sera su Johannesburg, alle 18:18, ci stacchiamo da terra a bordo dell’Airbus A330 della Turkish Airlines virando subito verso nord.

Così facendo in breve si fa notte fonda e il nuovo giorno scocca mentre veleggiamo sul cuore del continente africano.

Martedì 27 Agosto:

Ancor prima che albeggi facciamo una prematura colazione, mentre sotto di noi serpeggia il corso del mitico Nilo, e poco più tardi cominciamo la discesa verso Istanbul, dove atterriamo alle 3:19 locali.

L’alba la vediamo quindi dalle sale del grande aeroporto turco, nelle quali pazientiamo tanto prima di salire sull’Airbus A320 della Turkish, che identificato come volo TK 1321, alle 8:59, prende quota verso Bologna.

Lungo la rotta sorvoliamo la penisola balcanica e poi planiamo verso l’Italia per toccare terra nell’Aeroporto Marconi alle 10:05.

Ritiriamo sani e salvi tutti i bagagli, poi con la navetta riconquistiamo l’area di sosta e intorno alle 11:00 siamo già in viaggio verso casa sulla nostra auto.

Alle 11:35 usciamo dall’autostrada a Faenza e un quarto d’ora più tardi, alle 11:50, concludiamo felicemente, davanti al cancello di casa, questo strepitoso viaggio, un viaggio che finisce, a pieno merito, sul podio di tutte le nostre esperienze. Un concentrato di bellezze naturali e primordiali emozioni, attraverso un magico territorio (la Nazione Arcobaleno), compreso fra due oceani, agli antipodi del continente africano.

□ Dal 9 al 27 Agosto 2019

□ Da Cape Town a Johannesburg km. 6232

The post Sudafrica: meravigliosa terra fra due oceani appeared first on Il Giramondo.

Relax più assoluto, immersi nel blu, tra pesci e coralli

$
0
0

Lahami Bay Resort 9-16 novembre 2019

Il complesso si trova vicino a Berenice, a oltre 120 km a sud dall’aeroporto di Marsa Alam, e si raggiunge in 2 ore e mezzo di pullman.

Viene venduto, al momento del nostro viaggio, da Turisanda del gruppo Edenviaggi: i ragazzi dell’animazione ci hanno detto di essere di Alpitour, che ha in gestione la struttura da inizio novembre, e la venderà per il mercato italiano dal 2020.

La struttura ha circa 200 stanze, suddivise in palazzine a due piani, disposte a semicerchio in due complessi (camere dal n.1001 vicine alla spiaggia Nord – camere dal n.2001 vicine alla spiaggia Sud e Centrale).  

Le camere sono tutte molto spaziose, hanno due letti queen size, angolo salotto, grande bagno (con anche il bidet!); quelle in prima linea costano di più, ma a mio avviso non vale la pena richiedere questa sistemazione, perché comunque le distanze non sono eccessive.

Noi abbiamo soggiornato nella camera 1077, vicina ai servizi comuni, ristorante, reception e non lontana dalla spiaggia Nord, che è l’accesso ai principali house reef della baia.

Il trattamento previsto è full board con bevande (a scelta tra soft drink, birra locale o acqua minerale da 1,5 lt.).  Il ristorante principale ci ha soddisfatto, per varietà di piatti, antipasti, verdure, secondi, frutta e dolci strepitosi. Ampia scelta di pane, bianco e integrale, pane arabo, focacce.

A pranzo un giovane cuoco italiano è disponibile a preparare piatti di pasta su richiesta dei clienti con ingredienti freschi, tirati in padella al momento: tanta buona volontà, purtroppo sugo al pomodoro poco ristretto.

Una serata con piatti tipici egiziani, molto gradita.  

Ci sono un paio di ristoranti alla carta, a pagamento, che non abbiamo provato: in uno di questi, dedicato alla cucina mediterranea, avremmo anche potuto fare una cena compresa nel pacchetto, ma abbiamo declinato, ritenendo che ci fosse più scelta nel ristorante principale.

Il plus del villaggio è il comodo accesso alla barriera direttamente dalla spiaggia Nord: ci sono diversi reef, facili e più impegnativi, che possono essere visti con snorkeling di 20 – 45 – 60 minuti, e oltre.

Elena, la giovane biologa del villaggio, é presente per accompagnare gruppi di max 10 persone, al mattino e al pomeriggio, al reef che in quel momento, in base alle correnti e alla visibilità, lei ritiene sia la scelta migliore. Inoltre Elena ha fatto tre interessanti lezioni serali su coralli e pesci di barriera, oltre ad accompagnare snorkeling notturni, su richiesta, a pagamento (mi sembra al costo di 18 euro).

A dir la verità, tra tutto lo staff, ci è sembrato fosse la persona che lavorava di più. 

Gli altri membri sono impegnati poche ore al giorno per lezioni di pilates/ yoga, o intrattengono di sera nel bar della piscina centrale, cantando su basi registrate (molto apprezzato dalla clientela più ageè).

Oltre a Dave, che segue gli arrivi e le partenze, e accompagna all’aeroporto.

Ovviamente abbiamo svolto anche snorkeling autonomi, anche perché non sempre si riusciva a rientrare nel gruppo accompagnato, cercando di graduarli rispetto alle nostre capacità natatorie.

Purtroppo la visibilità è diminuita nell’ultima parte della settimana, sia perché non sempre il sole era presente, sia per la presenza di plancton. Una sera è perfino piovuto una mezz’oretta, e di notte c’è stato pure un temporale sul mare: il giorno seguente nella spiaggia del resort limitrofo si è formato un torrente, proveniente dalle colline retrostanti, che ha portato in mare sedimenti giallastri e provocato intorpidimento dell’acqua anche di fronte al nostro complesso. 

La nostra vacanza era comunque già giunta al termine.

Volo Neos discreto, sia all’andata che al ritorno: invece preparatevi alla disorganizzazione più completa dell’aeroporto di Marsa Alam, sperimentata all’arrivo nella lentezza dei controlli passaporti, e pure alla partenza con file infinite per controllo bagagli iniziale, e poi ancora per quelli di cabina (dopo il metal detector, perquisizioni svolte in file dedicate da addetti uomo o donna, con ulteriore perdita di tempo visto che le signore turiste erano tante e l’addetta al servizio solo una).

The post Relax più assoluto, immersi nel blu, tra pesci e coralli appeared first on Il Giramondo.

Fine settimana d’inverno a Venezia: un itinerario un po’ alternativo

$
0
0

Spesso in gennaio voliamo verso nord per un weekend; quest’anno invece abbiamo improvvisato un salto nel nostro capoluogo di Regione. Ci sono stata tante volte da bambina e da adolescente ma, complice anche il sempre maggiore affollamento, negli ultimi anni ci siamo andati solo in un paio di occasioni (di cui la seconda di sfuggita, per la partenza della crociera del 2016).

Chiedo consigli aggiornati e insoliti agli amici del Giramondo, prendo la guida “Corto Sconto – La guida di Corto Maltese alla Venezia nascosta” (piacevole lettura anche per chi, come me, non è un appassionato dei fumetti) e butto giù un itinerario che ci permetterà sia di rivedere luoghi già visitati in passato, che di scoprirne anche altri decisamente meno battuti.

Sabato 11 gennaio

Partiamo un sabato mattina da Peschiera del Garda con Italo (meno di 37€ a/r in due) e, in un’ora e mezza, arriviamo alla stazione di Santa Lucia con uno splendido sole. Potremmo raggiungere il nostro alloggio anche a piedi ma decidiamo di prendere il traghetto (7,5€ il biglietto singolo della durata di 75’), e di ammirare così tutto il Canal Grande e la magnificenza dei palazzi che vi si affacciano, fino a San Marco.

IMG_5526

Ho scelto la linea 2 perchè fa qualche fermata in meno. Scendiamo a San Marco – Giardinetti, e così possiamo passeggiare un po’ nei Giardini Reali, riaperti dopo i lavori di restauro e manutenzione nel dicembre 2019.

IMG_4683

Da qui ci spostiamo a dare un primo sguardo a piazzetta San Marco: la piazza, i palazzi che la circondano, la Basilica, il Canale e le isole di fronte… per me restano uno degli spettacoli più belli del mondo, mi lasciano ogni volta a bocca aperta. In una giornata come questa, poi…

Torniamo sui nostri passi, oltrepassiamo la fermata dei traghetti e prendiamo calle Frezzaria (via dello shopping di lusso giusto dietro Piazza San Marco): la nostra locanda si trova in una traversa… più centrale di così si fa fatica!

Al momento di prenotare per la notte ci siamo trovati davanti a molte offerte veramente economiche, sia in hotel 3 o 4 stelle che in appartamenti, ma alla fine ci siamo decisi per l’ultima camera disponibile presso Dimora Marciana (118€ doppia con colazione prenotando direttamente, ma durante la settimana si possono trovare tariffe più basse), una piccola struttura con solo 6 camere in stile veneziano in una calle stretta e deserta. Ci siamo trovati veramente bene, il personale (giovanissimo) molto cortese fin dalla prima telefonata, la camera linda, la colazione buona (e tutto talmente silenzioso che non abbiamo mai sentito gli altri ospiti). Il check-in è nel pomeriggio, per cui passiamo solo per lasciare il trolley, e torniamo subito in piazza San Marco.

IMG_5539

Sono ormai le 11.30 e in giro c’è ancora poca gente. Scattiamo qualche foto e ci dirigiamo alla Basilica di San Marco… non c’è quasi nessuno, in coda ai controlli di sicurezza giusto 3-4 persone, in un attimo siamo dentro (l’ingresso è gratuito, si può poi decidere di pagare i singoli biglietti per ammirare alcuni dei tesori che contiene). Anche qui, è inutile dirlo, si rimane a bocca aperta, con la testa all’insù per ammirare gli incredibili mosaici dorati (alcuni dei quali risalenti all’XI sec.). Sembra di fare un viaggio nello spazio e nel tempo, e di tornare ai tempi dell’Impero Bizantino. Attenzione sempre a dove si mettono i piedi però! La cosa mi aveva impressionato già da bambina, ma questo è uno dei punti di Venezia in cui i pavimenti sono più irregolari in assoluto. Paghiamo i 2€ per vedere la preziosissima Pala d’Oro

Usciamo su Piazzetta dei Leoni e, invece di andare verso il Palazzo Ducale, ci dirigiamo a San Zaccaria, passando su Rio di Palazzo, con una perfetta vista sul Ponte dei Sospiri… ma meno affollata che dal Ponte della Paglia.

 

Dopo qualche foto alla chiesa, ci spostiamo sulla Riva degli Schiavoni: c’è un bel po’ di gente che passeggia al sole, ma va diminuendo man mano che ci dirigiamo verso il Sestiere di Castello. Passiamo davanti al Museo Storico Navale (prima o poi torneremo per visitarlo) e arriviamo a via Garibaldi: la casa dalla strana forma (alcuni dicono sembri la prua di una nave) all’inizio della strada fu la dimora di Giovanni e Sebastiano Caboto (gli esploratori che scoprirono il Canada).

IMG_5560

Su questa strada si affacciano un sacco di locali e ristorantini, e ci fermiamo per mangiare qualcosa. In questa zona si vede ancora la vita vera, poco toccata dal turismo: la gente che va a far la spesa (l’ortolano in barca è una vera curiosità per noi), i panni sono stesi ad asciugare al sole tra le calli, ma anche sui rii… tutto è tranquillo e silenzioso, in questo sabato d’inverno. Un altro mondo, insomma. 

Attraversiamo il ponte di legno (di Quintavalle) e arriviamo all’isola di San Pietro di Castello. Qui si trova quella che era la cattedrale di Venezia fino al 1807 (solo allora la Basilica di San Marco passò ad essere cattedrale, prima della caduta della Repubblica era la cappella privata del Doge, infatti ci sono le porte nel cortile di Palazzo Ducale).

IMG_5566

Entriamo (ingresso 3€; è possibile fare un biglietto cumulativo che comprende molte altre chiese, ma non ci interessa); la chiesa, danneggiata in parte durante la guerra, è piuttosto spoglia (soprattutto dopo aver appena visto San Marco).  Degna di nota è la “cattedra di San Pietro”: per me che trovo sempre divertenti i “falsi storici”, il fatto che venisse spacciata come sedia di San Pietro una stele con incise sure del Corano ha un che di… ironico!

Comunque la chiesa è in una posizione molto bella, da cui si comincia anche ad ammirare la cinta muraria dell’Arsenale Veneziano (che purtroppo non è possibile visitare, in quanto in parte militare e in parte della Biennale d’Arte). Decidiamo di costeggiare le mura seguendo Fondamenta della Tana (fermandoci prima ad osservare una delle tante vere da pozzo che si trovano sparse per i campi della città), e arriviamo così all’ingresso monumentale, decorato da diversi leoni antichi, il più famoso dei quali è il grande Leone del Pireo (così chiamato perché trasportato qui dal porto di Atene nel 1692). Vicinissimo è anche il Padiglione delle Navi, parte del Museo Navale… ma oggi non c’è tempo (e con un sole così, è anche un peccato infilarsi in musei…).

IMG_5574

Per calli strette e angolini nascosti, arriviamo infine all’ultima meta di questo primo itinerario: la chiesa ortodossa di San Giorgio dei Greci (di cui avevamo intravisto il campanile storto da riva degli Schiavoni). Il complesso architettonico, che comprende anche un museo di icone, appartiene allo stato greco. Troviamo la chiesa aperta ed entriamo; è un altro salto dall’altra parte del Mediterraneo, una piccola chiesa ortodossa con una meravigliosa iconostasi che nulla ha da invidiare alle altre che abbiamo visto nei nostri viaggi in terra ellenica.

IMG_5580

Le scarpe comode e la poca gente ci hanno permesso di fare questo giro in meno tempo del previsto, quindi sbuchiamo di nuovo in piazza San Marco (quante volte ci torneremo in questo weekend?!) e andiamo a fare il check-in. In un attimo ci danno le chiavi (ci sono anche quelle dell’ingresso, la reception chiude alle 21.30), portiamo i bagagli in camera (perfetta, come in foto) e… prenotiamo online la salita sulla terrazza del (Fontego) o Fondaco dei Tedeschi.

Un veneziano conosciuto in vacanza ci aveva raccontato di questa possibilità (prima ancora che fosse aperta al pubblico), ma se non fosse stato per gli amici del Giramondo l’avrei dimenticata. Non avevo prenotato da casa perchè non avevo idea in che orario ci saremmo trovati in zona (è a pochi passi dal ponte di Rialto). Abbiamo fatto bene a prenotare prima di entrare al centro commerciale: una volta arrivati all’ultimo piano, dove si trovano dei tablet per la prenotazione del posto (assolutamente gratuita), c’è la coda. Noi possiamo andare direttamente all’ingresso, mostrare agli addetti lo smartphone con il biglietto, e salire. La terrazza non è molto ampia (per questo c’è il limite di una settantina di persone ogni quarto d’ora circa) ma la vista è spettacolare, a 360° su tutta Venezia… probabilmente al tramonto ancora meglio, ma con la luce di oggi va benissimo così (abbiamo trovato posto per le 15.30).

IMG_5608

Usciti dal (caldissimo) centro commerciale, andiamo a visitare la piccola chiesa di Santa Maria dei Miracoli (ingresso 3€), tutta in marmo policromo sia all’interno che all’esterno. Di fine ‘400, ha la particolarità di essere ancora come ideata dall’architetto Pietro Lombardo, senza stratificazioni o aggiunte successive. Particolarmente suggestiva per me anche la posizione, con una delle pareti laterali che affonda in un canale. 

IMG_5619

Tappa successiva è la bellissima piazza antistante la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo (in cui non entriamo perché… abbiamo raggiunto la dose giornaliera di architettura sacra ; ) ). Qui oltre la chiesa si trovano importanti monumenti: la statua equestre del Colleoni (di Verrocchio) e la scuola Grande di San Marco (ora ospedale). In questo campo sono ambientate diverse scene della recentissima serie tv The Young Pope di Sorrentino. 

IMG_5626

La facciata di epoca rinascimentale della Scuola Grande di San Marco, che ospita anche un museo oltre all’Ulss 3, è un vero spettacolo e fa da perfetto sfondo alla piazza. Entriamo nell’atrio e restiamo stupiti dalla sua estrema bellezza nonostante la semplicità. Il pavimento in alcuni punti è ondulato quasi come in Basilica. Mi riprometto di tornare anche qui, per dedicare il tempo che merita al complesso museale.

Ormai è quasi ora del tramonto; torniamo in Piazza San Marco, passando dalla Libreria Acqua Alta (in cui non riusciamo ad entrare tanto è l’affollamento! Cosa positiva visti i danni che ha avuto a novembre) e per Campo Santa Maria Formosa.

Che dire di San Marco all’ora del tramonto? Gli aggettivi giusti mi sfuggono… i palazzi cambiano colore, i dettagli dei mosaici delle lunette sulla facciata della Basilica risaltano ancor di più, la vista sulle altre isole, man mano che la luce cala ed avanza il crepuscolo… uno dei tramonti più suggestivi cui abbia assistito.

IMG_5651

È ora di un’ultima sosta prima di passare in camera per riposarci un po’ è uno dei motivi per cui volevamo tornare a Venezia. So che in molti non capiranno o non apprezzeranno, ma tra i nostri obiettivi del weekend c’era l’andare a bere una cioccolata allo storico Caffè Florian, aperto in questa sede nel lontano 1720 e quindi uno dei più antichi al mondo, agli albori della diffusione del caffè e della cioccolata in Europa. I prezzi sono chiaramente esposti all’esterno, e l’intero menu è disponibile anche su internet, quindi le polemiche che si leggono ultimamente per me lasciano il tempo che trovano. A quest’ora le prime sale, le più antiche, sono affollate, l’elegante cameriere ci accompagna in una di quelle più recenti (di fine Ottocento), la Sala degli Uomini Illustri. I clienti sono i più vari, dalle ragazze velate, agli inglesi che ordinano l’afternoon tea (a quanto pare, degno di un servizio fotografico), alle coppiette italiane di ogni età. Nonostante l’eleganza e il lusso, l’atmosfera è rilassata (forse fin troppo) e i camerieri estremamente cortesi. Ci beviamo una Cioccolata Casanova (con la menta,  forse un po’ piccola come dose, per i miei gusti!), visto che uno degli altri temi di questa visita è proprio il famoso seduttore (ma anche scrittore, poeta, alchimista, diplomatico…) veneziano.

Dopo esserci rilassati un po’ è ora di andare a cena. Un’amica veneziana ci aveva suggerito un po’ di locali tipici, ma l’unico in cui siamo riusciti a prenotare è il ristorante che si trova al piano superiore della rosticceria Gislon, una vera istituzione (soprattutto per le mozzarelle in carrozza). A pochi passi da Rialto (infatti ci eravamo già passati nel pomeriggio), il piano terra è affollato anche alle 20.00, invece al piano di sopra si sta tranquilli, circondati solo da gente del posto. Il menu non è particolarmente lungo (ma non è negativo), e mangiamo bene con porzioni fin troppo abbondanti (da non riuscire a finirle), a un prezzo più che ragionevole.

IMG_5674

Nel rientrare in camera allunghiamo un po’ la passeggiata, per goderci anche col buio le luci sul Canal Grande e la tranquillità delle calli.

Domenica 12 gennaio

La colazione è pronta solo per noi poco dopo le otto. Gli altri ospiti stanno ancora dormendo, ma abbiamo prenotato una visita guidata particolare, al Palazzo Ducale, che inizia alle 9.30 e ci vogliamo muovere con calma. Liberiamo la camera e lasciamo il trolley in deposito per venire a riprenderlo all’ora di tornare in stazione.

Il cielo è sempre limpido, ma la temperatura è piuttosto fresca. Al Palazzo Ducale non c’è letteralmente nessuno, né in coda né all’interno della biglietteria. Noi avremmo avuto la corsia preferenziale, avendo acquistato online i biglietti per gli Itinerari Segreti, ma non ce n’è proprio bisogno oggi.

IMG_5688

Il biglietto (28€ a testa) include una visita guidata nei locali di solito non aperti al pubblico, in particolare le prigioni dei Pozzi e quelle dei Piombi, le sale in cui lavorava il personale addetto all’amministrazione della Serenissima, la Cancelleria Segreta e la sala della Tortura, il soffitto del Salone del Gran Consiglio (un’opera di ingegneria incredibile). Durante la visita ci viene narrata anche la prigionia, e la rocambolesca fuga, di Casanova (di cui ci viene detto però che non esiste traccia documentale… mentre quello che lui ha raccontato delle persone e dei luoghi è assolutamente preciso e dettagliato, come se in effetti ci fosse stato). Con lo stesso biglietto è poi possibile visitare anche tutto il resto del Palazzo. La visita guidata la facciamo solo in 6 persone, e in realtà è un bene: se il gruppo fosse stato al completo (max 25) passare in certi anfratti o entrare nella cella – dal soffitto e dalla porta bassissimi – di Casanova sarebbe stato decisamente più complicato. Dopo circa un’ora e un quarto di visita molto interessante, in cui ci siamo letteralmente congelati nonostante l’abbigliamento invernale (queste zone sono completamente prive di riscaldamento – freddissime in inverno ma spesso troppo calde in estate, tanto che non tutto viene mostrato ai visitatori nel periodo estivo), possiamo passare alle sale di rappresentanza, le zone che già conoscevo del Palazzo Ducale, così ricche di capolavori.

IMG_5694

Usciamo che è già quasi ora di pranzo, mangiamo un panino al volo e ci restano ancora alcune ore prima del treno. Andiamo a vedere la ormai famosa Scala Contarini – Del Bovolo. Inizialmente avevamo pensato di pagare il biglietto (7€) e di salire fino in cima, ma sinceramente quando l’abbiamo vista, dopo tutte le scale fatte poco prima… abbiamo preferito fotografarla dal basso! Veramente un gioiellino architettonico, nascosto in una piazzetta di piccole dimensioni.

IMG_5722

Ci spostiamo poi fino a Palazzo Fortuny per ammirarne la facciata (interessante la storia di questo luogo), poi passiamo da Campo Santo Stefano (non potevo non rivedere la statua di Niccolò Tommaseo detta simpaticamente “el cagalibri”) e infine attraversiamo il Ponte dell’Accademia (da cui si gode di una vista favolosa) per spostarci a Dorsoduro.

IMG_5732

Dopo un caffè con vista Canal Grande cominciamo a dirigerci verso Punta della Dogana, quando ci troviamo a passare davanti all’ingresso della Peggy Guggenheim Collection (ingresso 15€)… ecco, non era in programma visto che non siamo particolarmente amanti dell’arte astratta o futurista, ma attratti dal bel contesto abbiamo deciso di entrare (e questo non ci lascerà il tempo di andare al Ghetto ebraico come era mia intenzione). Ci sono diversi visitatori, più di quanto mi aspettassi. La collezione è in un palazzo mai ultimato affacciato sul Canal Grande, con un bel cortile e un approdo privato. Le opere sono molto varie (da Pomodoro a Magritte, da Giacometti a Fontana, Picasso, Braque  e molte altre che però non ci sono piaciute), ma forse è anche la visita che, con il senno di poi, non rifarei.

Andiamo poi velocemente alla Basilica di Santa Maria della Salute (ingresso libero) e a Punta della Dogana giusto per ammirare il paesaggio.

IMG_5745

In realtà speravamo di trovare attivo (come scritto sia sulla guida che su internet) il servizio di Gondola – Traghetto tra qui e San Marco, in modo di risparmiare un po’ di strada. Il servizio (a 2€ per i turisti) permette di attraversare il Canal Grande in quei punti in cui non ci sono ponti, ma in questi due giorni a quanto pare era temporaneamente sospeso (un semplice foglio scritto a mano avvertiva di questo anche al vicino collegamento di Santa Maria del Giglio, senza indicare un periodo di chiusura).

Ormai è ora di tornare sui nostri passi, andare a recuperare il bagaglio e dirigerci in stazione, a piedi, seguendo il percorso da Rialto già fatto in varie altre occasioni.

Il treno è in perfetto orario, e stavolta anche affollato. 

Un arrivederci a Venezia, con un altro splendido tramonto sulla laguna.

The post Fine settimana d’inverno a Venezia: un itinerario un po’ alternativo appeared first on Il Giramondo.

Botswana into the wild (agosto 2019)

$
0
0

Sud Africa, tour del Botswana, Victoria Falls (Zimbabwe e Zambia) e Sud Africa

  1. A) INFORMAZIONI GENERALI:

 

IMPORTANTE: come sempre avviso che l’itinerario ha 33 pagine… almeno sapete… di che morte morire se iniziate a leggere … In corsivo ho fatto copia incolla di tutte informazioni raccolte, in mesi di lavoro e poi durante la vacanza. In carattere normale è narrata la nostra avventura. Scrivo i vari orari per sapere quanto tempo richiede ogni cosa. Mi spiace ma racconto anche qualcosa di personale che a chi legge non interessa. E’ l’unico itinerario che scrivo quindi deve essere anche un nostro ricordo. Portate pazienza…

Quando: 20 giorni dal 03.08.2019 al 22.08.2019.

Perché questo viaggio: Alla fine del viaggio in Namibia, ad agosto 2017 fatto con i nostri amici Monica, Pietro e Luca (i Pocket), ci eravamo ripromessi di fare insieme il Botswana. Nel 2018 abbiamo fatto viaggi diversi ma al rientro dalle ferie Monica ha iniziato a battere il chiodo e ovviamente noi non ci siamo tirati indietro… non aspettavamo altro. Al nostro gruppo si sono uniti Simona e Renzo, conosciuti sempre in Namibia nel 2017. Quindi in tutto siamo 3 jeep e 9 persone (noi siamo i Bus: Anna, Pier, Martina e Matteo).

Itinerario: Abbiamo studiato il giro in base a ciò che preferivamo vedere. La soluzione più comoda era arrivare a Maun in aereo e ripartire da Kasane ma i due voli interni erano molto cari (circa € 200 a testa ciascun volo) e in più bisognava aggiungere il drop-off della macchina (circa € 500). Partendo ed arrivando a Johannesburg abbiamo risparmiato tantissimo. Abbiamo dovuto aggiungere 2 notti in avvicinamento ed una in rientro e l’affitto della macchina per 3 giorni in più ma così facendo abbiamo comunque abbattuto in modo considerevole il preventivo iniziale. Quindi l’itinerario e i vari pernottamenti sono stati: Johannesburg e Matamba Bush Camp in Sud Africa poi in Botswana Khama Rhino Sanctuary, Khumaga-Makgadikgadi Pan, Nxai Pan, notte in quad nel Makgadikgadi Pan da Gweta, 2 notti a Maun con volo sull’Okavango ed escursione in mokoro di una giornata, Thirst Bridge e Xobega Island nella Moremi, Khway, Savuti, Muchenje sul Linyanti, Ihaha e 2 notti a Kasane sul Chobe, 1 alle Moremi Gorge. Abbiamo preferito poi prenotare noi direttamente, una notte a Johannesburg dopo aver lasciato l’auto per non correre il rischio di perdere l’aereo nel caso in cui avessimo avuto un qualsiasi intoppo (il volo partiva alle 21.00 e in quella giornata avevamo 500 km. da fare). L’ultima giornata a Johannesburg è stata una giornata di relax ma è andata bene così. L’idea iniziale era di fare un tour organizzato a Soweto ma, vedendo i disordini che ci sono, abbiamo preferito rimanere in hotel.

Prenotazioni: bisogna prenotare con larghissimo anticipo in quanto i posti sono mooooolto limitati. Ho accantonato l’idea di farlo io, come al solito, per il fatto che, essendo in 9, non era facile trovare le disponibilità. Più avanti spiego come funzionano i campeggi e le relative prenotazioni. Altro scoglio sono i lunghi tempi di risposta alle richieste di disponibilità. Fossimo stati solo noi con una macchina sola, sicuramente ci avrei provato, ma essendo in gruppo, non mi sono fidata.

Ci siamo fatti fare diversi preventivi e poi abbiamo scelto un’agenzia che ha sede in Botswana, Drive Botswana (http://www.drivebotswana.com/it/). I contatti li abbiamo tenuti con Andy (proprietario insieme al fratello Phil). Abbiamo dovuto posticipare di una settimana la partenza perchè non c’era più disponibilità in alcuni posti, pur essendo 11 mesi prima. Abbiamo optato per fare alcune notti in lodge alternate, nei posti in cui i prezzi erano folli, ad altre in campeggio (dormendo nella tenda sul tetto della jeep). Andy ha capito subito quello che volevamo e ci ha fatto delle proposte, di cose molto interessanti, che hanno fatto propendere per lui, come la notte sotto le stelle con escursione in quad. Il costo è stato di € 2.183 a testa, totale € 8.433. Abbiamo pagato metà dell’importo al momento della prenotazione, 11 mesi prima, e il saldo ad un mese e 1/2 dalla partenza. Tutto con bonifico. Ci ha inviato subito, con posta, una mappa e un libricino d’informazioni di 70 pagine e poi, una settimana prima di partire, tutti i voucher con il dettaglio di tutto, dai benzinai alle banche, dai market alle strade da percorrere (fatto davvero bene). Quando eravamo via una jeep ha avuto un problema, gli abbiamo scritto su whatsupp e ci ha risposto immediatamente con le indicazioni di cosa dovevamo fare. Quindi voto 10 come tour operator.

I costi indicativi, di quanto prenotato con Andy, per la mia famiglia di 4 adulti, sono i seguenti:

– jeep (circa € 3000, circa € 180 al giorno): un Toyota Land Cruiser serie 79 (targato HX 45 NV GP), affittato dalla Bushlore (https://bushlore.com/) con due tende sul tetto (con serbatoio di 130 lt.). Era super accessoriato con gps (le mappe sono della dettagliatissima Tracks4Africa), frigo, sedie, tavolo, tutto il necessario per cucinare, 2 bombole, griglia (legata ad una delle due ruote di scorta), attrezzatura per l’insabbiamento (corda traino, pala e strisce in gomma) e per il pronto soccorso, doccia da campo, lampade e torce (una potente da attaccare al motore della macchina), sacchi a pelo, cuscini e telo da mettere sul materasso (tutto pulito ed impacchettato nei sacchetti della lavanderia), teli da doccia, 2 taniche da 20 lt l’una per la benzina, inverter (ho fatto richiesta apposta), serbatoio per l’acqua pulita di 60 lt., compressore per rigonfiare le gomme, ecc. ecc.

– lodge/campeggi (circa € 5.000 – l’Aero Lodge l’abbiamo prenotato noi): compreso l’escursione in quad con il pernottamento sotto le stelle nel pan del Makgadikgadi (€ 740) e la follia di questa vacanza che è stata la notte a Xobega Island all’interno dell’Okavango (€ 1580)

– escursione di tutto il giorno in mokoro da Maun con Mosu Safari Tours (https://www.mosusafaritours.com/) (€ 270)

– volo di 1 ora con il piper da Maun sul delta dell’Okavango con Air Shakawe (€ 320)

– telefono satellitare € 43 per la mia famiglia, costo totale € 130 (abbiamo diviso la cifra per 3 famiglie)

Il Botswana è uno dei pochi paradisi rimasti. Dà la possibilità di poter restare completamente a contatto con la natura e gli animali. Le notti in tenda, con tutto il campo da organizzare con docce e cena, sono state le più belle. Avevamo tanta titubanza perchè per noi era la prima volta ed invece, essendoci organizzati in tutto nei minimi particolari, è stata un’esperienza fantastica.

Voli: li abbiamo prenotati noi 10 mesi prima, ad ottobre 2018, direttamente sul sito dell’Alitalia. Andata e rientro da Milano a Johannesburg (con cambio aereo a Roma) ad € 826 a testa.

Altre spese: gasolio € 467; market € 305; ristoranti € 590; ingressi nei parchi € 509; crociera sul Chobe € 248; assicurazione soccorso elicottero € 60; multe € 38; parcheggio Malpensa € 102; varie € 112.

Pernottamenti:

Elenco i vari posti in cui abbiamo pernottato indicando i prezzi che ho trovato on-line. Sono riferiti alla mia famiglia (due adulti, un ragazzo di 18 anni e una ragazza di 16 anni, in alcuni posti lei ha pagato metà prezzo)

  1. 08. 2019 Matamba Bush Camp Waterberg (SA) tenda sul tetto con cena € 75
  2. 08. 2019 Khama Rhino Serowe tenda sul tetto campeggio € 36
  3. 08. 2019 Khumaga Campsite Makgadikgadi Pan tenda sul tetto campeggio € 160
  4. 08. 2019 Nxai Campsite Baines’ Baobab tenda sul tetto campeggio € 181
  5. 08. 2019 Nwetwe Pan (quad) Makgadikgadi sotto le stelle con cena-colazione € 740
  6. 08. 2019 Crocodile Camp Maun lodge con cena-colazione € 294
  7. 08. 2019 Crocodile Camp Maun lodge con cena-colazione € 294
  8. 08. 2019 Third Bridge Camp Moremi camera tendata campeggio € 436
  9. 08. 2019 Xobega Island Camp Moremi lodge tendato con cena-colazione-attività € 1580
  10. 08. 2019 Khwai Campsite Khway tenda sul tetto campeggio € 160
  11. 08. 2019 Savuti Campsite Savuti tenda sul tetto campeggio € 160
  12. 08. 2019 Muchenje Campsite Linyanti tenda sul tetto campeggio € 60
  13. 08. 2019 Ihaha Campsite Chobe tenda sul tetto campeggio € 76
  14. 08. 2019 Chobe River Cottages Kasane – Chobe lodge solo pernottamento € 291
  15. 08. 2019 Chobe River Cottages Kasane – Chobe lodge solo pernottamento € 291
  16. 08. 2019 Goo Moremi Gorge Moremi gorge lodge solo pernottamento € 125
  17. 08. 2019 Aero Guest Lodge Johannesburg lodge con colazione € 84

totale € 5043

Siti internet dei lodge:

– Matamba Bush Campsite: http://www.matambabushcamp.com/

– Khama Rhino Sanctuary: http://www.khamarhinosanctuary.org.bw/

– Khumaga Campsite – Makgadikgadi Pan: http://www.namibweb.com/khumaga.htm

– Nxai Campsite – Baines’ Baobab: https://www.xomaesites.com/camping/13-baines-baobab.html

– Nwetwe Pan – Makgadikgadi Pan: http://www.planetbaobab.travel/

– Crocodile Camp – Maun: https://sklcamps.com/crocodilecamp/

– Third Bridge Camp – Moremi: https://www.xomaesites.com/camping/10-third-bridge.html

– Xobega Island Camp – Moremi: https://www.xobega.com/

– Khwai Campsite – Khwai: https://sklcamps.com/campingsites/

– Savuti Campsite – Savuti: https://sklcamps.com/campingsites/

– Muchenje Campsite – Linyanti: http://www.muchenjecampsite.com/

– Ihaha Campsite – Chobe: https://www.oshanareservations.com/ihaha-campsite/

– Chobe River Cottages – Kasane – Chobe: http://choberivercottages.com/

– Goo Moremi Gorge: http://botswanaunplugged.com/7168/visit-newly-revamped-mystical-goo-moremi-gorge-resort/

– Aero Guestlodge: http://aeroguestlodge.co.za/

Prenotazioni lodge: se si vuole prenotarli da soli, basta contattarli sui rispettivi siti. La maggior parte utilizzano un programma molto comodo grazie al quale si vede la disponibilità reale e si può pagare direttamente con carta di credito.

Prenotazioni campeggi: Possono essere statali o privati.

Il sito migliore è Traks4Africa (https://tracks4africa.co.za/maps/africa/). Cliccando sulla tenda bianca e verde, in basso a sinistra, si apre la mappa con indicati tutti i campeggi dell’Africa Australe quindi anche quelli del Botswana. Quando se ne seleziona uno, si apre una pagina con i dettagli generali e i contatti per le prenotazioni. Qui sono indicati sia quelli privati che quelli statali e di conseguenza si viene dirottati o sui relativi siti o ad indirizzi mail (o solo numeri di telefono). E’ davvero comodo e semplice. L’unico neo sono i tempi di risposta, non sempre immediati.

I campi statali sono gestiti dal DWNP, Department of Wildlife National Parks e gestiscono anche il pagamento dei costi giornalieri d’ingresso.

Altro sito utile è: http://www.getaway.co.za/travel-ideas/book-campsites-botswanas-national-parks/

Spiega come fare a prenotare e indica i vari operatori che gestiscono i campi privati.

All’inizio della pagina se si clicca Download: The Getaway BFGoodrich 4×4 Guide to Botswana, si apre un pdf scaricabile, di 48 pagine, con info parecchie informazioni.

Elenco i principali campi. Si prenotano (prezzi per persona per notte):

– Dwnp (http://www.gov.bw/  – mail: dwnp@gov.bw – o agli uffici di Maun)  – Costo:  Pule 30 (€ 2,5):

Sono tutti campi statali:

– tutti i campi del lato del Botswana del Kgalagadi Transfrontier Park

– otto campeggi del Central Kalahari Game Reserve (i tre che si trovano al gate: Matswere Gate, Tsau Gate and Xade Gate) e poi Xaka, Kori, Deception, San e Phokoje Pans

– due campeggi nel Makgadikgadi Pans National Park: Njuca Hills e Tree Island

– Big Foot Tours (www.bigfoottours.co.bw  –  mail: reservations@bigfoottours.co.bw)  – Costo:  Pule 75 (€ 6):

Central Kalahari: Piper Pan, Letiahau, Lekhubu, Kukama, Sunday Pan, Passarge Valley and Motopi

Khutse Game Reserve (sud del Central Kalhari): tutti e 5 i campeggi

– Gaing-O Community Trust (http://www.kubuisland.com/ – si invia mail dal sito) – Costo: Pule 150 (€ 12,50) + 50 fees d’ingresso

– Kubu Island Campsite

– Kwalate Safaris (kwalatesafari@gmail.com)

– Chobe: Ihaha Camp (Pule 260 € 22- minorenni Pule 130 € 11)
– Moremi: South Gate and Xakanaxa (non sono riuscita a trovarli)

– Xomae Group (www.xomaesites.comxomaesites@btcmail.co.bw)

– Moremi – Third Bridge Camping – USD 50 (10 piazzole)

– Moremi – Third Bridge Self Catering Chales – USD 120

– Okavango – Gcodikwe 1 Island Camp: USD 50 (non ho capito dove si trova, mi risulta un lodge)

– Nxai Pan –  South Camp – USD 38 (10 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 6 persone)

– Nxai Pan: Baines’ Baobab – USD 50 (3 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 12 persone)

– SKL (www.sklcamps.comreservations@sklcamps.co.bw)

– Chobe – Savuti: USD 50 – minori USD 25 (14 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone)

– Chobe – Linyanti: USD 50 – minori USD 25 (5 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone)
– Khwai – North Gate: USD 50 – minori USD 25 (10 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone)
– Makgadikgadi – Khumaga: USD 50 – minori USD 25 (10 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone)
– Khama Rhino Sanctuary (www.khamarhinosanctuary.org.bwkrst@khamarhinosanctuary.org.bw)

Costo: campeggio Pule 108 (€ 9,00) a notte a testa- chalets Pule 700/800 (€ 58/67) a notte a testa.

Fees:  Pule 72 (€ 6) a testa e Pule 88 (€ 7,33) la jeep

–  Khwai Development Trust: (http://www.khwaitrust.co.bw/ ) Costo: Pule 300 (€ 25)

– Khwai community concession: Magotho Camp

– Mababe (tra Khuay e Savuti) (NDM Travel Agency) – Costo: Pule 220 (€ 18)

– Tshaa Camp

– Tuli Wilderness (www.tulitrails.comreservations@tulitrails.com) – Costo: Pule 140 (€ 12) include le tasse

– Molema Bush Camp 

Mbudi Camp nord Khwai: mbudicampkhwai@gmail.com

Info sui campeggi: I campeggi sono pochi e hanno pochissime piazzole. In ciascuna ci possono stare da 1 jeep a 3 (con massimo 8 persone), solo se viaggiano insieme (per noi hanno un fatto uno strappo alla regola per il fatto che Martina è minorenne altrimenti avremmo sempre dovuto prendere due piazzole con la conseguente difficoltà di prenotazione). Quindi non si corre il rischio di trovarsi vicini ad altre persone che non si conoscono. Quindi, per fare un esempio, nella Moremi ci sono 3 campeggi con esagerando 8/10 piazzole. Se tutti viaggiano da soli, ogni notte possono pernottare solo meno di 30 macchine in tutta la riserva. Nel Khwai e nel Savuti ce n’è solo uno … Tutte le piazzole sono vicine ma consentono notevole privacy. Nei campeggi ci sono i blocchi dei bagni. Abbiamo sempre trovato tutto pulito e acqua calda ovunque. Può capitare di arrivare e non trovare acqua per qualche disguido. E’ bene avere sempre taniche da 5 litri di scorta. C’è la possibilità di lasciare l’immondizia (non abbiamo trovato le “gabbie” solo al Baines’ Baobab).. Non ci sono recinzioni quindi l’attenzione deve essere a mille. Si deve arrivare al campeggio con il sole ancora un pochino alto, accendere subito il fuoco, andare a farsi la doccia, cenare con il tramonto in modo tale da riuscire ad andare a lavare le pentole con la luce, rimanere sempre vicino al fuoco e se si deve andare dietro la jeep quando si deve riordinare, illuminare con le torce. E’ bene non rimanere molto a lungo alzati, meglio ritirarsi in tenda il prima possibile e rimanerci senza più scendere fino al mattino. Gli animali, se sentono rumori non si avvicinano ma appena si sale in tenda, nonostante il fuoco … arrivano. Noi cercavamo di rimanere svegli il più possibile e abbiamo visto iene (sempre e anche diverse), tassi del miele, elefanti e i licaoni (al Chobe).

Patente e guida: la guida è opposta all’Italia. Si viaggia a sinistra e il posto del guidatore è a destra. Sia in Sud Africa che in Botswana ci vuole la patente internazionale. Va bene sia quella della convenzione di Ginevra (dura 1 anno) che di Vienna (dura 3 anni). Costa € 86, le tempistiche per averla sono di 3 settimane. Ci siamo rivolti ad un’agenzia privata del nostro paese, l’Asl non offre questo servizio. Per il Sud Africa ci sono pareri discordanti. I rental car non la chiedono. Potrebbe chiederla la polizia se vuole proprio rompere le scatole. Nei nostri diversi giri in Sud Africa nessuno ce l’ha mai chiesta. Se serviva abbiamo sempre fatto vedere quella italiana. Per il Botswana dicono che non è obbligatoria ma in assenza di questa bisogna avere una traduzione in inglese di quella italiana quindi, nel dubbio, per 86 euro, non conviene rischiare. Noi l’avevamo dal viaggio del 2017.

Valuta:

€ 1 = BWP (Pula) 12 (Botswana)

€ 1 = Rand 16 (South Africa)

€ 1 = USD 1,14

In lingua Setswana “pula” significa letteralmente “pioggia”, un elemento naturale particolarmente scarso nel territorio prevalentemente desertico del Botswana e quindi di elevato valore. “Pula” significa anche “benedizione”, giacché la pioggia è una benedizione per questo popolo. La pula è divisa in 100 “thebe”, letteralmente “scudi”. La valuta è circolazione dal 1976 quando ha sostituito alla pari il rand sudafricano. Nonostante la svalutazione avvenuta nel maggio 2005 del 12%, la pula rimane una delle più forti valute dell’Africa.

Okavango Air Rescue: http://www.okavangorescue.com/ – Abbiamo fatto una donazione di Pule 175 (€ 15 circa) a testa così facendo, in caso di necessità, garantiscono il recupero in elicottero (con medici a bordo), in tutto il territorio del Botswana C’è una mappa con i tempi di recupero per ciascuna zona. Per dare un’idea, nel Savuti/Moremi, i tempi vanno da 30 a 45 minuti. Ti portano in ospedale a Maun. Vale per un anno. Consiglio vivamente di farlo. Ovviamente bisogna affittare il satellitare perchè nei posti più sperduti, dove c’è maggior necessità in caso di problemi, non c’è il segnale del telefono

Parchi Nazionali:

Sono gestiti dal DWNP (Department of Wildlife National Parks). Le conservation fees, le tasse giornaliere da pagare per poter accedere ai parchi nazionali, si possono pagare ai rispettivi gate (la maggior parte non accettano carta di credito e spesso, anche se hanno la macchinetta, non è funzionante quindi è sempre meglio avere i contanti) oppure presso gli uffici del DWNP di Maun (dove si può pagare anche con carta di credito) (S19 59.056 E23 25.844) (orari: lu-ve 7.30/16.30; sa 7.30/12.45 e 13.45/16.30; do 7.30/12.45). Si supera il ponte principale di Maun, percorrendo la A3, alla prima rotonda si gira a destra su Sir Seretse Khama Road, la prima a destra sulla Audi Dr. e poi subito ancora a destra sulla Kubu Street (senza uscita). Se si va in direzione Moremi consiglio di pagare tutto qui. Si evitano perdite di tempo ai gate e non si è obbligati a viaggiare con tanto contante.

Il costo delle tasse d’ingresso è:

– adulto Pule 120 (€ 10)

– minorenne Pule 60 (€ 5)

– macchina immatricolata in Botswana Pule 10 (€ 0,80)

– macchina straniera Pule 50 (€ 4)

Orari in cui si può girare nei parchi:

– da aprile a settembre 6.00/18.30

– da ottobre a marzo 5.30/19.00

Le tasse d’ingresso fino a luglio si pagavano a notte. Ora invece sono giornaliere. Se si pernotta una notte nel parco si pagano per due giorni. Se si passa da un parco all’altro nello stesso giorno si pagano due volte. Quindi sono al giorno e per parco. Considerare che ad ogni gate bisogna registrarsi sia in ingresso che in uscita con targa dell’auto, passaporti, ecc ecc e controllano i voucher dei pernottamenti.

Strade: le principali sono asfaltate. Nei parchi sono sterrate e sabbiose. Quest’anno ha piovuto pochissimo quindi c’era una siccità pazzesca. Abbiamo solo trovato un guado nella Moremi. Andy ci ha comunicato prima di partire quali percorrere. La situazione cambia sempre sia per l’acqua che per gli elefanti (entrambe possono distruggerle e renderle inagibili quindi bisogna percorrerne altre).

Benzinai: sono segnati sulle cartine. Si trovano in tutte le cittadine comunque sempre fare il pieno anche se si è a metà serbatoio. Da Maun al Chobe (a Muchenje hanno aperto un nuovo distributore a settembre) non si trova nulla. Fondamentale avere un paio di taniche supplementari. Il costo del gasolio è di Pule 9,50 (€ 0,79) al litro.

Km. percorsi:  km. 3622 (asfalto km.2720  e sabbia km.902)

Mance: solitamente sono pari al 10% di quanto speso. Si possono aggiungere al totale della spesa se si paga con carta di credito oppure si possono pagare in contanti a parte. Non le chiedono, ma sono moooolto gradite.

Malaria: da Maun al Chobe la malaria c’è. Il rischio di contrarre la malattia è alto durante, e poco dopo, il periodo delle piogge. Durante la stagione secca e con il freddo dell’inverno australe il rischio è ridotto al minimo. Valutare i pro i contro sul fare l’antimalarica. Noi l’abbiamo sempre fatta solo omeopatica pur andando in zone ad alto rischio nel periodo peggiore. Preferiamo fare quella comportamentale: dopo il tramonto rimanere all’aperto il minimo indispensabile indossando solo abiti chiari che coprano la maggior parte del corpo e spruzzando, sulle parti scoperte, dei repellenti e soprattutto dormire sotto le zanzariere. Sono scelte personali.

Documenti e visti:  Per entrare sia in Sud Africa che in Botswana non ci vuole il visto per massimo 90 giorni di permanenza. Il passaporto deve avere come al solito validità residua di 6 mesi dalla data del rientro e 2 pagine bianche. IMPORTANTE sia per il Sud Africa (dal 01.06.2015) che per il Botswana (dal 01.10.2016) ci sono nuove regole per l’ingresso dei minori (anche solo in transito). Ogni minore, anche se in viaggio con entrambi i genitori, deve essere in possesso di un certificato di nascita multi lingue. Su questo vengono indicati nome del minore con data di nascita e i nomi dei genitori. Questo documento si richiede all’anagrafe del proprio paese ed è gratuito.

Per le Victoria Falls in Zimbabwe bisogna pagare il visto di $ 30. Se si vuole vedere anche il lato dello Zambia bisogna acquistare l’UniVisa di $ 55 (l’hanno sospeso una settimana prima del nostro arrivo per problemi politici dello Zimbabwe).

Tenete presente che sia il Sud Africa che il Botswana richiedono il vaccino della febbre gialla se si sosta per più di 12 ore in un paese in cui la malattia è endemica. Il Sud Africa ha tolto il divieto per chi arriva dallo Zambia.

Un sito sul quale poter guardare i vari aggiornamenti è il sito della Farnesina Viaggiare sicuri (http://www.viaggiaresicuri.it/). Questo ovviamente è aggiornatissimo.

Cibo: i market sono più che mai forniti. Alcune cose, come la pasta, le abbiamo portate dall’Italia ma il grosso, l’abbiamo acquistato in loco. Abbiamo trovato tutto quello che avevamo in mente di comprare.

Divieti per il cibo: Ci sono divieti per alcuni generi alimentari. In primis niente arance e limoni perchè gli elefanti ne vanno ghiotti. Pur non volendo fare danni, potrebbero creare problemi alle jeep cercando di prenderli. Fiutano l’odore a distanza. Altro discorso per carne cruda, latticini e uova (ma il divieto assoluto è principalmente per la carne). Ci sono diverse barriere veterinarie sulle strade principali dove controllano le jeep. Se i poliziotti trovano cibo non giusto, lo sequestrano. Sono fiscali da nord verso sud e da est verso ovest, praticamente dalla zona dove non ci sono controlli veterinari del bestiame alla zona dove invece ci sono gli allevamenti. C’è un batterio che colpisce i bufali e che potrebbe essere trasmesso alle mucche, essendo della stessa famiglia. Quindi vietando gli spostamenti della carne cruda si spera di proteggere gli animali, che l’uomo usa per cibarsi e per il latte, da una malattia mortale. Quando si fa la spesa bisogna considerare questa cosa in primis per la salvaguardia dei capi di bestiame ma anche perchè si rischia di rimanere senza cibo sul quale si contava in posti in cui non si trova nulla da comperare.

Acqua: Abbiamo sempre lavato i denti con l’acqua delle bottiglie e non abbiamo mai mangiato verdura cruda. Nessuno di noi ha avuto il men che minimo problema di salute.

Fauna: un tempo chi andava in Africa voleva come trofei di caccia i “Big five” (i primi 5 dell’elenco di seguito) ma ora questi trofei sono per lo più fotografici quindi sono diventati i “Big nine”. RINOCERONTE bianco o nero (più raro). La differenza non sta nel colore del mantello (entrambi sono grigetti) ma nel labbro. Quello bianco ha la forma della bocca più squadrata adatta a brucare negli spazi aperti della savana. Quello nero ha la bocca più tondeggiante con il labbro superiore prensile adatto a mangiare rametti e foglie di acacia nel bush. Questo fa si che si differenzino anche nella gestione dei cuccioli. Quello bianco segue i piccoli perché negli spazi aperti può brucare e tenere d’occhio la prole, quello nero, deve precedere i cuccioli perché deve far loro strada in mezzo alla vegetazione fitta (questo però non è attendibile al 100% per riconoscerli). Quello bianco si muove in piccoli gruppi, quello nero è più solitario. Quello bianco o più grosso di quello nero. Quello nero è molto irritabile e c’è il serio rischio che attacchi le macchine quindi bisogna mantenere molta distanza quando lo si incontra. ELEFANTE, LEONE, BUFALO (tra tutti è il più pericoloso perché, se viene isolato dal gruppo e si sente braccato, attacca. Ha bisogno di grandi spazi per spostarsi), LEOPARDO (caccia di notte, durante il giorno si riposa all’ombra), GHEPARDO (lo si distingue dal leopardo per una linea nera che gli parte dagli occhi ed arriva, contornando il naso, fino sotto alla bocca. GIRAFFA, IPPOPOTAMO (vive di giorno in acqua o sulle spiagge e di notte pascola, pericolosissimo se si è a piedi e lui è fuori dall’acqua), ZEBRA. Oltre a questi si possono vedere licaoni, tassi del miele, iene, tanti tipi di antilopi, gli gnu, i babbuini, i facoceri, gli sciacalli, coccodrilli, struzzi (femmine grigie e maschi neri), tanti tipi di uccelli (l’Okavango è il paradiso del bird watching)  e chi più ne ha più ne metta…

Paesaggi: vari e uno più bello dell’altro

Sicurezza: problemi zero.

Lingua: inglese e dialetti locali

Quando andare: Come in tutta l’Africa australe le stagioni sono invertite. Il clima del Botswana è semi-arido quindi caldo e secco in gran parte dell’anno. Le stagioni sono principalmente due:

– Estate (stagione bagnata) – da ottobre a marzo.

I giorni estivi sono caldi, soprattutto nelle settimane che precedono l’arrivo delle piogge. Le prime piogge arrivano intorno a novembre. Durante il periodo piovoso, che dura fino alla fine di febbraio o all’inizio di marzo, fa caldo ed è generalmente soleggiato di mattina, ci sono temporali brevi nella parte centrale delle giornate e piogge abbondanti il tardo pomeriggio. Le temperature diurne possono salire a 38/40° C e le temperature notturne scendono a circa 20/25° C. Le aree settentrionali ricevono fino a 700 mm di pioggia all’anno, mentre la zona del deserto del Kalahari ha una media di 225 mm all’anno. Le piogge tendono ad essere irregolari, imprevedibili e distribuite in maniera diversa. Spesso una forte pioggia può verificarsi in un’area mentre 10 o 15 chilometri di distanza non cade una goccia. In estate, l’umidità del mattino varia da 60 a 80% e scende al 30-40% nel pomeriggio.

– Inverno (stagione secca) – da aprile a settembre.

Le giornate sono sempre calde di giorno (20/30°C) e fresche la sera (10°C).  Di notte possono scendere sotto il punto di congelamento in alcune zone, soprattutto nel sud-ovest. Nessuna pioggia cade durante i mesi invernali. In inverno l’umidità può variare tra il 40 e il 70% durante la mattinata e scendere al 20/30% nel pomeriggio.

Il Botswana è una destinazione perfetta per i game drive durante tutto l’anno però i mesi migliori vanno da aprile a ottobre, sia per il tempo che per gli animali. È durante questo periodo che la fauna selvatica si riunisce a bere nelle poche pozze d’acqua e la vegetazione è meno fitta quindi gli avvistamenti sono migliori e più facili. Tuttavia, ci sono alcune stagioni che sono più adatte per una cosa piuttosto che per l’altra. Sono informazioni di massima:
– gennaio: Con le piogge ci sono spettacolari temporali pomeridiani. Questo è il periodo di allevamento per molte specie di uccelli colorati migranti quindi ci sono ottime opportunità di fotografarli. Ci sono bellissimi fiori selvatici, le foglie sono verde brillante e ci sono suoni costanti di insetti e uccelli. I predatori sono attivi nella caccia dei piccoli delle loro prede abituali. Gennaio è un mese ideale per la fotografia per i colori vivaci, i cieli spettacolari e la purezza dell’aria. E’ facilissimo vedere i predatori perchè il loro color crema si nota subito in mezzo al verde.

– febbraio: Questo è il momento di fioritura dei gigli d’acqua e le rane delle canne sono colorate e molto rumorose: il Delta dell’Okavango è bello e si riempie di suoni. Le piogge continuano sotto forma di temporali da metà giornata al tardo pomeriggio con cieli meravigliosi. È caldo con temperature diurne che superano i 30 ° C e notti calde a 20 ° C più. Ci possono essere sia magie bagnate che molto asciutte entro il mese. I piccoli degli erbivori sono sempre più grandi. Il bird-watching è ancora eccellente.

– marzo:  Il frutto degli alberi di Marula attirara gli elefanti che vagano da albero ad albero in cerca del loro pasto preferito. Questo è l’inizio della stagione degli amori e gli impala maschi cercano di attirare le femmine. Le temperature sono ancora calde sia giorno che notte, ma l’aria è più secca e le piogge sono meno frequenti. Il bush è rigoglioso e verde e ci sono molti fiori.

– aprile: Ci sono i primi segnali che la stagione sta cambiando. La temperatura notturna scende al di sotto di 20° anche se di giorno fa sempre caldo. Le notti più fresche con elevata umidità portano la nebbia mattutina che crea immagini bellissime sull’acqua. Gli impala sono nel pieno dell’amore quindi continuano a fare versi per attirare le femmine e spesso si vedono i maschi lottare. I babbuini e impala si muovono spesso insieme per avvisarsi a vicenda in caso di pericolo ma in questo periodo lo sono ancora di più perchè gli impala sono distratti. Gli alberi hanno terminato la fioritura e la maturazione della frutta, le tigellie africane (alberi delle salsicce) sono pienissime di frutti.

– maggio: le acque portate dalle piogge dagli altopiani angolani arrivano in Botswana al vertice del Delta dell’Okavango. Le piogge sono finite e le notti sono più fredde con temperature superiori a 15° C. I giorni sono ancora caldi con temperature fino a 35° C. I buffali iniziano a raggrupparsi in grandi mandrie e si avvicinano più spesso alle aree fluviali visto che le pozze stagionali cominciano ad asciugarsi. Lo stesso vale per gli elefanti. Il bush incomincia a prendere i colori classici dell’autunno. I predatori tornano a mimetizzarsi visto che le praterie  prendono il loro colore. Gli uccelli migratori iniziano a partire per passare l’inverno in paesi diversi.

– giugno: i wild dogs iniziano a fare le tane che saranno la loro casa per 3 o 4 mesi quando nasceranno i cuccioli. Le temperature scendono a 5°C di notte mentre di giorno sono intorno ai 25°C. Le pozze d’acqua temporanee sono praticamente tutte asciutte quindi gli erbivori si concentrano lungo i fiumi e i predatori li seguono. Inizia ad essere tutto secco e polveroso. Alcune piante mantengono ancora le foglie ma la maggior parte sono spoglie. L’acqua delle piogge raggiunge il centro del delta dell’Okavango.

– luglio: l’acqua delle piogge riempie tutto il delta. La Moremi ha il picco dell’acqua. Non ci sono più foglie sulle piante. Le notti sono ancora fredde ma i giorni sono piuttosto caldi e il tempo è quello tipico del Botswana, soleggiato con brillanti cieli blu cobalto. Sempre più animali si riuniscono vicino all’acqua e alle pianure alluvionali. L’acqua arriva ovunque dando la possibilità di girare per i canali del delta con i mokoro e con le piccole barche. La luce tenue al mattino e alla sera  unita alla polvere offre l’opportunità di fare foto particolari.

– agosto: l’acqua delle piogge arriva a Maun all’inizio del mese per poi iniziare a ritirarsi a fine agosto. Nelle annate in cui sono abbondanti l’acqua arriva ad inondare le zone del Makgadikgadi Pan e il fiume Boteti esonda. Le temperature salgono raggiungendo di giorno i 30 ° C e la notte i 10°C. Tutti gli animali si concentrano ai fiumi quindi si creano tensioni per accaparrarsi lo spazio vicino all’acqua. Il bush è completamente secco e asciutto. La polvere è ovunque. Si possono vedere grandi azioni di caccia con facilità.

– settembre: gli uccelli migratori incominciano a tornare. Le cicogne nidificano. I livelli d’acqua continuano a calare, l’acqua nell’Okavango si ritira lentamente. Alcuni alberi iniziano a produrre i loro primi germogli verdi. Il clima cambia. L’inverno è finito. Le temperature notturne salgono. Gli elefanti e i bufali si concentrano in gruppi ancora più numerosi all’acqua e questo mantiene i predatori occupati. C’è abbondanza di avvistamenti dei leoni.

– ottobre: è molto caldo. Le temperature diurne aumentano sino a superare i 40° C e quelle notturne i 20°C. Ottobre è un ottimo mese per i game drive – vale la pena sopportare le temperature! Questo è il periodo dell’anno in cui gli erbivori sono più deboli a causa della mancanza di cibo e i leoni sono al top. Non ci sono nascondigli, tutte le erbe e tutti i cespugli sono stati mangiati o calpestati. Gli inseguimenti di predatori alzano in nuvole di polvere sulle pianure. Di notte il Savuti è al meglio per i rumori di leoni e barriti di elefanti. La caccia qui è al massimo.

– novembre:  è il mese peggiore per le persone e gli animali. C’è l’attesa delle piogge. La vita è durissima. Le prime piogge cadono normalmente intorno a metà novembre. Quando arrivano gli animali si disperdono per mangiare l’erba fresca e bere alle pozze stagionali. La stagione delle nascite inizia con i  tsessebe seguita poi da impala e lechwe. I predatori cercano i giovani vulnerabili e uccidono molte volte al giorno. È un momento perfetto per le foto per le nuvole cariche di pioggia, i colori, gli alberi pieni di gemme.

– dicembre:  L’erba fresca ​​alimenta le giovani madri delle antilopi e degli gnu e i piccoli crescono velocemente. Le piogge diventano più regolari con temporali ogni pochi giorni. Ci sono acqua ed erba fresca ovunque quindi per gli erbivori è il periodo migliore al contrario dei carnivori. Non si riescono più a mimetizzare con i colori della savana anche se riescono a monitorare meglio le prede nascondendosi nei cespugli pieni di foglie. Le azioni di caccia sono più difficili anche perchè gli erbivori sono al top della forma. Tutti gli uccelli migranti sono arrivati. Grandi colori, cieli drammatici e fulmini di notte tutti aggiungono alla magia di dicembre.

Due info generali: Il Botswana è una delle ultime vere aree selvagge del pianeta. La natura incontaminata del più grande delta del mondo, il Delta dell’Okavango con la Moremi Game Reserve; l’inimmaginabile vastità della Central Kalahari Game Reserve, Mkgadikgadi e Nxai Pan con le saline di grandi dimensioni, il Parco Nazionale Chobe con più alta densità al mondo di elefanti… tutto questo rende il Botswana unico tra le grandi destinazioni per i safari.  Il Botswana è l’ultima roccaforte per un gran numero di uccelli ed animali in via di estinzione tra cui il licaone, il leopardo, la iena bruna, il grifone (avvoltoio) del Capo e la civetta pescatrice. Tra gli altri durante i safari è possibile avvistare elefanti, bufali, giraffe, zebre, ippopotami, coccodrilli, rinoceronti, leoni, leopardi, ghepardo, caracal, impala, kudu, gnu; un’immensa varietà di uccelli, di terra e d’acqua, residenti e migratori.  La ricchezza culturale del Paese è data dal popolo dei San (Boscimani) che vive nel deserto del Kalahari e dalle Tsodilo Hills, con la più alta concentrazione di pitture rupestri al mondo, sito protetto dall’UNESCO.

Il Botswana è una Repubblica presidenziale, ha un governo stabile e solo 1,7 milioni di abitanti. La capitale è Gaborone.

Documentazione: informazioni varie trovate su internet e documentazione che ci ha fornito Andy.

Come mappe entrambe validissime:

1) Tracks4Africa acquista on-line

(https://www.amazon.it/Botswana-GPS-Tracks-Karte-000/dp/0992183081/ref=sr_1_4?hvadid=80745416975772&hvbmt=bp&hvdev=c&hvqmt=p&keywords=tracks4africa&qid=1571579110&sr=8-4)

2) Info Map che abbiamo acquistato ad aprile  nel parco Kgalagadi ma la vendano anche on-line:

– digitale Rand 95 (https://www.infomap.co.za/shop/botswana/botswana-digital-map)

– cartacea Rand 138 (https://www.infomap.co.za/shop/botswana/botswana-paper-map)

Importantissimo: le mappe cartacee indicate sopra sono tutte in scala corretta, molte che si trovano su internet con il dettaglio dei parchi NON sono in scala uguale in tutti i punti. E’ bene considerare questo perchè in un paio di occasioni, non sapendolo, nella Moremi abbiamo fatto i conti sbagliati sulle tempistiche di alcune strade.

Cellulare: in molti tratti non c’è segnale. Super consigliato l’affitto del satellitare (lo si affitta presso i rental car)

Fuso: sia in Sud Africa che in Botswana, uguale all’Italia.

Fotografia: state attentissimi alla polvere che arriva ovunque. Proteggete l’attrezzatura e tutte le sere vi conviene pulirla. Ho fatto 1.800 foto … quest’anno mi sono limitata … Come lenti ho usato 10-20, 24-105, 70-300. Il tele è fondamentale per gli animali.

Corrente: in Sud Africa c’è una spina apposta mentre in Botswana sia quella sudafricana che quella inglese R18.

Temperatura e abbigliamento: durante il giorno fa caldo. Maglietta e pantaloncini sono l’ideale. La sera fa freschino quindi ci vuole una felpa e in alcuni posti un giubbotto leggero. I pantaloni lunghi servono per le eventuali zanzare. In Sud Africa freddo la sera.

Sole: alba alle 6.00 tramonto alle 17.30

Giornata tipo: all’alba in auto, se non prima, cena intorno alle 18 e in branda verso le 20/21 massimo.

Organizzazione: un genere di vacanza come questa si deve organizzare nei minimi dettagli per il fatto che si rimane diversi giorni in posti completamente sperduti. Si devono fare bene i conti per i rifornimenti di gasolio, cibo e acqua.

Cortesia: quando ci si rivolge ad una donna bisogna dire: “dumela mma” mentre ad un uomo “dumela rra”. Apprezzano molto.

Opinione generale: In 5 parole: l’Africa non delude mai.

B) ITINERARIO GIORNO PER GIORNO:

1) 03 agosto 2019 sabato: Malpensa – volo

Dopo 11 mesi finalmente siamo al giorno della partenza. Ci troviamo alle 15.00 al Travel Parking (http://travelparking.it/), vicino a Malpensa, con la famiglia Pocket. Siamo tutti felici di replicare una vacanza in Africa insieme. In aeroporto solita trafila e alle 19.00 puntuali partiamo per Roma. Agli imbarchi per Johannesburg troviamo Renzo e Simona (partiti da Bergamo). Ora il gruppo è al completo. Alle 22.00 si riparte.

 

2) 04 agosto 2019 domenica – km. 245 (asfalto): Johannesburg – Waterberg (Matamba) (SA)

Alle 8.20, dopo 9 ore e 1/2 atterriamo in terra sudafricana (stessa ora dell’Italia). Passiamo velocemente i controlli. Stranamente non chiedono il certificato di nascita multilingue per Martina, che è ancora minorenne. Le altre volte, anche quando Matteo lo era, li avevano controllati tutti e due dalla prima riga all’ultima. Mi sa che non si è resa conto dell’età. Cambiamo qualche euro in Rand (pochi perchè poi in Botswana non li accettano) e andiamo a ritirare i bagagli. Una valigia dei Pocket non arriva… andiamo al banco dell’Alitalia ed ecco la piacevole scoperta… Alitalia non consegna i bagagli in altro posto se non in aeroporto. Qualche anno fa era capitato anche a noi, ma avevamo volato con Ethiad e ce l’avevano recapitata al Kruger (600 km. di distanza)… Alitalia non dà questo servizio. Quindi, siccome risulta rimasta a Roma ed arriverà qui domani mattina, i Pocket dovranno venire a prenderla e poi ci raggiungeranno al Khama Rhino. Che jella. Usciamo. Dopo lungo cercare troviamo l’addetto della Bushlore… era dietro una colonna vicino all’uscita dell’aeroporto… mah … In meno di mezz’ora raggiungiamo i loro uffici. Vediamo i nostri 3 bolidi tutti in fila in direzione cancello… pronti a partire… come noi. Firmiamo tutti i documenti. Abbiamo l’assicurazione con franchigia di € 1300 quindi ci chiedono se vogliamo dimezzarla pagando € 100 oppure portarla a zero pagando € 300. Decidiamo di non fare nulla quindi ci fanno una strisciata della carta di credito di Rand 20.000. Il secondo autista è gratuito. Ci rilascia il permesso per portare la macchina in Botswana. Questa parte è stata veloce…  anche se la ragazza dell’accettazione si sbaglia e ci fa firmare i documenti mescolati. Praticamente nessuno di noi guida la macchina intestata a lui. Le facciamo anche notare che neppure le carte di credito corrispondono quindi in caso di un eventuale addebito a fine viaggio verrebbe imputato alla persona sbagliata. Questa cosa non ci va anche perchè dobbiamo passare la frontiera e non vogliamo grane (visto che i Pocket la passeranno ore dopo e da soli quando ci raggiungeranno). Chiediamo di modificare tutto ma sta per andare in pausa e quindi ci dice di no. Ci lascia un documento che dichiara che chiunque di noi può guidare qualsiasi jeep e basta. Quando riporteremo le macchine, siccome dovranno addebitare alcune cose e rimborsarne altre, perderemo parecchio tempo perchè la segretaria, un’altra molto più furba, dovrà sistemare tutto e anche lei ci dice che è stato assurdo il lavoro della collega. Una volta ultimata la parte burocratica, passiamo alla parte pratica. Impiegheremo 2 ore e mezza … C’è solo un signore che ci fa vedere tutto il funzionamento e lo fa, identico, per ogni macchina. Controlla anche tutte le attrezzature una per una. Per fortuna che non eravamo in 10 mezzi… Gli diciamo dopo un pò che abbiamo parecchia strada da fare ma non accenna a velocizzare. Avrebbero dovuto essere in 3 e non solo lui. Renzo e Simona, avendo solo una tenda, hanno le due taniche per la benzina legate sul tetto mentre noi le abbiamo nel cassone. Siccome portano via parecchio spazio, le facciamo legare tutte sulla loro macchina. Finalmente riusciamo a partire alle 14.00.

Strada: Imboccare la R21 fino a Pretoria poi la N1. Dopo 160 km dalla partenza, appena oltre il casello di Kraskop, seguire la R33 che passa per Modimolle. A Vaalwater, dopo  4 km. dal centro, allo svincolo, rimanere sempre sulla R33. Dopo 27 km. svoltare a sinistra sulla D1882 e poco dopo ancora a sinistra per arrivare al Matamba Bush Camp (gps S24 06.024 E27 58.801).

Market: nelle principali città

Banca: nelle principali città

Benzinai: ovunque

In uscita da Johannesburg ci sono alcuni telepass. Quello dei Pocket non funziona quindi ogni volta devono fermarsi a pagare. La velocità è di 120 km/h e ci sono parecchi autovelox. Ci fermiamo in un autogrill per pranzare. C’è un piccolo bar quindi compriamo toast, hamburger e patatine e acquistiamo acqua al market. Finalmente alle 18.00 arriviamo al campo.

Informazioni sul Matamba:

Si può pernottare al Tau Camp  o al Mara’s Camp, distanti circa 30 minuti a piedi. Al Tau c’è la piscina per entrambe i campi. Ci sono a disposizione il braai ed un pò di legna. Quella in più si può acquistare a R 40 (€ 2,60).

Si trova nelle Waterberg Mountains. Nella proprietà vivono: zebre, giraffe, gnu, impala, eland, orix, antilopi nere (Roan Antelope), facoceri, tassi del miele (honey budger), caracal, galagoni (bush baby), genette, nyala, tartarughe di terra, volpi orecchie di pipistrello (bat eard fox), iene marroni, ecc.

Ci sono diverse panchine lungo i sentieri della proprietà e 4 pozze d’acqua:

– Rock Waterhole: si raggiunge a piedi in 5 minuti dal Tau Camp e 20 dal Mara’s Camp. Ci sono sempre molti animali che vengono a bere qui. Di notte è usuale vedere la iena marrone. C’è solo una panchina.

– Hibu Hide: palafitta in legno con panchine vicino alla pozza. Dista 150 mt. dal Mara’s Camp e 20 minuti a piedi dal Tau Camp.

– Ndege Hide: capanno che si affaccia su un bel laghetto naturale dove si vedono kudu ed eland. Una coppia di caracal abita qui. Si trova nella parte meridionale della proprietà.

– Matamba Plains: si trova a metà stada tra il Tau Camp ed il Mara’s Camp. Ci sono delle zone pianeggianti, alcune panchine ed una pozza. Si vedono erbivori a qualsiasi ora.

Pernottamento: Matamba Bush Campsite

campeggio (cena inclusa – colazione autonomi)

(http://www.matambabushcamp.com/ ) – (gps S24 06.024 E27 58.801)

Costo a testa: R 300 (€ 19) solo pernottamento + costo della cena  circa R 160 (€ 10) – tot.circa € 120.

Il cancello ha un lucchetto con la combinazione quindi telefoniamo al numero indicato per farcela dare. Dobbiamo chiudere bene perchè nella proprietà ci sono diversi erbivori. Si può pernottare al Tau Camp o al Mara’s Camp, distanti circa 30 minuti a piedi. A metà strada troviamo il proprietario, un omone bianco gentilissimo. Ci accompagna al Tau Camp. E’ un spiazzo nel bush con i bagni vicini. La sabbia è tutta perfettamente rastrellata. Al centro c’è il boma fatto in cemento. Accendiamo subito il fuoco con la legna che ci ha portato il proprietario. Dovesse servirne altra costa R 40 (€ 2,60) a fascina. La cena è compresa. Ci dice che sarà alle 19.00. Lui chiacchiererebbe volentieri ma non abbiamo tempo. Il sole è già tramontato quindi dobbiamo organizzarci con la macchina  e lavarci. Essendo la prima volta, vorremmo fare tutto con ancora un pò di luce. Corriamo come matti ma ce la facciamo. Apriamo le tende. Ci vogliono tre minuti di orologio, richiuderle è più lungo ma una volta capito il funzionamento, è veloce anche quello. Questo compito sarà di Pier e Matteo. La Bushlore ci ha fornito la biancheria tutta impacchettata nei sacchetti della lavanderia. Ci sono due teli lisci da mettere sui materassi, 4 federe dello stesso colore per i cuscini, il sacco a pelo pesante e 4 teli di spugna per la doccia. La jeep nel retro ha un grosso cassettone nel quale ci sono pentole e varie, lo useremo anche per ritirare il grosso della spesa (il resto lo metteremo in scatoloni di cartone presi in un market). Sul lato sinistro della macchina, che consente l’accesso al frigo senza aprire il retro, ha una parte in verticale dove ci sono posate, piatti, coltelli, bicchieri e dei contenitori in plastica con il tappo dove mettiamo sale, zucchero e caffè. Molto comodo. Ci facciamo la doccia (bagni pulitissimi). Scopriamo qui il perchè questo campo si chiama Tau. C’è una foto, appesa appena fuori dai bagni, di un bellissimo pastore tedesco, Tau. C’è una sorta di dedica che dice più o meno così: il rumore dei tuoi passi si può sentire ancora sulla sabbia, la tua anima è ancora tra di noi…. Il proprietario ci spiegherà che quando si sono trasferiti qui, il loro cagnolone ha assistito alla costruzione di tutto e girava libero ovunque. Bello. Quando torniamo alla macchina ormai è buio. Tiro una corda elastica (portata da casa con le mollette) tra le due scalette delle tende così posso stendere gli asciugamani ad asciugare prima di ritirarli. Questo è un dettaglio non da poco. Se non si asciugano bene poi puzzano e li si deve usare per diverse sere. Alle 19.00 siamo tutti pronti. Non sappiamo come abbiamo fatto… Non avevamo solo inteso che la cena non era presso una struttura …. ma la portava il proprietario qui …. quindi, come non detto, dobbiamo tirare fuori anche sedie e tavolo più piatti ecc. ecc. Ci sembra di essere in una lavatrice… ma  riusciamo ad organizzarci velocemente. Consideriamo anche che sono 36 ore che non dormiamo… E’ buio pesto quindi dobbiamo usare tutte le nostre torce (quelle frontali le abbiamo portate da casa e sono le più comode). Ci ha portato anche il bere che avevamo ordinato all’arrivo quindi iniziamo con un bel brindisi con una Windhoek Lager (birra namibiana). La cena sarà buona: lasagne cotte in pentole di ghisa e una meravigliosa insalata che però abbiamo paura a mangiare non sapendo con quale acqua è stata lavata. Qualcuno l’ha mangiata, altri no. Nessun problema intestinale quindi ci spiacerà ancor di più averla avanzata. La temperatura scende drasticamente quindi ci avviciniamo al fuoco. La luna è solo appena appena accennata quindi la croce del sud si vede bene e la via lattea è spettacolare. Non riusciamo più a tenere gli occhi aperti  quindi alle 22.00 ci ritiriamo nei nostri appartamenti.

 

3) 05 agosto 2019 lunedì – km.345 (300 asfalto + 45 sabbia):  Waterberg (Matamba) (SA) – Khama Rhino (Bots.)

Strada: Viaggiare sulla R33 fino a Lephalale, sulla R510 fino Monte Christo, poi sulla R572 fino ad incrociare la N11. Qui giriare a sinistra. Dopo 10 km. si arriva alla frontiera. Sono 160 km. dal Mathamba Bush Camp, percorsi in 2 ore e 15. Una volta superata la frontiera sono altri 185 km. (percorsi in 3 ore) per raggiungere il Khama Rhino seguendo sempre la N11 fino a Palapye e poi la A14 passando per Serowe. Si arriva 30 km. dopo il paesino di Paje al Khama Rhino Sanctuary (gps S22 14.072 E26 43.204).

Frontiera: Globlersburg Border (Sud Africa) e Martin’s Drift Border Control (Botswana) (orari: 6-22) (gps S22 59.809 E27 56.286). Si devono pagare Pule 150 (€ 12,50) per il passaggio della macchina (c’è un piccolo banco di cambio se non si ha la valuta locale). Si potrebbe pagare con la carta di credito ma per lo più delle volte non funziona.

Market:

– Lephalale

– Spar a Palapye: Plot 68, Unit 3, BGI Centre  (orari: 8.00-20.00 lu-ve) oppure Plot 1707, Lotsane Complex (orari: 8.00-20.00 lu-ve)

– Spar a Serowe: Plot 3818, Shop 6, Main Mall (orari: 8.00-20.00 lu-ve) oppure Boiteko Junction Mall  (orari: 8.00-20.00 lu-ve)

Banca: Lephalale, Palapye e Serowe

Benzinai:  Lephalale, Martins Drift, Palapye e Serowe.

Notte trascorsa nel silenzio più assoluto. Abbiamo dormito bene nella tenda. Freddo zero nonostante la temperatura questa notte è scesa parecchio. Abbiamo tenuto tutte le coperture delle zanzariere chiuse. Avevo un pò di titubanza ma mi sono dovuta ricredere. Il materasso è da una piazza e mezza quindi non larghissimo per due persone ma è comodo. Bisogna però dire che questa sera ma anche tutte le altre che seguiranno… dopo giornate impegnative … si dormirebbe anche sui sassi… Alle 6 inizia ad albeggiare e sentiamo i Pocket in attività. Hanno la giornata super impegnativa di ritorno a Johannesburg per la valigia e poi dovranno raggiungerci al Khama Rhino. Pier si alza ad aiutarli e poi ci alziamo tutti. Con la luce sistemiamo ancora un attimo il cassone e alle 7.30 siamo in partenza. Seguiamo le indicazioni date e raggiungiamo la casa del proprietario (bellissima) per pagare le bevande di ieri sera, che non erano comprese (R 100 € 6,25), e poi ci indirizziamo all’uscita. Nella proprietà vediamo due giraffe e alcuni impala. I meno di un’ora siamo a Lephalale. E’ una cittadina abbastanza grossa con hotel, market, ristoranti, benzinai ecc. Ci fermiamo per colazione da Mc Donald perchè non vogliamo perdere tempo a cercare altro (R 195 € 12). Il sole inizia a scaldare quindi ci sediamo fuori. Dopo un’oretta ripartiamo. Lungo la strada, monotona, nulla di rilevante da dire, vediamo solo facoceri e babbuini. In 1 ora e 15 siamo in frontiera. Ovviamente sono lenti e ci sono diversi sportelli nei quali fermarsi. Quella sudafricana è più veloce. La frontiera naturale è il fiume Limpopo. Lo attraversiamo passando sul ponte. Appena oltre dobbiamo passare con la macchina in una pozza con disinfettante per pulire le gomme e dobbiamo scendere e passare le scarpe su uno straccio (serve per evitare il diffondersi di malattie per gli animali). Andiamo poi alla frontiera del Botswana. Ci chiedono il certificato di nascita multilingue di Martina, ci fanno indicare sui passaporti il nostro nome da controllare con quello indicato sul documento. Compila di qui, compila di là, vai a cambiare, in un mini ufficio cambio, ovviamente super sconveniente, appena fuori dalla struttura, pochi Rand (non accettano euro) in pule per pagare l’ingresso della macchina (si sbagliano pure perchè dovrebbe essere Pule 150 ma ce ne chiedono solo 50) e dopo un’ora in tutto, possiamo partire. Puntiamo a Palapje. Ci ferma, poco prima, la polizia. Ci dice che andavamo più veloci del consentito. Difficile perchè Pier, per evitare grane, rispetta sempre i limiti. Non vogliamo contestare. Ci dice che dobbiamo pagare Pule 800 (€ 66). Noi non li abbiamo perchè l’idea era di arrivare in città a prelevare. Gli diciamo che ne abbiamo solo 150 (€ 12). Al che lui ci chiede se vogliamo la ricevuta… ecco… tutto il mondo è paese… Ripartiamo senza ricevuta e avendo pagato solo quello che avevamo… In 1 ora e 1/2 dalla frontiera, siamo a Palapje, in un grosso centro commerciale dove riusciamo a fare tutto: benzina, prelievo al bancomat (massimo consentito Pule 2500 € 208 quindi usiamo due carte) e spesa. Ogni volta che andremo al market considereremo sempre in numero di pasti in modo tale da non portarci dietro peso per niente. Avendo il frigo resiste tutto benissimo anche con il caldo. Al market acquistiamo anche il pranzo. Si trova sempre una sorta di take away quindi prendiamo riso con aggiunta di verdure e pezzi di pollo. Non ci sono tavolini quindi mangiamo in macchina all’ombra. Appena esce il sole scatta subito il pantaloncino e la maglietta maniche corte. Si riparte e in un’altra ora e 1/2 siamo al Khama Rhino Sanctuary, che visiteremo, e poi dormiremo qui.

Informazioni sul Khama Rhino Sanctuary:

http://www.khamarhinosanctuary.org.bw/

Costo d’ingresso: BWP 86,50 (€ 7) a testa e BWP 106,50 (€ 9) la macchina (per noi sono comprese)

Orari: 7.00-19.00 per i visitatori giornalieri.

La mappa si acquista al curio shop a BWP 10 (€ 0,80).

Questo parco di 8585 ettari è stato istituito nel 1992 con lo scopo di creare un paradiso per la protezione dei rinoceronti bianchi e neri, ad altissimo rischio di estinzione. Un tempo queste terre brulicavano di animali selvatici ed ora molti sono tornati, altri sono stati reintrodotti. Ora vivono 4 rinoceronti neri, 30 bianchi, 30 specie di altri animali e 230 di uccelli.

Si sovvenzionano con il contributo dei turisti.

Si può pernottare in campeggio o lodge, c’è il ristorante con un piccolo negozio e ci sono aree pic-nic.

Attività:

– self drive (vendono la cartina all’ingresso): gratuito

– game drive: BWP 750,75

– night drive: BWP 877,80

– guided drive (guida privata che viene sulla tua macchina): BWP 288,75

– nature walk: BWP 288,75

– rhino traking: BWP 462

Pernottamento: Khama Rhino Sanctuary a Serowe 

campeggio (autonomi per la cena e la colazione)

(http://www.khamarhinosanctuary.org.bw/)  – (gps S22 14.072 E26 43.204)

Costo a testa: BWP 108 (€ 8,90) – tot.€ 36

Costo fees: Pule 72 (€ 6) a testa e Pule 88 (€ 7,33) la jeep – costo mappa del parco BWP 10 (€ 0,90).

Orari: dalle 7 alle 19 tutti i giorni.

Ci sono 22 posti campeggio –  bagni – braai – market per generi di base + legna –  piscina – ristorante – non è recintato

Alla reception ci registriamo e siccome abbiamo deciso di cenare al ristorante, prenotiamo il taxi (Pule 40 € 3 per tutti) per le 18.30 che verrà a prenderci alla nostra piazzola e ci porterà a destinazione. Il parco è su sabbia ma non vogliamo sgonfiare le gomme perchè poi domani abbiamo ancora parecchi km di asfalto quindi inseriamo il 4×4 e basta. Alla pozza principale, mentre io fotografo diverse giraffe impegnate ad abbeverarsi, Pier si accorge che il 4×4 non si riesce più a disinserire. Renzo e Simona invece ce la fanno. Pensiamo sia un problema della nostra macchina (anche se si può viaggiare su asfalto con 4×4, consuma solo un pochino di più e forse si va leggermente più piano) e quindi vorremmo tornare al paese prima a cercare un meccanico. Accantoniamo l’idea perchè è tardi ma non ci godiamo la visita del parco. Alla fine tutte e 3 le jeep avranno questo problema quindi deduciamo che alla Bushlore non ci hanno detto di preciso come fare a toglierlo. A volte, di punto in bianco, quando provavamo, si disinseriva, ma non c’era una logica. I Pocket si faranno tutta la vacanza senza mai riuscire a toglierlo… Vediamo, oltre alle giraffe, alcune zebre, impala, springbok e cobo dell’ellisse (waterbuck). Guida un tratto Matteo e si becca da me un rimprovero. Passiamo di fianco ad una lepre, non l’avevamo mai vista in Africa. Gli dico di fermarsi e ridendo lui passa oltre dicendo… è solo una lepre… me lo sarei mangiato!!! Completiamo il giro più breve in un’ora e mezza senza vedere nessun rinoceronte. Alle 17 siamo al campo, il n°9. C’è una grossa pianta di moringa proprio in mezzo e ci sono il braai e il boma. Anche qui la sabbia è tutta perfettamente rastrellata. Organizziamo definitivamente nei dettagli il cassone e poi andiamo a farci la doccia. Questi saranno gli unici bagni brutti di tutta la vacanza. Il sole cala e puntuale arriva il nostro taxi: una jeep dei game drive aperta. Ci mettiamo i giubbotti e partiamo. Raggiungiamo il ristorante in una ventina di minuti. Cena senza infamia e senza lode (Pule 723 € 60). Siamo in pensiero per i Pocket per il fatto che non sono ancora arrivati. E’ qualche ora che non li sentiamo. La valigia l’hanno recuperata. Finalmente ci scrivono verso le 20. Si sono fermati in un hotel a 30 km. da noi, a Serowe. C’è anche il ristorante all’interno. Hanno fatto benissimo perchè la vedevo parecchio dura montare il campo, preparare cena e farsi le docce. Sono distrutti quindi è stata la scelta migliore. Ci mettiamo d’accordo per domani mattina su dove trovarci. Torniamo alle jeep e andiamo subito a dormire.

4) 06 agosto 2019 martedì – km.410 (405 asfalto + 5 sabbia): Khama Rhino – Khumaga (Makgadikgadi)

Strada: A14 direzione nord-ovest fino a destinazione (4 ore e 1/2) a Khumaga nel Makgadikgadi National Park (gps S 20 27.311 E 24 30.968)

Market: Spar a Letlhakane (Spar Mall, Tawana Ward – orari: 8.00-20.00 lu-ve)

Banca: Letlhakane

Benzinai: Letlhakane,  Mopipi, Rakops (questi ultimi due  sono inaffidabili)

Uffici DWNP (Department of Wildlife and National Parks): (gps S21 24.744 E25 35.000) (orari: lu-ve 7.30/16.30; sa 7.30/12.45 e 13.45/16.30; do 7.30/12.45) Si potrebbero pagare le conservation fees dei parchi con carta di credito. A noi hanno detto che quel giorno non potevamo farlo.

All’alba siamo in piedi. Partiamo alle 7.15. Lungo la strada ci sono molte mucche e capre. Una cinquantina di km prima di Letlhakane c’è una barriera veterinaria ma non ci fermano. Gli addetti stanno facendo colazione quindi mega salutone con la mano e mega sorrisi. In 2 ore siamo a Letlhakane. Dobbiamo trovarci agli uffici della DWNP con i Pocket. Solito tempismo, entriamo insieme nel parcheggio… Andy ci aveva detto che in questi uffici potevamo pagare le conservation fees per i parchi dei prossimi giorni ma ci dicono che oggi non si può fare. Farfugliano qualcosa ma nessuno riesce a capire qual’è il problema. Pazienza, oggi e domani pagheremo in contanti e poi andremo a Maun a pagare con carta Moremi ecc ecc. Di fronte agli uffici c’è un grosso centro commerciale quindi facciamo spesa qui. Considerare che, come in Sud Africa, gli alcolici, anche la birra, li vendono nei negozi separati che si trovano di fianco ai market. I Pocket ne approfittano per prelevare, non avendo potuto farlo ieri con noi. Ora perderemo un pò di tempo perchè abbiamo la brillante idea di andare a fare gasolio ad Orapa, anzichè farlo qui. Andy non aveva segnato il distributore nel suo dettaglio ma noi, vedendolo indicato sulla cartina, abbiamo pensato fosse un errore. Quando arriviamo quasi a destinazione la strada è bloccata. Ci vogliono i permessi per accedere alla città perchè estraggono diamanti. Il distributore c’è ma non si può accedere. Dobbiamo così tornare a Letlhakane. Perderemo una mezz’ora. Ripartiamo raggiungendo Mopipi in 1 ora e 15. Superiamo per strada due barriere veterinarie. C’è la sbarra in senso opposto, nella nostra direzione no. Non ci fermano. Come avevo letto i controlli vengono fatti da nord a sud. Ci sono vari punti in cui vendono legna quindi ci fermiamo a fare scorta per questa sera e domani sera. Un suggerimento che posso dare è di acquistarla lungo le strade e non nei market così si aiuta la gente del posto. A Mopipi (paesino insignificante) rifacciamo gasolio e poi cerchiamo un posto in cui poter pranzare. Non troviamo nulla di decente quindi ci accontentiamo dell’ombra di due piante e stiamo in piedi fuori dalla macchina. Alcuni cani, molto rispettosi, si avvicinano in punta di zampe per mangiare le briciole. Poverini, sono magrissimi. Da Mopipi a Rakops vivono i boscimani (originali). Ci avevano detto di chiedere alla gente del posto se sanno dove sono in questi giorni. Si spostano in continuazione ma spesso piazzano i campi non distanti dalla strada. Se si è fortunati si può incontrarli donando acqua e qualcosa da mangiare che a loro fanno molto comodo. Prima di partire chiedo a due persone al distributore ma mi dicono che non sanno dove sono in questi giorni. Pazienza. Sia a Mopipi che a Rakops si possono vedere le donne vestite di abiti colorati e singolari cappelli come le Herero della Namibia. Solitamente si vestono così per la festa ma alcune li indossano sempre. Noi ne vediamo una su un carretto trainato da due asinelli prima di uscire da Mopipi. Ci fermiamo anche a regalare dei vestitini ad alcuni bimbi. I loro sorrisi e la loro felicità riempiono sempre il cuore. Mopipi il paesaggio cambia. Lasciamo le strade costeggiate da recinzioni e da vegetazione per entrare nella zona desertica e selvaggia. Non ci sono più reti di protezione, gli animali come mucche e capre vagano ovunque, ci sono le prime capanne ed è tutto bianco senza cespugli e piante. A Rakops non ci fermiamo. Qui c’è lo svincolo per il Central Kalahari. In questo giro non siamo riusciti ad inserirlo ma sarà una delle nostre prossime mete unito al Kgalagadi lato Botswana. Da Mopipi in 1 ora e 1/2 siamo a Khumaga. Questo piccolo villaggio prende il nome dai tuberi commestibili che vengono raccolti in quell’area. Sapevamo che prima dell’agglomerato del paese, sulla destra, c’è un negozietto (ha un’insegna con il simbolo del pane) dove vendono pane fresco. Era nelle nostre intenzioni fermarci ma non lo abbiamo trovato. Qui la gente ha molto bisogno quindi ci fermiamo a lasciare vestiti ai bambini. Ce ne sono ovunque e quando vedono le macchine corrono come matti urlando di gioia. Da qui si entra nel Makgadikgadi National Park (gps S20 27.384 E24 31.001). Prima del fiume sgonfiamo le gomme da 2,4 a 1,5 perchè da qui sarà tutta sabbia. Usiamo il nostro manometro portato da casa senza tirare fuori quello grosso in dotazione della macchina. Il gate del parco è oltre il fiume Boteti che si crea con l’esondazione del fiume Okavango. Solitamente si traghetta una macchina alla volta su una chiatta  ma quest’anno, avendo piovuto pochissimo il fiume è quasi tutto asciutto (https://www.youtube.com/watch?v=XgeyID_S6-Y). Ci sono solo piccole pozze. Vediamo la chiatta sulla sabbia. C’è qualche pozza dove si stanno abbeverando delle mucche. Non ci sono recinzioni come in tutto il Botswana quindi gli animali possono arrivare in paese. Passiamo il letto del fiume ed entriamo nel Makgadikgadi National Park dal Khumaga Gate (gate ovest) (gps S20 27.384 E24 31.001).

Informazioni sul Makgadikgadi National Park:

– http://www.botswanatourism.co.bw/explore/makgadikgadi

– http://www.madbookings.com/botswana/information/makgadikgadi-botswana.html

– https://africageographic.com/blog/chapmans-baobob-one-of-africas-largest-trees-falls/ (Champan’s baobab)

– http://geographical.co.uk/places/deserts/item/2137-the-enduring-legacy-of-the-fallen-baobab (Champan’s baobab)

Conservation Fees da pagare in contanti: BWP 120 (€ 10) adulto – BWP 60 (€ 5) minorenne + BWP 50 (€ 4) auto

Orari: da aprile a settembre 6.00/18.30 – da ottobre a marzo 5.30/19.00

accessibile solo con 4×4 –  al gate danno una mappa non molto dettagliata

Tutte le strade all’interno del parco sono accidentate e in molti casi molto sabbiose, quindi è essenziale, oltre che obbligatorio, avere un veicolo 4×4. Ci sono 4 gate: Khumaga ad ovest (traghettando la macchina sul fiume Boteti – Pule 200 € 16); Phuduhudu, Makolwane e Xirekara  (ora dovrebbe essere chiuso) a nord. Ci sono due campeggi, uno a Khumaga ed uno a Tree Island (vicino a Njuca Hills). Le Makgadikgadi Pans rappresentano  una delle più grandi depressioni saline al mondo. Hanno un’estensione di  12.000 kmq. Makgadikgadi significa vasta terra aperta senza vita. Fanno parte di quest’area il Makgadikgadi National Park e lo Nxai Pan National Park che si trovano nella parte ovest e nord ovest della depressione. Il Makgadikgadi National Park è la parte occidentale delle Makgadikgadi Pans. Il parco nazionale è stato dichiarato riserva di caccia nel 1970,  nel dicembre 1992 i confini sono stati ampliati fino a raggiungere le dimensioni attuali, circa 4900 chilometri quadrati. E’ contraddistinto da un paesaggio alieno, pianeggiante e decisamente spoglio. Durante la maggior parte dell’anno l’acqua non arriva, ne sottoforma di fiumi ne di pioggia.  Il clima è estremamente arido e, pertanto, mancano i grandi mammiferi. Durante i periodi di pioggia intensa, caratterizzati da abbondanti e continue precipitazioni il pan si riempie d’acqua attirando numerosi animali: zebre e gnu pascolano sulle pianure ricoperte d’erba fresca, le colonie di fenicotteri colorano l’acqua e le sponde delle due depressioni. Oltre all’acqua piovana, che si riversa nelle depressioni, si aggiungono anche i fiumi stagionali Nata, Tutume, Semowane e Mosetse. In anni con eccezionale piovosità anche le acque del fiume Okavango arrivano a riempire le conche del Makgadikgadi tramite il fiume Boteti. In questo periodo dell’anno le depressioni saline si trasformano in laghi azzurri, le cui acque lambiscono le sponde con un delicato sciabordio delle onde e scorrono sulla spiaggia ciottolosa, una chiara testimonianza del gigantesco lago preistorico.  Il bacino di Makgadikgadi è composto da diverse depressioni, le più grandi delle quali sono Sowa e Ntwetwe, circondate da innumerevoli altre piccole conche. A nord sono situate le conche di Kudiakam Pan, Nxai Pan e Kaucaca Pan. Tra queste conche sono intercalate dune, isole rocciose, penisole e aree desertiche. Sulla superficie salata delle conche non cresce vegetazione, mentre le zone marginali sono ricoperte di erba. Su alcune delle antiche sponde si ergono giganteschi baobab, le cui sagome al calar del sole creano suggestive immagini paesaggistiche. Durante il periodo delle piogge questa riserva offre buone possibilità di avvistamento degli animali selvatici, in particolare quando i grandi branchi di zebre e gnu iniziano le loro migrazioni verso la regione occidentale di Boteti. Le zebre, circa 30.000 compiono la seconda più grande migrazione d’Africa. Dai territori del nord-est, arrivano qui nel mese di marzo. Tra le specie animali ospiti in questa area ci sono antilopi alcine e alcefali, ma anche kudu, tragelafi, cefalofi, giraffe, antilopi saltanti, raficeri campestri ed elefanti, oltre ai predatori come le rare iene brune.

Tutti i gate dei parchi hanno la stessa struttura. Parcheggiamo ed entriamo. Ci registriamo sui libroni d’ingresso pieni di numeri che nessuno mai controllerà con quelli di uscita, verificano la prenotazione al campeggio, prendiamo la mappa del tratto lungo il fiume, paghiamo le conservation fees per due giorni ed entriamo. Sono le 16.45 quindi è troppo tardi per arrivare fino alla hippo pool. Andiamo al campeggio che dista un paio di km. Lungo il tragitto vediamo solo delle zebre. C’è una sorta di reception in una piccola casetta. Ci registriamo e poi andiamo alla nostra piazzola. I bagni (struttura uguale in tutti i parchi) sono vicini. Questa è la nostra prima notte senza recinzioni quindi l’attenzione è a 1000. Il campeggio è sulle rive del fiume Boteti. Accendiamo il fuoco e montiamo il campo, docce e poi prepariamo la cena. I tre ragazzi inizieranno un rituale che seguiranno tutte le sere: partita a scala quaranta in attesa di cenare. Il tramonto è verso le 17.30 e noi siamo in perfetto orario. Tutto fatto. Il cielo si colora di rosso e nel mentre passa una giraffa proprio davanti al sole. Rispetto alle due sere precedenti questa sera non fa freddo. Rimaniamo in maniche corte per parecchio e poi la temperatura richiede solo un pile. Decido di aprire tutte le coperture delle zanzariere nelle tende così se questa notte passa qualche animale lo possiamo vedere. Solitamente si aprono dall’interno, io non ho voglia di salire quindi mi arrampico in qualche maniera da fuori, faccio una fatica pazzesca ma riesco. Quando scendo mi accorgo che un signore mi guardava interessato per il singolare sistema usato e mi batte le mani per la buona riuscita. Gli dico che ora ho bisogno di farmi un’altra doccia… lui ride a crepapelle… non mi sembrava una gran battuta ma era un tipo super amichevole. Va beh, da domani userò il metodo tradizionale. Questa sera lo chef prepara piatto unico pasta con piselli e ragù (carne trita comprata questa mattina a Letlhakane). Cercheremo sempre di fare un piatto unico completo di tutto. Poi ci sarà sempre volendo formaggio, dolcetto e frutta. I ragazzi si sono comprati i marshmallow da fare cuocere sul fuoco quindi si organizzano con dei bastoncini. Ne assaggio uno … terribile. Matteo e Martina si ritirano in tenda a giocare ancora a carte. Noi facciamo il caffè, due parole e poi saliamo … sono le 20.30 … Ed ora possiamo aspettare i rumori che tanti ci piacciono dell’Africa. Ma niente, sarà una nottata super silenziosa. Ad un certo punto della notte dobbiamo chiudere tutte le coperture delle zanzariere perchè la temperatura è scesa.

Pernottamento: Khumaga Wildlife Camp, chiamato anche Boteti River Camp, (fa parte dei SKL Camp) –

campeggio (autonomi per cena e colazione)  – (gps S 20 27.311 E 24 30.968)

Costo a testa: USD 50 (€ 44)  – sotto i 17 anni $ 25 (€ 22) – tot.€ 154

Ci sono 10 posti campeggio (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone) – bagni – braai – non è recintato

– https://sklcamps.com/our-camps/ 

– https://www.selfdrive4x4.com/en/accommodation/khumaga-campsite/

– http://www.namibweb.com/khumaga.htm

 

5) 07 agosto 2019 mercoledì – km.147 (7 asfalto + 140 sabbia):  Khumaga (Makgadikgadi) – Nxai Pan (Baines’ Baobab)

Strada: visitiamo il Boteti riverfront, attraversiamo il parco direzione nord fino al Phuduhudu Gate (gps S20 12.439 E24 33.346), facciamo 11 km. di statale direzione est ed entriamo nello Nxai Pan National Park (gps S20 13.837 E24 39.247), visita e pernottamento nel parco al Baines’ Baobab Camp (gsp S20 07.067 E24 45.891).

Market: no

Banca: no

Benzinai: no

Mettiamo la sveglia alle 5.45 ma è ancora troppo buio quindi aspettiamo a scendere fino alle 6.00 quando inizia ad esserci visibilità. Chiudiamo le tende (la notte non lasciamo mai niente fuori dalla macchina così la mattina, momento più pericoloso, velocizziamo i tempi) e alle 7.00 partiamo. Gli animali si concentrano nella zona del fiume Boteti perchè, nonostante ci sia poca acqua, è l’unico posto in cui possono trovarla, quindi visitiamo questa parte del parco. Arriveremo fino a dove si può accedere con la macchina. Vedremo impala, cercopitechi verdi, avvoltoi, gnu, giraffe, zebre, kudu, struzzi, ippopotami, tanti resti di banchetti (le ossa bianche si notano subito sulla terra secca) e poi 3 cadaveri. Tutti sono morti per cause diverse dall’attacco di predatori perchè sono interi. Qualche piccolo carnivoro ha mangiato l’interno della pancia ma il resto è integro. I predatori non mangiano la carne che puzza, se trovano un animale che è morto da poco allora ne approfittano ma se è di qualche giorno e ha un odore sgradevole, non si avvicinano neppure. Uno è di un grosso elefante e due sono giraffe. L’elefante è sull’altra riva del fiume. La sua morte non è recente perchè la pelle è tutta rinsecchita. Le due giraffe le abbiamo trovate a bordo strada e puzzavano in un modo terribile quindi non è tanto che sono decedute. Una in mezzo a cespugli con le radici esposte quindi o è morta di cause naturali o è caduta e non è più riuscita a rialzarsi. L’altra invece su una riva, era con la testa verso valle. La prima idea è stata morte per caduta ma una volta a casa mi sono mangiata le mani. Ho guardato la foto e ho notato subito il, credo si traduca, laccio (snare) di filo di ferro intorno al collo. E’ morta per mano dei bracconieri. Se l’avessi visto in loco saremmo dovuti andare al gate a fare rapporto. Se c’era quella trappola, sicuramente in zona ne avranno piazzate altre. Se i ranger sanno il punto vanno a controllare per toglierle. E’ una cosa da fare se si vede qualcosa che non va. I ranger sono pochi e non possono pattugliare tutti i punti dei parchi. Servono anche gli occhi e le denunce dei turisti. Ci fermiamo in un punto panoramico sul fiume per fare colazione. E’ uno spazio aperto quindi scendiamo ma stiamo vicini alla macchina. Ci sentiamo osservati e vediamo 3 zebre che ci scrutano. Prendono poi coraggio e ci passano vicino di gran carriera per andare all’acqua a bere. Arriviamo poi alla hippo pool dove ci sono 3 ippopotami immersi. Il paesaggio è davvero brullo, le piste tutte su sabbia. Finiamo il giro e poi ci indirizziamo verso nord fino ad arrivare all’uscita del parco, al Phuduhudu Gate. Sono le 10.00. Percorriamo 11 km. di asfalto della A3 in direzione est ed siamo al gate (unico ingresso) dello Nxai National Park.

 

Informazioni sullo Nxai National Park:

– http://www.botswanatourism.co.bw/explore/makgadikgadi (in fondo alla pagina)

– https://blog.tracks4africa.co.za/camping-botswanas-baines-baobabs/ 

Conservation Fees da pagare in contanti: BWP 120 (€ 10) adulto – BWP 60 (€ 5) minorenne + BWP 50 (€ 4) la macchina

Orari: da aprile a settembre 6.00/18.30 – da ottobre a marzo 5.30/19.00

accessibile solo con 4×4 –  al gate danno una mappa non molto dettagliata

Lo Nxai Pan National Park, prima riserva di caccia dal 1970 e poi parco nazionale dal  1992, fa parte dell’area delle Makgadikgadi Pans. Una una superficie di 2578 kmq. Il paesaggio è punteggiato da sparsi aggregati di acacia ad ombrello e mopane. Durante la stagione delle piogge, da novembre ad aprile, l’arido paesaggio delle saline si trasforma in una prateria. Nella parte meridionale del Parco, ai margini dell’area di Kudiakam Pan, una salina per il resto priva di vegetazione macrofitica, si trova un gruppo molto scenografico di baobab, noti come i “baobab di Baines”, dal nome dell’artista britannico Thomas Baines, che li immortalò in un suo acquerello del 1862. Questo signore faceva parte della spedizione di David Livingston. Lo Nxai Pan è spettacolare durante la stagione delle piogge quando arrivano un numero impressionante di erbivori. Anche nei restanti mesi dell’anno gli animali sono tanti. Si possono vedere, in base ai vari periodi dell’anno, zebre, gnu, springbok, oryx, giraffe, kudu, varie antilopi, elefanti, leoni, ghepardi, leopardi, wild dogs, bufali, sciacalli, iene marroni e maculate. E’ definito “garden of Eden”. Una pozza molto frequentata, l’unica con acqua permanente è quella che si trova vicino al South Camp. E’ un parco accessibile solo a mezzi 4×4 in quanto è tutta sabbia. Impegnativo il tratto dal gate al South Camp.

Ci sono due campeggi:

– South Camp – a testa USD 38 (10 piazzole) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 6 persone). I bagni sono recintati con elettricità e spuntoni in ferro per terra per evitare che gli elefanti distruggano la struttura cercando l’acqua.

Alla reception c’è un piccolo market con i generi di prima necessità.

– Baines’ Baobab – a testa USD 50 (3 piazzole molto distanti una dall’altra intorno a delle piante di baobab) (consentiti per piazzola max 3 macchine e 12 persone). Non c’è acqua – c’è solo una latrina ed una doccia con un secchio da caricare con la propria acqua – non è recintato.

Al gate paghiamo per due giorni ed entriamo. La strada che da qui arriva al South Camp, in 1 ora e 10, (punto in cui si snodano più strade per visitare il parco) è l’unica percorribile ed è completamente sabbiosa. Non vedremo nessun animale. Circa dopo 35 minuti dalla partenza c’è l’indicazione del Baines’ Baobab, dove dormiremo questa sera quindi dovremo tornare indietro fino a qui. Una volta arrivati alla reception del South Camp facciamo vedere i voucher del pernottamento e poi andiamo al campeggio per pranzare sotto le piante. Avendo tavolino e sedie decidiamo di usarli. Questa sarà una grande comodità e ne approfitteremo sempre. Nei nostri precedenti viaggi non avevamo l’attrezzatura da campeggio quindi dovevamo sempre mangiare in macchina o sul portellone del cassone (erano Hilux, su questa jeep non si potrebbe neanche). Fa decisamente caldo quindi ci godiamo un pò di ombra. Ad un certo punto Luca dice: elefante! In un nano secondo ritiriamo tutte le cose da mangiare in macchina e chiudiamo tutto. Potrebbe essere pericoloso. Se sentono odore di qualcosa di interessante potrebbero venire a curiosare. Il nostro amico però è interessato solo a bere quindi si ferma vicino ai bagni. Andiamo subito dentro la recinzione per vederlo da vicino. E’ un grosso maschio con un orecchio atrofizzato. Le zanne sono consumate. Tranquillamente infila la proboscide in un buco nel terreno. Intendiamo subito che sono gli scarichi dei bagni. E’ per questo che suggeriscono di usare saponi e shampoo ecologici. L’acqua in Africa non viene mai sprecata. Beve, si fa la doccia e poi si ferma guardandoci. Intendiamo all’istante… corriamo dentro nei bagni ad aprire i rubinetti per un attimo. Torniamo fuori e lui ricomincia a bere. Tesoro!!!!! Pier nel mentre ne approfitta per farsi una doccia… mah… tanto l’elefante è rimasto lì a lungo. Bello, sarà stato distante 3 metri. Ce lo siamo proprio gustati. Peccato che aveva il sole alle spalle quindi non sono riuscita a fare le foto bene come avrei voluto. Il tempo stringe quindi torniamo alle macchine e partiamo. Alla reception il responsabile ci aveva detto di puntare solo alla pozza, che si trova poco distante. E’ l’unica con l’acqua permanente quindi gli animali non si allontanano mai troppo. Quando arriviamo vediamo 4 elefanti al bagno. Bevono e si fanno la doccia. Bellissimi. Altri animali come zebra, springbok e struzzi stanno a debita distanza. Facciamo poi un anello fino verso lo Nxai Pan Camp per poi tornare al South Camp. Bel paesaggio di erba gialla su terra bianca. I termitai sono bianchi. Il cielo ha grosse nuvole, strano in questo periodo, quindi l’ideale per fare foto. In meno di due ore siamo indietro. Acquistiamo due cose al negozietto della reception e poi ci indirizziamo al Baines’ Baobab. Il tempo è sempre tiranno. Torniamo allo svincolo visto questa mattina. Ci sono due strade per raggiungere il campeggio che sono perpendicolari alla strada principale. Ci dicono che la migliore è quella che indica 14 km. Ora percorreremo questa, domani mattina, per tornare indietro, quella di 12. Non possiamo dire quale sia migliore. Sono entrambe su sabbia ma non abbiamo avuto problemi su nessuna delle due. Il paesaggio è davvero bello. Sembra Serengeti. Distese di erba gialla con solo la strada che spezza la distesa. Ad un certo punto vediamo i baobab che si stagliano verso il cielo. Sono presenti in 4 punti (in 3 di questi ci sono le aree campeggio). Questo primo gruppo è notevole. Alcuni sono storti, altri piccoli ed alcuni immensi. Sono tutti senza foglie. Le foto si sprecano. Spettacolo. Da questo punto vediamo, oltre una distesa di sale bianco di circa 500 mt, un singolo baobab. Noi dormiremo là. Wow. Sono già le 17.30, abbiamo impiegato due ore dal South Camp. Non è possibile che il tempo passi così veloce. Montiamo il campo e ci facciamo subito le docce mettendo la nostra acqua in un secchio con i buchi. C’è anche un gabinetto … praticamente un buco nel terreno però con il wc in muratura. Sia la doccia che il bagno hanno una struttura in legno per la privacy. Rudimentale ma pittoresco. Il cielo si fa scuro per i nuvoloni, il sole ormai è sulla linea dell’orizzonte creando un contrasto rosso tra le nuvole nere e il nostro baobab, che sembra uno spettro, rende tutto ancor più surreale. Questo credo sia uno dei posti più belli in cui abbiamo dormito. E’ un posto da doppio wow. Non ci sono animali nel pan però l’attenzione deve sempre restare alta, non che ci sia l’eccezione… Ceneremo con una meravigliosa polenta concia (portata da casa e unita al “mitico” formaggio Ceddar che, nonostante sia terribile, nella polenta ha un suo perchè) più uova all’occhio di bue. Per lavare le due pentole useremo l’acqua di una tanica. Piatti e posate useremo sempre quelli di plastica, so che non è molto ecologico ma non sappiamo che acqua sia quella che troviamo nei bagni. Nelle pentole si cucina e vengono disinfettate con il calore, piatti e posate no, non vogliamo rischiare. I ragazzi vanno a dormire ma noi rimaniamo a goderci il fuoco anche se non ci sono stelle da guardare. Il cielo è davvero nero. Iniziamo a ritirare le cose quando Renzo ci dice: uno scorpione. In un secondo siamo tutti là. Ha le chele grosse e il pungiglione piccolo quindi o è innocuo o mediamente velenoso (quelli pericolosi hanno le chele piccolissime e il pungiglione grosso). Gli faccio una foto per chiedere poi l’ID una volta a casa. Lo prendiamo con la pala e lo portiamo distante dalle macchine. Ecco perchè è sempre bene avere le scarpe chiuse. Tanta gente gira in sandali, secondo me sono matti!!! Ci ritiriamo in tenda. Quando siamo rientrati ho scritto, come avevo già fatto dopo un incontro simile in Namibia ad aprile, all’African Snakebite Institute (https://www.africansnakebiteinstitute.com/), hanno anche una pagina facebook. Si possono scaricare schede sia sui serpenti che sugli scorpioni dell’Africa Australe. Io le ho tutte ma non riesco ad identificare il nostro quindi mando la foto. Tempo 10 minuti mi rispondono che si tratta di un Opistophthalmus fitzsimons – ID: 304440, mediamente velenoso. Dicono che siamo stati molto fortunati perchè è rarissimo da incontrare. Dopo un attimo mi arriva un altro messaggio chiedendo il permesso di schedare il nostro avvistamento come coordinate ecc ecc da mettere nel museo virtuale del FitzPatrick Institute Of African ornithology di Cape Town (http://vmus.adu.org.za/). Wow!! Invio tutto e dopo un paio di giorni mi avvisano che è on-line, hanno messo addirittura il mio nome!

Pernottamento: Nxai Campsite a Baines’ Baobab (fa parte dei Xomae Camp)

campeggio (autonomi per cena e colazione)

(https://www.xomaesites.com/camping/13-baines-baobab.html) – campeggio n°1  (gsp S20 07.067 E24 45.891)

Costo a testa: USD 45 (€ 40)  – sotto i 17 anni $ 22 (€ 19) – tot.€ 181

Ci sono 3 posti campeggio ciascuno vicino ad un gruppo di baobab, distanti l’uno dall’altro (consentiti per piazzola max 3 macchine e 12 persone) – non c’è acqua – c’è solo una latrina ed una doccia con un secchio da caricare con la propria acqua – non è recintato

6) 08 agosto 2019 giovedì – km.100 (70 asfalto + 30 sabbia): Nxai Pan (Baines’ Baobab) – Gweta (Planet Baobab – notte con i quad)

Strada: usciamo dallo Nxai Pan, percorriamo la A3 fino a Gweta. Lasciamo la macchina al Planet Baobab Lodge (gps S20 11.360 E25 18.343)e facciamo l’escursione con i quad nel Makgadikgadi pan, con pernottamento sotto le stelle.

Market: no

Banca: no

Benzinai: Gweta

Questa notte ci siamo proprio divertiti. Monica sente qualcosa sulla tenda e si spaventa, chiama sottovoce, più volte, Pietro che è nella tenda di fianco alla sua… ma lui russa e non la considera… borbotta qualcosa ma le dà il menavia … dopo un pò sentiamo: Pier ho bisogno di aiuto! Poveretta non ce la faceva più… Noi puntiamo la torcia sulla sua tenda ma non c’è niente. Magari si è appoggiato un gufo ma lei si è spaventata. Per il resto silenzio totale. Ci alziamo appena c’è visibilità. L’idea iniziale mia e di Pier era di tornare alla pozza al South Camp all’alba ma implicava partire alle 5.00 e non ci saremmo goduti questo posto. E poi avremmo svegliato tutti. Abbiamo così accantonato l’idea. Ottima scelta perchè ci alziamo con calma, facciamo una bella colazione al tavolo mentre albeggia. Io e Simona ci facciamo due risate cercando di colpire con un sasso un frutto di baobab appeso ad un albero … io provo un’infinità di volte ma nulla … lei al primo colpo ne fa cadere uno… Dopo un paio d’ore partiamo. Impieghiamo un’oretta a visitare le altre due aree campeggio sotto i baobab. Sono proprio distanti una dall’altra. Nel mezzo c’è il pan bianco. Ci divertiamo a fare foto di gruppo e varie… Ripartiamo e, percorrendo la strada parallela a quella fatta ieri (quella di 12 km.), torniamo alla principale e poi arriviamo al gate. Impiegheremo 1 ora. Al gate rigonfiamo le gomme attaccando il compressore al motore. Fino all’ingresso della Moremi, fra 3 giorni, avremo solo asfalto. Ora il gruppo si separa. Renzo e Simona hanno la prenotazione in un lodge verso Maun mentre noi e i Pocket raggiungono il Planet Baobab Lodge a Gweta per la nostra escursione in quad. A Gweta facciamo gasolio e poi andiamo in paese a lasciare dei vestiti. Li distribuiamo ad alcune signore nelle capanne. Siamo stupiti di non vedere bambini. Io preferisco lasciarli a loro perchè esultano di gioia e ti riempiono il cuore di sorrisi però ora non ne troviamo. Uscendo dal paese capiamo il perchè. Sono tutti a scuola. Li vediamo nel cortile vestiti con le divise. Alle 12 siamo al lodge. Prepariamo gli zaini con le cose pesanti per questa sera e andiamo a registrarci. Andiamo poi al ristorante a pranzare (Pule 455 € 38). In questa zona ci sono tanti baobab ed uno grosso è proprio nel giardino del lodge. Alle 14 puntuali partiamo. Siamo con due jeep. Noi 7 siamo su una mentre due famiglie di olandesi con due ragazzini a testa sono sull’altra. La nostra autista ci dà parecchie informazioni sul Botswana e sugli animali. Lungo la strada vediamo cavalli, mucche, struzzi e baobab.

Informazioni su quest’area del Makgadikgadi Pan:

Il Dr. David Livingstone, il più famoso esploratore dell’Africa, attraversò queste depressioni nel 19° secolo  e scoprì il gigantesco baobab, il Chapman’s Baobab, il 10 luglio 1852. Questa pianta, che si trova 27 km. a sud del villaggio di Gweta (nell’area chiamata Green’s Baobab), era una delle tre piante più grandi in Africa, ed una delle più vecchie al mondo (oltre 1.400 anni). Era un monumento nazionale del Botswana. Aveva 25 metri di circonferenza e 7 grossi rami. Per questo veniva chiamato “Seven Sisters”. Il 7 gennaio del 2016 è caduto per cause sconosciute. Si vocifera che, nonostante sia caduto a terra, sia ancora vivo.

In 1 ora e 40, con alcune soste, arriviamo ad un villaggio. I nostri 8 quad sono tutti in fila pronti a partire. Scendiamo, e la guida ci accompagna in mezzo alle capanne. Alcune signore stanno facendo lavori manuali: una intreccia un cesto, una sta lavorando il sale ed un’altra sta togliendo la parte commestibile dai frutti di marula. Ne assaggiamo un pezzo. Sembra noce. Andiamo poi ai quad. Lasciamo, a parte il mio perchè voglio fare foto, gli zaini sulla jeep. Indossiamo il casco, ci spiegano come funziona e si parte. Io salgo con Pier mentre Matteo e Martina si daranno poi il cambio a guidare. Lasciamo il villaggio (alle 16.00) e la vegetazione. Da qui, man mano che avanziamo, si dirada sempre di più fino a diventare solo erba (c’è qualche cavallo che bruca) e poi diventa pan bianco. Una jeep ci precede e l’altra chiude la fila. Un pò viaggiamo e ogni tanto ci si ferma a ricompattare il gruppo. Fortissimo. Arriviamo in un punto in cui lasciamo i quad e saliamo ancora sulla jeep. Andiamo a cercare i suricati. Una famiglia vive in questa zona. Li troviamo facilmente perchè c’è un signore che li segue tutto il giorno, altrimenti sarebbe difficilissimo. Scendiamo e facciamo parecchie foto. Sono sempre in attività e continuano a scavare per cercare lucertole, scorpioni ecc ecc. Ritorniamo ai quad. Dietro di noi c’è un’immagine bellissima. Il sole è sulla linea dell’orizzonte e la jeep alza tanta polvere. Suggestivo. Vediamo il tramonto alle 18.10 viaggiando. Arriviamo al campo, dove dormiremo, alle 18.30 ed è quasi buio, solo una linea rossa all’orizzonte indica dov’è l’ovest, altrimenti non si avrebbe nessun riferimento. Siamo circondati dal pan a 360°. Bianco ovunque. Ci sono le sedie da campeggio intorno al fuoco acceso, vicino ad un tavolo con una candela dove verrà appoggiata la cena. Una tenda distante è il bagno. E’ illuminata all’esterno da candele. Non c’è la possibilità di farsi la doccia, ovviamente. Qui non c’è acqua e anche si organizzassero in tal senso, saponi ecc ecc rovinerebbero un ambiente delicatissimo. Ci sono poi 7 materassi, dove dormiremo noi, chiusi completamente nella stoffa delle tende, ad un centinaio di metri, altri 4 più distante ed infine gli ultimi 4 ancora oltre. Avremo la nostra privacy. Le due guide e i ragazzi che gestiscono il campo dormiranno vicino alle macchine e ai quad. Ci portano delle salviette bagnate, tiepide per lavarci la faccia e le mani, siamo completamente ricoperti di polvere bianca. Ci vestiamo con pile e giubbotti perchè la temperatura sta scendendo. E poi è ora di cena. Andiamo al tavolo e ci servono patate bollite con riso, carne e verdura. Le bibite sono quelle che abbiamo ordinato al lodge prima di partire. E’ compreso solo un litro di acqua a testa, quello in più bisogna pagarlo. Ci sono birra, vino ecc ecc. Ceneremo con il piatto sulle gambe. Dopo rimaniamo a chiacchierare e a scaldarci intorno al fuoco. La guida ci racconta che quando piove il pan si riempie di qualche centimetro di acqua e arrivano fenicotteri per mangiare i gamberetti. La domanda viene spontanea: i fenicotteri volano ma i gamberetti? Le uova deposte l’anno precedente rimangono sotto la crosta di sale quando l’acqua evapora. Una sorta di ibernazione ma con il calore. Quando arrivano le piogge, le uova si chiudono e ricomincia il ciclo vitale. E’ per questo che è severamente vietato andare fuori pista. C’è solo una strada che viene tracciata da Gweta a Kubu Island nel sud-est del pan e poche altre che vanno a sud. Quando diventano percorribili le prime jeep, seguendo le coordinate, tracciano le piste che poi dovranno essere seguite da chi passerà dopo. Più piste si tracciano più gamberetti vengono uccisi. Il campo dove ci troviamo noi è l’unico presente in tutto il pan. Solo il Planet Baobab organizza questa attività. Quando al mattino smontano il campo tolgono tutto, tranne la tenda del bagno. Riportano tutti i materassi (arrotolati e legati) al villaggio per cambiare le lenzuola. La sera seguente tornano qui con tutta l’attrezzatura e il cibo già cotto. Impatto ambientale zero.  Questa escursione è fattibile solo dal 25 aprile al 31 ottobre. La guida ci indica anche le costellazioni. La croce del sud si vede bene. C’è la luna che sta crescendo quindi toglie luminosità alle stelle. Alle 20.00 ci ritiriamo per la notte. Per andare in bagno usiamo le nostre torce. Non avevamo mai dormito all’aperto. Sotto le coperte fa caldo quindi togliamo il giubbotto, anche perchè servirà poi domani mattina quando ci alziamo… In un secondo dormiamo, sono giornate impegnative. Ci sveglieremo tutti più volte, a parte Martina, per guardare il cielo. La luna verso mezzanotte è calata quindi si vedono stelle a 360°. Non c’è nessuna luce quindi risaltano come non mai. La via lattea è pazzesca. Triplo wow. Questo credo sia stata la ciliegina sulla torta di tutta la vacanza. Imperdibile.

Pernottamento: sotto le stelle nel Nwetwe Pan del Makgadikgadi National Park

all inclusive con cena e colazione

(http://www.planetbaobab.travel/) – attività organizzata solo dal Planet Baobab Lodge – (gps S20 11.360 E25 18.343)

Costo a testa: USD 212 (€ 185)  – tot.€ 740

7) 09 agosto 2019 venerdì – km. 229 (asfalto) – volo sull’Okavango: Gweta (Planet Baobab) – Maun

Strada: viaggiamo tutto su asfalto percorrendo la A3 da Gweta fino al Crocodile Camp (gps S19 55.811 E23 30.705) a Maun

Market:

– Spar Safari: Plot 152, Shop 3, Ngami Centre (orari: 8.00-19.30 lu-ve / 8.00-17.00 sa / 8.00-15.00 do) in via Koro, vicino all’areoporto

– Spar Delta: Plot 692, Unit 3, Makoro Shopping Centre (orari: 8.00-20.00 lu-ve / 8.00-19.00 sa / 8.00-16.00 do)  in via Tsaro

– per la carne (possiamo andare in entrambe solo prima del volo, in rientro sono chiusi): Delta meat Deli (vicino al Riley’s Shell garage – orari: lu/ve 7.30/17.00 e sa 7.30/13.30 – http://www.deltameatdeli.net/) oppure Beef Boys (di fronte all’Engen garage e allo Spar Ngami Center – orari: lu/ve 9.00/17.30 e sa 9.00/14.00 -http://beef-boys.com/)

Banca: Maun, la First National Bank è vicina allo spar Ngami Centre mentre la Barclays è vicino allo spar Makoro

Benzinai: Gweta e Maun

Uffici del DWNP (S19 59.056 E23 25.844) (orari: lu-ve 7.30/16.30; sa 7.30/12.45 e 13.45/16.30; do 7.30/12.45) si possono pagare con carta di credito le conservation fees dei parchi.

Lavanderia: nel centro commerciale The Mall

Ristoranti in ordine di recensioni positive di tripadvisor:

Marcs Eatery (Sir Seretse Khama Road)

French Connection (Mophane Road)

Hilary’s  (Off Mathiba I Street)

– The Tshilli Farmstall (Sir Seretse Khama Road)

Ci svegliamo presto ma stiamo al caldo a guardare l’alba alle 6.45 e poi ci alziamo. Andiamo al tavolo dove abbiamo cenato. C’è la possibilità di lavarsi la faccia. Ci servono thè e caffè con muffin intorno al fuoco. Alle 7.30 partiamo senza mai fermarci. In 40 minuti siamo al villaggio dove lasciamo i quad e in 1 ora e 10 senza soste siamo al Planet Baobab. Ci servono la colazione (compresa nel prezzo) e poi noi 7 andiamo a farci le docce nei bagni pulitissimi del campeggio. Le altre due famiglie con i ragazzini vanno via così… mah… Alle 11 partiamo diretti a Maun, tutto asfalto, abbiamo parecchie cose da fare prima del volo sull’Okavango. Passiamo una barriera veterinaria senza che ci fermino. In 2 ore siamo a Maun.

Informazioni su Maun:

http://www.madbookings.com/maun-botswana.html

Maun è sita nel centro-nord del paese. Il nome deriva da un termine San “Maung”: canneti bassi. Maun è diventata la capitale del turismo grazie alla sua vicinanza con il delta dell’Okavango. Si presenta come un simpatico paesone pieno di vita e fascino “African style”. La sua posizione strategica vicino al delta dell’Okavango l’ha resa in pochi anni un centro importante dell’economia del paese. Tutte le compagnie turistiche hanno i loro uffici qui a Maun e il piccolo aeroporto vede decolli e atterraggi di piccoli aeromobili quasi come l’aeroporto internazionale di Johannesburg. Con una popolazione di circa 30.000 abitanti possiamo tranquillamente ammettere che Maun abbia il 100% di persone occupate nel turismo e nell’indotto turistico. Basti pensare che il piccolo aeroporto di Maun è considerato uno dei più congestionati dell’Africa. Ci sono ristoranti, banche, market ecc.ecc.

Informazioni sull’Okavango:

https://www.okavango.it/okavango-botswana.php

Questo è in assoluto il delta interno più grande del mondo ed è sicuramente fra le aree più incontaminate della terra. Pochi luoghi al mondo possono essere così vicini alla descrizione del paradiso terrestre. Il fiume Okavango nasce in Angola (come il Chobe) sul Benguela Plateau con il nome di Cubango, attraversa la Namibia creando le Popa Falls con il nome di Kavango e infine diventa Okavango, quando arriva in Botswana, all’altezza di Mohembo. Questo fiume è uno dei pochi che non sfocia nel mare o in un lago ma bensì crea un delta meraviglioso direttamente nelle sabbie del deserto del Kalahari. Si pensava che un tempo questo grande fiume scaricasse le sue ricche acque dentro a un enorme lago chiamato appunto Makgadikgadi Super Lake. A causa delle evoluzioni tettoniche e del cambiamento climatico questo super lago (profondo circa 30 metri) si prosciugò lasciando a suo ricordo solo l’immenso bacino sabbioso che oggi chiamiamo Makgadikgadi Pans. Ecco perché oggi il fiume Okavango rilascia le sue acque nel deserto creando, però, uno degli spettacoli naturali, avicoli e faunistici più belli del mondo.  L’Okavango è lungo 1.400 km di lunghezza. Ogni piena scarica nelle sabbie del deserto del Kalahari quasi 15 miliardi di metri cubi d’acqua. Qui il fiume si disperde e vaporizza letteralmente nel nulla, dando origine a una regione di oltre 15.000 km2, dove un’infinità di specie animali e di piante trovano la vita, fra un dedalo di canali, piccoli e grandi corsi d’acqua intervallati da piccole isole create dal lento ma inesorabile lavoro delle termiti. Le piogge che alimentano il fiume in Angola iniziano a ottobre e finiscono ad aprile inoltrato. La piena del fiume, però, arriva in Botswana solo a dicembre giungendo poi nel delta verso giungo e luglio; il processo di trasporto delle acque dura circa 9 mesi (dall’inizio delle piogge in Angola) ed è fortemente soggetto all’azione del sole e all’evaporazione. Come mai un fiume di questa portata impiega 6/9 mesi per percorre 1.400 km (percorso poco più lungo dell’Italia)? Anche in questo caso le risposte sono da ricercare nella geologia. Il profilo del flusso d’acqua, la sua distribuzione e i regimi di deflusso cambiano continuamente a causa dell’attività tettonica. Nella sua condizione di continuazione della Grande Fossa Tettonica Africana, l’Okavango si trova in una zona geografica instabile di faglie mobili, registrando piccole scosse telluriche quasi mai percepibili grazie alla presenza di sabbia e di paludi alluvionali, decisamente poco “adatte” al trasferimento dell’energia sismica. Inoltre, a parte il primo tratto in Angola che scende da montagne e zone collinari, per oltre 450 km il corso del fiume ha una pendenza di appena 60 metri, insufficiente a rendere le acque veloci, per raggiungere in breve tempo il delta e superare la piccola depressione. L’interazione temporale fra precipitazioni, evaporazione e il flusso d’acqua è sorprendente. Proprio quando le precipitazioni del periodo delle piogge sono evaporate (aprile, maggio), i flutti rigonfi dell’Okavango si riversano su 1300 km di sabbia del Kalahari e ridestano così un grande ecosistema straordinariamente ricco di specie. Prima di arrivare al fiume Thamalakane, vicino alla cittadina di Maun, (praticamente il punto più lontano dalla fonte) ben il 95% delle acque del fiume evapora a causa della poca profondità e grande vastità del delta stesso. Quando le piene sono davvero importanti (come quelle del 2009 e 2010) il fiume Thamalakane riversa le sue scarse acque nel bacino del fiume Boteti che si getta nella faglia del lago Xau e infine (e qui sono passati oltre 2.200 km) nel Makgadikgadi Pan. Se nel periodo di massima piena il delta può superare i 22.000 km2, nel periodo di secca ricopre un’area di appena 14.000 km2 ed è per questo motivo che le acque del delta dell’Okavango sono sempre limpide e mai saline: perché l’acqua si muove sempre ma lentamente, quindi ha tempo di depositare senza sollevare limo dal fiume. Provate a berne un piccolo sorso e scoprirete che è proprio così. Se però siete scettici allora fatevi strappare da una delle vostre guide una canna di papiro, fatevela “sbucciare” e godetevi la bontà della banana di fiume… Del Delta, che visto dall’alto può ricordare la forma di una padella, si possono distinguere tre aree geografiche: il cosiddetto “manico di padella” (panhandle), il Delta e le zone aride limitrofe e attigue. Il manico di padella inizia nei pressi di Mohembo, nella parte settentrionale dell’Okavango, protendendosi per 80 km verso sud. La vegetazione è costituita prevalentemente da papiri e palme. Il manico termina nei pressi di Seronga, dove il fiume si allarga come un ventaglio formando il Delta. Tra le specie floreali si annoverano canne palustri, palme mokolwane, acacie, sicomori, kigelie. Nell’area meridionale del Delta le paludi permanenti, in base all’entità del flusso del fiume e delle piogge, si allargano creando grandi paludi alluvionali riempiendo i bacini delle praterie adiacenti. A sudest di quest’area si estende un territorio veramente arido. Qui si trovano tre grandi aree territoriali: il Matsebi Ridge, la Chief ’s Island e la penisola di Moremi. L’area, coperta principalmente da alberi di Mopane, acacie arbusti bassi, è caratterizzata da depressioni saline. In questa regione si rifugiano numerosi mammiferi durante i periodi di siccità invernale. Tra le maggiori attrazioni turistiche del Delta e delle zone aride sono da annoverare l’avvistamento dei grandi mammiferi e degli uccelli. Recenti ricerche hanno consegnato i seguenti dati relativi alla presenza di animali e specie animali nel Delta dell’Okavango: 122 specie di mammiferi, 71 specie di pesci, 444 specie di uccelli, 64 specie di rettili e 1300 specie di piante. Grazie al programma per la reintroduzione del rinoceronte condotto con successo, il delta ospita circa 35 rinoceronti bianchi e quattro rinoceronti neri. È proprio nei mesi che vanno da maggio ad ottobre che si incontra la maggiore concentrazione di animali nel delta. Quando la stagione secca ricomincia (giugno) il fiume Okavango attira gli animali verso la sola fonte di acqua disponibile che, per altro, è in crescita proprio durante i mesi di siccità. Quando poi a fine agosto le acque del delta incominciano a ritirarsi a causa dell’evaporazione, il miracolo della natura ricomincia: gli animali si affollano nelle pozze e sulle isole del delta circondate dalle acque, la vegetazione è poco folta e quindi i safari sono a dir poco eccezionali. A ottobre le prime piogge ricominciano a rinverdire i pascoli, a riempire le pozze e, a novembre, tutto torna verde e ricco di vegetazione fresca. Proprio in questo periodo gli ungulati danno alla luce i piccoli e i predatori diventano più attivi regalando un secondo spettacolo davvero indimenticabile, soprattutto durante le nottate di luna piena. Il paesaggio che si presenta alla vista dei visitatori è incredibile: corsi d’acqua con papiri e fiori colorati, il cielo che si specchia su un fiume lento che permette a molti uccelli di camminare sulle foglie delle ninfee, animali in grande quantità che si spostano lungo le rive del grande delta e una presenza antropica praticamente inesistente. Nel cuore del delta si trova l’affascinante riserva di Moremi, l’unica parte adibita a parco del delta, dove vi è la più grande concentrazione di animali dell’ecosistema del delta. E’ davvero curioso vedere come questo delta debba la sua conformazione al lavoro incessante e costante dei miliardi di termiti che vivono in questa zona. Le termiti creano migliaia di termitai che hanno un’altezza superiore a quella dei canali e anche degli isolotti e la loro struttura, essendo realizzati con l’impasto di granelli di sabbia, escrementi e soprattutto con la saliva che contiene acido formico, è resistente all’azione dell’acqua. In questo modo i termitai rimangono sopraelevati rispetto al livello dell’acqua permettendo a molti tipi di piante di sopravvivere alle piene del delta. Il lavoro incessante delle termiti, il numero impressionante di termitai e la naturale disgregazione delle loro pareti contribuiscono a creare vere e proprie isole e penisole che permettono la vita di molti animali. Ecco perché durante i sorvoli del delta spesso si possono notare punti di terra grigia affiorare fra le acque ed ecco perché il lavoro delle termiti è così importante tanto da essere definito vitale per tutto l’ecosistema del Delta dell’Okavango. Altro lavoro importante delle termiti è “ripulire” le isole dalla presenza di tronchi d’albero abbattuti dalle piene. In effetti le termiti usano il legno per realizzare i propri termitai, decompongono la cellulosa per mangiarla e spesso usano il legno stesso per creare le condizioni ideali per la crescita dei funghi dei quali sono ghiotte. Principalmente esistono due tipi di termiti nel delta responsabili delle realizzazione dei termitai ed entrambe sono fungifaghe: Macrotermes e Odontotermes. Ovviamente non ci sono solo minuscole termiti, ma grandi mandrie di elefanti, antilopi d’acqua, rari ed elusivi sitatunga, numerosi gruppi di kobi rossi, molti bufali, migliaia di impala e una ricchissima fauna avicola. I predatori sono molti, soprattutto nella Moremi Game Reserve, e rendono un viaggio nel delta un vero must. Parlando di vegetazione dobbiamo considerare che esistono poche piante che possano sopravvivere in un contesto così umido. A parte le bellissime palme makalani che qui chiamano Illala Palm (Hyphaene petersiana) e le famose delta Palm (Phoenix reclinata) qui possono sopravvivere solo papiri e canneti. I canneti sono prevalentemente Phragmites australis and Phragmites mauritiarius, crescono nell’acqua a medie profondità (2/4 metri) e sono dotati di deboli radici. Al contrario i papiri (Cyperus papyrus) hanno radici acquatiche che non necessitano di essere attaccate alla terra, ma riescono a galleggiare e a farsi muovere dalla corrente. Altra pianta che riesce a galleggiare e che rende le acque del delta ancora più belle è il Water Lilie (Nymphaea caerulea), bellissime ninfee dal fiore bianco candido con la base dei petali viola o gialla e dalle grandi foglie che servono da piattaforma a uccelli e insetti; non è raro infatti vedere bellissime jacanas camminare sulle foglie delle ninfee alla ricerca di un buon pasto. L’area del delta ha attirato nei secoli non solo grandi mandrie di animali, ma anche numerose popolazioni che qui hanno trovato gli elementi perfetti per la vita. In effetti possiamo dire che esistano 5 gruppi etnici caratterizzati da una differenza etnica e linguistica notevole: gli Hambukushu, i Dceriku, i Wayeyi, i Bugakwe ed i Xanikwe (questi ultimi due sono i famosi Boscimani. L’Okavango è stato inserito nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco. La sua conservazione a lungo termine è assicurata da un lato dalle misure e disposizioni legali da parte dello stato (anche se solo la riserva di Moreni ha ufficialmente lo stato di zona protetta), e d’altro lato, dagli sforzi e dalle iniziative dei camp e lodge nelle aree di concessione privata, dall’Okavango Development Management Plan (ODMP) recentemente deliberato e dallo stato di area Ramsar nell’ambito dell’International Union for Conservation of Nature IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) che limita il suo sfruttamento e sviluppo.

Delta dell’ Okavango pernottamenti: Il Delta più grande del mondo è giustamente considerato uno degli ultimi paradisi naturalistici, dove ancora si può vivere un’autentica esperienza nel bush africano a stretto contatto con la natura, senza recinzioni e barriere. La maggior parte delle sistemazioni consiste infatti in campi tendati di lusso, immersi nella natura selvaggia e con spettacolari vedute sui paesaggi circostanti. Il comfort è sempre molto buono ma si richiede un buon spirito di adattamento dato che il contatto con la natura e gli animali è molto stretto, non esistono telefoni e i contatti sono tenuti via radio, spesso manca l’ elettricità di notte perchè il generatore viene spento e l’ illuminazione è solo a petrolio, i cellulari non funzionano, le tende sono quasi sempre costruite con materiali naturali e in stile tradizionale africano. I costi sono mantenuti molto alti a causa della scelta governativa volta a preservare l’ambiente e ad evitare il turismo di massa, inoltre l’approvvigionamento dei campi e i trasferimenti avvengono solo tramite piccoli aerei, e tutto questo rende purtroppo il Botswana una delle destinazioni più care dell’Africa Australe.

I vari Lodge sul Delta si raggiungono con piccoli aerei da Maun o da Kasane e il bagaglio personale deve essere strettamente limitato a 20kg totali a persona incluso il bagaglio a mano – si raccomanda di utilizzare valigie morbide.

Attenzione: da fine novembre a maggio il Delta dell’Okavango è nella fase di acque basse a causa della stagione secca del fiume. Durante questo periodo in molti campi NON è possibile effettuare escursioni in Mokoro a causa della mancanza di acqua. Le escursioni alternative vengono effettuate a piedi o in auto 4×4 nei Campi che offrono questa possibilità oppure devono essere scelti campi più costosi che si affacciano sulle lagune perenni del Delta.

 

Maun è una cittadina caotica dove mucche ed asini girano per strada tra le macchine. Il fiume Thamalakane è completamente asciutto. Andiamo diretti agli uffici della DWNP per pagare (con carta di credito) le conservation fees per le giornate in cui staremo nella Moremi, Khwai e Savuti. Ci troviamo fuori con Renzo e Simona. Hanno già riempito di gasolio tutte e 6 le taniche. Sono stati gentilissimi. Una perde. Renzo ha tribolato e oltre a sporcare la macchina si è bagnato pure lui. Per fortuna la tanica era sul tetto e non nel cassone della jeep (anche se a Johannesburg le avevano messe in sacchi molto resistenti, tolti poi per legarle sul tetto) quindi quando usciamo dagli uffici andiamo in un parcheggio a sistemarla. Mettiamo tutto il nastro isolante che abbiamo portato da casa sul tappo per fare da spessore. Non perderà più. Siccome la macchina dei Pocket risulta consumare molto di più delle nostre, per star tranquillo, comprano una tanica nuova da 30 litri (Andy gli rimborserà il costo). Andiamo poi in uno Spar a fare la spesa grossa anche di bottiglioni da 5 litri di acqua, e in uno di liquori per la birra e il vino. Mangiamo due cose al volo, tanto abbiamo fatto una super colazione quindi siamo ancora sazi. Ora ci separiamo di nuovo. Renzo e Simona vanno al lodge mentre noi e i Pocket andiamo all’aeroporto (gps S19 58.535 E23 25.690). Gli uffici della Air Shakawe (https://airshakawe.com/) sono davanti all’ingresso, fuori dalla costruzione. Bisogna esser lì 1 ora prima con i passaporti. Ci chiedono se vogliamo già andare ma noi preferiamo aspettare le 16.30 come prenotato. Così facendo ho la possibilità di fotografare gli animali con le loro ombre che si allungano sul terreno. L’Air Shakawe ha solo piccoli piper quindi prenderemo un aereo con 12 posti (ci sono anche due ragazzi francesi) della Mackair (http://www.mackair.co.bw/). Abbiamo tutti un posto finestrino. L’aeroporto è internazionale quindi ci sono tutti i controlli. Ci portano all’aereo con un pullmino. Foto di rito prima di partire e via, puntuali decolliamo. Durerà 1 ora. Sorvoliamo la città e poi un tratto in cui ci sono capanne. Ci mettiamo un pò ad arrivare all’acqua. Questo dimostra quanta siccità c’è. Il paesaggio è davvero bello. Ci sono tratti con vegetazione ed altri solo con erba. Canali di acqua ed isolette. Tantissimi animali: elefanti, giraffe, zebre, impala, ippopotami, coccodrilli, bufali e qualcuno dice di aver visto due rinoceronti. Voliamo bassi e il pilota muove l’aereo piagandolo su un lato e poi sull’altro per garantire maggior visibilità. I colori sono caldi grazie al sole che si abbassa sempre di più sulla linea dell’orizzonte creando le bellissime ombre degli animali. Davvero una bella esperienza. Alle 17.30 puntuali atterriamo. Recuperiamo la macchina e ci indirizziamo al lodge. E’ quasi buio e sulla strada è pieno di mucche e asini, oltre alle persone, quindi dobbiamo andare piano. Del lodge non vediamo nulla perchè è buio. Abbiamo due camere doppie e c’è il servizio lavanderia. Ne dobbiamo per forza approfittarne. Tutti i vestiti che abbiamo usato per l’escursione in quad, più altri, abbiamo dovuto lavarli. Solitamente portiamo con noi vestiti giusti per tutti i giorni in modo tale da essere completamente autonomi. Questa volta però lo spazio era limitato dovendo portare anche cose per la gestione quotidiana della vita da campeggio quindi abbiamo fatto affidamento sulle lavanderie di questo lodge e di quello di Kasane sul Chobe. Sistemiamo la jeep, doccia e andiamo a cena. Si può scegliere tra buffet e menu fisso. Senza infamia e senza lode. La cosa migliore è il filetto. La cena è compresa. Dobbiamo pagare solo le bevande. A nanna alle 22.30… tardissimo ma siamo rimasti a chiacchierare al tavolo godendoci un pò di relax… Prima di addormentarci diamo la caccia alle zanzare in camera. Questo è l’unico posto in cui le abbiamo trovate.

 

Pernottamento: Crocodile Camp (fa parte dei SKL Camp) sulle rive del fiume Thamalakane, 12 km. a nord di Maun  

lodge con colazione e cena comprese

(https://sklcamps.com/crocodilecamp/)  (gps S19 55.811 E23 30.705)

Costo a camera: Pule1765 (€ 147) x 2 camere – tot. € 294

8) 10 agosto 2019 sabato – km. 54 (asfalto) – giornata in mokoro: Maun – Maun

Ci alziamo dopo l’alba. La colazione è compresa. La terrazza e alcune camere si affacciano sul fiume Thamalakane (completamente asciutto). Come lodge è carino. Alle 7.30 partiamo con una jeep scoperta. In 1 ora e 1/2 (primo tratto su asfalto direzione nord-est e poi sterrato direzione nord) arriviamo al punto di partenza per la nostra escursione nel delta dell’Okavango. E’ una comunità locale (abitano in capanne lì vicino) che si occupa della gestione di tutto. I mokoro sono sulla sabbia, uno vicino all’altro. Bel colpo d’occhio. Sono 10. Su ogni mokoro possono stare 2 persone sedute su seggioline senza gambe. Scegliamo il nostro Caronte. Quello mio e di Pier è un signore anziano. Renzo e Simona hanno la donna più bella di tutte. Ha un vestito lungo che si muove al vento ed un turbante della stessa stoffa. Le farò da dietro parecchie foto perchè molto fotogenica. Si viaggia in fila indiana tenendo le distanze. L’acqua è bassa. La navigazione dura un paio d’ore. Sono un labirinto di canali circondati da papiri. Ogni tanto troviamo delle lagune dove ci sono gli ippopotami o nell’acqua o sulle rive. Noi costeggiamo la vegetazione stando ben ben distanti. C’è un silenzio pazzesco. Si sente solo il mokoro che scivola sull’acqua e qualche uccello che canta. Super rilassante. Vediamo qualche elefante e diversi uccelli. Al nostro arrivo, su un’isola, lasciamo i mokoro e proseguiamo a piedi. Ci fermiamo un attimo in una radura dove ci sono a disposizione mele ed acqua e poi proseguiamo per un paio d’ore. E’ un’isola e a quest’ora, con il caldo, ci dicono che è difficile vedere animali (non ce ne devono proprio essere di pericolosi perchè le guide non sono armate). Ci fanno vedere diverse impronte e cacche (ippopotamo, elefante, giraffa, bufalo e Red Lechwe). Interessante. Arriviamo in prossimità di una laguna dove ci sono alcuni hippos che dormono in acqua e coccodrilli sulla sabbia. Fa parecchio caldo e rientriamo per pranzo. Hanno sistemato le seggioline del mokoro in cerchio intorno al tavolo del buffet. Ognuno si serve da solo. Abbiamo mangiato bene. Alle 14 ripartiamo in mokoro. La strada di rientro è più veloce, impiegheremo un’oretta. Pier e Simona riescono anche a farsi un pisolino. Tutti i Caronte sono silenziosi quindi ci si può godere la pace del posto … tutti tranne il nostro … che cerca di attaccare bottone con tutti i suoi colleghi … ma questi gli danno il menavia quindi si mette a parlare da solo … pensiamo che dica le preghiere … poi quando finisce, finalmente sta zitto …. Una volta al porticciolo saliamo sulla jeep e rientriamo. Sono le 16, non possiamo neppure pensare di andare al lodge … dobbiamo andare a Maun a fare quello che non abbiamo fatto in tempo a fare ieri. I ragazzi stanno qui così incominciano a lavarsi. In primis andiamo al Viking Gas, negozio dove vendono bombole per cucinare. Facciamo pesare le nostre e dicono che sono piene. Non vogliamo rischiare di rimanere senza, visto che dovremo cucinare per 7 giorni. Renzo e Simona comprano anche un, non so come si chiama di preciso, un piano che si attacca alla bombola e dove appoggi la pentola. Sono molto delicati e, quando dobbiamo ritirarli, li stacchiamo e li mettiamo in un contenitore ma è facile rovinare l’ugello. Anche questo costo, circa 10 euro, verrà rimborsato. Andiamo poi in un market ad acquistare le ultime cose e a fare benzina. Ci facciamo anche riempire con una pompa dell’acqua il serbatoio di 60 lt. Ci chiederanno Pule 20. Alle 19.00, con il buio pesto, arriviamo al lodge. Ci avviciniamo alla camera con la macchina così incominciamo a caricare quello che non ci serve più e riordiniamo il cassettone. Domani mattina partiremo presto e non vogliamo svegliare i nostri vicini di camera. Da domani saremo in posti completamente selvaggi senza nessuna recinzione quindi vogliamo sistemare tutto in modo perfetto in modo tale da non faticare a prendere le cose. Ceniamo, paghiamo le bevande di queste due sere, il bucato (che ci hanno fatto trovare in camera) e andiamo a dormire presto.

Pernottamento: Crocodile Camp (fa parte dei SKL Camp) sulle rive del fiume Thamalakane, 12 km. a nord di Maun 

lodge con colazione e cena comprese

(https://sklcamps.com/crocodilecamp/)  (gps S19 55.811 E23 30.705)

Costo a camera: Pule1765 (€ 147) x 2 camere – tot. € 294

9) 11 agosto 2019 domenica – km.155 (61 asfalto + 94 sabbia): Maun – Moremi (Third Bridge)

Strada: km.60 di asfalto fino a Shorobe – a circa km.20 (gps S19 36.580 E 23 48.040) girare a sinistra – a km.30 si arriva al Maquee Gate (south gate) (gps S19 25.542 E23 38.732) della Moremi Game Reserve – a km.20 First Brige (in legno) – a km.2 Second Bridge (legno) – a km.30 si arriva al Third Bridge Camp (gps S19 14.318 E23 21.406). 

Market: no

Banca: no

Benzinai:no

Ancora con il buio carichiamo le ultime cose sulla macchina, facciamo colazione e partiamo alle 7.30. Attraversiamo piccoli villaggi con il sole che sorge di fronte a noi. Lungo la strada ci sono tante cataste di legna in vendita. Anche se non c’è nessuno, basta fermarsi e qualcuno arriva subito. E’ vietato raccoglierla nei parchi e, come ho detto, se la si acquista per strada e non al market, si aiutano le persone del posto. Ne acquistiamo più che possiamo non sapendo se poi nei prossimi giorni avremo la possibilità di trovarne altra. In realtà quando al Third Brige Camp quando al Khwai Camp la vendono ma è sempre meglio averne in più, non potendo rimanere fuori dalla macchina senza fuoco con il buio. A Shorobe inizia lo sterrato. La strada è in pessime condizioni. Consideriamo che questa è l’unica che collega il centro del Botswana con il nord. In 45 minuti, da quando siamo partiti da Maun, siamo alla barriera veterinaria (non ci hanno fermati) e subito dopo svoltiamo a sinistra direzione Moremi. Troviamo subito 3 grossi elefanti, giraffe, struzzi e impala. Iniziamo bene. Percorriamo 30 km, in 1 ora dallo svincolo, ed arriviamo al Maquee Gate (South gate) della Moremi Game Reserve.

Informazioni sulla Moremi Game Reserve:

http://www.botswanatourism.co.bw/explore/moremi-game-reserve

https://www.okavangodelta.com/general-information/geography/moremi-game-reserve/ 

Conservation Fees da pagare in contanti: BWP 120 (€ 10) adulto – BWP 60 (€ 5) minorenne + BWP 50 (€ 4) la macchina

Orari: da aprile a settembre 6.00/18.30 – da ottobre a marzo 5.30/19.00 

Nel cuore del delta dell’Okavango sorge una riserva naturale governativa con un’area di 4.871 km2 (40 % del delta), l’unica parte adibita a parco del delta, dove vi è la più grande concentrazione di animali di quest’area. Il parco venne dichiarato tale dalla popolazione BaTawana che inaugurò il santuario naturale il 15 marzo del 1963: fu la prima riserva naturale dichiarata e fortemente voluta dalla popolazione locale di un paese africano, una vera pietra miliare nella storia africana. I BaTawana erano fortemente preoccupati per la diminuzione degli animali selvaggi che popolavano la zona e che venivano impunemente massacrati dalla caccia. La riserva Moremi deve il suo nome al capo tribù Chief Moremi III, ma ad essere precisi in quel periodo a governare i BaTawana era la moglie del capo la signora Moremi, e quindi è a lei che si ispira il nome della mitica riserva faunistica. Oggi il parco è amministrato e davvero ben gestito dal DWNP (Department of Wildlife and National Parks) ed è senza dubbio una delle prime Africa’s top destinations per gli amanti dei fotosafari tant’è che nel 2008 è stata premiato come migliore riserva faunistica in Africa » dalla rinomata African Travel and Tourism Association. Moremi è senza dubbio una delle riserve più belle d’Africa e, probabilmente,
del mondo intero. La riserva faunistica di Moremi è situata nella parte centrale e orientale del Delta dell’Okavango e comprende la penisola Moremi e Chief ’s Island, formando così uno degli ecosistemi più ricchi e svariati del continente. Quest’area è ideale per l’avvistamento degli animali selvaggi e degli uccelli poiché qui si incontrano tutte le specie di erbivori e carnivori presenti nella regione e oltre 400 specie di volatili, tra cui numerosi uccelli migratori e alcune specie in pericolo di estinzione come i rinoceronti. Il territorio è molto vario, ma la dominanza delle grandi piante di mopane (qui sembrano proprio dei veri giganti) appresenta il 90% della vegetazione. Si possono incontrare anche terminalie, acacie e vere e proprie isole di palme. Come accennato in precedenza, all’interno della Moremi Game Reserve vi sono la penisola di Moremi e la Chief’s Island. Entrambe le lingue di terra sono i luoghi ideali per ammirare la ricca fauna africana, ma fra le due la Chief’s Island nella zona di Mombo (punta nord) è forse quella che maggiormente stupisce e ammalia anche i più datati esperti safaristi di tutto il mondo.

Al gate Renzo si accorge di aver tagliato una gomma quindi decide di cambiarla. Nel mentre io vado negli uffici per la registrazione. Controllano il foglio del pagamento delle conservation fees che ci hanno rilasciato a Maun e i voucher dei pernottamenti. Alle 10.30 partiamo. Decidiamo di fare la deviazione che passa per le Black Pools e poi torna alla strada principale alla Xini Lagoon. Questo tratto richiederà 4 ore di viaggio. Non c’è nessuna indicazione, ci sono tantissime stradine, tutte su sabbia, che raggiungono i posti più sperduti. Più che il navigatore, dove imposti solo la destinazione seguente, troviamo utilissima l’app del cellulare Maps.me perchè la puoi consultare passo a passo. Dopo qualche km dal South Gate ci rendiamo conto che forse è stata una scelta sbagliata fare questa deviazione perchè è tutto completamente secco e ci sono pochi animali (elefanti, kudu e tsessebe). In alcuni lunghi tratti non vediamo nulla. Forse dovevamo andare diretti al Third Bridge e girare in quella zona. Ma come si poteva saperlo? Poi ci ricrediamo quando arriviamo alla Mogogelo Hippo Pool, l’unico punto in cui c’è acqua, e vedremo diversi elefanti, che si contendono la pozza con alcune giraffe e dei bufali. Ovviamente la vincono gli elefanti. In questa pozza ci sono più animali di quelli visti in tutto il giorno. Per fortuna abbiamo deviato. Ci fermiamo per strada a pranzare. Fa decisamente caldo. Proseguiamo per la Xini Lagoon, completamente asciutta. E’ una desolazione. Poveri animali come fanno a vivere con questa siccità… Sapevamo che si concentrano nella parte più centrale della Moremi, ma non ci aspettavamo di vedere così poco oggi. Man mano che si procede verso nord la vegetazione aumenta e anche il colore verde. Dalla Xini Lagoon impieghiamo 1 ora per arrivare al First Bridge. I ponti che ci sono nella Moremi sono tutti di legno. Anche se sono sommersi di acqua si può passare ugualmente, anche perchè in alcuni punti non ci sono alternative. Il più terribile è il Third Bridge, che faremo domani. Un ragazzo che conosco ha percorso il ponte in uscita dal Khwai (lo percorreremo dopo domani) con l’acqua alle portiere… e hanno dovuto alzare i finestrini perchè un coccodrillo passava nel mentre… Comunque sotto il First Brigde non c’è acqua. Sotto il Second Bridge ce ne è poca. Volendo si può passare con la macchina di fianco, dove c’è un piccolo guado. Pier ci ha pensato un attimo se farlo o meno ma, essendo terra e non sabbia, ha preferito evitare grane e siamo passati sul ponte. Da qui ci sono due strade per raggiungere il Third Bridge Camp: la prima indicata come Wet è di 4 km. mentre l’altra Dry ed è di 8. Vedendo quanto è asciutto proviamo con quella wet nella speranza di trovare un pò di acqua. In effetti la strada è asciutta ma ci sono alcune pozze con gli ippopotami. In questa zona, oltre ad essere molto bella, c’è qualche animale in più. Vediamo i primi Red lechwe, antilopi che vivono nelle paludi. Alle 17 siamo al Third Bridge Camp. Vendono la legna e ci sono le gabbie per l’immondizia. C’è una parte campeggio con i bagni come quelli visti nei parchi precedenti. Quando abbiamo prenotato non c’era più posto quindi abbiamo dovuto ripiegare sugli chalets in self catering (il pernottamento ci è costato il doppio). Al gate ci registriamo, ci fanno firmare un foglio per lo scarico di responsabilità, ci dicono di stare molto attenti agli animali che vagano la notte, chiediamo info sulla percorribilità del ponte e delle strade per domani mattina e poi andiamo alle camere. Sono tutte nuove di pacca. Hanno la struttura in tenda su una palafitta in legno. Il bagno è esterno sul retro. Tutti gli chalets sono in fila ma distanziati. Gran bel posto. Noi ne avremo due mentre i Pocket solo uno perchè hanno un letto aggiuntivo. Monica e i ragazzi rimangono qui così iniziano a lavarsi mentre noi 5 andiamo a fare un giro di un’oretta per vedere il tramonto. Questa è zona molto battuta dalle iene. Appena ci allontaniamo ne vediamo arrivare una (maculata), in linea d’aria punta agli chalets. Torniamo subito indietro per avvisare di non scendere dal portico e di fare attenzione. Loro non la vedranno ma sicuramente si sarà appostata in attesa del buio per cercare qualche avanzo della cena. Noi puntiamo ad una pozza che abbiamo visto oggi ma non ci arriveremo perchè troviamo una jeep insabbiata. Attaccano la corda traino alla jeep di Renzo e la tirano fuori. Ha anche il carrello quindi è pesantissima. La maggior parte dei tour operator offrono questo tipo di vacanza. I turisti viaggiano tutti su una jeep scoperta (solitamente 7/9 persone) e poi ci sono altre due jeep con i carrelli con tutto il  necessario per il campeggio. Il campo viene montato e smontato ogni giorno. I turisti non si devono occupare di nulla, ci sono le guide che se ne occupano. Le tende (dome tents) hanno all’interno due brandine. La doccia è da campeggio, con una tenda, e il bagno viene fatto scavando un buco, sempre recintato con una tenda. I pasti vengono cucinati al momento. Questa soluzione di vacanza, molto spartana, molto di più della nostra perchè nei campeggi noi abbiamo sempre trovato acqua calda nelle docce, non è comunque a buon mercato. Avendo perso tempo aiutando gli insabbiati, ci fermiamo in una radura a vedere il tramonto (non bellissimo), facendo un aperitivo con patatine e birra. Rientriamo e troviamo ancora la jeep di prima, bloccata. Questa volta si fermano altri signori a tirarli fuori. Spero che siano riusciti a raggiungere la destinazione prima della notte. Noi arriviamo al campo ancora con la luce. Decidiamo di cenare tutti insieme sul portico dei Pocket. Questo è l’unico posto in cui faremo la griglia avendo una struttura alle spalle. Se arrivasse un predatore attirato dal profumo, potremmo entrare velocemente in camera. Ci tenevamo a farne almeno una in tutta la vacanza e questo è l’unico posto che lo consente anche perchè gli uomini hanno poi bisogno di una doccia e il bagno è in camera, non distante come nei campeggi. Comunque appena togliamo la carne dalla confezione, buttiamo subito tutto in un sacchetto, lo chiudiamo bene e lo metteremo in macchina. I predatori sono attratti dal sangue non dalla carne cotta perchè non la conoscono. Oltre alla carne facciamo le pannocchie e i peperoni. Tutto ottimo anche se la carne è molto dura. Alle 22 dormiamo. Notte tranquilla senza nessun rumore.

Pernottamento: Third Bridge Camp (fa parte dei Xomae Camp)

chalets doppi (autonomi per cena e colazione)

(https://www.xomaesites.com/camping/10-third-bridge.html)  – (gps S19 14.318 E23 21.406). 

Costo a testa: USD 120 (€ 109)  – tot.€ 436 – il campeggio costa USD 50 a  testa

Ci sono 8 camere tendate (doppie con possibilità di aggiungere un materasso per terra con letto, wc e doccia esterni – c’è il braai – immondizia – non ci sono utensili per la cucina, bisogna usare la propria attrezzatura da campeggio – non è recintato – c’è la corrente – si trova sulle rive del Moanachira River.

Volendo si può fare un’escursione in barca da 9 posti che costa all’ora circa BWP 600 (€ 50) per tutti, dura un paio d’ore. Il game drive del pomeriggio (15.00-18.00), per un gruppo di 6/10 persone, costa circa BWP 300 (€ 25) a testa.

 

10) 12 agosto 2019 lunedì – km.45 (sabbia): Moremi (Third Bridge) – Moremi (Xobega Island)

Strada: si passa il Third Bridge (legno) e viaggiando nella parte centrale della Moremi si arriva dopo circa km.45 alla Xakanaxa Boat Station (gps S19 10.845 E23 24.721) dove lasceremo la macchina per andare a Xobega Island, nel centro dell’Okavango, per il pernottamento.

Market: no

Banca: no

Benzinai: no

Partiamo alle 6.30 con il buio pesto. Pier e Martina vengono in macchina fino davanti al nostro chalet per caricare me e Matteo. Andiamo a fare colazione ad una pozza che abbiamo visto ieri sulla wet road. Ci posizioniamo vista acqua e sole che sorge alle sue spalle, sono quasi le 7. Alcuni ippopotami sono a mollo. Il cielo è di un rosso pazzesco. Bellissimo. Torniamo poi al Third Brigde Camp e da lì proseguiamo. Poco distante troviamo il fatidico Third Bridge (https://www.youtube.com/watch?v=jgxvtsOXTpg). Se l’acqua è poca come nel video, si può passare, altrimenti bisogna fare una grossa deviazione per proseguire. Quest’anno, visto la siccità lo troviamo con pochissima acqua sotto come pure il Fourth Bridge. Foto di rito e si prosegue. I paesaggi sono molto belli e vedremo parecchi animali come elefanti, impala, manguste, gnu, giraffe, zebre, red lechwe, cobo ell’ellisse, aquile pescatrici ecc. Facciamo anche un giro nella zona di Dead Tree Island, dove ci sono, come dice il nome, parecchie piante morte. Bello. Ci sono stradine ovunque, sarebbe facilissimo perdersi perchè non ci sono indicazioni. Raggiungiamo la Xakanaxa Boat station dopo 3 ore. Qui c’è un campeggio (dovesse servire non ho visto la gabbia per l’immondizia) che si affaccia sulle paludi ed un lodge costoso (Okuti – Ker & Downey). Troviamo un elefante che ci viene incontro. Ha la proboscide sollevata per captare gli odori. Sta seguendo quella direzione. Passa proprio nella zona campeggio. Decidiamo di mangiare qui, in una piazzola vuota. Facciamo una bella carbonara, come dicevo, il fatto di avere tutta l’attrezzatura sempre con noi, possiamo fare qualche pranzo migliore di creckers e ceddar … Prepariamo gli zaini con le cose che ci serviranno per la notte e parcheggiamo le jeep in uno spiazzo dove ci indicano dei signori. La nostra barca-taxi arriva puntuale alle 13.00. Siamo solo noi. Il nostro Caronte è un ragazzone super gentile. Il tragitto dura più di un’ora e mezza. Percorriamo con calma i canali costeggiati da canne. Bei panorami. Vediamo facendo delle soste, alcuni elefanti, hippos, red lechwe, coccodrilli e poi una bellissima civetta pescatrice (pel’s fishing owl), la più grande di quelle africane. E’ alta fino a 65 cm. ed è di colore rosso dorato. Molto bella. Sta dormendo su un ramo nascosto. Apre gli occhi e poi spicca il volo per trovare un posto più tranquillo. Raggiungiamo l’isola (i predatori non arrivano fino a qui ma gli elefanti si, quando ci sono i frutti di marula maturi). Sul piccolo porticciolo ci sono i ragazzi che gestiscono il campo che… ci cantano una canzone di benvenuto… terribile… proprio non ci piacciono queste cose in primis perchè loro sono imbarazzati a fare quello spettacolino, ma sono obbligati. Ci accolgono con un cocktail di benvenuto. C’è una tenda come reception con alcuni divanetti e dove si possono caricare cellulari ecc, una tenda con i tavoli della cena e vicino il boma, un’altra tenda con altri divanetti e poi 10 camere tendate. Ci danno tutte le indicazioni del caso e poi ci portano alle nostre camere. Dicono di tenere tutto super chiuso perchè ci sono i babbuini e i cercopitechi che rubano e per le zanzare. La tenda ha due letti (con la scritta welcome fatta con i semini della pianta di jackalberry), un mini tavolino sul quale ci sono bicchieri e spray per il corpo e per l’ambiente contro gli insetti, il bagno super spartano è esterno. Non c’è acqua corrente quindi il lavandino ha una brocca a fianco, la doccia è un secchio nel quale verrà messa l’acqua calda e il gabinetto è come quello dei camper. Allora, posso dire che questo è il livello più basso di quello che si trova nel centro dell’Okavango, dove i prezzi sono anche di $ 3000 a testa a notte (vedi Mombo e Little Mombo), però per 800 € a camera doppia, potevano studiare qualcosa di meglio più che altro per il bagno. Abbiamo 1 ora e mezza di relax. Alle 16 c’è la merenda con dolci, the ecc ecc e alle 16.30 partiamo. Saremo noi 9 e due coppie di tedeschi. Saranno due ore molto piacevoli. Vedremo diversi marabù nei nidi, ippopotami ed elefanti. Ci fermiamo in un punto su un’isola per l’aperitivo con birra o vino, biltong (spettacolare carne secca a pezzettini), patatine e spagnolette. Andiamo poi in una laguna per vedere il tramonto. Credo sia uno dei tramonti più belli che ho visto in vita mia. Rientriamo quasi con il buio, doccia calda veloce e alle 19 siamo a cena. Ci sediamo un attimo sui divanetti ed ecco… la canzoncina “your dinner is ready”… che viene cantata dal personale… La cena sarà buona. Il nostro Caronte ci racconta che è di Kasane. Rimane qui 3 settimane e poi altre 3 le passa a casa. Ha 2 bimbi piccoli quindi gli diciamo che domani mattina, quando arriveremo alla macchina, gli daremo dei vestitini. Accetta super volentieri. Andiamo un attimo intorno al fuoco nel boma, paghiamo le bevande che non erano comprese nel prezzo, solo 10 euro tra aperitivo e cena, e poi alle 21 andiamo a dormire.

Pernottamento: Xobega Island Camp

campo tendato (tutti i pasti sono compresi tranne il bere)

(https://www.xobega.com/) – partenza dalla Xakanaxa Boat Station (gps S19 10.845 E23 24.721)

Costo a testa: $ 450 (€ 395)  – tot.€ 1580

Ci sono 10 tende quindi massimo 20 ospiti – non prendono la carta di credito

11) 13 agosto 2019 martedì – km.56 (sabbia): Moremi (Xobega Island) – Khwai (north gate)

Strada: rientro in barca a Xakanaxa poi spostamento verso est fino al North Gate nel Khwai (gps S19 10.288 E23 45.064)

Market: nel paesino di Khwai, ma ci sono pochissime cose e solo non deperibili

Banca: no

Benzinai: no

Ci vengono a svegliare alle 6.30 con l’acqua calda che viene messa in una sorta di catino, fatto con la stoffa delle tende. Ma noi siamo già svegli da un pò… alcuni ippopotami mangiano l’erba fuori dalla tenda… emozione. Appena sentono dei rumori si gettano in acqua. Andiamo a fare colazione… questa volta non intonano la canzoncina… anche se la aspettavamo con ansia… diversi cercopitechi rumoreggiano sui rami. Lasciamo l’isola. Lungo il tragitto vediamo un sitatunga, è la prima volta per noi, e alcuni ippopotami. Alle 9.30 siamo alle jeep. Andiamo nell’area campeggio per sistemare le cose nel cassone. Ci sono diversi babbuini con i piccoli attaccati alla pancia o sulla schiena. Ci guardano curiosi. Una mamma fa tenerezza. Ha il piccolo morto tra le braccia. Cerca di metterlo sulla schiena. Ogni volta che cade lo raccoglie e lo tiene vicino. E poi dicono degli animali. Ripartiamo. La zona che andremo ad attraversare sarà piena di animali perchè c’è acqua. Andiamo alle Paradise Pools, pur essendo strada senza via di uscita, quindi poi dovremo tornare indietro. Bellissimo paesaggio. Passiamo in qualche pozza d’acqua giusto per divertimento, si potevano aggirare. Da lontano vediamo una macchina ferma e di fianco una sagoma inconfondibil … velocemente, nonostante la strada non bellissima, li raggiungiamo. Finalmente!!!! Un bellissimo giovane leone maschio sdraiato come una sfinge. E poco più in là credo sia il padre o un fratello maggiore perchè ha la criniera più scura. Non muovono un baffo. Sono tutti e due intenti ad ascoltare qualche rumore a noi sconosciuto. Quindi, come si usa fare, spegniamo subito il motore. Aspettano un segnale, che tarda ad arrivare, prima di muoversi. Si vede che sono impazienti, continuano a muovere la coda. Questa radura è molto bella, erba gialla e verde, acqua, piante morte e come contorno grandi piante verdi, elefanti in lontananza ed un silenzio assoluto. Le foto si sprecano e poi dopo un attimo proseguiamo. Vediamo parecchi animali, in particolare elefanti con molti piccoli troppo buffi. Essendoci molta acqua li troviamo ovunque che bevono e si bagnano. I piccoli, non avendo ancora molta dimestichezza con la proboscide, per rinfrescarsi, fanno prima a sdraiarsi e rotolarsi, piuttosto che farsi la doccia. Immagini davvero belle. In un punto c’è un guado da fare. Andy ci aveva dato indicazioni con le coordinate per evitarlo ma noi ci proviamo. Vogliamo avere la soddisfazione di averne fatto almeno uno. Pier dice che la macchina si comporta in modo completamente diverso rispetto alla sabbia. Su questo c’è una precisazione da fare.

Informazioni sui guadi:

Bisogna valutare molto bene i guadi:

– l’altezza dell’acqua non si valuta entrandoci a piedi. Se è 20 cm. ci può anche stare ma oltre è pericoloso per la possibile presenza di coccodrilli. E poi se è un lungo tratto si è a rischio per i predatori. Si possono usare bastoni lunghi. I video nei quali si vedono le persone che entrano in infradito non sono da seguire come esempio. Solitamente sono sudafricani spericolati.

– guardare se ci sono segni di pneumatici in entrata e in uscita. Se ci sono, si seguono quelli, se non ce ne sono, non si entra e si cerca una strada alternativa.

– valutare se è sabbia o terra. Se è sabbia si può entrare senza problemi perchè con il peso della macchina, diventa cemento, se è terra non si deve entrare. Terra e acqua diventano fango e con il peso della macchina è come fossero sabbie mobili. Non si esce. Se si rimane bloccati l’unico modo per tirarsi fuori, se si è da soli, è legare il verricello ad una pianta. Se non ci sono piante, si è spacciati, si deve sperare che passi qualcuno o si devono chiamare i soccorsi. Quindi i guadi non sono da prendere sottogamba. Dalla sabbia in qualche maniera ci si tira fuori aiutati dal fatto che si è all’asciutto e che si possono usare pala, quello che sembra un grosso cric e le strisce da mettere sotto le gomme. Nell’acqua si lavorerebbe in condizioni non piacevoli.

 

Raggiungiamo alle 13 la Dombo Hippo Pool. Anche questo posto è notevole. La pozza è molto grossa, c’è un hide sopraelevato e nell’acqua diversi ippopotami. Molti animali bevono sulla riva. Ci sono 5 o 6 macchine perchè è il posto perfetto per il pic-nic. Non è recintato ma c’è molta visibilità quindi si può scendere. Vado subito sull’hide. Pazzesco, di fianco al gruppo di ippopotami sommersi per metà, ce ne è uno morto e 4 coccodrilloni lo stanno mangiando. Questi due animali convivono, rispettandosi a vicenda, ma se un ippopotamo muore i coccodrilli ovviamente lo mangiano. Hanno problemi di convivenza nei periodi di siccità quando gli spazi sono molto limitati e sono tutti nervosi. In questo caso può capitare che gli hippos attacchino anche i coccodrilli per territorio. La scena che ho davanti agli occhi è pazzesca, come fa il gruppo di ippopotami a stare lì così a guardare e a dormire? Potrebbero almeno spostarsi di qualche metro!! I coccodrilli nuotano intorno, ogni tanto uno si immerge sollevando acqua con la coda, per andare a staccare un pezzo. Poi lo ingoiano sollevando la testa fuori dall’acqua. Questa è una classica immagine da documentario. Io e altre due signore scendiamo sulla sabbia e ci avviciniamo un pochino all’acqua. Avremo la scena ad una ventina di metri. Pier mi viene a chiamare, il pranzo è pronto. Io neppure ci pensavo a mangiare. Mi perdo sempre in queste situazioni. Arrivo e trovo uova all’occhio di bue e bacon… acciderbolina … immaginavo un pezzo di formaggio e crackers … Pier ci sta prendendo gusto a fare anche pranzetti deliziosi… La pentola la laveremo stasera al campeggio. Dopo pranzo proseguiamo. Non c’è un gate per passare dalla Moremi al Khwai, onestamente non credo neppure ci sia un confine. Il Khwai è il tratto che dal North Gate arriva fino alla punta estrema dell’ansa del fiume.

Informazioni sul Khwai:

https://www.naturalworldsafaris.com/africa/botswana/khwai-community-reserve

Conservation Fees: BWP 120 (€ 10) adulto – BWP 60 (€ 5) minorenne + BWP 50 (€ 4) la macchina

Orari: da aprile a settembre 6.00/18.30 – da ottobre a marzo 5.30/19.00

La Khwai è una concessione di 180.000 ettari che confina con il lato nord orientale della Moremi. L’unica fonte di acqua della zona è il fiume Moremi quindi è una calamita per tantissimi animali dandola possibilità di vedere immagini uniche. Ci sono tanti wild dogs. Vicino al Khwai Gate (North Gate), sul fiume Khwai c’è un ponte in legno anche chiamato Bridge Over. Ad 1 km. si trova il Villaggio di Khwai dove abitano i boscimani di fiume (babukakhwe). Dovesse servire qui c’è un negozietto con generi di prima necessità tra i quali la legna. Si può visitare senza problemi, girando tra le capanne. Nel parco, bella la zona ad est del gate, sul lato sud del fiume, oltre il campeggio.

Arriviamo al campeggio del North Gate alle 15.30. Andiamo alla reception a registrarci. C’è la possibilità di acquistare la legna. Passiamo sul lungo ponte in legno chiamato anche Bridge Over. Il fiume Khwai sotto di noi è ridotto al minimo. E’ qui che quel mio amico aveva l’acqua alle portiere e mentre passava il ponte un coccodrillo nuotava vicino alla macchina… Vedendo com’è questo posto ora, faccio fatica ad immaginarlo in una situazione diversa. Andiamo poi al villaggio di Khwai, poco dopo. Il negozietto è piccolino e le ragazze servono dei sudafricani arrivati prima di noi… al rallentatore. Vediamo delle capanne quindi chiediamo se ci sono bambini ai quali lasciare i vestiti. Ne abbiamo parecchi ancora ma dobbiamo liberarcene perchè ci portano via troppo spazio. Il borsone era da 30 kg… In un nano secondo arrivano una quindicina di bimbi. Pier va anche a comperare dei ciupa-ciupa quindi sono tutti super felici. Facciamo tante foto. Torniamo poi al campeggio. La piazzola è grossa con centro il bomba in cemento al centro. C’è l’immondizia. I bagni sono a 40 metri. Abbiamo ancora un’oretta quindi io, Pier e Martina facciamo un giro costeggiando il fiume. Gli altri, compreso Matto che fa una partita a carte con Luca (in mancanza di collegamenti internet vengono rispolverati i vecchi passatempi…), rimangono al campeggio. Vedremo tanti animali tra i quali ippopotami, coccodrilli, impala, gnu, elefanti, zebre, waterbuck, red lechwe, giraffe il tutto con la  luce dorata del tramonto. Vanno tutti all’acqua a bere. L’unica cosa negativa del campeggio è che non ci si può godere l’ora del tramonto, che è la più bella. Dalle 16.30 alle 17.45 è il momento migliore della giornata. Se si dorme in lodge o nei campi in self catering si può arrivare anche dopo che il sole è calato, con il campeggio no. Bisogna arrivare ancora con la luce per fare tutto. Questo è un peccato. Rientriamo. Pietro e Renzo hanno già acceso il fuoco. Velocemente apriamo la tenda e andiamo a farci le docce. Prepariamo cena. Questa sera riso bollito con verdure. Matteo e Martina salgono in tenda alle 19.30… quasi come le galline… le giornate sono intense quindi tutti gradiamo ritirarci presto. Noi adulti rimaniamo ancora un paio d’ore a chiacchierare intorno al fuoco. Non serve usare la torcia per guardare fuori dalla tenda perchè c’è la luna piena. Su questo siamo stati agevolati parecchio. Fosse stata luna nera, il buio sarebbe stato completo invece così abbiamo sempre avuto molta visibilità, importante dopo il tramonto. Tempo due minuti sentiamo dei passettini veloci. Fosse solo sabbia non si sentirebbero ma, essendoci foglie secche, siamo facilitati. Passa tra la nostra scaletta e il fuoco, che è ancora acceso, una bella iena maculata. La vediamo benissimo. Dopo 10 minuti un’altra e dopo 10 minuti un’altra ancora. Sentiamo anche diversi rumori nei cespugli ma non capiamo di quale animale si tratti. Abbiamo idea si tratti di un ippopotamo. E poi sentiamo un verso che fa venire la pelle d’oca. E’ una iena vicinissima, sarà a 5 o 6 metri perchè intravediamo l’ombra dietro ad un cespuglio. Non l’avevamo mai sentita così da vicino. E dopo un attimo ancora. E poi il sonno ahimè prende il sopravvento.

 

Pernottamento: Khwai Campsite North Gate (fa parte dei SKL Camp) 

campeggio (autonomi per cena e colazione)

(https://sklcamps.com/campingsites/)  – (gps S19 10.288 E23 45.064)

Costo a testa: USD 50 (€ 45) – minori USD 25 – tot.€ 158

Ci sono 10 piazzole (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone) – braai – bagni – immondizia – non recintato – c’è la possibilità di comprare legna e nel paesino di Khwai, dopo il ponte, c’è un piccolo market

12) 14 agosto 2019 mercoledì – km.132 (sabbia): Khwai (north gate) – Savuti

Strada: superiamo il Bridge Over del Khway  e raggiungiamo il Mababe Gate, il gate sud del Chobe National Park (gps S19 06.177 E23 59.119) e quindi del Savuti.   

Market: nel paesino di Khwai, nel paesino di Mababe ma non è di strada e alla reception del Savuti Camp. Tutti e 3 hanno pochissime cose e solo non deperibili quindi non fateci troppo affidamento.

Banca: no

Benzinai: no

Ormai siamo esperti di chiusura tenda quindi in mezz’ora siamo pronti. Ripercorriamo la strada che abbiamo fatto io e Pier ieri sera, lungo il fiume. Questa mattina ci sono pochi animali. Troviamo una radura e ci fermiamo a vedere l’alba e a fare colazione. Torniamo al campeggio ed usciamo. Sono le 8.00. Appena oltre il villaggio vediamo un grosso gruppo di bufali, giraffe e delle zebre. Notiamo una pozza sulla sinistra, vicino alla strada. Ci fermiamo e la raggiungiamo a piedi. Ci sono una ventina di ippopotami che dormono nell’acqua. Sono avvolti dalla nebbiolina mattutina. Bell’immagine. La strada è tutta sabbiosa. Ad un certo punto Renzo e Simona si accostano e ci consegnano la nostra griglia… è attaccata alla ruota posteriore e con i sobbalzi si sono allentate le cinghie. Meno male che nessuno ci ha messo sopra le ruote!!! Imbocchiamo una deviazione per raggiungere il gate del Chobe/Savuti. Le coordinate dovrebbero essere (S19 09.277 E23 45.950). Praticamente anzichè raggiungere la strada principale che collega Maun con il Savuti, vicino al paesino di Mababe (lo svincolo gps S19 09.000 E23 57.084), tagliamo l’angolo imboccando una stradina a sinistra. Tutta sabbia profonda fino al gate, anche dopo aver imboccato la strada principale. Ogni tanto salta fuori qualche elefante dalle piante… Alle 9.30, quindi in 1 ora e 1/2, Siamo al Mababe Gate, il gate sud del Chobe National Park (gps S19 06.177 E23 59.119), quindi entreremo nell’area chiamata Savuti.

Informazioni sul Chobe National Park:

Conservation Fees: BWP 120 (€ 10) adulto – BWP 60 (€ 5) minorenne + BWP 50 (€ 4) la macchina

Orari: da aprile a settembre 6.00/18.30 – da ottobre a marzo 5.30/19.00

Il Chobe National Park ha tre aree principali: il Chobe Riverfront a nord, l’area Savuti a sud e l’area del Linyanti ad ovest. Ha 5 gate: Mababe a sud, Linyanti ad ovest, Poha ad est, Ngoma a nord-ovest e Sedudu a nord-est.

Fu nel lontano 1930 che Sir Charles Rey, commissario britannico del Bechuanaland, propose per la prima volta di realizzare un’area protetta nella regione dove, oggi, troviamo il parco Chobe. Purtroppo dovettero trascorrere oltre 30 anni prima che i suoi desideri fossero realizzati. Questo accadde nel 1961 con l’atto governativo n°22. Il Chobe fu il primo parco nazionale del paese con una superficie attuale di 10.600 kmq. Il Chobe National Park è il secondo parco per importanza del Botswana dopo il Delta dell’Okavango. Prende il nome dal fiume Chobe che ne delimita il confine a nord. Questo fiume si chiama Kuando da punto in cui nasce in Angola fino al confine tra Namibia e Botswana. Da qui prende il nome di Linyanti fino al punto di frontiera Ngoma Bridge (Namibia/Botswana). Poi si chiama Chobe fino a quando sfocia nello Zambezi a Kazungula (punto di incontro tra 4 stati Namibia/Botswana/Zimbabwe/Zambia). Unito allo Zambezi si getta nelle Victoria Falls. Lungo le rive settentrionali del fiume Chobe si trova la maggiore concentrazione di fauna del parco e i fotosafari si svolgono sia a bordo di veicoli 4×4 sia su imbarcazioni che percorrono il fiume. La maggiore attrattiva, oltre al bellissimo paesaggio offerto dal fiume, è probabilmente data dalle grandi mandrie di bufali e dalle numerose “famiglie” di elefanti presenti in oltre 120.000 esemplari, ma il parco è ricchissimo di uccelli, rettili, impala, antilopi delle varie specie e, ovviamente, predatori quali leoni e leopardi. Questo parco rappresenta un vero esempio di come il turismo diventi uno strumento fondamentale per salvaguardare la biodiversità: nel 1970 erano rimaste poche migliaia di elefanti nella zona, uccisi dallo spietato business dell’avorio, ma in quasi 40 anni la popolazione è aumentata in modo esponenziale tanto da guadagnarsi il primato per numero assoluto. Il parco può essere suddiviso in 4 aree diverse per vegetazione e configurazione orografica: Serondela nel nord est, Savute Marsh ad ovest, le Linyanti Swamps nel nord ovest e le aree secche centrali. L’entrata di Sedudu Gate, la principale, è vicinissima alla città di Kasane. La zona di Serondela è caratterizzata dai grandi resort turistici ed è la porta d’entrata del parco. Un tempo era presente una segheria della quale oggi sono visibili solo alcune tracce e la tomba del suo vecchio proprietario. Esiste un piccolo tratto di strada asfaltata ben mantenuta che funge da arteria per raggiungere il confine con la Namibia a Ngoma. La zona ad ovest, quella della famosa Savute marsh, è caratterizzata dalla Magwikhwe sand ridge che ha un’altezza variabile tra i 18 ed 20 metri. Questo anello di sabbia è ciò che resta del super lago che ricopriva in ere passate l’intero (o quasi) territorio del Botswana. Un tempo il fiume Chobe (nel tratto che ora si chiama Linyanti) portava le sue acque in questa zona acquitrinosa che è la parte più profonda della depressione di Mababe ed è proprio per questo motivo, per la sua maggiore profondità, che ancora oggi l’acqua arriva e permane per pochi giorni all’anno senza avere, apparentemente, un legame con le precipitazioni che interessano la zona. In quest’area si possono ancora notare i tronchi delle acacie che vennero sradicate dal passaggio del fiume Chobe nel canale di Savute nel lontano 1958. Nel parco quasi tutti gli anni ha luogo la migrazione (ve ne sono due in Botswana) delle zebre dal Linyanti alla Savute Marsh. Altra caratteristica particolare di questa zona sono le colline di Gubatsa. Si pensa che la loro formazione avvenne circa un miliardo di anni orsono durante i movimenti delle tettoniche che tanto interessarono il cuore di quello che sarebbe diventato il Gondwanaland. Queste colline (koppies) si ergono per circa 90 metri e un tempo, quando le acque del super lago erano presenti, dovevano uscire di poche decine di metri sopra il livello dell’acqua. Qui si possono trovare ancora sporadici petroglifici boscimani. Altra zona di grande interesse paesaggistico è l’area del Linyanti, una delle più ricche dal punto di vista paesaggistico e faunistico. Infine il parco è caratterizzato dalle zone sabbiose centrali, dove solo pochi animali vi si addentrano, ma che offre paesaggi meravigliosi soprattutto nelle primissime ore di luce serali e al tramonto: peccato che solo gli animali e i ranger possano godere di questi spettacoli poiché il parco apre e chiude con il sole.  

Informazioni sul Savuti:

Savuti si trova a sud del Chobe Park e prende il nome dal canale che la attraversa. Il Savuti Channel ormai secco da quasi 20 anni ha formato vaste depressioni, rendendo il territorio arido e pressochè desertico in molti punti. La zona vanta un’altissima concentrazione di animali e per questo ci sono ottime possibilità di avvistamento, soprattutto nel periodo da novembre ad aprile quando gli animali migrano a Savuti scendendo da nord alla ricerca di nuova erba. Oltre alla grande quantità di elefanti, giraffe, zebre, kudu, gnu, impala e altre specie di antilope ed erbivori, Savuti è ben nota per la grande quantità di predatori che ospita, come leoni, iene, sciacalli, ghepardi e licaoni. I pochi lodge della zona sono di altissimo livello. In alternativa si può campeggiare con la propria tenda anche se come nel resto del Botswana è un’alternativa raccomandata solo a chi ha una particolare esperienza di guida fuoristrada nel bush e un alto spirito di adattamento.

Savuti è famoso per il suo canale. Corre a una distanza di 100 chilometri dal fiume Chobe, attraverso una fessura nel crinale di sabbia, fino alla Depressione del Mababe. Cadendo solo di circa 18 metri, questo canale porta l’acqua dal Chobe a Mababe, creando una piccola palude in cui entra nella Depressione. Scorrendo nei tempi di Livingstone, il canale era asciutto nel 1880, e rimase asciutto per circa 70 anni. Riemerse di nuovo nel 1957. Savuti Marsh è rimasto asciutto per 18 anni. Savuti è famoso per i suoi predatori, in particolare per i leoni e per le popolazioni di iene maculate. Solo 38 chilometri a nord-ovest di Savuti e al di fuori della principale strada turistica si trova il segreto meglio custodito del Botswana: Linyanti e le valli occidentali del Canale Savuti. Le aree Linyanti e superiore Savuti sono tra le più belle del Botswana. La visione del gioco può essere eccezionale e l’ampia varietà di attività rende questa zona da non perdere. Linyanti ospita grandi mandrie di bufali, zebre ed elefanti. Poiché quest’area è una riserva di caccia privata, le concentrazioni dei veicoli sono molto basse e l’esperienza della natura selvaggia è una delle migliori in Africa. L’area di Savuti è principalmente caratterizzata da sandveld di Camelthorn (Acacia erioloba), Silver Sandalia (Terminalia sericea), savana di lavanda e veld mopane. Il paesaggio quasi desertico di Savuti con il sole cocente, la sabbia sciolta e calda, gli animali che fuggono dalla calura raggruppandosi nella limitata ombra disponibile e gli elefanti che si allineano per raggiungere la riserva d’acqua, offrono un’esperienza selvaggia che non dimenticherete facilmente.

Nei campeggi le strutture dei bagni sono a prova di elefante, dal gran numero presente. I leoni si sono specializzati proprio negli attacchi di gruppo contro i pachidermi. Spesso le pozze d’acqua sono dei cimiteri di ossa.

 Ci sono due strade che arrivano da sud alla zona centrale del Savuti:

– Quella più ad ovest, la Magwikhwe Sand Ridge Road, è più semplice (circa 70 km. in 3 ore) da qui poi si deve scendere nelle Savuti Marsh,  dove ci sono tanti animali.

–  quella più ad est, la Old March Road, nella parte a sud è molto fangosa. Anche lontano dalle piogge i solchi secchi del fango possono far bloccare. Quindi chiedere bene al gate com’è messa. Da qui si arriva direttamente nelle Savuti March.

 

Sbrighiamo velocemente le registrazioni, chiediamo quale strada è migliore per raggiungere il campo (ci dicono di prendere quella a destra, la Old March Road) e partiamo. Questo tratto è monotono, tutto completamente desertico per la siccità. Non ci sono animali. Il paesaggio cambia quando arriviamo nelle Savuti March. Impiegheremo 2 ore dal gate. Incominciamo a vedere qualche animale ma sono pochi. Mi avevano parlato bene della Marabou Road, dove c’è il Marabou Pan (la nostra applicazione la chiama Elephant Bones) quindi deviamo su questa. Sappiamo che le uniche due pozze dove c’è l’acqua (sono artificiali) sono questa e quella nel Pump Pan (appena sopra il campeggio). Quella al Rhino Vlei non sempre ce l’ha. Quando arriviamo troviamo una cinquantina di elefanti che bevono. Spettacolo. Rimaniamo un pò a guardarli e poi proseguiamo. Giriamo a destra sulla Hyena Den Road che porta al Rhino Vlei. Qui c’è l’ambiente classico della savana. Tutta erba gialla a perdita d’occhio. Ci fermiamo per pranzo… tanto c’è visibilità. Fa caldo. Puntiamo poi al Leopard Rock. Mi sto “specializzando” in impronte… nel senso che guardo sempre per terra sulla sabbia non appena ci fermiamo, anche solo a qualche svincolo. Riconosco benissimo quelle degli elefanti!!!!!! A parte gli scherzi, è pazzesco quante ce ne sono. D’altronde gli animali preferiscono passare dove passano le macchine perchè per terra c’è solo sabbia. Fuori da questa c’è vegetazione quindi rischiano di graffiarsi la pelle. Allo svincolo per imboccare la strada che gira intorno al Leopard Rock butto un occhio e vedo un’impronta ben distinta di leopardo. E’ fresca perchè è ancora perfettamente intatta. C’è un pò di vento quindi, se fosse passato di qui qualche ora fa, i contorni sarebbero rovinati. Guardo la direzione in cui va e ne vedo altre. Puntano proprio alla collinetta rocciosa. Lo cerchiamo ma non lo troviamo… Girovaghiamo sulle varie stradine facendo anche un tratto sul letto del fiume asciutto. Se non ci siamo insabbiati lì… ogni strada per noi sarà una passeggiata. La sabbia è molto profonda e per uscire dobbiamo fare un tratto in salita… Vediamo diversi damalisco, parecchie ossa di elefante e poi il corpo di un bufalo morto, ancora praticamente intatto. E’ ricoperto di avvoltoi. Quando ci avviciniamo volano via. Alle 15.00 raggiungiamo la reception del campo che si trova vicino al ponte sul Savuti Channel. Ci registriamo. La nostra idea iniziale era di fare qui due notti ma c’era posto solo per questa, quindi Andy ci ha prenotato quelle di domani e dopo domani al Muchenje Campsite, vicino al Ngoma Gate, il gate del Chobe Riverfront. Così facendo, se si liberava posto qui, avremmo annullato la prima notte al Muchenje. Fatto sta che prima di partire non c’era disponibilità da nessuna parte. Noi proviamo a chiedere non che magari qualcuno ha disdetto in questi giorni. Risposta negativa. Le due notti al Muchenje Camp ci sono state strette da subito perchè non sono logiche. Una si perchè spezza il viaggio, due no. Visiteremo il Chobe Riverfront e torneremo lì a dormire. Andiamo a vedere dov’è la nostra piazzola. La RSV1, chiamata Paradise per la posizione ottima sul canale, è leggermente rialzata. Noi avremo quella di fianco, la CV4. E’ molto spaziosa, sotto una grande pianta e si affaccia anche questa sul canale. Ci fosse l’acqua sarebbe uno spettacolo. C’è l’immondizia. Ci fermiamo un attimo a fare merenda e ci divertiamo un sacco. Nella piazzola vicina, distante una trentina di metri, c’è una jeep parcheggiata e i due signori sono scesi. Ad un certo punto arriva un grosso elefante, si avvicina alla pianta, solleva la proboscide contro il tronco, incastrandolo tra le zanne, e la scuote come se fosse un ramoscello da niente. Pazzesco che forza. Facendo così i frutti (sono le mezzelune legnose dell’albero di camelthorn) cadono, lui le raccoglie con la proboscide e le mangia. Perlustra tutta la zona e quando non ce ne sono più torna ancora a scuoterla. I due signori si sono posizionati dietro alla macchina e lo guardano tutti felici. Gli ho fatto delle belle foto. Appena l’elefante va via anche loro si sono spostati quindi non ho fatto in tempo a chiedergli l’indirizzo mail. Avrei potuto girargliele una volta a casa, sicuramente sarebbe stato un bel ricordo. Visto che è presto per rimanere qui, facciamo un giro nell’area oltre il ponte, dove c’è la pozza principale, e unica, di questa zona del Savuti. Ci sono tante ossa di elefante disseminate un pò ovunque. La pozza è bella. Ci sono alcuni elefanti che bevono poi, quando se ne vanno, riescono ad avvicinarsi dei kudu e delle giraffe timorose (si chinano a bere ma per ogni minimo rumore si alzano di scatto… è complicata la gestione del corpo con le zampe così lunghe…). Alle 17.30 torniamo al campeggio. Andiamo subito a fare la doccia. Pazzesco, i bagni sono dei bunker per proteggerli dagli elefanti. Vediamo il tramonto mentre i ragazzi giocano a carte. Cena e poi ci ritiriamo presto. Siamo nel paradiso dei leoni e non ne abbiamo visto neppure uno, confidiamo nella mattinata di domani. Di notte passano 3 iene, 2 tassi del miele e poi, nel letto del fiume, deve essere successo qualcosa perchè all’improvviso degli impala si sono messi a correre. Vediamo sfilare anche un elefante. Le notti in tenda sono impegnative… è stancante cercare di stare svegli…

 

Pernottamento: Savuti Campsite (fa parte dei SKL Camp) –

campeggio (autonomi per la cena e la colazione)

(https://sklcamps.com/campingsites/)  – (gps S18 34.015 E24 03.902)

Costo a testa: USD 50 (€ 45) – minori USD 25 – tot.€ 158

Ci sono 14 piazzole (consentiti per piazzola max 3 macchine e 8 persone) – braai – immondizia – bagni (a prova di elefante) – non è recintato

13) 15 agosto 2019 giovedì – km.214 (30 asfalto – 184 sabbia): Savuti – Muchenje (Linyanti)

Strada: Sia Andy che alla reception del campeggio del Savuti ci hanno dato due indicazioni sulla strada per raggiungere Kachikau, per evitare tratti brutti di strada.  Via dal camp bisogna seguire le indicazioni per l’aeroporto (S18° 31.580 E24°04.410) e costeggiarlo. Si ritornerà sulla principale pochi km dopo. Si arriva quindi al Ghoha Gate (S18° 23.244 E24° 14.741). Da qui bisogna, girare a sinistra direzione Linyanti e dopo 7 km. a destra. Anche qui ci si ricollegherà alla principale. A Kachikau (gsp S18° 09.286 E24° 29.786) inizia l’asfalto. Arriviamo poi al Ngoma Bridge (S17° 55.718 E24° 43.676) per accedere al Chobe Riverfront.

Market: Kachikau

Banca: no

Benzinai: a settembre ne hanno aperto uno a Muchenje

Alle 5.00 veniamo svegliati dall’inconfondibile verso dei leoni. Sono due. Troppo presto per andare a cercarli. Arrivano da nord, dove c’è la pozza. Aspettiamo fino alle 6.15 quando si ha una leggera visibilità poi scendiamo. Non stiamo più nella pelle. Velocemente chiudiamo tutto e partiamo. Arriviamo alla pozza ed è vuota. Decidiamo di aspettare e nel mentre facciamo colazione. Dalla parte opposta della pozza, ad un centinaio di metri, ci sono due macchine ferme. La cosa mi puzza. Mi sembra di vedere qualcosa che si muove tra i cespugli quindi io e Pier ci guardiamo e senza neppure dirci niente, in contemporanea vuotiamo fuori dal finestrino la tazza con il the e mettiamo in moto. I Pocket e Renzo e Simona finiscono di fare colazione. Ci affianchiamo alle due jeep. In realtà stanno guardando il sole che sorge sulla destra, perchè c’è più visibilità. Va beh, sensazione sbagliata. Mi giro a sinistra e vedo due occhi che mi guardano. Una bellissima leonessa è appena uscita dai cespugli ed è a 3 metri da noi. Le altre due macchine non l’hanno neppure vista. E qui cade il gelo su di noi… faccio per scattare una foto ma la macchina fotografica è in palla… è un pò che dico che sarebbe bene comprare un secondo corpo macchina ma Pier lo ritiene superfluo, non avendo la passione che ho io per la fotografia… quindi rimanda sempre. Questa è sempre stata la mia paura più grande… Nessuno osa proferire parola. Pier dice sottovoce: non ti stai godendo il momento… lo fulmino e si ritira nel suo guscio… sarò malata ma il momento me lo godo catturando le immagini che poi potrò riguardare. Le cose con il tempo si dimenticano, le immagini restano per sempre. Truccio con la macchina alla fine tolgo la batteria, la reinserisco e magicamente funziona!!!!!!! Guardo Pier e gli dico: oggi è la tua giornata fortunata… hai rischiato di finire in pasto alla signora qui fuori… Il tutto è durato 10 secondi e la leonessa è ancora lì che ci guarda. Ci passa poi davanti e si indirizza verso il sole. Non possiamo guidare fuori pista quindi guardiamo l’applicazione del telefono e vediamo che c’è una strada che passa dove si sta indirizzando. Ci spostiamo velocemente e la imbocchiamo. Così la vedremo camminare nella nostra direzione. La luce è perfetta, rende tutto color rosa dorato. Ci passa ancora davanti e si sdraia sotto un cespuglio. Ci raggiunge una guida dei game drive e dice che questo pride ha diversi cuccioli e probabilmente ora sono nascosti poco più avanti, dove le macchine non arrivano. Lei si alza e sparisce tra i cespugli bassi. Nel mentre ci hanno raggiunti i Pocket con Renzo e Simona. Proseguiamo il giro e vediamo una antilope roana (roan antelope), è solo la seconda volta che vediamo questo tipo di animale. Vogliamo battere questa zona perchè ci sono le condizioni per poter avvistare altri leoni.  Gira di qui, gira di là, torniamo alla pozza ma è vuota, andiamo dove avevamo visto la leonessa e… i nostri sforzi vengono premiati. Nella stessa direzione dalla quale era arrivata lei, ci sono 3 maschi con la criniera meravigliosa. Ci passano di fianco. Andiamo ancora sulla stradina di prima così li vediamo ancora che avanzano. Puntiamo poi alla parallela seguente che si trova ad un centinaio di metri, ma niente. Come la femmina, si sono fermati tra i cespugli. Il gruppo dopo la caccia e il pasto, si è riunito per riposare. Noi proseguiamo e torniamo al Leopard Rock per vedere se riusciamo a trovare il leopardo. Niente. Vediamo solo stuzzi, giraffe, kudu e damalisco. Raggiungiamo ancora la pozza a sud, nel Marabou Pan, dove ieri abbiamo visto tutti quegli elefanti, ma è vuota. Nel mentre si alza un vento pazzesco che rende spettrale questo posto desertico. Torniamo ancora al campeggio e ci indirizziamo verso nord, verso l’uscita. Ci fermiamo ad aiutare un Hilux insabbiato, facciamo due foto da lontano ai baobab che ci sono vicino al Ghoha Hill Lodge e dopo 1 ora e 15 siamo al Ghoha Gate. Sono solo 28 km. ma tosti. Dopo 1 ora e 20 (strada terribile con tantissima sabbia e anche monotona) raggiungiamo l’asfalto a Kachikau. In un market sulla strada ci sono solo bevande poi troviamo una panetteria dove acquistiamo il pane fresco. Andiamo in centro al paese e troviamo un altro market. Pranziamo lì fuori su alcuni tavoli, nonostante il vento che non cenna a diminuire. Quando ripartiamo, ci fermiamo a comperare legna lungo la strada. Passiamo davanti al campeggio dove dormiremo questa sera ma proseguiamo perchè, essendo presto, andiamo a fare un giro al Chobe Riverfront. Vediamo il distributore che verrà aperto da settembre. E’ pronto ma ancora tutto chiuso. Hanno fatto bene a metterne uno qui perchè da Maun arrivare a Kasane sono tanti km. In 1 ora da Kachikau, arriviamo a Ngoma Bridge, la frontiera tra Namibia e Botswana. Qui ci sono due gate. Il primo, dal quale comunque bisogna passare, è principalmente per chi attraversa il parco (gratuitamente) solo sulla principale che è asfaltata e arriva direttamente a Kasane, dove poi segnerà l’uscita. Superato questo, c’è subito una strada a sinistra dove c’è il gate del riverfront. Paghiamo con carta di credito la giornata di oggi (prezzo pieno nonostante rimarremo nel parco solo 3 ore) più quelle di domani e dopodomani.

Informazioni sul Chobe Riverfront: 

Conservation Fees: BWP 120 (€ 10) adulto – BWP 60 (€ 5) minorenne + BWP 50 (€ 4) la macchina

Orari: da aprile a settembre 6.00/18.30 – da ottobre a marzo 5.30/19.00

E’ così chiamata quella parte del parco che si trova a nord della statale asfaltata che parte da Ngoma Bridge, ad ovest, e arriva a Kasane, ad est. Ha un gate ad ovest, Ngoma Gate (S17° 55.718 E24° 43.676) ed uno ad est, Sidudu Gate (gps S17° 50.601 E25° 08.615). Dalla strada asfaltata al fiume sono circa 10 km mentre da Ngoma Bridge a Sidudu Gate, passando vicino al fiume, sono circa una cinquantina, tutti su sabbia più o meno profonda. Il 4×4 è indispensabile. Vicino al fiume c’è una strada principale e poi tante stradine che scendono al fiume (alcune, quelle più vicino a Kasane, sono a senso unico, con l’accesso dalla parte est e l’uscita verso ovest). Ci sono alcune exit route dalle quali si può uscire dal riverfront, arrivando sulla stada principale che porta da Ngoma Bridge a Kasane. Sono però tutte strade di uscita. C’è solo una entrance route che arriva al Serondela Old Campsite. L’unico campeggio presente è l’Ihaha Campsite (https://www.kwalatesafaris.com/) (gps S17°50.311 E24°52.689), dove dormiremo noi mentre l’unico lodge, che è molto lussuoso, è il Chobe Game Lodge. La parte ovest del parco è poco frequentata mentre quella ad est, con tutti i lodge che ci sono a Kasane, nei mesi di punta è poco vivibile per tutte le jeep dei game drive. C’è una limitazione per i turisti in self drive, secondo me non è una limitazione ma un’agevolazione perchè si trovano poche macchine, sull’accesso al parco dal Sidudu Gate. Non si può scendere all’alba. I privati devono fare una decina di km. sulla statale asfaltata verso Ngoma Bridge e da lì imboccare l’unica entrance route che porta al fiume, nella zona del Serondela Old Campsite (gps S17° 50.408 E25° 00.277). Dopo le 10, quando tutte le jeep dei game drive sono uscite, si può entrare anche dal Sidudu Gate. Secondo me una giornata piena è il minimo da dedicare a quest’area. La cosa giusta sarebbe dormire nella zona di Ngoma Bridge una notte e poi la seguente a Kasane così si ha la possibilità di visitare tutto il riverfront con calma.

Entriamo nel parco. Di tutto il Botswana, questo posto è l’unico in cui eravamo stati nel 2013 ma non eravamo arrivati fino qui in fondo. Questo credo sia uno dei parchi africani più belli che abbiamo visto. I paesaggi sono notevoli e ci sono un’infinità incredibile di erbivori, i predatori come leoni, leopardi e wild dogs, sono presenti ma ovviamente è più difficile avvistarli. Viaggiamo un pò poi arriviamo in un bel punto panoramico e ci fermiamo a fare un aperitivo. Siamo proprio sul fiume e sull’altra riva ci sono centinaia di zebre, kudu, coccodrilli, impala, waterbuck e gnu. Vediamo poi giraffe, bufali, ippopotami, aquile pescatrici, facoceri e babbuini. Ci sono anche una giraffa e due bufali morti, tutti con la pancia svuotata ma per il resto sono intatti, ovviamente non li hanno uccisi un branco di leoni. Arriviamo in un altro bel punto panoramico. Il tempo è tiranno. Sono le 5.45 e decidiamo di rimanere ancora un attimo a vedere il tramonto. Rischiamo di non arrivare in tempo all’uscita però non possiamo andare via soprattutto quando ci troviamo di fronte all’immagine bellissima di una cinquantina di elefanti che arrivano di gran carriera dal bush e si gettano nel fiume. Il sole tramonta alle loro spalle ed il cielo è rosso. Gli elefanti si vedono come sagome nere in controluce. Spettacolo. Queste sono immagine classiche del Chobe e sono il motivo per il quale abbiamo deciso di tornare qui. E’ tardi quindi imbocchiamo l’exit route che parte dall’Ihaha Campsite. Ad un certo punto vediamo il cartello di divieto di accesso. Cosa facciamo? Tornare al gate dal riverfront è impensabile, ci andrebbero due ore. Decidiamo di proseguire, al massimo prendiamo una multa o ci bannano dal parco. Velocemente arriviamo all’asfalto e poi al gate. Sono le 18.30 puntuali. Ci diranno che, nonostante ci sono i cartelli di divieto, si può uscire senza problemi. Il problema è al contrario perchè molti furbi entrano da lì per non pagare le conservation fees (considerare che i ranger possono fermare ovunque e chiedere la ricevuta, a noi è successo al Serondela Old Campsite dove si trova una sorta di stazione ranger). Arriviamo al nostro campeggio con il buio pesto. Alla reception la signorina è scortese. Ci fa vedere la piazzola ma per i bagni ci dice di guardare la cartina… Ci piazziamo, andiamo a fare la doccia, cena e poi in branda. Questo posto non ci dice nulla. Sappiamo che questa notte non passerà nessun animale perchè è recintato (con la corrente). Si affaccia sul fiume per cui potremmo sentire qualche verso ma nulla. Notte silenziosa.

Pernottamento: Muchenje Campsite – campeggio (autonomi per la cena e la colazione)

(http://www.muchenjecampsite.com/)  – (gps S17 57.264 E24 40.721) 

Costo a testa: Pule 180 (€ 15) – tot. € 60

Ci sono anche chalets con cucina e bagno interni (a chalet doppio Pule 970 € 80) camere tendate con cucina e bagno esterni (a tenda doppia Pule 620 € 52)

Si affaccia sul fiume Linyanti – bagni – braai – è recintato – c’è la lavanderia – c’è un market con verdura, carne e legna – c’è la corrente

14) 16 agosto 2019 venerdì – km.120 (7 asfalto – 113 sabbia): Muchenje (Linyanti) – Chobe (Ihaha)

Strada: tutta sabbia sul Chobe Riverfront.

Market: no

Banca: no

Benzinai: a settembre ne hanno aperto uno a Muchenje

Ci alziamo e ci guardiamo in giro. Questo posto è carino, essendo arrivati con il buio non ci siamo resi conto di com’era. C’è una terrazza in legno che si affaccia sul fiume. Ovviamente c’è poca acqua quindi è distante, ma quando è in piena l’acqua arriva fino alla recinzione. Alle 7.00 partiamo. Questa sera dovremmo tornare qui a dormire… dovremmo… Torniamo a Ngoma Bridge ed entriamo dal Ngoma Gate. Iniziamo a gironzolare facendo sosta colazione in una bella ansa del fiume e varie soste fotografiche. Quando arriviamo all’Ihaha Campsite, vedendo la location delle piazzole, Pier, al quale sono sempre state strette le due notti al Muchenje, propone di trovare il modo di dormire qui. Monica è la prima ad accettare perchè dice che dove abbiamo dormito questa notte non l’ha entusiasmata, per il fatto che non era recintato. E vai super Monica!! Sempre sul pezzo. C’è una sorta di gate al quale chiediamo. Ci dicono di cercare Coffee, il responsabile, che dovrebbe essere dove ci sono gli alloggi dei gestori del campeggio. Cerca di qui e cerca di là lo troviamo. Omone simpatico e molto disponibile. Fa una telefonata e ci dice che farà in modo di farci trovare il posto. E vaiiiiii! Ora siamo tutti più contenti. Proseguiamo il giro. Vediamo il Serondela Lodge, sulla riva namibiana. E’ gestito da Laura e Simone due italiani, con due bambini, che hanno aperto 3 lodge in Namibia. Noi eravamo stati al Nkasa Lupala Tented Lodge nel 2013. Li avevamo conosciuti per il fatto che Laura gestisce una onlus con la quale collaboravamo. Le bomboniere della cresima di Matteo le avevamo commissionate a lei. Ci aveva mandato tanti animaletti fatti con le classiche perline e al posto dei soliti confetti c’erano mandorle. IL bigliettino era fatto con carta riciclata da lei. Molto belle. Il loro nuovo lodge è davvero uno spettacolo e si trova proprio sulle rive del fiume.  Troviamo un posticino, una piccola insenatura del fiume, dove ci sono delle piccole dune di sabbia bianca. Sulla sabbia e nell’acqua ci sono diversi ippopotami. Torneremo qui più volte perchè è un angolino davvero bello. Ci fermiamo per pranzo in una radura proprio sul fiume. La riva è alta quindi non c’è rischio che i coccodrilli o gli ippopotami salgano, a alle spalle c’è visuale perchè non c’è vegetazione, quindi usiamo tavoli e seggioline. Arriviamo quasi fino a Kasane facendo vari avvistamenti e fermandoci in posti vista fiume. Dobbiamo fermarci perchè Renzo ha quasi finito il gasolio quindi ne approfittiamo tutti e svuotiamo le taniche nel serbatoio. Pietro, con il fatto che la sua consuma di più, aveva già rabboccato i 30 litri un paio di giorni fa. Rientriamo verso il campeggio. Dalle 15 alle 18 gli elefanti arrivano al fiume quindi ne vediamo a decine. Elefanti e tanti altri erbivori. Predatori sempre nulla… L’avvistamento più particolare è un gruppo di antilopi roane (roan antelope) con una sola antilope nera (sable antelope). Entrambe sono molto difficili da vedere perchè sono in numero limitato. Ci troviamo poi in un punto in cui ci sono centinaia di bufali che bevono. Che spettacolo. Ovunque guardiamo è puntinato di nero. Alle 17.15 siamo all’Ihaha Campsite. Coffee è lì che ci aspetta. Paghiamo il pernottamento a lui, ci rilascia la ricevuta ufficiale del tour operator che gestisce questo posto. Ci dice di non girare assolutamente con il buio perchè è pericolosissimo. Avevamo letto recensioni negative di questo posto perchè, oltre a dire che i bagni sono vecchi (non sono tenuti bene come gli altri trovati ma per una doccia vanno più che mai bene), il problema è che risulta che rubano. Chiediamo info a Coffee e ci dice che è capitato qualche volta, l’ultima un mese fa. Arrivano dalla Namibia, attraversano il fiume con le canoe e tagliano le tende a terra portando via quello che trovano. Non hanno mai toccato le tende sul tetto. Se si ha la tenda per terra, non solo qui ma ovunque, è sempre super consigliato lasciare le cose di valore in macchina. Ci dice anche che ora la zona è super pattugliata e da quando un ranger gira in macchina tutta la notte, non è più successo. Fino ad ora (sto scrivendo ai primi di novembre), non ho più letto di altri furti. Risulta che hanno risolto il problema. Effettivamente noi sentiremo e vedremo i fari della jeep, dal tramonto all’alba. Prima di appostarci nella piazzola, andiamo in macchina ai bagni per farci le docce. Sono distanti 150 metri e sul percorso ci sono diversi cespugli. Meglio non rischiare. Ci sistemiamo poi nella piazzola. E’ proprio con vista fiume e il sole si sta abbassando sulla linea dell’orizzonte fino a scomparire colorando tutto di rosso. Accendiamo il fuoco e prepariamo la cena. E’ la nostra ultima notte circondati dalla natura e dagli animali. Pier cucina il cus-cus con le verdure e il formaggio fuso. Stiamo per metterci a tavola quando arriva un’ondata di coccinelle nere. A centinaia… dobbiamo chiudere il cassone e rintanarci in macchina. Mai vista una cosa simile. Toccano per terra e muoiono. Il tutto dura una ventina di minuti però ci ha rovinato la cena… che jella. Ci ritiriamo in tenda presto. Onde evitare furti… nel dubbio… faccio una sorta di fagotto della cicogna con una coperta e metto all’interno macchina foto & C. Lo appendo alla struttura in ferro al centro della tenda… Dopo poco passa un tasso del miele, dopo un attimo un altro si arrampica sul tavolo in pietra annusando dove abbiamo appoggiato le pentole, in linea d’aria è a 2 metri. C’è ancora la luna piena quindi si vede tutto benissimo senza torcia. Dopo 1 ora Pier mi dice: Anna.. ci sono i wild dogs!! Wow!!! Fa la stupidata di puntare la torcia quindi quando mi giro per guardare fuori dalla zanzariera, loro si sono nascosti dietro al grosso cespuglio che abbiamo vicino alla macchina e spariscono dalla visuale. Erano 3… Mi è proprio scocciato non averli visti. In tante giornate nei parchi africani li avevamo visti solo l’anno scorso ad aprile nel South Luangwa in Zambia. Peccato!!! Durante la notte sentiremo più volte la iena. Questa sarà purtroppo l’ultima notte nel nulla in mezzo agli animali.

 

Pernottamento: Ihaha Campsite sul riverfront del Chobe – campeggio (autonomi per la cena)

(https://www.kwalatesafaris.com/) (gps S17°50.311 E24°52.689)

Costo a testa: Pule 260 (€ 22) minorenni Pule 130 – tot.€ 77

bagni – braai – immondizia – non è recintato

15) 17 agosto 2019 sabato – km.113 (7 asfalto – 106 sabbia):  Chobe (Ihaha) – Chobe (Kasane)

Strada: riverfront fino al Sidudu Gate (gate est del Chobe Riverfront) (gps S17 50.601 E25 08.615) e poi asfalto fino a Kasane

Market:

– Spar: Plot 2208, Hunters Africa, Kasane (orari: 7.30-19.00 lu-ve / 8.00-18.00 sa / 8.00-17.00 do)

– Choppies: ho letto che aveva chiuso. Non ho info recenti.

– per la carne fresca e la verdura: Ron’s Fresh Produce (sabato chiude alle 13.00 – domenica chiuso) quindi non consideriamolo

Banca: Kasane

Benzinai: Kasane

Ristoranti:

– Chobe Safari Lodge (prenotare con mail) (https://www.chobe-safari-lodge.net/)

– Pizza Plus Coffee & Curry (Plot 81 Hunters Africa Conplex) pizza e cibo indiano – suggerito da Andy

– The Old House (Plot 718 President Avenue)

– The Coffee Buzz (721 President Avenue)

– Hunters Pub&Grill (Hunters Africa Mall)

– Nando’s Kasane (President Ave)

Ci svegliamo con i versi dei leoni. Pier sta guardando fuori già da un pò e dice agli altri, quando stanno per scendere, di fare attenzione perchè c’è una iena che sta girando. Aspettiamo quindi che ci sia molta visibilità. Chiudiamo le tende e poi facciamo due parole con Coffee che è passato a chiedere se è andata bene la notte. Gli diciamo dei wild dogs e lui ci dice che un leone maschio questa notte era qui, di cercarlo lungo il fiume. Andiamo in macchina ai bagni e alle 7.30 partiamo. Andiamo piano così riesco a guardare fuori dal finestrino. Vediamo parecchie orme del leone, che hanno visto questa notte, che vanno nella nostra stessa direzione. Le seguiamo per un pò poi scompaiono tra i cespugli fitti. Pazienza… ne cercheremo altri. Proseguiamo. Ad un certo punto un movimento tra i cespugli attira la mia attenzione. Una leonessa sta camminando nella nostra direzione. Inchiodiamo e facciamo retromarcia per seguirla. Con lei ci 3 cuccioloni ma è difficile che sia sola. L’avvistamento dura circa 20 secondi… il tempo di un paio di foto. C’è una parallela che passa ad una ventina di metri (tutti cespugli) da questa strada quindi torniamo indietro e la imbocchiamo. Dall’altra parte non vedremo più i leoni ma capiamo perchè sono qui. Ci sarà un centinaio di bufali… e bufalo si sa che chiama leoni… Siamo comunque contenti perchè finalmente abbiamo visto i leoni al Chobe!!! Torniamo alla strada sul fiume per vedere se escono ancora da questa parte ma sempre niente. Pier guarda dallo specchietto e vede i Pocket giù dalla macchina. Torniamo immediatamente indietro. Un’altra macchina si è accorta che hanno perso il bullone di una ruota… l’hanno raccolto e glielo riconsegnano. Controllano  e ce n’è più solo uno attaccato su cinque… !!!!! Mamma mia che rischio. Riavvitiamo quello che hanno trovato e ne prendiamo due da altre ruote. Pazzesco. Probabilmente con i sobbalzi presi si sono allentati fino a svitarsi del tutto. Per fortuna che quel signore se ne è accorto. Il problema è che, l’unico rimasto, ha completamente piegato il perno sul quale è avvitato quindi in caso di foratura, non si può cambiare la ruota. Dobbiamo andare a cercare un meccanico. Pietro chiama la Bushlore e ci dicono che hanno un ufficio a Kasane. Chiudono alle 13 ma avvisano di aspettarci. Sono le 8.30 quindi abbiamo tempo. Ci indirizziamo al gate seguendo comunque tutte le strade sul fiume. Vedremo sempre parecchi animali ma evitiamo soste lunghe. Al Serondela Old Campsite ci fermano i ranger per chiederci il permesso. Tutto in regola quindi proseguiamo. Incrociamo una jeep e ci da indicazioni sul un leopardo che sta mangiando una preda poco distante dalla strada. Raggiungiamo il posto. C’è un’altra macchina nel punto esatto. Ci dicono che è andato via… che jella… Alle 10.30 siamo al gate. Kasane è vicinissimo quindi arriviamo in fretta al garage della Bushlore (si possono ritirare o consegnare anche qui le macchine). Dicono che la sistemano e ce la riconsegnano al lodge massimo alle 15. Carichiamo i Pocket e andiamo in centro a Kasane per pranzare. Optiamo, viste le recensioni, per l’Hunters Pub. Pranzo niente di che con un’attesa infinita (Pule 360 € 24). Prendiamo solo toast e cose varie perchè con il caldo, anche gli uomini che avevano puntato il piatto di carne grigliata, prenderanno qualcosa di più leggero. Nel mentre Pietro scrive ad Andy su whatsapp per fargli presente il problema che abbiamo avuto e per dare l’urgenza nella sistemazione della cosa. Andy risponde all’istante. Telefonerà direttamente ai meccanici. Super efficiente. Andiamo poi subito al Chobe River Cottages. Renzo e Simona dormiranno in una piccola guesthouse di fianco. Quando hanno prenotato, un paio di settimane dopo di noi, non hanno più trovato disponibilità. Il posto è grazioso. Ci sono 6 o 8, non ricordo, cottages, tutti vicini, con la piscina in comune. Ciascuno ha il portico con il tavolo esterno e le tende da tirare per la privacy, la camera matrimoniale ed un locale con cucina e salotto. Carino. Svuotiamo la macchina perchè tanto non faremo più pasti e pernottameti in tenda quindi riorganizziamo il tutto e lasceremo qui le cose in più come scatolame ecc. ecc. Le prenderanno volentieri le cameriere. Dobbiamo fare ancora un minimo di bucato quindi portiamo alla reception il sacchetto per la lavanderia. Arriva la macchina dei Pocket tutta sistemata e alle 15.00 ci indirizziamo al parco. Con la luce che si abbassa sulla linea dell’orizzonte i colori sono sempre meravigliosi. Arriviamo fino al nostro punto preferito, la piscinetta con gli ippopotami. Rimarremo quasi un’ora. Sono tutti sdraiati a dormire sulla sabbia bianca e sono circondati da cicogne. Arrivano alcuni elefanti che si avvicinano alla pozza con titubanza, guardandoli… questo è territorio loro quindi, conoscendo il loro caratteraccio, girano al largo. Un piccolo li annusa da lontano poi si mette a correre con il codino e la proboscide sollevati e le orecchie aperte. Ha l’illusione di sembrare più grosso e spaventare quei ciccioni… che però non fanno una piega. Dopo un pò uno si alza e, con una lentezza infinita e gli occhi mezzi chiusi, entra nell’acqua. Sarà il capo perchè dopo poco anche tutti gli altri, uno per uno, in fila, vanno a mollo. E qui io aspetto con il tele puntato… appena svegli sicuramente sbadigliano … ed ecco che, uno per uno, ci mostrano tutte e due le arcate dentarie. Spettacolo. Siamo sempre con l’orologio in mano, facciamo un conto del tempo ancora a disposizione e decidiamo di andare in un punto panoramico vicino al fiume, non troppo distante dal gate, per vedere il tramonto. Non facciamo in tempo a posizionarci… arrivano una cinquantina di elefanti che ci sfilano a pochi metri dalla macchina. Stessa immagine di ieri sera, spettacolo. Alcuni si tuffano in acqua e, nuotando, raggiungono le isolette erbose che ci sono al centro del fiume. Raggiungiamo puntuali il gate. Andiamo un salto al market (lo Spar è super fornito), doccia e subito a cena. Avevo prenotato, prima di partire, un tavolo al Chobe Safari Lodge. Eravamo stati lì nel 2013 e ricordavamo un buffet ottimo. Avevamo mangiato qui la nostra prima pasta alla quale uniscono verdure e carne che tu scegli (tutto cotto al momento sulla piastra). Anche quest’anno abbiamo mangiato bene (Pule 1337 € 111). Torniamo ai cottage un pò tristi, ci manca l’idea di non poter sentire qualche animale questa notte.

Pernottamento: Chobe River Cottages  a Kasane

cottage doppio in self catering (autonomi per la cena e la colazione)

(http://choberivercottages.com/)  – (gps S 17 47.607 E 25 09.305) 

Costo a camera doppia: Pule 1750 (€ 145) – tot.€ € 290

Cottage con cucina, salottino, camera matrimoniale e portico – c’è la lavanderia – non c’è ristorante

16) 18 agosto 2019 domenica – km. 105 (20 asfalto – 85 sabbia): Chobe (Kasane) – Chobe (Kasane) – una parte del gruppo: Victoria Falls

Strada: parco

Market: vedi sopra

Banca: vedi sopra

Benzinai: vedi sopra

Per la giornata di oggi il gruppo si separa. I Pochet con Renzo e Simona vanno alle cascate Vittoria in Zimbabwe. Partono alle 8.00 e l’escursione dura circa 9 ore. E’ compreso solo il taxi fino alla frontiera e poi un altro taxi da lì a Victoria Falls, idem il rientro. L’ingresso al parco e il pranzo, non sono compresi.

Costo escursione a testa:

– $ 70 € 61 solo taxi

– $ 30 € 26 visto Zimbabwe

– $ 50 € 43 visto UniVisa sia per Zimbabwe e Zambia se si vuole vedere le cascate da entrambe gli stati

– $ 30 € 26 ingresso cascate lato Zimbabwe

– $ 20 € 18 ingresso cascate lato Zambia

Informazioni sulle Cascate Vittoria:

Le Cascate Vittoria si trovano quasi a metà strada del percorso dalla sorgente al mare del fiume Zambesi.  Questo fiume con i suoi 2.574 km. è il quarto fiume più lungo dell’Africa dopo il Nilo, lo Zaire ed il Niger. La sorgente del fiume Zambezi si trova a circa 1 500 m sopra il livello del mare, nel distretto di Mwinilunga in Zambia poi attraversa l’Angola, segna il il confine tra Zambia e Zimbabwe per poi sfociare nell’Oceano Indiano in Mozambico,.  L’area del suo bacino idrografico è di 1 390 000 chilometri quadrati, che è la metà di quello del Nilo. La potenza del fiume Zambesi è stata sfruttata durante il trasporto in due punti, la prima diga Kariba essere in Zimbabwe e la seconda diga di Cahora Bassa in Mozambico.  Entrambe queste dighe sono fonti di energia idroelettrica e di fornire una gran parte del potere in Zambia, Zimbabwe e Sud Africa.

Le Cascate Vittoria sono un’attrazione di fama mondiale, sono larghe ben 1,7 km e si gettano nell’orrido della Zambezi Gorge con un salto da 90 a 107 m; in media 550.000 metri cubi di acqua si gettano nel vuoto ogni minuto, ma durante il periodo delle inondazioni (da marzo a maggio) questa cifra sale fino a 5 milioni di metri cubi al minuto. David Livingstone, l’ esploratore scozzese, fu il primo occidentale a visitare le cascate nel 1855. Diede loro il nome dell’allora Regina d’Inghilterra, la Regina Vittoria, esse tuttavia erano già note localmente con il nome di Mosi-oa-Tunya “ il fumo che tuona”.  Le cascate fanno parte di due parchi nazionali, il Mosi-oa-Tunya National Park in Zambia ed il Victoria Falls National Park in Zimbabwe, e sono oggi una delle attrazioni turistiche più importanti del sud del continente africano. Sono una delle sette meraviglie naturali del mondo  e sono patrimonio dell’umanità protetto dall’UNESCO. Sono le più grandi cascate del mondo considerando una media tra altezza, larghezza e portata d’acqua, superando le Cascate del Niagara e quelle di Iguacu.

Le Cascate Vittoria sono costituite da cinque diverse “cadute”.  Quattro di questi sono in Zimbabwe e uno è in Zambia.  Essi sono noti come:

1)  la cataratta del Diavolo (70 metri di altezza, il nome deriva dalla vicina isola nel fiume, dove le tribù locali utilizzati per eseguire cerimonie sacrificali.  Quando i missionari arrivarono nella zona da loro di cui queste cerimonie come “diabolico” e quindi il nome è stato dato a questa cataratta)

2) Main Falls (93 metri di altezza, questa è la più grande cascata e certamente la più maestosa vista delle cascate.  Una tenda gamma di acqua, con una portata massima di 700 000 metri cubi al minuto, il volume oltre l’altezza delle cascate è così grande che prima di arrivare da nessuna parte vicino al suolo, l’acqua è squassata dai forti venti in aumento e trasformato in nebbia)

3) Rainbow Falls (108 metri di altezza, questo è il punto più alto di tutte le cadute, nelle giornate limpide si vede l’arcobaleno da questo punto e quando c’è la luna piena di vede anche di notte)

4) Horseshoe Falls (95 metri di altezza, questa è la sezione con il minor volume di acqua e sarà il primo ad asciugarsi di solito tra ottobre e novembre).

5) la cataratta orientale in Zambia (101 metri di altezza, si trovano completamente sul lato Zambia ma si può vedere anche dal lato dello Zimbabwe)

Le cascate si possono visitare sia dal lato dello Zimbabwe che dal lato dello Zambia ma la visione più spettacolare si ha dallo Zimbabwe. Il tratto zambese viene spesso dimenticato, ma offre un’esperienza completamente diversa rispetto alla sua più famosa controparte nello Zimbabwe. Prima di tutto la vista è diversa: ci si può avvicinare all’acqua camminando lungo un ripido sentiero fino al salto della cascata e seguendo stretti passaggi che sfiorano l’abisso. Uno dei punti in cui ci si avvicina di più alla cascata è il Knife Edge Point, che si raggiunge attraversando una passerella che fa drizzare i capelli (ma sicura), passando attraverso nuvole di spruzzi fino a un’isoletta appuntita in mezzo al fiume. Se l’acqua è bassa e il vento favorevole, godrete di una magnifica vista delle cascate e dell’enorme abisso sotto il ponte sullo Zambesi.  La cittadina di Victoria Falls (Zimbabwe) è a due passi dalle cascate mentre Livingstone si trova ad 11 km., oltre il ponte sullo Zambesi. Il ponte è stato progettato da Mr. George Hobson che era un partner di Douglas Fox & Partners, Londra.  Nel momento in cui il Ponte delle Cascate Victoria è stato completato, è stato il ponte più alto del mondo.  Il ponte è stato progettato e costruito in Inghilterra ed è stato spedito in parte in Africa, dove è stato riassemblato.  La costruzione del ponte è iniziata nel luglio 1904, è stata completata nel mese di aprile 1905 e poi è stato aperto il 2 settembre del 1905. Si trova a pochi passi dalla città di Victoria Falls ed è proprio sopra la gola Bakota. Oltre il ponte c’è la frontiera con lo Zambia. Se si vuole è possibile fare un visto giornaliero per poter accedere al versante zambese delle cascate però bisogna poi considerare che si deve pagare nuovamente quello dello Zimbabwe quando si ritorna indetro. Attraversarlo a piedi è suggestivo e offre uno splendido scenario sulle cascate. Inoltre per i più temerari si può fare bungee jumping o l’attraversata tramite carrucola su un cavo che collega i due lati della cascata. Il Café Bridge è l’unico ristorante della zona costruito su una piattaforma sopra la gola Batoka con vista diretta sulla cascata.

Le Cascate Vittoria sono uno dei pochi posti al mondo dove l’arcobaleno di luna si verifica regolarmente e dove lo si può vedere con facilità.  Eppure molte persone visitano questo posto senza sapere di questo fenomeno naturale, ma è una delle cose più suggestive di Victoria Falls.  Proprio come quello che si verifica durante il giorno, l’arcobaleno lunare o ‘arco di luna’ si crea con la luce che viene rifratta dalle particelle d’acqua presenti nell’aria, sempre presenti dagli spruzzi delle cascate. Gli arcobaleni lunari sono molto più deboli rispetto a quelli diurni.  Questo è causato della minore quantità di luce riflessa dalla luna.  Si verifica solo se la luna è piena e cielo terso. L’occhio umano ha difficoltà a distinguere i colori dell’arco di luna, perché la luce è di solito troppo debole per attivare i recettori del colore dell’occhio umano e non tutti li vedono allo stesso modo.  Tuttavia, i colori di un arcobaleno lunare si vedono nelle fotografie con una lunga esposizione. Si vede meglio in periodi di acqua alta (da aprile a luglio) quando c’è molto più vapore e nelle prime ore dopo il sorgere della luna.  L’arco di luna può anche essere visto dal ponte ma il posto migliore è dal lato dello Zambia in quanto la luna sorge alle spalle di chi guarda le cascate. On line si trovano i calendari con le giornate perfette per vedere questo fenomeno (https://www.victoriafalls-guide.net/lunar-rainbow.html).

Il Victoria Falls Hotel è l’albergo più antico dello Zimbawe. Inizialmente era l’alloggio delle persone che lavoravano alla costruzione della ferrovia che avrebbe dovuto collegare Città del Capo con il Cairo poi è diventato hotel nell’aprile del 1917 per i turisti che arrivano dal Sud Africa. Quando si resero conto che, per vedere le cascate, i turisti arrivavano da tutto il mondo lo ampliarono. L’arredo è molto raffinato, le pareti sono ornate con stampe d’epoca e giornali che ricordano avvenimenti storici fino alla dichiarazione d’indipendenza dall’Inghilterra nel 1965. Dalla terrazza c’è una vista molto bella del ponte e delle cascate.

Attività:

Victoria Falls National Park: ingresso 20 US$. Parco a ridosso delle cascate. C’è la statua di David Livingstone che si trova all’estremità sinistra delle cascate vicino alla cataratta del Diavolo. C’è un grande baobab. L’albero che ha resistito alla prova del tempo è di 16 metri di diametro e 20 metri di altezza. Ci vogliono circa 30 persone adulte a circondare il suo tronco. C’è un ristorante e adiacente a questo si trova il Centro interpretativo con pannelli informativi.

– Il Rainforest: L’area di foresta pluviale di Victoria Falls è pieno di molte specie uniche di flora e fauna. 

– Il Pot Boiling: Questo posto ha un nome appropriato per descrivere l’agitazione in cui l’acqua dai lati opposti delle cascate si scontrano nel fiume Zambesi che gira in direzione sud-est passando attraverso gole diverse.

– Il Ponte: Si tratta di un sito molto impressionante.. Oggi il ponte è la seconda attrazione turistica visitata in Victoria Falls. Situato in posizione dominante sulla gola Batoka tra Zimbabwe e Zambia.  Se non si ha intenzione di andare in Zambia o a fare Bungi Jumping è comunque obbligatorio visitare il ponte. Per non pagare il visto basta dire che si va a vedere il Bungi Jumping.

– Crocodile Ranch & Nature Sanctuary: Crocodile Ranch & Nature Sanctuary si trova a meno di 5 km dalle cascate Victoria. Un piccolo fiume, conosciuto come Creek Spencer, scorre attraverso il Ranch e incontra il fiume Zambezi. E’ stato avviato nel 1970 con soli 100 coccodrilli. Questa azienda di famiglia è cresciuta notevolmente nel corso degli ultimi 30 anni e ora ci sono più di 40.000 coccodrilli dai neonati piccoli a giganti di 5 metri.

– Craft Market all’aperto: Fine di Drive Adam Stander, Orario: lun-ven: 8:00-17:00, sab: 08:00-13:00. Il famoso mercato artigianale all’aperto è il luogo ideale per andare a comprare autentici oggetti d’arte africana. Questo è un luogo ben noto per trovare gli scultori in pietra Mashonaland e sculture in legno.

La stazione dei treni: Si tratta di una stazione dal sapore coloniale, situata a fianco dell’Hotel Victoria Falls, con il quale comunica attraverso una porta situata a metà del marciapiede, anche se spesso chiusa. Sui marciapiedi siedono moltissime persone in attesa dell’arrivo dei treni soprattutto a partire dalle 18.00, ora in cui chiude il parco e la gente torna alle proprie abitazioni.

volo in elicottero: 15 minuti 130 US$

crociera sul fiume al tramonto: US$ 45 + 10 da pagare come tassa – alle 16 e dura 2 ore

rafting: è considerato la più selvaggia avventura del mondo.  Si svolge sotto le cascate Victoria nella Gola Batoka, dalla rapida 1-19 durante la stagione con poca acqua e 11-23 durante la stagione dell’acqua alta.   US$ 120 escluse le tasse del parco (US$ 10). Snack e bevande sono inclusi.  No bambini sotto i 15 anni.

– Bungi Jumping o attraversamento della gola Batoka con la carrucola

The Game Park : Zambezi National Park e Victoria Falls National Park coprono una superficie di 56.000 ettari.  Il confine settentrionale del Parco è costituito dal fiume Zambesi.  Una grande varietà di mammiferi si trovano all’interno del parco tra cui The Big Five: elefante, leone, bufalo, leopardo e rinoceronte.  Inoltre, branchi di antilopi nere, eland, zebre, giraffe, kudu, impala waterbuck e così come molte delle specie più piccole.

Ci sono anche alcune attività da fare con gli animali ma mi rifiuto di dare informazioni.

Quindi gli altri componenti del gruppo andranno alle cascate Vittoria mentre noi 4, avendole già viste nel 2013, preferiamo passare ancora la mattinata nel parco e poi fare la crociera al tramonto. Martina ci tiene tantissimo a vedere il leopardo quindi spera fino all’ultimo. Andiamo al gate alle 6.00 e paghiamo la solita tariffa con carta di credito (BWP 120 (€ 10) adulto – BWP 60 (€ 5) minorenne + BWP 50 (€ 4) la macchina). C’è una fila notevole di jeep dei game drive. Solo noi ed una coppia di sudafricani siamo in self drive. Spiegano ad entrambe, quello che ho scritto nelle info del riverfront, che non possiamo entrare da qui perchè hanno la precedenza i tour operator. Dovremo imboccare la strada asfaltata che porta a Ngoma Bridge e, dopo una ventina di km, girare a destra fino al Serondela Old Campsite (gsp S17° 50.408 E25° 00.277). Il signore sudafricano è arrabbiato nero perchè dice che noi paghiamo l’ingresso esattamente come gli altri quindi non è giusto che dobbiamo entrare da un’altra parte. Io onestamente sono contenta perchè qui si rischia di rimanere incolonnati dietro a jeep che, giustamente, fanno vedere ai loro clienti qualsiasi tipo di animale. Quindi si crea un ingorgo. Se non fosse un obbligo avevamo pensato di farlo comunque, per ovviare il problema e andare dove non c’è nessuno. Velocemente raggiungiamo la stradina e poi arriviamo al fiume. Puntiamo verso ovest per avere il sole alle spalle. Vediamo una jeep ferma. Ci dicono che un secondo prima hanno visto proprio il leopardo che arrivava dall’acqua, ha attraversato la strada ed è andato nei cespugli. La strada parallela è a meno di 10 metri, rimaniamo qui più di 1/2 ora passando su entrambe le strade… ma niente… per un attimo l’abbiamo perso. Vediamo tanti animali, come al solito. Alle 11.00 usciamo. Andiamo in centro per fare gasolio e rigonfiare le gomme (da domani sarà tutto asfalto), per prendere una multa (non avevamo le cinture… ma non ci abbiamo proprio pensato, eravamo appena usciti dal parco…), per fare la spesa per il pranzo di oggi e poi andiamo al cottage. Pranziamo fuori nel portico. Alle 15.00 arriva il nostro transfer che ci porta al porticciolo. L’altra volta avevamo fatto la crociera con l’hotel dove avevamo pernottato e avevamo una barchetta per noi 4. Vogliamo replicare. Siccome ci sono anche barche grandi dove ci possono stare fino a 40 persone, cerchiamo un tour operator che faccia il caso nostro. Troviamo Flame Of Africa (https://flameofafrica.com/agent-corner/activities-and-transfers/). Ci dicono che la barca è da 8 ma se paghiamo per 6 sarà tutta nostra. Quindi accettiamo. Il prezzo è in Rand e sarebbe 660 a testa ma noi ne paghiamo 940. Totale Rand 3763 € 248. Ci sono tante barche ma il nostro Caronte riesce a trovare angolini carini senza nessuno. Ci spiega che i coccodrilli, dopo che hanno mangiato, rimangono in apnea dei mesi per la digestione. E’ per questo che non se ne vedono molti. Quando escono rimangono con la bocca aperta in modo da scaldarla, sempre per digerire. Ci fa vedere i resti di un elefante, morto sull’isola per un batterio simile a quello delle mucche/bufali (per il quale ci sono le barriere veterinarie). Dice che gli avvoltoi e i coccodrilli l’hanno finito in un paio di settimane. Ci accostiamo a due coccodrilli enormi. Sono sulle isole verdi in mezzo al fiume. Li abbiamo ad un paio di metri di distanza. Vediamo bufali, waterbuch, ippopotami, elefanti (uno dall’isola si immerge in acqua e nuota a 3 metri da noi per arrivare sulla terraferma… con la proboscide fuori… emozione!!!!), aquile pescatrici ecc.ecc. C’è l’aperitivo con pizza, alette di pollo e patatine. Come bibite c’è un’ampia scelta. Noi optiamo per la Windhoek lager, la birra namibiana che ci piace tanto. Vediamo il tramonto direttamente sul fiume e poi rientriamo. Con questi momenti praticamente finisce la vacanza. Le prossime due notti saranno solo di avvicinamento a Johannesburg. Il bello finisce qui… E’ in questi momenti che mi viene in mente la frase di Hemingway: una cosa sola volevo, tornare in Africa. Non l’avevo ancora lasciata ma ogni volta che mi svegliavo, di notte, tendevo l’orecchio pervaso di nostalgia. Ecco. Siamo ancora qui e già il mal d’Africa sale. E’ una bella grana… Torniamo al cottage. Il bucato lavato è in camera. Paghiamo quanto dovuto e carichiamo tutta la macchina con le cose che non ci servono (domani mattina dobbiamo partire prestissimo). I Pocket con Renzo e Simona, rientrati entusiasti dalle cascate, vanno ancora a cena al Chobe Safari Lodge. Noi dopo l’aperitivo abbondante, non siamo molto affamati quindi ceniamo qui.

Pernottamento: Chobe River Cottages  a Kasane

cottage doppio in self catering (autonomi per la cena e la colazione)

(http://choberivercottages.com/)  – (gps S 17 47.607 E 25 09.305) 

Costo a camera doppia: Pule 1750 (€ 145) – tot.€ € 290

Cottage con cucina, salottino, camera matrimoniale e portico – c’è la lavanderia – non c’è ristorante

17) 19 agosto 2019 lunedì – km.647 (asfalto): Chobe (Kasane) – Moremi Gorge

Strada: viaggiamo su asfalto sulla A33 fino a Nata, A3 fino a Francistown, A1 fino a 55 km. dopo Serule. Qui si gira a sinistra direzione Tamasane e Maunatlala. Dopo 26 km. girare a destra, dopo 8 girare ancora a destra e dopo altri 9 si è a Moremi. Seguire le indicazioni per Moremi Gorge. Si devono passare 4 barriere veterinarie: poco prima di Elephant Sands, dopo il Nata Sanctuary, prima di Dukwe e dopo Francistown.

Market: Nata, Francistown, Serule

Banca: Francistown

Benzinai: Nata, Francistown, Serule

Alle 6.20 lasciamo Kasane. Viaggiamo decisi facendo solo qualche sosta lungo il tragitto. Non si può andare veloci perchè ci sono zebre, elefanti, struzzi, steenbok ed eland, lungo la strada. Non ci sono recinzioni neppure con il parco Hwange che si trova in Zimbabwe, oltre il confine, quindi gli animali vagano. Un grosso gruppo di eland è a bordo strada. Non abbiamo capito cosa è successo ma sono impazziti e hanno attraversato la strada all’improvviso. Abbiamo dovuto fare un’inchiodata pazzesca. Uno poveretto è scivolato sull’asfalto ed è poi scappato zoppicando. Mi è spiaciuto un sacco, povera bestia, ma hanno fatto tutto da soli. L’ultimo elefante lo vediamo in prossimità del lodge Elephant Sands, famoso appunto per i suoi elefanti. Seguo la loro pagina di facebook ed ora che sto scrivendo, visto che ne stanno morendo a decine per la siccità e la mancanza di cibo, qui stanno portando l’acqua con le cisterne e balle di fieno. Prima del lodge c’è una barriera veterinaria, l’unica delle 4 che troveremo, dove dobbiamo disinfettare scarpe e gomme e il poliziotto guarda nel frigo. Ci sono i formaggi proprio sopra ma non dice nulla. Passiamo anche le altre due barriere. Dopo Dwuke ci sono mucche, capre e cavalli lungo la strada. C’è una corsia parallela all’asfalto, sterrata, per i carretti trainati dagli asini. Arriviamo a pranzo a Francistown. Paesone insignificante. Abbiamo impiegato 6 ore e mezza da Kasane. Ta recensisce bene il Diggers Inn. Ha il terrazzo al primo piano di uno stabile. Carino. Personale gentile, cibo pessimo. Sbagliamo prendendo la pizza… non sappiamo neppure noi il perchè di questa scelta. Immangiabile. Ne terremo due (ce le impacchettano) che poi alla fine torneranno utili per il pranzo di domani, e saranno più buone di oggi (Pule 400 € 33). Facciamo benzina e alle 15.00 ripartiamo. Altra barriera veterinaria. Ci sono parecchi autovelox quindi bisogna stare attenti. Arriviamo a destinazione (gli ultimi 4 km. sono sterrati) alle 17.20. L’area è recintata. Ci sono diversi erbivori. Vediamo le cacche ma non loro. La struttura del ristorante/piscina è nuova e moderna. Bella. Le camere sono chalets in self catring con portico, tavolo e doccia esterni e cucina. Carino e tenuto bene. Ci sistemiamo e poi andiamo al ristorante per bere qualcosa. Dobbiamo già scegliere cosa vogliamo per cena. La cameriera, graziosissima, è super imbranata. Ci chiede se vogliamo andare domani mattina a vedere le cascate, attività principale del posto. Richiede una camminata di 1 ora circa a tratta quindi, anche partendo all’alba saremmo un pò tirati. Accantoniamo l’idea. Doccia e poi usciamo per cenare. Rimaniamo tutti a bocca aperta. La luna non è ancora sorta, e poi comunque sarebbe solo uno spicchio, quindi non c’è inquinamento luminoso. La via lattea è pazzesca. Non l’abbiamo mai vista così. Rimango con il naso all’insù incantata. La cena sarà accettabile, nulla di che. Per fortuna siamo gli unici ospiti altrimenti a quest’ora eravamo ancora là in attesa dei piatti. Tutti imbranatissimi. Spendiamo Pule 650 € 54. Si vede che ci stiamo avvicinando al Sud Africa, fa freddo. Notte tranquilla come al solito.

Pernottamento: Goo – Moremi Gorge 

family cottage in sefl catering – c’è ristorante  – (gps S22 34.970 E27 25.853)

(http://botswanaunplugged.com/7168/visit-newly-revamped-mystical-goo-moremi-gorge-resort/) 

(http://www.upandgo.co.za/botswana-districts/ad/goo-moremi-gorge,540)

Costo a camera: Pule 1500 (€ 125)

18) 20 agosto 2019 martedì – km. 505 (asfalto): Moremi Gorge – Johannesburg (SA)

Strada: Quando partiamo dobbiamo tornare sulla strada principale e girare a destra. Si arriva al piccolo paese di Lesenepole, dove finisce l’asfalto. In centro girare a sinistra sulla strada asfaltata. Dopo 11 km. si raggiunge la principale B151. Dopo 45 km. girare a destra e dopo altri 20 si è alla frontiera Globlersburg Border (Sud Africa) e Martin’s Drift Border Control (Botswana) (orari: 6-22) (gps S22 59.809 E27 56.286). Superata la frontiera percorrere la N1 per 11 km. poi girare a destra sulla R572. Dopo 47 km. girare a sinistra sulla R510 a Monte Christo. Dopo 41 km., appena oltre il paese di Lephalale, si imbocca la R33. Dopo 90 km. si arriva a Vaalwater. Nello Spar c’è un piccolo bar dove si potrebbe pranzare se non vogliamo finire le nostre cose. Dopo 73 km. si raggiunge la N1. Si gira a destra. Questa strada è a pedaggio. Se non funziona il telepass bisogna pagare R 80 in contanti. Arrivo a Johannesburg dopo 150 km e rilascio auto, verso le ore 16.00, agli uffici della Bushlore (31 Gallagher Ave – Midrand – S26° 00 02.08 E 28° 07 34.47 – che si trova a 19 km., 30 minuti dal nostro lodge).

Benzinai: Lerala, Martins Drift, Lephalale

Facciamo colazione con calma (Pule 240 € 20) e alle 9.30 partiamo. In 1 ora e 1/2 siamo in frontiera. Trafila veloce in soli 30 minuti. Ci rendiamo conto che abbiamo 4 ore per fare 400 km. Abbiamo sbagliato i tempi di partenza perchè questa prima tratta ci ha richiesto più tempo del previsto. Dobbiamo rendere la macchina alle 16 e sappiamo che non ce la faremo mai. Matteo telefona e ci dicono che possono aspettarci fino alle 17. Se non arriviamo in tempo potremo riportare la macchina domani mattina pagando una giornata in più, circa € 180. Noi ci proviamo. Pranziamo in macchina viaggiando, per fortuna non abbiamo buttato la pizza di ieri… passiamo davanti all’ingresso del Matamba Bush Camp dove abbiamo dormito la prima sera… e alle 16.55 siamo davanti ai cancelli della Bushlore!!!!! Come ho scritto sprecheremo tempo a sistemare i fogli che la ragazza il primo giorno ha sbagliato. Per lo meno abbiniamo la macchina all’autista e alla sua carta di credito. Svuotiamo tutto e con il loro taxi in 20 minuti raggiungiamo il nostro lodge. Siamo venuti qui se non ricordo male 4 volte, sempre di passaggio perchè comodissimo in quanto vicino all’aeroporto. Hanno aggiunto diverse camere e tutte sono al piano terra. C’è il prato con la piscina. Non è il massimo come soluzione più che altro perchè gli aerei decollano, poco distante, fino alle 11 di sera e dalle 5 del mattino però, in vista della giornata di domani che passeremo qui, meglio stare sulle sdraio a prendere il sole piuttosto che chiusi dentro nella hall di qualche hotel. La cena la troveremo buona, il filetto è tenerissimo (Rand 1120 € 70). Pietro compra dei cicchettini di Amarula per brindare al viaggio. Abbiamo sempre detto di comprare una bottiglia e poi, nei posti in cui avremmo potuto trovarla, ci siamo sempre dimenticati. Sarebbe stato bello berla intorno al fuoco. Fa parecchio freddo quindi ci ritiriamo presto.

Pernottamento: Aero Guest Lodge

lodge (colazione compresa) – c’è ristorante

(http://www.aeroguestlodge.co.za/) 

Costo circa: R 1050 (€ 67) + € 17 per camera tenuta in più – tot. € 84

19) 21 agosto 2019 mercoledì: Johannesburg – volo

Oggi ci rilassiamo. Avremmo potuto andare a visitare Soweto, la township di Johannesburg dove è nato Mandela (si può vedere la sua casa). Il nome è l’acronimo di South West Township. Il lodge organizza l’escursione che dura 5 ore (10.00-15.00) e costa R 895 (€ 60) a testa, ma visti i disordini che ci sono ultimamente, preferiamo non muoverci. Ci alziamo con calma, facciamo colazione poi passiamo il tempo a giocare a carte con i ragazzi e prendiamo il sole chiacchierando. Qui non c’è la possibilità di fare pranzo, volendo possono ordinarlo da fuori ma noi abbiamo ancora delle cose nostre e ci aggiustiamo. Possiamo tenere la camera fino alle 15.30 quindi poco prima facciamo la doccia e poi andiamo in aeroporto con il transfer gratuito del lodge. Quando riusciamo a lasciare le valige, cerchiamo un ristorante per la cena. Non ricordo il nome… ahimè … ma mangeremo bene piatti enormi di carne alla griglia spendendo poco (Rand 606 € 38). Alle 20.30 lasciamo l’Africa ….

20) 22 agosto 2019 giovedì: casa

Dormiamo quindi le 10 ore fino a Fiumicino volano. Cibo sempre pessimo. Scendiamo e ci salutiamo con Renzo e Simona. Loro rientrano a Bergamo, noi a Malpensa, dove atterreremo alle 10.20. A casa di corsa perchè dobbiamo andare a recuperare i nostri labrador e come al solito con vediamo l’ora di riabbracciarli.

Cos’altro dire… visto che ho scritto giusto solo due righe… la vacanza con la tenda sul tetto, nonostante i tanti dubbi prima della partenza, si è rivelata una cosa bellissima. Sono le serate e le nottate che ricorderemo più volentieri. Diciamo che abbiamo scoperto un nuovo modo di viaggiare. Il Botswana è un paese splendido, uno degli ultimi paradisi, ancora poco sfruttati, dove il contatto con la natura e i suoi animali è una cosa che non si dimentica facilmente e c’è poco turismo per la poca ricettività. I paesaggi cambiano e ci sono tante attività che si possono fare. E’ una vacanza assolutamente da prendere in considerazione.

Ciao terra d’Africa… ci si vede ad aprile.

PS: se qualcuno vuole qualche info non esiti a scrivermi: african.dreams2019@gmail.com.

PS 1: al rientro ci siamo scritti con Andy riguardo alla Bushlore. Loro dovrebbero rimborsare il piatto griglia a Renzo e il costo della tanica ai Pocket (il danno dei bulloni è a carico loro) però i Pocket hanno restituito la macchina non con il pieno fatto (visto che consumava di più delle nostre la lancetta era andata giù parecchio). Abbiamo compensato.

The post Botswana into the wild (agosto 2019) appeared first on Il Giramondo.

Mantova: respirare l’arte alla corte dei Gonzaga

$
0
0

Due giorni a Mantova: io mio marito e la nostra amica Pin ci regaliamo un viaggio culturale in questo fine gennaio, per visitare un altro piccolo gioiello italiano.

Io e mio marito partiamo da Torino e la nostra amica da Varese, ci incontriamo a Milano e insieme raggiungiamo Mantova in treno.

Arriviamo alle 12,30 circa e ci incamminiamo dalla stazione verso il centro (circa 700 mt) per prendere possesso delle nostre camere al B&B AmaMantua in pieno centro, in via Galana (costo per due camere comunicanti con bagno e prima colazione 100 euro a notte).

Posata la piccola borsa ci incamminiamo in Piazza delle Erbe per un veloce pranzo, sotto un sole bellissimo e stranamente (per il periodo) caldo. Visitiamo subito la Basilica di Sant’Andrea, la più grande chiesa di Mantova, a croce latina: contiene al suo interno la tomba della famiglia Mantegna e conserva la più grande reliquia della Cristianità: i Sacri Vasi contenenti il sangue di Gesù.

Pochi passi e siamo davanti al Palazzo Ducale, un grande complesso di circa 35.000 mq. Con oltre 1000 ambienti è una straordinaria testimonianza della storia di Mantova, del Rinascimento italiano e dell’arte europea tra Medioevo e Barocco. Il Complesso Museale di Palazzo Ducale si colloca tra i più prestigiosi beni culturali del sito UNESCO di “Mantova e Sabbioneta”. La storia dell’edificio coincide in buona misura con la fortuna della famiglia Gonzaga, che ne fece la propria residenza dal 1328 al 1707. 

Il costo è di 13 euro e iniziamo dal Castello di San Giorgio, possente opera di fortificazione realizzata da Bartolino da Navara sul finire del XIV secolo a imitazione di quello degli Este a Ferrara. Da queste sale i Gonzaga esercitarono il potere, vissero i fasti di una reggenza invidiata e rispettata, videro la decadenza lenta e inesorabile, subirono la fine sotto i colpi della storia.

Arricchito con affreschi importanti tra cui spicca la famosissima “Camera Picta” o Camera degli Sposi, il grande capolavoro del Mantegna, che vede raggruppata la famiglia regnante con parte della corte. L’affresco descrive un momento di vita quotidiana di incredibile naturalezza. Strabiliante per l’epoca, la grande maestria dell’artista che riesce a trasformare un ambiente angusto e quadrato (8 metri per 8) in una loggia aperta verso spazi infiniti dove il soffitto diventa un’apertura e dove il cielo si popola di amorini e fanciulle.

Continuiamo nella Corte Nuova e le sue splendide sale, e poi alla Galleria della Mostra con la sua sala lunga 64metri.

Concludiamo con l’appartamento vedovile di Isabella D’Este e il suo giardino segreto.

Isabella D’Este, è stata una figura importantissima per Mantova, si respira in queste stanze il suo potere, la sua dominanza, la sua intelligenza, donna forte e coraggiosa in ogni sua scelta, cresciuta alla corte di Ferrara, fece di tutto e ci riuscì per far splendere Mantova.

Usciamo nel tardo pomeriggio e d’obbligo giriamo a piedi il centro cittadino.

Piazza Sordello con il suo punto focale, la cattedrale di San Pietro, a destra la magna Domus e il Palazzo del Capitano, a sinistra il palazzo Bonacolsi ora dei marchesi Castiglioni, poi piazza Broletto e la fontana dei delfini, la torre comunale, il palazzo Broletto.

Il salotto buono della città: Piazza delle Erbe e la rotonda di san Lorenzo, con la sua chiesa circolare, una delle poche cristiane con quella forma, il Palazzo del Podestà e la torre dell’orologio.

Molto stanchi, ma molto appagati dopo questa immersione nell’arte rinascimentale, ceniamo in un ristorante tipico, l’antica osteria Il Leoncino Rosso.

Dopo una buona notte ristoratrice e una lauta colazione siamo pronti per la meraviglia di Mantova… Palazzo Te, capolavoro di Giulio Romano per committenza di Federico II Gonzaga figlio prediletto di Isabella D’Este. Ideato come una villa romana antica, si presenta come un complesso rinascimentale molto prezioso e molto ben conservato. Vi è cultura raffaellesca, michelangiolesca, ma anche notevoli e sorprendenti invenzioni.

Costruito su una piccola isola di nome Tejeto, venne abbreviato in Te e da qui Palazzo Te.

Villa per gli ozi e per gli svaghi, questo volle Federico, destinata alla “rappresentanza” ai ricevimenti e agli incontri con la sua amante. E’ un riflesso di Giulio Romano che ha voluto stupire, direi con effetti davvero speciali il suo datore di lavoro che all’interno di questo palazzo ne ostenta i titoli, la passione per i cavalli come la sala dei cavalli, l’ambizione quasi illecita di un amore come nella stupefacente stanza di Amore e Psiche, l’ambiente più sontuoso del palazzo, la tragedia di un mondo in rovina come nella meravigliosa sala dei Giganti.

Federico volle al suo interno uno spazio molto privato ed allora l’appartamento detto della Grotta con il suo giardino segreto.

Con gli occhi pieni di tutta questa arte, respiriamo l’aria mantovana, intrisa dei fasti che furono, camminando nella leggera nebbia, e ci rechiamo verso piazza delle Erbe, dove al giovedì si svolge un mercato.

Dopo tanta arte qualche acquisto fra le bancarelle, un pranzo veloce e il ritorno in stazione per il ritorno a casa.

Mantova è a misura di gambe, tutto si concentra in 20 minuti di cammino, una cittadina moderna e competitiva, ma anche un po’ contadina e artigiana, intrisa di storia e di buona cucina.

Credetemi, vale la pena visitarla!

Luisa Deninotti

The post Mantova: respirare l’arte alla corte dei Gonzaga appeared first on Il Giramondo.

Vienna: elegante, pulita e romantica

$
0
0

Tra le città più importanti d’Europa che ancora non avevamo visitato, quella più rilevante era Vienna, ed è finalmente giunto il momento di colmare questa lacuna. Nelle vacanze di Natale i prezzi sono in genere altissimi, quindi, per spendere meno, abbiamo cercato proprio nella coda delle vacanze natalizie e, sforando di un giorno, mettendo quindi il ritorno al 7 gennaio, anzichè il 6, dove tutti ritornano a scuola o al lavoro, abbiamo risparmiato tantissimo e trovato voli a prezzi veramente bassi. Quindi vacanza dal 4 al 7 gennaio 2020. Il quarto giorno purtroppo serve solo a ripartire in quanto l’aereo è fissato alle 7 del mattino, ma, per fortuna anche il primo giorno si parte la mattina presto e quindi almeno i tre giorni sono quasi tutti pieni.

La partenza è dunque fissata la mattina presto del 4 gennaio dall’aeroporto di Milano Bergamo. La compagnia aerea è Lauda Motion, mai provata prima e siamo curiosi di utilizzarla. La convocazione al gate è puntuale, ci fanno salire sul pulmino interno all’aeroporto e quando arriviamo sotto l’aereo, ecco la grande sorpresa. L’aeromobile non è Lauda, ma il solito 737-800 di Ryanair, che è proprietaria della compagnia fondata da Niki Lauda, ma non ho capito se il cambio è stato casuale, se dovuto a qualche inconveniente tecnico sull’aereo originariamente previsto e se è stato voluto per qualche altro motivo. Di fatto gli aerei Lauda sono leggermente più piccoli di quelli Ryanair e quindi chi aveva chiesto l’assegnazione di un posto in una determinata fila si è trovato in una fila diversa di 2 o 3 posizioni, creando un po’ di confusione al momento di salire sull’aereo, che comunque è partito puntuale.

Il volo è breve, poco più di un’ora e alle 10.30 siamo già in terra austriaca, nel grande e moderno aeroporto di Vienna. Per velocizzare le operazioni all’arrivo avevo già acquistato il giorno precedente online dal sito dei trasporti viennese l’abbonamento per tutti i mezzi di trasporto valido 72 ore effettive, al costo di 17.10 euro a testa, che copre esattamente tutto il periodo della nostra vacanza. Dall’aeroporto però serve anche un biglietto aggiuntivo che costa 1.80 euro e che copre il tratto tra l’aeroporto e la zona urbana di Vienna. Lo prendiamo facilmente e velocemente a una delle tante macchinette multilingue (italiano compreso) che sono nella zona dell’aeroporto che porta ai binari della stazione ferroviaria.

ViennaDall’aeroporto per arrivare in centro ci sono diverse possibilità con i mezzi pubblici, c’è un treno diretto (il CAT) che porta direttamente in stazione centrale, c’è anche un bus specifico, due soluzioni con un biglietto dedicato, ma noi abbiamo optato per la soluzione più economica, compresa nel nostro abbonamento da 72 ore, più appunto l’integrazione per arrivare all’area urbana della città, un treno della compagnia nazionale che si chiama RJ (nel nostro caso era diretto a Innsbruck), si scende a Vienna centrale e poi la metro. Un’altra alternativa, sempre utilizzabile con l’abbonamento urbano, era quella di prendere la metropolitana esterna S7 che porta poi ad un cambio dove sono presenti tutte le linee della metro urbane, la U-Bahn.

Quindi RJ o S7, il primo dei due che passava per noi andava bene, anche se poi cambiava la stazione in cui prendere la metro U1 che ci serviva per arrivare in Hotel. Prendiamo il treno RJ, che parte pochi minuti dopo, anzi è già arrivato sul binario e quindi praticamente non abbiamo alcun tempo di attesa. 15 minuti di viaggio e siamo già a Vienna Hauptbahnhof, la stazione centrale. Troviamo subito indicazioni molto chiare e semplici e in pochi minuti raggiungiamo la zona della metropolitana dove prendiamo la linea rossa, la U1, alla stazione di Sudtiroler Platz e, in 5 fermate raggiungiamo la nostra fermata, Nestroyplatz.

Ben prima delle 11 del mattino siamo già davanti al nostro hotel, il Novotel Wien City, prenotato con una fantastica offerta del Black Friday del gruppo Accor di cui fa parte, che, in una città dove le sistemazioni sono piuttosto costose, ci ha permesso di avere la colazione gratis e il 3X2 sulle notti. La scelta si è rivelata ottima. La posizione è molto buona, appena fuori dal centro storico, pochi metri dalle rive del Donau kanal, il ramo cittadino del Danubio. A pochi passi c’è la metro U1 Nestroyplatz, a meno di un chilometro c’è anche la fermata della metro Schwedenplatz, con le linee U1 e U4, sempre a poche centinaia di metri passano anche alcuni tram, tra cui quello della linea 1 che porta direttamente in Municipio. A quell’ora ci permettono di fare il check in e di lasciare i nostri bagagli al deposito, ma la camera non è ancora pronta, essendo l’orario di ingresso in hotel dopo le 14.00. Allora decidiamo di andare subito alla scoperta della città di Vienna.

Purtroppo il tempo non è dei migliori, pioviggina e c’è un vento freddo piuttosto fastidioso che ci induce a non aprire nemmeno gli ombrellini che avevamo portato perché rischiamo di romperli per il vento. Facciamo i pochi metri che ci riportano alla metro U1 di Nestroyplatz, cambiamo a Praterstern, e con la linea U2 arriviamo alla fermata di Rathaus, a pochi passi dal palazzo del Municipio di Vienna, il Rathaus appunto.

L’edificio, parzialmente coperto per una ristrutturazione, è bello e imponente con tante guglie in stile gotico con una grande torre centrale. Davanti, nella piazza antistante, una grande pista di pattinaggio, che percorre diversi saliscendi e percorsi tortuosi tra gli alberi della piazza per finire nell’ampio spazio ovale in cui anche i meno esperti possono provare a pattinare. C’è anche una piccola pista attrezzata per i bimbi più piccoli che possono aiutarsi con i “pinguini” che li sorreggono. Il tutto è ben organizzato con i varchi per entrare e uscire completamente automatizzati, primo esempio che troviamo di una città ottimamente organizzata.

Per fortuna smette di piovere anche se il vento è ancora forte e fastidioso. Facciamo poche decine di metri e siamo nella grande piazza del Museumquartier, una zona bellissima e elegantissima piena di edifici barocchi o di arte moderna che ospitano diversi musei di ogni genere. Nel centro della piazzetta compresa tra il Museo di Storia Naturale e il Kunsthistorisches Museum, il principale museo d’arte di Vienna, ci sono ancora una serie di bancarelle natalizie con esposti prodotti locali o tradizionali del Natale.

Ormai è già mezzogiorno passato, la mattina ci siamo alzati prestissimo e quindi abbiamo fame, entriamo in uno dei tanti fast food per pranzare e ripararci un po’ dal freddo e dal vento. La prima idea era quella di restare in centro fino a sera, ma passate le 14.00 decidiamo di tornare in hotel a sistemare i pochi bagagli visto che la distanza è comunque di una decina di minuti con i mezzi che sono anche compresi nel nostro abbonamento e quindi possiamo usare tutte le volte che vogliamo. Google Maps ci consiglia di prendere il tram numero 1 invece della metro che avevamo preso all’andata e così facciamo, ed è molto comodo perché in meno di dieci minuti arriviamo proprio alla via parallela a quella del nostro hotel che raggiungiamo dalla fermata in pochi passi attraversando il ponte sul fiume.

La nostra camera del Novotel Wien City è pronta. È una tripla piuttosto spaziosa con un armadio grande, molto silenziosa e ben riscaldata e pulita. Il giorno successivo la colazione sarà tra le migliori che abbiamo trovato, amplissima scelta sia di dolce che di salato, con la macchinetta automatica per le bevande calde, ma i camerieri erano anche disponibili a preparare al bar quello che non era eventualmente presente. Confermo l’ottima scelta dell’hotel sia per la posizione che per la qualità offerta, soprattutto dopo averlo trovato al prezzo ribassato.

Ci fermiamo poco perché non vogliamo perdere tempo ed è ora di iniziare la visita delle attrazioni della città. Riprendiamo la metro U1 e scendiamo a Stephansplatz, nella piazza davanti alla grande Cattedrale di Santo Stefano, che però visiteremo nei giorni successivi, perché la prima attrazione che andiamo a vedere è il palazzo imperiale di Hofburg.

HofburgIl complesso dell’Hofburg, nel cuore del centro storico di Vienna è stata per secoli la residenza degli Asburgo, che da qua tenevano le redini del Sacro Romano Impero, poi dell’impero Austriaco e poi dell’Impero Austro-ungarico. Oggi, una parte del complesso è ancora la residenza e la sede del Presidente della Repubblica di Austria. Per visitare Hofburg abbiamo scelto di acquistare il Sisi Ticket, un biglietto combinato di tre attrazioni. Oltre a Hofburg, comprende anche l’altra residenza Imperiale di Vienna, il Palazzo di Schönbrunn e il Museo del Mobile, che ospita parte del mobilio e delle suppellettili di queste due e di altre residenze imperiali. Il Sisi Ticket lo avevo preso online prima di partire per evitare le prevedibili code alla biglietteria della prima delle tre attrazioni che intendevamo visitare.

Saltiamo quindi la coda in ingresso e andiamo subito nella zona delle audioguide. Ci viene consegnata quella in italiano, compresa con il biglietto e iniziamo la nostra visita del Palazzo di Hofburg che si estende in tre diverse zone del grande palazzo. Si visita una parte degli appartamenti imperiali con gli arredi originari, una zona con la raccolta delle argenterie e infine un vero e proprio museo dedicato alla principessa Sissi.

Si parte con la visita delle argenterie imperiali, servizi da tavola di corte, eccezionale raccolta degli oggetti di grande rilievo storico, artistico e culturale, che un tempo erano necessari al governo della casa imperiale. Il Museo delle argenterie offre oggi ai visitatori un panorama interessante della tradizione conviviale a corte e degli addobbi della mensa imperiale. In tutte le sale l’audioguida descrive quello che si vede e soprattutto ne racconta la storia e gli aneddoti correlati.

La visita poi procede con gli appartamenti imperiali, in particolare con l’Ala della cancelleria imperiale e nell’Amalienburg, dove si possono oggi visitare gli ex appartamenti di Francesco Giuseppe e della moglie Elisabetta, detta Sissi. Gli arredi e le decorazioni sono quelli originali e risalgono per lo più alla seconda metà dell’Ottocento, le stufe di ceramica appartengono quasi tutte alla dotazione originale settecentesca.

Infine l’ultima parte del grande palazzo che è visitabile dai turisti è il Museo di Sissi, con numerosi oggetti personali appartenuti ad Elisabetta. Fra gli oltre trecento oggetti esposti nel museo troviamo ombrelli, ventagli e guanti, abiti, ricette di bellezza, il bicchiere da latte dell’imperatrice compreso di cofanetto da viaggio, la farmacia da viaggio e il certificato di morte originale. A questi oggetti originali vengono ad aggiungersi alcuni oggetti fedelmente ricostruiti come l’abito che Sissi indossava quando fu incoronata regina d’Ungheria, il mantello nero con cui l’imperatrice fu coperta dopo l’attentato, i suoi gioielli da lutto e un manichino che raffigura la giovane Sissi sulla sua altalena.

La visita di tutto il palazzo è piuttosto lunga, dura oltre due ore anche grazie alla dovizia delle spiegazioni dell’audioguida, ma è tutto organizzato molto bene e si esce con la sensazione di essere entrati per un pomeriggio in un pezzo di storia non solo austriaca, ma di tutta Europa.

Ormai è già buio e decidiamo di passare il resto del pomeriggio a girare un po’ nelle vie centrali, tutte illuminate con le decorazioni natalizie. Troviamo una città con tanti turisti, ma assolutamente vivibile, pulita e ottimamente organizzata. Ci fermiamo in uno dei tanti bar del centro per prenderci una cioccolata calda e una fetta della famosa Sachertorte, che servono in porzioni gigantesche. Prima di rientrare in hotel torniamo nella zona del Municipio, a quest’ora illuminata con i mille colori delle decorazioni natalizie e assistiamo ad un numero impressionante di viennesi e forse anche di turisti, che affollano la pista di pattinaggio. Ormai sono oltre quindici ore che siamo in piedi e siamo molto stanchi, torniamo in hotel con il tram numero 1 e poi, anche se non abbiamo molta fame per la torta mangiata poco prima, usciamo per una veloce cena in un locale a pochi metri dall’hotel. La stanchezza poi vince sulla voglia di vedere anche la città dopo cena. Preferiamo andare a letto prima per essere pronti il mattino successivo per una nuova giornata da vivere a pieno.

La sveglia per noi, come di consueto in vacanza, è abbastanza presto, facciamo la abbondante e ottima colazione che ci propone il Novotel e partiamo per l’attrazione più attesa della nostra vacanza, la visita al Castello di Schönbrunn. Il Palazzo di Schönbrunn è stato la sede imperiale austriaca per oltre duecento anni. È situato nella periferia ovest della città, su una collinetta, una volta immerso nella campagna, ormai conglobato dalla città, è facilmente raggiungibile con la linea U4 della metropolitana. Noi partiamo dalla nostra stazione della U1 Nestroyplatz, e cambiamo dopo una fermata a Schwedenplatz. In mezz’oretta di metro scendiamo a Schönbrunn e dopo una camminata di qualche minuto siamo davanti all’ingresso dello splendido Palazzo imperiale.

SchonbrunnC’è il sole, ma fa piuttosto freddo, la temperatura percepita è sicuramente più bassa di quella reale per il vento forte che soffia ancora anche se meno del giorno precedente. Scattiamo le prime foto dalle facciata del palazzo che volge verso la strada principale, poi ci dirigiamo verso l’ingresso. A quell’ora di mattino non c’è molta coda, ma comunque la saltiamo avendo già il biglietto che è compreso nel Sisi Ticket che avevamo fatto online prima di partire.

Il nostro biglietto comprende il percorso più completo, il Grand Tour, che permette la vista di 40 sale degli appartamenti imperiali. Come l’Imperial Tour, anche il Grand Tour ha inizio nell’ala occidentale del castello, attraverso gli appartamenti dell’imperatore Francesco Giuseppe e dell’imperatrice Elisabetta – Sissi, passando per il corpo centrale con i saloni delle feste e le sale di rappresentanza, nell’ala orientale del castello. Qui si possono ammirare, fra l’altro, le preziose sale delle udienze di Maria TeresaFrancesco Stefano di Lorena. Tutto il percorso è descritto con precisione e dovizia di particolari nell’audioguida compresa nel biglietto, consegnata e settata in italiano all’ingresso.

Purtroppo non si possono fare fotografie, ma quasi tutte le stanze visitabili sono di una bellezza straordinaria. Anche gli arredi originari sono perfettamente conservati e trasmettono tutto il fascino e le emozioni, tanto che sembra veramente di essere catapultati in un’altra epoca storica. Ci sono tanti turisti, ma la visita si riesce a fare senza problemi, è possibile fermarsi quanto si vuole ad ammirare le varie sale e tutte le suppellettili presenti, non c’è confusione (almeno a quell’ora di mattina) e ci si può godere della visita di uno dei più belli e meglio conservati palazzi imperiali. Alla fine siamo dentro da quasi due ore che sono volate alla vista di tanta bellezza.

SchonbrunnUsciamo dal palazzo ma il complesso di Schönbrunn non si limita solo alla casa imperiale, ma permette la visita (gratuita) anche al grande parco esterno, che certamente in inverno non rende bene l’idea non potendo ammirare la fioritura delle tante piante e fiori che sbocciano in primavera e in estate, ma comunque la passeggiata nei giardini è molto piacevole anche se, in questa giornata, un po’ disturbata dal vento freddo. Superiamo il laghetto ghiacciato, sotto la grande fontana del Nettuno e arriviamo all’ultimo edificio del complesso, la Gloriette con i grandi archi e le grandi colonne che donano classicità e eleganza al grande parco. Da qua la vista sul palazzo Schönbrunn e anche sulla città di Vienna è fantastica e il cielo terso ce la fa godere anche di più.

L’idea era, a questo punto, di tornare verso l’hotel per mangiare qualcosa e poi restare in centro nel pomeriggio, ma non abbiamo per nulla fame avendo fatto una colazione super abbondante e siamo attratti dal grande manifesto con l’immagine del panda appena nato, novità di pochi mesi dello zoo di Schönbrunn che si trova proprio davanti a noi sulla collinetta della Gloriette. La visita allo zoo non era prevista nell’itinerario della nostra vacanza, ma ci lasciamo tentare dalla voglia di vedere i tre panda, tra i pochissimi esemplari presenti in Europa e entriamo dall’ingresso che si trova in cima al parco di Schönbrunn.

Lo zoo è molto grande, pulitissimo e ben organizzato, come del resto tutto in questa città. All’ingresso si può prendere una mappa del bioparco e seguire uno dei tanti percorsi predefiniti. Ci sono tantissime specie animali, alcune sono in letargo in inverno, ma comunque la visita è piuttosto lunga. Passeggiamo tra le stradine passando accanto ai tanti animali e entriamo nelle zone al coperto che ospitano altre specie. I panda sono le attrazioni del parco, ma anche davanti agli altri grandi animali (leoni, tigri, elefanti, giraffe …) c’è molta gente a guardare. Tutti gli animali hanno molto spazio per muoversi, anche se, come sempre accade in tutti gli zoo del mondo, vederli rinchiusi in cattività lascia sempre una sensazione di amarezza.

Tra un percorso e l’altro, anche qua passano velocemente un paio di ore e non ci siamo nemmeno accorti che sono quasi le 15.00. Oggi abbiamo completamente sballato gli orari dei pasti. Torniamo in metro, che prendiamo a Heitzing, alla fermata successiva a quella di partenza, giusto davanti all’ingresso principale dello zoo. Solito cambio tra U4 e U1 e siamo nella zona del nostro hotel. Vorremmo prenderci un panino in un market o in un panificio come facciamo spesso nelle nostre vacanze di città quando facciamo una colazione abbondante, ma, essendo domenica, non riusciamo a trovare un market aperto nelle vicinanze e siamo costretti ad andare in un bar spendendo tantissimo per un panino e una bottiglietta di acqua.

Siamo molto stanchi per aver camminato per quasi sei ore praticamente senza mai fermarci e quindi rivediamo l’idea di andare subito in centro e preferiamo riposarci un’oretta in hotel. Quando decidiamo di tornare in centro facciamo appena in tempo ad entrare, prima della chiusura, al Museo del Mobile, terzo edificio compreso nel nostro Sisi Ticket.

È il museo con buona parte degli arredi originali (e altri ricostruiti) che non sono stati lasciati ad Hofburg e allo Schönbrunn. Ci sono anche troni imperiali da viaggio e molti altri mobili e suppellettili che i reali si portavano appresso nei loro viaggi. Anche qua la parte principale del museo è dedicata alla principessa Sissi con vestiti, arredi, trucchi e accessori, il tutto spiegato anche in questo museo dall’ottima audioguida in italiano compresa col biglietto.

Il museo è piuttosto grande e per visitarlo tutto, seguendo la voce dell’audioguida arriviamo praticamente all’orario di chiusura e siamo tra gli ultimi a uscire. Meno interessante dei due grandi palazzi ma comunque molto ben organizzato e assolutamente da vedere soprattutto se si è deciso di acquistare il biglietto cumulativo con Hofburg e Schönbrunn.

Usciamo dal Museo del Mobile che è ormai tardo pomeriggio, praticamente ora di cena per le abitudini austriache ma ci eravamo promessi di gustarci una cioccolata calda e una fetta di Sachertorte in un caffè del centro e quindi, non avendo tempo e voglia di cercare altrove, anche perché essendo domenica, non tutti i bar sono aperti, entriamo nel bellissimo Cafè Landtmann in centro, a pochi passi dalla grande pista di pattinaggio di fronte al Rathaus.

Il Cafè Landtmann è un luogo storico per i viennesi che desiderano incontrarsi, chiacchierare e anche fare affari, tutti i tavolini hanno poltrone grandi foderate in pelle, elegantissime, i camerieri accolgono tutti i clienti con grande entusiasmo, cordialità, ma anche discrezione al tempo stesso. I prezzi sono prevedibilmente molto alti visto il tipo e l’ubicazione del locale. Due fette di torte e tre cioccolate calde ci costano più della veloce cena che faremo un paio di ore dopo, però la qualità dei dolci è anche quella di alto livello.

Finita la super merenda torniamo in hotel giusto per cambiarci, riposarci ancora un attimo e poi, avendo poca fame, usciamo questa volta per una cena veloce sempre nella zona del nostro Novotel che poi ci aspetta stanchissimi per andare a letto.

Lunedì 6 gennaio, giorno festivo in Austria come in Italia, è praticamente l’ultimo giorno di vacanza perché la mattina del 7 partiremo molto presto la mattina. Ci sarebbe ancora tantissimo da vedere, la mia lista è lunga. Avevo una serie di varianti, nel programma, a seconda del tempo. Visto che, per fortuna, il tempo oggi è splendido, fra l’altro senza vento, decidiamo di lasciar perdere il piano B con musei al chiuso, e continuiamo il nostro percorso di visita a Palazzi e monumenti, alternando ingressi e visite esterne.

La prima attrazione di oggi è il grande complesso del Belvedere, un’altra residenza principesca, situato a sud della città di Vienna. Il castello del Belvedere è formato da due palazzi contrapposti, il Belvedere Superiore (Oberes Belvedere) e il Belvedere Inferiore (Unteres Belvedere). Tra i due palazzi si trovano una laghetto, ora ghiacciato, e vastissimi giardini, che, naturalmente, non rendono bene la bellezza che avranno in primavera e estate, con tutti i fiori sbocciati. Il percorso tra il Belvedere Superiore e quello Inferiore è in leggera discesa essendo il primo palazzo su una collinetta.

Il grande spazio tra i due palazzi è una delle posizioni migliori per fare le classiche foto da cartolina di Vienna e anche noi ne approfittiamo facendo tantissimi scatti. Tra l’altro, come al solito, essendo piuttosto mattinieri, ci sono ancora pochi turisti in zona e riusciamo a cercare le angolazioni migliori quasi indisturbati, cercando solamente di evitare nelle inquadrature gli operai che stanno smontando il gigantesco albero di Natale che era stato allestito proprio davanti al Belvedere Superiore.

BelvedereOriginariamente il Belvedere Superiore era utilizzato per gli ospiti e per le rappresentanze che venivano a Vienna da tutta Europa, mente il Belvedere Inferiore era la residenza del principe Eugenio di Savoia. A differenza dei Palazzi Hofburg e Schönbrunn, nel complesso del Belvedere non è rimasto quasi nulla dell’arredo originario, tanto che il Belvedere Superiore è praticamente diventato una pinacoteca con quadri di tanti artisti dal Medioevo, al Barocco al Classicismo. L’artista più rappresentato è sicuramente Gustav Klimt, che ha esposti qua 24 dipinti, di cui il più famoso è senza dubbio “Il bacio”, che l’attrazione principale della visita al Belvedere Superiore. In tutto il palazzo, in due piani aperti al pubblico, ci sono oltre 400 dipinti e la visita è comunque piuttosto lunga, se si è appassionati di pittura.

Il Belvedere Inferiore invece ospita mostre speciali che cambiano ogni 3-4 mesi. Quella in questo periodo non ci sembrava particolarmente interessante e quindi abbiamo deciso di saltarla per tornare verso il centro della città.

Torniamo quindi nel centro storico di Vienna passeggiando per le vie centrali, passando accanto al famoso Teatro dell’Opera, al museo Albertina e ai tanti palazzi, tutti elegantissimi di questa zona ricca e importante della città. Il tempo è splendido, freddo ma secco, oggi senza vento, e si cammina molto piacevolmente nei viali pedonali della città.

Ci fermiamo a mangiare qualcosa in un bar poi rientriamo in hotel per riposarci un’oretta prima di ripartire per l’ultimo pomeriggio della vacanza a Vienna. L’ultima attrazione che vogliamo visitare è la Cattedrale di Santo Stefano, uno dei simboli della città.

Santo Stefano è il Duomo di Vienna, una delle più belle costruzioni gotiche di tutta Europa. Le quattro grandi guglie svettano imponenti e si vedono da tutti gli angoli di Vienna. Le tegole colorate che rivestono il tetto del duomo di Santo Stefano formano lo stemma dell’aquila bicefala dell’impero asburgico e gli stemmi della città di Vienna e dell’Austria.

Santo StefanoSi può entrare liberamente e gratuitamente nella Cattedrale, ma solo in una zona riservata alle preghiere, oppure durante le celebrazioni religiose, in cui non sono permesse visite turistiche. Per visitare le tante zone della Cattedrale è possibile acquistare un biglietto cumulativo che permette quattro diversi tipi di visita: quella generale (con audioguida) all’interno del Duomo, quella alle catacombe, ad orari fissi, circa ogni ora con guida e percorso obbligato, quella alla torre nord e alla torre sud, oppure si può decidere di fare solo qualcuno dei singoli percorsi turistici, pagando il relativo biglietto.

Noi optiamo per il percorso completo, anche se siamo consapevoli che l’intera visita porterà via parecchio tempo, almeno un paio di ore. La prima ora serve per visitare tutto l’interno della cattedrale con l’audioguida che ci descrive tutti i tesori nascosti come i numerosi altari e cappelle laterali di grande pregio, si può visitare anche l’impressionante tesoro del duomo, comprendente reliquie artistiche, decorate con oro e gemme preziose, ostensori, testi, libri e paramenti liturgici. Il duomo di Santo Stefano ospita anche numerosi sepolcri di personaggi storici importanti. L’imperatore Federico III è sepolto qui in un imponente sarcofago di marmo. La piastra di copertura della tomba pesa da sola otto tonnellate. In una cappella apposita riposa per sempre il principe Eugenio di Savoia.

Finita la visita all’interno della cattedrale, siamo giusto in tempo per aggregarci al gruppetto di turisti che è pronto a scendere nelle catacombe. La guida parla in tedesco e inglese. Si scende e ci si ritrova in una specie di labirinto con tantissime salette, alcune alquanto inquietanti, con resti umani, ossa, spesso accatastate una sull’altra e poi anche alcune tombe più eleganti come quella Duca Rodolfo IV d’Asburgo, detto il “Fondatore”, che pose la prima pietra per la nuova costruzione gotica della cattedrale. Inoltre, nelle catacombe si trovano i sepolcri dei cardinali e arcivescovi di Vienna.

Santo StefanoTornati in superficie ci resta da salire sulle due torri visitabili, la Torre Nord e la Torre Sud. Iniziamo dalla Torre Nord, si sale in ascensore arrivando direttamente in cima e poi si può ammirare la grandissima campana di bronzo e poi si ammira il panorama di Vienna particolarmente piacevole in una giornata limpida come questa.

Pochi minuti e poi torniamo di sotto e usciamo all’esterno della Cattedrale per salire, questa volta con oltre trecento gradini, sulla Torre Sud, la più alta del complesso per ammirare il panorama di Vienna da un’altra angolazione.

Ormai sta calando il sole dietro la grande cattedrale, si accendono le grandi luminarie delle vie del centro e passiamo le ultime ore della nostra vacanza girovagando nelle eleganti strade centrali, comprando qualche souvenir e ricordo della città da portare a casa e fermandoci per l’ultima volta in un caffè, questa volta gestito da italiani, a mangiare ancora una fetta di sachertorte e bevendo una cioccolata calda con panna.

La sera ci serve solo a riordinare i pochi bagagli che ci eravamo portati in vacanza e alle 4.30 in punto ci suona la sveglia per andare in aeroporto. A quell’ora la colazione non è disponibile, ma l’hotel ci consegna tre breakfast box, con toast, frutta, succhi e acqua che mangiamo prima dei controlli in aeroporto. Per raggiungere il terminal, per evitare di partire ancora prima, abbiamo questa volta prenotato un transfer privato, con la compagnia Airport Cab. L’autista alle 5.00, come concordato, è già davanti all’ingresso dell’hotel ad aspettarci. In venti minuti facciamo la strada, senza traffico a quell’ora, che ci porta in aeroporto.

Dopo aver mangiato quello che ci hanno dato in hotel da portarci dietro, raggiungiamo il nostro gate senza perdere troppo tempo, pur essendoci già tanto movimento anche a quell’ora del mattino. L’aereo, anche per il ritorno, non è il Lauda Motion previsto, ma ancora una volta un classico Boeing 737 di Ryanair. In poco più di un’ora atterriamo a Bergamo quando sono passate da pochi minuti le 8 del mattino.

Vienna è una splendida città, elegantissima, molto pulita e ordinata, da ammirare in ogni angolo del centro, semplicemente guardando i tanti palazzi decorati. I castelli imperiali sono tra i migliori mai visti in tutta Europa e anche le minuziose descrizioni delle audioguide aiutano la visita, facendoti immergere in un’altra epoca storica. Auf wiedersehen Wien.

The post Vienna: elegante, pulita e romantica appeared first on Il Giramondo.

Algarve (e non solo) a gennaio

$
0
0

Quest’anno possiamo decidere solo a Dicembre se e quando saremo in grado di partire per le vacanze di Capodanno. Con un margine di tempo ridotto l’offerta sia in termini di luoghi che di budget si riduce notevolmente. Pensiamo di ripiegare sul Portogallo, che già in passato e in condizioni analoghe ci aveva dato grandi soddisfazioni. Visto che siamo in inverno optiamo per la mite regione dell’Algarve, ma troviamo il volo solo su Lisbona. Poco male, organizzeremo un piccolo tour inserendo anche la capitale e suddividendo così le 7 notti che abbiamo a disposizione: 1 a Evora, 5 a Lagos, 1 a Lisbona.

02/01

Come sempre l’offerta migliore ce la propone Ryanair che alle 19,30 con uno squillo di trombe ci annuncia orgogliosa che siamo atterrati in anticipo a Lisbona. Abbiamo deciso di dedicare alla città gli ultimi due giorni di vacanza (tanto la conosciamo abbastanza bene) quindi, dopo aver ritirato l’auto a noleggio da Goldcar, partiamo subito in direzione Evora, attraversando il lunghissimo ponte Vasco de Gama. Arriviamo all’hotel Dom Fernando (prenotato su Booking con un’ottima offerta e in posizione perfetta per la visita della città) che sono quasi le 22. Fortunatamente il buffet del ristorante interno è ancora aperto e visto che iniziamo ad essere un po’ stanchi ne approfittiamo per cenare senza uscire.

03/01

Evora è la città più grande della regione dell’Alentejo. Circondata da una cinta muraria, può essere visitata con una bella passeggiata. Decidiamo di dedicarle la mattina e alle 8, nonostante il cielo coperto e un po’ di foschia, varchiamo la porta in prossimità dell’hotel. Il centro è caratterizzato da vicoletti, piazze, fontane e resti di insediamenti romani.

Facciamo una prima pausa in Praca do Giraldo, la piazza principale delimitata da portici e numerosi caffè, poi raggiungiamo il miradouro del Giardino di Diana che offre una bella vista sulla città e accanto al quale sorge il Tempio Romano, l’opera di epoca romana meglio conservata dell’intero Portogallo.

Ci fermiamo poi per una visita alla cattedrale. Si paga un biglietto di € 3,50 per accedere alla chiesa, al chiostro e al tetto, ma vale assolutamente la pena entrare.

Ci godiamo ancora un po’ i vicoletti del centro di Evora prima di raggiungere l’ultimo luogo che vogliamo visitare: la Capela dos Ossos della chiesa di San Francesco, una piccola cappella le cui pareti e i pilastri sono riempiti con le ossa di più di 5000 persone. Visita interessante anche se piuttosto inquietante, soprattutto quando si varca l’ingresso sormontato dalla scritta “Le nostre ossa sono qui ad aspettare le vostre”…..
Forse un po’ caro il biglietto a 5 € a testa, dato che bastano 5/10 minuti per vederla.

Sicuramente la città meriterebbe almeno una giornata intera, ma abbiamo fretta di raggiungere le dorate spiagge dell’Algarve ed il loro clima mite così a mezzogiorno salutiamo Evora e partiamo.
Come nelle nostre visite precedenti restiamo stupiti dal poco traffico in autostrada e di come i luoghi di sosta siano belli e ben tenuti (rimarrà sempre tra i miei ricordi un autogrill a tema tropicale con i bagni che diffondevano i suoni della foresta pluviale).

Arriviamo a Lagos nel primo pomeriggio, il sole ha la meglio sulle nubi, ci sono 17 gradi e si respira il profumo del mare. Io sarei anche a posto così.

Abbiamo scelto come base l’hotel Dom Pedro, (anche questo con super offerta colazione inclusa su Booking) una grande struttura a Meia Praia, bellissima e lunghissima spiaggia appena fuori Lagos.

Il nostro piccolo appartamento ha una bella terrazza che guarda l’oceano e dalla quale ogni mattina assisteremo ad albe meravigliose.

Per oggi ci limitiamo ad una lunga e rilassante passeggiata sulla spiaggia fino al tramonto per poi finire con un bel piatto di bacalhau nel centro di Lagos.

04/01

Giornata bellissima, il cielo è limpido e non fa freddissimo (in Algarve a Gennaio le temperature durante il giorno si alzano e si sta molto bene ma al mattino presto e alla sera meglio coprirsi).
Oggi abbiamo in programma di visitare la zona ad est di Lagos. Prima tappa a Portimao, dove ci fermiamo per una piacevole passeggiata sulla bella Praia da Rocha (il resto della città non ci convince molto).

In auto attraversiamo un ponte e ci spostiamo a Ferragudo, piccolo borgo semplicemente delizioso, che offre scorci bellissimi tra i suoi vicoletti silenziosi.

La tappa successiva è Carvoeiro dove, dopo una breve visita, ci sediamo al sole in spiaggia. Ci sono 18 gradi, non c’è un alito di vento e si sta una meraviglia.

Durante la programmazione del viaggio ero rimasta particolarmente colpita dalle immagini della grotta di Benagil, ma, siccome è raggiungibile solo in barca, non ero riuscita a capire se si potesse visitare anche in pieno inverno. Decidiamo di tentare la fortuna recandoci alla spiaggia di Benagil e siamo fortunati. Visto le buone condizioni del mare il tour parte. Scegliamo quello Express della durata di mezz’ora a 15 €. Mezz’ora di pura adrenalina, entrando ed uscendo da diverse grotte, tra cui la più famosa con il foro sulla volta, alcune con un accesso talmente basso che avremmo giurato di lasciarci lo scalpo. Passiamo poi davanti a spiagge bellissime, con panorami meravigliosi di rocce e faraglioni e rientriamo a tutta velocità finendo la corsa direttamente sulla spiaggia, finale davvero degno di James Bond.

Passando davanti a Praia da Marinha avevamo notato alcune persone che passeggiavano in alto sulla scogliera ed incuriositi proviamo ad andarci anche noi. Effettivamente la scogliera è percorsa da un bellissimo sentiero e le immagini di spiagge e rocce alla luce del sole che inizia a calare ci lasciano letteralmente senza parole.

Ultima tappa per oggi è Silves, cittadina nell’entroterra. Ormai si sta facendo tardi quindi ci limitiamo ad una breve passeggiata per il paese in salita per visitare la cattedrale ed il castello. La visita di quest’ultimo risulta abbastanza piacevole, anche se siamo ormai in prossimità dell’orario di chiusura. La vista migliore della città però la si ha da fuori, sulla strada in arrivo.

Ceniamo da Tasca Jota, un ristorantino in un quartiere periferico e poco attraente di Lagos. Nonostante la scarsa impressione iniziale ci vengono serviti piatti ottimi e curatissimi.

05/01

Stamattina il cielo è coperto e tira un discreto vento quindi ci copriamo bene e andiamo a Ponta da Piedade, un promontorio a 3 Km. da Lagos, aspro e selvaggio ma con un fascino unico. Si può percorrere il lunghissimo sentiero che ne costeggia il bordo (10 e lode alla bella passerella in legno che permette di godere di tanta bellezza anche a chi ha difficoltà motorie) e scendere una scalinata che si inoltra giù giù tra le rocce fino a lambire l’acqua. Anche col cielo plumbeo (o forse grazie a questo) il paesaggio è fantastico.

Sulla via del ritorno, a poca distanza, c’è una delle spiagge più belle, Praia do Camilo, piccola, affascinante ed accessibile tramite una scalinata in legno. E finalmente esce anche il sole ad illuminare questo piccolo gioiello.

La spiaggia successiva (vicinissima) in cui facciamo sosta è Praia Dona Ana, più ampia, un filo meno affascinante, ma anche questa bellissima come tutte le spiagge dell’Algarve.

Nel pomeriggio ne approfittiamo per visitare Lagos, finora l’abbiamo vista solo di sera e vuota, a Gennaio i turisti non sono tanti e i locali aperti idem. L’avevamo sottovalutata, di giorno, col sole ed un po’ di gente in giro è decisamente carina. Passeggiamo su Avenida dos Descobrimentos, la bella passeggiata pedonale lastricata e orlata di palme che costeggia il fiume fino alla fortezza, poi varchiamo le mura medievali e ci inoltriamo nei vicoli, entrando nei negozi aperti nonostante la bassa stagione. Anche oggi concludiamo la giornata con un ottimo piatto di Bacalhau a Bras.

06/01

Il cielo è limpido e soleggiato e non c’è vento, proprio ciò che ci voleva per il programma di oggi: la Costa Vicentina. Vogliamo vedere alcuni paesini ed alcune spiagge così partiamo subito verso nord per la località più lontana del nostro itinerario per poi scendere man mano a sud e raggiungere Cabo Sao Vicente per il tramonto. La prima tappa quindi è Aljezur, una cascata di casette bianche che dalla montagna scendono verso il fiume.

Ci spostiamo a Carrapateira, altro tipico paesino vicino alle spiagge caratterizzate da grandi onde e per questo frequentato da tanti ragazzi che fanno base qui per praticare il surf. Andiamo verso Praia da Bordeira e qui succede una di quelle piccole magie inaspettate che fanno sì che non ci si potrà mai più dimenticare di un luogo.
Lasciamo l’auto in un parcheggio pieno di vetture e camper e dal quale parte la classica passerella in legno che porta alla spiaggia. La percorriamo tutta e ci troviamo di fronte ad una cosa che non avevamo mai visto nella nostra vita.
Ci siamo sbagliati, quello non è il parcheggio della spiaggia e questa non è la passerella che conduce alla spiaggia. Siamo di fronte ad una laguna interna orlata da dune dorate e vegetazione. La totale assenza di vento ha fatto sì che l’acqua limpidissima si sia trasformata in uno specchio che riflette perfettamente tutto il paesaggio intorno. Un’illusione ottica unica e bellissima.

A fatica lasciamo questa meraviglia, risaliamo in auto e raggiungiamo il parcheggio giusto, che sovrasta una spiaggia immensa e selvaggia, frequentata da tanti ragazzi che si divertono con la tavola.

Scendiamo poi a Praia do Amado, una vera e propria tavolozza di colori, per una passeggiata e una pausa spuntino.

Un’altra sosta la facciamo nell’ennesimo paesino bianco e caratteristico, Vila do Bispo, anche questo vicino a belle spiagge: Cordoama e Castelejo. Quest’ultima è particolarmente affascinante grazie alle rocce nere che contrastano con la sabbia dorata ed il mare blu.

Infine raggiungiamo Sagres dove ci prendiamo una meritata pausa abbandonandoci al sole sui divani di un chiringuito vicino alla spiaggia cittadina. Visitiamo la Fortaleza ma sinceramente non ci convince più di tanto, c’è poco da vedere e si deve fare un giro lunghissimo. Infine partiamo per il “must” di questa zona: il faro di Cabo Sao Vicente al tramonto. Ci sono tante persone che iniziano a sistemarsi lungo la scogliera, di fianco al faro. Cerchiamo anche noi il nostro angolino e iniziamo ad attendere che il sole faccia il suo dovere. Si è alzato un discreto vento, inizia a fare proprio freddo e i “sedili” non sono il massimo, ma garantisco che ne è valsa assolutamente la pena.

Torniamo a Lagos per la cena e ci becchiamo la prima fregatura della vacanza (tanto prima o poi arriva): un piatto di porco all’Alentejana orribile, da dimenticare (anzi no, non credo che ce lo dimenticheremo tanto presto).

07/01

Decidiamo di andare ad Albufeira, ma prima facciamo una sosta nell’entroterra a Loulè per visitare il mercato coperto che si tiene all’interno di un padiglione in stile neomoresco, una buona occasione per acquistare prodotti della gastronomia locale e di artigianato.

Facciamo un giro anche tra i graziosi vicoli acciottolati del centro storico poi ci trasferiamo sulla costa.

Albufeira è il centro dell’Algarve più frequentato in assoluto, quindi visitarla in bassa stagione può avere il suo lato positivo. Anche la bella spiaggia cittadina, che immagino invivibile a Luglio o ad Agosto, si presenta libera e invita ad una sosta per godersi il tepore del sole.

Vale la pena visitare il centro storico, che sorge su di uno sperone roccioso proprio a picco sulla spiaggia e offre un intrico di vicoletti medievali suggestivi. L’ampia zona pedonale che sorge tutt’attorno nella parte bassa è di gran lunga meno affascinante e testimonia la grande richiesta turistica in alta stagione. Per chi non è alla ricerca di luoghi suggestivi ma preferisce la movida Albufeira è sicuramente il luogo giusto. Per quanto riguarda i nostri gusti è il posto che meno ci ha colpito. A metà pomeriggio rientriamo a goderci per l’ultima volta la nostra bellissima Meia Praia.

08 e 09/01

Subito dopo colazione partiamo per Lisbona e, dopo aver riattraversato il lunghissimo ponte che con la luce del giorno ci colpisce ancora di più, a mezzogiorno rendiamo l’auto in aeroporto e con la metro raggiungiamo l’Hotel Turim Restauradores in zona centralissima (anche questo con l’ennesima offertona, il lato positivo di viaggiare in bassa stagione). Il tempo di lasciare i bagagli e siamo subito a spasso per la città. Come dicevo all’inizio questa è la nostra terza visita e per stavolta abbiamo deciso di non fare nessun programma ma di lasciarci ispirare sul momento.

E Lisbona è una città che ispira tanto, quindi con una sensazione di familiarità ci ritroviamo a vagabondare tra Baixa, Chiado, Cais do Sodre, Alfama e Mouraria senza rinunciare a quelle che ormai sono diventate le nostre usanze (frittellina di baccalà su Rua Augusta, caffè con pasteis de nata da A Brasileira, bicchierino di gingjinha nello storico locale vicino al Rossio). E visto che abbiamo fatto la Viva Viagem (abbonamento illimitato per tutti mezzi) saliamo e scendiamo da tram e funicolari, con la grande fortuna, visto il periodo, di non trovare addirittura nessuno sul mitico Electrico 28 o sull’Elevador Santa Justa, che solitamente richiedono file interminabili. Saliamo anche sull’Arco Trionfale dove non eravamo mai stati e che offre (ad un piccolo costo, 3€) una bellissima vista.

E ci regaliamo anche una fantastica serata nel cuore dell’Alfama in un ristorante (A Parreirinha) dove oltre a cenare benissimo ascoltiamo il fado eseguito da bravissimi professionisti. Per noi che amiamo il fado è stata una serata che non dimenticheremo mai più. Resta solo il piccolo rimpianto di non aver ancora visitato Sintra, ma i tempi (mezza giornata il primo giorno e poco di più il secondo) non ce lo permettono. Rimane lì in sospeso, insieme a tanti altri luoghi di questa bellissima nazione che attendono una nostra prossima visita.

The post Algarve (e non solo) a gennaio appeared first on Il Giramondo.


Patagonia, Terra del Fuoco e Falkland: la selvaggia bellezza del sud del mondo

$
0
0

Il viaggio verso la Patagonia è lungo. Ci vogliono tre voli (Milano-Madrid-Santiago del Cile-Punta Arenas), per un totale di 19 ore di volo, a cui bisogna aggiungere gli scali e i tempi di trasferimento.  D’altra parte siamo a 13500 km in linea d’aria dall’Italia, quindi uno dei luoghi del mondo più lontani da noi.

In questa prima parte del viaggio in Patagonia siamo in 4: io, Valeria di Monza, Maddalena di Torino e Luca di Locarno (CH). Più avanti ci raggiungeranno altri 6 viaggiatori, per continuare in Terra del Fuoco e dopo alle Falkland.

14 febbraio: arrivo a Punta Arenas

Arriviamo a Punta Arenas la sera di San Valentino. Niente vento, cosa che per questa regione è abbastanza sorprendente, temperatura 15 °C. Volevamo andare al famoso ristorante “La Luna” in calle O’Higgins, ma non avevamo calcolato il pieno del 14 febbraio. Dobbiamo ripiegare sul ristorante Beagle, poco più avanti, dove per un po’ di ceviche e un piatto di carne con le patatine fritte ci fanno aspettare un’ora e quaranta.

Notiamo subito che lungo le vie della città ci sono un sacco di scritte che ricordano la rivolta popolare iniziata a ottobre dell’anno scorso, per un salario migliore e maggiore uguaglianza sociale. Qualche assembramento si forma ancora ogni tanto: purtroppo abbiamo modo di sperimentarne direttamente le conseguenze. La strada che porta all’appartamento Entre Fronteras dove alloggiamo passa davanti alla caserma della Gendarmeria de Chile. Per un errore di comunicazione i soldati ci fanno passare proprio nel momento in cui arriva a tutta velocità la camionetta blindata che ogni venerdì sera sparge gas urticante per le strade. Un getto violento di gas ci investe in pieno. I soldati si accorgono del guaio e cercano di soccorrerci, ma ormai è troppo tardi. Impossibile tenere aperti gli occhi, che bruciano e lacrimano per mezz’ora. Niente acqua, che favorirebbe la diffusione del gas a contatto con la pelle. Un’esperienza che non auguro a nessuno.

Il primo impatto con il Cile non è stato affatto positivo.

15-17 febbraio: verso Puerto Natales e il parco Torres del Paine lungo la Carretera Austral  

Dopo esserci ripresi dalla brutta esperienza della prima serata, riusciamo a dormire abbastanza bene. Al mattino torniamo in aeroporto a ritirare l’auto che abbiamo noleggiato. Abbiamo scelto un’auto normale con bagagliaio ampio, perché non c’è affatto bisogno di un fuoristrada in questa regione, anche se dovremo fare qualche tratto di sterrato.

A Punta Arenas finisce (o inizia, se uno va in direzione sud-nord: questione di punti di vista) la RN 9 o “Carretera Austral”, che collega Santiago del Cile con il sud del paese lungo un percorso di circa 3500 km. E’ una strada un po’ per modo di dire: in realtà il percorso stradale si interrompe in più punti e ci sono numerosi tratti di mare da fare in ferry, uno anche piuttosto lungo.

Da anni il governo cileno ha in progetto di costruire una vera e propria strada che arriva fino all’estremo Sud del paese. La recente scoperta di ingenti giacimenti petroliferi nella regione australe potrebbe finalmente dare un impulso alla realizzazione di questa opera. Oggi il tragitto tutto via terra è possibile solo passando attraverso l’Argentina, percorrendo la Ruta 40 fino a Rio Turbio o la Ruta 3 lungo la costa atlantica fino a Rio Gallegos e poi rientrando in Cile poco prima della Terra del Fuoco. Se si noleggia una macchina a Santiago, questa opzione risulta poco conveniente a causa degli alti tassi di importazione temporanea del veicolo applicati dalla dogana argentina.

Il termine “Carretera Austral” è riferito specificamente agli ultimi 1700 km del tragitto attuale, che vanno da Chaitèn nella regione di Aysèn (raggiungibile in ferry da Hornopirèn, dopo Puerto Montt, o dall’isola di Chiloè) a Punta Arenas.

Noi facciamo la Carretera Austral in direzione nord, da Punta Arenas verso Torres del Paine.  All’uscita da Punta Arenas, lasciate le ultime casette colorate con i giardini fioriti di lupini rosa e lillà, un grande cartello verde ci informa che stiamo per approcciare la “Ruta del fin del mundo”, termine che mette un po’ di inquietudine. Il cartello descrive anche il cosiddetto “Circuito Aonikenk”, lungo il quale si spostavano le antiche tribù nomadi della Patagonia.

La “Ruta del fin del mundo” è il tratto finale della Carretera Austral. La strada raggiunge Puerto Natales (km 250), poi Cerro Castillo (km 310) e finalmente il Parque Torres del Paine (km 360). Il percorso si snoda tra praterie sconfinate, tocca laghi e fiordi che si insinuano tra una miriade di isolotti, costeggia la Cordillera Chilena con le vette perennemente innevate e per un tratto corre lungo il confine con l’Argentina. I paesaggi sono notevoli. Ci si ferma spesso a scattare foto alle placide mandrie che pascolano nelle vallate o ai gauchos intenti a governare greggi.  Scegliamo il percorso ovest che porta direttamente al lago Grey, dove abbiamo intenzione di fare la navigazione verso i ghiacciai. La strada è in parte asfaltata, in parte in “ripio”, cioè roccia nera pressata, in parte in ghiaia. In generale, il fondo è buono e non crea problemi di guida. Sul ripio si va come sull’asfalto, sulla ghiaia si può andare a 60-70 km/h senza problemi, salvo ovviamente i tratti di montagna. Lungo il percorso si incontrano pochissime macchine, al punto che quando si incrocia un veicolo è consuetudine un lampeggio di saluto con i fari o fare ciao ciao con la mano.

Puerto Natales     

Puerto Natales (20.000 abitanti) è il primo centro abitato degno di tal nome che si incontra lungo la Carretera Austral in direzione Nord, a 250 km da Punta Arenas. La cittadina è carina, con le sue case di legno dipinte a colori pastello. Molto bello il lungomare che inizialmente penserete essere un lungolago, salvo ricredersi dopo essere stati informati che la città si affaccia su una lunga e stretta insenatura oceanica. Si tratta del Seno Ultima Esperanza, un fiordo che si insinua fin qui dalle coste del Pacifico, al termine di 120 km scavati tra spaccature e stretti golfi. Il porto di Puerto Natales è il capolinea meridionale dei traghetti che percorrono i fiordi della costa cilena dell’Oceano Pacifico.

Abbiamo scelto questa cittadina come base per i trasferimenti giornalieri verso il Parco Torres del Paine. Evitate di alloggiare direttamente all’interno del parco, perché i prezzi sono proibitivi. Il nostro alloggio sono gli appartamenti Dorotea Loft, in posizione centrale in calle Eberhard. A poco più di 100 metri, in calle Phillippi, ci sono i meravigliosi murales di Angelino Soto Cea, dipinti nel 1996 e restaurati due anni fa, che raffigurano scene della vita e episodi storici degli indios Aonikenk e Kawesqar, sterminati dall’alcool, dal vaiolo e dalle malattie veneree portate dai “conquistadores”. Questi eccezionali murales sono assolutamente da non perdere.

Una passeggiata sul lungofiordo è imperdibile, specialmente al tramonto se avete la fortuna di beccare una giornata di sole. Tra gruppi di cigni bianchi dal collo nero che nuotano nelle acque calme del fiordo e le centinaia di sterne e cormorani appollaiati sul molo, con le vette innevate della Cordillera Patagonica sullo sfondo, vi colpirà subito lo spettacolare “Monumento al viento”, che raffigura un ragazzo e una ragazza in volo trascinati al cielo dalla forza del vento.

Il lungomare, il monumento, gli stormi di uccelli, le montagne sullo sfondo, rendono questo luogo affascinante. Sedetevi su una panchina e lasciate correre lo sguardo fino alle vette innevate della cordigliera: magari, come me, vi troverete senza accorgervene a pensare a chissà che cosa. Forse al rapporto tra l’uomo e l’ambiente, forse alla vita nel sud del mondo, forse alla purezza della natura incontaminata. Dopo però, devo essere sincero, più prosaicamente abbiamo pensato a una bella cioccolata calda in uno dei tanti pubs di questa piacevole cittadina.

Per la cena abbiamo scovato l’eccellente ristorante Kawesqar (stesso nome di una delle etnie indie) a 100 metri dal nostro alloggio. Lo riconosci facilmente perché all’ingresso in vetrina c’è un quarto di agnello allo spiedo messo a cuocere sulla brace. Pantagrueliche grigliate di carne, alte come una montagna e tenute assieme da un lungo spiedino d’acciaio, oppure il pesce che preferite cotto o marinato come “ceviche”, con limone, cipolla e peperoncino, accompagnate dall’ottima birra Austral, per una cifra attorno a 20 €. Fatevi portare sempre al tavolo anche il “chimichurri”, la salsina piccante con cui i cileni accompagnano qualunque cosa e che è buonissima sul pane. La specialità della casa è proprio il cordero chimichurri, cioè l’agnello con salsa piccante.

All’uscita da Puerto Natales c’è lo sconcertante “Monumento de la mano”, che rappresenta una gigantesca mano aperta che spunta dal suolo, un classico in Sudamerica. Poco più avanti a una rotonda c’è una replica a grandezza naturale del “milodòn”, un animale preistorico erbivoro simile a un bradipo gigante, dove tutti si fermano a fare le foto ricordo. Una ventina di km più a nord, ben segnalata sulla RN 9, c’è la Cueva del Milodòn, un insieme di caverne dove sono stati trovati i resti di una colonia di questi animali estinti.

A Puerto Natales ci sono molte agenzie che organizzano tour di navigazione lungo il fiordo, oppure gite a Torres del Paine. Se volete, per 100 dollari tutto compreso vi portano anche in Argentina a vedere il famoso ghiacciaio Perito Moreno, andata e ritorno in giornata.

 

Navigazione sul lago Grey   

Entriamo nel Parque Torres del Paine dall’ingresso sud-ovest, l’Administraciòn Rio Serrano. Ci dirigiamo subito verso l’Hosteria Grey, per vedere gli orari delle crociere sul lago, che oggi verranno sicuramente operate perché c’è poco vento.

Scegliamo la crociera delle 13.30.  Sul lago vediamo subito i primi iceberg che si sono staccati dal ghiacciaio, trascinati dal vento fino in prossimità del molo. Due condor ci osservano guardinghi. Il ghiacciaio è in fondo al lago. Lo si raggiunge dopo circa un’ora di navigazione sull’acqua grigio-verde appena increspata dall’imprevista bonaccia. Il catamarano costeggia pareti di roccia a strapiombo, tra le quali ogni tanto si aprono spettacolari vedute del massiccio Paine visto da Ovest. Mano a mano che ci si avvicina al fronte del ghiacciaio, si moltiplicano gli ooohh di stupore miei e dei compagni di viaggio. Davanti al ghiacciaio si rimane a bocca aperta. Dal Cerro Condor e dalle montagne del Parque Nacional Bernardo O’Higgins, che confina a nord-ovest con Torres del Paine, scendono tre lingue di ghiaccio separate tra loro da contrafforti montuosi. In totale il ghiacciaio si estende per 5 km e il fronte sul lago è alto una trentina di metri. I blocchi di ghiaccio assumono colori dal bianco all’azzurro intenso, secondo la quantità d’aria che rimane inglobata durante il congelamento dell’acqua. La lingua più bella è quella centrale, che si è solidificata formando una serie di spettacolari guglie di ghiaccio azzurro e turchese.

Il capitano ferma spesso la barca davanti al ghiacciaio, per permetterci di scattare le foto o semplicemente per lasciarci ammirare lo spettacolo naturale. Mentre siamo lì con lo sguardo rapito dai pinnacoli di ghiaccio e dallo scenografico contorno di montagne innevate, un marinaio ci chiama a raccolta. Sorpresa: davanti al ghiacciaio Grey ci hanno preparato un brindisi con il pisco, la bevanda alcolica a base di distillato d’uva con limone tipica dei paesi andini. Salute!!!

La gita sul lago Grey è costata 80 dollari a persona, ma davvero ne è valsa la pena.

Parque Nacional Torres del Paine    

Torres del Paine si raggiunge da Puerto Natales continuando lungo la RN 9 per 120 o 150 km, secondo quale ingresso (“guarderia”) si sceglie.

I panorami di questo parco sono mozzafiato. Guglie di roccia, laghi di montagna, pinnacoli innevati, fiumi e cascate si aprono allo sguardo sorprendendo mille volte il visitatore. I massicci e le torri sono maestosi e impressionanti. Imprimono negli occhi e nella mente immagini e sensazioni di potenza, di imponenza, di esuberanza che pochi luoghi al mondo sono capaci di trasmettere.

Le vette principali sono: Cerro Paine Grande (3050 m), Torre del Paine (2800 m), Cerro Paine Medio (2450 m), Cuernos del Paine (2800 m), Cerro Catedral (2200 m).  Il vento e il ghiaccio hanno modellato i picchi del massiccio del Paine in forme e stratificazioni stranissime, che si possono vedere solo qui.

Torres del Paine si gira bene in macchina, lungo strade di ghiaia o di sterrato che non creano nessun problema di guida anche con un’auto normale.

Dietro ogni curva, dietro ogni promontorio, aspettatevi una sorpresa: può essere una cascata, può essere un arcobaleno tra i monti, può essere un branco di guanachi, oppure un’aquila che vi volteggia sopra la testa, o un prato colorato di fiori simili alle stelle alpine. Oppure può essere anche una folata di vento che ti porta via, o una doccia imprevista a causa degli spruzzi dell’acqua sollevati dal vento… anche questo fa parte della visita.

Entrando dalla Guarderia Sarmiento, il giro percorre la Valle Francés, che offre vedute spettacolari dei “Cuernos del Paine”, poi si costeggia il lago Nordenskjöld con un eccezionale mirador proprio sotto il Cerro Paine Grande, quindi si attraversa un altro avvallamento che porta al lago Pehoè. I colori dell’acqua dei laghi a Torres del Paine sono uno spettacolo a sé stante: blu intenso il lago Sarmiento, verde-turchese il lago Pehoè, grigio (omen nomen) il lago Grey, bianco sporco la laguna Amarga, verde il lago Nordenskjold.

Il panorama con la vista delle vette è davvero sublime se avete la fortuna di vedere il massiccio sgombro di nubi illuminato dalla luce del sole al tramonto.

Altri tratti che dovrebbero facilmente rientrare in una visita di un paio di giorni:

  • il circuito dell’area nord-est del Parco, che costeggia il Rio Paine e raggiunge Laguna Amarga, Laguna Verde e Laguna Azul. Sul percorso si incontra la stupenda cascata “Salto del Paine” sempre avvolta in un arcobaleno generato dalla luce del sole tra gli spruzzi d’acqua.
  • il circuito ovest, che porta al lago Grey e all’omonimo ghiacciaio.
  • il circuito nord che passa dietro le guglie che danno il nome al parco e consente di raggiungere il Mirador Las Torres posto proprio sotto i pinnacoli di roccia.
  • il circuito sud che porta al lago Sarmiento e alla guarderia Rio Serrano.

Tutti questi percorsi si fanno in auto senza problemi. In moltissimi punti si aprono sentieri di trekking, che richiedono dai 30-40 minuti (come quello che si snoda lungo la costa sud del lago Grey e porta al Mirador Grey), a parecchie ore (es. quello per raggiungere il Mirador Las Torres che arriva proprio sotto le tre guglie che danno il nome al parco). Chi vuole può anche visitare l’intero parco a piedi, seguendo il percorso di trekking detto “W” da fare in più giorni, noto agli appassionati di escursionismo di tutto il mondo. Lungo i sentieri più battuti sono collocati numerosi rifugi dove si può alloggiare.

Alla visita del Parque Torres del Paine bisognerebbe dedicare almeno 2 giorni, che è una durata che permette di vedere quasi tutto, coniugando giri in auto con passeggiate nei punti più spettacolari.

Il biglietto di ingresso in alta stagione (ottobre-aprile) costa 25.000 pesos, cioè circa 30 € per noi visitatori stranieri. I cileni pagano solo 5.000 pesos, oppure entrano gratis se sono over 65. Il biglietto vale 3 giorni, durante i quali potete entrare e uscire a piacere quante volte volete da qualunque ingresso.

Gli animali del Parque Torres del Paine      

Come in ogni parco degno di tal nome, anche a Torres del Paine è molto facile avvistare gli animali che lo popolano: vedrete senz’altro numerosi branchi di guanachi, e con ogni probabilità anche i nandù, uccelli patagonici che non volano, parenti più piccoli degli struzzi africani. Noi abbiamo avuto la fortuna di vedere parecchi caracara, i condor, una volpe rossa patagonica (“zorro culpeo”), una coppia di bandurria (ibis patagonici), le anatre colloblu, i queltehue che sono delle specie di tortore locali, i fenicotteri e gli elegantissimi cigni dal collo nero nelle lagune del parco. Difficilissimi da vedere sono i puma, che si muovono solo di notte, e gli huemules, i cervi di questa regione, che sono molto schivi e mi dicono anche sempre più rari.

Gli animali sembrano avvezzi alla vista dell’uomo e delle auto, e generalmente non mostrano segni di insofferenza. I guanachi (che appartengono alla medesima famiglia dei cammelli) hanno un comportamento singolare: piazzano 2 o 3 maschi in un punto elevato, che fanno da guardie vigilando sulle femmine e sul resto del branco, eventualmente ordinando la fuga in caso di pericolo. Se vi avvicinate con circospezione, molto semplicemente staranno lì a fissarvi con uno sguardo più stupito che preoccupato. Ma attenti a non avvicinarvi troppo, perché i simpatici camelidi hanno il vizietto di sputacchiare qua e là per intimorire chi rappresenta una minaccia potenziale, e vista la portata dello sputo si rischia di fare la doccia.

18 febbraio: Punta Arenas       

Torniamo a Punta Arenas per ricongiungerci con la seconda parte del gruppo che arriva dall’Italia. Si aggiungono a noi Valeria e Ignazia di Genova, Fabio di Milano, Mariangela di Torino e la guida Piero Bosco di Viaggi Polari che è anche l’organizzatore di questa seconda parte del viaggio e di quella successiva alle Falkland. Più avanti ci raggiungerà anche Stefano di Monza.

La capitale della Patagonia cilena, o meglio della provincia di “Magallanes y Antarctica Chilena”, è una cittadina di circa 100.000 abitanti posta sull’istmo davanti alla Terra del Fuoco. La città è battuta per 8-10 mesi all’anno da un vento fortissimo, in particolare durante l’estate australe (dicembre-febbraio).

La città, vento a parte, è piacevole e inaspettatamente molto colorata: ci sono edifici color pastello un po’ dovunque, mercatini degli indios che vendono per 3-4 euro delle belle sciarpe di alpaca e… nota curiosa, dei divertenti e vivaci murales “trompe-l’oeil” dipinti a colori vivaci sugli edifici del lungomare.  I punti più importanti sono

  • il lungomare, con i murales e i cormorani appollaiati sui moli
  • il monumento ai liberatori della Terra del Fuoco
  • il palazzo Sara Braun
  • il monumento in bronzo dedicato ai pastori (“monumento al ovejero”)
  • il cimitero (“Cementerio Municipal Sara Braun”), dove tra cipressi accuditi con cura da una squadra di giardinieri, i sepolcri ornati delle famiglie più abbienti convivono con modeste tombe cadenti
  • il monumento a Ferdinando Magellano in Plaza de Armas. Dicono che porta fortuna baciare il piede del marinaio negro sul basamento… ma in tempo di coronavirus, di cui si parla anche qui, ci limitiamo a toccarlo..

Tra i musei decidiamo di visitare il Museo Regional Salesiano Maggiorino Borgatello, in Avenida Presidente Bulnes vicino al santuario Maria Auxiliadora. Il museo consente una full immersion etnologica, storica e biologica sullo stretto di Magellano, distribuita su 4 livelli che a loro volta si ripartiscono nelle sezioni di etnologia, archeologia, storia, flora e fauna. Le sale con aspetti di vita degli indios valgono da sole la visita. Se, potete, dedicate un paio d’ore alla visita di questo museo.

A Punta Arenas ci sono ottimi ristoranti, molti concentrati nella calle O’Higgins che è parallela al lungomare. Riusciamo finalmente a cenare al ristorante “La luna”, colpiti dall’ambiente interno pieno di bottiglie e lattine appese al muro, e di raffigurazioni della luna in blu e oro. Menu a base di pesce, chiaramente. Questo è il posto più adatto per farsi una scorpacciata di “centolla”, cioè il grande granchio a 7 zampe del Pacifico. Questa specie però è in via di estinzione a causa della pesca eccessiva, così un rigurgito di coscienza ecologica mi spinge a rinunciare allo squisito crostaceo. Poco male: puntate sulle eccezionali capesante (“ostiones”) al roquefort, o sul semplice ma eccellente “congrio frito” (grongo del Pacifico). Volete proprio strafogarvi? Per voi c’è il “Gran plato de la luna”, un eccezionale misto di frutti di mare in cui spiccano delle enormi cozze verde scuro (choros), che con 3 o 4 di quelle uno è già pieno, in mezzo a una cornucopia di almejas (vongole), locos (grossi molluschi monovalvi), ostiones (capesante), camarones (gamberi), chipirones (calamari). Tutto questo ben di dio, innaffiato con un ottimo sauvignon o un malbec, vi costerà più o meno 25.000 pesos (30 €).

Per i carnivori questo ristorante propone un’ottima specialità locale alternativa al pesce: lo stufato di “cordero magallanico”, una specie di pecore grosse come vitelli che qui viene allevata soprattutto per la grande quantità di lana dello spesso mantello, oltre che per la carne ad alto contenuto proteico.

Una curiosa alternativa è il Café Restaurante Submarino Amarillo in Avenida Colón. Qui le simpaticissime cameriere sono vestite come i Beatles sulla copertina dell’album “Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band “.

I segni delle proteste popolari di ottobre e mesi successivi sono evidenti in vari punti della città. Resti di incendi, saracinesche divelte e muri tappezzati da scritte di protesta. Dovunque campeggia l’acronimo ACAB (= “all cops are bastard”, ma anche iniziale del verbo acabar, cioè deve finire, deve terminare). Insulti all’attuale presidente Piñera: assassino quando va bene, oppure CTM, che per ragioni di decenza non posso tradurre. Dello spargimento di gas al venerdì sera, in cui siamo stati coinvolti direttamente, ho già detto all’inizio del racconto.

Punta Arenas è la nostra base per la visita della provincia di Magallanes. Alloggiamo all’hotel Finis Terrae, in centro.

19-21 febbraio: stretto di Magellano   

Prima giornata dell’esplorazione della provincia di Magallanes dedicata al condor, signore delle vette e del vento. Lasciamo Punta Arenas in direzione nord verso Rio Verde, dove c’è l’estancia Olga Teresa. Vediamo molti nandù e qualche guanaco pascolare ai lati della strada lungo il cammino.

Il condor è un uccello a rischio di estinzione. In tutta l’America meridionale ne rimangono non più di 10.000, diffusi sulle Ande dall’Ecuador fino al Cile. L’80% vivono in Cile e in Argentina. Vicino all’estancia c’è una delle più grandi “condoreras” cilene, con 150-200 esemplari. La condorera è uno sperone di roccia alto 2-300 metri nei cui anfratti i condor nidificano. Dobbiamo stare lontani, almeno a 300 metri, per cui l’organizzazione fornisce dei binocoli per osservare meglio gli uccelli e i nidi. Per chi non ha un teleobiettivo a focale lunga (da 600 mm in su) le guide hanno studiato un sistema che permette di scattare foto posizionando il cellulare davanti a un potente binocolo. Ogni tanto dalla condorera si levano in volo coppie di condor che descrivono ampie volte sopra le nostre teste lasciandosi trasportare dal vento quasi senza sbattere le ali, con un’eleganza eccezionale.

La seconda escursione in questa regione è dedicata alla visita di due delle tante isole che affiorano nello stretto di Magellano: Isla Marta e Isla Magdalena.  Isla Marta è un piccolo promontorio di roccia che i leoni di mare e i cormorani si spartiscono con rispetto reciproco. I pinnipedi stanno sulla spiaggia a litigare tra loro per la difesa o il possesso dell’harem, mentre i cormorani schiamazzano nella parte superiore della scogliera. Il battello si avvicina fino a una cinquantina di metri, sbatacchiando qua e là masse di kelp spesse e pesanti, ma è proprio tra il kelp che c’è la maggiore crescita di krill e plancton che dà nutrimento agli animali.

Proseguiamo verso Isla Magdalena, dove c’è l’ultima delle pinguineras rimaste nello stretto di Magellano. In Terra del Fuoco arrivano nel periodo estivo, tra ottobre e marzo, molti gruppi di pinguini di Magallanes provenienti dall’Argentina, dalle isole Falkland e persino dal sud del Brasile, secondo quanto asseriscono i guardiani dei parchi. I “pinguini di Magallanes” sono di taglia piccola (sono alti al massimo 40-50 cm) e sono abilissimi nuotatori.

I pinguini presenti oggi sono solo qualche migliaio, rispetto a qualche anno fa quando se ne contavano decine di migliaia di coppie. Infastiditi dai turisti, che scorrazzano senza ritegno tra i nidi, i pinguini a poco a poco stanno abbandonando questa isola cercando luoghi più isolati e meno disturbati. Non è difficile prevedere che tra qualche anno non ce ne saranno più nemmeno qui. In un precedente viaggio avevo visitato la pinguinera del seno Otway, poco distante da punta Arenas. Da qui i pinguini sono andati via tutti circa 3 anni fa.

Da marzo in poi, quando i freddi venti del sud patagonico cominciano a farsi sentire, i pinguini di Magallanes fanno a nuoto il lungo percorso a ritroso verso le zone di origine, cioè la penisola di Valdés in Argentina, le Falkland, le coste del Mar de La Plata in Uruguay e raggiungono persino quelle del sudest del Brasile.

Per la terza escursione nel Sud del mondo levataccia alle 4 di mattina. La nostra meta è il Parque Marino Francisco Coloane, che si estende tra le insenature a ovest della Terra del Fuoco. L’obiettivo sono le balene che d’estate popolano i fiordi.

Si parte dal molo di Punta Carreras, una cinquantina di km a sud di Punta Arenas. Il catamarano Magallanes (qui tutto si chiama Magallanes, non è che abbiano una gande fantasia) passa davanti al faro di San Isidro e costeggia la penisola Brunswick fino a Cabo Froward, che è il punto più a sud dell’America continentale (ovviamente in assoluto, considerando anche le isole, il più a sud è Capo Horn). Un gruppo di bellissimi delfini di Peale, dalla caratteristica livrea bianca sul corpo, ci fa compagnia durante la navigazione. Saranno almeno una trentina e si divertono a superare il catamarano e poi a lasciarsi indietro per riagguantarlo poco dopo. Sono velocissimi: il catamarano viaggia a 25 nodi, cioè circa 45 all’ora, ma i delfini dimostrano di poterlo tranquillamente battere in velocità.

A Capo Froward osserviamo la Cruz de Los Mares, posta sul morro di Santa àgueda in omaggio alla visita di Papa Giovanni Paolo II nel 1987.

La navigazione prosegue tra i meravigliosi paesaggi di questa parte del mondo, passando davanti a colonie di cormorani e di pinguini di Magallanes, quando finalmente compare lo spruzzo della prima balena dallo sfiatatoio. Siamo all’altezza della Isla Carlos III. Ogni anno un gruppo di megattere (humpback whales) viene in queste acque ricche di nutrimento. E allora alé, tutti fuori con macchine fotografiche, telefonini e teleobiettivi come cannoni pronti a cogliere l’apparizione dei cetacei. In un paio d’ore ne abbiamo viste circa una trentina, con doverosi affondamenti e esposizione delle code, quelle foto che poi riguardi decine di volte e mostri con orgoglio agli amici. Due balene fanno anche breaching, cioè compiono enormi balzi fuori dall’acqua per ricadere pesantemente sollevando spruzzi alte decine di metri.

Lasciamo le balene per proseguire all’interno dei fiordi fino al Glaciar Helado (ghiacciaio gelato, persiste la carenza di fantasia per i nomi). Sull’acqua turchese scorrazzano sterne, procellarie, fulmari e albatros. Molti uccelli si portano proprio accanto al fronte del ghiacciaio, perché in questo punto c’è accumulo di nutrimento proveniente dal permafrost sotto la crosta ghiacciata. Dalle montagne circostanti scendono cascate che finiscono direttamente in mare. L’acqua verde-turchese riflette i raggi del sole che intanto hanno forato le nuvole. I panorami di questi territori sono davvero meravigliosi.

Una bellissima escursione di una giornata che consiglio vivamente a tutti. Organizza Solo Expediciones di Punta Arenas. Costo 280 dollari a persona, pasti e pisco con ghiaccio millenario dei ghiacciai inclusi. Certamente non costa poco, ma lo spettacolo che vi scorrerà davanti agli occhi vale assolutamente lo sforzo economico.

22-29 febbraio: le Falkland

Ogni sabato un volo della LATAM collega il Cile con l’aeroporto militare di Mount Pleasant nelle Falkland (o Malvinas, secondo i punti di vista). Una volta al mese l’aereo atterra anche a Rio Gallegos in Argentina. Questo volo è l’unica alternativa alle crociere per raggiungere queste isole.

Il nostro programma di viaggio prevede la visita di Port Howard, a West Falkland, e di Pebble Island e Saunders Island nel nordovest dell’arcipelago. I voli interni sono gestiti dalla FIGAS (Falkland Islands Government Air Service), che opera con i piccoli Britten-Norman a elica da 6-8 posti. A parte la pista vicino alla capitale Stanley, tutte le altre sono in erba e la cosa più curiosa quando stai per atterrare è che in pista ci sono le pecore, che scappano precipitosamente quando il rumore del motore si fa più forte. Nell’ufficio di Stanley fanno bella mostra le scritte “I love FIGAS”, col cuore, e “I flew FIGAS… and survived”. L’aereo vola a circa 200 km/h e a un’altezza di 3-400 metri, che consente di apprezzare i magnifici panorami dell’arcipelago. In cabina si può portare solo la macchina fotografica e il bagaglio non deve superare nel complesso i 20 kg. Per ogni kg eccedente si pagano 3.5 sterline per ogni tratta.

Port Howard       

Prima tappa a Port Howard, West Falkland, nel lodge dei signori Sue Lowe e Wayne Brewer, pieno di articoli vintage, di velluti e di bottiglie di porto intatte da chissà quanti anni. C’è anche un piccolo museo con vari reperti della guerra anglo argentina del 1982. Rimaniamo qui 2 notti.

Port Howard, 25 abitanti, 45000 pecore e 500 vacche, è l’insediamento più numeroso di tutta la parte Ovest delle Falkland. La lana delle pecore e le visite dei turisti forniscono alla famiglia Brewer il necessario sostentamento, mentre i viveri li porta un ferry che ogni giorno alle 9 e mezza raggiunge la baia, accompagnato da un corteo di giocherelloni delfini di Commerson, piccoli con una grande pezza centrale bianca, che balzano dentro e fuori davanti al cargo. Con le jeep attraversiamo la brughiera e raggiungiamo White Rock, una scogliera a due ore e mezza di fuoristrada dall’insediamento. Lungo la strada ci fermiamo a vedere i resti di un Mirage argentino abbattuto dalla contraerea. Qui a Port Howard gli argentini installarono una base che nel periodo della guerra ospitava più di 1000 militari.

White rock è popolata da una numerosa colonia di cormorani imperiali, con accompagnamento di gabbiani grigi, skua, avvoltoi e caracara. C’è anche un piccolo gruppo di pinguini rockhopper (saltaroccia), quasi tutti esemplari giovani perché gli adulti sono in mare per l’approvvigionamento di cibo.

Pebble Island        

Lasciamo Port Howard per raggiungere Pebble Island (“l’isola dei ciottoli”), nel nordovest delle Falkland, con un volo di 15 minuti tra panorami stupendi visti dall’alto. Il Pebble Lodge è grande e accogliente ed è gestito dalla famiglia Pole, che in sostanza è proprietaria dell’isola. Si trova proprio dietro Elephant beach, 6.5 km di spiaggia bianca popolata dalle beccacce di mare dal lungo becco rosso (oystercatchers) e dai voltapietre. Anche qui pecore a go-go. Mr Pole ci dice che a causa della scarsità di erba a disposizione, ogni pecora deve avere un’area di movimento di circa 2 ettari (!).

Nei due giorni passati a Pebble Island facciamo due lunghe escursioni una verso la parte est dell’sola, l’altra verso ovest, su piste sconnesse la cui tracciatura spesso è solo un’ipotesi.  In direzione est raggiungiamo Cape Tamar e Cape Evans, tra baie bellissime popolate da cormorani e pinguini gentoo. A Cape Tamar assistiamo alla scena straziante di un pinguino catturato dalle procellarie giganti e dagli avvoltoi che se lo stanno divorando. Speriamo che fosse un esemplare debole o malato.

Torniamo al lodge attraversando l’interno, costellato da una serie di laghetti (ponds) dove sguazzano fischioni, svassi ciuffati, alzavole, stornelli prataioli e gli elegantissimi cigni dal collo nero.

In direzione ovest raggiungiamo Berntsen Bay, con la meravigliosa spiaggia di sabbia bianca detta Stinker beach (che sarebbe “la spiaggia del fetente”, nome quanto mai inappropriato per uno dei luoghi più belli di tutte le Falkland). Una numerosa colonia di gentoo fa la spola tra il mare e i nidi, mentre un gruppo di avvoltoi osserva i movimenti dei pinguini con interesse. Gabbiani e grey gulls svolazzano tra gli scogli, mentre i delfini di Commerson fanno capolino tra le onde. Rimarremo 2 ore e mezza su questa spiaggia, da cui non si vorrebbe mai venire via. Spero che qualche foto allegata dal diario renda l’idea.

Proseguiamo verso Cape Coventry, dove finalmente riusciamo a trovare una colonia di pinguini saltaroccia con qualche adulto rimasto ad accudire i piccoli, anche se i pinguini sono un po’ restii ad esibirsi nei balzi tra le rocce per i quali sono famosi. La baia ospita anche un gruppo di rock shags, i cormorani dagli occhi rossi molto più rari di quelli imperiali che hanno gli occhi blu.

Poco lontano da Cape Coventry visitiamo due memoriali: uno alle pendici di Marble Mountain in onore degli aviatori argentini caduti durante il conflitto e uno sulla First Mountain eretto dagli inglesi in onore dei marinai del cacciatorpediniere lanciamissili Coventry affondato dagli argentini. Qua e là anche su questa isola sono sparsi i rottami di aerei abbattuti o precipitati (Dagger e Mirage).

Saunders Island        

Altro volo panoramico della FIGAS per raggiungere Saunders Island, a ovest di Pebble. Qui l’organizzazione ha provveduto a caricarci le provviste sull’aereo, perché l’alloggio è molto spartano e la famiglia Pole-Evans che gestisce il settlement, cioè l’insediamento, non fornisce servizio di cucina. Per fortuna le donne del nostro gruppo assolvono benissimo questo compito.

Questa isola presenta forse i panorami più belli di tutte le Falkland. Ci sono zone umide e laghi permanenti, dune di sabbia e scogliere ripide. L’istmo detto “the neck” (il collo) è uno dei luoghi più spettacolari al mondo per l’osservazione di varie specie di pinguini e degli albatros.

The neck è una stretta lingua di sabbia bianchissima battuta dal vento che unisce Mount Harston e Elephant Point, a ovest, con Mount Richards a est. Si raggiunge con le consuete due ore di sballottamento su piste improbabili attraverso la brughiera selvaggia.

Arriviamo al neck in una giornata ventosa. Il vento solleva folate di sabbia bianca tra le quali si muovono ondeggiando i pinguini che vanno e vengono dal mare, per il foraggiamento proprio e della famiglia (compagna con prole o in cova).

Dirigendosi verso est si raggiunge prima la colonia dei pinguini di Magallanes, poi i pinguini gentoo dal becco rosso, poi un gruppetto di una trentina di king penguins, quelli con un colletto di piume arancione che arriva fino all’inizio del petto, poi i simpaticissimi rockhopper (pinguini saltaroccia). E’ la specie più piccola (solo 35-40 cm), ma sono bellissimi. Hanno un vezzoso ciuffetto di piume gialle a lato degli occhietti cerchiati di rosso. Vederli saltellare di roccia in roccia in fila indiana a piccoli balzi è uno spasso: sono immediatamente eletti dal gruppo come la specie più simpatica. Tanto buffi e impacciati sono mentre saltellano tra le rocce, scivolando e rotolando giù ogni tanto, tanto disinvolti appaiono quando si gettano nelle pozze tra gli scogli fino a raggiungere l’oceano. Qui diventano dei veri e propri siluri quando si immergono alla ricerca del krill, i gamberetti oceanici di cui si alimentano.

Salendo sulle pendici di Mount Richards (una collina alta 400 metri), raggiungiamo la zona di nidificazione dei magnifici “black browed albatros” gli albatros dalle sopracciglia nere, che è la specie più diffusa in tutta l’area antartica e subantartica. Magnifici uccelli che quando si alzano in volo dispiegano un’estensione alare di quasi tre metri.

Vederli decollare e poi partire con pochi battiti d’ali è un eccezionale spettacolo di slancio e leggerezza. Signori del vento, in volo sono un concentrato di eleganza e di potenza, soprattutto quando volteggiano sopra le onde sfiorandole appena e lasciandosi trasportare dal vento senza mai toccarle. Grazie al vento, e a una particolare abilità nello sfruttare le correnti ascensionali, riescono a percorrere centinaia e centinaia di chilometri sull’oceano alla ricerca del cibo, per poi ritornare al nido dove le femmine accudiscono i piccoli che attendono il nutrimento.

I nidi sono occupati dai pulcini perennemente affamati, che aspettano il rientro di un genitore per il rigurgito del pesce. Pensare che questi albatros non sono nemmeno i più grandi: gli albatros wandering, cioè “erranti”, hanno un’apertura alare che può superare i 3.50 metri.

Scendendo dalla collina, più in basso gentoo e king fanno scaramucce per accaparrarsi venti centimetri di spazio in più per il nido, tenendo bene sottocchio gli skua e i caracara, pronti ad approfittare di qualche pulcino abbandonato o di qualche adulto ferito. Assisto alla scenetta di un gruppo di gentoo che si è messa in disparte tra le foglie di una specie di salvia gigante e guarda verso il mare, mentre alcuni del nostro gruppo camminano in fila indiana sul bagnasciuga e ogni tanto si girano scattando foto: mi chiedo chi è l’osservatore, e chi è l’osservato….

Uno spettacolo eccezionale che il sole, che nel frattempo ha bucato le nuvole, rende più vivido e brillante.

Rimaniamo quasi tre ore al “neck”: si fa davvero fatica a venire via da un posto come questo.

La seconda escursione su Saunders Island ci porta a The Rookery, altro luogo di nidificazione degli albatros che qui sono stimati in 19000 coppie, popolato anche da una piccola colonia di rockhoppers quasi tutti pulcinotti, perché gli adulti sono in mare a fare rifornimento.

Gli elefanti di mare di Kelp Point

Ultimo volo FIGAS per raggiungere Stanley, la capitale delle Falkland. In aeroporto sono già pronte le jeep che ci portano subito a Kelp Point, dopo le solite 2 ore di sballottamento su piste la cui tracciatura è quasi inesistente. Kelp Point, una settantina di km a sud di Stanley, è punto di ritrovo per gli elefanti di mare, che vengono qui in ottobre-novembre per la riproduzione e in febbraio-marzo per la muta.

Una cacofonia di grugniti, rutti, sbuffi e strombazzamenti ci accoglie all’arrivo. La colonia di elefanti di mare è numerosa: ce ne sono almeno una cinquantina. Stanno lì spaparanzati nel fango o sulla battigia in attesa di cambiare la pelle. I maschi sono colossali: 6 metri di lunghezza per 4 tonnellate di peso e un paio di metri di larghezza. Uno degli animali più grandi del mondo.  Oltre che per la mole, si riconoscono anche per la presenza di un’appendice mobile che ricorda una proboscide. Le femmine invece sono molto più piccole, dato che normalmente non raggiungono la tonnellata. Sono ricoperti da chiazze di manto chiaro che via via si staccano e vengono sostituite dal nuovo manto grigio scuro. Simpatici ciccioni che si muovono a fatica sulla spiaggia srotolando strati di grasso e fermandosi a riposare dopo ogni spostamento di qualche metro. Ogni tanto qualche maschio, pinneggiando goffamente con un ridicolo ondeggiamento di cuscinetti di grasso che si muovono ritmicamente, riesce a raggiungere l’acqua. E allora accade il miracolo: tanto impacciati e comici nei movimenti appaiono questi giganteschi pinnipedi sulla terra, tanto leggiadri e disinvolti si muovono nell’acqua, che in effetti è il loro reale ambiente naturale perché ci stanno 9-10 mesi all’anno.

Raggiungiamo poi Whale beach, poco distante, dove c’è un’altra colonia di pinguini gentoo, quindi dobbiamo rientrare a Stanley. Alloggiamo all’hotel Malvina House.

Stanley

Nella capitale delle Falkland vivono circa 2500 dei 2900 abitanti di tutto l’arcipelago, che si fanno chiamare “kelpers”, nome che richiama il kelp, l’alga degli oceani freddi. Il borgo è un variopinto insieme di villette con i tetti dai colori pastello, che si estendono su una collinetta affacciata sulla baia. Sul lungomare ci sono tanti ricordi dell’assurda guerra anglo-argentina che nel 1982 fece 930 morti, di cui 300 nel solo affondamento dell’incrociatore argentino Belgrano. Il monumento ai caduti riporta i nomi di tutti i soldati e i civili inglesi morti durante il conflitto. L’analogo argentino si trova invece a Buenos Aires.

In Thatcher Drive troneggia il busto in bronzo della lady di ferro, ringiovanita di una trentina d’anni e ritratta con un fisico da modella. Tutto attorno, casette di legno con lupini colorati e grandi papaveri rossi e gialli nei giardini.

Pochissima gente in giro. La bianca chiesetta St Mary’s Church, cattolica, è aperta e praticamente vuota. I kelpers frequentano quasi tutti la cattedrale anglicana che si erge al centro del lungomare, facilmente riconoscibile per i mattoni rossi e per il monumento di bianche stecche di balena posto all’esterno.

La visita delle Falkland è stata organizzata da International Tours & Travel di Stanley.

Conclusione

Ripartiamo da Stanley sabato 29 febbraio, mentre le notizie sulla diffusione del coronavirus si susseguono. 5 ore di attesa estenuante all’aeroporto di Mount Pleasant, poi finalmente riusciamo a imbarcare. Si paga la tassa d’uscita di 25 sterline. Torniamo in Italia via Punta Arenas – Santiago – São Paulo. Il volo LATAM da São Paulo a Malpensa, a causa delle disdette, è praticamente vuoto ma per fortuna è operativo. Quello che troviamo in Italia è notizia di oggi. Nel frattempo, le Falkland hanno chiuso l’accesso agli europei come misura precauzionale contro il Covid-19 e il gruppo che doveva fare un giro simile al nostro rimarrà bloccato in Cile.

Grazie ai compagni di viaggio e a chi ha letto il diario e ha avuto la costanza di arrivare fino a qui.

Luigi

luigi.balzarini@studio-ellebi.com

The post Patagonia, Terra del Fuoco e Falkland: la selvaggia bellezza del sud del mondo appeared first on Il Giramondo.

Il grande Nord

$
0
0

Dal 28 luglio al 24 agosto 2019

Mezzo: Mc Louis Glemis 26G – Ducato 2300 130cv
Km percorsi: 8700 in 128 ore di guida e in 27 giorni di viaggio
Spesa carburante: 1400 €
Consumo medio: 8.8 km/lt
Nazioni attraversate: Svizzera, Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia.

Itinerario: Torino, Rothenburg ob der Tauber, Amburgo, Puttgarden, Malmo, Stoccolma, Umea, Lulea, Gammelstad, Overkalix, Kiruna, Isole Lofoten, Bodo, Trondheim, Strada Atlantica, Alesund, Geiranger, Bergen, Oslo, Göteborg, Copenaghen, Ribe, Lubecca, Lindau, Torino.

L’avvicinamento alla penisola scandinava

Erano anni che avevo in testa questo viaggio, e solo ora, dopo averlo terminato, dopo aver visitato posti bellissimi, aver ammirato paesaggi meravigliosi, dopo aver percorso strade da brivido e aver respirato l’aria del Circolo Polare Artico, solo ora ho capito il perchè l’ho tanto desiderato, e solo ora posso dire con certezza che è un viaggio che un camperista, prima o poi, deve affrontare almeno una volta nella vita! Come tutti i viaggi, soprattutto questo, va progettato e pianificato molto tempo prima per quanto riguarda le tappe per la sosta, i posti da visitare, e poi si attraversano 6 nazioni diverse quindi regole da seguire, leggi locali, modalità dei pedaggi autostradali, insomma tutto quello che c’è da sapere, perchè poi una volta in viaggio, il tempo per documentarsi è veramente poco.

Comincerei col dire che in questo viaggio abbiamo volutamente evitato il parco di Legoland in Danimarca, il villaggio di Babbo Natale a Rovaniemi in Finlandia e Capo Nord. Le nostre mete sono state il Circolo Polare Artico, le isole Lofoten e i fiordi norvegesi.

Rothenburg ob der Tauber – Germania 28/7/2019

Siamo partiti il 28 luglio da Torino alle ore 6, in vista dell’attraversamento svizzero e sapendo che le loro tolleranze in fatto di pesi sono più ristrette, ho pesato il camper alla pesa pubblica di Caselle appena prima di partire, 35 Q.li senza conducente con pieno di acqua e gasolio, si può partire!! Passiamo per Chiasso, attraversiamo tutta la Svizzera, percorriamo la strada che ci porterà al passo del San Bernardino, che sale fino a 2065 metri di altitudine regalando panorami bellissimi tra piccoli specchi d’acqua, laghi e foreste di pini. Proseguiamo fino ad uscire dalla Svizzera, entriamo in Austria dove dovremmo percorrere solo 30 km circa, lo facciamo su strada statale per non pagare il bollino austriaco. Entriamo in Germania all’altezza del Lago di Costanza dove però ci fermeremo per una tappa solo al ritorno del nostro viaggio. Siamo finalmente sulle famose autostrade tedesche, che questa volta si riveleranno una vera agonia in quanto letteralmente DEVASTATE da cantieri di lavori in corso di entità importante; i cartelli che precedono ogni cantiere indicano date di fine lavoro intorno al 2020 – 2021. In circa un migliaio di km di autostrada Google maps segnalava 14 cantieri, quindi prima di mettersi in viaggio valutate bene il tragitto.
Arriviamo la sera a Rothenburg ob der Tauber e ci fermiamo per la notte al parking P3 alle seguenti coordinate: N 49.381900, E 10.188880
Il parcheggio ha la possibilità di fare carico e scarico ed è comodissimo al centro di Rothenburg anche a piedi.
Rothenburg ob der Tauber (Rothenburg sopra il Tauber) si trova nella Baviera del nord, è interamente circondata da mura del ‘300 e ‘400 per gran parte percorribili a piedi. Passeggiando per le sue stradine si possono ammirare eleganti abitazioni e facciate realizzate con stili e colori diversi, balconi ricchi di fiori e molti negozi dalle insegne in ferro che sporgono sulla strada. La città si trova lungo la “strada romantica” (Romantische Straße), una strada lunga 370 km che corre dal sud al nord; per visitare bene anche solo i luoghi più importanti e più belli lungo questa strada ci vorrebbe almeno una settimana. Si può percorrere comodamente in macchina, ma c’è anche una bellissima pista ciclabile, lunga 460 km, che fa scoprire ancora meglio i paesaggi di questa parte della Germania. Potrebbe sicuramente essere un possibile futuro viaggio, ma per adesso, visto che la nostra meta è il grande nord, rientriamo in camper a cenare e pianificare il giorno dopo. Km percorsi 685.

Amburgo – Germania 29/7/2019

Partiamo alle 6 di mattina in direzione Amburgo, continuano le code interminabili causate dai cantieri sulla 7. Arriviamo ad Amburgo alle 16 dopo aver percorso 585 km. Ci fermiamo presso l’area di sosta Wohnmobilhafen Hamburg alle seguenti coordinate: 53.543290, 10.025702. Sotto il ponte della metropolitana e in piena città, ma penso sia la più comoda per visitare il centro che è raggiungibile abbastanza velocemente con la bici, munita di docce e Wc con area camper service di facile accesso e molto funzionale (abbiamo pagato 25€ compresa la corrente, per una notte). Amburgo è un centro di commercio mondiale, è famosa per i musei d’arte e i quartieri vivaci, ma è anche famosa per il quartiere a luci rosse dove negli anni ’60 i Beatles fecero il loro primo concerto. Particolare è anche il quartiere degli antichi magazzini in cui venivano stoccate le merci, dichiarato nel 2015 Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Tradizionale è il mercato del pesce con centinaia di banchi dove si vendono prodotti freschi, souvenir, abbigliamento e cibo di strada.

Puttgarden – Germania 30/7/2019

Il giorno dopo ripartiamo con tutta calma alle 12.30, dopo aver fatto un’altro giro per Amburgo in quanto la tappa di oggi non prevede molti km. Si parte quindi in direzione Puttgarden da dove ci imbarcheremo per raggiungere la Danimarca. Ci imbarchiamo e paghiamo 131€ con camper da 7 mt e 2 persone, i camper fino a 6 mt invece pagano meno. Il tragitto è breve, sbarchiamo in Danimarca e la attraversiamo senza soste, ci fermeremo poi nel viaggio di ritorno. Puntiamo dritto verso il famoso ponte di Oresund, 16 km di cui 4 di tunnel sotto il mare e 12 di ponte, che collega la Danimarca alla Svezia. Non vediamo l’ora di essere sul ponte!!

La salita lungo la Svezia

Malmö Giorno 3

Siamo finalmente arrivati sullo stretto di Oresund che separa la Danimarca dalla Svezia; lo attraversiamo grazie ad un’opera unica nel suo genere, il ponte di Oresund che con i suoi 16 km (4 di tunnel sottomarino e 12 di ponte) ci permette di arrivare in Svezia senza prendere nessuna nave. Percorrerlo è stata la prima vera forte emozione di questo viaggio… anche per il prezzo: il costo del ponte per il nostro mezzo di 7 metri è stato di 120€ per la sola sola andata.
Siamo finalmente nella penisola scandinava, nella Svezia meridionale, precisamente nella Scania. Per la notte ci fermiamo a Malmö, parcheggiati per strada. Siamo arrivati verso le 19 e abbiamo solo il tempo per un giro veloce. Malmö è una città piccola ed accogliente che offre innumerevoli ristoranti e bistrot di qualità e caffetterie eccellenti. Malmö ha investito molto nel progetto di città sostenibile ed è all’avanguardia in Scandinavia.

Stoccolma 

Giorno 4

Partiamo alle 6.30 da Malmö per raggiungere Stoccolma, arriveremo alle 15 dopo 623 km. Cerchiamo l’area camper Langholmens alle seguenti coordinate: N 59.320120, E 18.031480 dove avevamo intenzione di sostare, ma è piena, abbiamo quindi parcheggiato in un parcheggio lungo il mare alle seguenti coordinate N 59.326600, E 18.047300 al costo di 150 Corone svedesi che equivalgono a 14€ per 24 ore.

Giorno 5

La giornata di oggi, la prima vera giornata di sole da quando siamo partiti, la dedichiamo a Stoccolma, la capitale svedese. Utilizzeremo le nostre bici per muoverci, mezzo di trasporto azzeccatissimo in questi paesi in quanto di piste ciclabili ce n’è ovunque. Stoccolma è una città medievale ma proiettata nel futuro, è costruita su 14 isole collegate da 57 ponti; è d’obbligo un giro per le strade di Gamla Stan, uno dei centri storici meglio conservati d’Europa, è qui che la capitale è stata fondata nel 1252.
Stoccolma ospita più di 70 musei, che coprono un ampio mix di temi e attrazioni oltre a mettere in mostra il patrimonio della città in tutto il suo splendore. Da non perdere è Skansen, il museo all’aperto più antico del mondo, con case e fattorie provenienti da tutto il paese che riproducono la Svezia in miniatura. È un luogo unico in cui la storia si fonde con il presente, dove le tradizioni e l’artigianato svedese sono ancora attuali. Entrare a Skansen significa entrare in altre epoche: questo museo all’aperto ci ha fatto scoprire come si viveva in Svezia in diversi momenti storici e in case provenienti da varie zone del paese.

Giorno 6

È arrivata l’ora di lasciare Stoccolma, i chilometri per arrivare al Circolo Polare Artico sono ancora tanti, facciamo una veloce fermata presso l’area camper “Langholmens” alle seguenti coordinate: N 59.320120, E 18.031480 per fare carico e scarico, il tutto ci costa 3€ pagati con carta. In Danimarca, Svezia e Norvegia non abbiamo ritirato neanche un centesimo di moneta locale in quanto in questi paesi si paga tutto ma proprio tutto con carta, anche per andare in bagno presso un qualunque centro commerciale “strisci” per pagare un euro. Partiamo quindi verso le ore 9 e puntiamo tutto a nord, arriviamo verso le 19 a Umea dopo aver percorso 900 km. Decidiamo di parcheggiarci in strada ma dopo alcuni “dettagli” che non mi sono molto piaciuti (uno di questi è stato l’aver evitato per un pelo lo scippo della mia macchina fotografica, piccoli inconvenienti che possono succedere in un viaggio), ripartiamo quindi e dopo un’oretta ci fermiamo in un’area di sosta per camper, popolata da camper e quindi più tranquilla, ma della quale purtroppo non mi sono segnato le coordinate.

Giorno 7

Ripartiamo la mattina, facciamo una veloce sosta nella città di Lulea per poi ripartire e visitare il villaggio di Gammelstad. Gammelstad è un affascinante villaggio parrocchiale, con la sua chiesa di pietra, le sue stradine medievali, e più di 400 abitazioni in legno di colore rosso; è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO ed è il più grande e meglio conservato esempio di villaggio parrocchiale in Svezia.
Ripartiamo da questo bellissimo villaggio, ci dirigiamo in direzione Overkalix ma appena prima di giungere in paese passiamo davanti ad un museo di trattori a cielo aperto di proprietà di un collezionista molto appassionato di nome Holgers, sono circa 200 trattori tutti perfettamente funzionanti.
Arrivati ad Overkalix decidiamo di parcheggiare in un parcheggio adiacente ad un campeggio, chiedendo ovviamente il permesso. Ceniamo con tutta tranquillità con un bellissimo sole che colorava di rosso tutto intorno.

Il Circolo polare artico e la Lapponia svedese

Intorno alle 22 circa si piazzano due macchine con vetri scuri, attaccate al muso del camper; una delle due non aveva nemmeno la targa posteriore, sono rimaste li con motore acceso e radio ad alto volume per circa un’ora. Non saprei dire se era solo una bravata di qualche idiota oppure il campeggio (al quale tra l’altro avevamo chiesto il permesso) non gradiva la nostra presenza lì; resta il fatto che alle 23, dopo che le due macchine si sono decise ad allontanarsi, decidiamo un “cambio programma” e ripartiamo in cerca di un posto sicuro per dormire. Siamo oramai in piena Lapponia svedese e a questo punto decidiamo di anticipare l’entrata nel Circolo polare artico rispetto al giorno dopo come avevamo previsto. A mezzanotte del 4 agosto del 2019 dopo 3433 km e 7 giorni di viaggio siamo entrati nel Circolo polare artico!!!

Il punto esatto dove noi siamo entrati è sulla strada che va da Overkalix a Kiruna, precisamente alle seguenti coordinate: 66.551131, 22.332871. Ma ci sono ovviamente altre strade, e in tutte è ben segnalato il punto esatto. La nostra prima notte nel Circolo polare artico l’abbiamo trascorsa in un parcheggio per camper e camion a queste coordinate: 67.105667, 20.898879, munito di servizi riscaldati e scarico wc chimico ma senza tombino per le acque grigie e senza possibilità di carico acqua. La temperatura di questa notte è stata di -0.3° finalmente il grande nord!!!

Giorno 8

Alla mattina si riparte, la direzione è quella delle Isole Lofoten, ma ci dirigiamo prima verso Kiruna e da lì raggiungiamo Jukkasjärvi, un centro abitato di poco più di 500 abitanti che è un vero e proprio tuffo nella Lapponia svedese. Questa località è diventata celebre principalmente per la presenza del primo hotel di ghiaccio al mondo. Da visitare, oltre all’hotel, c’è anche la Jukkasjärvi Kirka, una piccola chiesetta che si trova alla fine del villaggio, è tra le più antiche chiese della Lapponia, costruita interamente in legno. Abbiamo anche trascorso qualche ora al Sàmi Siida, un museo a cielo aperto che ricostruisce un piccolo insediamento Sami. I Sami sono una popolazione indigena che vive in una zona che si estende dal Circolo polare artico svedese alla Norvegia, dalla Finlandia alla Russia. La visita a questo museo finisce con un momento in cui ti ritrovi accerchiato da renne e, se hai preso all’entrata il sacchetto di muschi e licheni, potrai provare l’emozione di dare loro da mangiare.
Finita la visita a questo villaggio, si riprende il viaggio verso le isole Lofoten.

Le Isole Lofoten

Giorno 9

Finalmente dopo 9 giorni di viaggio siamo arrivati nelle tanto desiderate Isole Lofoten: queste splendide isole si trovano nelle acque del Mar di Norvegia all’interno del Circolo polare artico. Come si mette una ruota su queste isole si capisce subito di essere giunti in un posto meraviglioso. La loro bellezza è impressionante, il paesaggio è composto da maestose montagne, fiordi profondi, colonie di uccelli marini starnazzanti e lunghe spiagge per il surf, il tutto reso ancora più caratteristico da case in legno di colore rosso che sembrano quasi essere state verniciate il giorno prima. Il paesaggio suggestivo di queste isole ci ha lasciati senza fiato, e ci ha ripagati dei tanti chilometri percorsi in questo viaggio su strade, spesso, anche difficili.
Abbiamo visitato Kabelvag, un piccolo villaggio di pescatori; poi siamo passati da Henningsvær, la stazione di pesca più conosciuta delle Lofoten, chiamata anche “la Venezia del Nord”, dove in inverno si possono pescare i merluzzi più grandi del mondo. Henningsvær ha saputo conservare tutto l’incanto dell’ambiente naturale e originario; poi siamo passati da Nusfjord, un antico borgo di pescatori che non ha le caratteristiche tipiche di un borgo o di un villaggio, poiché non è abitato da una comunità stabile. La decisione fu presa nel 1975 dall’UNESCO che, d’accordo con il governo della Norvegia, trasformò Nusfjord in una città-museo, al fine di preservare la struttura tipica dei borghi dediti alla pesca. Ed infine passiamo da Flakstad.

Ci siamo fermati per la notte in un parcheggio vista mare, alle seguenti coordinate: 68.103693, 13.283607: il posto è meraviglioso, il parcheggio è munito di wc riscaldati, discretamente puliti e ben tenuti ma non si può scaricare il wc chimico. Adiacente al parcheggio, c’è anche un campeggio abbastanza spartano da quel che ho notato, “Skagen Camping“. Tra il campeggio ed il parcheggio c’è una bellissima grande spiaggia bianca.

Giorno 10

Si riparte la mattina successiva con destinazione Reine, sostiamo in un’area di sosta in paese alle seguenti coordinate: N 67.912000, E 13.074800 Reine è un piccolo borgo di pescatori incastonato tra i fiordi norvegesi, a nord del Circolo Polare Artico, uno dei borghi più belli delle isole Lofoten, 300 abitanti, casette in legno rosso dipinte con sangue di merluzzo e pigmenti naturali, oppure gialle, tinte di colore vegetale dei fiori
Se siete dei camminatori non dovete perdervi la camminata a Reinebringen che tramite un sentiero impegnativo di circa 1600 gradoni e l’ultimo pezzo di sentiero ripido e su fondo friabile, si arriva a 400 mt di altezza da dove si può godere di un panorama mozzafiato che ripaga le fatiche fatte per raggiungere la cima.
Questo è l’ultimo giorno nelle isole Lofoten, domani salperemo per tornare sulla terraferma e proseguire il viaggio lungo i meravigliosi fiordi norvegesi.

La discesa lungo i fiordi norvegesi

Giorno 11

Partiamo da Reine per raggiungere la vicina Moskenes da dove ci imbarcheremo per raggiungere Bodo, il tragitto è di 3.5 ore di navigazione, e il costo del biglietto per il nostro camper è di 218€. Percorreremo 354 km di strada statale, vedremo il paesaggio cambiare più volte, usciremo dal Circolo polare artico e ci fermeremo solo per la notte a Laksforsen presso un parcheggio molto tranquillo nei pressi di una cascata e alle seguenti coordinate: 65.625346, 13.291814.

Giorno 12

Alle 8 si riparte con destinazione Trondheim, ovvero la terza città più grande della Norvegia. Ci rimettiamo sulla E6 per percorrere gli ultimi interminabili e faticosi 373 km. La strada, come il giorno prima, è un susseguirsi di lavori in corso per la realizzazione della nuova strada più larga, strettoie, pioggia, cambi di corsie e tratti sterrati. Il tutto… condito con un numero elevato di TIR Norvegesi che viaggiano a velocità folli, ed incrociandoli nei tratti di strada più stretti, bisogna fare molta attenzione, un errore di qualche centimetro può costare la fiancata del camper sventrata. Arriviamo in città, facciamo subito carico e scarico presso il camper service di un’area di sosta alle seguenti coordinate: N 63.438240, E 10.420543, molto capiente e munita di corrente.
Finito di caricare e scaricare, decidiamo però di sostare per la notte in un parcheggio misto per auto e camper, alle seguenti coordinate: N 63.426246, E 10.382479 senza servizi ma molto più vicino al centro. Il costo era di 2.50€ l’ora, 25€ al giorno dalle 8 alle 20. km oggi percorsi 373. Trondheim è la terza città per grandezza della Norvegia, intanto diciamo che la città si trova al centro di uno dei fiordi più affascinanti della Norvegia, il Trondheimsfjorden. Bakklandet invece è il pittoresco centro storico, attraversando il Ponte della Città Vecchia (Gamble Bybro), caratteristico per i suoi portali rossi che ricordano lo stile giapponese, potrete ammirare la cattedrale Nidaros.

Giorno 13

Ripartiamo da Trondheim, oggi si punta verso una delle 10 strade più belle al mondo, la “strada atlantica“, che tramite vari ponti e scogli quasi a pelo d’acqua, unisce tra loro diverse isolette, e che parte a sud da Vevang e finisce in direzione nord a Karvag. Questa strada diventa molto pericolosa in presenza di temporali o forte vento, momento in cui le onde si infrangono sulle carreggiate, rendendo il transito molto difficile ma anche molto scenico ed emozionale. Percorrerla, per noi, è stata un’altra bellissima ed indimenticabile emozione di questo viaggio. Arrivando da nord avremmo dovuto percorrerla da Karvag a Vevang, ma considerando il fatto che per raggiungere Karvag avremmo dovuto prendere un paio di traghetti, abbiamo preferito andare fino a Vevang, e percorrerla da sud a nord: l’abbiamo percorsa 5 vote per fare video e fotografie con prospettive diverse e anche per gustarci meglio il paesaggio.
Ma si riparte verso la città di Alesund, uno dei luoghi più visitati dai turisti in Norvegia, e quindi non ce lo possiamo perdere. L’idea è quella di sostare in un’area di sosta in riva al mare e in centro città, ma al nostro arrivo, alle 21, la troviamo piena; nelle vicinanze c’è un campeggio “Volsdalen Camping” alle seguenti coordinate: 62.469855, 6.198496, e prendiamo l’ultimo posto disponibile. Il campeggio è carino, docce e bagni sono un po’ pochini, e le docce vanno con la moneta; come servizi, ne ho visti di peggiori comunque avendo il camper e dovendo stare una sola notte, va più che bene. La notte è costata 30€ compresa la luce, l’area camper service è funzionale facilmente accessibile. Il collegamento alla città è garantito da una via pedonale che parte davanti al campeggio ma penso sia percorribile anche in bici, porta in centro città in circa mezz’ora a piedi. Noi non l’abbiamo utilizzata perchè appunto alla mattina siamo ritornati all’area di sosta che avevamo trovato piena la sera prima. Km percorsi oggi 382.

Giorno 14

Al risveglio riproviamo a cercare un posto all’area di sosta in paese vicino al centro alle seguenti coordinate: N 62.476810, E 6.160472, riusciamo a trovarlo anche vista mare. L’area sosta è carina, vicinissima al centro, sul mare, ha wc e docce non a pagamento ma accessibili con codice presente sul ticket del pagamento, costo 25€ tutto il giorno oppure 2.5 € all’ora compresa la corrente. L’area camper service per carico e scarico è spaziosa pratica e funzionale.

Parcheggiato il camper, finalmente ci possiamo dedicare ad una giornata di relax, riposo e struscio per le vie di Alesund. La città di Alesund si estende tra sette diverse piccole isole collegate tra loro e dai suoi piccoli porti, ogni giorno numerosi pescherecci salpano alla volta dei mari dell’Oceano Atlantico, tanto che la città è conosciuta come la capitale norvegese del pesce. Passeggiando per le vie del centro si incontrano edifici che rimandano a un elegante stile liberty.

Giorno 15

Ripartiti da Alesund verso le 8 di mattina, si punta su Geiranger e il suo famoso fiordo, i chilometri da percorrere oggi sono solo 100 ma molto tortuosi. Lungo la strada siamo obbligati, come sempre, a continue soste per riprendere o fotografare angoli di panorama bellissimi.

Per entrare in Geiranger dobbiamo percorrere la famosa “strada delle Aquile”, una strada ripida e con numerosi tornanti che regala, a chi la percorre, splendide viste sul fiordo di Geiranger da angolazioni ed altezze diverse.
Arrivati a Geiranger prendiamo posto al Geiranger camping alle seguenti coordinate: 62.100589, 7.205675 dove troviamo un posto in riva al fiordo. Il campeggio è carino, tutto pianeggiante su erba, bagni decorosi, area camper service spaziosa e di facile accesso; abbiamo pagato per una notte 37€ di cui 5€ per aver scelto la piazzola fronte fiordo e 2€ di corrente.

Sarà anche uno dei fiordi più piccoli ma il fiordo di Geiranger è tra i luoghi più incantevoli della Norvegia: è infatti di grande bellezza paesaggistica, è uno dei fiordi che l’UNESCO ha inserito nella lista dei luoghi del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Fermarsi una giornata è stato molto bello.

Giorno 16

Ripartiamo da Geiranger; il nostro viaggio continua verso Bergen ma per le dimensioni del nostro camper ci sconsigliano l’unica strada che scende verso sud, siamo obbligati quindi a prendere l’ennesima nave in direzione Hellesylt che si rivelerà però una piccola e piacevole crociera di un’ora e mezza lungo il fiordo, con spiegazioni nella propria lingua, durante tutto il tragitto; prezzo per due persone ed un camper da 7 mt: 147€. Arriviamo a Bergen intorno alle 20, l’area di sosta davanti al palazzetto del ghiaccio alle seguenti coordinate: N 60.354543, E 5.359813; è piena, ma proseguendo ancora 300 mt c’è un parcheggio senza servizi ma molto spazioso, alle seguenti coordinate: N 60.351901, E 5.360472 a pagamento ma quando siamo stati noi la macchinetta per pagare era rotta. A 100 mt c’è la fermata del tram 1 che in 15 minuti ti porta in centro città, i biglietti li puoi acquistare alla fermata stessa utilizzando anche la carta di credito.

Giorno 17

Bergen è la seconda città più grande della Norvegia ed è conosciuta come la capitale dei fiordi; neanche a dirlo, anche lei è dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco. Molto caratteristico e da non perdere assolutamente è il quartiere di Bryggen, composto da case in legno colorate disposte a schiera davanti al porto dove all’interno si può passeggiare tra i suoi vicoli. Sorge sulla sponda orientale del fiordo della città, un vero e proprio paesaggio da cartolina; il suo nome in norvegese significa pontile o molo. Il Mercato del pesce è uno dei luoghi più caratteristici di Bergen, sempre molto affollato, puoi andarci ogni giorno e troverai sempre pesce fresco da comprare crudo o già cucinato in tanti modi, dal salmone alla carne di balena alle insuperabili aringhe norvegesi.

Giorno 18

Partiamo da Bergen per andare ad Oslo; la tappa di oggi sarà impegnativa, 475 km tutti di curve e con gallerie molto lunghe, ma lungo la strada facciamo una breve sosta a Flam, uno dei dei luoghi più spettacolari della Norvegia, un piccolo villaggio di circa cinquecento residenti posizionato in mezzo ai fiordi norvegesi. Famosa è la ferrovia di Flam, la Flamsbana, che, con un percorso spettacolare, grazie al suo dislivello di 900 metri in pochi km è considerata tra le più ripide d’Europa e attraversa climi e paesaggi diversi. Ma, ripartiti dopo la sosta, la strada si alterna tra lavori in corso e lunghe gallerie, abbiamo dovuto percorrere difatti la galleria di Lærdal ovvero la galleria stradale più lunga del mondo, per più di 20 minuti abbiamo percorso i suoi 24.5 km. La
galleria non dispone di uscite di sicurezza, ma è costantemente monitorata da una centrale operativa e da numerosi sistemi di sicurezza. Ci sono ispezioni fotografiche e il conteggio di tutti i veicoli che entrano ed escono dal tunnel, ma la particolarità di questa galleria è la presenza di 3 grandi grotte lungo il percorso dove potersi fermare, che presentano un’illuminazione speciale che ricorda i colori del sorgere del sole, sono di colore blu giallo e verde. Siamo arrivati ad Oslo alle 19.30, ci siamo fermati all’area di sosta Sjolyst “Bobilparkering” alle seguenti coordinate: N 59.919050, E 10.677060. È aperta dalle 7 alle 23 orario in cui c’è sempre l’addetto, il prezzo 30€ al giorno, si paga alla macchinetta anche con carta ma attenzione, non accetta carte Maestro. Area carico/scarico molto comoda e facilmente accessibile, i wc e le docce sono dentro dei container. Il centro di Oslo è facilmente raggiungibile in bici con la ciclabile che passa davanti all’entrata dell’area camper, si arriva in 10 / 15 min. I km percorsi oggi sono 463.

Giorno 19

La capitale della Norvegia, Oslo, si trova nella parte meridionale del paese, all’interno del meraviglioso Oslofjord, è una città molto verde. Il fiordo di Oslo è composto da circa 40 isole ed oltre la metà della città è coperta da foreste e parchi. Giriamo per Oslo tutta la mattinata ed il primo pomeriggio, per i nostri gusti non è servito fermarci oltre, decidiamo quindi alle 17 di ripartire per la tappa successiva, oramai oggi usciamo dalla bellissima Norvegia e rientriamo in Svezia, oramai siamo già in fase di ritorno.

Sulla via del rientro

Alle ore 17 ci rimettiamo in viaggio per Göteborg, purtroppo dobbiamo salutare la bellissima Norvegia, viaggio tranquillo, abbiamo percorso 300 km. Troviamo posto all’area di sosta camper alle seguenti coordinate: 57.702727, 12.035481 posto molto tranquillo, munita di zona carico / scarico ma non c’è il tombino a terra per lo scarico delle acque grigie, quindi dovete essere muniti di tanica di raccolta e scaricare dove si scarica il wc chimico; il prezzo era: 12h circa 15€ – 24h circa 23€, km percorsi oggi 309.

Giorno 20

Giornata di visita alla città di Göteborg, seconda città della Svezia. Göteborg nasce sulla foce del fiume Göta älv che la attraversa formando un affascinante fiordo frastagliato che le consente uno splendido affaccio sul Mare del Nord. È piacevole perdersi per le vie del quartiere haga, uno dei più antichi di Göteborg.

Giorno 21

Si riparte per la tappa successiva, Copenaghen. Questa volta, invece che col ponte di Oresund, scegliamo di attraversare la lingua di mare che separa la Svezia dalla Danimarca in traghetto. Ci siamo diretti quindi verso il porto di Helsingborg da cui ci siamo imbarcati per sbarcare ad Helsingor in Danimarca, per il nostro camper da 7 mt. abbiamo pagato 103€ (solo una ventina di euro in meno del ponte). Arrivati a Copenaghen abbiamo sostato all’area di sosta vicino al porto turistico, alle seguenti coordinate: N 55.71797, E 12.58925: comoda al centro in bici, davanti passa la ciclabile che porta in centro città. L’area di sosta è munita di corrente, rubinetti per il carico acqua con tubo in gomma molto lungo da arrivare fino al proprio camper, munendosi invece di una carta servizi presso la stessa macchinetta dove si paga la sosta, si può usufruire dello scarico acque nere presso dei WC dedicati e dei WC e docce puliti, spaziosi e riscaldati. La doccia è a pagamento utilizzando la stessa carta servizi, non ho visto invece tombini per lo scarico delle acque grigie quindi vi consiglio di avere con voi un roller tank che in questi casi torna utilissimo.
Copenaghen è senza dubbio una città da visitare in bici in quanto è una delle città più a misura di ciclista, vale sicuramente una visita di un paio di giorni, e comunque nonostante Copenaghen sia molto grande le attrazioni principali si trovano concentrate a breve distanza l’una dall’altra, tanto che, oltre che in bici, è possibile visitarle tutte a piedi. Il simbolo di Copenaghen è la Sirenetta, la statua che si trova all’ingresso del porto di Copenaghen e tratta dalla favola di Andersen. Sebbene abbia superato, negli anni, vari atti di vandalismo, la Sirenetta conserva un fascino magico.

Giorno 23

Lasciata Copenaghen, si punta ora verso Ribe e percorriamo l’ennesimo tratto stradale di questo viaggio che ci provoca una forte emozione, il ponte del Gran Belt della lunghezza di 18 KM. Arriviamo a Ribe e ci parcheggiamo per la notte in in parcheggio per camper alle seguenti coordinate: N 55.324800, E 8.757400. Il parcheggio è gratuito e con carico e scarico e wc, vicino al centro storico anche a piedi. Km percorsi oggi 339. Ribe è la città più antica della Danimarca. Situata nella penisola dello Jutland, è sicuramente uno dei borghi più belli d’Europa. I suoi vicoli sono pieni di gente ed è molto piacevole passeggiarci dentro, ma è la sera che la città sfodera tutto il suo fascino mentre la guardia notturna comincia il suo giro di ronda, intonando le tradizionali canzoni per avvisare i cittadini che è arrivata l’ora di andare a dormire.

Giorno 24

Partiamo da Ribe e salutiamo anche la Danimarca. Ci fermiamo a Travemunde, una bella località balneare tedesca che si affaccia sul Mar Baltico: le sue spiagge sono ampie, il lungomare molto bello e fortunatamente abbiamo trovato una bella giornata di sole. Abbiamo sostato presso un parcheggio alle seguenti coordinate: N 53.975840, E 10.877830, dove dietro c’è anche un’area di sosta per camper con tanto di carico e scarico e corrente.
Dopo poche ore ci spostiamo nella vicina Lubecca. Sostiamo in un’area camper alle seguenti coordinate: N 53.895420, E 10.710580, comoda al centro in bici, pare invece che a piedi ci si metta 30 minuti circa, munita di wc e docce a moneta, carini e puliti; c’è l’area per il carico acqua (necessita un tubo di gomma vostro da attaccare al rubinetto) e c’è la griglia per terra per lo scarico acque grigie, ma non è possibile scaricare il wc chimico, quindi fatevi i vostri conti di autonomia, per pagare si paga all’interno del booling.

Nel 1987 l’Unesco ha incluso il centro storico di Lubecca nella lista dei beni culturali e ambientali del mondo, infatti è molto bello e curato. Lubecca è definita anche la città del marzapane. Nel centro di Lubecca potrete abbandonarvi alle delizie dello storico Cafè Niederegger, azienda dolciaria tedesca con una tradizione secolare, famosa, oltre che per i suoi dolci di alta qualità, soprattutto per la produzione di marzapane, un vero e proprio “paradiso dei diabetici” e noi naturalmente abbiamo voluto provare le sue delizie. Insomma, se siete di passaggio, una tappa a Lubecca la apprezzerete sicuramente.

Giorno 26

Alle ore 6 si parte e si lascia la bellissima città di Lubecca per dirigersi verso l’ultima tappa di questo bellissimo viaggio, Lindau sul Lago di Costanza. Oggi ci aspettano 890 km devastati da lavori in corso: impiegheremo 12 ore per percorrere questo tragitto, ci faranno anche uscire dall’autostrada, non sappiamo se per un incidente o per dei lavori in corso, ci metteremo a seguire una bisarca che sembrava sapere il fatto suo e facendo strade secondarie attraversando paesini sperduti e saltando due entrate in autostrada, piena di veicoli incolonnati e totalmente fermi, siamo arrivati nella prima entrata autostradale libera per poter proseguire la nostra strada. Arriviamo a Lindau intorno alle 18, ci fermiamo in un’area di sosta alle seguenti coordinate: N 47.558610, E 9.700470. L’area di sosta è a pagamento 20€ / 24 ore, è munita di WC e di area attrezzata per fare carico e scarico, gratuito lo scarico acque grigie, a pagamento lo scarico acque nere e il carico acqua. L’area è tranquilla, abbiamo visto passare un paio di volte la polizia. Alle spalle dell’area, parte un percorso ciclopedonale che porta in centro, noi avevamo le bici e in bici ci si metteva 10 minuti, a piedi non l’abbiamo fatta ma pare che ci si impieghi una ventina di minuti.

Giorno 27

Il ventisettesimo giorno di viaggio l’avevamo dedicato al rientro ma alle 6 di mattina, ora in cui è suonata la sveglia, invece di prepararci per la partenza, abbiamo deciso di rimanere un giorno in più a Lindau.
Lindau è tra le più rinomate località di villeggiatura della Germania per la sua particolare posizione: è infatti situata in un’isola sul lago di Costanza collegata alla terraferma da due ponti. La via principale è composta da una serie di case del ‘500 dai variopinti colori ed eleganti negozi. Lindau non è solo una tappa lungo un viaggio, o una località da visitare se ci si trova di passaggio, il lago di Costanza è sicuramente un’interessante meta itinerante per un viaggio di qualche giorno.

Giorno 28

E qui termina questo meraviglioso viaggio che ci ha portato a scoprire il grande nord Europa, e per finire chiuderei con qualche informazione sul viaggio. Il viaggio è durato 27 +1 giorni, abbiamo percorso 8700km in 128 ore di guida, abbiamo speso 1400€ di carburante.

Per quanto riguarda la copertura telefonica, tutti gli stati attraversati, tranne la Svizzera, sono coperti da roaming europeo quindi avete lo stesso piano tariffario che avreste in Italia tranne i dati, fate attenzione perchè in base ai vostri operatori telefonici, i giga a disposizione negli stati europei potrebbero essere molto inferiori a quelli che avete in Italia (Informatevi). Per la Svizzera, invece, se non avete un piano tariffario che in qualche modo la copre, vi consiglio vivamente di disabilitare il traffico dati e di non fare o ricevere chiamate per i 300 km che percorrerete al suo interno.

I pedaggi autostradali sono stati i seguenti:

Svizzera: Bollino autostradale valido da gennaio a dicembre dell’anno in corso più un mese prima ed un mese dopo 36€.
Austria: per 30 km di tragitto, abbiamo percorso la statale non a pagamento.
Germania: gratis.
Danimarca: gratis tranne il ponte di Oresund che collega la Danimarca alla Svezia, costato per il nostro camper da 7 mt 120€ sola andata (fino a 6 mt costa circa la metà) e il ponte del Gran Belt che è costato per il nostro camper 50€ sola andata.
Svezia: le autostrade sono gratis tranne i pedaggi per entrare in alcune città, per il pagamento state sereni, arriva comodamente a casa ed è pagabile con carta di credito noi abbiamo speso 10€.
Norvegia: le autostrade sono a pagamento ma non ci sono caselli, anche in questo caso arriverà tutto a casa, ma il costo dei passaggi pare vada in base alla classe ecologica del mezzo. Intanto vi consiglio di registrarvi a questo sito: https://www.epcplc.com/it io avendo un euro6 ho inserito anche i dati del mio camper e quando è arrivata a casa la fattura dei pedaggi norvegesi (circa due mesi dopo) nel mio profilo c’era già la fattura e i dettagli dei passaggi con relative fotografie, tramite lo stesso sito si effettua il pagamento. Il nostro totale passaggi è stato di 50€.
Navi: Si tenga presente che sulle navi prese in questo viaggio, il limite di lunghezza per il sovraprezzo è 6 mt, oltre questa lunghezza il prezzo quasi raddoppia, essendo il nostro mezzo di 7 mt il costo complessivo delle navi è stato di 756€.
Pernottamenti: Il nostro costo totale dei pernottamenti (campeggi – aree di sosta – parcheggi) è stato di 321€.
La spesa totale di carburante / spostamenti / pernottamenti è stata di 2600€.
La spesa totale comprese anche le spese, qualche cena e souvenir, praticamente TUTTO COMPRESO è stata di 3.200€

Album fotografico del viaggio:
https://www.flickr.com/photos/157722481@N04/albums/72157711301662347/with/48885114572

Video del viaggio: https://www.ilgiramondo.net/video-vacanze-viaggi/53604-il-grande-nord/
Il mio blog: http://www.itinerariolibero.it

The post Il grande Nord appeared first on Il Giramondo.

Arizona, New Mexico, Texas: il mix di culture delle terre di confine

$
0
0

Here we are again! Back in the USA, la nostra grande passione. Nel 2015 i Parchi della West Coast. Nel 2017 Yellowstone e Real America. E nel 2019? Neanche il tempo di disfare le valigie del viaggio precedente e, Lonely Planet alla mano, iniziamo a studiare un nuovo itinerario. La East Coast? Grandi metropoli ma poca natura. La caraibica Florida con le sue Keys? Ma agosto è stagione di uragani. E poi chissà che umidità e quante zanzare alle Everglades! E perché non la mitica Route 66? Questa sì che ci ispira! Però, accidenti, quanto costa un volo con arrivo a Chicago e ripartenza da Los Angeles! Per non parlare del noleggio auto con drop-off. E se circoscrivessimo il viaggio alla parte più interessante della Route 66, quella meglio conservata e più ricca di attrazioni? Dovrebbe essere quella che attraversa Arizona, New Mexico e Texas. Se ci aggiungiamo i parchi e le città circostanti dovrebbe venir fuori un viaggetto niente male. Vediamo un po’, partendo da Phoenix con un itinerario circolare si potrebbe fare:

Phoenix – Saguaro – Tucson – Tombstone – Chiricahua – Gila Cliff Dwellings – Las Cruces – El Paso – White Sands – Carlsbad Caverns – Lincoln – Roswell – Amarillo – Tucumcari – Santa Rosa – Santa Fe – Taos Pueblo – Abiquiu – Bandelier – Kasha-Katuwe – Albuquerque – Very Large Array – El Malpais – Acoma Pueblo – Gallup – Canyon de Chelly – Petrified Forest & Painted Desert – Holbrook – Winslow – Meteor Crater – Flagstaff – Williams – Grand Canyon – Sedona – Montezuma Castle – Phoenix

18 giorni, quasi 6200 km. Tanta roba davvero. Ce la faremo? Vediamo.

7 agosto: Venezia – Phoenix

Il volo quest’anno è stato un po’ un calvario. Già dalla prenotazione a gennaio sono iniziati i guai. Avevamo adocchiato un volo Venezia-Londra-Phoenix con la conveniente e ormai super collaudata British Airways, ma allettati dall’offerta volo+hotel abbiamo prenotato tramite Expedia anziché direttamente dal sito della compagnia. E come spesso insegnano, “intermediario” uguale “fregatura”. Infatti grazie alla poca trasparenza del sito di Expedia ci siamo trovati prenotata una tariffa Basic Economy invece della Standard, vanificando di fatto l’apparente convenienza. Questa non ci voleva, non possiamo fare un viaggio di tre settimane con il solo bagaglio a mano! Telefoniamo subito a Expedia e dietro minaccia di cancellare la prenotazione otteniamo il rimborso del costo dei bagagli che avremmo dovuto acquistare da British. In 48 ore per fortuna riceviamo l’accredito e il problema è risolto. Voto 4 per la poca trasparenza del sito di Expedia, voto 9 per l’assistenza clienti. Sta di fatto che la prossima volta eviteremo gli intermediari…

Quindi si parte? Non è ancora detta l’ultima. Dobbiamo fare scalo a Londra dove purtroppo è previsto uno sciopero del personale aeroportuale, che iella… Non ci resta che incrociare le dita e prepararci al peggio. Ma siamo fortunati, lo sciopero è revocato in extremis, l’abbiamo scampata bella! Sicuri?? Arriviamo a Londra e notiamo sui tabelloni delle partenze una sfilza di CANCELED, CANCELED, CANCELED… Mah, che strano. Però il nostro volo pare in orario. Sììì… come no! Guasto ai sistemi informatici, tutti i voli in ritardo, cioè, quelli che non sono stati cancellati. E sentite questa: il nostro aereo deve aspettare uno dei membri dell’equipaggio che si trova su un altro volo proveniente da Manchester e ovviamente in ritardo anche quello! Ma dico io, personale di riserva no? Stiamo parlando di British Airways, mica di una low cost qualunque! Alla fine partiremo con 4 ore di ritardo e saremo costretti anche a telefonare all’autonoleggio negli USA per assicurarci che ci tengano l’auto. Per fortuna la gentilissima Alamo ci tranquillizza, guadagnando subito dei punti e facendoci un po’ dimenticare il costo esorbitante della chiamata intercontinentale.

Arrivati a Phoenix Sky Harbor alle 21,30 anziché le 17,30 speriamo che i controlli all’immigration almeno siano veloci. Ma qui non siamo a Denver come due anni fa. Niente postazioni automatizzate con scansione autonoma del passaporto e delle impronte digitali, ma la classica lunga fila dall’ufficiale di turno. E siccome sono zone di confine sono anche piuttosto scrupolosi e si dilungano in domande e controlli. Che lavoro fate? Cosa fa la vostra azienda? Quanto vi trattenete? Dove alloggiate? Quanti contanti avete? Stranamente la nostra terza volta negli States invece di sorprendere favorevolmente il nostro ufficiale lo mette in allerta. “Okay, you may go” dice al mio compagno Tiziano, poi si rivolge a me: “But there’s something wrong with you…” What?? “Have you ever been arrested?” Arrested?!! Vogliamo scherzare! In due viaggi e 13.000 km non abbiamo neanche mai preso una multa! L’ufficiale non è convinto e dopo avermi sequestrato il passaporto mi accompagna in un ufficio separato. Siam mesi bene, ci manca solo che mi mettano sul primo aereo e mi rispediscano a casa! Bella riconoscenza verso dei turisti affezionati come noi. Va be’, alla fine aspetto 5 minuti in questo ufficio, dove l’impiegato fa qualche controllo al terminale, mi fa le solite domande che mi aveva già fatto l’altro, poi mi riconsegna il passaporto e tanti saluti. Non saprò mai cosa avevo fatto per essere stata arrestata secondo loro. E bravi gli americani.

Ora che abbiamo scampato anche un possibile rimpatrio possiamo andare a ritirare l’auto. Usciamo dall’aeroporto e ci dirigiamo verso la zona navette. Mamma mia che botta di caldo! Sono le 11,00 di sera e Phoenix è un forno! Non oso pensare durante il giorno! L’aria condizionata dell’autonoleggio ci accoglie come un’oasi nel deserto. Ed effettivamente siamo nel deserto, Phoenix si trova nel bel mezzo del Deserto di Sonora… Ci avviciniamo esitanti al desk della Alamo, già prevedendo il peggio, memori dell’esperienza di due anni prima con la Thrifty. Con gli autonoleggi la fregatura è sempre in agguato e la prudenza non è mai troppa. Invece questi non ci propongono nessun upgrade indesiderato, la nostra auto è disponibile e non ci sono costi supplementari tranne il pieno di carburante per la riconsegna a serbatoio vuoto. Splendido! E, cosa da non credere, possiamo sceglierci noi l’auto! Sì, solo che Tiziano va a pescare una full-size mentre la nostra doveva essere una mid-size. Lasciamo stare, dico io, ti ricordi la fregatura dell’altra volta? Ma l’impiegato sorprendentemente ce la concede come upgrade gratuito. Aiuto, ecco, sento odore di guai… Ma siamo sicuri, sicuri, sicuri che non dobbiamo pagare niente?? “Free upgrade” conferma l’impiegato. Incrociamo le dita e accettiamo. Speriamo bene…

E così prendiamo la nostra Kia Optima e ci avviamo verso il vicino Super 8 a Tempe, la zona universitaria a pochi km di distanza dall’aeroporto. E meno male perché è passata mezzanotte quando finalmente stramazziamo distrutti sul letto. Facendo due conti per noi ora sarebbero le 9,00 del giorno dopo, il che significa che siamo in giro da 30 ore…

8 agosto: Saguaro NP – Tucson

Il mattino dopo ovviamente la sveglia non serve, grazie al fuso orario siamo già in piedi alle 5,00. La giornata sarà tosta: la nostra prima meta è il Saguaro National Park, un deserto, e noi abbiamo sul groppone 30 ore di viaggio con ritardo aereo e il jet lag dovuto ai 9 fusi orari di differenza. Usciamo per fare colazione e subito ci investe l’effetto phon del clima di Phoenix, ricordandoci che la prima tappa del giorno dovrà per forza essere un supermercato, alla ricerca del frigo in polistirolo, nostro inseparabile compagno di questo come dei precedenti viaggi. Impensabile trascorrere un’intera giornata in mezzo al deserto senza acqua fresca a galloni. Al secondo tentativo, grazie anche alle dritte dell’hotel, siamo fortunati e troviamo frigo e viveri. Anche quest’anno il pranzo al sacco con panini, insalate e frutta ci farà risparmiare tempo e denaro, limitando al minimo il ricorso a fast-food e ristoranti.

Il Saguaro National Park occupa l’area intorno alla città di Tucson, a circa due ore d’auto da Phoenix, e deve il nome alla varietà di cactus che lo popola, il saguaro appunto. Sono quei cactus giganti che si vedono nei film western, e naturalmente nei cartoni animati di Willy il Coyote e Beep Beep! Ne trovate anche a Phoenix ma qui sono molto più numerosi e belli perché il parco è proprio una riserva creata ad hoc per preservarli. Il Saguaro è molto esteso e praticamente circonda la città di Tucson: la parte ovest si chiama Red Hills Tucson Mountain District e la parte est Rincon Mountain District, ognuna con un proprio Visitor Center. Per passare da una parte all’altra bisogna attraversare la città e a seconda del traffico ci possono volere dai 30 ai 60 minuti. Per questo se si vuole visitare tutto il parco facendo anche qualche trail (caldo permettendo) è necessario mettere in conto l’intera giornata, cominciando da ovest e spostandosi verso la parte est nel pomeriggio.

Arriviamo al Visitor Center della sezione ovest che sono le 10,00 e il caldo è già notevole: il clima desertico è strano, può esserci anche un forte vento ma sono zaffate di aria calda, effetto phon, come già sperimentato nella Death Valley qualche anno fa. Verso mezzogiorno la temperatura sale fino a 38-40°C, neanche tanto a pensarci bene, ma è un caldo asfissiante, da togliere il fiato, e si percepisce un penetrante odore di “secco” che inaridisce di continuo la gola, quindi se si vuol fare qualche trail meglio scegliere le ore più “fresche”, per modo di dire ovviamente, e portarsi tanta, tanta acqua. Noi purtroppo non abbiamo scelta, venendo da Phoenix ci toccano proprio le ore centrali.

Dopo aver acquistato il solito pass “America the Beautiful” da 80.00$, valido per un anno per tutti i parchi nazionali dell’NPS, iniziamo la visita in modo “soft”, con lo scenic drive della sezione ovest, il Bajada Loop Drive, un percorso ad anello di 10 km non asfaltato ma percorribile anche con una normale berlina. Qui facciamo un primo breve trail fra saguari giganteschi e meravigliosi cactus fioriti: incredibile, quasi non sembra di trovarsi in mezzo al deserto, non fosse per il caldo sembrerebbe veramente un bel giardino fiorito. Ci sono anche tanti piccoli animaletti, lucertole, gechi, e i buffissimi road runner, i Beep Beep del cartone animato, impossibili da fotografare per quanto sfrecciano veloci. Nessuna traccia invece di Willy il Coyote, ma lungo il Signal Hill Trail individuiamo una volpe grigia che si porta la preda nella tana. Se ce la fate vale al pena percorrere questo breve trail perché sulla collinetta di Signal Hill ci sono diverse rocce con degli antichi petroglifi. Altro percorso da non perdere è il Valley View Overlook Trail che conduce ad un punto di osservazione sopraelevato da cui si può ammirare la valle sottostante.

Riprendendo l’auto per trasferirci verso la sezione est del parco ci sono un paio di attrazioni lungo la strada: la prima è l’Arizona-Sonora Desert Museum, ma il costo elevato dell’ingresso ci scoraggia, considerato che vedremmo le stesse cose già viste nel parco. La seconda attrazione sono gli Old Tucson Studios, per chi è interessato al genere dei parchi tematici tipo Universal Studios a Los Angeles. Questo però non è solo un parco a tema ma è un vero e proprio set cinematografico tuttora utilizzato. Noi però preferiamo proseguire per una sosta-pranzo in città prima di passare alla sezione est del Saguaro.

Tucson (tusòn per gli americani) è la seconda città dell’Arizona per dimensioni dopo Phoenix, torrida d’estate ma mite d’inverno, e per questo meta di vacanzieri e di proprietari di seconda casa che vanno a trascorrervi i mesi più freddi. Noi a dire il vero non l’abbiamo trovata così attraente. Ci attendevamo la classica cittadina in stile western ma in realtà di storico è rimasto poco, se togliamo l’Hotel Congress nella centrale Congress Street, che deve la sua notorietà al fatto che qui agli inizi del ‘900 è stato catturato un famigerato rapinatore di banche, evento di cui ogni anno viene fatta una rievocazione storica. Altre attrazioni degne di nota sono la St. Augustin Cathedral e il quartiere di El Presidio. Dopo un pranzo veloce a El Presidio Park e una passeggiata su e giù per la Congress Street, riteniamo di aver dedicato abbastanza tempo alla città, anche perché il sole picchia parecchio e il caldo è notevole. Ideale per passare il resto del pomeriggio nel deserto insomma!

E così ci dirigiamo verso la parte est del Saguaro, il Rincon Mountain District. Questa è la sezione più vasta del parco e si trova ad un’altitudine maggiore rispetto alla sezione ovest. Per questo motivo è consigliato visitarla nel tardo pomeriggio, perché non solo avrete la possibilità di ammirare le distese di cactus giganti da una maggior elevazione, ma potrete godere dell’effetto cartolina dei cactus scuri che si stagliano contro il rosso del tramonto. Anche questa sezione ha il suo scenic drive, il sinuoso Cactus Forest Drive, un percorso one-way a saliscendi che culmina al Tanque Verde Ridge a 950 m, ideale per godere del panorama della valle sottostante al tramonto. Sì, ma che fatica aspettare con il peso del viaggio e del jet lag! Per non parlare del caldo… Ad un certo punto l’abbiocco ha la meglio su di me e senza ritegno prendo possesso di una panchina per una pennichella ristoratrice in attesa del tramonto. Dopo di che ci dirigiamo verso il nostro motel fuori Tucson. La prima giornata è stata dura ma domani saremo certamente più in forma!

9 agosto: Tombstone – Chiricahua – Willcox

Ed eccoci a Tombstone! “The town too tough to die”, come dice il suo motto. Con un salto indietro nel tempo di oltre un secolo ci ritroviamo nel più autentico Far West, in una delle cittadine in stile western meglio conservate, fra briganti, pistoleri e giocatori d’azzardo. E non solo idealmente. Vi capiterà proprio di incontrarli per strada in carne e ossa. Siamo infatti nella città di Wyatt Earp, personaggio leggendario immortalato in tanti film western e passato alla storia, oltre che per i suoi enormi moustaches, anche per i suoi metodi di far rispettare la legge, diciamo, ai limiti della legalità. Il mito dei fratelli Earp e dell’Old Wild West viene rievocato quotidianamente da figuranti in costume d’epoca che passeggiano per le strade ancora sterrate, ricostruzioni storiche e spettacoli di sparatorie. In effetti, a dirla tutta, Tombstone è un po’ una trappola per turisti. Ogni angolo della città è un’attrazione e il turismo sembra essere l’unica attività dei suoi abitanti.

L’impatto con la cultura di confine all’inizio è spiazzante. Siamo a una cinquantina di km dal Messico e per questo non sorprende il proliferare di ristoranti messicani e la parlata spagnola, ma questi hanno un idioma veramente strano! Quindi non stupitevi se sarete accolti con un incomprensibile “Howdy pardner?” che nel gergo locale vuol dire “How are you doing friend?” E poi che strano nome Tombstone. Non molto beneaugurante, eh? In effetti la città fu fondata da un cercatore di metalli preziosi che un giorno parlò delle possibili ricchezze minerarie della zona ad un amico soldato di un forte vicino. Questi però lo mise in guardia dal pericolo degli Apache che la popolavano, dicendogli che l’unica “pietra” che avrebbe trovato sarebbe stata la sua pietra tombale (“tombstone” appunto). Quando poi questo esploratore trovò effettivamente una vena d’argento, chiamò il sito Tombstone in ricordo delle parole del soldato.

Così la città, nata inizialmente come sito minerario, ben presto conobbe un vero e proprio boom demografico ed economico e iniziarono a proliferare altre attività più o meno legali come saloon, case da gioco, bordelli. Ma si sa, dove sta il vizio e i facili guadagni spuntano facilmente le pistole. E infatti verso il 1880 Tombstone era una delle città più violente del south-west, costringendo spesso i tutori della legge a feroci repressioni. È qui che entrano in scena i fratelli Earp, lo sceriffo Virgil con Morgan e Wyatt, che insieme al pistolero e giocatore d’azzardo Doc Holliday furono protagonisti di una sanguinosa sparatoria contro i banditi Clanton, McLaury e Claiborne, passata poi alla storia come Gunfight at the O.K. Corral.

Inutile dire che la città vive ancor oggi del mito creato da quegli eventi. E così anche noi ci prepariamo ad acquistare il nostro biglietto da 10.00$ per assistere al Gunfight Reenactment, la rievocazione storica della sparatoria che ha luogo più volte al giorno presso il sito originario dell’evento, l’O.K. Corral in Fremont Street. Non aspettatevi niente di speciale, è il solito spettacolo per turisti tra il serio e il faceto, di cui capirete ben poco a causa dello slang stretto e velocissimo tipico del south-west. Ma come farsi mancare la classica foto finale con Doc Holliday e i fratelli Earp? Poi con lo stesso biglietto potrete visitare il vicino Historama Theater e il Tombstone Epitaph, la sede del giornale che per primo pubblicò la notizia della sparatoria e che ora è un museo dove sono esposti i macchinari di stampa dell’epoca.

Ma ancor più interessante è una puntatina al Boothill Graveyard, il cimitero storico della città, che conserva le tombe dei fratelli Clanton e McLaury protagonisti della celebre sparatoria, oltre a quelle di altri defunti più o meno noti. La cosa buffa, nella sua tragicità, sono le iscrizioni su molte delle lapidi: “Murdered”, “Killed”, “Lynched”, “Suicide”, fino all’incredibile “Hanged by mistake”! Insomma, sembra che in questa città quasi nessuno sia morto di morte naturale, il che la dice lunga sul clima dell’epoca!

Nel pomeriggio ci spostiamo nel sud-est dell’Arizona verso il Chiricahua National Monument. Il parco deve il nome alla tribù di indiani che originariamente lo popolavano, i Chiricahua Apache, il cui capo fu il celeberrimo Geronimo. È un parco di nicchia frequentato pochissimo, essendo decisamente “off the beaten path” rispetto ai classici itinerari del turismo di massa. Quando poi ci arriviamo il tempo si è decisamente guastato (primo assaggio del clima monsonico del sud-ovest americano), per cui lo abbiamo praticamente tutto per noi, fatta eccezione per qualche temerario che come noi si avventura sotto la pioggia.

Il parco è caratterizzato da rocce di riolite di colore scuro frutto dell’attività vulcanica, che gli agenti atmosferici hanno eroso fino a formare degli strani pinnacoli in costante equilibrio precario. Sono gli hoodoos e i balanced rocks, lontani parenti di quelli del Bryce Canyon e di altri parchi dello Utah, seppur senza i loro magnifici colori accesi. C’è uno scenic drive di 13 km da percorrere in auto, il Bonita Canyon Drive, che si snoda fra la vegetazione rigogliosa e gli strani pinnacoli, e lungo il quale con un po’ di fortuna si può avvistare qualche animale selvatico. Poi ci sono diversi trail da percorrere fra gli hoodoos. La nostra intenzione era di fare l’Echo Canyon Loop di 5 km, ma comincia a piovere sempre di più, la temperatura si abbassa drasticamente e poco dopo siamo costretti a riprendere l’auto. Peccato, in una giornata di sole il parco sarebbe stato proprio bello. Passiamo la notte in un motel nella vicina Willcox, sperando che l’indomani il tempo migliori.

10 agosto: Gila Cliff Dwellings – Las Cruces

Oggi sveglia alle 5,30, sigh! Sì perché ci aspettano almeno 4 ore di strada per raggiungere la nostra prossima meta, di cui buona parte in zone impervie di montagna. E dobbiamo tener conto anche dell’ora di fuso che perderemo passando dall’Arizona al New Mexico. Ma eccoci finalmente al confine, collezionando così il decimo stato dei nostri tour negli States. Ovviamente foto di rito davanti all’insegna “Welcome to New Mexico The Land of Enchantment”: con un nome così evocativo non possiamo che avere grandi aspettative!

Abbandonata l’Interstate e raggiunta la città di Silver City, da qui inizia il tratto più lungo e impegnativo: sono solo 45 miglia, ma con le strade impervie e tortuose di montagna e i rigidi limiti di velocità impiegheremo circa 2 ore. I panorami però sono stupendi: folte foreste, animali selvatici, ripide pareti di scura roccia lavica. Insomma, a guardar fuori dal finestrino non ci si annoia. La meta del nostro viaggio è il Gila Cliff Dwellings National Monument, importante sito archeologico solcato dal Gila River che ospita le antiche abitazioni rupestri del popolo dei Mogollon, vissuto qui circa 700 anni fa in anfratti delle pareti rocciose. Abbiamo già visto qualcosa di simile a Mesa Verde in Colorado, anche se non c’è paragone con quel sito patrimonio UNESCO, molto più esteso, strutturalmente articolato e ben conservato. Anche queste rovine però hanno il loro fascino, per cui vale la pena percorrere il breve trail di un miglio che fra ponticelli sul Gila River e arrampicate sulle immancabili scale a pioli ci farà conoscere da vicino queste abitazioni.

Ad accoglierci all’imbocco del sentiero c’è un’attempata ma simpatica ranger che come al solito ci riempie di raccomandazioni: non toccare le rocce, non sedersi sulle rovine, non portare via nulla, ma soprattutto: essere in perfetta salute e portare con sé tanta acqua. Aridaje… Sì perché il percorso è ripido e siamo a un’altitudine elevata (e capirai, 2000 m, i soliti scrupoli degli americani…). Ma dico io, è solo un miglio e fra l’altro il cielo è coperto e sta per piovere! Ovviamente noi l’acqua non l’abbiamo (figurati se mi porto dietro un gallone per fare un km e mezzo) e così cerchiamo di convincere la ranger che non ne abbiamo bisogno, che siamo degli esperti montanari e degli hikers allenati. “Do you know the Dolomites?” No, non credo le conosca, comunque si convince, ci dà una brochure e ci lascia andare.

Il percorso in effetti è ripido nella parte iniziale ma è breve, e in un’oretta riusciamo a completare il loop prima che inizi a piovere sul serio. A questo punto ne approfittiamo per la pausa pranzo al Visitor Center, dove ci incuriosisce uno strano “abbeveratoio” appeso in alto intorno al quale ronzano… api? No, troppo grandi. Sono colibrì! Attirati vicino al Visitor Center da una soluzione zuccherina a beneficio dei turisti. Carini!

Ma intanto non vuol smettere di piovere e siccome qui non è rimasto molto altro da fare, decidiamo di riprendere l’auto in direzione Las Cruces, dove alloggeremo stasera. Durante il tragitto però ci concediamo una passeggiata a Silver City, graziosa cittadina in stile western che merita senz’altro una sosta. Da qui dobbiamo percorrere altre due ore di strada per raggiungere Las Cruces, ma ad un certo punto paesaggio e clima cambiano radicalmente. Niente più pioggia ma un sole da spaccare le pietre, mentre la temperatura comincia a salire, salire, salire. E al posto della rigogliosa vegetazione distese desolate a perdita d’occhio. Ma siamo sempre nello stesso stato? Eh sì, questa è la zona dei deserti, che sono poi la parte preponderante del New Mexico, ci faremo presto l’abitudine.

Quando arriviamo al motel a Las Cruces sono solo le 5,00 del pomeriggio e fa ancora un caldo infernale. Il nostro primo pensiero è andare a controllare se c’è la piscina. Sììì!!! Ne approfittiamo subito per un’oretta di relax, unica volta che ci riuscirà di farlo nell’intera vacanza. La serata la trascorriamo nel primo di una lunga serie di ristoranti messicani, immancabili in queste zone di confine e un piacevole diversivo ai soliti indigesti fast food americani. Non che questa sia una cucina leggera, anzi: ci portano due piatti stracolmi da far paura che nessuno dei due riuscirà a finire, mentre litri di acqua non riescono a spegnere l’incendio dei quintali di peperoncino piccante. Si prospetta una notte difficile…

11 agosto: El Paso – White Sands – Alamogordo

La notte per fortuna passa indenne, almeno per quel che ci ricordiamo, perché come ogni sera stramazziamo distrutti sul letto già alle 9,00… L’indomani ci aspetta una dura giornata nel deserto. Ma siccome da Las Cruces a White Sands il tragitto è breve, perché non infilarci una piccola deviazione verso El Paso? Così vediamo finalmente questo famigerato confine con il Messico (ci sarà il muro?!) e facciamo anche un piccolo sconfinamento in un nuovo stato, il Texas. A proposito, il Texas non ha sul confine la solita insegna ma un bel monumento in pietra marrone con in cima un’enorme stella tridimensionale. Sì perché il Texas è “The Lone Star State”, a rievocare il tempo in cui era una repubblica indipendente. Altra curiosità, qui come in New Mexico: i viadotti delle Interstate tutti dipinti e decorati con figure geometriche o motivi indiani. Davvero originali.

El Paso dista solo una cinquantina di miglia da Las Cruces e trovandosi in un angolo estremo del Texas che si incunea nel New Mexico non cambia nemmeno il fuso orario, che rimane quindi un’ora indietro rispetto al resto del Texas. El Paso ci incuriosiva per il fatto di essere una città di frontiera divisa in due dal Rio Grande, come se ne trovano spesso sul confine fra USA e Messico: El Paso negli States e dall’altra parte la famigerata Ciudad Juàrez, considerata una delle città più pericolose al mondo. E il caso vuole che solo qualche giorno prima del nostro arrivo ci sia quella tragica sparatoria al Walmart con una ventina di morti e altrettanti feriti. Insomma, non è che siamo tanto tranquilli, ma ci diciamo: per la statistica, se è appena successo non può già succedere di nuovo. O almeno speriamo… Invece El Paso ci accoglie come una metropoli di cultura prevalentemente ispanica certamente grande e movimentata, ma assolutamente ben tenuta, ordinata, piacevole da visitare e costantemente protetta dalla forze dell’ordine. E pare non sia un caso dovuto alla necessità del momento, ma che rientri nelle normali abitudini. Niente vagabondi e senzatetto per strada, nessuna traccia di degrado o povertà, insomma l’impressione è quella di una città sicura.

Downtown in realtà non ha da offrire grandi monumenti storici, ma è piacevole passeggiare per la centrale El Paso Street, la Union Plaza o la San Jacinto Plaza, e ammirare qualche bella chiesa antica come la St. Patrick Cathedral o la St. Clement Church. Ma l’attrazione più originale è forse il Chamizal National Memorial, un parco-memoriale situato proprio sul confine, che celebra la pacifica risoluzione nel 1963 di una disputa durata un secolo sui confini fra USA e Messico. Oltre al museo del centro culturale gestito dall’NPS, quel che balza agli occhi sono i coloratissimi murales che raffigurano la fusione delle culture americana e ispanica. Rimaniamo invece un po’ delusi dal fatto di non poterci avvicinare al Rio Grande e al muro di confine con il Messico, che in realtà non è un vero e proprio muro ma una barriera metallica. C’è però un modo per vedere il panorama della città dall’alto, ed è quello di percorrere lo scenic drive che salendo sulle colline circostanti permette di raggiungere un piccolo parco con un overlook. Questa dev’essere anche la zona residenziale della città, perché ci sono delle villone megagalattiche che assomigliano un po’ a quelle di Bel Air a Los Angeles. Insomma, El Paso non è per nulla una città malfamata, anzi!

A questo punto non ci resta che tornare a Las Cruces per dedicare il pomeriggio all’attrazione principale: White Sands. Si tratta di un enorme deserto di 710 kmq veramente particolare perché caratterizzato da dune bianchissime e abbaglianti che gli conferiscono un aspetto surreale. A renderlo tale è il fatto che quella che sembra sabbia in realtà è candido e finissimo gesso. Ma il gesso in teoria dovrebbe essere solubile in acqua. Perché non viene portato via dalle piogge? Perché questo deserto si trova nel bel mezzo del Tularosa Basin che è una conca endoreica, cioè un bacino acquifero senza emissari: l’acqua piovana vi si raccoglie ma non ne può defluire e i depositi di gesso rimangono così intrappolati, mentre poi l’azione del vento e del sole li fa cristallizzare formando delle enormi dune continuamente modellate dai venti.

Altra particolarità è che questo deserto è anche zona militare, essendo occupato su tutto il perimetro dal White Sands Missile Range, un’enorme area desertica disseminata di basi militari e adibita a test missilistici e di nuove tecnologie spaziali. Nei giorni di test l’accesso all’intera area è interdetto e perfino le Interstate circostanti vengono chiuse al traffico. Per questo qualche giorno prima della visita è bene controllare sul sito dell’NPS se sono previste chiusure, anche se in genere i test si svolgono le prime ore del mattino e hanno breve durata. Il White Sands Missile Range è anche tristemente noto perché qui Oppenheimer e altri illustri fisici testarono e fecero esplodere la prima bomba atomica il 16 luglio 1945. Il luogo dell’esplosione, il Trinity Site, si trova nella parte nord di White Sands e non è accessibile al pubblico se non due volte all’anno, il primo sabato di aprile e di ottobre, rigorosamente accompagnati dalle guide. Ci risparmiamo quindi il viaggio dato che non riusciremmo a vedere nulla. Possiamo però tentare di visitare il White Sands Missile Range Museum & Missile Park, nella parte sud di White Sands, in attesa delle ore più “fresche” del tardo pomeriggio da dedicare alla riserva naturale vera e propria.

Sfortuna vuole che oggi sia domenica e quindi teoricamente giorno di chiusura. Ma noi decidiamo di provarci lo stesso. Se anche non potremo entrare magari riusciremo a vedere qualcosa dall’esterno. E infatti arrivati al gate ci viene detto che i turisti non possono entrare, l’accesso è consentito solo ai militari. Ce lo aspettavamo, pazienza. Facciamo dietro-front e parcheggiamo nell’area adiacente all’ingresso. Almeno qualche foto ce la concederanno. Ma niente da fare, la militare di guardia al gate si avvicina dicendoci che non si può fotografare. Va be’, a questo punto risaliamo in macchina e navigatore alla mano cerchiamo di capire come arrivare al White Sands National Monument, la riserva naturale protetta. E mentre siamo lì che cerchiamo arriva una pattuglia della polizia. Ecco, adesso ci arrestano. Sempre a metterci nei guai noi, eh? Il poliziotto ci chiede la fotocamera per controllare se abbiamo delle foto. Sì, certo, ma le avevamo fatte prima che ci dicessero che non si poteva. Niente da fare, dobbiamo cancellarle tutte, il sito è zona militare e non si possono fare foto. Ma se Internet ne è piena! Insomma non c’è verso, ci fanno cancellare tutte le foto e ci intimano di andarcene, a meno che non vogliamo entrare a visitare il parco missilistico. Ma come? La tipa alla guardiola ci ha appena detto che non si può! Mettetevi d’accordo!

Alla fine riusciremo a entrare presentando il passaporto e ricevendo in cambio un permesso d’ingresso. Lo terremo come ricordo dell’ennesima volta in cui abbiamo rischiato l’arresto negli USA! Ho idea che la prossima volta l’ESTA non ce lo rilasciano! Ha ha! All’interno il museo è chiuso, essendo domenica, ma si può visitare il parco missilistico esterno dove sono esposti una cinquantina di esemplari fra missili, razzi spaziali e droni, dei veri e propri cimeli di ingegneria missilistica e aerospaziale che hanno fatto la storia, fra cui anche una piccola (tragica) curiosità: l’involucro che conteneva “Fat Man”, la bomba atomica caduta su Nagasaki il 9 agosto 1945.

La seconda parte del pomeriggio la trascorriamo al White Sands National Monument, la riserva naturale creata dall’NPS per preservare almeno parte del deserto di gesso più grande del mondo. Attenzione: anche qui c’è un posto di blocco prima dell’ingresso, quindi tenete a portata di mano il passaporto. All’interno del parco la prima cosa da fare (oltre alla scorta d’acqua) è percorrere lo scenic drive di 25 km, il Dunes Drive che, inizialmente asfaltato, poi diventa uno strato di gesso compatto assolutamente percorribile anche senza 4×4. Ma la cosa più assurda è quel che si trova una volta arrivati in fondo allo scenic drive: un’enorme area di sosta con tavoli da picnic ombreggiati e perfino l’attrezzatura per il barbecue, in mezzo al deserto! Una cosa surreale che solo gli americani si possono inventare.

Lungo lo scenic drive ci sono diverse aree di sosta, overlook e trailhead, fra cui vale sicuramente la pena percorrere almeno i più brevi, il Playa Trail, il Dune Life Nature Trail e l’Interdune Boardwalk, quest’ultimo su una passerella sopraelevata. Il riverbero abbagliante delle dune di gesso, i giochi di luce, il vento che sibila e spazza le dune creano un’atmosferica magica e una sensazione di pace immensa. Attenzione però a non abbandonare i sentieri e a non allontanarsi troppo dalla strada principale: è pur sempre un deserto e il pericolo di perdere l’orientamento è reale. Le temperature d’estate raggiungono tranquillamente i 38-40°C ma quasi non ce ne accorgiamo. E poi il piacere di togliersi le scarpe e camminare a piedi nudi sulle dune di gesso non ha eguali. Ehi! Ma sono fresche! Sì ma stiamo attenti agli scorpioni però, non si sa mai… E se trovate qualche strano oggetto metallico non cedete alla tentazione di raccoglierlo: potrebbero essere detriti dei test missilistici di cui sopra! C’è anche chi si diverte a scivolare giù per le dune seduti su dei dischi di plastica che si acquistano al Visitor Center. Be’, se volete provate pure, ma resterete delusi: sul gesso non si scivola!

Intanto si avvicina l’ora del tramonto e a questo punto il must è l’appuntamento presso la Sunset Stroll Meeting Area per una passeggiata serale con i ranger, alla ricerca dei piccoli insetti che sbucano fuori al calar della sera, ammirando i giochi di luce degli ultimi raggi di sole che incendiano di arancio le candide dune di gesso. Quando infine raggiungiamo il nostro motel nella vicina Alamogordo è già buio pesto.

 

 

 

12 agosto: Lincoln National Forest – Carlsbad Caverns – Carlsbad

Abbandonati gli aridi deserti ci dirigiamo attraverso le montagne verso la nostra prossima meta. La vegetazione si fa sempre più folta man mano che saliamo di quota: stiamo attraversando la Lincoln National Forest, mentre del deserto di White Sands alle nostre spalle non rimane che una lunga striscia bianca luccicante all’orizzonte in contrasto con il verde scuro delle colline.

Ad un certo punto il paesaggio cambia radicalmente e il piatto panorama desertico del New Mexico torna protagonista. Purtroppo non ci faremo mai l’abitudine, memori degli scenic drive degli anni scorsi fra le rocce variopinte dello Utah, le verdissime colline del “Colorful Colorado” o il tripudio di fauna selvatica del Wyoming. Qui è tutto un po’ più piatto e monotono e l’on the road è meno entusiasmante, richiedendo molta più attenzione alla guida e qualche sosta in più per scongiurare l’abbiocco sempre in agguato. Ma il New Mexico ha altre attrazioni: ecco qua ad esempio distese a perdita d’occhio di pozzi petroliferi. Sì perché ci stiamo avvicinando a Carlsbad, che è una zona estrattiva sfruttata in modo sempre più intensivo negli ultimi anni, tanto che trovare alloggio (e ad un prezzo ragionevole) non è problema da poco. Tutti gli hotel e gli appartamenti sono monopolizzati dalle compagnie petrolifere, quel poco che si trova è caro e di bassa qualità.

Oggi il programma prevede di trascorrere l’intera giornata al Carlsbad Caverns National Park, cioè nientemeno che il complesso di grotte più esteso del Nordamerica, con circa 120 cavità distribuite su 189 kmq, di cui però solo poche sono accessibili. La caverna principale che dà il nome al parco, la Carlsbad Cavern, è un insieme di grotte lungo 48 km ed è l’unica liberamente visitabile dai turisti, seppur in minima parte. Altre grotte come la Slaughter Canyon Cave o la Spider Cave sono accessibili con degli adventure tours guidati piuttosto impegnativi, che richiedono a volte di strisciare fra gli stretti budelli sotterranei armati di torcia frontale come dei veri speleologi.

All’interno della Carlsbad Cavern si possono fare due self-guided tours, il Natural Entrance Trail e il Big Room Trail, ognuno lungo circa 2 km e con un tempo di percorrenza di 1-1,5 ore. Ma non contenti noi ci abbiamo infilato anche un ranger-guided tour a pagamento, il King’s Palace Tour delle 13,30, e quando arriviamo sono già le 11,00, dobbiamo sbrigarci! Andiamo subito alla cassa a ritirare il biglietto che avevamo prenotato qualche giorno prima sul sito del parco. Si può anche acquistarlo direttamente in loco ma il tour è a numero chiuso e di solito c’è il tutto esaurito. Il sito dell’NPS richiede imperativamente calzature adeguate, pena il divieto d’ingresso alle grotte. Ora non dico di portarvi le scarpe da trekking, ma delle scarpe da tennis sì. Evitate almeno sandali o infradito se non volete ritrovarvi con il sedere per terra: là sotto è decisamente umido e piuttosto buio.

A questo punto abbiamo circa due ore prima del tour guidato, giusto il tempo di fare il Natural Entrance Trail, che parte dall’ingresso principale delle grotte (il Natural Entrance, cioè l’apertura verso l’esterno da cui sono entrati i primi esploratori) e scende per circa un km lungo un ripido sentiero sinuoso fra stalattiti e stalagmiti. La domanda nasce spontanea: dovremo poi anche risalire? Per fortuna no, arrivati in fondo alla grotta si può comodamente risalire con l’ascensore. E come nelle migliori tradizioni degli americani, dopo che i ranger ci hanno fatto un pipozzo di un quarto d’ora sul “non toccare di qua” e “non appoggiarsi di là” e “non mangiare o bere” e perfino quasi “non respirare!” per non danneggiare le formazioni rocciose, quando arrivi in fondo che ci trovi? Bar, ristoranti, tavoli, sedie… il tutto su una bella superficie cementificata. No comment.

Il Natural Entrance Trail non ci impressiona più di tanto. Il tour guidato che abbiamo scelto invece (il King’s Palace Tour) è più spettacolare perché scende più in profondità nelle grotte, portando i visitatori ad ammirare enormi camere sontuosamente decorate che per motivi di conservazione non sono accessibili con i self-guided tours. E questo mi fa pensare che in Italia che io sappia tutte le grotte richiedono visite guidate, il che è senz’altro il modo migliore per preservarle. Due note negative a proposito del ranger-guided tour. Primo: si sta là sotto un paio d’ore e fa piuttosto freschino (mi pare ci siano 13°C costanti tutto l’anno), quindi portatevi una felpa se non volete buscarvi un raffreddore. Secondo: se vi interessano le spiegazioni dei ranger, auguri. Parlano velocissimo e con accento incomprensibile e non hanno alcuna pietà per quei poveri (e pochi) turisti stranieri che hanno il coraggio di avventurarsi fin là. Quindi rassegnatevi: non capirete quasi niente.

A questo punto ne avremmo abbastanza di stalattiti e stalagmiti, anche perché, diciamocelo, saranno pure le grotte più grandi del Nordamerica ma quanto a spettacolarità le più piccole grotte “nostrane” come Frasassi, Castellana o Postumia non hanno nulla da invidiargli. Ma siccome siamo qui e dobbiamo starci fino al tramonto (poi vedrete perché), tanto vale che ci facciamo anche l’ultimo self-guided tour, il Big Room Trail. Dimenticavo: solo il Natural Entrance Trail è accessibile dall’esterno, per tutti gli altri occorre entrare nel Visitor Center e scendere con l’ascensore a 750 piedi di profondità (circa 230 m), fino a raggiungere la “zona ristorante” per intenderci. Da qui partono i ranger-guided tours e anche il Big Room Trail. Terminato il tour, dopo quasi 6 ore nel sottosuolo non vediamo l’ora di uscire in superficie a “scongelarci” al tepore del sole. Tepore si fa per dire… fuori ci sono 35°C e dopo solo dieci minuti quasi rimpiangiamo il refrigerio delle grotte.

Ma intanto fra una boccata d’aria, una visita al museo e uno spuntino arriva l’ora del tramonto e a questo punto non possiamo perderci lo spettacolo serale: i pipistrelli! Le grotte ne ospitano 17 specie diverse. Nessuno conosce il numero preciso, ma si tratta di svariate centinaia di migliaia di esemplari. L’appuntamento serale con i pipistrelli è intorno alle 19,00 nell’anfiteatro davanti alla Natural Entrance, dove i turisti aspettano pazienti in religioso silenzio: il rumore infatti disturba i pipistrelli che potrebbero non uscire dalla grotta. Ad un certo punto, come ad un muto segnale prestabilito, una nuvola nera interminabile di volatili esce dalla cavità e si alza in cielo contro il rosso del tramonto. Un momento magico a cui si aggiunge addirittura una coppia di cervi che sbucano dalla boscaglia e lentamente sfilano via di fianco all’anfiteatro. La scia di pipistrelli sembra non finire mai, lo spettacolo dura ben 45 minuti e quando ce ne andiamo ormai è buio. Attenzione! Foto e video sono severamente vietati per non disturbare i volatili. Quindi non provate a fare i furbi con il telefonino se volete risparmiarvi una figuraccia: i ranger non scherzano!

13 agosto: Lincoln – Billy the Kid Scenic Byway – Roswell

Il mattino dopo ripartiamo dal nostro motel di Carlsbad in direzione di Lincoln. A dir la verità la giornata doveva essere dedicata alla visita di Roswell, ma raccolta qualche informazione in rete ci rendiamo conto che con gli UFO ce la sbrigheremo presto, e d’altra parte sarebbe impensabile cercare di raggiungere la prossima tappa in giornata perché le distanze fra un’attrazione e l’altra in New Mexico sono enormi. Quindi ci serve un riempitivo. Che fare?

Guarda caso scopriamo che nei paraggi ci ha vissuto un famigerato fuorilegge dell’Old Wild West: Henry McCarty, alias Billy the Kid. Sì, proprio quello dei fumetti e dei film western. Questo personaggio già da giovanissimo si era distinto per non essere proprio uno stinco di santo, ma la sua notorietà è dovuta soprattutto al ruolo avuto nella cosiddetta Guerra della Contea di Lincoln, una disputa fra mercanti di bestiame per il monopolio dell’attività avvenuta intorno al 1880. E siccome le dispute a quei tempi di solito si regolavano con la pistola, ad un certo punto ovviamente ci scappò il morto, cioè uno dei mercanti di bestiame delle due fazioni in lotta. La conseguenza fu che i suoi dipendenti, fra cui anche McCarty alias Billy the Kid, si unirono in un gruppo chiamato i “Regolatori”, che come si capisce già dal nome avevano intenzioni tutt’altro che pacifiche. La loro spedizione punitiva imperversò per mesi nella zona fino a culminare nella Battaglia di Lincoln, uno scontro a fuoco tra banditi e forze dell’ordine durato ben quattro giorni. McCarty però ne uscì vivo e riuscì a scappare; la sua latitanza ebbe fine solo quando sulla sua strada incontrò un altro personaggio leggendario, lo sceriffo Pat Garrett. Dopo mesi di inseguimenti, l’arresto, la prigionia e un’evasione, Billy the Kid fu assassinato a Fort Sumner nel 1881 dove ancor oggi si trova la sua tomba.

E questa è la storia, divenuta poi leggenda. Ma oltre ai film western e ai fumetti, a rievocare il fuorilegge e i luoghi in cui è vissuto in New Mexico si sono inventati un vero e proprio scenic drive, il Billy the Kid Scenic Byway che parte dalla città di Lincoln e, attraversando la Lincoln National Forest, tocca le seguenti tappe: Fort Stanton, Capitan, Alto, Ruidoso, Ruidoso Downs, Hondo, San Patricio. Il giro panoramico di ben 84 miglia ci impegna la mattina, tra foreste, colline, siti storici, ranch e allevamenti di bestiame, mentre per il pomeriggio abbiamo in programma qualcosa di molto più emozionante: andiamo a caccia di alieni!

“Greetings from Roswell” ci accoglie un coloratissimo cartello-cartolina gigante disseminato di omini verdi, mentre poco più in là fa bella mostra di sè il Roswell Visitors Center. Ma ho visto bene? “Visitors” con la “s”? Saranno mica per caso quei “visitors” là?! Eh sì, perché nei pressi della cittadina di Roswell nel 1947 pare si sia schiantato un “oggetto volante non identificato”. O almeno così lo definì il primo comunicato stampa della base aerea di Roswell, salvo poi smentire l’accaduto affermando che si trattava solo di un “pallone sonda”. Peccato che alcuni testimoni, per non parlare del proprietario del ranch in cui vennero ritrovati i resti, sostenessero proprio la prima versione dell'”incidente UFO”, anzi nei giorni successivi circolarono persino voci per cui erano stati trovati dei corpi nel velivolo schiantato che non avevano per niente sembianze umane, e che quei resti furono trasportati in tutta segretezza alla base militare del Nevada nota come Area 51 (altro ricordo del nostro primo tour del 2015).

Insomma, l’accaduto fu gestito dalle autorità in modo talmente ambiguo e contraddittorio che invece di tranquillizzare la popolazione destò ancor più sospetti, alimentando la convinzione generale che il governo avesse qualcosa di sensazionale da nascondere. Da quel momento Roswell, da tranquilla cittadina sconosciuta sperduta nel deserto del New Mexico, è divenuta meta di interesse pseudoscientifico per gli appassionati ufologi, folcloristico per il turista disincantato, a seconda di quale sia la verità a cui si preferisce credere. Certo è che questo alone di mistero che persiste ancor oggi non può che far piacere alla città di Roswell, che praticamente vive del richiamo turistico generato da quell’evento e ne ha fatto un vero e proprio business. Ecco quindi che per le strade siamo circondati da omini verdi a grandezza d’uomo lungo i marciapiedi, sulle vetrine dei negozi o nei ristoranti, dischi volanti che troneggiano qua e là e perfino lampioni a forma di alieno. Per non parlare dei nomi dei negozi: Alien Zone, Alien Invasion, Galaxi Entertainment, fino ad arrivare all’attrazione top: l’International Ufo Museum & Research, un museo che raccoglie testimonianze, foto e reportage di quell'”incontro ravvicinato” e che tra il serio e il faceto racconta le diverse possibili verità.

Insomma, che dire di Roswell? Una goliardata e niente di più, un simpatico diversivo fra un’attrazione naturalistica e l’altra. Se poi gli alieni non vi appassionano nei dintorni della città ci sono un paio di parchi interessanti: la riserva naturale del Bitter Lake National Wildlife Refuge e il Bottomless Lakes State Park, una serie di laghi con profonde acque scure presso cui è possibile praticare diverse attività sportive. Noi ci facciamo una puntatina a conclusione della giornata, prima che il solito acquazzone pomeridiano ci faccia scappare in motel. Ah, questo clima monsonico…

 

 

14 agosto: Palo Duro Canyon – Cadillac Ranch – Amarillo

Miglia e miglia di strade solitarie in mezzo al deserto: come lo abbiamo trovato, così lasciamo il New Mexico meridionale per rientrare nuovamente in Texas. Anche questo stato non è che sia popolatissimo, eh, però qui almeno al posto del deserto ci troviamo distese verdi di coltivazioni e allevamenti di bestiame, pale eoliche a perdita d’occhio, pompe eoliche, cioè quella specie di mulini a vento per estrarre l’acqua dal sottosuolo, ma soprattutto… ranch stratosferici! Sì, proprio quelli con il cancello d’ingresso sulla strada con la classica insegna con le corna, come si vede nei film. Insomma siamo nel più iconico ovest americano, manca solo di veder spuntare J.R. di Dallas in groppa al cavallo con il cappello da cowboy. La cosa incredibile è che puoi percorrere centinaia di chilometri senza incontrare un paese, un’auto, un essere umano. E soprattutto senza trovare un distributore di benzina!! Poi all’improvviso vedi sul ciglio della strada un ufficio postale, in mezzo al nulla. E pensi: ma a che serve? Finché più in là non scorgi un ranch megagalattico e capisci che quell’ufficio postale deve servire una sola famiglia! Proprio un altro mondo.

Ma il Texas non è solo mandrie di mucche e cowboy. Il secondo stato degli USA per estensione dopo l’Alaska ha anch’esso le sue meraviglie naturalistiche e noi oggi andiamo a scoprirne una: Palo Duro Canyon State Park, nei pressi di Amarillo. Eh sì, anche il Texas ha il suo canyon e devo dire che ha ben poco da invidiare a quelli più famosi dell’Arizona, anzi se volete è un piccolo antipasto. Da qui in avanti infatti inizieranno gli stupefacenti parchi di roccia rossa che domineranno la seconda parte del nostro tour in un crescendo di emozioni. Il “Grand Canyon of Texas”, com’è chiamato Palo Duro, è il secondo canyon degli Stati Uniti per estensione dopo il più famoso fratello maggiore dell’Arizona. Lungo 120 miglia e profondo fino a 800 piedi, il canyon ha iniziato a formarsi circa un milione di anni fa dall’erosione del Red River. Originariamente popolato dalle tribù dei Kiowa, Comanche, Apache e Cheyenne, nel 1874-75 fu teatro di sanguinose battaglie fra le popolazioni native e l’esercito americano in quella che viene ricordata come The Red River War, i cui superstiti, privati di cibo e cavalli, furono costretti alla fuga verso le riserve dell’Oklahoma.

Il canyon è un parco statale e quindi escluso dal pass dell’NPS (ingresso 5.00$ a persona). È percorso da uno scenic drive di 25 km e da diversi trail, il più famoso dei quali è il Lighthouse Trail di 9 km (roundtrip) che conduce ad un’iconica formazione rocciosa: il faro (Lighthouse) di roccia color rosso acceso simbolo del parco. Siccome il trail è abbastanza lunghetto, decidiamo di percorrere subito tutto lo scenic drive per dedicare l’intero pomeriggio al trekking. Il percorso è quasi tutto pianeggiante tranne un ultimo breve tratto in salita, solo che quando partiamo sono le 2,00 del pomeriggio e il sentiero è totalmente esposto ai raggi del sole. Le rare nuvole di passaggio sono una benedizione e quasi quasi c’è da augurarsi che sopraggiunga uno di quei temporali lampo tipici del clima monsonico, non fosse per i cartelli disseminati in giro che mettono in guardia dal pericolo di flash flood. Eh, in effetti, siamo sempre in un canyon… Quando arriviamo in cima al rilievo di fronte al Lighthouse siamo arrostiti dal sole e madidi di sudore. Non so come faccia quel gruppetto di ragazzi americani che ad un certo punto incontriamo lungo il sentiero con i jeans e gli stivali da cowboy! Ma dico io, sti americani…

Il trail ci impegna tranquillamente 2-3 ore, dopo di che ci rimettiamo in viaggio verso la nostra prossima tappa: Amarillo, per la prima di innumerevoli incursioni sulla mitica Route 66, “The Mother Road”, come fu battezzata da John Steinbeck nel romanzo Furore. Nel periodo della Grande Depressione degli anni ’30, con il crollo di Wall Street e le tempeste di sabbia (Dust Bowl) che distrussero i raccolti e inaridirono i terreni, migliaia di famiglie di agricoltori del Midwest, ridotte sul lastrico, furono costrette ad una migrazione di massa verso la California in cerca di lavoro e di una nuova vita. La Route 66 rappresentò allora la via di fuga per eccellenza, la strada della speranza, il “sogno americano”. In seguito, con l’avvento delle moderne highway e Interstate, la Route 66 è stata progressivamente abbandonata, benché ne sopravvivano ancor oggi alcuni tratti, più o meno lunghi e ben conservati, sotto il nome di Old Route 66 o Historic Route 66.

Percorrere la Route 66 è un’esperienza unica: significa fare un salto indietro nel tempo fra desolate ghost town, trading post e drive-in anni ’50, vecchie gas station e motel old-fashioned divenuti poi musei. Da Chicago a Los Angeles si snoda per 2448 miglia attraversando ben 8 stati: Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, New Mexico, Arizona e California. Se volete percorrerla dovete però tener presente una cosa: la Route 66 è stata rimossa ufficialmente dagli stradari ufficiali nel 1985 e perciò non è sempre facile seguirla. In alcuni stati non è nemmeno segnalata e nessun navigatore vi aiuterà a percorrerla, l’unico strumento utile sono le mappe cartacee che si possono anche scaricare da alcuni siti specializzati. Non solo, in alcuni punti la strada si biforca o addirittura si interrompe del tutto, quindi non è raro trovarsi improvvisamente in mezzo a un campo e dover fare retromarcia per cercare una via alternativa. È anche questo uno dei motivi per cui abbiamo abbandonato l’idea di percorrerla integralmente, limitandoci a qualche “incursione” per visitare le principali “roadside attractions”, come vengono chiamate le attrazioni più singolari lungo il percorso.

La prima che incontriamo nei pressi di Amarillo è il Cadillac Ranch, una delle attrazioni più famose e visitate della Mother Road, tanto che perfino il “Boss” Bruce Springsteen le ha dedicato una celebre canzone divenuta uno dei simboli dell’americanità. La bizzarra attrazione è ben visibile già dall’Interstate: dieci Cadillac coloratissime piantate a muso in giù nel terreno in posizione inclinata. Un’altra delle solite americanate, viene da pensare. E invece a dispetto delle apparenze si tratta di una vera e propria opera d’arte, ideata nei primi anni ’70 da un gruppo di architetti hippie di San Francisco noti come Ant Farm e finanziata nientemeno che da un miliardario di Amarillo. Questi originali artisti fecero bruciare dieci Cadillac per metà lasciando intatta solo la parte posteriore e le interrarono seguendo l’ordine cronologico della loro data di produzione, disponendole in fila indiana inclinate verso ovest come la Grande Piramide di Giza. Dei veri pazzi insomma. Ma non è finita qui, perché ogni turista che visita l’attrazione può dare il proprio contributo artistico con delle bombolette di vernice spray, così da renderla un’opera in continuo divenire. E allora corriamo anche noi a mettere i nostri graffiti sulla nostra Cadillac preferita! Ma dobbiamo sbrigarci a immortalarla perché di lì a poco la nostra opera d’arte sparirà, coperta dai graffiti del prossimo hippie di passaggio.

Dal Cadillac Ranch in poi inizia la parte più turistica e affollata del nostro tour. La prima parte del viaggio era infatti concentrata su attrazioni abbastanza di nicchia in zone remote e lontane dal turismo di massa, tanto che gli italiani erano praticamente assenti. Da qui in avanti invece non sarà così: la Route 66 è un must per il turismo internazionale ed è amatissima dagli italiani. Ce ne accorgiamo bene anche nella nostra prossima tappa: il Big Texan Steak Ranch di Amarillo, a poca distanza dal nostro motel. Come resistere alla tentazione di una cena in questo leggendario ristorante? Il locale non passa certo inosservato: una mucca gigante vi accoglie nel cortile d’ingresso, per non parlare delle auto d’epoca con corna gigantesche sul cofano disposte ad arte nel parcheggio. A parte l’ambientazione kitsch, i cimeli storici, le stravaganze, il pezzo forte del locale è la sfida che vi proporranno: ingurgitare una bistecca di 72 once (2 kg!) entro il tempo massimo di un’ora, senza alzarsi dal tavolo e senza aiuti esterni. Se si riesce nell’impresa la cena è gratis, se si perde bisogna pagarla per intero (72.00$!). Noi non ci proviamo neanche e ci accontentiamo di qualcosa di più “leggero”: sandwich e quesadillas. Da leccarsi i baffi!

15 agosto: Route 66 – Turquoise Trail – Santa Fe

Oggi sarà più che altro una giornata di trasferimento: ci aspetta un bel tappone di 530 km che sulla Interstate rischia di diventare un po’ noioso. Ma noi ci infileremo ogni tanto qualche piccola deviazione sulla Route 66 per visitare le maggiori attrazioni. Eccole qui:

  • Vega – Prima tappa alla Magnolia Gas Station, un vecchio distributore di benzina molto ben conservato, con la classica colonnina del carburante anni ’50, una bella bicicletta con un coloratissimo cestino di fiori davanti all’insegna e lo stemma della “Route 66 Texas” sull’asfalto. Dopo di che cerchiamo il Dot’s Mini Museum senza trovarlo. Entriamo allora in un altro museo della Route 66 di cui non ricordo il nome, in cui ci regalano una cartolina ricordo e ci invitano a mettere una puntina su una carta geografica gigante in corrispondenza del nostro paese. E guarda caso l’Italia è già affollatissima di puntine: lo sapevamo che gli italiani impazziscono per la Route 66!
  • Adrian – Tappa obbligata al Midpoint Café, proprio a metà della Route 66, a 1139 miglia da Chicago e da Los Angeles.
  • Glenrio – Spettrale ghost town che si trova sul vecchio tracciato sterrato della Old Route 66 sul confine fra Texas e New Mexico.
  • Tucumcari – Rientrati in New Mexico la prima tappa di un certo rilievo è Tucumcari, dove si trovano diverse roadside attractions in stile messicano-indiano: il Teepee Curios, un negozio di souvenir che ha per ingresso un’enorme tenda indiana; il Blue Swallow Motel, un motel d’epoca con una bellissima insegna colorata e una Pontiac parcheggiata davanti all’ingresso; La Cita, un ristorante messicano sormontato da un vistoso sombrero.
  • Santa Rosa – L’attrazione top è il Route 66 Auto Museum, immediatamente riconoscibile dall’auto gialla sospesa in alto sopra un palo, mentre altre auto d’epoca esposte nel cortile le fanno da cornice. Ehi! Ma c’è anche Cricchetto! Intorno a Santa Rosa ci sono poi diversi laghetti fra cui lo spettacolare Blue Hole… che però noi ci perdiamo. Pazienza, la strada è ancora lunga, non indugiamo oltre.

Dopo Santa Rosa la Route 66 si biforca: la diramazione verso nord sarebbe il percorso più breve per Santa Fe, ma noi invece proseguiamo fino all’imbocco di un altro scenic drive: è la NM-14 o Turquoise Trail National Scenic Byway, che con le sue 62 miglia collega Albuquerque a Santa Fe attraversando storiche cittadine minerarie rimaste quasi inalterate nel tempo come Cedar Crest, Golden, Madrid, Cerrillos. Lungo il percorso troverete botteghe di artigiani, negozi di souvenir, antiche abitazioni in legno con la classica sfilza di cassette della posta colorate sul ciglio della strada, vecchie locomotive arrugginite, musei delle antiche miniere di carbone. Sono zone ricche di storia, originariamente abitate dagli antichi pueblo, poi esplorate dai missionari spagnoli, occupate dalle truppe dei Confederati e attraversate da Kit Carson nella “Lunga Marcia” forzata del popolo Navajo verso la riserva di Fort Sumner. Insomma un interessante diversivo rispetto alla monotona Interstate.

Meta finale del nostro percorso è Santa Fe, l’affascinante e originalissima capitale del New Mexico. Dimenticate lo stereotipo delle grandi città americane: Santa Fe non ha nulla a che vedere con le classiche metropoli, gli svettanti grattacieli in cemento armato, il traffico caotico. “The city different”, com’è soprannominata Santa Fe, è una città piccolina, la quarta per dimensioni nel New Mexico con i suoi 80.000 abitanti circa, e il suo centro storico, l’Old Town, non solo è a misura d’uomo ma ha uno stile architettonico tutto suo, che richiama quello degli innumerevoli villaggi pueblo circostanti: è lo stile adobe, un mix di argilla, sabbia e paglia dal caldo colore arancio-rosato con il quale sono costruiti gli edifici alti al massimo 2-3 piani.

Quando arriviamo a downtown è già tardo pomeriggio, ma una passeggiata di un paio d’ore è già sufficiente per un primo assaggio del mix di culture (nativa, ispanica, anglosassone) e del caldo clima di accoglienza della città. Lungo le vivaci e colorate vie del centro in stile coloniale spagnolo si respirano i profumi tipici della cucina messicana con i suoi tacos e le sue tortillas, mentre dai porticati penzolano i caratteristici peperoncini rossi portafortuna. A Santa Fe Plaza si stanno già allestendo le bancarelle di artigianato locale del Santa Fe Indian Market che si terrà proprio questo fine settimana. Sfortuna vuole che noi ripartiremo proprio sabato… Non ci riesce nemmeno di visitare le belle chiese all’interno: tutte chiudono al massimo alle 17,00. Ci limitiamo a scattare qualche foto dall’esterno:

  • la Basilica of St. Francis of Assisi in stile romanico, con la statua di San Francesco nel piazzale d’ingresso e l’enorme rosone sulla facciata;
  • la Loretto Chapel in stile gotico, famosa perché all’interno di una cappella ospita un’antica scala a chiocciola in legno, originariamente costruita senza chiodi né corrimano: un mistero insomma, e infatti non a caso si chiama Miraculous Staircase; della scalinata originaria in realtà rimane solo una foto, perché nel tempo è stata dotata di sostegni e ringhiera per renderla più sicura;
  • la San Miguel Mission in stile adobe, costruita all’inizio del ‘600 nel Quartiere di Analco e considerata la chiesa più antica degli Stati Uniti continentali;
  • il Santuario de Guadalupe con la statua della Madonna alta 3 metri e mezzo nel piazzale antistante.

E dopo questo primo assaggio della città e una rapida cena in un fast food rientriamo in motel. Anche se non sembra siamo a 2000 metri e la sera fa decisamente freschino. In effetti sarà così per tre quarti del tour: forti escursioni termiche fra giorno e notte, con 13-15°C al mattino presto e alla sera e 35-38°C nelle ore più calde. Ma niente paura: abbigliamento “a cipolla” e via!

16 agosto: Taos Pueblo – Abiquiu – Ghost Ranch – Santa Fe

Chi ha visitato gli States almeno una volta sa che gli americani sono amanti degli scenic byways, quelle stupende strade panoramiche, magari più tortuose e lunghe delle Interstate, ma che regalano scorci suggestivi fra autentiche meraviglie naturalistiche. E per raggiungere la nostra meta di oggi ce ne sono addirittura due: la Low Road to Taos (NM-68) a nord, e la High Road to Taos (NM-503, NM-76, NM-518) più a sud. Gli aggettivi “low” e “high” si riferiscono all’elevazione: la Low Road attraversa la valle solcata dal Rio Grande; la High Road, un po’ più lunga e sinuosa, sale di quota attraverso le Sangre de Cristo Mountains offrendo suggestive vedute panoramiche. Se il tempo lo permette consigliamo di percorrerle entrambe, una all’andata e l’altra al ritorno. La High Road incrocia diversi villaggi indiani e antichi pueblo in stile adobe, ma anche tante piccole chiese, santuari e missioni cristiane. Fra le tappe che vale la pena di ricordare: Chimayo (Santuario), Cordova, Truchas, Las Trampas (San Jose de Garcia Church), Peñasco, Ranchos de Taos (San Francisco de Asis Church). Volendo ci si potrebbe passare l’intera giornata.

Noi però non abbiamo l’intera giornata, anzi dopo esserci quasi persi fra le montagne dobbiamo darci una mossa se vogliamo avere tempo a sufficienza per visitare la prossima attrazione: è Taos Pueblo, uno dei più noti e meglio conservati villaggi pueblo del New Mexico e l’unico ad essere stato inserito fra i siti patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. I Pueblo sono le popolazioni native che originariamente abitavano gli stati del sud-ovest americano prima dell’avvento dei conquistadores. Come le riserve indiane, hanno una forma di governo sostanzialmente autonoma che li rende uno stato nello stato, con regole e leggi proprie. Ve ne accorgerete subito dall’evidente proliferazione dei casinò, che spesso costituiscono la loro principale fonte di guadagno oltre al turismo, grazie ai vantaggi fiscali di cui godono rispetto a quelli sottoposti alla legislazione statunitense.

Il New Mexico ospita ancor oggi 19 villaggi pueblo, che nella stragrande maggioranza dei casi occupano territori di incomparabile bellezza, rendendoli meritevoli di una visita sia dal punto di vista culturale che paesaggistico. Se volete visitarne qualcuno è consigliabile consultare prima i loro siti web per avere informazioni su giorni di visita, chiusure per festività, tariffe e regolamenti. Sappiate che di solito le foto non sono consentite, a meno di acquistare l’apposito pass. Altra raccomandazione è quella di essere rispettosi dei luoghi e della privacy degli abitanti, di non entrare in siti preclusi ai turisti o salire le scale a pioli, di chiedere sempre il permesso prima di fare foto alle persone, insomma di usare sempre il buonsenso e l’educazione.

Taos Pueblo è accessibile pagando un ingresso di 16.00$ a testa ed è uno dei pochi villaggi pueblo in cui le foto sono permesse e gratuite. Non è nemmeno necessaria la guida ma si può visitare in autonomia. Il villaggio è veramente un bijoux, con i suoi edifici in adobe disposti in cerchio attorno ad un torrentello, straordinariamente ben conservati anche grazie alla manutenzione continua dei suoi abitanti. Attualmente vivono regolarmente all’interno del villaggio circa 150 persone. La principale fonte di sostentamento è ovviamente il turismo e in molti espongono bancarelle con manufatti e oggetti di artigianato locale, belli quanto esageratamente costosi. Per fortuna i venditori non sono eccessivamente insistenti e noi riusciamo a sgattaiolare via senza farci spennare.

Terminata la visita dovremmo completare la scenic byway percorrendo stavolta la Low Road (NM-68). Invece sbagliamo strada e deviamo verso nord, trovandoci dopo un po’ in mezzo al nulla, su una strada secondaria desolata dove non c’è anima viva, tranne un lama solitario che bruca fra la radura. Un lama?? Inchiodiamo e facciamo retromarcia, mentre un SUV che sopraggiunge ci strombazza dietro infuriato. Eh, mamma mia che permalosi sti americani! Comunque sì, pare proprio un lama, o un suo parente stretto. Ma che ci fa a queste latitudini?? Mah, non si finisce mai di imparare. Intanto il paesaggio si fa sempre più desertico, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro, tanto vale proseguire e da qualche parte sbucheremo. E infatti sbuchiamo al Rio Grande del Norte National Monument, scoprendo così per caso un’altra meraviglia: il Rio Grande Gorge Bridge, uno scenografico ponte che attraversa una profonda gola in cui scorre il Rio Grande. Che spettacolo! Ma cosa sono quei puntini colorati là in basso? Ah, dei gommoni che fanno rafting sulle rapide del fiume! Che spericolati! E mentre siamo lì sul ponte a goderci il panorama mi cade l’occhio su uno strano oggetto affisso alla ringhiera con una scritta inquietante: “Crisis hotline. There is hope, make the call”. Ha proprio l’aria di essere un dispositivo per le chiamate di emergenza! Si vede che lo strapiombo sul fiume ogni tanto fa venire strane idee in testa a qualche disperato…

Fra deviazioni e soste panoramiche è ormai passata l’ora di pranzo quando arriviamo alla nostra prossima meta: Abiquiu, una piccola cittadina piuttosto defilata che non avrebbe in sé nulla di particolare se non fosse per i panorami straordinariamente suggestivi che la circondano. Non a caso questi luoghi sono stati fonte di ispirazione per una famosa artista americana, la pittrice Georgia O’Keeffe, che trascorse in queste zone parte della sua vita. Uno dei siti più straordinari è il remoto Ghost Ranch, una struttura gestita dalla Chiesa Presbiteriana che, oltre ad essere un museo, ospita i turisti per una vacanza naturalistica e spirituale fra le meraviglie della natura, offrendo gite a cavallo, trekking guidati e molto altro.

E infatti il motivo per cui siamo qui oggi è che questo è il punto di partenza di alcuni trail stupendi fra le rocce variopinte, fra cui il più noto è il Chimney Rock Trail, un percorso di 5 km che conduce ad un’iconica formazione rocciosa color arancio vivo che ricorda appunto un grosso camino. Piccolo appunto: per accedere al Ghost Ranch bisognerebbe registrarsi al Welcome Center pagando un ingresso di 5.00$ a testa, ma se non vi interessa visitare le strutture e volete solo fare hiking potete “sgattaiolare” verso l’imbocco del sentiero senza passare per il Welcome Center, che è quello che fanno in genere tutti gli hikers. Essendo zone remote e lontane dal turismo di massa il sentiero non è molto frequentato, ma dalla sommità davanti al Chimney Rock si gode di un panorama unico sulle rocce arancio vivo e sulla valle rossastra circostante. Peccato che i nuvoloni scuri minacciosi sopra di noi non promettano niente di buono: si avvicina un bel temporale con tuoni e fulmini e una vera e propria tempesta di sabbia, che ci fa scappare giù a tutta velocità in men che non si dica.

Visto che il tempo si è guastato non ci resta che rientrare a Santa Fe e continuare la visita della città. Cosa ci rimane da vedere:

  • State Capitol: come gli altri edifici della città è una struttura molto singolare: realizzato in un mix di stili (New Mexican e neoclassico), “The Roundhouse” è l’unico Campidoglio degli Stati Uniti ad avere una forma circolare.
  • Quartiere di Analco: siamo alla ricerca della sedicente “Oldest House in the USA” risalente al 1646 circa. Che sia veramente la casa più vecchia degli Stati Uniti è tutto da dimostrare, ma non facciamoci troppe domande e passiamo oltre.
  • Canyon Road: eccoci giunti nel quartiere artistico di Santa Fe con i suoi laboratori e botteghe di artigiani e le sue 100 gallerie d’arte. Almeno così dicono, noi non le abbiamo contate. Alcune delle opere esposte sono veramente singolari e non passano inosservate nemmeno se non si è appassionati d’arte: un giardino di “piante di metallo”, sculture futuristiche dalle forme contorte e dai colori accessi, animali giganti, il tutto in un dedalo di vicoletti fra cui passeggiano eleganti signore, in un’atmosfera di gran classe e raffinatezza. Ci sentiamo un po’ fuori posto. Meglio tornare nella calorosa e vivace Old Town per un ultimo saluto alla città.

17 agosto: Kasha-Katuwe Tent Rocks – Bandelier – Valles Caldera – Jemez Springs – Albuquerque

Anche oggi si prospetta una giornata intensa, con tanti chilometri da macinare e tante attrazioni da visitare. Levataccia, quindi, e occhio agli orari dei parchi per farci stare tutto. La prima tappa è un parco statale dal nome impronunciabile, Kasha-Katuwe Tent Rocks National Monument. Siamo sempre in territorio indiano, come testimonia il vicino villaggio di Cochiti Pueblo, da cui l’origine dello strano nome del parco. Iniziamo da qui prima di tutto perché apre alle 8,00 e secondo perché sappiamo che ha pochi parcheggi, quindi conviene arrivare presto. Ma a quanto pare non lo sappiamo solo noi… alle 7,40 c’è già la fila di auto davanti all’ingresso in attesa dell’apertura.

Questo parco sensazionale di origine vulcanica è caratterizzato dalla presenza di bellissimi pinnacoli (hoodoos) di roccia biancastra dalla forma conica che ricordano molto i panorami della Cappadocia in Turchia. All’interno si possono percorrere due trail: il più semplice, il Cave Loop Trail di 2 km, e uno più impegnativo, lo Slot Canyon Trail di 5 km, che si snoda tra profondi canyon stretti fra le pareti di roccia e gli spettacolari pinnacoli. Quest’ultimo sentiero, molto più avventuroso, sale sempre più in alto fino a raggiungere un punto di osservazione molto panoramico sugli hoodoos sottostanti. Il percorso richiede un minimo di agilità per il fatto che a volte il canyon si fa veramente stretto e bisogna strisciare fra le pareti o camminare accovacciati. Attenzione poi a dove mettete i piedi: al ritorno c’era un bel serpente a sonagli acciambellato fra la vegetazione su un lato del sentiero. Era talmente ben mimetizzato che se non ce lo avessero indicato altri turisti non lo avremmo mai notato!

A questo punto ci sarebbe uno scenic drive su uno sterrato di 6 km che conduce al Veteran’s Memorial Scenic Overlook. Prendiamo l’auto e ci mettiamo in strada ma… ops! È sbarrata. Peccato. Facciamo dietro-front e usciamo dal parco in direzione della nostra prossima meta: Bandelier National Monument. Sono altre due ore di strada perché occorre ritornare verso Santa Fe e poi dirigersi verso nord. E pensare che sulla carta è vicinissimo a Kasha-Katuwe e ci sarebbe addirittura una scorciatoia interna che collega i due parchi, ma è uno sterrato adatto solo ai 4×4 e impraticabile per le auto. Il Bandelier ha anche un altro problemino: è accessibile con il proprio mezzo solo entro le ore 9,00 o dopo le 15,00. Dalle 9,00 alle 15,00 si deve prendere per forza lo shuttle al Visitor Center a White Rock (a 13 km dal parco), che però ha una frequenza di 20-30 minuti e l’ultima corsa di rientro alle 17,00. Un bel casino, anche perché il parco è piuttosto grande e se si arriva tardi si rischia di non avere molto tempo per la visita.

Noi arriviamo verso mezzogiorno e, fatti due conti, decidiamo che ci conviene pranzare e aspettare le 15,00 per entrare con la nostra auto. Su consiglio del Visitor Center troviamo un bel posticino per pranzo: White Rock Canyon Overlook, un’area attrezzata con tavoli da picnic e con una stupenda vista sulla valle del Rio Grande e sulle Sangre de Cristo Mountains. Ma da qui alle 15,00 c’è ancora molto tempo, che si fa? Semplice. Nelle vicinanze ci sono le Tsankawi Ruins, una porzione separata del Bandelier National Monument dove avere un primo assaggio del parco: un sentiero di 2,5 km con scale e scalette gira attorno ad una montagna dove si possono ammirare i primi cliff dwellings, le abitazioni scavate nella roccia, e diversi petroglifi.

E finalmente è arrivata l’ora di entrare nella sezione principale del parco. Pensavamo che dopo Mesa Verde niente avrebbe potuto più sorprenderci, invece questo parco non ha nulla da invidiarle, anzi! Sicuramente non è così vasto e i cliff dwellings non sono così ben conservati, ma ci sono due stupendi trail che si possono percorrere in autonomia, senza necessità di prenotare tour guidati: il Main Loop Trail di 2 km e l’Alcove House Trail di 1,6 km. E attenzione! Se a Mesa Verde vi hanno terrorizzato con la scala a pioli di 10 metri della Balcony House, quello non era niente: le scale più lunghe in realtà sono qui! Per raggiungere l’Alcove House dovrete arrampicarvi su tre lunghe scale a pioli in successione su una parete verticale di 42 metri! Perciò lasciate ogni speranza o voi che soffrite di vertigini…

In effetti mi gira un po’ la testa… credo che non vorrò più vedere una scala a pioli per un po’! Che ne dite di cambiare registro e andare a vedere qualcosa di diverso? Pronti! Lasciamo il parco e ci dirigiamo verso Valles Caldera National Preserve. Incredibile che questa valle verdissima sia di origine vulcanica, ma la forma a conca circolare attorniata da nere colline non lascia dubbi. Proseguendo il tragitto entriamo nel territorio di un altro villaggio pueblo, Jemez Pueblo. A proposito: attenzione agli autovelox! I nativi hanno la straordinaria capacità di escogitare qualsiasi stratagemma per spennare i turisti… Il rischio di una multa è però ricompensato dalle bellezze del paesaggio, e infatti se volete qui in zona si trovano ad esempio le Jemez Springs, delle rinomate sorgenti termali che noi però non visitiamo, limitandoci a qualche veloce foto alle cascate.

Il détour panoramico lungo la NM-4 ci fa arrivare piuttosto tardi ad Albuquerque, dove alloggeremo stasera. La Historic Old Town è praticamente deserta e i locali sono già quasi tutti chiusi nonostante sia sabato sera; solo per miracolo riusciamo ad entrare in una pizzeria che chiude alle 21,00 e per tutta la cena ci sentiamo il fiato sul collo delle cameriere piuttosto sbrigative e maldestre che non vedono l’ora di cacciarci fuori. Okay, togliamo il disturbo, che domani ci aspetta un’altra bella vagonata di chilometri…

18 agosto: Very Large Array – El Malpaìs – Acoma Pueblo – Grants

Sì, lo so, siamo fuori di testa. Solo dei pazzi possono incaponirsi a voler fare una deviazione di 400 km per andare a vedere delle antenne. Avete capito bene: andiamo al VLA, il Very Large Array, nei pressi di Socorro, quindi di nuovo in mezzo al deserto a ben 200 km da Albuquerque. Massì, perché come si fa a passare di qua e non andare a visitare il set cinematografico dei film Contact e Independence Day? Avete presenti quelle antenne paraboliche giganti che si vedono nei film? Ecco, quelle. Sono proprio qui “vicino”! Scherzi a parte, in realtà si tratta di una cosa serissima. Il Very Large Array è una struttura gestita dal NRAO (National Radio Astronomy Observatory) che consiste in un complesso di 27 radiotelescopi giganti del diametro di 25 metri e del peso di ben 235 tonnellate, utilizzati per captare segnali dallo spazio e per l’eventuale ricerca di vita intelligente nell’ambito del programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Life). In pratica è quello che faceva Jodie Foster nel film Contact. Ebbene, questo sito è anche visitabile dai turisti.

Oddio, a dire il vero tutti questi turisti che si avventurano in mezzo al deserto per vedere una simile “attrazione” noi non li abbiamo trovati… Anzi, quando arriviamo non solo siamo gli unici ma non c’è proprio anima viva al Visitor Center: sarà mica perché sono le 9,00 di domenica mattina? Be’, insomma, che si fa? Non è che abbiamo tutto il giorno. E così entriamo alla chetichella senza nemmeno pagare l’ingresso e cominciamo a farci il giro. Al biglietto eventualmente ci penseremo dopo, sempre se si fa vivo qualcuno. C’è un percorso didattico con cartelli illustrativi che conduce fin sotto ad un radiotelescopio: sono proprio impressionanti! Dalla torre di controllo gli operatori fanno ruotare le enormi parabole per modificarne la direzione di ricezione dei segnali, anche se mi sa che quando si avvicinano dei turisti lo fanno apposta per fare “spettacolo”. Ma queste enormi antenne possono anche cambiare posizione, cioè muoversi per formare una diversa “configurazione”. Per questo sono collocate lungo delle rotaie disposte su tre bracci, ognuno di 21 km, a formare una gigantesca “Y”, sui quali scorre una locomotiva che posizionandosi alla base delle antenne le solleva e le sposta in una nuova posizione.

Terminato il walking tour scopriamo che finalmente è aperto il Visitor Center e da bravi turisti andiamo ad acquistare il biglietto, a posteriori. Ci guardiamo anche il video prima di dirigerci verso l’ultima tappa del tour: l’Assembly Building, un enorme hangar dove originariamente sono state assemblate le antenne e che ora viene utilizzato per la manutenzione. Ah, dimenticavo: finché vi trovate in zona è d’obbligo spegnere cellulari e dispositivi elettronici per non disturbare la ricezione dei segnali. Non a caso la struttura si trova in mezzo al deserto, proprio per ridurre al minimo i radiodisturbi. Ma siccome qui di segnali alieni non c’è traccia mi sa che ci conviene andare, ci aspettano più di 200 km per raggiungere la nostra prossima meta. Dalla NM-60 diamo un ultimo saluto all’installazione, che è ben visibile anche da un’apposita area di sosta creata per chi non ha tempo per una visita approfondita.

Imboccata la NM-117 dopo un po’ il paesaggio cambia radicalmente e il deserto lascia il passo a maestose pareti di roccia: siamo a El Malpaìs National Monument & Conservation Area. Il parco è molto esteso e si sviluppa sulla NM-117 venendo da Socorro e sulla NM-53 andando verso Gallup. L’origine vulcanica è subito evidente dalle distese di colate laviche alla nostra sinistra, le Lava Falls, mentre sulla destra si innalzano imponenti pareti di roccia lavica a pinnacoli frastagliati note come The Narrows. Ma l’attrazione più sensazionale è La Ventana Natural Arch, uno stupendo arco di roccia che ci fa tornare con la memoria ai nostri precedenti viaggi nei parchi dello Utah.

Ma le emozioni non finiscono qui. Percorso un breve tratto di I-40 la lasciamo per inoltrarci in un paesaggio spettacolare: siamo nel territorio della Enchanted Mesa e quello che vediamo profilarsi su un’altura all’orizzonte è forse il villaggio pueblo più famoso del New Mexico. Acoma Pueblo, altrimenti detta “Sky City” proprio per la sua posizione sopraelevata, è il più antico villaggio ininterrottamente abitato degli Stati Uniti dal suo insediamento nel XII secolo, anche se ora ci vivono solo una cinquantina di persone per alcuni periodi dell’anno. Ma la sua straordinarietà è data anche dal fatto di essere immerso in un paesaggio letteralmente mozzafiato, con quelle imponenti rocce monumentali (sacre ai nativi) che gli fanno da contorno e da anticamera di accesso. Accesso che non è per niente economico, purtroppo: 27.00$ a testa compreso il permesso per le foto… La visita non è libera ma è obbligatorio il tour guidato: attenzione perché c’è un tour ogni ora ma l’ultimo parte alle 15,30!

Un pullmino dallo Sky City Cultural Center ci conduce sulla mesa dov’è situato il villaggio e da lì inizia il tour di circa un’ora. A dire il vero è più il tempo perso per le soste davanti alle bancarelle di artigianato locale che quello richiesto per il tour vero e proprio. Artigianato locale dai prezzi folli, tra l’altro. Terminato il tour per rientrare al Cultural Center ci sono due possibilità: riprendere il pullmino o scendere a piedi attraverso la scala di roccia che originariamente veniva utilizzata dai nativi, prima che venisse costruita la strada asfaltata. Ovviamente scegliamo la scala di roccia! Però, cavoli, quanto è ripida! Attenzione a non scivolare! Dai piedi della scalinata una breve passeggiata fra gli stupendi monoliti ci riconduce al Cultural Center, dove visitiamo velocemente il museo prima di rimetterci in marcia. Sono le 17,00 e ci sarebbe spazio per vedere qualcos’altro: proviamo a dirigerci verso la parte ovest del Malpaìs National Monument sulla NM-53 ma dopo un po’ ci rendiamo conto che la strada è lunga e non avremmo tempo di vedere nulla. Rimandiamo al giorno dopo (forse) e raggiungiamo il nostro motel a Grants.

19 agosto: Gallup – Canyon de Chelly – Chambers

Un occhio al programma mi dice che anche oggi abbiamo 400 km di strada, per la gioia di Tiziano che deve guidare: eh sì, quest’anno l’on the road è bello tosto, ma che ci posso fare se c’è così tanto da vedere? Mi becco le maledizioni dell’autista (il prossimo anno il viaggio lo faccio organizzare a lui…) e depenno dal programma El Malpaìs: per oggi ne abbiamo già abbastanza. Imbocchiamo la I-40 e ci concediamo solo una breve sosta a Gallup, sulla Route 66. Qui è d’obbligo una foto a El Rancho Hotel, locale storico reso celebre dai film di John Wayne. E infatti il suo avatar cartonato ad altezza naturale fa bella mostra di sè all’interno del locale. Vado ad abbracciarlo per una foto ricordo prima di concedermi una passeggiatina nella Historic Downtown di Gallup, ultima tappa entro i confini del New Mexico.

Il nostro viaggio prosegue verso ovest in direzione Arizona, alla scoperta di un altro canyon sensazionale: il Canyon de Chelly National Monument. Siamo in territorio Navajo e già ci aspettiamo il solito salasso dei parchi gestiti dai nativi. Invece no, il parco è monumento nazionale patrocinato dall’NPS e quindi rientra nel nostro pass. Ma la sorpresa più grande è la bellezza straordinaria di questo canyon, che troviamo inspiegabilmente quasi deserto: i turisti che si recano in questa parte degli Stati Uniti in genere si limitano alla visita dei luoghi più famosi, il Grand Canyon e la Monument Valley, e a torto trascurano questa meraviglia della natura. Le rosse pareti di arenaria si innalzano per circa 300 m dal canyon sottostante, scavato da due torrenti che confluiscono nel fiume Chinle Wash… Fiume?? Ma dov’è? Dev’essere la stagione arida perché non c’è traccia di corsi d’acqua, anzi il fondo del canyon è ricoperto di una bella vegetazione color verde smeraldo che fa risaltare ancor più il rosso delle rocce.

Il Canyon de Chelly in realtà consiste di due canyon distinti, il Canyon del Muerto a nord e il Canyon de Chelly vero e proprio a sud, da cui si diramano altri canyon minori ad occupare una superficie di 340 kmq. Entrambi i canyon principali sono visitabili in auto percorrendo due scenic drive, il North Rim Drive e il South Rim Drive, con diversi overlook lungo il percorso. Tenete presente che i due scenic drive sono lunghi circa 60 km roundtrip, quindi vi serviranno un paio d’ore per percorrerli fino in fondo con soste e foto varie. E ovviamente ad ogni overlook troverete le immancabili bancarelle di oggetti di artigianato locale… Altra particolarità di questo canyon è la presenza di diversi cliff dwellings del popolo Anasazi. Fra questi le White House Ruins, lungo il canyon meridionale, sono raggiungibili con un bellissimo trail di 4 km sul fondo del canyon, dove oltre alle rovine degli antichi Anasazi si incontrano alcuni insediamenti Navajo tuttora abitati. Questo è anche l’unico trail fattibile in autonomia, perché per tutti gli altri è necessario aggregarsi ai tour guidati organizzati dai Navajo. E guarda caso l’attrazione principale del canyon rientra fra i trail a pagamento: è Spider Rock, una doppia torre di arenaria alta 240 m che svetta in tutta la sua imponenza nel punto di congiunzione fra il Canyon de Chelly e il Monument Canyon, lungo la ramificazione meridionale del canyon. Ma niente paura perché dall’ultimo overlook del South Rim Drive potrete ammirarla dall’alto in tutta la sua magnificenza.

Il Canyon de Chelly è stato una piacevolissima sorpresa in questo viaggio e lo mettiamo di sicuro ai primi posti della nostra top ten, fra Palo Duro Canyon e il loro fratello maggiore il Grand Canyon che visiteremo fra qualche giorno. Per stasera facciamo tappa a Chambers, in avvicinamento alla nostra prossima meta di domani. Chambers è un buco di due anime sperduto in mezzo al nulla sulla I-40 dove l’unico motel disponibile è quello in cui abbiamo dormito, con colazione decisamente basic nel vicino ristorante, dove il servizio lascia alquanto a desiderare e il personale non brilla certo per la cortesia. Insomma un posto tristissimo che non consiglieremmo al nostro peggior nemico, ma diciamo che nel nostro itinerario la sosta “ci veniva bene lì”. Comunque se per caso capitate da queste parti ricordate il nostro consiglio: passate oltre.

20 agosto: Petrified Forest & Painted Desert – Route 66 – Meteor Crater – Flagstaff – Williams

Oggi andiamo alla scoperta di un altro splendido angolo dell’Arizona: è il Petrified Forest & Painted Desert National Park, ben due parchi in uno solo! Accedervi è molto semplice perché sono proprio a ridosso della I-40, basta una piccola deviazione e ci siamo. E infatti com’era prevedibile troviamo molti turisti, anche italiani, probabilmente grazie alla vicinanza del più celebre Grand Canyon.

Lasciata la I-40 la prima sezione del parco che incontriamo in corrispondenza dell’entrata nord è il Painted Desert, una vasta distesa desertica modellata da rilievi dai colori straordinari: dal grigio al verde al giallo al rosso… Sembra la tavolozza di un pittore, simile alla Artist’s Palette nella Death Valley. Il parco è attraversato dalla Park Road, uno scenic drive di 10 km con diversi overlook sulle dune multicolori, che ad ogni sosta offrono scorci e sfumature cromatiche sempre diversi, per la gioia degli appassionati fotografi. Ad un certo punto la Park Road interseca la Old Route 66, o almeno quel che ne resta: uno sterrato invaso dalla vegetazione ma ancora delimitato dai vecchi pali della luce ormai in disuso. Vi accorgerete che si tratta della Route 66 perché nel punto di intersezione fa bella mostra di sè la carcassa arrugginita di una vecchia Studebaker, costantemente presa d’assalto dai turisti a caccia di foto.

Oltrepassato questo punto si accede alla Petrified Forest vera e propria. Anche qui c’è da percorrere uno scenic drive di 45 km con soste varie, e qui diversamente dal Painted Desert si possono fare anche brevi trail, quindi per la visita dell’intero parco mettete in conto una mezza giornata. La prima attrazione che si trova lungo il percorso è Puerco Pueblo, un sito archeologico di antichi insediamenti nativi. Subito dopo è la volta del Newspaper Rock (l’ennesimo, chi è stato nello Utah ne sa qualcosa), cioè una serie di petroglifi tracciati su alcune rocce dai popoli ancestrali e visibili da dei telescopi posizionati sulla piazzola di sosta. Dopo un po’ il paesaggio cambia e ci si ritrova in un desolato ambiente alieno dai colori freddi e cupi: bruno, grigio, bianco, azzurro… È Blue Mesa, lontana parente delle Badlands, le terre desolate visitate in South Dakota durante il nostro secondo indimenticabile tour americano.

Ed eccoci finalmente alla foresta pietrificata: distese di tronchi d’albero preistorici fossilizzati e cristallizzati fino a diventare dura roccia. Meravigliosi e incredibili, se si pensa che questi alberi risalgono al Triassico e che si sono conservati per centinaia di milioni di anni nonostante i fenomeni tettonici e gli agenti atmosferici. E se vogliamo preservarli ancora per migliaia di anni dobbiamo averne cura e rispettarli. Quindi vietato salirvi sopra o ancor peggio portarsi a casa qualche frammento come souvenir, come ha tentato di fare un gruppetto di turisti che abbiamo sentito vociferare (italiani, ti pareva…). Attenzione perché i ranger non scherzano! L’albero fossile più stupefacente è Agate Bridge, un enorme tronco sospeso su un canalone, che hanno dovuto rinforzare con una base in cemento armato per evitare che si spezzasse e precipitasse di sotto. Peccato per l’invasività dell’intervento umano, ma effettivamente non si poteva fare altrimenti. Se volete sgranchirvi le gambe in questa sezione del parco si possono fare dei brevi trail fra i tronchi pietrificati, ad esempio alla Jasper Forest, alla Crystal Forest e alla Agate House. Anche noi ne facciamo qualcuno finché un occhio all’orologio ci dice che la mattina è volata ed è decisamente tardi. Lasciato il parco dall’uscita sud puntiamo quindi verso la vicina Holbrook sulla Historic Route 66. E qui ne approfittiamo per visitare qualche altra roadside attraction:

  • Holbrook – La top attraction è il Wigwam Village Motel, dove le stanze sono dei teepee indiani disposti in cerchio attorno alla reception, ognuno con la propria auto d’epoca parcheggiata davanti.
  • Joseph City – Se vedete un cartellone con un coniglio gigante che esclama “Here it is” siete arrivati al Jack Rabbit Trading Post, dove oltre a una puntatina al negozio di souvenir potete farvi una bella foto in groppa a Jack il coniglio.
  • Winslow – “Well, I’m standin’ on a corner in Winslow, Arizona” cantavano gli Eagles in Take it Easy. Il “corner” reso celebre dalla loro canzone esiste davvero e ne hanno fatto addirittura un’attrazione.
  • È lo Standin’ on the Corner Park situato sull’incrocio principale della cittadina, con l’enorme stemma della “Route 66 Arizona” nel mezzo della strada e la statua in bronzo del cantante degli Eagles appoggiato alla sua chitarra sull’angolo del marciapiede. Manco a dirlo, il sito è preso d’assalto dai turisti a caccia di foto ricordo vicino alla statua o sullo stemma della Route 66. Attenzione solo a non intasare il traffico: siete nel bel mezzo di un incrocio! Sempre a Winslow merita una sosta di riflessione il 9/11 Memorial alle porte della città, il memoriale commemorativo delle vittime dell’11 settembre, con due frammenti delle travi in acciaio delle Torri Gemelle conficcati nel terreno.

La strada che ci conduce alla nostra prossima tappa in mezzo all’arido deserto dell’Arizona non avrebbe niente di singolare, non fosse per il cartello del limite di velocità: “Speed Limit: Motor Vehicles 50 mph, Meteors 26,000 mph”?! Avete già capito, ci stiamo dirigendo al Barringer Crater nei pressi di Flagstaff, meglio conosciuto semplicemente come Meteor Crater. Si tratta del cratere meteoritico meglio conservato al mondo e il più vasto mai scoperto negli USA (largo 1200 m e profondo 170), originatosi 49.000 anni fa dall’impatto di un meteorite del diametro di 45 m che secondo alcune teorie viaggiava appunto alla velocità di circa 26.000 miglia. L’impatto devastante ha sviluppato un’energia di ben 10 megatoni pari a quella di 600 bombe atomiche, provocando lo spostamento di circa 300 milioni di tonnellate di sedimenti nell’area circostante. Il meteorite si è in gran parte vaporizzato durante la discesa e l’impatto, ma al Visitor Center è esposto il frammento più grande ritrovato: l’Holsinger Meteorite del peso di ben 639 kg.

Il sito non è parco nazionale dell’NPS ma è un Natural Landmark detenuto da una società privata fondata da Barringer, il primo studioso del cratere, e tuttora di proprietà dei suoi discendenti. L’ingresso di 18.00$ dà accesso ai punti di osservazione sul cratere dall’alto delle terrazze panoramiche, al museo interattivo e alla visione del film Impact che ricostruisce le sequenze dell’impatto. Si può anche partecipare al tour guidato di 30 minuti sul bordo del cratere, che in realtà non sappiamo se consigliarvi o no: pensavamo si potesse scendere nel cratere o almeno girarci intorno, ma non è possibile per “questioni di sicurezza”. Quindi la visita consiste nello stare mezz’ora fermi sul bordo del cratere sotto la canicola, mentre una guida in uno slang incomprensibile vi racconta le stesse cose che potete apprendere vedendovi comodamente il film. Ah, quanto è frustrante comunicare negli States! Be’, se non altro avremo giustificato il costo elevato del biglietto…

Ormai non resta tempo per molto altro. Riprendiamo l’auto in direzione Flagstaff, altra caratteristica cittadina western sulla Route 66 che ci eravamo ripromessi di visitare, ma ci troviamo un traffico infernale e non c’è tempo sufficiente per una sosta. La rimandiamo quindi ai prossimi giorni e proseguiamo verso Williams, dove trascorreremo due notti. Williams per noi non è una novità, l’avevamo scelta come tappa anche durante il primo tour per via della sua posizione strategica a poca distanza dal Grand Canyon. Non a caso la porta d’accesso della città la identifica come “The Gateway to the Grand Canyon”. Ma la sua notorietà si deve anche al fatto di essere “The Last Town Bypassed by I-40”, cioè l’ultima cittadina sulla Route 66 ad essere stata tagliata fuori dalle rotte del turismo di massa in seguito alla costruzione dell’Interstate. Oddio, proprio “tagliata fuori dal turismo di massa” non direi proprio… Anzi è la quintessenza stessa del turismo di massa, specialmente straniero e (ve lo devo dire?) italiano. Conseguenza? Prezzi astronomici per qualsiasi cosa, dagli hotel ai ristoranti ai negozi. E così ci tocca ripiegare sullo stesso motel old-fashioned stile anni ’50 di 4 anni fa, uno dei più economici sulla Route 66 e decisamente basic, senza nemmeno la colazione e con il wifi solo alla reception. Però una bella passeggiata serale lungo la via principale non ce la lasciamo sfuggire, dopo di che via a riposarci. Anche per quest’anno siamo agli sgoccioli, ma domani ci aspetta il clou della vacanza!

21 agosto: Grand Canyon – Williams

Ognuno dei nostri tour negli States è stato concepito come un loop, con partenza e arrivo nello stesso punto, e casualmente tutti ruotano in senso antiorario. Ma quest’anno la scelta non è stata casuale. Abbiamo infatti costruito l’itinerario in modo da lasciarci il meglio alla fine, in un crescendo di emozioni. E il meglio è indubbiamente, indiscutibilmente, sempre lui: il Grand Canyon National Park. Certo non c’è l’eccitazione della prima volta, sappiamo già cosa aspettarci, ma proprio per questo sappiamo anche come muoverci per ottimizzare la giornata. Quattro anni fa, dopo l’irrinunciabile passeggiata lungo il South Rim Trail, abbiamo preso la navetta (Orange Route) facendo sosta a tutti i viewpoint, dopo di che con l’auto abbiamo percorso il Desert View Drive fino all’uscita est del parco, per poi proseguire verso Page. Stavolta però alloggiamo a Williams, che si trova a solo un’ora di strada, quindi abbiamo più tempo e possiamo “osare” di più: la discesa lungo il canyon per “sentire il profumo” del fiume Colorado.

Partiamo quindi prestissimo e siamo al gate del parco già prima delle 8,00. Stavolta il canyon è immerso nella nebbia e il primo colpo d’occhio dal bordo del rim non regala lo stesso tuffo al cuore del viaggio precedente. Ma basta il tempo di una passeggiata e pian piano il sole spazza via la foschia, rivelandoci nuovamente quel miracolo della natura che è il Grand Canyon. A questo punto non possiamo indugiare oltre. E allora via a prendere lo shuttle che ci porterà all’attacco del trail che abbiamo scelto: il South Kaibab Trail. Lo shuttle (Orange Route) è una scelta obbligata per raggiungere il trailhead sulla Yaki Point Road, dove l’accesso alle auto non è consentito.

Il trail non è proprio una passeggiata: se volete arrivare fino al Bright Angel Campground o al celeberrimo Phantom Ranch sono più di 11 km one-way e 1460 m di dislivello. Il sito nell’NPS sconsiglia assolutamente di percorrere l’intero trail andata e ritorno in giornata. Il limite massimo consigliato per un’escursione giornaliera è Skeleton Point (5 km one-way con un dislivello di 620 m) e se pensate di fare discesa e risalita in un giorno dovrete comunque partire prestissimo ed essere estremamente allenati (e anche un po’ matti!). Sì perché oltre al dislivello c’è da mettere in conto il gran caldo, almeno nella stagione estiva, accentuato dalla mancanza d’aria a mano a mano che si scende nel canyon. Altra cosa da tenere a mente è che il sentiero è totalmente esposto al sole tranne le prime ore del mattino, quindi meglio partire prima possibile. Anche perché se scendere può sembrare una passeggiata, il bello poi è risalire!

Tutto considerato noi decidiamo di arrivare fino a Cedar Ridge (circa 5 km roundtrip). Un buon compromesso. Il sentiero è ripido e a metà mattina già l’ombra lo abbandona, perciò portatevi tanta acqua, soprattutto per il ritorno, perché lungo il percorso non ce n’è. Ma scendere all’interno del canyon è un’esperienza unica, che regala scorci mozzafiato fra le imponenti pareti di roccia multicolori, accompagnati dagli scoiattoli che si avvicinano per nulla intimiditi in cerca di cibo, mentre i condor planano sopra le nostre teste stagliandosi contro un cielo incredibilmente terso. Come tante altre volte, di nuovo pensiamo che qui nel west il cielo sembra sempre più blu, o forse sarà l’immensità degli spazi aperti, o forse tutte e due.

A volte lungo il sentiero si incontrano file di muli che trasportano merci o turisti con le loro guide. Il sito del parco raccomanda di cedere loro sempre il passo e di fare attenzione a non spaventarli: gli incidenti non sono infrequenti e possono mettere a rischio la loro incolumità. Lungo la discesa verso Cedar Ridge è d’obbligo una tappa intermedia per le foto panoramiche all’Ooh Aah Point, un’onomatopea che non ha bisogno di spiegazioni. La maggior parte dei turisti si ferma qui, e infatti proseguendo il sentiero si fa un po’ più solitario e la sensazione è di pace assoluta a mano a mano che si penetra nelle viscere della terra. Aguzzando la vista si riesce a scorgere il ponte sospeso sulle acque fangose del Colorado River: ah, che peccato non poter arrivare fin là! Invece dobbiamo risalire e qui viene il bello! Il sentiero ora è in pieno sole, l’aria è rarefatta e il caldo asfissiante. Non so quante volte mi devo fermare a riprendere fiato! Niente a che vedere con i percorsi alpini cui siamo abituati.

Il trail ci impegna 3 ore buone e quando raggiungiamo il rim è mezzogiorno. Il pomeriggio lo dedichiamo alla visita dei viewpoint lungo la Hermit Road che avevamo tralasciato quattro anni fa per mancanza di tempo. Anche qui si deve prendere lo shuttle (Red Route). Attenzione perché la linea rossa è l’unica che non parte dal Visitor Center: bisognerà prima prendere la Village Route (linea blu) e dalla Village Route Transfer Station prendere la Red Route verso Hermits Rest. Per fermarsi a tutti i viewpoint occorre mettere in conto 2-3 ore. Il tratto più spettacolare va da Hopi Point, uno degli overlook più scenografici dove finalmente si scorge il fiume Colorado, fino a The Abyss, dove uno spettacolare strapiombo di 900 metri si spalanca sotto di noi senza protezione alcuna. Altra tappa imperdibile è Pima Point che offre le vedute più ampie di tutta la Hermit Road: la vista può spaziare nell’immensità per quasi 40 miglia, e pare addirittura che l’eco prodotto dalle pareti del canyon a volte permetta di sentire il rumore delle rapide del fiume sottostante. Il sentiero termina a Hermits Rest, dove un’affascinante costruzione in pietra e legno ospita uno snack bar e un gift shop.

Tornati al Visitor Center sono ormai passate le 17,00 e non c’è spazio per altro. Dopo un’ultima foto di rito davanti all’insegna del parco rientriamo quindi verso Williams, dove ci accoglie alle porte della città lo stemma gigantesco della Route 66 davanti all’insegna monumentale in pietra della città. È proprio qui che facciamo la conoscenza di una coppia di amici del New Jersey in viaggio attraverso gli States al seguito della loro squadra di baseball. Che matti! L’ultima serata a Williams la passiamo prima in una pizzeria dove consumeremo la cena più cara della vacanza: quasi 60.00$ per due pizze e due birre… no comment… Infine passeggiata finale lungo la Route 66 che attraversa la città e puntatina in qualche negozio a caccia degli ultimi souvenir. Eh sì, siamo ormai agli sgoccioli, sigh!

22 agosto: Flagstaff – Sedona – Montezuma Castle – Scottsdale

Lasciata Williams facciamo un ultimo tentativo patetico di visitare Flagstaff: in particolare cerchiamo lo stemma della Route 66 sull’asfalto di cui abbiamo visto le foto in rete ma… non lo troviamo. Nemmeno chiedere ai passanti serve a qualcosa, che lo abbiano rimosso sto benedetto stemma?? Mah, resteremo col dubbio. Dopo aver girato in lungo e in largo la città senza vedere niente di interessante (non sarà perché sono le 8,00 di mattina?), alla fine ci arrendiamo e proseguiamo, che di chilometri da macinare e di roba da vedere ne abbiamo abbastanza anche oggi.

A far da preludio alla nostra prossima meta, ecco le imponenti pareti di roccia color rosso vivo che costeggiano la AZ-89A, lo scenic drive che attraversa l’Oak Creek Canyon e la cui straordinaria bellezza ci induce a più di una sosta. All’estremità meridionale della strada si trova una città dal fascino particolare, anzi addirittura “spirituale”: è Sedona. Che sia per la sua posizione privilegiata in un contesto naturale unico, fra questi vertiginosi canyon di roccia rossa e la vegetazione lussureggiante? Sta di fatto che questa parte dell’Arizona sembra emanare una potente carica di energia vibrazionale e spiritualità: sono i cosiddetti “Vortex”, vortici energetici sprigionati dalla terra che hanno fatto di Sedona la capitale della cultura New Age, attirando artisti come il pittore surrealista Max Ernst, santoni e cultori della spiritualità della natura.

Ma cosa sono in pratica questi Vortex? Semplicemente dei posti naturalistici stupendi dove è possibile fare delle belle escursioni. Protagonisti assoluti di questi luoghi sono i caratteristici monoliti di roccia rossa, le pareti monumentali e altre surreali formazioni rocciose di cui è circondata la città. Non vi garantisco che sentirete le vibrazioni, ma sarete certamente appagati da tanta bellezza. Attenzione: per visitare i vari Vortex è necessario munirsi del Red Rock Pass ed esporlo in auto quando la lasciate nei vari parcheggi, ma vi farà piacere sapere che è accettato anche il pass dell’NPS “America the Beautiful”. Ecco i Vortex che abbiamo visitato:

  • Cathedral Rock – Come si capisce già dal nome, questa imponente formazione di roccia rossa ricorda una grande cattedrale gotica. Dal parcheggio inizia un trail che sale sulla “cattedrale”: non è lungo ma l’ultimo tratto è una lastra scoscesa piuttosto scivolosa. Chi è così bravo da raggiungere la sommità potrà godersi il panorama seduto sulle rocce a caccia degli influssi del Vortex: si dice che questo aiuti a migliorare il proprio lato umano e compassionevole (la cosiddetta energia femminile). Mah, noi eravamo solo stremati dalla fatica e mezzi morti dal caldo…
  • Airport Mesa – Si tratta di un overlook in posizione sopraelevata vicino all’aeroporto della città, raggiungibile in auto e poi con un breve percorso a piedi. Da qui si gode di una vista a 360 gradi sulle rocce rosse circostanti che il tramonto esalta ancor di più. Il Vortex della zona avrebbe la capacità di donare forza interiore e sicurezza (energia maschile).
  • Bell Rock – È una formazione rocciosa mastodontica che ricorda un’enorme campana. Si raggiunge con un breve trail che ad un certo punto si biforca: un sentiero simile a quello della Cathedral Rock sale faticosamente in cima, mentre un altro percorso di media lunghezza le gira intorno. Noi scegliamo quest’ultimo, ormai stanchi delle scarpinate. Qui troviamo il Vortex della sintesi degli opposti, che dovrebbe infondere un equilibrio spirituale tra determinazione (energia maschile) e bontà d’animo (energia femminile). Non ci credete? A dire il vero neanche noi…
  • Chapel of The Holy Cross – Oltre ai Vortex, a sud di downtown c’è un’altra particolarissima attrazione: una chiesa cattolica in stile contemporaneo incastonata nella roccia fin quasi a mimetizzarsi. Al suo interno domina un imponente crocifisso in stile minimalista posto davanti ad un’enorme vetrata con il panorama delle rocce rosse alle spalle.

A torto Sedona non viene quasi mai inclusa come tappa nei tour classici dell’ovest americano. Per noi è stata invece una piacevole scoperta che consigliamo senz’altro, anzi meriterebbe una sosta di 2-3 giorni, tante sono le attrazioni e i trail che si possono fare. Noi ci siamo dovuti limitare all’essenziale per mancanza di tempo.

Prossima e ultima tappa della giornata è Montezuma Castle National Monument. Ci avviciniamo sempre più alla torrida Phoenix e si inizia a percepire il clima secco e arido del deserto. Ma questo non è ancora niente! Montezuma Castle è un sito archeologico dove si trovano alcuni degli ormai ben noti cliff dwellings dei popoli ancestrali. Non è neanche lontanamente paragonabile a Mesa Verde o a Bandelier, ma dato che passavamo di qua… Visto il caldo notevole completiamo velocemente il breve trail ai dwellings e ci rimettiamo in marcia. Dedichiamo solo una rapida sosta a Fort Verde State Historic Park prima di proseguire per Phoenix… e restare imbottigliati nel traffico sulla Interstate mentre fuori ci sono 45°C alle 4,00 di pomeriggio!! Quando finalmente arriviamo all’agognato motel in zona Scottsdale abbiamo solo la forza di portare in stanza le valigie e stramazzare sul letto. Cavoli, fuori è un inferno! Nemmeno la piscina del motel ci induce in tentazione, preferiamo rimanere in stanza con l’aria condizionata a palla, almeno per quanto ci è concesso, visto che la prima raccomandazione della reception è di tenerla al minimo per questioni di consumo. Siam messi bene! Anche uscire a cena è un supplizio. Chissà se riusciremo a dormire…

23 agosto: Phoenix – Venezia

Sveglia alle 6,00 per approfittare delle ore più “fresche”. Usciamo dalla stanza e… Uff! Ma non è possibile che sia già così caldo a quest’ora! Non per nulla siamo nella “Valley of the Sun”, com’è altrimenti detta questa cattedrale nel deserto che è Phoenix, un’area metropolitana vastissima (ancor più estesa di Los Angeles) quanto decisamente poco attraente, con il suo clima arido e inospitale, le temperature estive costantemente sopra i 40°C, la scarsità di attrazioni turistiche. E noi che abbiamo il volo di rientro in serata… Come trascorreremo la giornata? Ma soprattutto: ne usciremo vivi?

Tanto per cominciare dedichiamo le primissime ore del mattino alla visita di Scottsdale, una graziosa cittadina che fa parte dell’area urbana di Phoenix. Non a caso abbiamo scelto di dormire qui. La parte più interessante ovviamente è la pittoresca Old Town in stile western, con i suoi edifici del primo novecento, i negozi di souvenir, i saloon, l’Art District con le sue gallerie d’arte, il Waterfront lungo il Salt River con i suoi edifici residenziali, giardini, fontane e sculture. Veramente carina. L’unico problema è che si boccheggia… Alle 8,30 del mattino già non ne possiamo più dal gran caldo. Stramazziamo su una panchina mentre ci passano davanti visioni della nostra stanza d’albergo climatizzata e del distributore dei succhi di frutta al tavolo della colazione che di sicuro sarà ancora aperta. Non ci pensiamo due volte e ci fondiamo in motel. Non ne usciremo prima delle 10,30 e solo perché altrimenti di lì a poco ci avrebbero cacciati, ha ha!

Lasciato il motel a questo punto non abbiamo scampo: ci tocca girare per la città fino alla partenza del volo in serata. Dove si va? Sappiamo che Phoenix downtown non ha edifici di particolare rilevanza storica o architettonica, ma è pur sempre la capitale dell’Arizona, avrà pure un Campidoglio, no? Finalmente lo troviamo a ovest di downtown, nella zona degli edifici governativi e ministeriali e a pochi passi da Memorial Plaza, una vasta area monumentale con ampi giardini, scenografiche fontane e numerose sculture che ricordano i vari conflitti nel mondo in cui hanno sacrificato la vita i soldati americani. Il Capitol Building di Phoenix non ha l’imponenza e la magnificenza dei Campidogli delle grandi città americane e all’inizio quasi non lo notiamo. Invece proprio qui ci accade una cosa buffa.

Stiamo girovagando intorno all’edificio quando ne vediamo uscire un uomo distinto in giacca e cravatta (con questo caldo!) e con il cappello da cowboy, stile ricco proprietario terriero del profondo sud, non so se ho reso l’idea. E siccome Phoenix non è proprio una meta turistica delle più famose, lì intorno ci siamo solo noi e questo ad un certo punto si avvicina. È accompagnato da un uomo e una donna che dall’attrezzatura fotografica sembra una giornalista. Cosa vorranno mai da noi?? Ci chiedono un’intervista!! Ha ha! Ma per chi ci hanno preso? Scopriamo allora che questo è un politico, forse un candidato alle prossime elezioni, chi lo sa? Evidentemente è a caccia di consensi e ci ha preso per dei potenziali elettori. Quando gli diciamo che siamo dei turisti italiani e non sappiamo niente della politica dell’Arizona, questo sgrana gli occhi e ci chiede come ci è venuto in mente di andare proprio a Phoenix. Be’, in effetti come dargli torto… Poi comincia a parlare delle bellezze dell’Italia e infine insiste per farsi fotografare mentre Tiziano gli stringe la mano. Questa sì che è bella! Magari saremo anche finiti sui giornali, chi lo sa…

E dopo questa parentesi “mondana” torniamo con i piedi per terra e riprendiamo a fare i turisti. Nostra prossima e ultima tappa è Papago Park, nella zona orientale della città, una riserva naturale che ospita il Desert Botanical Garden e lo Zoo di Phoenix. Ci sono anche campi da golf, aree picnic, laghetti e la formazione rocciosa Hole-in-the-Rock, una piccola collina di arenaria che è stata erosa nel corso del tempo ed ora ha diverse aperture sulla parete frontale. Un facile sentiero permette di salire sulla collinetta e di raggiungere la finestra più grande, da cui si può godere di una vista panoramica del parco e della città in lontananza. Insomma, una piccola oasi nel deserto nel cuore della città. Ma non illudetevi: nemmeno qui troverete refrigerio. A Phoenix il caldo non dà tregua… Ormai siamo cotti a puntino e non c’è proprio altro per cui valga la pena di soffrire ancora. Non ci resta che avviarci verso l’aeroporto. Bye bye, rovente Phoenix.

Ecco, lo sapevo, sono arrivata a pagina 27… Anche stavolta i miei buoni propositi sono andati a farsi benedire. Ma come si fa ad essere sintetici quando si parla dei paesaggi sconfinati, variegati, unici degli Stati Uniti? Per quei pochi che sono riusciti ad andare almeno oltre pagina 3 non mi resta che concludere con un grazie, e magari anche con un arrivederci al prossimo viaggio, spero! Mentre a tutti coloro che si sono addormentati non posso che augurare di fare un bel sogno: il sogno americano! E allora che aspettate a realizzarlo? Correte a prenotare il prossimo viaggio nei favolosi States! Non ve ne pentirete!

Isabella & Tiziano

The post Arizona, New Mexico, Texas: il mix di culture delle terre di confine appeared first on Il Giramondo.

Gran Canaria 2020. In vacanza al tempo del Covid

$
0
0

Il 2020 è stato l’anno più terribile per tutte le generazioni che non hanno vissuto le guerre mondiali. A causa della pandemia dovuta al famigerato virus Covid-19, abbiamo tutti dovuto cambiare modo di lavorare, di rapportarsi con le persone, di uscire di casa, di andare al ristorante e anche di fare le vacanze. Con il lockdown totale prima, la chiusura dei confini regionali e nazionali dopo, per tre mesi abbondanti è stata cancellata ogni possibilità di spostarsi per turismo. Da inizio giugno le regole sono diventate meno restrittive e hanno permesso di muoversi, non solo per ricongiungimenti o motivi lavorativi, ma anche per turismo.

A giugno la situazione legata all’emergenza sanitaria, non solo in Italia, ma anche in tutta Europa sembrava in netto miglioramento con un calo costante del numero dei contagiati Covid e un aumento esponenziale dei guariti che faceva ben sperare per una risoluzione della pandemia entro l’estate. Sappiamo tutti che poi non è andata in questo modo e i contagi hanno ripreso a salire dalla fine di luglio.

Se per molti mesi eravamo convinti di dover rinunciare assolutamente alle vacanze estive, salvo qualche giornata al mare nelle a noi vicine Liguria e Toscana, oppure in Romagna, stessa nostra regione anche se più lontana ad esempio delle province di La Spezia e Massa Carrara, il miglioramento della situazione emergenziale ci ha lasciato qualche speranza di poter anche andare più lontano.

A fine giugno ci siamo quindi decisi a prendere in considerazione anche mete in altre parti di Italia oppure all’estero. Le ferie obbligate e la laurea di mia figlia non consentivano di poter variare il periodo della vacanza tra il 16 e il 25 luglio, quindi questo vincolo temporale ha ridotto notevolmente anche la possibilità di scelta.

La nostra priorità in estate è sempre stato il mare e quindi le prime scelte sono cadute su Sicilia, Puglia o Sardegna, ma i prezzi per una settimana di vacanza erano altissimi, fuori dalla nostra portata, quindi abbiamo preso una decisione difficile, molto criticata, ma in assoluta coscienza e serenità, abbiamo deciso di tornare a Gran Canaria, un’isola che conosciamo molto bene avendola giù visitata due volte con i racconti dei nostri viaggi qua e qua. Decidiamo di soggiornare ancora una volta nella zona tra Playa del Ingles e Maspalomas, vicino alle nostre amatissime dune.

Gran Canaria è stata solo sfiorata dal coronavirus con un numero molto basso di contagi e di decessi anche in primavera, nel periodo dell’esplosione dei casi in Spagna. Ovviamente durante il lockdown l’isola, a fortissimo impatto turistico, si è praticamente svuotata e fino al 1 luglio, secondo le disposizioni nazionali spagnole, non poteva ospitare turisti ma solo persone che arrivavano per motivi urgenti o lavorativi.

Ryanair ha riaperto la maggior parte dei voli europei proprio il 1 luglio e senza pensarci troppo, dopo aver preso la decisione di partire, abbiamo prenotato a fine giugno, a prezzi molto bassi, il volo che partiva da Bergamo il 17 e tornava il 24 luglio da Las Palmas, esattamente le date che facevano al caso nostro, visto i vincoli familiari e lavorativi che avevamo.

Molte catene di hotel internazionali hanno però posticipato anche oltre inizio luglio l’apertura degli hotel e non è stato facile trovare una sistemazione. Le nostre prime tre scelte hanno dato esito negativo al nostro tentativo di prenotazione. La prima opzione è il Servatur Waikiki, che ci ha ospitato per il nostro secondo viaggio a Gran Canaria e dove ci eravamo trovati benissimo, apre solo il 20 luglio, quindi avremmo dovuto cambiare sistemazione a metà vacanza, impensabile. Il Seaside Sandy Beach, dove eravamo stati la prima volta, a parte il prezzo fuori budget, apre solo a inizio agosto. Troviamo ad un ottimo prezzo il Bull Eugenia e Victoria, proprio accanto al Waikiki. Ci confermano via mail l’apertura per il 1 luglio. Tutto bene quindi apparentemente, resta solo la macchina da prendere a noleggio. E invece no. Nemmeno una settimana dopo la prenotazione (e poco più di una settimana prima del viaggio) arriva la mail dell’hotel che ci annulla la prenotazione, perché avrebbero aperto solo il 1 agosto. Ci propongono un ulteriore sconto per andare ad agosto o settembre, ma ovviamente le nostre date non sono modificabili.

Tra il demoralizzazione e la preoccupazione ricominciamo la ricerca della sistemazione. Molti hotel (soprattutto delle catene inglesi) sono in effetti chiusi fino alla fine di luglio o inizio agosto. Guardiamo allora catene spagnole e troviamo, ad un prezzo un po’ più alto ma sempre ragionevole il Barcelo Occidental Margaritas, ancora un po’ più lontano dal mare ma con servizi che apparentemente sono di categoria decisamente superiore ai due precedentemente scelti. Apertura prevista il 15 luglio. Perfetto, ci stiamo, e saremmo anche praticamente i primi clienti, ottima cosa anche nell’ottica della sanificazione e pulizia delle camere. Scambio qualche mail con la direzione che mi conferma l’apertura, ottengo ancora un piccolo ulteriore sconto e chiudo la prenotazione, tra la felicità della famiglia.

Mi metto a studiare per bene tutte le opzioni possibili dell’Occidental Margaritas che propone diverse tipologie di all inclusive, quando arriva la doccia fredda, solo tre giorni dopo la prenotazione con conferma via mail della direzione, ecco la nuova mail che annuncia la cancellazione della nostra prenotazione perché l’hotel avrebbe aperto il 1 agosto.

Ormai siamo veramente sconfortati, manca pochissimo alla partenza e non sappiamo nemmeno dove pernottare. Si parte con la nuova ricerca, quasi con poche speranza, decidiamo di cambiare tipologia e puntare sugli appartamenti, anche se, di solito, per almeno una settimana all’anno, cerchiamo soluzioni all inclusive o almeno di hotel con pensione completa, perché la voglia di mettersi a cucinare e pulire casa viene meno in quella settimana che vogliamo dedicare totalmente al relax. Appartamenti, per fortuna, ce ne sono tanti, in verità molti sono esauriti, ma se ne trovano disponibili e puntiamo dritti su uno, nel complesso Don Palomon, proprio lungo il paseo che porta da Playa del Ingles alle dune di Maspalomas, percorso per noi obbligato tutte le sere di entrambe le vacanze precedenti. Dopo aver anche telefonato al proprietario o gestore che sia, che mi ha confermato l’apertura anche in quel momento, prenoto l’appartamento con la formula cancellabile fino al giorno dell’arrivo.

Ormai convinti di cambiare tipologia di vacanza quest’anno e andare in appartamento, continuo comunque la ricerca di hotel aperti in zona Maspalomas o Playa del Ingles. Trovo tutti quelli della catena Riu, ma troppo cari per noi, alcuni altri che non hanno camere triple disponibili. Tra quelli non noti e più piccoli ce ne sono alcuni disponibili che non avevo mai sentito nominare. Provo a leggere in rete i vari commenti e trovo una risposta di una italiana che già avevo incrociato virtualmente gli scorsi anni essendo entrambi attratti da Gran Canaria, che diceva di essere in quel momento proprio al Playa Bonita di Playa del Ingles e di trovarsi molto bene.

La contatto e mi risponde molto gentilmente dicendo di aver prenotato praticamente last minute nel vero senso della parola, ovvero con partenza due giorni dopo e aver trovato appunto il Playa Bonita aperto dal 1 luglio. Contatto la reception e mi fa un prezzo ottimo per l’all inclusive, inferiore anche agli altri preventivi degli hotel contattati precedentemente. L’hotel è ovviamente aperto e quindi per l’ennesima volta decidiamo di cambiare programma. Cancello l’appartamento e prenoto al Playa Bonita in all inclusive.

Finalmente è fatta. A sei giorni dalla partenza ho chiuso con le prenotazioni, mai successo prima in tanti anni di viaggi di arrivare così a ridosso della data di partenza, ma quest’anno evidentemente è un anno del tutto particolare. In realtà non è ancora tutto prenotato, perché mi manca sempre la macchina a noleggio, ma questa volta vado sul sicuro e fermo, ad il solito prezzo irrisorio rispetto ai noleggi italiani, una auto di seconda categoria (Polo, Opel Corsa, Seat Ibiza …) al prezzo della prima, con Cicar, noleggiatore canaro che offre tutte le garanzie senza franchigie e con il quale ci siamo sempre trovati benissimo in tutti i viaggi alle Canarie.

Finalmente ci siamo, il 17 luglio al mattino presto siamo in aeroporto, a Bergamo, per iniziare una vacanza che fino a un mese prima non avremmo mai immaginato di poter fare. Ovviamente è una vacanza diverse da tutte le altre, ci sono le nuove regole introdotte per fronteggiare l’emergenza sanitaria e per annullare il rischio di contagi durante il volo e nel periodo di convivenza con altri turisti.

Il primo impatto con questo nuovo modo di vivere la vacanza è abbastanza forte, per quanto ne eravamo preparati. Alle 5 del mattino all’arrivo all’aeroporto di Bergamo c’è una lunga coda nell’unica entrata disponibile, ogni persona deve mostrare subito la carta di imbarco, perché possono entrare in aeroporto solo i viaggiatori in partenza e non ad esempio accompagnatori e persone che aspettano chi arriva dai voli e poi c’è il controllo della temperatura prima di entrare.

Ovviamente è obbligatoria la mascherina sia in aeroporto che sull’aereo per tutta la durata del volo e questo aspetto ci aveva fatto dubitare un po’ sulla scelta di Gran Canaria essendo una tratta da quattro ore più il paio di ore di attesa in aeroporto, voleva dire stare 6-7 ore sempre senza togliersi mai la mascherina. Mia moglie è abituata a farlo per lavoro, per me e mia figlia è stato un pochino più fastidioso, ma nulla di insopportabile.

Superato il primo test di controllo temperatura ci siamo diretti verso il banco del check in per imbarcare la nostra valigia e abbiamo usato piuttosto rapidamente il self service, già presente ai banchi Ryanair all’aeroporto di Bergamo. Il poco tempo perso per imbarcare la valigia grande ci è servito per andare subito verso i gate dove abbiamo trovato un’altra coda lunghissima, ai controlli di sicurezza, credo la più lunga mai trovata nei tanti viaggi in partenza da Orio al Serio. In realtà la sensazione di lunghezza della coda è sicuramente accentuata dal fatto che a terra sono posizionati adesivi a distanza di un metro uno dall’altro per segnalare dove bisogna fermarsi senza avvicinarsi al passeggero precedente, per evitare contatti ravvicinati e devo dire che quasi tutti rispettano la segnalazione, quindi anche se il serpentone umano della persone in attesa di fare i controlli di sicurezza è lunghissimo, lo spostamento è abbastanza rapido.

Prima di fare l’ultimo passo verso i controlli di sicurezza un’addetta dell’aeroporto ci controlla ancora la temperatura con lo scanner laser e poi arriviamo finalmente alla procedura per i consueti controlli che sono gli stessi delle altre occasioni. Arriviamo al nostro gate e stanno già iniziando a imbarcare, compriamo al volo un paio di bottigliette di acqua, sempre utili in aereo, e non abbiamo nemmeno il tempo di sederci che entriamo, sempre ordinatamente, al gate dove, dopo aver mostrato i documenti e scannerizzato autonomamente i documenti di viaggio, entriamo nel finger che ci immette nell’aereo Ryanair che era già fermo in pista dalla notte precedente.

Il trolley a mano si porta regolarmente a bordo, essendo cambiata la normativa proprio due giorni prima, quindi durante il volo le regole sono le stesse di prima fatta eccezione appunto per la mascherina che deve essere sempre indossata per tutta la durata del volo. L’aereo è pieno circa all’80% della capienza, la ventina di posti vuoti non so se saranno rimasti invenduti oppure saranno stati di persone che hanno rinunciato al viaggio, comunque pensavo di trovarlo ancora più vuoto. I posti sono tutti occupati normalmente, noi siamo nei tre posti in un lato della cabina, quindi non abbiamo vicini sconosciuti, ma solo davanti e dietro oppure oltre il corridoio.

Il volo è tranquillo, ci siamo portati un film da vedere sul tablet, le quattro ore di volo passano abbastanza velocemente e anche il tenere indossata la mascherina per così tanto tempo non è troppo fastidioso. Atterriamo a Gran Canaria con una decina di minuti di anticipo e finalmente possiamo dare il via a questa strana vacanza in tempi di pandemia.

Appena sbarcati dall’aereo dobbiamo far scannerizzare il QR Code con la nostra dichiarazione compilata online il giorno precedente, obbligatoria per tutte le persone che entrano in Spagna e passiamo sotto il termoscanner per la misurazione della temperatura, operazioni fatte molto velocemente senza perdere tempo. Mentre moglie e figlia aspettano la valigia imbarcata, io mi dirigo alla zona degli autonoleggi, per prelevare la nostra auto richiesta qualche giorno fa.

L’autonoleggio Cicar, come in altre occasioni, ci riserva una piacevole sorpresa. Già avevamo avuto l’auto di categoria 2 al prezzo della categoria 1, ma ora ci fanno un ulteriore upgrade, consegnandoci le chiavi di una auto di categoria 3, la nostra compagna di vacanza sarà una nuovissima Opel Grandland X 4X4.

Scendiamo al parcheggio al piano inferiore che ormai conosciamo bene e, nella zona Cicar, ci invitano a prendere la Grandland bianca, pulitissima e evidentemente appena sanificata tanto che l’odore di disinfettante appena saliti è quasi fastidioso, ma ovviamente ben venga la pulizia profonda.

Avevamo mille dubbi se partire o meno, se andare all’estero o meno, dubbi che sono rimasti fino a quel momento, ma che sono (quasi) svaniti all’accensione della macchina che automaticamente ha acceso anche la radio, sintonizzata sulle frequenza di Los40, la nostra fedele radio canara preferita, compagna di tanti giri a Gran Canaria, ma anche a Lanzarote, Tenerife e Fuerteventura. Appena fuori dal parcheggio sotterraneo dell’aeroporto la voce suadente del conduttore di Los40 ha dato il segnale orario per noi più bello del mondo “diez en punto en Canarias” e un sorriso ci ha tolto tutti i pensieri. Che la vacanza abbia inizio!

La strada la sappiamo a memoria, mettiamo il navigatore di Google Maps sullo smartphone ma solo per l’ultimo tratto per arrivare all’hotel. All’uscita dall’aeroporto si prende subito l’autostrada GC-1 in direzione sud e si entra in quella che per noi è una sorta di tangenziale che collega Las Palmas con Mogan, con tante uscite, più o meno una ogni chilometro, completamente gratuita e comodissima. Il nostro punto di riferimento nelle precedenti due vacanza era l’uscita numero 45 per arrivare agli altri hotel più verso le dune, questa volta usciamo allo svincolo numero 43 e dopo un paio di chilometri dall’uscita, andando verso il mare arriviamo davanti al Playa Bonita che non sono nemmeno le 10.30 ora locale.

L’orario del check in è alle 14, siamo in ampio anticipo, ma per fortuna la camera è pronta e possiamo quindi avere chiavi magnetiche e tutto quello che serve per iniziare la nostra vacanza, prima ovviamente di aver compilato tutte le dichiarazioni di non essere in quarantena e di non avere sintomi Covid e dopo che ci hanno misurato la temperatura (per quinta volta dalla mattina).

Il Playa Bonita ha una posizione è ottima, decisamente migliore rispetto agli altri due hotel che avevamo utilizzato gli scorsi anni. 5 minuti dalla scalinata che porta in spiaggia. Facile da raggiungere anche perchè vicino all’uscita dell’autostrada. Camera molto grande anche per 3 persone. Wi-fi buono in camera e nel ristorante, meno nella zona degli spettacoli e in piscina.

La qualità dei servizi è però inferiore sia al Sandy Beach che al Waikiki e, nel caso specifico di questo anno particolare, i problemi sono arrivati soprattutto per il sovraffollamento che, con le regole anti-Covid, creano lunghissime code al ristorante e al bar. Cibo discreto sia come quantità che come qualità. All inclusive con bevande locali, quelle di marca a pagamento. Camere pulite a giorni alterni, sempre per le regole Covid, che impongono una minore presenza di personale a contatto con gli ospiti. Una volta non è stata fatta per 2 giorni e al terzo abbiamo chiesto in reception, poi è prontamente arrivata l’addetta. Altro problema per chi ha auto a noleggio è il parcheggio, piccolissimo, quindi praticamente mai disponibile. Attorno tutte righe blu a pagamento e comunque a volte si doveva girare per decine di minuti prima di trovare un posto libero anche tra quelli a pagamento. Staff comunque molto disponibile ad aiutare e anche a parlare lentamente in spagnolo o inglese per farsi capire meglio. In generale buon rapporto qualità-prezzo considerando che altri hotel in zona costano molto di più. In generale pensavo di trovare molte meno persone, invece, con il fatto che tanti hotel erano ancora chiusi, quelli aperti, tra cui il Playa Bonita, sono quasi completamente completi.

Lasciamo i bagagli in camera, ci cambiamo, facciamo un breve giro nella zona della piscina e poi ci incamminiamo verso il mare. Il tragitto è molto breve come detto, in meno di cinque minuti si arriva al lungo paseo che, con una camminata di mezz’oretta, porta alle dune di Maspalomas. La lunga spiaggia di Playa del Ingles è sottostante, ci si arriva scendendo una scalinata abbastanza ripida con una cinquantina di scalini, facile da fare al mattino, freschi e riposati, molto più impegnativa quando c’è molto caldo e si è stanchi. La lunga spiaggia di Playa del Ingles è semivuota, non ci sono i tanti lettini rossi che il playero di turno affittava giornalmente a prezzi stracciati rispetto all’Italia, solo un breve tratto di lettini gialli, poco sotto la linea del nostro hotel. Facciamo un giro in spiaggia, fa caldo, non c’è vento, ma comunque si cammina bene e poi è tanta la voglia di vacanza che non sentiamo troppo la temperatura che sale. Arrivati al centro della zona turistica saliamo la breve scalinata che porta alla piazzetta centrale di Playa del Ingles e poi alla camminata con tutti i negozietti, bar e ristoranti, almeno la metà dei quali li troviamo tristemente chiusi, il che ci ricorda inesorabilmente che il problema sanitario ha allontanato turisti e imprenditori dall’isola. Durante la settimana qualcuno aprirà di volta in volta, ma anche alla fine molti resteranno chiusi, chissà se per la settimana, la stagione o finchè la pandemia non sarà debellata definitivamente. Il vantaggio è che c’è poca gente in giro e non si rischiano assembramenti. La mascherina è obbligatoria se non si riesce a mantenere una distanza di almeno un metro e mezzo dalle altre persone. Noi la indossiamo nella zona dei negozi (se si entra è obbligatoria in tutti i casi), in spiaggia solo quando si incrociano altre persone in modo ravvicinato, il che capita molto raramente.

Finito il giro andiamo al ristorante dell’hotel dove ci spiegano le nuove regole per prevenire assembramenti. Mascherina obbligatoria tranne quando si è seduti al tavolo, tre turni sia a colazione che a pranzo che a cena, buffet servito dal cameriere e monoporzioni per pane, verdura, frutta e dolci da prendere autonomamente come le bevande. Purtroppo, tranne a colazione che siamo sempre tra i primi ad arrivare poco dopo le 7.30, a pranzo e cena si creano lunghe code sia per entrare che per essere serviti al banco dei primi e dei secondi. Anche in questo caso, la coda è accentuata dal corretto comportamento degli ospiti che tengono quasi sempre un’adeguata distanza da chi li precede in fila.

Al pomeriggio ecco il primo contatto con l’Oceano Atlantico. Freddo, certo, come sempre, ma non così tanto freddo da farci desistere di fare il primo bagno. Il mare è incredibilmente calmo, sempre quasi di non essere a Playa del Ingles, dove di solito ci sono onde piuttosto alte, l’acqua è pulita e invitante e allora uno, dos, tres e ci si butta. Poi la solita lunga passeggiata sulla spiaggia che ci porta fino alle dune, che saranno come sempre la nostra amata meta per tutte le passeggiate serali.

Dune di Maspalomas, che sembrano ancora più belle del solito, più lavorate dal vento, mano calpestate da turisti poco rispettosi, sembrano aver mutato le proprie forme, disegnando nuovi percorsi e nuovi sentieri tra i picchi e le gole naturali. Tutte le sere è stato un vero piacere affondare i piedi nella calda sabbia e scalare le vette di sabbia per poi scendere correndo nella gola della duna. Ogni sera abbiamo fatto un percorso diverso, a volte abbiamo attraversato le dune in verticale per arrivare dal paseo al mare, altre volte le abbiamo percorse in orizzontale dalla piazzetta di Playa del Ingles fino al Riu che sovrasta le dune, altre volte semplicemente abbiamo scalato le vette più alte, per poi coricarsi a guardare il tramonto nel silenzio di una profonda gola sabbiosa creata dalla natura. Sensazioni che non si trovano in nessuna altra parte del mondo e che a noi sono rimaste nel cuore.

La prima sensazione di Gran Canaria, rapportata alle visite precedenti è che i locali o comunque gli spagnoli si sono finalmente (dal loro punto di vista) riappropriati dell’isola. Rispetto agli anni precedenti si sente quasi solamente parlare in spagnolo, quasi nulla (soprattutto nei primi giorni) inglese, pochissimo italiano e francese, resistono solo alcuni tedeschi, ma tutti gli stranieri sono decisamente meno degli anni scorsi.

Tutte le mattine, come nelle vacanze precedenti, decidiamo di usare la macchina per muoverci nell’isola. Le zone e le spiagge più belle le conosciamo bene, quindi andiamo a colpo sicuro. Il primo giorno (e ci andremo altre due volte) ci muoviamo verso Anfi del Mar.

Si arriva a Arguineguin in una ventina di minuti di auto e poi dopo qualche tornante si è nel piccolo villaggio prettamente turistico di Anfi del Mar. Parcheggiamo appena fuori della zona occupata dal grande complesso turistico di appartamenti eleganti che sono però ancora tutti chiusi e poi scendiamo con una bella e panoramica scalinata che porta direttamente alla spiaggia che appare splendida, bianca, molto più chiara di quella di Playa del Ingles o Maspalomas, con un sacco di grandi palme che danno l’impressione di essere in un angolo dei Caraibi piuttosto che in un’isola dell’Oceano Atlantico. Qua, a differenza di Playa del Ingles e Maspalomas, c’è sia la possibilità di noleggiare ombrellone e lettini (sempre molto economici, 4 euro a pezzo al giorno), sia la possibilità di mettersi autonomamente dove si vuole anche potendo usare un proprio ombrellone. Noi restiamo sempre nella spiaggia libera. Il secondo giorno compriamo un piccolo ombrellone che ci consentirà di ripararci dal sole, molto caldo e forte in questi giorni, stranamente poco mitigati dal vento, anzi il vento è la calima, soffi caldi che fanno ancor di più aumentare la temperatura percepita. Negli ultimi giorni il clima migliorerà con l’abbassamento di qualche grado di temperatura e si starà perfettamente in tutte le ore del giorno.

La spiaggia di Anfi è piuttosto piccola, molto carina, sicuramente bella da vedere con un mare limpido e invitante anche se molto freddo almeno al mattino presto, ma a noi manca soprattutto la possibilità di fare lunghe passeggiate nel bagnasciuga che adoriamo. Facciamo un giro nel piccolo paese, un altro grande hotel, aperto in questo caso, e qualche negozietto, alcuni aperti e altri chiusi e poco più e poi finalmente ci tuffiamo nell’Oceano. C’è abbastanza gente, soprattutto dopo le 10 del mattino, ma comunque non c’è il rischio di assembramenti e si riesce a stare sempre tranquillamente isolati dal resto dei bagnanti.

Le visite seguenti di Anfi saranno più o meno con lo stesso schema, è forse la spiaggia più bella dell’isola anche se c’è sempre un po’ la sensazione di un luogo un pochino costruito ad arte e meno naturale di altri, ma indubbiamente molto suggestivo.

Altre tre volte, tra mattini e pomeriggi, siamo stati in quella che è la nostra spiaggia preferita, Playa de Amadores, sempre nel sud dell’isola, pochi chilometri dopo Anfi. Ci si arriva molto facilmente, l’uscita dell’autostrada GC-1 è quella di Puerto Rico e poi c’è il bivio che porta proprio davanti alla splendida caletta di Amadores. Il parcheggio è gratuito (arrivando presto alla mattina) proprio davanti alla spiaggia. Il luogo è veramente suggestivo e emozionante soprattutto al mattino presto con la spiaggia gialla quasi completamente deserta e ancora più suggestiva è la camminata nel Paseo che porta a piedi a Puerto Rico.

È poco più di un chilometro in un sentiero asfaltato molto comodo da fare anche se con tanti saliscendi, in posizione leggermente rialzata quindi a picco sul mare con la vista dell’Oceano che si estende all’infinito. Le due calette di spiaggia e mare calmissimo di Amadores e Puerto Rico sono divise da tratti di mare impetuoso con le onde che si scagliano sulle rocce, popolate da granchi giganti rossi e neri. Facciamo con calma, godendoci il panorama tutta la passeggiata, alla fine ci fermiamo qualche minuto davanti alla spiaggia di Puerto Rico che si sta popolando di gente che arriva dalla tante case affittate in zona e poi riprendiamo il percorso contrario per tornare ad Amadores, che nel frattempo si è riempita di gente come era lecito aspettarsi. Ci riposiamo un po’ sotto il nostro ombrellone e poi facciamo un bel bagno refrigerante nel mare limpidissimo di Amadores. Anche qua abbastanza pieno, soprattutto nel pomeriggio, ma meno degli scorsi anni e comunque non ci sono problemi a ritagliarsi una spazio isolato dal resto dei turisti.

Altra tappa obbligata e conosciuta della nostra vacanza a Gran Canaria è la cittadina di Mogan. È un borgo fatto da casette tutte bianche, che si innalza su una collinetta a picco sul mare dove un porticciolo con tante piccole barche confina con un’altra bella spiaggia che ha la forma tondeggiante di una caletta riparata dal vento che garantisce sempre mare calmo. Gli altri anni siamo sempre andati a piedi fino in cima al paese per arrivare a un mirador che consente una splendida visuale su tutta la baia, ma quest’anno per alcuni lavori proprio attorno al mirador non è possibile arrivarci, quindi a metà percorso siamo obbligati a tornare indietro. Non è mancato il bagno in mare, un po’ più caldo di altri posti visto che la caletta è circondata dal monte che ripara da vento e onde.

Un pomeriggio abbiamo deciso di dedicarlo alla capitale dell’isola, Las Palmas. La città è all’estremo opposto dell’isola, ma ci si arriva facilmente in poco meno di un’ora di macchina, sempre però facendo l’autostrada GC-1 fino alla sua conclusione, che lambisce sempre la costa orientale di Gran Canaria.

L’autostrada finisce e si entra direttamente nella città di Las Palmas. É una città molto molto grande, paragonabile alle nostre città metropolitane. Diretta conseguenza di essere nel mezzo di una città è il traffico e il problema a trovare parcheggio, la mettiamo in uno sotterraneo a pagamento, non lontano dal centro. Sicuramente è il posto più popoloso dell’isola e il più popolato da persone che a Gran Canaria vivono a lavorano.

L’obiettivo della nostra giornata è girare un pochino nella città, visitare la casa di Cristoforo Colombo, “la Casa Colon” e poi andare nella spiaggia di Las Canteras, la spiaggia situata proprio accanto alla città. La casa Colon è la casa museo che ha ospitato Cristoforo Colombo in una delle sue traversate verso le Americhe. In realtà è un museo che racconta la storia delle Canarie e il loro sviluppo. Il museo è piccolo e si visita facilmente in poco tempo.

Dopo aver camminato un po’ nel quartiere di Vegueta, la parte antica di Las Palmas con tante viuzze con casette colorate, abbiamo ripreso la macchina per spostarci nell’altro lato della città per raggiungere la grande spiaggia di Playa de Las Canteras, una distesa di sabbia gialla, molto più chiara che al sud, proprio attaccata alla città. Qua abbiamo trovato tanta gente, più che al sud, l’impressione è che siano tutti locali, che finito il lavoro sono andati nella spiaggia cittadina. Anche qua lingua parlata quasi solo e esclusivamente lo spagnolo.

Un altro pomeriggio siamo andati nella zona del faro di Maspalomas. In linea di aria sono pochi chilometri, ma bisogna passare all’interno, perché il lungomare è tutto dune, quindi ci si mette una ventina di minuti ad arrivare. Anche qua, c’è il problema del parcheggio, che poi troviamo fortunatamente anche in una zona libera, senza parchimetri. Siamo rimasti alcune ore in spiaggia e poi abbiamo fatto una lunga camminata a lato delle dune vicine al faro che però ci sembrano meno belle di quelle dal lato di Playa del Ingles.

I restanti pomeriggi li abbiamo passati al mare, nella lunga spiaggia tra Playa del Ingles e Maspalomas, cercando sempre un posto tranquillo e isolato in cui piazzarci e poi facendo lunghe camminate nel bagnasciuga. Nel weekend la spiaggia si riempiva di locali liberi evidentemente dal lavoro, ma in generale non ci sono mai stati problemi per trovare posti tranquilli e isolati essendo la spiaggia amplissima. Gli ultimi giorni i turisti sembravano aumentare anche per la presenza di un certo numero di inglesi che prima non si sentivano, però eravamo ancora poco sopra il 50% delle presenze degli anni precedenti, in linea del resto con l’apertura di strutture ricettive che non superava la metà delle disponibilità.

È stata una vacanza molto strana, molto particolare, quasi insperata fino a pochissimi giorni prima, ma molto tranquilla, senza problemi di assembramenti o rischi sanitari. Siamo riusciti a goderci Gran Canaria in un modo che forse non ci sarà più, almeno ce lo auguriamo tutti, visto che vorrebbe significare che questa e altre pandemie saranno definitivamente sconfitte.

The post Gran Canaria 2020. In vacanza al tempo del Covid appeared first on Il Giramondo.

Sardegna: Costa Smeralda in treno e in bus

$
0
0

Quest’anno vista emergenza Covid ci troviamo tutti d’accordo per saltare le nostre amate isole greche e decidiamo per la Sardegna, la Costa Smeralda.

Partiamo il 9 luglio io e io marito da Torino con Volotea, la mia amica Pin con Easyjet da Malpensa e Roberto e Alessandro in nave e da Genova.

Arriviamo ad Olbia ad orari diversi e ci troviamo all’hotel prenotato su booking Stella 2000 (costo 50,00 euro a testa in mezza pensione).

Disfatte le valigie partiamo in bus per la prima spiaggia (la più vicina ad Olbia), Pittulugo.

Il mare è molto bello, ma c’è tanta gente, le poche spiagge attrezzate sono care e ci sistemiamo in un pezzo di spiaggia libera. Cena in hotel con prodotti sardi.

10 luglio:

Cerchiamo invano una macchina a noleggio, ma siamo in 5, le macchine disponibili sono poche e hanno dei prezzi davvero esosi.

Partiamo in bus per Porto Istana, anche qui un bel mare, spiaggia affollata, compriamo due ombrelloni e ci godiamo il relax.

Cena in hotel e giro serale a Olbia centro (10 minuti di cammino dall’hotel).

Il centro di Olbia è molto carino, negozi, ristoranti, bancarelle.

11 luglio:

Sempre con il bus raggiungiamo la Spiaggia bianca poco prima di Golfo Aranci. Il bus ci lascia su una strada e poi bisogna percorrere un discesa abbastanza impegnativa, verso le 15, grazie alla gentilezza di una signora, evitiamo la scarpinata a piedi, anzi ci porta in centro a Golfo Aranci.

Golfo Aranci è molto carina, con le sue casette di pescatori, la sua passeggiata lungomare, i negozi.

È abbastanza deserta, molti bar e ristoranti sono chiusi, ma ci godiamo il pomeriggio davanti al mare.

12 luglio:

È la volta di Cala Sabina, ci arriviamo prendendo il treno da Olbia, la spiaggia non è grandissima, ma il mare turchese ci meraviglia! Il costo dei lettini e degli ombrelloni è davvero “da Sardegna” e allora ci sistemiamo nella parte della spiaggia libera, e scopriamo infilandoci in un piccolo percorso a piedi ai lati della spiaggia, un’altra piccola spiaggetta, qui il mare è ancora più incredibile.

Sulla spiaggia è presente un beach bar/ristorante che utilizziamo per un veloce spuntino.

Rientro ad Olbia con treno e poi bus fino in hotel.

13 luglio:

Prendiamo un bus per Santa Teresa di Gallura (2 ore circa) passando per Arzachena e Palau.

Santa Teresa di Gallura è un piccolo paese molto conosciuto in Costa Smeralda, la spiaggia incantevole è però molto molto affollata, ci sostiamo un paio di ore e poi giriamo per il centro, gustandoci un buonissimo gelato.

Ripartiamo per Olbia facendo una sosta a Palau.

14 luglio:

Prendiamo il treno e ci dirigiamo verso Porto Rotondo, fermandoci nel golfo di Marinella.

Finalmente ombrelloni e lettini a prezzo contenuto (25 euro) mare bellissimo e ci godiamo un giorno di pieno relax.

15 luglio:

È la volta della nostra gita in barca, sveglia presto, bus fino a Palau e imbarco per arcipelago della Maddalena (45 euro). La prima tappa è La Maddalena, molto turistica, piena di turisti e di barche con le gite organizzate.

La seconda tappa è Spargi, un mare incredibile, la terza è Cala Santa Maria, circa 200 mt di sabbia bianca e finissima, il mare con tutte le gradazioni di blu, con acqua immobile da sembrare una piscina.

Passiamo davanti all’isola di Budelli che possiamo solo ammirare con la sua spiaggia rosa.

Rientriamo verso Palau, gironzoliamo un pò per negozi e poi ripartiamo alla volta di Olbia con un bus.

16 luglio:

Ultimo giorno di vacanza e in accordo decidiamo di tornare a Cala Sabina e alla sua spiaggia che ci ha fatto davvero innamorare.

Serata a spasso in Olbia centro per gli ultimi acquisti di souvenir.

17 luglio:

È ora di salutarci, Pin partirà per Malpensa, Alessandro e Roberto per gli ultimi giorni di vacanza a Lecce, io e mio marito per Torino.

Finisce qui, questa vacanza un po’ improvvisata (avevamo prenotato in Grecia per isola di Kythira e causa Covid abbiamo disdetto), e quello che ci resta è che sovente sottovalutiamo l’Italia, di mari belli ne abbiamo visti tanti in giro per il mondo ma la Sardegna non è certo da meno, abbiamo visto solo una parte di quest’isola e ci siamo promessi che ritorneremo.

Luisa Deninotti

The post Sardegna: Costa Smeralda in treno e in bus appeared first on Il Giramondo.

Grecia ai tempi del covid (agosto 2020)

$
0
0

Santorini – Folegandros – Milos

  1. A) INFORMAZIONI GENERALI:

 

IMPORTANTE: come sempre avviso che l’itinerario ha 21 pagine… almeno sapete… di che morte morire se iniziate a leggere… In corsivo ho fatto copia incolla di tutte informazioni raccolte prima della partenza e poi durante la vacanza. In carattere normale è narrata la nostra avventura. Mi spiace ma racconto anche qualcosa di personale che a chi legge non interessa. E’ l’unico itinerario che scrivo quindi deve essere anche un nostro ricordo. Portate pazienza…

Quando: 12 giorni dal 06.08.2020 al 17.08.2020.

Perché questo viaggio: questo è stato un viaggio di ripiego. Avremmo dovuto andare in Indonesia. A metà luglio, vedendo che si era aperto uno spiraglio sulla Grecia, abbiamo deciso di prenotare anche se fino all’ultimo abbiamo temuto o una nuova chiusura delle frontiere o qualche complicanza con tamponi e quarantena in partenza.

Una volta preparato il giro, ci siamo sentiti con dei nostri amici (Sonia, Simone con i bimbi Giorgia e Lorenzo) che sapevamo sarebbero andati in Grecia. Manco farlo apposta le loro prenotazioni erano sulle nostre stesse isole, gli stessi giorni (loro partivano solo 3 giorni prima). Benissimo! Così ci siamo fatti un’altra vacanza insieme! Purtroppo nostro figlio Matteo, quest’anno ci ha dato buca… altrimenti il gruppo vacanze 2013… sarebbe stato al completo…

NB: i prezzi che indico sono per due adulti ed una ragazzina

Avviso: le informazioni che inserisco nell’itinerario sono da prendere con le pinze. Ci siamo trovati in una realtà molto strana per la Grecia. Ad esempio Santorini, dicono sia invivibile in estate, soprattutto al mese di agosto. Noi l’abbiamo trovata con pochi turisti e senza le navi da crociera che ogni giorno scaricano migliaia di persone. Questo ha fatto si che, con la macchina, abbiamo potuto girare ovunque, senza problemi di parcheggio. Non so se in condizioni normali convenga muoversi con mezzi propri o meno.

Itinerario: 2 notti a Santorini – 3 Notti a Folegandros – 3 notti a Milos – 3 notti a Santorini

Voli (€ 660): Easyjet € 220 a testa

Prenotazioni Hotel:  inizialmente avevamo bloccato gli hotel su booking con nulla che richiedesse il pagamento immediato. Poi, man mano che si arrivava il giorno, oltre il quale non si poteva più annullare senza penali, abbiamo contattato le strutture direttamente. Tutte (a parte lo Splendour di Santorini) ci hanno fatto prezzi migliori con il pagamento immediato solo di una notte e il saldo in loco, quindi abbiamo liberato le camere su Booking.

Hotel (€ 2.417):

– Santorini: Finikia Memories (2 notti) ad Oia – € 215 a notte in B & B – camera suite (https://www.finikiamemories.com/)

Giudizio: la struttura è bella, la colazione è ottima, personale molto gentile – Lo consiglio.

Prenotazione: contattati direttamente. Pagato tutto in loco in contanti e per questo ci fanno il 10% di sconto.

Pagato 8 € in tutto di tassa di soggiorno

– Folegandros: Pegados Apartments (3 notti) – € 150 a notte in B & B – camera windmill

(https://www.pegados-folegandros.gr/hotel/index.html)

Giudizio: struttura che richiede grande manutenzione, camera potenzialmente bella per l’idea del mulino a vento ma con lavori da fare e suppellettili di dubbio gusto, bagno al limite della decenza (piccolo, con doccia microscopica e tenda molto poco igienica che si attacca al corpo, boiler arrugginito sopra il wc, nessun punto di appoggio), personale asiatico molto gentile, colazione buona, proprietaria che cerca di essere simpatica in realtà la nostra opinione è stata: generale che comanda con lo schiocco delle dita i camerieri –  Non lo consiglio.

Prenotazione: contattati direttamente. Pagato con bonifico 1 notte, le altre due in loco in contanti.

– Milos: Pollonia Studios (3 notti) – € 250 a notte in self catering – camera suite

(https://pollonia-studios.gr/?lang=it)

Giudizio: ci è piaciuto tantissimo. Si tratta di un appartamento vista mare (in realtà lo vedi ma è oltre la strada) con camera da letto, salotto, cucina attrezzata con necessario per una piccola colazione, balcone con tavolo e sedie. Tenuto benissimo e tutto in azzurro e bianco. La ragazza della reception ci ha fornito mappa e varie info. In frigo c’era una bottiglia di vino in omaggio. Ci siamo trovati davvero bene – Lo consiglio.

Prenotazione: contattati direttamente. Pagato con bonifico 1 notte, le altre due in loco in contanti.

– Santorini: Splendour Resort (3 notti) a Firostefani – € 255 a notte con colazione e un altro pasto – camera suite con piscina privata

(https://www.splendour-santorini.com/)

Giudizio: ci siamo trovati bene. La camera era molto spaziosa con la piscina privata proprio davanti all’ingresso. La colazione buona – Lo consiglio

Prenotazione: su Booking c’era una grande offerta con un pasto compreso (a scelta pranzo o cena). Pagato tutto in loco. Abbiamo dovuto pagare in tutto 22 € di tassa di soggiorno.

Auto affittate (€ 397): a Santorini i nostri hotel chiedevano 35 € per una tratta fino all’aeroporto e 25 per il porto quindi, aggiungendo pochi euro, abbiamo preso la macchina per tutti i giorni con la comodità di essere completamente autonomi. Per lo stesso motivo a Folegandros abbiamo voluto affittarla (costo inferiore per una macchina piuttosto che 3 motorini o quad). C’è anche la possibilità di muoversi con il pullman ma si è vincolati agli orari. A Milos invece serve proprio (altra alternativa sono sempre i motorini o i quad).

– Santorini: affittata dall’Italia da Kronos (https://www.santorini-car-rental.info/). Ci hanno fatto un pacchetto per i primi 2 giorni (auto presa all’aeroporto e lasciata al porto) e poi per gli ultimi 3 giorni (auto presa al porto e rilasciata in aeroporto) per un totale di € 150. Gli uffici sono al porto quindi un addetto porta la macchina o la viene a prendere all’aeroporto. Le macchine erano tenute abbastanza bene. Non erano pulitissime.

– Folegandros: affittata in loco da Venetia Rental (https://www.venetiarentals.gr/en/) al costo di € 89 per quasi 3 giorni. Gli uffici sono appena fuori dalla Chora. Auto praticamente nuova e pulita.

– Milos: affittata tramite il sito che usiamo di solito, www.rentalcar.com, da Auto Union (https://www.autounion.gr/car-rental-guide/car_hire_milos.html) al costo di € 160 per 3 giorni. Gli uffici sono vicini al porto di Adamas. Auto perfetta, super igienizzata con tanto di protezione in plastica su volante, cambio e sedili. Abbiamo prenotato tramite Rental Car, pur non essendo super competitivi, per usare l’acconto che avevamo già pagato per l’affitto dell’auto in Indonesia. Forse, contattando direttamente Auto Union, si poteva risparmiare qualcosa.

Traghetti Seajets (€ 473):

Tutti prenotati e pagati direttamente sul sito (https://www.seajets.gr/it/). C’è solo un traghetto al giorno che collega le varie isole. E’ da prenotare con largo anticipo. Il rientro da Milos a Santorini, il giorno che avevamo scelto, era pieno quindi abbiamo dovuto partire un giorno prima. Si tratta di un traghetto veloce quindi non si può stare all’esterno. Se il mare è mosso, balla parecchio quindi se si patisce il mal di mare, è altamente consigliato attrezzarsi con Travelgum o similari. Il rientro da Milos a Santorini abbiamo trovato mare forza 5 per colpa del meltemi quindi abbiamo impiegato molto più tempo. C’è da considerare che con il mare forza 6 non viaggia (ci hanno detto che non riuscirebbe ad attraccare ai porti) non capita spesso, ma capita. Quindi, quando prenotate, non mettete mai la traversata in traghetto un giorno e poi il giorno seguente il volo di rientro, prevedete un giorno in più sull’isola finale. Altra cosa da considerare è che sono sempre in ritardo. Alternativa a questi traghetti veloci ci sono altre compagnie che impiegano molte più ore. Noi abbiamo preso:

– Santorini/ Folegandros (1 ora) € 134,40 (a testa € 44,80 tariffa base)

– Folegandros/Milos (1 ora) € 147 (a testa € 49 tariffa più alta)

– Milos/Folegandros (3 ore) € 191,40 (a testa 63,80 tariffa più alta)

Ristoranti e bar (€ 1.318):

I prezzi indicati sono per 3 persone. Se non sono elevati è perchè abbiamo mangiato solo insalate. Il costo medio di una insalata greca è di 8 € mentre un piatto di polipo è di 15 €, giusto per dare un’idea.

1) Santorini:

– Lotza ad Oia: (pranzo) – € 38 – voto 6 – vista caldera – impersonale

– Santorini Mou ad Oia: (cena) – € 77 – voto 9 – taverna tipica greca con una bella atmosfera. Il proprietario ogni tanto canta qualche canzone accompagnato dalla musica. Sul tavolo, in base alla provenienza, mettono una piccola bandierina nazionale. Ai bambini hanno regalato delle tovagliette per la colazione. Posto e personale molto accoglienti.

– Taste of the beach in spiaggia a George: (pranzo) – € 38 – voto 8 – sulla spiaggia. Se si pranza qui, gli sdraio sono compresi nel prezzo.

– Aeolos verso il faro di Akrotiri: (cena) – € 68 – voto 6 – nulla di che sia la location che il cibo

– Raki a Megalochori: (pranzo) – € 35 – voto 7 – grazioso sotto il pergolato

– Misteli d Akrotiri: (pranzo) – € 58 – voto 9 – ci è piaciuto tantissimo. ottimo cibo

– Spendour Resort a Firostefani: (1 cena ed 1 pranzo in hotel) un pò triste mangiare in hotel… ma ci siamo trovati bene, ho apprezzato la Santorini Salad (presa altre volte ma mai trovata così buona)

– Pelican Kipos: (2 cene): – € 70 ed € 72 –  voto 9 – i tavoli sono distribuiti nel giardino. Ci siamo trovati molto bene la prima sera quindi abbiamo prenotato direttamente per la seconda. Ai bambini hanno offerto la panna cotta mentre a noi adulti il Vin Santo

– Stani Tavern: (pranzo): – € 45 – voto 5 – semi vista caldera – cibo non buono

2) Folegandros:

– Chic Restaurant nella Chora: (cena) – € 65 – voto 9 – ci siamo trovati molto bene. Ottimo cibo

– Papalagi ad Agios Nikolaos – sopra la spiaggia: (pranzo) – € 50 – voto 8 – appena sopra la  spiaggia di Agios Nikolaos- bella location vista mare – cibo buono

– Agios NiKolaos Tavern – in spiaggia: (cena) – € 75 – voto 6 – location bella ma cibo nulla di che. Rientro in barca fino al porticciolo di Agali

– Hapeipeion al porto: (pranzo) – € 47 – voto 7 – poca scelta ma abbastanza buono.

– Nicolas Michailidis nella Chora: (cena) – € 70  – voto 8 – nonostante il famoso caratteraccio del proprietario (che noi abbiamo trovato di poche parole e nessun sorriso ma gentile) il cibo era davvero buono

– The Sunset a nord di Ano Meria: (pranzo) – € 35 – voto 5 – a conduzione familiare ma super imbranati e cibo medio basso

3) Milos:

– Rafiki a Pollonia: (cena) – € 78 – voto 8 – si trova nel piccolo porticciolo di Pollonia – cibo buono

– Ergina a Tripiti: (pranzo) – € 53 – voto 8 – ci siamo trovati bene. Cibo buono

– Astakas a Klima: (cena) – € 60 – voto 6 – location bellissima. Tavolo a bordo mare ma cibo non all’altezza. Il polipo era troppo cotto quindi durissimo e i dolci, dopo 1 ora da quando li avevamo ordinati, li abbiamo disdetti e siamo andati via

– in spiaggia a Fyriplaka: (pranzo) – € 28 – voto 5 – è un piccolo bar che non offre molto

– Archontoula a Plaka: (cena) – € 70 – voto 8 – cibo buono, ci siamo trovati bene

Altre spese: gasolio € 82; parcheggio Malpensa € 65; varie € 30

Clima: la pioggia è un evento rarissimo in estate, ma anche d’inverno fatica a presentarsi. Le temperature massime estive sfiorano i 30°C, ma la costante presenza del vento meltemi abbassa di qualche grado quella percepita. Dopo il tramonto si può addirittura provare una sensazione di freddo. Per sicurezza, mettete in valigia una giacchina estiva.

Fuso: 1 ora in più rispetto all’Italia.

Opinione generale: Santorini è unica al mondo ed è uno spettacolo. Una volta bisogna andare a visitarla, possibilmente fuori stagione. Folegandros è un piccolo gioiellino. Milos è molto varia con belle spiagge e paesaggi diversi. Sicuramente è stata una bella vacanza anche perchè è stata molto dinamica. Noi non siamo da mare (le giornate in spiaggia dalla mattina alla sera non fanno il caso nostro) quindi siamo riusciti a fare tante cose e a visitare senza mai annoiarci. La ricorderemo sicuramente in modo super positivo.

  1. B) INFORMAZIONI DELLE VARIE ISOLE

 

#) SANTORINI

http://www.isole-greche.com/2012/05/santorini.html

https://www.vacanzegreche.com/blog/santorini.aspx

http://www.cosafarei.it/santorini

https://blog.destinazionesole.it/santorini-tra-chiese-muli-sirtaki-e-panorami-mozzafiato/

https://www.travelfar.it/cose-da-vedere-a-santorini/

Santorini è l’isola più famosa della Grecia e la più meridionale dell’arcipelago delle Cicladi nel mar Egeo ed è anche la maggiore delle 12 isole che compongono l’omonimo arcipelago.  La sua superficie è di 79,194 km² ed il suo nome, Santorino, le fu dato dai Veneziani in onore di Santa Irene per corruzione di Sant’Erini, patrona dell’isola che vi sarebbe stata martirizzata nel 304. I Fenici la chiamavano Kallisti, ovvero “la più bella”. La baia, da Ammoudi, a nord, al faro, a sud, è lunga circa 25 km. Santorini è senza dubbio uno degli spettacoli naturali più suggestivi del Mediterraneo, è un’isola vulcanica, a forma di ferro di cavallo, formatasi in età preistorica a causa di un evento sismico (1500 a.C.) che ha sventrato il cratere e successivamente invaso dal mar Mediterraneo. Il sisma fu uno dei più violenti degli ultimi 10.000 anni, sono stati ritrovati frammenti di roccia vulcanica fino in Egitto e in Palestina, a 900 km di distanza! La terribile esplosione vulcanica distrusse la parte centrale aprendo un enorme cratere (la caldera) che si riempì d’acqua, la polvere di pomice ricopri la terra rimasta emersa seppellendo le città minoiche: una di esse, meravigliosamente conservata, sta venendo alla luce ad Akrotiri. Attualmente la parte rimasta da questa tragica esplosione, si compone di tre isole (Thira o Santorini, Thirassia e Aspronissi) disposte a cerchio intorno alla bocca del vulcano (Nea Kameni). È un’isola vulcanica, originariamente circolare, con una laguna marina interna e un ampio cratere, posto circa 20 km a sud-ovest dalla costa interna proprio al centro della laguna. L’acqua del mare penetrava attraverso l’unica via d’accesso ai porti interni, delimitata ai lati da due scogliere. L’attuale conformazione semicircolare è il frutto di successive eruzioni vulcaniche, che hanno fatto collassare la caldera e determinato l’ingresso del mare sul lato occidentale. Il capoluogo dell’isola è Fira. Il secondo centro abitato che si trova a nord dell’isola è Oia (si legge ia), antico centro rinomato per i suoi mulini a vento. Un’altra località dell’isola è Imerovigli, vicino a Fira. Oltre a queste cittadine, molto strutturate dal punto di vista turistico e da cui si possono ammirare i tramonti sul mare Egeo, sono degni di nota alcuni centri minori interni come Pyrgos, l’antica capitale dell’isola e Megalochori. Sull’isola non ci sono semafori. Il punto più alto dell’isola è il monte Profitis Ilias a 567 m. È un piccolo vulcano con una piccola caldera. I suoi abitanti si occupano di agricoltura, artigianato, marina e commercio. I prodotti dell’isola sono pochi ma scelti. Produce vino, concentrato di pomodoro, orzo, piselli, fava e pistacchi. Il vino di Santorini è tra i migliori del mondo. Il Vinsanto, l’Asyrtiko, l’Athyri ed il Nixteri sono alcuni dei tipi più caratteristici.

Oltre a Santorini, anche altre isole fanno parte di quel che si può considerare un piccolo arcipelago:

– Therasia, un’isola abitata che faceva parte della grande isola originaria. era, fino alla grande eruzione vulcanica del 236 a.C, una parte di Santorini, ora è la parte opposta della caldera di cui anche Santorini fa parte.  Thirassia è una perla di 9 kmq, lunga 5,7 km e larga 2,7, dalla forma irregolare ed i contorni rocciosi, un’oasi di pace e di silenzio quasi incontaminata dal turismo. La costa est è molto scoscesa mentre quella occidentale è piatta e ampia. Lungo il tratto orientale della costa si trova la sua capitale che si chiama Manolas (Chora). Si tratta di una manciata di casette  bianche con le ante blu disposte sulla roccia che guardano verso il mare cristallino. Manolas è la versione in miniatura di Firà o Oia, con case nella grotta e mulini a vento. Sulla strada principale, che passa lungo il bordo della scogliera, si trovano alcuni negozi di alimentari che vendono i prodotti locali ed alcune taverne.

Da lì, tramite una lunga scalinata da fare a piedi o su di un mulo-taxi, si può raggiungere il porto di Korfos. Il paese principale dell’entroterra si chiama Potamos e si trova a circa un km a nord-ovest da Manolas. È costruito accanto ad un burrone e le sue case sono in stile grotta cioè costruite nella roccia. Agrilia è un antico borgo, un pittoresco villaggio con case grotta e vinerie. Sulla costa opposta si trova il villaggio di Riva dove approdano i traghetti che arrivano dalle altre isole dell’arcipelago. A nord del villaggio di Riva si trova la chiesa di Agia Irini che ha dato il suo nome veneziano a Santorini (Santa Irini).

Uno dei luoghi di interesse dell’isola è il monastero Kimisi nel sud dell’isola. Sull’isola non ci sono negozi, medici, farmacia, ufficio postale o la filiale di una banca, gli abitanti per le loro esigenze devono andare a Santorini che si può raggiungere con 15 minuti di barca. Thirasia ha più di 20 chiese ortodosse (cappelle) di dimensioni e di diversa architettura ciascuna, che testimoniano la profonda fede della gente del posto ai loro santi ortodossi.  Le due chiese più grandi dell’isola sono il San Costantino a Manolas costruite sul 1874 ed il San Demetrio a Potamos costruita circa nel 1920. Vale la pena di visitare anche la chiesa della “Vergine Maria” vicino a Potamos, costruita nel 1887. La chiesa è ricca di iconografia e decorazioni. Di spiagge ce ne sono poche, quelle più popolari sono situate vicino ai piccoli porti di Riva e Korfos.

La spiaggia di Riva è ampia, di sabbia bianca finissima e l’acqua non è particolarmente profonda. Accanto al porto di Korfos, dove attraccano le navi, vi è una piccola spiaggia di ciottoli e pietre laviche rotonde e nere e un paio di taverne, qui invece l’acqua è molto profonda già a pochi metri dalla riva.

– Aspronisi, un grosso scoglio anch’esso parte della vecchia Santorini, oggi di proprietà privata. è un’ isolotto roccioso e disabitato che, come Thirassia, fa parte dell’isola di Santorini. Ha una superficie di 0,142 km q, una lunghezza di circa 650 m, la lunghezza di 200 m. Ha la forma oblunga e la sua massima altezza è di 70 m. La parte inferiore dell’isola è fatta di lava nera, la parte superiore di pomice bianco, da qui il nome greco Aspronissi che significa “isola bianca”. Aspronissi si trova a sud di Thirassia, ha un piccolo porto e due spiagge di ghiaia ma, non essendo abitato, non è visitato dai traghetti dall’isola e dalle barche da escursione. Non c’è elettricità o fornitura di acqua potabile. L’isola è di proprietà privata della stessa famiglia da 7 generazioni.

– Palea Kameni, isola vulcanica che per prima si è formata nelle eruzioni successive alla grande esplosione.

– Nea Kameni, l’isola vulcanica più recente che possiede un vulcano ancora attivo, la cui ultima eruzione avvenne nel 1950.

 

  1. A) INFO DEI VARI POSTI DA NORD A SUD.

 

1) Oia: L’attuale nome, Oia, risale agli inizi del 1900, in precedenza si chiamava Ano Meria, infatti molti suoi abitanti utilizzano ancora oggi questo nome. Viene abbreviata ià. E’ probabilmente il più bel paese dell’isola. Le chiese dalle cupole splendenti e le abitazioni che sembrano sospese nel vuoto simboleggiano perfettamente la Grecia e appartengono ormai all’immaginario collettivo. Nella seconda metà del XIX secolo Oia era un centro molto ricco e prospero da possedere 130 navi e poteva commerciare con la Russia, il Levante e Alessandria d’Egitto. Un immenso cantiere navale sotto la falesia. Gli ufficiali e i capitani di marina abitavano nelle belle dimore a due piani nella zona pianeggiante in cima alla scogliera, mentre i marinai vivevano nelle abitazioni-caverne. Contrariamente a Firá, Oia ha provato e prova tuttora a conservare il proprio fascino intatto e sfuggire così al turismo di massa. Nonostante ciò, nella via principale sono molte le boutique di lusso, i negozi di gioielli, ristoranti e sontuosi caffè, eppure il fascino dei giorni passati si sente dell’aria, e poi da Oia si gode una vista assolutamente unica sulla caldera e sul vulcano! Questo pittoresco villaggio si trova nella zona nord-ovest dell’isola di Santorini, si estende per quasi 2 km sul bordo settentrionale  della caldera ad un’altezza che varia dai 70 ai 100 metri. Le sue abitazioni dalle forme strane, le suggestive cappelle e le magnifiche case abbandonate (a seguito del terremoto del 1956), solcano il massiccio contornate da vicoli quasi labirintici e stretti che d’estate sono congestionati dai turisti

Ammoudi:  Porticciolo con casette colorate e ristorantini. Si trova ai piedi di Oia. Si può raggiungere a piedi percorrendo un sentiero (prevede una discesa vertiginosa e un’irta salita) oppure in auto. Si può risalire a dorso di asino. Si può fare il bagno, mare cristallino, guardando il mare, sulla sinistra, dovrebbe esserci una piccola spiaggia di sassi. Qui, come al porticciolo di Armeni non troverete spiagge, ma piattaforme di roccia o di cemento sulle quali è possibile posare l’asciugamano e fare il bagno. I fondali del mare di questi due porticcioli sono tra i più belli dell’isola di Santorini, ideali anche per fare snorkeling.

– Armeni: altro piccolo poticciolo sotto Oia. Qui, come al porticciolo di Ammoudi non troverete spiagge, ma piattaforme di roccia o di cemento sulle quali è possibile posare l’asciugamano e fare il bagno. I fondali del mare di questi due porticcioli sono tra i più belli dell’isola di Santorini, ideali anche per fare snorkeling.

– due mulini: Si trovano nella parte più ad ovest di Oia, a nord delle rovine del castello.

In entrambe si può dormire:

– Lioyerma Windmill Apt & Pool

– The Sunset Windmill

– castello di Oia: Castello bizantino del XV secolo,meta di turisti a qualsiasi ora del giorno, poichè la posizione del castello offre una delle migliori viste panoramiche di Santorini. era la sede della famiglia Argyri sotto i veneziani. Ora ci sono solo ruderi. Si trova nel punto più alto di Oia. Perfetto per vedere il tramonto.

– Tramonto: La località più famosa per osservare il tramonto a Santorini. La postazione top è senza dubbio il piccolo castello veneziano di Oia, uno dei punti panoramici più belli di tutta l’isola. Da qui si può ammirare quasi tutto il borgo con il mulino e il cratere fino a Thira. E’ sicuramente la zona più affollata, il consiglio è quello di arrivare un’ora e mezzo prima per sedersi e prendere la posizione migliore, altrimenti si rischia di rimanere in balia della folla…Se qui c’è troppa gente andare a vederlo al secondo mulino. Potete nel frattempo rilassavi in uno dei bar della zona, ad esempio il Lioyerma Lounge Cafe, o il Sun Spirit Cocktail Bar che godono entrambi di una posizione perfetta per ammirare il tramonto

Chiese:   

– Panagia Platsani

–  Agia Ekaterini: vicina al The Sunset windmill

–  Ekklisia Isodia Theotokou o Blue Dome Church

 

2) Imerovigli: Si trova a 2 km a nord della capitale Firà. Anch’esso è costruito su un dirupo a picco sul bordo della Caldera ed offre una fantastica vista della baia e del vulcano soprattutto al tramonto. Una sapiente ricostruzione del paesino ha permesso di donare nuovo splendore ad Imerovigli che oggi è conosciuta come “la terrazza di Santorini” per la vista mozzafiato della Caldera. Il villaggio è posizionato sulla parte più alta della scogliera, a 300 metri sul livello del mare e domina l’intera isola, tanto che nei secoli passati è stato il principale avamposto difensivo dell’isola: il suo nome deriva appunto da “vigla” che significa “vigilare” e “imera” che significa “giorno”.  A Imerovigli, come in tutta Santorini, ci sono molte chiese e cappelle. 

– Tramonto: Skaros Rock con la cappella di Panagia Theoskepasti. La cappella di Theoskepasti è uno delle più interessanti, costruita sul bordo di una scogliera a Skaros Rock. Il nome significa “piena di Dio” costruita su un’enorme roccia sopra la Caldera.

– Skaros Rock: La famosa fortezza di Skaros, che guarda l’entrata ovest dell’isola e che serviva a difendersi dall’ingresso dei pirati nella baia, fino al 1800 ospitava i dipartimenti amministrativi essendo il capoluogo dell’isola. Era stata costruita nel periodo tardo-bizantino dai veneziani approdati a Santorini nel XIII secoloIl castello di Skaros è uno dei 5 castelli di Santorini ed è fatto principalmente in pietra. Aveva un ponte mobile di legno come accesso del quale restano ancora oggi delle tracce. Sfortunatamente, il castello fu completamente rovinato durante un terremoto nel 19 ° secolo. La leggenda narra che il castello medievale di Skaros non fu mai conquistato durante i suoi 600 anni di esistenza. C’è un sentiero ben segnalato che proviene dalla famosa chiesa di Agios Georgios che collega Skaros con il villaggio di Imerovigli. Skaros era la capitale di Santorini, fino al diciottesimo secolo. Più tardi nel diciannovesimo secolo, Fira Divenne la capitale dovuta in gran parte alla sua vicinanza e al facile accesso al mare. Nonostante questo, Skaros ancora Conserva il suo fascino antico e ha molto da offrire in termini di bellezza paesaggistica dei dintorni.

Il percorso da Imerovigli prevede circa 300 gradini da percorrere in discesa e poi in salita. Una volta giunti sotto allo spuntone di roccia il tratto per raggiungere la cime è solo per esperti anche se breve. Dal punto più alto si gode di una vista frontale e ravvicinata di Imerovigli è una diversa veduta della Caldera che valgono la fatica. Tra discesa e salita ci vogliono circa 45 minuti. 

 

Chiese:

–  Agios Georgios Chapel: si trova su una roccia verso Skaros Rock

–  Anastasi Orthodox Church: si trova leggermente a sinistra della Agios Georgios Chapel, guardando il mare

– Chiesa di Panagia Malteza: si trova leggermente spostata verso destra e verso l’entroterra, rispetto alla Agios Georgios Chapel, guardando il mare

–  Agios Nikolas: Tra Firostefani e Imerovigli. È datato intorno al 1651 ed è dedicato a tre santi: Panteleimon, Zoodocos Pigli e Nicola. Di quest’ultimo santo, si può ammirare all’interno della chiesa, una bellissima icona bizantina.

 

3) Firostefani: Il suo nome nome significa “corona di Fira”, infatti i due paesi un tempo molto vicini, hanno poi finito col fondersi, creando un unico pittoresco susseguirsi di casette bianche, vicoli intricati e piccole chiese.

 

– Chiese:  

– Agios Gerasimos (San Gerasimo)

– Virgin Mary Orthodox Church-Three Bells of Fira: vicina ad Agios Theodoris

Agios Theodoris:  Vicina alla Virgin Mary. La vera attrazione turistica di Firostefani sembra però essere la piccola Chiesa della Vergine di Agios Theodoris, situata nel quartiere “Frankika”, abitato per lo più da una popolazione cattolica. L’edificio è caratterizzato da un’insolita facciata gialla e da un campanile dotato di tre campane, dove vi consigliamo di salire per ammirare lo splendido paesaggio circostante.

 

4) Fira: Il capoluogo di Santorini (anche chiamato Thira), ha quell’aspetto unico per via della collocazione in cui è costruita, sopra a ripide scogliere a picco sul mare (260 mt.), le bianche case di forma cubica che sembrano come zollette di zucchero incollate l’una alle altre ed incastonate nella roccia su diversi livelli, come agganciate alla scogliera verticale su cui poggiano. È un piccolo paesino dai caratteristici vicoli dove dominano i colori del bianco, dell’azzurro e del blu. In ogni angolo si svelano d’improvviso splendidi scorci della rada e del mare, delle viste eccezionali che hanno fatto affluire a Santorini una grande quantità di turisti, da ogni parte d’Europa e oltreoceano ed hanno fatto spuntare in pochi anni un numero impressionante di negozi. Firá è l’unico centro di Santorini in cui si può divertire tutta la notte. Gli altri paesi sono più tranquilli. Come in molti dei villaggi di Santorini, ci sono tante chiese con cupole, ci sono case caratteristiche nella grotta: abitazioni che sono tagliate nella roccia. Ci sono anche alcuni musei, uno è quello archeologico che si trova in una piazzetta vicino alla teleferica ed alla chiesa cattolica.

 

Orientarsi a Fira è semplicissimo: la piazza principale è Theotokopoulou Square ed è intersecata da odos 25-Martiou (via 25 Marzo), la via che sale nella parte alta del paese. Per arrivare al mare si può prendere il vicoletto all’angolo dell’unica agenzia di viaggi presente in quella posizione.

– Porto Athinios (Old Port): si può scendere da Firà a dorso di un mulo o a piedi (587 gradini) ma è anche raggiungibile attraverso una spettacolare funivia. È qui che ormeggiano tutte le navi da crociera per poter far vedere ai turisti la grande attrazione di Firà che è la vista sulla caldera e del  vulcano. Questo piccolo porto costruito da un ingegnere tedesco nel 1840 è affascinante anche visto dal mare, infatti da lontano si può vedere il tracciato della mulattiera e la splendida costa rocciosa rossiccia tipica dell’isola di Santorini.

– Tramonto da Agios Minas: il posto migliore dove osservare il tramonto è di fronte alla cattedrale ortodossa, oppure dall’altra parte della cittadina, al centro congressi Nomikos. Qui a Thira non è necessario venire in anticipo per prendere il posto, c’è tanta gente ma no come ai livelli di Oia. La strada lungo la caldera è molto lunga è c’è sempre dello spazio libero per poter fare delle foto fantastiche! Per rimanere un po’ più tranquilli consiglio di prendere la viuzza che scende dalla cattedrale a Kato Thira. Pochi turisti prendono questo sentiero, probabilmente pensano che il panorama dall’alto della via del cratere sia più bello. Non sanno invece che nelle stradine più basse di Thira la magia del tramonto è della stessa intensità. Anzi, si trovano molti angoli caratteristici e isolati tipici da cartolina. 

– Chiese:

  Cattedrale di Ypapanti: Se amate le opere religiose allora non potete perdervi la Cattedrale di Ypapanti, nome con cui viene designata la Presentazione di Gesù al Tempio. Si tratta della Cattedrale Ortodossa Metropolitana ed è situata a sud della città di Fira, sul lungomare. Venne eretta nel 1827 ma a causa dell’ultimo terremoto del 1956 che colpì l’isola di Santorini, dovette essere ricostruita. Presenta una forma arrotondata ed è famosa per il suo color ocra e i suoi due campanili. Al suo interno ci sono ricche decorazioni e bellissimi affreschi dai colori sgargianti dell’artista Kristophoros Assimis, originario proprio dell’isola di Santorini. In contrasto col bianco luccicante della Cattedrale c’è il lampadario posto nella parte centrale e gli alberi di frutta che colmano il giardino. Intorno a questa splendida opera dal classico stile greco sorge una bellissima atmosfera, caratterizzata dalla vista della Caldera e da ristoranti e negozi. È uno degli edifici più maestosi e suggestivi della celebre Fira.

– Chiesa Agios Minas: è la chiesa più famosa e più fotografata è del XVIII secolo con la sua cupola bianca e la torre dell’orologio. Dopo il Partenone è il monumento più fotografato della Grecia!

– Cathedral of St. John the Baptist

Musei:

– Museo archeologico: rivela la lunga storia dell’isola di Santorini e si trova in una piazzetta vicino alla teleferica e alla chiesa cattolica. Fu costruito nel 1960 dal Ministero delle Opere Pubbliche per ricostruire quello che crollò a causa del terremoto del 1956. Al suo ingresso ospita collezioni di sculture ed iscrizioni dal periodo Arcaico a quello Romano, incluse statuette di ceramica e argilla dal periodo Geometrico a quello Ellenistico. Le più importanti esposizioni del Museo Archeologico sono l’ anfora di Thira, con la sua decorazione geometrica degli inizi del VII secolo a.C., la splendida pietra vulcanica che pesa 480 chili, e molti reperti del cimitero dell’Antica Fira; come un’anfora e oggetti di ceramica. Se siete veri amanti della storia, soprattutto quella greca, allora di certo vi innamorerete di questo luogo ricco di cultura e narratore di una civiltà ormai passata.

Biglietto intero € 2 – Biglietto ridotto € 1

Biglietto speciale intero € 14 – Biglietto speciale ridotto € 7*

*il Biglietto speciale ha una durata di 4 giorni e comprende l’ingresso ai seguenti musei e siti archeologici: Antica Fira, Akrotiri, Museo Archeologico di Fira, Museo Preistorico di Fira, Collezione di Icone e Manufatti Ecclesiastici a Pyrgos

Aperto dal Mercoledì al Lunedì dalle 8:30 alle 16:00. Chiuso il Martedì

– Museo preistorico: si trova di fronte alla stazione dei pullman. Raccoglie alcuni affreschi di Akrotiri, i resti del famoso affresco delle Scimmie Blu (1700 a.C.), con i suoi ricchi colori, la sua vitalità e il suo senso del movimento, insieme a oggetti di vita quotidiana del III millennio a.C., periodo in cui Akrotiri passò da un semplice villaggio di pescatori ad una città straordinaria sulla costa. A pochi metri dall’ingresso del Museo, figure in marmo e vasi ci ricordano il ruolo attivo di Fira, non solo nella prima civiltà cicladica, ma nella zona del Mar Egeo in generale. Le camere accanto ci raccontano il XVII secolo, ovvero periodo nel quale Fira ebbe un notevole sviluppo dovuto dalla trasformazione in porto commerciale. Le pitture murali, i vasi e i gioielli coprono quasi la metà della superficie del museo. Mentre la statuetta della Capra D’oro lascia ancora oggi un po’ di mistero sul motivo per il quale è stata realizzata.

Biglietto intero € 3 – Biglietto ridotto € 2

Biglietto speciale intero € 14 – Biglietto speciale ridotto € 7*

*il Biglietto speciale comprende l’ingresso ai seguenti musei e siti archeologici: Antica Fira, Akrotiri, Museo Archeologico di Fira, Museo Preistorico di Fira, Collezione di Icone e Manufatti Ecclesiastici a Pyrgos

Aperto dal Mercoledì al Lunedì dalle 8:30 alle 16:00. Chiuso il Martedì

– Museo Gizi: si trova nei pressi della chiesa cattolica di Fira. Al suo interno sono custodite collezioni di antiche foto, manoscritti e cimeli che illustrano la storia dell’isola di Santorini durante la dominazione veneziana. Numerose anche le incisioni della fine del ‘700 del conte Choiseul-Gouffier e le suggestive fotografie che documentano il terremoto del 1956. Inoltre, potrete visitare una mostra di opere di artisti locali e di icone bizantine. Durante l’estate si tengono concerti di musica classica e greca. Qui rimarrete a bocca aperta di fronte a tutte le esposizioni del periodo italiano.

Biglietto intero € 3 – Biglietto ridotto per studenti € 1,50

Aperto dal Lunedì al Sabato dalle 10:00 alle 16:00. Chiuso la Domenica

5) Karterados: Il suo nome deriva dalla parola greca “karteri”, che significa luogo di attesa o di imboscata. Infatti in passato Karterados era utilizzato come luogo di appostamento per catturare i pirati che arrivavano sull’isola di Santorini. Oggi Karterados è un tranquillo paese con una tipica architettura cicladica e una splendida vista panoramica. Si affaccia sulla costa orientale dell’isola di Santorini ed è circondato da una lunga valle verdeggiante con vigneti e macchia mediterranea, un panorama magnifico ed estremamente rilassante. Passeggiando tra i pittoreschi sentieri lastricati di Karterados, si incontrano le tradizionali antiche case rupestri scavate nella roccia e gli eleganti palazzi ottocenteschi che testimoniano la prosperità del villaggio nei secoli scorsi. Nella piazza centrale è possibile inoltre ammirare un bellissimo mulino a vento e una lapide commemorativa per i caduti nella seconda guerra mondiale.

Notevole è la Chiesa di Analipsis che si trova al centro del paese, con il campanile che ricorda una torre e la caratteristica cupola blu. Lungo il percorso troverete anche la chiesa di Theotokou Eisodiatis e la piccola chiesa di Aghios Nikolaos, situata vicino alle rovine del castello.

 

5) Pyrgos: E’ il paese più alto dell’isola. E’ un delizioso borgo pieno di stradine dagli scorci fantastici. Pluricentenario e arroccato su un versante del monte Profitis Elias, da Pyrgos si può ammirare un’incredibile vista panoramica su tutta l’isola. Fino al 1800 è stata la capitale dell’isola. Nel 1800 era proprio questo ammaliante villaggio il capoluogo dell’isola di Santorini. Pyrgos conserva ancora oggi le caratteristiche delle tipiche fortificazioni veneziane ed è uno dei 5 paesi fortificati costruiti a Santorini nel 1400 dai veneziani e ancora oggi può essere ammirato il suo castello che dall’alto domina il paese. Gli altri 4 villaggi che presentano la fortezza veneziana sono Akrotiri , Imerovigli, Oia ed Emporio. Tutto ruota intorno al castello di Pyrgos e a partire dalla sua piazza noterete che le tante piccole e tradizionali case di pietra iniziano ad aumentare sempre di più e le stradine che seguono la forma della collina, si trasformano in stretti vicoli, fino a farvi perdere l’orientamento, come un vero e proprio labirinto! Questa sua struttura aveva lo scopo di rendere questo luogo più sicuro e protetto e mettere in confusione i nemici che si avventuravano al suo interno, perdendosi regolarmente (come avrete il piacere di provare anche voi). L’ingresso del castello è uno solo e viene chiamato “The Door”, al suo fianco sorge una lapide in memoria degli eroi caduti in guerra. La placca è divisa in due sezioni separate in base alle date: dal 1912 (inizio delle guerre balcaniche) al 1922 (la distruzione di Ionia) e dal 1941 (inizio dell’occupazione tedesca) al 1949 (fine della guerra civile). Il pittoresco e suggestivo villaggio di Pyrgos presenta particolarità molto affascinanti: colorati sentieri tortuosi, tantissime scale da salire e scendere, vicoli stretti in cui perdersi, piccole case bianche tradizionali costruite introno al castello, gallerie d’arte da ammirare situate in angoli nascosti e chiesette tipiche con le classiche cupole blu (che se non ci fossero non sareste a Santorini); insieme creano un intrigante villaggio tutto da scoprire! In merito alle chiese, a Pyrgos ce ne sono ben 48 per l’esattezza: certamente un numero importante se calcoliamo che qui a Pyrgos abitano meno di 600 persone. Importante sapere che la maggior parte non sono visitabili in quanto private. Tra quelle pubbliche vi invitiamo a visitare Theotokaki, la chiesa dedicata alla Dormizione della Maria Vergine e si trova nella parte settentrionale del castello di Pyrgos. Risale al X secolo ed è conosciuta per la bellezza dei suoi affreschi e delle icone che si sono conservate nel tempo.

 

6) Santo Wine: (https://santowines.gr/) vineria dove producono il famoso Vin Santo. Terrazza panoramica. Degustazioni. Si trova ad ovest di Pyrgos, sulla caldera.

 

7) Mesa Gonia: La chiesa della Panaghia Episcopi è considerata una delle chiese bizantine più importanti dell’isola per l’ottimo stato in cui è conservata ancora oggi. Realizzata nel 1100 d.C., possedeva molti tesori rimasti distrutti nel 1915 in seguito ad un violento incendio. Situata a sud di Mesa Gonia, fu fondata dall’imperatore bizantino Alessio I Comnenus ed è miracolosamente sopravvissuta alle invasioni dei veneziani, dei franchi, dei russi, dei turchi ed ai frequenti terremoti. La chiesa è dedicata alla Madonna Assunta.

 

8) Megalochori: (grande villaggio) si trova a 9 km a sud dal capoluogo Firà. È uno dei villaggi più pittoreschi dell’isola. Numerose le ville signorili, case in stile neo-classico, ad arco o incastonate in grotte e numerose sono anche le sue chiese tutte bianche. Nel centro del paese c’è una bella piazza con taverne tradizionali e ristoranti. La piazza è il cuore e l’anima di Megalochori, un luogo di ritrovo per la gente del posto e per fare una partita a carte in compagnia. Da visitare la chiesa centrale di Nostra Signora, Panagia Isodion, con 365 miniature di santi e la cantina Boutari dove si possono degustare gli ottimi vini per i quali Santorini è particolarmente orgogliosa.

Meno di 60 anni fa, il villaggio faceva parte della fortuna di una delle famiglie più forti dell’ isola che produceva il vino dolce e lo esportava in tutto il mondo. Infatti la piana di Megalochori è famosa per i suoi vigneti e il periodo della raccolta è sicuramente uno dei momenti più emozionanti, durante la quale i tetti e le terrazze delle case vengono coperti di uva che viene essiccata al sole per rendere ancora più maturi i frutti che verranno poi utilizzati per produrre i famosi vini dolci di Santorini.

 

9) Monte Profitis Ilias: Il monastero di Profitis Ilias (Profeta Elia). E’ un santuario del 18 ° secolo che è costruito sul punto più alto dell’isola, su una montagna che porta lo stesso nome. Si trova sul punto più alto dell’isola di Santorini, a ben 567 metri. Svetta sulla sommità del monte omonimo a 4 chilometri dal centro abitato. Questo Monastero era inizialmente un monastero non aperto alle donne  (lo fu fino al 1853) e fu fondato nel 1711 dai monaci Gioacchino e Gabriele. Il monastero negli anni ha contribuito fortemente alla crescita economica e culturale dell’isola di Santorini. Purtroppo l’arrivo del terremoto nel 1956 gli arrecò molti danni strutturali e dopo una importante ristrutturazione, è tornato ad ospitare ad oggi solo una decina di monaci. Ma il Monastero del Profeta Elia, continua il suo lavoro di beneficenza per la comunità locale e la produzione di prodotti locali. Al suo interno si trova anche un museo dove è conservata un’inestimabile collezione di documenti ecclesiastici, materiale etnografico ed icone risalenti al periodo che va dal XV al XVIII secolo, oltre ad una croce in ferro del XX secolo e ad una mitra incastonata di diamanti del patriarca Gregorio V. Ci sono anche delle sezioni dedicate alla creazione di candele, alla stampa ed alla produzione del vino; la zona circostante è, infatti, ricca di vigneti. Qui Il 20 luglio ricorre la festa del profeta Elia e si svolge una celebrazione molto attesa dagli isolani, durante la quale vengono offerti ai visitatori pane, formaggio, pomodori e vino (prodotti di altissima qualità ed esportati ogni giorni in tutte le altre isole della Grecia)

 

10) Antica Thira: Il Mesa Vounio, la montagna che domina Kamari e la separa da Perissa, ospita un importante sito archeologico: l’Antica Thira.  Si tratta di un’antica città dell’isola di Santorini che inizialmente si presentava solo come un piccolo villaggio delle Cicladi ma  che poco dopo si trasformò in uno dei luoghi più importanti e strategici per la storia di Santorini. I primi a intuirne la posizione strategica furono i Dori, i coloni di Sparta che gli diedero il nome “Thera” in onore del sovrano Theras, un longevo re di Sparta. Dopodiché fu la volta del dominio ellenico, romano ed infine bizantino.Nel 726 a.C gli abitanti dell’Antica Thera abbandonarono la città a causa della violenta eruzione del vulcano di Santorini. Dell’Antica Thera sembrò non rimanerne più traccia, fin quando non arrivò l’archeologo Hiller Von Gaertringen, che effettuando una serie di scavi riportò alla luce questa antica città che si credeva ormai scomparsa. Parte dei resti archeologici sono rimasti in discrete condizioni, anche se la gran parte del sito presenta solo poche pietre. I resti si distendono su 150 metri di larghezza e 800 di lunghezza, creando uno scenario di impareggiabile bellezza. Ammirerete la Terrazza delle Feste, dove un tempo si festeggiavano sagre in onore di Apollo. Adorerete l’Agorà, il cuore amministrativo e commerciale dell’Antica Thera dove troviamo un portico, monumenti e santuari in onore di alcune autorità. Apprezzerete i templi in onore delle due divinità più venerate dalla popolazione di Thera: il primo, il Tempio ellenico di Dionisio, del III° secolo a.C, costruito a nord dell’Agorà in pietra locale con facciata e tetto in marmo. Il secondo, il santuario di Apollo Karneios, del VI° secolo a.C, che comprende un tempio, un cortile con colonne monolitiche e una cisterna sotterranea. Il tutto si divide in strada principale e strade secondarie. Il sito presenta anche delle terme romane, la chiesa di Agios Stefanos, le mura bizantine e il celebre santuario di Artemidoro, scavato nella roccia e contenente epigrammi e incisioni in onore di Zeus, Poseidone e Apollo. Lo si può raggiungere attraverso una strada panoramica molto suggestiva, da fare in scooter o in auto oppure a piedi percorrendo un sentiero di montagna di circa un’ora che parte o da Perissa o da Kamari. La cima supera i 300 metri di altezza e da qui si domina l’intera isola (ma attenzione al fortissimo vento).

Ingresso gratuito – orari: 8.30 / 15.30

 

11) Perissa: Perissa è molto apprezzata soprattutto dai giovani per la presenza dei migliori beach bar dell’isola di Santorini, dove si può sorseggiare un drink al tramonto e ballare fino a tarda notte. Inoltre, nell’area retrostante alla spiaggia, tutta la strada diventa totalmente pedonale, perfetta per una passeggiata in compagnia alla ricerca del locale perfetto per una serata al top! Perissa però non è solo spiaggia, in quanto il suo villaggio circonda la baia, con le sue casette bianche, che contrastano con i colori scuri della roccia lavica che caratterizza tutta l’isola di Santorini. Un luogo davvero incantevole, che conserva un carattere completamente diverso dalle altre località di Santorini. Perissa non è costellata da hotel di lusso e resort esclusivi, ed è rimasta di una bellezza semplice per chi ama la vera Grecia, senza fronzoli e finzioni, con piccoli hotel che si susseguono e si alternano ai beach bar e ai negozietti. Passeggiando qua e là, troverete la chiesa ortodossa di Timiou Stavrou, una delle più grandi chiese dell’isola di Santorini e si trova nella piazza di Perissa. Alle spalle, salendo di 264 metri rispetto al livello del mare, sul Monte Vouno, si trovano le rovine della Basilica Bizantina di Agia Irini, risalente al V secolo. Da non perdere i siti archeologici dell’antica Thera e di Kamari, raggiungibili a piedi da Perissa tramite un sentiero di montagna, con un’ora circa di cammino. Se decidete di intraprendere questo percorso vi consigliamo di indossare scarpe comode e portare con voi abbondante acqua.

 

12) Akrotiri: All’estremità di Santorini, a circa 9 km a sud-ovest di Firà sorge il villaggio di Akrotìri. Akrotìri è famosa per il suo sito archeologico (ritenuto da alcuni parte del continente perduto di Atlantide) che si estende per decine di migliaia di mq subito dopo l’abitato in direzione delle spiagge. I primi resti dell’area archeologica di Akrotiri furono scoperti per caso nel 1866 da alcuni minatori che lavoravano nelle cave della zona durante i lavori di costruzione del Canale di Suez, in Egitto. Al principio, nessuno pensava fosse una scoperta parecchio rilevante. Alcuni vulcanologi e storici francesi iniziarono a scavare portando alla luce qualche reperto, ma non erano in grado di comprendere cosa avevano rinvenuto. Quasi un secolo dopo, l’importanza del sito di Akrotiri venne approfondita dal professore Spyridōn Marinatos, che dopo aver compiuto campagne di scavi in varie parti della Grecia giunse nell’isola di Santorini nel 1962 a favore della Società Archeologica di Atene. Marinatos sperava di dimostrare le sue teorie, pubblicate nel 1939 (The volcanic destruction of the Minoan Crete, in Antiquity), secondo cui l’eruzione del vulcano di Thira fu la causa del declino e della conseguente scomparsa della civiltà minoica. Fece ritrovamenti straordinari che portarono ben presto alla luce i resti di un’antica civiltà neolitica completamente sepolta sotto uno spesso strato di depositi vulcanici che hanno permesso così una perfetta conservazione dei reperti. Molti dei reperti oggi sono conservati al Museo Archeologico di Atene. Tra le rovine sono stati individuati alcuni magazzini con grossi recipienti pieni di derrate alimentari ed eccezionali affreschi. Il frammento più celebre raffigura il Pescatore che appare riprodotto praticamente su tutte le bottiglie di vino di Santorini. Spirìdion Marinatos continuò gli scavi fino alla sua morte, dopo di lui la direzione degli scavi passarono ad un altro noto archeologo  greco, Christos Doumas. Il sito archeologico era stato chiuso nel 2005 per un crollo che aveva ucciso un turista ma nel 2012 è stato riaperto dopo la sua messa in sicurezza.

Orari: 8.00 / 18.30 – Costo: € 12 – bimbi € 6

 

13) Faro di Akrotiri:  perfetto per il Tramonto. Fu costruito da una società francese nel 1892, rendendolo uno dei più antichi in Grecia. Cessò di funzionare durante la seconda guerra mondiale. La Marina Greca lo ha fatto funzionare nuovamente nel 1945.

 

  1. B) SPIAGGE(elencate da nord a sud passando per la costa est)

 

1) Capo Colombo: sdraio (poche) – cibo: è una delle più isolate, e quindi meno affollate, e si trova sulla costa nordorientale dell’isola, non lontano dal villaggio di Oia da cui dista solo 4 chilometri. Ideale per chi è alla ricerca di tranquillità, la spiaggia è una lunga e stretta distesa di sabbia nera e ciottoli circondata da scogliere e inserita in un fantastico ambiente naturale. La spiaggia di Capo Colombo è abbastanza remota e non è molto organizzata tranne per una manciata di lettini e una piccola taverna ma la sua bellezza vale una visita. L’acqua non è particolarmente profonda ma le correnti possono essere forti, basta tenere presente che le scogliere alle spalle della spiaggia sono state scolpite dai venti in forme strane e affascinati. In una bella giornata, la vista spazia fino all’isola di Ios. Per raggiungere la spiaggia di Capo Colombo avrete bisogno di noleggiare un’auto o un motorino visto che non è servita da nessuna linea di autobus.

2) Kántharos: Sabbia e ciottoli della spiaggia di Kántharos creano un drammatico contrasto con le bianche scogliere alle sue spalle. Kántharos è la spiaggia più vicina a Oia, raggiungibile dalla cittadina in auto o a piedi con una camminata di circa 15 minuti. Per raggiungerla bisogna scendere in direzione di Ammoudi e svoltare non appena si vede l’indicazione. È fatta di sabbia nera con alcuni grossi massi lisci, sia a riva che in acqua. Non è attrezzata ma è molto tranquilla è bagnata da un bel mare blu, poco profondo. 

3) Pori Beach: cibo: Dai toni rossastri, la spiaggia di Pori ha un carattere selvaggio. Situata lungo la costa nordorientale di Santorini a circa 10 chilometri dal capoluogo dell’isola Fira lungo la strada più orientale che conduce a Oia, bisogna percorrere 50 gradini lungo il crinale della scogliera per raggiungere questa spiaggia tranquilla, indisturbata e frequentata soprattutto dagli abitanti dell’isola. La piccola e stretta spiaggia di sabbia scura con toni rossi è caratterizzata da grandi scogli che affiorano dal mare dai bellissimi colori e dalle forme particolari. Le acque che bagnano la spiaggia sono chiare, piuttosto basse e ideali per lo snorkeling. Pori non ha ombrelloni e lettini in affitto ma è presente un piccolo porticciolo per pescherecci e una taverna greca tradizionale dove mangiare ottimo pesce. Sulla collina alle spalle della spiaggia di Pori si trovano una serie di tradizionali mulini a vento da dove assaporare lo splendido spettacolo della natura.

4) Vourvoulos Beach:  a 6 chilometri dal capoluogo dell’isola Fira si trova la spiaggia di Vourvoulos. Sabbiosa e appartata, poche strutture turistiche si trovano nelle vicinanze, su questa spiaggia potrete trovare tranquillità e calma anche nel clou della stagione estiva visto che è tra le spiagge nere meno conosciute dell’isola. Vourvoulos è una piccola spiaggia di sabbia grigia e ciottoli, poco attrezzata ma con una buona taverna di pesce. Scure e imponenti scogliere, sovrastate da candidi mulini a vento, e numerosi alberi di faggio orlano la spiaggia e le sue acque azzurre. Per raggiungere la spiaggia di Vourvoulos, non servita dagli autobus, seguite la strada secondaria che collega il capoluogo con Oia. Nelle vicinanze del villaggio di Vourvoulis si trovano una serie di spiagge nascoste: la più settentrionale è una piccola spiaggia di ciottoli di Xiropigado mentre più a sud si trova la stretta spiaggia di Kanaraki con piccoli ciottoli neri. Exo Gialos è una spiaggia con alcune piccole grotte. L’ultima spiaggia, la migliore, è Karterados, è una grande distesa di sabbia nera ed è servita da un paio di taverne.

5) Monolithos Beach: Lungo la costa orientale di Santorini, non lontano dalla spiaggia di Kamari e nell’area dell’aeroporto, si trova la spiaggia di Monolithos meno affollata delle altre ma comunque con una discreta offerta di buoni hotel e appartamenti in affitto, ristoranti e locali notturni. Questa distesa di sabbia fine dal colore scuro è una spiaggia tranquilla, attrezzata e che offre la possibilità di praticare anche gli sport acquatici. Le acque poco profonde della spiaggia di Monolithos la rendono una meta ideale per tutti e in special modo per le famiglie con bambini tanto che vi troverete allestito anche un parco giochi oltre un campo da beach volley. La spiaggia è circondata da alberi ideali per chi cerca ombra naturale.

6) Kamari Beach: è quella che si raggiunge più facilmente, sia in auto che in autobus: questa comodità, assieme ai numerosi servizi disponibili, l’ha resa anche una delle più popolari. Premiata più volte con il titolo di Bandiera Blu per la pulizia delle acque e la qualità dei servizi, Kamari è la spiaggia cittadina per eccellenza.

7) Perissa Beach: è una lunga distesa di sabbia nera con caratteristici ombrelloni di paglia: al primo sguardo già palesa la sua vocazione al relax. Ha la reputazione di spiaggia dei backpackers, e in effetti sono molti i giovani che vengono qui attirati dai prezzi degli alloggi, più economici rispetto ad altre zone di Santorini, dai bar in spiaggia che propongono musica fino a sera inoltrata e dalla quantità di sport acquatici che si possono praticare. Tuttavia, non sono solo i giovani ad apprezzare l’atmosfera rilassata di Perissa ma in generale tutti quelli che vogliono abbinare bellezze paesaggistiche e comodità.

8) Perivolos Beach: si trova subito dopo Perissa lungo la strada che conduce a Vlychada, sulla costa sudorientale di Santorini a 17 chilometri dal capoluogo dell’isola Fira. Come tutte le spiagge che si trovano lungo il versante orientale, e in particolare Perivolos visto che si trova quasi all’estremità meridionale, è ideale quando soffiano i venti da nord. Perivolos ha una sabbia nera, più chiara rispetto a quella di Perissa, che si getta in acque chiare scintillanti. Anche se lungo la spiaggia si trovano dei bar molto frequentati e molti ristoranti, Perivolos non perde il suo fascino ed ha un’atmosfera tranquilla. L’abitato si trova a soli 10 minuti di cammino, è il prolungamento naturale di Perissa, ed è un luogo rilassato dove le abitazioni imbiancate a calce si affacciano su strade alberate. Qui si possono praticare vari sport nautici come il windsurf, immersioni subacquee e jet ski.

 

9) Red beach:  noleggio sdraio – no cibo: è probabilmente la spiaggia più famosa e particolare di Santorini.  Di origine vulcanica, é una spiaggia mista di sabbia e ciottoli di colore rosso, lo stesso delle imponenti scogliere alle sue spalle. Si raggiunge in barca (ogni 1/2 ora da Akrotiri o da Fira) oppure in auto e poi con una camminata di circa 10 minuti lungo un sentiero piuttosto scosceso. È possibile noleggiare sdraio e ombrelloni, ma non ci sono bar o ristoranti sulla spiaggia quindi portate con voi scorte di cibo e bevande.

10) White Beach:  Attigua a Red Beach meno affollata rispetto alla sua sorella più famosa: come fa intuire il nome, le scogliere che la circondano non sono rosse ma bianche. Si raggiunge solo in barca oppure a piedi o a nuoto da Red Beach (calcolate circa 20 minuti) e questa sua remota posizione fa sì che la spiaggia sia poco visitata.

11) Kambia Beach: cibo: è una delle meno conosciute di Santorini e si trova lungo la costa meridionale nella parte sudoccidentale dell’isola nella zona di Akrotiri, a 13 chilometri da Fira, a fianco delle meravigliose spiagge di Red Beach e White Beach. Kambia è una piccola e tranquilla spiaggia di ciottoli scuri bagnata acque cristalline e poco attrezzata. Ci sono due piccole taverne che servono bevande e cibo e offrono una bella vista sul faro e sulla vicina spiaggia rossa. Kambia è raggiungibile sia in auto che in bicicletta attraverso una strada un po’ dissestata che collega il villaggio di Akrotiri a Faros.

12) Vlychada Beach: sdraio – cibo: si trova sulla punta meridionale dell’isola di Santorini a 14 chilometri da Fira. E’ lunga oltre 800 metri ed è abbastanza riparata dal vento. Con le sue rocce bianche dalla curiose forme e la distesa di sabbia scura mista a ciottoli, Vlychada ha un fascino lunare che le ha guadagnato il soprannome di “Moon beach“. Vlychada è una spiaggia bellissima di sabbia grigia mista a pietra pomice chiara circondata da alte scogliere bianche, scolpite in forme particolari dal vento e dal mare, ma stranamente è poco frequentata.  Il mare diventa subito profondo, rendendo questa spiaggia suggestiva poco adatta a famiglie con bambini piccoli. Avrete la possibilità di noleggiare lettini e ombrelloni, anche se non sono molti e solo nella prima parte del litorale, il lato orientale, e di rifocillarvi nella taverna o nella caffetteria costruita in pietra naturale locale e legno proprio sulla spiaggia, ideale per un drink al tramonto. Curiosità: il Museo del Pomodoro a Vlychada Se volete aggiungere qualcosa di originale e meno turistico alla vostra vacanza a Vlychada visitate il Museo del Pomodoro, ospitato in una ex fabbrica all’interno di quello che oggi è il centro culturale Santorini Arts Factory. Durante la visita potrete saperne di più sulla produzione del pomodoro, un aspetto davvero poco noto dell’isola di Santorini!

13) Agios Georgios Beach:  sdraio – cibo – hotel: è una delle più famose di Santorini anche se non è molto frequentata. La spiaggia si trova lungo la costa orientale dell’isola, vicino alla punta meridionale, subito dopo la spiaggia di Perivolos, a 3 chilometri e mezzo da Perissa e a 3 dal villaggio di Emporio. Agios Georgios è una spiaggia nera molto ampia dove potrete trovare numerosi ombrelloni e lettini in affitto, alberghi di varie fasce di prezzo, taverne e bar sulla spiaggia, oltre a numerosi agenzie di sport acquatici tra cui jet-ski, immersioni, windsurf, pedalò e banana boat.

 

  1. C) COSE DA FARE

1) Hiking Trail Fira – Oia  (meglio in questo senso): sentiero n° 9 – circa 2/3 ore. Parte dalla Orthodox Church of St. Gerasimos a Fira. Il sentiero non è impegnativo, non sono necessarie scarpe da trekking ma scarpe da ginnastica. Abbandonata Fira si attraversano i paesini di Firostefani e Imerovigli con splendidi hotel veramente di lusso. Poi inizia il percorso “meno comodo” ma ugualmente bello, per arrivare all’ultimo tratto un po’ più impegnativo. A Firostefani ed Imerovigli si può acquistare acqua poi fino ad Oia ci sono due chioschi (ma non sempre sono aperti al mattino presto). che vendono frutta e vi posso garantire che quando il sole a mezzogiorno incomincia a “mordere”, i chioschi sono una manna!. Si parte da un’altitudine di 270 mt per salire fino a punto massimo di circa 350 mt nei pressi di Imerovigli per poi riscendere fino a Oia dove, a un livello sul mare di 130 mt.

 

2) Crociera nella caldera:

*) Daukoutros (https://www.santorini-excursions.com/)

proposta 1: Nea Kamani e Palea Kamani: 3 ore – dalle 11 alle 14 oppure dalle  14 alle 17- € 20 adulti € 10 bimbi – partenza da Fira – Old Port

proposta 2: tour della caldera: Nea Kamani – Palea Kamani – Thirasia (pranzo libero su Thirasia)

6 ore – dalle 10.45 alle 16.45 – € 26 adulti  € 13 bimbi   – partenza da Fira – Old Port

**) Get Your Guide (non hanno meno di 8 ore)

https://www.getyourguide.it/s/?q=Santorini&lc=l753&ct=48&cmp=ga&partner_id=CD951&date_from=2020-08-16&date_to=2020-08-16&searchSource=1&p=1

 

#) FOLEGANDROS

http://www.isole-greche.com/2015/01/folegandros-cosa-vedere.html

https://www.vacanzegreche.com/blog/folegandros.aspx

https://www.folegandros.gr/it/

E’ una piccola isola dell’arcipelago delle Cicladi in Grecia. È situata a circa 160 km a sud-est di Atene e a 40 km a nord di Santorini nel Mar Egeo. Amministrativamente è un comune della periferia dell’Egeo Meridionale (unità periferica di Santorini) con 765 abitanti al censimento del 2011. La sua lunghezza massima è di 13 km e la sua larghezza massima è di 3,7 km. A metà dell’isola la sua larghezza diminuisce e si stringe fino solo a 1 km. Sembra così che sia divisa in due parti che abbiano circa la stessa lunghezza, mentre nella lingua di terra che si forma in mezzo si delineano due baie: quella di Plaka e quella di Vathì. Hha una superficie di circa 32 km², raggiunge la massima elevazione di 445 m s.l.m. Tra le isole dell’arcipelago delle Cicladi, Folegandros appare come una delle più inospitali e riservate. La sua terra aspra e spesso battuta dal meltemi, vento estivo del mar Egeo, sembrano essere naturali resistenze al turismo di massa, ma i suoi tratti di costa che formano scogliere a picco sul mare, le sue tipiche casette bianche spruzzate di blu, la sua amabile atmosfera familiare con quel pizzico di mondanità, rendono questa piccola isola un luogo d’infinita bellezza che è difficile dimenticare. Il mare di Folegandros è tra i più limpidi della Grecia e i fondali rocciosi regalano scenari unici che attirano divers e amanti dello snorkeling. Le sue spiagge conservano ancora ambientazioni da luoghi selvaggi e deserti, perché non attrezzate e raggiungibili mediante sentieri o soltanto in barca.

Un vecchio nome dell’isola tuttora usato è Polyandros (con molti uomini), che proviene da un mito, secondo cui, i primi abitanti dell’isola erano pastori e tutti uomini. Solo uomini. L’attuale nome, invece, proviene da Folegandros, figlio di Minosse, re di Creta, il quale secondo un’altra versione, fu il primo a colonizzare l’isola.

  1. A) INFO DEI VARI POSTI

Karavostasi, tranquillo porto dell’isola, la Chora, capoluogo dove si trascorrono sempre piacevoli serate e Ano Meria, poco più di un gruppo di casette. Sono collegati dalla strada principale che attraversa tutta l’isola:

 

1) Karavostassi: qui si trova il porto. Il nome significa “dove la navi fermano”.  Un tempo borgo di pescatori, oggi rimane un sonnacchioso abitato che ha come protagoniste le tradizionali casette bianche con le finestre blu che si dispongono lungo tutta la baia. Nel porto sono sempre ormeggiate barchette e qualche elegante yacht. Ci sono alcune taverne, minimarket e alloggi per fermarsi a dormire. Nei pressi di Karavostassi ci sono alcune deliziose spiagge da raggiungere a piedi oppure tramite le imbarcazioni che partono dal porticciolo.

2) Chora: è il capoluogo di Folegandros. Si trova un’altitudine di 200 m s.l.m. sul bordo di un’altissima scogliera. Offre panorami mozzafiato, da gustarsi dalla piazzetta dove si fermano i pullman o, ancor meglio, dalla chiesa Panagia Paraportiani, raggiungibile attraverso una stradina che sale sulla collina. Questo piccolo tipico borgo cicladico ha minuscole viuzze lastricate e quattro piazzette che sembrano dei salotti all’aperto. È formato da due distinti insediamenti: la parte più antica, il Kastro, circondato da mura che difendevano gli abitanti dalle incursioni dei pirati; la parte più moderna, fuori dalle mura, è formata dalle tipiche casette bianche con le finestre blu: la costruzione degli edifici è sottoposta a vincoli che intendono preservare la tradizionale architettura delle Cicladi. Per entrare al Kastro bisogna varcare una vera e propria soglia di ingresso, un arco. Il Kastro che è costituito da case che iniziano a metà del paese e finiscono sul ciglio del dirupo sul mare. La strada principale di Kastro è uno dei punti più pittoreschi dell’isola e si chiama Kato Roua. All’interno un labirinto di vecchie e strette stradine bianco calce vi faranno sbucare ad un muretto a secco vista scogliera sul mare. Costruito nel 1210 dai veneziani, oggi è un villaggio nel villaggio che vi porterà indietro col tempo. Le vecchie case che si trovano qui sono a due piani, con le finestre e ringhiere di legno, pennellate in vari colori, che interrompono la monotonia del bianco. All’interno del Kastro molte case sono ancora da ristrutturare e nel loro essere “sgarruppate”, mantengono tutti gli elementi architettonici originali. Le porte d’ingresso sono delle vere e proprie opere d’arte.. I muri esterni di queste case formano le mura del Castello e sono un caratteristico esemplare dell’abitato fortificato cicladico.

Il centro della Chora è off-limits per le automobili e per le moto. In realtà, sono pochissime le automobili che circolano sull’isola. Le dimensioni dell’isola suggeriscono, infatti, l’utilizzo di uno scooter o un quad. La prima automobile giunse a Folegandros nel 1970 e fu soltanto in quegli anni che furono realizzate le prime strade asfaltate. Prima c’erano solo sentieri e mulattiere, molti dei quali ancora oggi esistenti: offrono la possibilità di fare escursioni a piedi o in bicicletta. Percorrendoli potreste facilmente incontrare qualche contadino a piedi o in groppa a un asino, un mezzo di trasporto ancora oggi utilizzato dagli abitanti di Folegandros.

3) Chiesa di Panagia Virgin Mary: posto perfetto per vedere il tramonto. Sui pendii della collina di fronte a Chora si trova il grande monastero della Madonna con un’incantevole vista su tutta l’isola e il mare. Si tratta di una bianchissima, imponente chiesa abbaziale, di un vecchio monastero che festeggia la Vergine Maria sia il 15 agosto sia durante la Pasqua Ortodossa. In entrambe le occasione si celebra una grande festa. Durante la Pasqua Ortodossa la festa dura tre giorni consecutivi. E’ la chiesa più famosa dell’isola ed è dedicata all’Assunzione della Vergine Maria. Probabilmente è stata costruita sul sito di un antico tempio. L’icona della Vergine Maria qui conservata è presumibilmente di epoca bizantina ed è associato a molte storie, leggende e miracoli. L’accesso a Panagia è fatto da un lungo sentiero lastricato in pietra e calce bianca, che parte da una piazza della Chora. Dalla collina si può vedere il sentiero a zigzag che porta ad essa. Potete arrivare quassù solo a piedi oppure con gli asinelli.

4) Ano Meria: è un villaggio con caratteristiche rurali, dove risiede la maggior parte degli abitanti dell’isola (600 circa i residenti permanenti dell’isola) molti dei quali, i più vecchi, parlano italiano, insegnatogli dai militari italiani che hanno presidiato l’isola negli anni 1941-43. È il secondo insediamento più grande dell’isola. Consiste in un agglomerato di case sparse ed immerse in un’atmosfera rurale. Nella sua periferia meridionale è visitabile il museo del folklore, dove è possibile visitare una casa tradizionale risalente al VII secolo ed un’abitazione dei primi del ‘900. Essendo più esposta, ad Ano Merià soffia impetuoso il meltemi ma, in ogni caso, si tratta di un luogo suggestivo, con i suoi tramonti infuocati ed i suoi ristoranti dalla cucina tradizionale: in particolare vanno per la maggiore i formaggi di capra e la “matzata”, un piatto di pasta fresca accompagnata con carni cucinate in umido e che costituisce la principale specialità isolana.

 

  1. B) SPIAGGE

Folegandros ha soltanto 40 km di costa, gran parte della quale inaccessibile perché composta da altissime scogliere. Tuttavia, ci sono decine di incantevoli spiagge tutte bagnate da un mare cristallino multicolore che non ha nulla da invidiare a celebri mete tropicali. Scoprirete scenari unici, da ammirare spesso in completa solitudine. Escludendo uno o due casi, le spiagge di Folegandros non sono attrezzate. Perciò prima di andare al mare bisogna ricordare sempre di portare con sé cibo, bibite e ogni altra cosa possa servire. La natura è incontaminata, le spiagge sono a volte da raggiungere mediante sentieri. Queste piccoli fastidi vengono ricambiati dalla tranquillità delle spiagge e dalla bellezza di un mare puro, limpido e cristallino. Si possono raggiungere con un mezzo proprio, con l’autobus o con le barche delle escursioni giornaliere che partono porto di Karavostassi e da Agali (dalle 11.00) (l’unica spiaggia attrezzata, ci sono anche due taverne)

 

Sud

1) Karavostasi alias Kochlidia: Lunga spiaggia di ciottoli e sassolini situata sul lungomare del porto e ombreggiata da pini marittimi. È raggiungibile con un mezzo di trasporto o con una camminata di 2 minuti dalla fermata dell’autobus del porto. Mare pulito, considerato l’esiguo numero di navi che transitano a Folegandros. Ristoranti, snack bar e mini market.

2) Vardia: Estesa baia di sabbia e sassolini dalle acque particolarmente cristalline, si raggiunge in motorino o auto o in 3 minuti di cammino dalla fermata del bus del porto. A breve distanza si trovano le taverne, gli snack bar e il mini-market del porto

– Latinaki: È una delle calette che si incontrano percorrendo la strada costiera che collega il porto alla spiaggia di Livadi. Una scalinata conduce dalla strada principale alla spiaggia. Raggiungibile anche a piedi dalla fermata del bus del porto, da cui dista circa 700 metri. Sulla spiaggia non vi sono punti di ristoro, ma al porto esistono ristoranti, snack bar e un mini-market ben fornito.

3) Livadi: Di sabbia e sassolini, si raggiunge in motorino o auto o in 20 minuti di cammino dalla fermata del bus del porto. Non esistono servizi di trasporto pubblico, né di terra, né di mare. Alcuni alberi ombreggiano la zona retrostante la spiaggia. Nonostante le acque cristalline, la sua posizione un po’ defilata e poco servita da collegamenti la rende molto vivibile anche nei mesi di altissima stagione. A 50 metri si trova la taverna a gestione familiare del campeggio.

– Vitsetsou (Vincenzo): Piccola baia di sabbia e sassolini, si raggiunge in motorino o auto o in 10 minuti di cammino dalla fermata del bus del porto. Non esistono servizi di trasporto pubblico, né di terra, né di mare. A 300 metri, sulla spiaggia di Livadi, si trova la taverna a gestione familiare del campeggio.

4) Pountaki: Piccola baia di sabbia e sassolini, si raggiunge in motorino o auto o in 15 minuti di cammino dalla fermata del bus del porto. Non esistono servizi di trasporto pubblico, né di terra, né di mare. A 250 metri, sulla spiaggia di Livadi, si trova la taverna a gestione familiare del campeggio.

5) Katergo: Lunga spiaggia di sabbia e sassolini dalle acque turchesi. È molto assolata e non esiste ombra naturale, né punto di ristoro, per cui si consiglia di munirsi di un ombrellone e di acqua e viveri. Con Livadaki si contende il primato di spiaggia piú bella dell’ isola.

È raggiungibile con:

# una camminata di 20 minuti dal paesino di Livadi 

# con comodo servizio di barche in partenza dal porto.

Centro

1) Agali: è un piccolo insediamento sul mare davvero scenografico: alcune casette puntellano di bianco la rocciosa baia di Vathi. Si trova a 4 km dalla Chora. Anche se la maggior parte dei visitatori preferisce visitarla in giornata, è possibile rimanere per la notte in una delle casette in affitto o in uno dei nuovi boutique hotel. Agali mostra un fascino sempre diverso durante la giornata: la mattina presto si apprezza un silenzio irreale, rotto al più dal dolce cinguettio di un uccellino; quando il sole è alto si riempie di bagnanti; di sera l’atmosfera diviene magica perché le luci la rendono simile ad un piccolo presepe.La spiaggia di Agali è di sabbia chiara; il suo mare ha tonalità del blu con riflessi smeraldini. Non ci sono ombrelloni e lettini, ma taverne e bar concedono ristoro, riparo dal sole e servizi igienici.

Agali essere raggiunto dalla Chora sia a piedi sia con l’autobus. La fermata è sulla strada principale, in cima alla stradina in terra battuta in ottime condizioni che, dopo circa 300 m, conduce in spiaggia. Se venite in bicicletta sappiate che la risalita è impossibile, a meno che non abbiate partecipato a qualche tappa di montagna del Giro d’Italia. Nulla di preoccupante: basta salire a piedi e rimontare in sella appena arrivati sulla strada asfaltata. In realtà, sarete costretti a fare lo stesso anche con uno scooter 50cc. 

Da Agali si raggiungono altre spiagge: a piedi (i sentieri sono poco impegnativi e la durata è breve, tra i 10 e i 30 minuti): Galifos, Agios Nikolaos e Phira, con le barchette che salpano dal piccolo molo: Livadaki e Agios Nikolaos.

2) Galifos:Piccola spiaggetta di ciottoli con acque particolarmente limpide, si raggiunge con una camminata di 10 minuti da Agali, prendendo un sentiero che parte sulla destra della spiaggia e che, proseguendo, giunge ad Agios Nikolaos. Non c’é ombra naturale, né punto di ristoro.

3) Agios Nikolaos: Di sabbia e sassolini, é uno dei lidi piú “alla moda” di Folegandros. È in assoluto la baia meglio posizionata rispetto ai venti. Una parte della spiaggia é ombreggiata da pini marittimi. Taverna “Papalagi” in posizione favolosa, gestita dai fratelli Takis e Paris; ottima cucina casalinga e pesce fresco.

Si raggiunge da Agali:

# con un sentiero sulla destra della spiaggia che richiede 20 minuti di cammino

# con le barchette in partenza dal molo.

4) Fira (Phira): Spiaggetta di sabbia e ciottoli con acque particolarmente limpide, si raggiunge con una camminata di 15 minuti da Agali, prendendo un sentiero che parte sulla sinistra della spiaggia. Per la sua posizione, é la spiaggia che gode della maggior durata di sole pomeridiano serale. Non c’é ombra naturale, né punto di ristoro.

5) Livadaki: È una spiaggia di sassolini e ciottoli bianchi dalle acque turchesi, inserita in un contesto naturale di rara bellezza. C’è poca ombra naturale, non c’è punto di ristoro. Con Katergo si contende il primato di spiaggia più bella dell’isola. C’è un faro (si può entrare dalla finestra) sul Capo Aspropunta.

Il Faro di Aspropunta si è costruito nel 1919 ad altezza di 58 m. sopra il livello del mare e la sua lanterna è alta 11 m. La sua luce è visibile a una distanza di 17 miglia nautiche. All’inizio della sua funzione, il faro si accendeva con lo stoppino, in seguito con un meccanismo di vapore a petrolio e dal 1986 funziona con l’energia solare. Si raggiunge in 15 minuti a piedi dalla spiaggia Livadaki, imboccando un sentiero a sinistra della spiaggia, che costeggia la baia.

La spiaggia è raggiungibile:

# a piedi, in un’ora dal capolinea del bus di Ano Meria, proseguendo in direzione opposta al paese e prendendo una mulattiera indicata sul lato sinistro della strada principale;

# con servizio pubblico di barche (10/15 minuti) in partenza dal molo della spiaggia di Agali ogni ora dalle 11

Non esiste ombra naturale, né punto di ristoro. Con Katergo si contende il primato di spiaggia più bella dell’isola.

6) Voreina: È una stretta spiaggia di ciottoli sul versante centro settentrionale dell’ isola, raggiungibile solo a piedi prendendo un sentiero che parte da circa metà strada fra Chora e Agali sul lato destro; abbastanza ardua la risalita. È particolarmente esposta al “meltemi” ed ai venti provenienti da Nord, ma nelle giornate di calma piatta il mare che la bagna è di un turchese ineguagliabile. Non esistono punti di ristoro.

Nord

1) Agios Georgios: Di sabbia e sassolini, si trova sulla punta nord occidentale dell’ isola e si raggiunge a piedi da Ano Meria, percorrendo una mulattiera (45 minuti di cammino) che parte in corrispondenza della taverna “Maria” oppure con mezzi di trasporto propri, in quanto non esistono servizi di trasporto pubblico, né di terra, né di mare, oltrepassando il paese di Ano Meria e proseguendo su una strada sterrata con tratti di forte pendenza. É molto esposta al “meltemi” ed ai venti provenienti da Nord. Alcuni alberi ombreggiano la zona retrostante la spiaggia e non vi sono punti di ristoro.

2) Ligarià: Piccola baia di sabbia e sassolini, Non c’è ombra naturale e non vi sono punti di ristoro. È molto esposta al “meltemi” ed ai venti provenienti da Nord. Si trova sulla punta nord occidentale dell’isola e si raggiunge:

# a piedi da Ano Meria (55 minuti di cammino), percorrendo la mulattiera fino ad Agios Georgios e proseguendo sulla strada sterrata a sinistra;

# con mezzi di trasporto propri, in quanto non esistono servizi di trasporto pubblico, né di terra, né di mare, oltrepassando il paese di Ano Meria e proseguendo su una strada sterrata con tratti di forte pendenza.

3) Ampeli: Minuscola spiaggia di sassolini bianchi collocata in una profonda baia all’ estremo Nord dell’ isola sulla costa sud-occidentale. Si raggiunge a piedi, in 45 minuti dal capolinea del bus di Ano Meria, proseguendo in direzione opposta al paese e prendendo una mulattiera indicata sul lato sinistro della strada principale oppure con mezzo di trasporto proprio, oltrepassando Ano Meria e percorrendo una strada sterrata che parte dalla fine della strada principale. Non vi sono punti di ristoro, né ombra naturale.

#) MILOS 

https://www.milos-grecia.it/

https://www.vacanzegreche.com/blog/milos.aspx

E’ un’isola greca del Mar Egeo di origine vulcanica, che si trova nell’angolo sud-occidentale dell’arcipelago delle Cicladi.La maggior parte della popolazione di Milo abita nella parte nord-orientale dove si trovano i villaggi di Plaka (che è il capoluogo dell’isola), Tripiti, Pollonia, Triovasalos, Pera Triovasalos e Adamas, il porto principale dell’isola da cui partono e arrivano i traghetti. Il porto più piccolo (principalmente per la tratta Milo-Kimolo) è Pollonia. Il resto dell’isola è invece quasi privo di insediamenti umani, non ci sono strade asfaltate e a volte le spiagge sono raggiungibili solo dal mare.

Secondo la bellissima mitologia greca, l’isola prende il nome dal suo primo abitante appartenente alla famiglia Milos. La leggenda narra che il figlio della famiglia reale di Cipro fu spinto dalla dea Venere a popolare l’isola. Tuttavia in molti sono d’accordo nel ritenere che Milos sia l’evoluzione della parola greca “Vilos” (“pecore in italiano”) data la sua forte presenza di capre ed ovini in generale.

Milos ha una popolazione di 5.129 persone (secondo il censimento del 2011). Molto meno abitata rispetto al 1907, quando sull’isola vivevano 17.638 abitanti, di cui 4.864 in villaggi e 12.774 al di fuori delle aree urbane.

Milo ha una lunga storia e conserva testimonianze minoiche, ellenistiche, romane e bizantine.

Da est a ovest misura circa 23 km, da nord a sud 13 km e la sua area è stimata in 151 chilometri quadrati. Ha una forma a ferro di cavallo, formando così una grande baia naturale. La maggior parte dell’isola è aspra e collinosa. Il suo punto più alto è il Monte Profitis Elias a 748 metri (2 454 piedi) nella parte occidentale dell’isola. Lo segue il Monte Chondro (636 m), poco distante dal primo. L’isola, come tutto il resto delle isole Cicladi, è di origine vulcanica, con tufo, trachite e ossidiana tra le sue rocce ordinarie. La baia naturale è la cavità del cratere principale che, con una profondità che diminuisce da 130–55 m, colpisce da nord-ovest in modo da separare l’isola in due parti abbastanza uguali, con un istmo non più largo di 18 km. È una delle più grandi baie naturali della Grecia. In una delle grotte sulla costa meridionale, il calore del vulcano è ancora eccezionale e sulla sponda orientale dell’isola ci sono calde sorgenti solforose.Milo è un’isola vulcanica attiva e la sua unicità la rende unica nei paesaggi con diversi tipi di rocce studiate da scienziati di tutto il mondo.

La parte occidentale dell’isola: La metà occidentale dell’isola è la parte più selvaggia e più affascinante dell’isola. Qui non ci sono villaggi, solo alcuni insediamenti e alcune vecchie miniere, di cui solo una di pozzolana è tuttora in funzione. In questa parte dell’isola non ci sono strade asfaltate ma solo strade bianche e sentieri. Il lato sud-occidentale di Milo è un habitat della foca mediterranea mentre il resto della parte occidentale dell’isola è un habitat della vipera rossa di Milo (Macrovipera schweizeri) e della lucertola (Podacris milensis). Nell’area Natura2000 vi è il litorale e il lago di Achivadolimni, che un tempo era pieno di vongole e altri molluschi, da qui il suo nome (Αχιβαδα= mollusco Λίμνη= lago), oggi è la più grande zona umida naturale delle Cicladi, un’importante stazione di uccelli migratori. Nella parte occidentale di Milo ci sono un certo numero di piante, erbe e fiori selvatici e uccelli protetti come la Mavropetritis, una rara specie migratrice di falco. Per visitare questa parte ci vuole un 4×4. Le berline non sono assicurate. 

La parte orientale dell’isola: La metà orientale è contraddistinta dall’altipiano di Plaka, il capoluogo comunale, e le altre maggiori località, la costa nord (famosa per la varietà e la bellezza delle spiagge di Fyropotamos, Sarakiniko, Papafragas e Kapros), il paese di Pollonia, nell’estremità nord-est, a poca distanza da Kimolo e la catena montuosa della costa orientale (dove ci sono le miniere di bentonite). Altri siti minerari si trovano nella punta nord-ovest della parte orientale dell’isola, a Trachilas e nella parte sud, a Tsigrado e Fyriplaka (miniere di perlite)

La città portuale è Adamantas; dal porto si sale fino all’altopiano, su cui si trovano Plaka, il capoluogo e Kastro, che sorge su una collina sopra di esso, e altri villaggi, come Tripiti, Triovasalos, Pera Triovasalos, Vato e Plakies. L’antica città di Milo era più vicina all’ingresso del porto di Adamas e occupava il pendio tra il villaggio di Trypiti e l’attuale villaggio dei pescatori di Klima. In questo sito sono state trovate numerose opere d’arte, in particolare la Venere di Milo, oggi conservata al Museo del Louvre di Parigi.

Cucina: Plaka offre un’ampia scelta di antipasti come i formaggi locali: la crema di formaggio e ‘touloumotyri‘, il ‘xerotyri, preparati con maestria e cura dai pastori dell’isola.Non possono mancare sul tavolo anche lo squisito concentrato di pomodoro Milo, i capperi locali, i vasetti realizzati con caramelle dolci, zucchine, carne, mandorle e miele. Quest’ultimo è il simbolo della vita di coppia mentre, le mandorle, simboleggiano la prosperità.A Plaka è d’obbligo provare il frutto del nuovo raccolto costituito da grano e pane d’orzo fatti in casa: il preparato di orzo viene prima immerso in acqua di mare e, successivamente guarnito con del pomodoro fresco.Anche la pasticceria offre ricchi spunti per un dessert di tutto rispetto. La cucina di Plaka Milos è conosciuta soprattutto per le torte salate ripiene di crema di formaggio con menta e pepe secco. L’anguria trova spazio nella caratteristica ‘karpouzopita’, una torta ricca di sapori arricchita di carne, zucchine, miele e mandorle.La degustazione del cibo greco prosegue nelle taverne e nelle grill house della città. Sono ottimi i piatti a base di pesce come il polpo grigliato o alla salsa di vino, la pasta di aragosta e il pesce fresco appena pescato al porto.Per chi preferisce la carne può optare per l’agnello al forno guarnito con i pomodori oppure, per il gallo in salsa rossa. Ottima anche la cosiddetta ‘ladenia’, torta ripiena di cipolla, olio d’oliva e pomodoro.

Tramonti:I tramonti offerti da Milos sono considerati tra i migliori al mondo, anche superiori rispetto alla visuale della più rinomata isola di Santorini. Per godere al meglio dello scenario vi sono delle zone privilegiate come Utopia bar e la chiesa di Panagiatis Korfiatissa, la chiesa ortodossa di Plaka,da cui si possono ammirare a pieno Cape Vani, il golfo e le vicine isole Arkadies ed Antimilos.Il consiglio però è di prendere posto con molto anticipo dato che in questo periodo della giornata solitamente sono molto affollate proprio per questa visuale mozzafiato. Altro posto è il villaggio Klima

 

  1. A) INFO DEI VARI POSTI

 

1) Plaka: Costruita nel 18esimo secolo, Plaka è il capoluogo di Milos, in greco Μήλος Mìlos, situata nella parte sud-occidentale dell’arcipelago delle Cicladi, nel Mar Egeo. Si tratta di un piccolo paesino turistico caratteristico per i suoi vicoli tortuosi e le sue casette basse in calce bianca.La sua storia risale all’occupazione del V secolo a.C. quando l’allora fiorente cittadina sul mare si alleò con la potente flotta di Sparta. Secondo il retore Isocrate il patto sancito con i Lancedemoni fece infuriare la flotta dell’acerrima nemica Atene che, nel 416 a.C, inviò su Plaka Milo i migliori guerrieri della città per punire crudelmente il popolo de Melii.Gli uomini vennero uccisi mentre le donne furono ridotte in schiavitù. Attualmente il comune omonimo, è costituito sia da Milo che da altre due isole disabitate chiamate Antimilo e Akradies. La popolazione totale presente su Plaka è di circa 3mila abitanti.Dagli inizi del 1700, come altre isole greche, Milo dovette più volte proteggersi dall’attacco della pirateria che scorribandava lungo tutto il Mar Mediterraneo. Nonostante il passaggio frequente dei predoni del mare, grazie all’aiuto solidale delle altre isole e alla compatta comunità isolana, Plaka Milo è riuscita con il tempo a sopravvivere fino ai giorni nostri.

Se si è di passaggio a Plaka oppure si è deciso di trascorre qualche giorno in più, bisogna sapere che questa piccola cittadina offre ottime occasioni di svago sia durante le ore più calde della giornata che alla sera. Di mattina si può scorgere le donne a fare le pulizie vicino agli ingressi delle case, in serata è il classico posto dove passeggiare, spizzicare del cibo e rilassarsi dopo una lunga giornata al mare. a pittoresca piazzetta di Plaka è il centro le paese, dove la vita scorre semplicemente e lentamente, tra il forno, le taverne e la fermata dell’autobus. Dalla strada che sale verso il centro di Plaka potrete scorgere la splendida baia e l’isola disabitata di Antimilos, un panorama davvero magnifico. Il сеntrо di Plаkа non è raggiungibile in аutо pеrсhé lе sue strаdine sοnо trοppо strеttе, ma c’è un аmpiо pаrсhеggiο соmunаlе аll’ingrеssο dеl paese dοvе poter lаsсiаrе la vostra аutο.L’аrеа сеntrаlе di Plаkа è un lаbirintο di vicoletti соn piccole botteghe, negozi di artigianato locale e casette bianche con le finestre ricolme di fiori colorati. Qui le tаvеrnе pοsiziоnаnο i lоrο tаvоli dirеttаmеntе sulle stradine e nella piаzzеttа, così che il momento del pranzo e della cena diventino un tutt’uno con la vita quotidiana che scorre lenta e rilassata. Lа сhiеsа di Panagia Thalassitra, che si trova viсinо аllа piаzzа, hа unа grаndе tеrrаzzа dove potrete ammirare il gоlfο di Milоs. Proseguendo arriverete alle rovine del саstеllо di Plаkа, che si chiama Kаstrο, che si trоvа nеl puntο più аltо dеl villаggiο е dоminа l’intеrа isοlа di Milos. Talvolta viene indicato come Kastro veneziano, poiché la sua costruzione risalirebbe al periodo della dominazione veneziana sull’isola, dal 1204 al 1566. Sullа сimа del Kаstrо si trοvа lа сhiеsа dеllа Vеrginе Mаriа dаllа quаlе si gode della vista a 360 gradi su tutta l’isola. Più in alto si trova una struttura in cemento per la raccolta dell’acqua piovana e la cappella di Mesa Panagia. Da qui vistа dеl trаmоntο è incredibile, alcuni la paragonano a quella di Oiа а Sаntоrini. Il sole dipinge di riflessi dorati il mare e le strade, che offrono pittoreschi scorci da fotografare. I colori chiari delle case risaltano sul blu del Mar Egeo regalando un panorama incantevole e suggestivo.

Perchè soggiornare a Plaka Milos?: Si parla spesso del tramonto che offre la vista di Santorini perché Plaka è un territorio meno mondano della vicina ‘sorella’ greca. Eppure se si scorge l’orizzonte dal vasto balcone di fronte alla chiesa cattolica, non si può non rimanere estasiati. Il sole si staglia sulla superficie del mare sprigionando riflessi dorati che scaldano il blu del Mar Egeo. Le strade offrono più scorci da fotografare e colori nitidi che si sposano alla perfezione con il panorama. Camminare sulle strade battute dal caldo sole mattutino è un privilegio che conosce solo chi ha volto lo sguardo verso la bandiera issata nella parte vecchia della città, Kastro. Il tramonto è incantevole e suggestivo.Oltre al tramonto, Plaka di notte si trasforma. Le viuzze vengono riempite di tavolini dove mangiare all’aria aperta e respirare la vera Grecia. Atmosfera lontanissima per fortuna dall’ormai popolare Santorini dove tutto ormai appare meno greco.

 

2) Adamas: E’ una delle baie più grandi delle Cicladi ed il suo porto è un importante centro turistico del mediterraneo. E’ stata costruita nel nord della baia di Milos, Adamas in greco significa ‘’Diamante’’, venne costruita da alcuni profughi di Creta, che arrivarono a Milos dopo la rivoluzione fallita contro i turchi. Ad oggi Adamas ha circa 1000 abitanti.Il villaggio è per lo più composto da piccole case di color bianco e strette strade tranquille, che insieme formano un quadro bellissimo. Adamas ovviamente in estate è piena di vita ed è piena di locali sul mare come ristoranti, pub, gelaterie, pizza, bistecca, souvlaki, club, negozi, supermercati e banche.Architettonicamente meno bella di Plaka, è però a stretto contatto con il mare rispetto a quest’ultima. Ad Adamas si può unire relax e tranquillità alla vita notturna. Infatti spostandosi dal centro caotico e percorrendo solo 100 metri si è in totale armonia con il paesaggio.E’ sicuramente la cittadina più amata dai giovani per la sua vita notturna.Sul lungomare di Adamas c’è un ampio e grandissimo marciapiede con decine di esercizi commerciali e le Terme di Làkku, mentre nella parte sinistra vi sono molti locali dedicati ad attività nautiche. Infatti da Adamas è possibile affittare gommoni e motoscafi.Appena vi avvicinerete sarete assaliti da molti venditori di escursioni verso Kimolos o Kleftiko Infatti da qui si possono effettuare escursioni in barca a vela o escursioni organizzate per visitare tutte quelle spiagge inaccessibili o poco accessibili di Milos.Ad Adamas è presente anche una spiaggia ma nulla di che rispetto le bellissime spiagge di Milos. Il nome della spiagge è Lagada.Adamas è sicuramente il paesino di Milos che ha più esercizi commerciali dedicati al turismo. Da qui infatti di solito vengono consegnate le auto a noleggio di Milos, le chiavi degli appartamenti affittati e qualsiasi altra cosa legata al turismo che si può noleggiare come Quad, scooter e moto. Passeggiando per le stradine di Adamas potrete ammirare l’architettura tipica delle Cicladi, con le casette bianche e i balconi ricoperti di fiori.Lungo la strada si trovano un paio di monumenti della Seconda Guerra Mondiale e un parco che la maggior parte dei turisti non conosce, ottimo per godersi un po’ di tranquillità! Il villaggio di Adamas si sviluppa su una collina, infatti proseguendo per il sentiero sterrato, verso il faro potrete ammirare il paesaggio mozzafiato sulla baia e sull’isola. Da visitare la chiesa greco-ortodossa di Agios Haralambos, costruita nel 1870 su uno dei punti più alti e panoramici dell’isola di Milos. Molto vicino alla spiaggia di Adamas si trova l’antica chiesa di Agia Triada, costruita nel 842.Sul lungomare di Adamas c’è un ampio marciapiede con decine di negozi, caffetterie, ristoranti ed attività nautiche. Infatti da Adamas è anche possibile noleggiare gommoni e motoscafi per andare alla scoperta delle spiagge più belle dell’isola. Adamas ha inoltre un piccolo centro termale situato in una grotta chiamata “Ta Loutra Tou Lakkou”. L’ acqua ha una temperatura che oscilla da 35 a 41° C e il pozzo ha una base di cloruro di sodio. Oltre ad essere fonte di relax, le acque termali sono raccomandate per contrastare artrite, artrosi, osteoporosi, dolori muscolari e nevralgia. La Spa è gestita dal comune ed è aperta da giugno a ottobre solo al mattino. Il biglietto d’ingresso costa circa 2€.

Adamas è un borgo ricco di negozietti caratteristici che non troverete in nessun’altra parte dell’isola. Se siete a caccia di souvenir Adamas è il luogo giusto! Lungo il porto non mancano ristoranti, bar e locali notturni adatti ad ogni gusto. Tra i quali il Trapatselis, una taverna sul lungo mare che serve ottimi piatti di pesce, e della cucina tradizionale greca con una fantastica vista mare.

 

3) Pollonia: Pollonia detta anche Apollonia è un paesino o meglio villaggio di pescatori. Secondo gli ultimi censimenti a Pollonia vivono circa 300 abitanti. Si trova in una bellissima baia nella punta nord-est dell’isola di Milos.Pollonia è il secondo porto per grandezza di Milos, il primo è Adamas. Prende il nome dal tempio di Apollo che anticamente era ubicato vicino all’attuale faro di Pelekoudas (a sinistra del paesino). Tuttavia non immaginatevi un porto grande, ma un porto molto piccolo dal quale partono poche imbarcazione e dal quale è possibile partire verso Kimolos anche con la propria auto. Piccole imbarcazioni e ferryboat vi porteranno in circa 30 minuti verso questa fantastica isola che vi consigliamo di visitare. Pollonia ha proprio vicino il centro del paese una spiaggia (non bellissima rispetto il resto delle spiagge dell’isola) limitrofa a hotel, case in affitto, ristoranti, bar tipici dell’isola.Il paesino si estende verso la bellissima chiesa di Anghìa Paraskevì. Proprio di fronte al molo dove è ubicata la chiesa si possono scorgere le imbarcazioni dei pescatori locali che ogni mattina riempiono i ristoranti e le pescherie di ottimo pesce appena pescato. Inoltre Pollonia è la base per tutte le escursioni verso la Grotta di Papafraga e Glaronisia.Nella parte sinistra di Apollonia vi è una bellissima penisoletta dove si trova la cappella di Agios Nikolaos e Pelekouda. Proprio su questa penisola vi è uno scoglio che secondo la leggenda regala alla coppia che ci si siede sopra, una bellissima unione eterna.Proseguendo verso sud si andrà verso la bellissima miniera di Zolfo di Thiorichia o Paliorema.

4)  Emporios: è un piccolo villaggio sul mare nella parte occidentale di Milos. Ha poche case tradizionali costruite intorno al porto e una piccola spiaggia sabbiosa. Ci sono poche strutture turistiche, principalmente taverne di pesce e alcune camere in affitto. La vicina regione di Rivari è una riserva naturale per gli uccelli migratori. 

5)  Klima: paesino di pescatori con le classiche syrmata, casette colorate

  

  1. B) SPIAGGE (Elenco in senso orario partendo da nord-ovest)

Milos è conosciuta ovunque per le sue spiagge fuori dal comune. Si conta che nell’isola ci siano quasi 80 spiagge. Il mare è cristallino e le rocce dell’isola sono molto colorate e scolpite dal vento. Inoltre sono presenti decine di spiagge con sabbia bianchissima. Insomma se ancora non l’avete capito è adatta a tutti questa isola, sia a chi ama la roccia e sia a chi ama spiagge modello caraibico.

Alcune spiagge purtroppo sono accessibili solo dal mare (Gherakas, Kleftiko, Sikia) acquistando escursioni da Adamas. 

https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=1bnNBvLQmpZmp0sGBPhEgekthj78&ll=36.77914540944375%2C24.40741582006836&z=12

2) Plathiena: piccolo bar – poco attrezzata: La spiaggia di Plathiena è situata nella costa nord dell’isola di Milos e dista 2 chilometri circa da Plaka (il capoluogo). Questa meravigliosa spiaggia composta da sabbia, mare cristallino poco profondo e una ricca vegetazione che la circonda è possibile notarla dall’enorme chiesa ubicata nel centro della capitale. I suoi fondali bassi garantiscono una giornata senza preoccupazioni alle famiglie con bambini, che potranno rilassarsi e divertirsi alla grande con i propri piccoli.Mentre la baia nel quale è posizionata la spiaggia di Plathiena permette un ottimo riparo dai venti del nord, quindi nelle giornate ventose.. sapete già dove recarvi!La spiaggia di Plathiena oltre ad offrire ai visitatori uno scenario naturale unico e suggestivo, permette anche di godersi uno dei tramonti più belli dell’isola di Milos. Quando avrete finito la vostra sessione di sole, mare e divertimento, potrete rimanere fino a sera e ammirare il calar del sole che sembra tuffarsi nel mare!

2) Firopotamos:cibo – poco attrezzata – ombra – belle foto: Bellissima, dai colori mozzafiato ed incastonata dalle montagne. A nostro avviso non una delle più comode spiagge di Milos, ma forse una delle più piacevoli da ammirare. I lettini ed ombrelloni sulla spiaggia sono pochissimi ed arrivando in ritardo rischiate di rimanere senza, per questo vi consigliamo di andare presto. L’ombra e’ comunque presente in una parte di spiaggia grazie ai ginepri che garantiscono ombra per un bel po’ di persone. Tuttavia sotto ai ginepri la superficie non e’ morbidissima e il comfort non e’ altissimo. Il furgoncino presente in spiaggia è sprovvisto di tutto, per fortuna pero’ ha l’acqua, ma da mangiare quasi nulla se non un toast. Se siete amanti della fotografia come noi da Firopotamos potete raggiungere una chiesa greca da cui scattare foto mozzafiato. Inoltre sono presenti i resti di una costruzione dell’antica Grecia. Inoltre per chi ama tuffarsi sempre vicino la Chiesa vi e’ una piattaforma perfetta per tuffarsi nel fantastico blu di Firopotamos.

3) Mandrakia:solo foto – cibo: Avete presente la foto che si vede sempre quando cercate Milos su internet? Quella è Mandrakia. E’ costituita da scogli e l’acqua è davvero limpidissima. Molto bella e scenica da vedere e per fare foto, ma non una delle nostre preferite in quanto piena di moltissime barche e gommoni ormeggiati. Da vedere, ma non da rimanerci tutto il giorno secondo noi. C’è una taverna ben recensita.

 

4) Sarakiniko: no cibo – no ombra: una delle più belle. Chiamata Moon beach. Non è una vera e propria spiaggia, in quanto fatta di rocce. Difficile da raggiungere perchè appena parcheggerete la macchina dovrete scendere una discesa ripida (5 minuti). Ne vale la pena? Assolutamente. Il paesaggio che vi troverete di fronte è fantastico. Sembrerà di essere atterrati sulla luna con un mare mozzafiato. Infatti le rocce vulcaniche bianco latte modellate dal vento hanno assunto delle forme che ricordano un paesaggio lunare. Lo definirei un “white canyon”. Sotto vi è una piccola spiaggetta con acqua trasparente e calma essendo un’insenatura e visto che è protetta dalle rocce. Potrete fare delle piacevoli nuotate. Se vi spingete un po’ più in la troverete delle ottime scogliere dove fare dei bellissimi tuffi. E’ talmente invitante che vi sarà difficile andar via senza averne fatto uno. Proprio di fronte c’è un isolotto dal quale potete fare un pò di tuffi. Se riuscite godetevi la spiaggia di Sarakiniko la mattina presto o nel tardo pomeriggio, quando le persone sono molte di meno. Inoltre esplorate, con scarpe adatte, l’intera zona a piedi vi sorprenderà!C’è un relitto. Prende il nome dai pirati di Sarakin, che lasciavano nella cavità delle rocce le loro navi per riposarsi e poi intraprendere nuovamente la navigazione il giorno dopo. Non perdetevi un bel bagno rilassante nel cenote. Lo splendido luogo della spiaggia dove si trovano pace, rocce tutt’intorno e una splendida laguna blu! Se vi piace addentrarvi in luoghi suggestivi e completamente naturali, questo è il posto perfetto in cui recarvi quando vi troverete sulla baia di Sarakiniko!

 

5) Alogomandra: non attrezzata: La spiaggia di Alogomantra è situata nel versante nord dell’isola di Milos a pochi km da Pollonia. Si tratta di una caratteristica spiaggia poco frequentata.Non essendo segnalata risulta un pochino difficile raggiungerla se non si hanno dei precisi punti di riferimento, ma una visita ne vale davvero la pena!Si divide in due spiagge: la principale e l’insenatura. La principale è una grande spiaggia di sabbia chiara e acqua bassa e cristallina, ideale per i bambini! Pochi metri più in là, vi è un’insenatura dove è presente una lingua di sabbia davvero caratteristica. È una spiaggia dentro l’insenatura, ma è molto piccola, quindi si riempie in pochissimo tempo e bastano 10 persone per renderla piena! Entrambe non sono attrezzate, nelle vicinanze non c’è nulla. Armatevi di acqua, cibo insieme a qualsiasi altra cosa che riteniate necessario e correte a vederla. L’unica pecca è che la spiaggia di Alogomandra si trova in una zona esposta al vento, il mare tende ad essere un po’ mosso, per questo vi consigliamo comunque un occhio di riguardo ai bambini.Comunque sia, vento o no, questa baia è troppo particolare per essere messa in disparte! Merita assolutamente una bella visita!

6) Kapros: belle foto: Spiaggia fatta di scogli, un pochino scomoda e non adatta a chi ama la comodità. Ottima vista per fare ottime foto di paesaggio. Fate attenzione anche qui a scendere, ma a Milos secondo noi c’è molto di meglio.

7) Papafragas: belle foto: Vale lo stesso discorso fatto per la spiaggia di Kapros. Anche qui belle foto ma poca comodità.Dipenda da cosa cercate…Se cercate posti appartati qui è ottimo.

8) Kastanas: no cibo – no ombra: Per raggiungere questa spiaggia è necessario partire da Pollonia e proseguire attraverso una strada sterrata (mal segnalata purtroppo ad un certo punto, quindi nel caso meglio avvalersi di un sano e sempre utile Google Maps).Come tutte le spiagge che troviamo da questo lato dell’isola di Milos è consigliabile avere un 4×4 oppure un quad (per superare alcuni tratti che con una normale Panda a volte potrebbero mettere in difficoltà le sospensioni con conseguente danno del mezzo).Appena arrivati vi sentirete in un luogo particolarissimo e molto molto suggestivo! Spiaggia di ciottoli e sabbia con grossi granelli, rocce alle spalle coloratissime con sfumature che vanno dal rosso al viola e all’arancio, nessun lettino e ombrellone e pochissimi turisti!! Ebbene si! E’ un angolo di paradiso ancora inesplorato, quindi approfittatene e godetevi appieno questo luogo magico, prima che diventi troppo conosciuto e troppo affollato!L’acqua del mare della spiaggia di Kastanas è limpidissima, i suoi colori sono un tripudio di bellezza e unicità.Non perdetevela!

9) Paleochori: cibo – attrezzata – parte libera – no ombra – moto d’acqua e bananoni: Spiaggia che ha davvero tutto! Sicuramente una delle più belle spiagge di Milos .Bellezza, comodità, facile da raggiungere, bar in spiaggia ed accoppiata lettini ed ombrelloni di qualità. Infatti sono quelli in legno con i cuscini per donarvi il pieno comfort. Il costo di essi non e’ bassissimo per la Grecia ed in particolare per Milos. Siamo intorno ai 15 euro per il set comprendente ombrellone + 2 lettini. E’ presente sulla spiaggia un noleggio di moto d’acqua e giochi da fare con amici. Come il classico bananone, sci d’acqua, pedalo’ e canoa. Tutte queste comodità fanno si che questa spiaggia sia sicuramente la più gettonata dalle famiglie e una delle più amate dai bambini, ma anche dai più giovani che vogliono divertirsi con giochi con il motoscafo. E’ presente anche un ristorantino a cui non facciamo pubblicità ma che è proprio sopra la spiaggia da cui potete mangiare e godervi il panorama della spiaggia di Paleochori.

10) Agia Kiriaki: cibo – attrezzata – parte libera – no ombra: Questa bellissima spiaggia nel sud di Milos è un paradiso per chi ama sia la spiaggia che la roccia che si sposano alla perfezione con un mare bianco cristallino. E’ infatti divisa in 2. Da un lato i massi dall’altro una sabbia fina ma non troppo. Non vi sarà difficile trovare un parcheggio in quanto ci sono ampi spazi a disposizione a ridosso della spiaggia.In questa spiaggia troverete anche una parte attrezzata (con pochi lettini ed ombrelloni al costo di 7€ al set) che va raggiunta in quanto appena scesi sembra non esserci nulla. Proseguendo invece dritti verso ovest (nella parte con gli scogli) avrete la possibilità di accomodarvi. Proprio a ridosso della spiaggia attrezzata c’è anche un buon ristorante sulla spiaggia per ristorarvi a pranzo, con prezzi contenuti.

Questa comoda spiaggia è molto carina ed ha il mare più spettacolare di Milos (e non solo). L’acqua qui non è banalmente cristallina, è addirittura cangiante: azzurro, blu, acquamarina metallizzata, verde. Merito forse anche del fatto che il fondale è formato da ciottoli bianchi, neri, grigi e blu!Si distingue dalle altre proprio per questo, i ciottoli sono presenti sulla riva ma non sulla spiaggia, perchè quest’ultima è ricoperta da magnifica sabbia!La spiaggia di Agia Kiriaki è classificata come una delle più belle grazie al suo mare cristallino ed al paesaggio roccioso, molto suggestivo ed invitante!Sono presenti strutture per praticare sport acquatici, questo è il luogo perfetto per farlo!Troverete varie insenature attorno l’isola, utilizzate maggiormente da nudisti.Sul lungomare ci sono molti ristoranti, bar e beach bar! Così quando sentite un certo languorino potete recarvi lì per stuzzicare o bere qualcosa!

11) TSIGRADO: non attrezzata – no ombra – impervia: E’ una delle spiagge piu’ famose di Milos. E’ raggiungibile o via mare o via terra ma è una piccola lingua di spiaggia, ovviamente non attrezzata. Adatta ad amici e coppie che amano l’avventura, in quanto per scendere via terra è un abbastanza difficoltosa da raggiungere ma vi permette di godere della spiaggia già dal mattino presto, ovvero prima dell’arrivo dei barconi delle escursioni turistiche. Portate un ombrellone se state tutto il giorno. E’ assolutamente da evitare per le famiglie in quanto la discesa è davvero ripida e se avete bambini molto piccoli si rischia la vita.  

12) FIRIPLAKA: cibo – attrezzata – parte libera – no ombra: Una delle spiagge più belle di Milos ed adatte alle famiglie e bambini. E’ una spiaggia attrezzata ed ha tutti i comfort possibili.Firiplaka è molto grande ed è molto simile alle spiagge oceaniche. Ideale anche quando ci sono moltissime persone in quanto riuscirete a trovare sempre un posto comodo dove immergervi nel relax. Acqua cristallina e rocce dai colori incantevoli vi lasceranno senza fiato. i parcheggi sono disponibili anche se in un numero non elevato lungo il percorso che vi porta alla spiaggia, quindi prima arriverete e più vicino sarà il vostro parcheggio alla spiaggia. I lettini a disposizione sono divisi in 3 categorie:

  • Lettini Blu (i classici in alluminio) il cui costo è di 6€ al set (molto convenienti rispetto alla media di Milos)
  • Lettini in bamboo il cui costo è di 10€ al set
  • Lettoni “privee” che al costo di 25€ vi permetteranno di godervi il panorama mozzafiato su un comodo lettone matrimoniale king size su una struttura caraibica.

Per chi ha dei bambini il consiglio spassionato è di portarvi qualcosa da mangiare. Il bar serve cibo ma solo pietanze fredde e piatti freddi non elaborati. Potrete trovare le insalate e dei sandwich oltre che a delle patatine in busta. Per quanto riguarda le bevande invece non sarà un problema. Per informazione l’acqua da mezzo litro costa 0,50€ e la birra (servita gelida :D) 2,50€.

Questa Spiaggia è un’ottima alternativa per famiglie alla vicinissima (1 minuto di auto) spiaggia di Tsigrado che sto descrivendo proprio qui sotto (molto difficile da raggiungere perchè ha un percorso impervio).

La spiaggia di Tsigrado si potrebbe raggiungere con i kayak che affittano a Firiplaka.

13) Agios Sostis: cibo – attrezzata: Spiaggia di sabbia ed acque trasparenti. Colori bellissimi e che rappresentano l’estate in gran pieno. Comoda e per alcuni versi simile a Paleochori. Attrezzata e facile da raggiungere per chiunque. Vicino la spiaggia ci sono anche ristorantini per chi vuol farsi un bel pranzetto sul mare.

14) Gerontas: non attrezzata: Spiaggia raggiungibile con un sentiero di circa dieci minuti.Adatta a chi ama la natura selvaggia. Non vi sono ombrelloni e lettini ed è di una particolare bellezza. Un grandissimo masso suggella questa baia dall’acqua cristallina.Poco frequentata ed adatta a chi vuole stare in tranquillità.

15) Kleftiko: no cibo – no ombra: E’ considerata il punto obbligatorio a Milos da tutte le società che organizzano escursioni. Ed effettivamente è molto molto bella.Kleftiko è il diamante di Milos. Si trova a sud-ovest e per raggiungerla potete farlo esclusivamente in barca. Dopo averla vista vi sembrerà brutto tutto il resto. E’ spettacolare vedere come la natura abbia potuto creare tutto ciò. Rocce levigate, grotte e insenature mozzafiato. Fatevi una bella nuotata tra le rocce e visitate le grotte naturali se potete. L’acqua è trasparentissima ed in alcuni punti le barche sembrano sospese in aria.

 

# da agio sostis mezza giornata tour organizzato da Zephyros Boat, che dura 4 ore e costa 30 euro a persona. Il prezzo include caffè, ouzo (il tipico liquore greco) e uno spuntino a base di tartine con patè. Possibilità 10-14 o 15-19. Meglio il mattino perchè c’è meno gente.

Zephyros offers two trips daily, one in the morning (10:00 – 14:00) and one in the afternoon (15:00 – 19:00) throughout the summer season. We depart from the beach of Agia Kiriaki, which is located at the southern part of the island. Adults € 30 children under 15 years old € 15. PRENOTARE ON LINE – tel.+30 698 679 0945 (su FB)

https://zephyrosmilos.com/?fbclid=IwAR23942vS8RtFR9MU_KIOv8xCotnuso7y_52zApLyiRl81-aHZa9bBPabX0

Se siete avventurosi e non vi spaventano i sentieri impervi, potete tentare di raggiungere Kleftiko via terra, meglio con una guida. La strada che conduce al sentiero non è asfaltata e la discesa da fare a piedi è di circa 50 minuti, quindi le scarpe da trekking o almeno quelle da ginnastica sono necessarie. Vi consigliamo di percorrere la strada costiera a sud dell’isola che passa per le spiagge di Firiplaka, Provatas, e Gerantas, è più lunga rispetto a quella che vi indicherà il navigatore, ma meno accidentata. Inserite su google maps “Access for path to Kleftiko beach by hike” oppure le seguenti coordinate: 36°39’54.4″N 24°20’32.4″E. Se avete un 4×4 o un quad potete seguire la strada più breve. Una volta arrivati all’inizio del sentiero si prosegue a piedi per circa 50 minuti su un sentiero sterrato e piuttosto scivoloso. Tenete conto che al ritorno dovrete ripercorrerlo in salita e sarà ancora più impegnativo. Se non siete più che allenati su percorsi di trekking, o trail, vi consigliamo di optare per la più comoda e rilassante escursione in barca. Nel caso decidiate di arrivare a Kleftiko via terra vi consigliamo di partire al mattino presto per evitare l’affollamento delle escursioni in barca e di dover percorrere il sentiero in salita nelle ore più calde della giornata. 

16) Achivadolimi: Questa immensa spiaggia è sicuramente la più grande della splendida isola delle Cicladi. Sabbia color bianco ed acqua trasparente. Data l’ampiezza è molto apprezzata a chi piace fare camminate in spiaggia ed a chi pratica windsurf e kitesurf.

 

  1. C) COSE DA FARE

 

1)  alla spiaggia Kleftiko: crociera di 1 giorno con snorkeling e pranzo € 115 – 9 ore

https://www.getyourguide.it/activity/milo-l32653/kleftiko-crociera-di-1-giorno-con-snorkeling-e-pranzo-t150983?utm_force=0

 

2)  Grotte e grotte di Milos: crociera di un’intera giornata per famiglie – € 110 – 8 ore

https://www.getyourguide.it/activity/milo-l32653/grotte-e-grotte-di-milos-crociera-di-un-intera-giornata-t364795?utm_force=0

 

3) La miniera di zolfo di Thiorichia o Paliorema: A Milos sono presenti anche numerose miniere, alcune delle quali sono diventate anche musei e luoghi turistici da visitare; molta parte della popolazione lavora in questo settore, infatti l’ isola è molto ricca di minerali grazie al vulcano ormai inattivo che ospita. Alcuni di questi minerali sono tra i più importanti componenti dei prodotti di salute e bellezza.Una cosa che non dovete assolutamente perdere è la vecchia miniera di Milos…un luogo incantato.E’ stata abbandonata nel 1956 ma sembra che il tempo si sia fermato.Tutto è rimasto come quando era in funzione o quasi. Carrellini, brande dei minatori, macchinari e impianti lasciati li. Ma la cosa più bella è che si trova in una location da urlo. Vi è un varco di roccia che si apre e da cui è possibile vedere un mare blu intenso.E’ stata sicuramente una delle più belle esperienze fatte sull’isola. Seguite le indicazioni per Thiorichia ed a un certo punto vi sara’ un divieto di accesso con una piazza sterrata. Lasciate l’auto li, portatevi l’acqua e iniziate a scendere la vecchia strada utilizzata dai mezzi dell’epoca per portare lo zolfo in città ed al porto.Vi consigliamo caldamente di lasciare l’auto dove detto in quanto la strada peggiora parecchio e solo alcuni tipi di fuoristrada possono farcela. E poi perchè rischiare? Siamo pur sempre in vacanza e una bella passeggiata con vista mare e miniera è una cornice perfetta per scattare foto indimenticabili e godere di una escursione interessante sotto tutti i punti di vista.Arrivati alla miniera sara’ possibile vedere tutti gli strumenti dell’epoca compresi i famosi carrelli alcuni ancora funzionanti come quello sul ponticello che si trova ancora sui binari.Portatevi anche un bell’asciugamano perchè l’acqua è incantevole e dopo quei 20 minuti di cammino ci sta tutto un bel tuffo!

 

4) museo della sabbia a Plaka: Il Museo della Sabbia, è situato nel capoluogo dell’isola di Milos, ovvero a Plaka. Si tratta di un curioso luogo dove si trovano ciotole e vassoi con sabbie di colori e forme diverse, provenienti da varie spiagge dal quale sono state raccolte con molta cura. Il luogo è parecchio interessante visto già da fuori e si presenta come una bottega con un’atmosfera particolare e al suo interno un artista lavora e raccoglie la sabbia per creare opere magnifiche!Qui potete osservare al microscopio la sabbia e ammirare la raccolta dell’artista che è in realtà un geologo di Salonicco. Quest’uomo con tanta fatica ha messo in piedi un particolare laboratorio di sabbia! Il geologo aveva ben capito che l’isola di Milos era senza eguali e ricca di attrazioni fuori dall’ordinario, perciò ha pensato bene di aggiungerci un’altra attrattiva ancora più caratteristica…e aggiungerei unica nel suo genere!Il geologo oltre a studiare e collezionare i campioni, li usa per creare sculture di sabbia, facendo di questa una vera e propria arte! Pensate un geologo e uno scultore nella stessa persona che meraviglie può progettare. La cosa ancor più bella è che questa persona fondamentalmente non lucra sulla sua passione, infatti l’ingresso è gratuito e aperto a tutti. Ciò che produce lo fa con il cuore e lo noterete subito! Godetevi tutta Milos e non perdetevi questo caratteristico museo; vedrete la sabbia come non l’avete mai vista e conoscerete un uomo che è stato capace di mettere insieme il lavoro in cui è specializzato con la sua passione più grande! Persone e luoghi così sono difficili da trovare nel mondo, perciò correte a visitarlo!

 

5) La famosa Venere di Milo, ora custodita al Louvre, è stata trovata qui: Vicino alla città di Plaka, ai piedi delle antiche mura della città di Melos, venne ritrovata la famosa Venere di Milo. Successivamente questa zona diventò un importante sito archeologico, dove vennero rinvenuti anche un antico anfiteatro romano e le Catacombe paleocristiane. L’Afrodite di Milo, meglio nota come la Venere di Milo, è una delle statue più conosciute e ammirate in assoluto. Si tratta di una scultura in marmo bianco alta 202 cm, considerata uno dei maggiori capolavori dell’arte ellenistica. La Venere di Milo è databile dal 130 al 100 a.C. ed è oggi conservata al Museo del Louvre di Parigi. Le fonti più attendibili attribuiscono la Venere di Milo allo scultore greco Alessandro di Antiochia vissuto nel I secolo a.C., mentre in passato alcuni la attribuirono erroneamente a Prassitele.La Venere di Milo è considerata da molti critici e storici dell’arte una delle massime rappresentazioni della bellezza femminile. L’unico ad avere un parere contrario fu il pittore francese Pierre-Auguste Renoir che la definì “un gran gendarme”.La grande fama che raggiunse la Venere di Milo nel XIX secolo non fu dovuta soltanto alla sua bellezza e alla sua perfezione, ma anche alla grande “propaganda” che venne fatta delle autorità francesi. Nel 1815, infatti, la Francia dovette restituire un altro capolavoro ellenistico, la Venere de’ Medici agli italiani, che era stata portata in Francia da Napoleone Bonaparte. La Venere di Milo, dunque, venne “sponsorizzata” dai francesi per rimpiazzare così la perdita dell’altra opera.

Il ritrovamento della Venere di Milo: La Venere di Milo venne ritrovata nell’isola di Milos l’8 aprile del 1820 da George Kentrotas, un agricoltore, mentre lavorava nel suo campo vicino la città di Plaka, ai piedi delle antiche mura della città di Melos, l’antica capitale dell’isola. La statua della Venere fu ritrovata in pezzi: prima fu ritrovato il busto, poi le gambe coperte da un drappeggio ed infine il terzo elemento, che ha consentito di unire busto e gambe. È tuttora priva delle braccia che non sono mai state ritrovate e del basamento originale che è andato perduto. Ogni abitante dell’isola di Milos conosce questa storia, provate a chiedere qualche informazione sul ritrovamento della Venere e ognuno ve la racconterà aggiungendo qualche curioso aneddoto.

Ma perché la Venere di Milo si trova al Louvre?: Su questo punto vi sono pareri discordanti, ma quello che è certo è che dopo il ritrovamento, Kentrotas nascose l’opera, ma gli fu presto sequestrata da alcuni ufficiali turchi, che al tempo del ritrovamento governavano l’isola di Milos. La notizia del ritrovamento arrivò in fretta alle orecchie di un ufficiale francese Olivier Voutie, che intuita l’importanza della scoperta se ne volle subito impossessare. Qui le teorie di dividono: c’è chi afferma che con l’aiuto di Jules Dumont d’Urville e del Marchese di Rivière, l’ambasciatore francese, riuscirono a concludere l’acquisto con gli ottomani e a portare in dono la Venere re Luigi XVIII. Al contrario c’è chi invece conferma di avere le prove che sia stata rubata. Il sindaco di Milos, Gerasimos Damoulakis affermò: “In quel tempo eravamo in guerra, sotto il dominio turco, la statua è stata presa da un ufficiale francese e caricata su una nave da guerra, la goletta L’Estafette”. La verità su questa vicenda resta uno dei tanti misteri sulle opere greche e italiane che si trovano nel prestigioso museo francese e quello che successe dopo è storia. Nel 1821 dopo alcuni interventi di restauro, la Venere di Milo fu presentata al re Luigi XVIII e collocata al museo del Louvre, dove si trova ancora oggi. La questione della presenza della Venere di Milo al Museo del Louvre è ancora un caso aperto, infatti sull’isola greca reclamano la Venere. Esiste un comitato per il rientro in patria della Venere, presieduto dal vicesindaco Zambeta Tourlou e sostenuto dell’Unione dei Comuni della Grecia. Si possono avere maggiori informazioni su www.takeaphroditehome.gr. L’amministrazione di Milos ha anche avviato una raccolta firme con l’obiettivo di riavere la Venere entro il 2020, il bicentenario del ritrovamento.

 

6) Antico teatro romano: L’Antico Teatro Romano di Milos si trova nel villaggio di Tripiti, dista poco più di un chilometro da Plaka e 2,5 chilometri da Klima. Si tratta appunto di un antico teatro costruito in epoca romana, ben conservato e che di fatto attrae molti visitatori ogni hanno, che giungono in questo sito per innamorarsi della sua magnificenza. È incredibile come tanta bellezza si sia potuta conservate dopo tanti secoli.La visita dell’Antico Teatro Romano è d’obbligo; questo è uno dei siti storici più simbolici e significativi dell’isola di Milos, e perderselo sarebbe un gran peccato. Pensate che è un luogo testimone di tanti fatti, importanti e non, che hanno segnato dei cambiamenti nella storia di Milos. Ma la cosa più strabiliante è che questo antico luogo è ancora perfettamente utilizzabile, nonostante i suoi tanti tanti anni. Provate a cimentarvi negli usi e costumi di una civiltà ormai passata semplicemente sedendovi su uno dei sedili e provate a calarvi nell’atmosfera dell’antica Grecia… Beh, che dire…non è strabiliante?

La storia dell’Antico Teatro Romano di Milos: L’Antico Teatro Romano di Milos fu costruito tra il I e il IV secolo d.C. (non si sa con esattezza la data di costruzione) dagli abitanti del villaggio di Tripiti, tra la costa e la collina.Il motivo di questa posizione è che permetteva al teatro una perfetta acustica, in modo tale che non ci fossero problemi relativi al suono. Un problema però subentrò quando gli Ateniesi, durante l’epoca romana, attaccarono l’isola di Milos e le sue città, distruggendo completamente il teatro. Dopo poco venne ricostruito sulle rovine di quello precedente, così iniziò nuovamente ad ergersi uno splendido complesso in marmo bianco capace di ospitare un pubblico di ben 7.000 persone.Ancora oggi è possibile partecipare a degli spettacoli teatrali e musicali al suo interno, la sua capienza attuale però è di circa 700 persone. Vi consigliamo una volta giunti sull’isola di informarvi in merito alla programmazione estiva. Sarà un ottima occasione per una serata dove sentire l’antico spirito teatrale.Gli scavi iniziarono nel 1989, e lì i primi reperti iniziarono a venire alla luce. Ancora oggi non abbiamo la certezza che tutti i reperti recuperabili siano già stati rinvenuti e gli scavi stanno ancora continuando perciò potrebbero venir fuori nuove scoperte in breve tempo… chi lo sa!

Cosa si può ammirare all’Antico Teatro Romano di Milos?: Tra le sue bellezze dell’Antico Teatro Romano di Milos, si possono ammirare l’auditorium, le sedute in marmo, il palco, l’area dell’orchestra e un’architettura unica e splendida, oltre alla magnifica vista sulla baia circostante che affascina come non mai! Il palcoscenico, le cinque trombe di scale e le opere di decoro sono le parti del teatro che sono state restaurate, per evitare pericoli e cercare di conservarne la bellezza e unicità.La cosa più bella e insolita dell’Antico Teatro Romano è che nonostante sia una sorta di sito archeologico, è permesso girare, esplorare o sedersi liberamente tra le sue opere e sui suoi scaloni. Dato che non brulica di visitatori potreste essere fortunati e capitare nella giornata in cui non c’è quasi nessuno, avendo così il teatro tutto per voi!

Come si raggiunge l’Antico Teatro Romano di Milos?: Raggiungere l’Antico Teatro Romano di Milos è molto semplice, sono 5 minuti di auto oppure se preferite, 14 minuti a piedi da Plaka. Mentre da Klima occorrono circa 15 minuti in auto, percorrendo una strada ricca di curve e 35/40 minuti circa a piedi seguendo il sentiero che da Klima scende e porta direttamente all’Antico Teatro. Se invece arrivate dalle catacombe, in fondo alla strada potrete subito adocchiare il teatro, a 700 metri di distanza. Una volta arrivati se avete l’auto potete posteggiarla nel parcheggio apposito per entrambi i siti, di fronte a questo c’è una sorta di bivio, seguite il sentiero a ovest per andare al teatro, su questo percorso incontrerete anche altri resti archeologici dell’area.

Curiosità: Una curiosità che dovete sapere è che la celebre icona della “Venere di Milo” anche chiamata “Afrodite di Milo”, risalente al periodo ellenistico, fu trovata proprio nell’Antico Teatro Romano nel 1820. Ad oggi la statua si trova al Louvre ed è ammirata da molti turisti che fanno visita al museo del quale è una delle attrazioni principali: si sa la dea greca della bellezza è sempre stata adorata!

 

7) Catacombe: Le Catacombe di Milos sono un importante sito archeologico situato su un pendio, vicino al villaggio di Tripiti, a breve distanza dall’agorà dell’antica città di Melos. Il nome Tripiti, che significa “realizzato con fori”, deriva dal fatto che l’area circostante prospera di grotte naturali scavate nella roccia vulcanica, che vengono utilizzate ancora oggi dagli abitanti come magazzini e stalle. In passato queste grotte venivano utilizzate come luoghi di sepoltura e non solo. Le Catacombe erano anche il luogo dove si incontrarono i primi cristiani per celebrare il loro culto e diventarono un rifugio durante la persecuzione dei romani. Databili dal I al V secolo d.C. le Catacombe di Milos sono forse ancora più antiche di quelle romane e sono probabilmente solo una piccola parte di una necropoli ancora più ampia. Sono considerate il monumento di culto paleocristiano più importante di tutta la Grecia e tra le tre principali Catacombe, delle 74 scoperte in tutto il mondo, dopo quelle di Roma e della Terra Santa.

La scoperta delle Catacombe di Milos: I saccheggiatori scoprirono le Catacombe di Milos nel 1840 e le trafugarono. Gli scavi iniziarono ufficialmente nel 1843 e vennero intrapresi dal professor Ludwig Ross. Un archeologo ed epigrafista tedesco, che grazie ai suoi viaggi, in un’epoca ancora prematura per gli scavi archeologici, aprì la strada all’esplorazione e all’analisi dei resti dell’antica Grecia. Fino ad oggi sono state scoperte tre sezioni delle antiche Catacombe, che insieme a cinque navate e una camera sepolcrale coprono una lunghezza totale di 183 metri. Dall’esterno è possibile utilizzare solo l’ingresso della seconda catacomba, o catacomba “Presviteron”. Sulle tombe delle persone più importanti venivano dipinti simboli cristiani ed epitaffi. Uno di questi segni che si trova nella seconda catacomba è la scritta “Presviteron” dalla quale deriva il suo nome. Sulle pareti di destra e sinistra delle Catacombe sono sono presenti gli “arcosoli” (archi scavati nella roccia). Sono stati rinvenuti il totale 126 arcosoli con dimensioni diverse, che vanno da 1 a 5 metri di larghezza e da 1,6 a 2,5 metri di altezza. Oltre alle tombe scavate nelle pareti, vi sono anche molte tombe scavate nel terreno e ricoperte di pietre grezze di dimensioni irregolari. Si stima che oltre 2.000 cristiani siano stati sepolti nei 291 arcosoli e nelle tombe a pavimento, usate come tombe di famiglia. Nella catacomba Presviteron c’è un’ulteriore tomba scavata nella roccia, simile ad un sarcofago. Probabilmente qui era seppellito uno dei primi martiri cristiani ed era probabilmente utilizzato dai primi cristiani anche come l’altare per le celebrazioni religiose. Sono ancora visibili alcune iscrizioni sulle pareti delle Catacombe, tra le quali il Monogramma di Cristo e il simbolo ecumenico cristiano “ΙΧΘΥΣ”, le cavità utilizzate per lampade, oltre a doni votivi per i defunti, e un paio di tombe di neonati. L’utilizzo delle catacombe terminò dopo l’istituzione ufficiale del cristianesimo e la distruzione dell’antica città di Klima per i terremoti del V o VI secolo d.C. Perché visitare le Catacombe di Milos?: Le Catacombe di Milos sono un luogo suggestivo, ricco di storia, che non ci si aspetta certo di trovare su un’isola Greca. La visita è veloce, dura circa una decina di minuti ed è adatta a tutti. Vi consigliamo quindi di fare una pausa culturale dalla vostra giornata di mare e di visitare le antiche Catacombe di Milos.

Una curiosità: Da approfonditi studi e diverse prove si ritiene che la maggior parte dei primi convertiti al cristianesimo sull’isola fossero ebrei, infatti a Milos vi era una consistente comunità ebraica. Inoltre il professor Gustav Adolph von Deissman, docente di teologia presso l’Università di Heidelberg scrisse, in merito a San Paolo, di origine ebrea, naufragato a Milos mentre si recava ad Atene “… i suoi insegnamenti caddero come un seme su un terreno fertile”.

Orario di visita: Lun – Dom: 9:00 – 18:45 – chiuso il martedì

Ingresso: 4 € per gli adulti adulti – 2 € per i bambini e over 65 – Gratuito per gli studenti dell’UE

 

  1. C) ITINERARIO GIORNO PER GIORNO:

 

1) 06 agosto 2020 giovedì: Malpensa – Santorini

Ieri sera, alle 11 in Italia, mezzanotte in Grecia, ci sono arrivati puntuali i codici QR da mostrare all’arrivo in Grecia per i controlli anti Covid. Avevamo fatto richiesta qualche giorno fa indicando i nostri dati in modo tale da essere schedati una volta arrivati sulle isole. In base ai numeri iniziali di questo codice, all’arrivo, viene fatto o non fatto il tampone. I nostri amici Sonia e Simone, che sono già arrivati e ci hanno mandato info, non l’hanno fatto, quindi anche noi, possiamo tirare un sospiro di sollievo visto che i numeri iniziali corrispondono.

Dalla bella notizia dormiamo poche ore e via … si parte. Matteo dorme tranquillo … è la prima volta che non viene in vacanza con noi … Martina invece, ben felice di andare un anno al mare … è già super operativa alle 2.30 …. Lasciamo la macchina al Travel Parking (€ 65) (http://travelparking.it/parcheggio-milano-malpensa/prenota-mxp/) e puntali siamo a Malpensa. Da paura. Mai visto l’aeroporto con così poche persone. Surreale. Facciamo colazione e poi il volo Easy Jet parte puntuale alle 7.00. Siamo tutti mascherati ma il comandante rammenta di tenere sia il naso che la bocca coperti. Qualcuno fa il furbo e le hostess intervengono immediatamente. In 2 ore e 40 atterriamo. Spostiamo in avanti di 1 ora l’orologio. Vengono controllati i codici QR e noi usciamo senza dover fare il tampone. Troviamo subito il ragazzo della Kronos, dove abbiamo affittato la macchina  (https://www.santorini-car-rental.info/). Mettiamo qualche firma sul contratto, pagheremo i 75 € alla fine quando consegneremo la macchina al porto,  saliamo sul nostro bolide … una Nissan Micra … e partiamo. Qui è tutto un pochino approssimativo …. come la pulizia della vettura …. andiamo subito a fare 20 € di benzina perchè siamo a secco …. e poi raggiungiamo velocemente il nostro hotel nel quale rimarremo due notti. Ha il parcheggio.

Pernottamento: Finikia Memories ad Oia – € 215 a notte in B & B – camera suite

(https://www.finikiamemories.com/)

Avevamo prenotato contattandoli direttamente quindi avevamo pattuito pagamento completo all’arrivo e, pagando in contanti, ci fanno un sconto del 10%. Paghiamo anche 8 € di tasse. Lasciamo le valige in camera e andiamo subito a visitare Oia. Lasciamo la macchina in un piccolo parcheggio e ci incamminiamo verso la caldera. Wow … spettacolo. Davvero bello. Gironzoliamo fino al castello diroccato e ai due famosi mulini a vento. Ogni angolo è da fotografare. C’è poca gente. Fa caldo ma è molto ventilato. Entriamo al ristorante Lotza, con vista caldera. In condizioni normali ci sarebbe coda ovunque, quest’anno, visti i pochi turisti, non si hanno problemi a trovar posto da nessuna parte. Prendiamo tutti e tre delle insalatone (€ 38). Torniamo alla macchina e andiamo in hotel. Ha una bella piscina quindi passiamo il pomeriggio in relax. Alle 19.00, prima del tramonto, ci troviamo ai ruderi del castello con Sonia, Simone, Giorgia e Lorenzo. Che bello rivederci!! Dopo tante telefonate con scambi di opinioni sul rischio che ci saltasse la vacanza per tamponi e blocchi vari … finalmente siamo qui!!! Il tramonto, visto dal castello, è il punto più famoso di tutta Santornini, quindi ci sono molte persone. Noi vogliamo evitare troppi contatti ravvicinati, anche perchè poche persone portano la mascherina, quindi ci troviamo un nostro angolino per vedere un bellissimo tramonto. Per cena ci spostiamo in macchina ed andiamo al Santorini Mou (https://santorinimou.com/). Conviene prenotare perchè è molto gettonato. E’ una classica taverna greca molto accogliente con una bella atmosfera. Sul nostro tavolo c’è una bandiera dell’Italia. Il proprietario, gentilissimo, ogni tanto canta canzoni greche accompagnato da un amico con uno strumento. La cena sarà ottima (€ 77) e, sempre il proprietario, regala a Martina e Giorgia, una tovaglietta per la colazione mentre a Lorenzo, una torcia. Ci siamo trovati davvero bene. Siccome la sveglia è suonata 22 ore fa …. è bene andare a dormire, anche se non è tardi. Domani i nostri amici si spostano a Folegandros, noi li raggiungeremo dopo domani.

2) 07 agosto 2020 venerdì: Santorini

Dopo un’ottima colazione sul terrazzo dell’hotel, partiamo per la visita della parte sud dell’isola. Staremo via tutto il giorno. Raggiungiamo velocemente Pyrgos. Non abbiamo problemi a parcheggiare. Questo piccolo paesino arroccato è un incanto. Ogni angolo è da fotografare. Arriviamo al punto più alto, dove ci sono il castello e la chiesa e ci sediamo al bar. Il cameriere ci dice che solitamente nelle viuzze non si riesce a camminare per il gran numero di turisti. Questa è una delle tappe dei croceristi. Noi avremo trovato circa 20 persone in tutto …. Buon per noi ma che danno economico per i ristorantini e i graziosi negozietti. Pier prende un caffè che viene portato in un piccolo contenitore, credo di rame, bisogna farlo depositare prima di berlo. Facciamo due acquisti e poi ci spostiamo a Megalochori. Anche questo paesino è carino, ma meno bello di Pyrgos. Fa parecchio caldo anche se il vento lo fa percepire di meno quindi ci indirizziamo al mare. Sonia e Simone ci hanno suggerito un posto a George, Taste of the beach, dove, se pranzi, hai ombrellone e due lettini a costo zero. Qui è un susseguirsi di ristorantini e di ombrelloni. Ci viene incontro il titolare, Stefano, il quale, avvisato ieri dai nostri amici, ci ha tenuto il primo ombrellone vicino al mare. Facciamo un bagno veloce. La sabbia è nera ed il mare pulito e trasparente. C’è la possibilità di farsi le docce con l’acqua dolce. Pranziamo molto bene (€ 38) e poi ci riposiamo un pò sotto l’ombrellone. Ci spostiamo poi in macchina alla Red Beach fermandoci prima in un punto panoramico, dove c’è il Ristorante Panorama. Raggiungiamo poi il parcheggio per la Red Beach. Da qui facciamo una breve passeggiata. La spiaggia è molto scenografica con alte scogliere rosse alle spalle.  Ci sono sassolini di roccia lavica, neri e rossi, di varie dimensioni. Non c’è sabbia. Rimaniamo poco e poi torniamo alla macchina. Al parcheggio notiamo l’insegna di due ristoranti, Asterias e The Dolphins. Scendiamo le scale fino al mare. Entrambe hanno i tavoli su una penisola di cemento in mezzo al mare. Sarebbe una location bellissima per la cena ma noi vogliamo andare a vedere il tramonto al faro quindi tornare qui sarebbe un pò fuori mano. Ci spostiamo ad Akrotiri. Anche qui ci sono un ristorantino più grazioso dell’altro. Facciamo due passi fino al punto panoramico dove si trova un castello e poi ci spostiamo al faro di Akrotiri. Anche questo è un punto top per il tramonto… Ci sono alcune persone sedute tra il faro ed il mare ma io voglio fotografare il faro nel fascio di luce del sole riflesso nel mare, quindi saliamo sulla collinetta alle sue spalle. Pier compra in una bancarella due birre, una coca e delle patatine così, nell’attesa, facciamo una sorta di aperitivo. Il tramonto sarà molto bello (cala alle 20.30). Ci spostiamo poi al ristorante Aeolos, che avevamo visto sulla strada, qualche km. prima di arrivare al faro. Posto niente di che, cibo idem (€ 68). Giornata lunga quindi velocemente torniamo in hotel, doccia e meritato riposo.

3) 08 agosto 2020 sabato: Santorini – Folegandros

Questa mattina ce la prendiamo comoda. Colazione con calma e poi lasciamo l’hotel. Ci siamo trovati bene. Andiamo verso sud e ci fermiamo, dopo Fira, al Santo Wine (https://santowines.gr/), vineria con degustazione dove si può assaggiare e comperare il famoso Vin Santo. Organizzano cene e aperitivi (meglio prenotare). Si trova in un punto panoramico molto bello dal quale si ha un bel colpo d’occhio sulla caldera. Un altro posto perfetto per qualche foto è il parcheggio appena prima della strada che scende al porto. Torniamo poi a Megalochori per pranzare nella graziosa piazzetta al ristorante Raki. Prendiamo solo delle insalate ma ci è piaciuto (€ 38). Ci indirizziamo al porto per il rilascio della macchina. Sbrighiamo velocemente la cosa e nel mentre ci arriva un messaggio dalla Seajets …  il traghetto è in ritardo di due ore …. ma caspiterina …. sanno quando parte dai porti precedenti, non potevano avvisare prima? Ci saremmo trovati un posto alternativo per passare il tempo, non in un bar super affollato con temperature molto alte (qui sotto è riparato quindi non  c’è vento). Nel mentre ci guardiamo in giro. Questo posto è un delirio di gente che viene e che va in base ai traghetti che arrivano. Pullman e taxi che si incastrano ovunque. Non oso immaginare come può essere con il turismo normale. Ci mettiamo in coda e finalmente, dopo le 17, arriva il traghetto. Per salire ci provano la temperatura. La mascherina è obbligatoria. Le valige vengono lasciate nella parte all’aperto. I posti a sedere non vengono rispettati quindi io e Martina siamo vicine mentre Pier no. Distanziamento zero. Tutti i posti sono occupati. Di fianco a me c’è una signora anche lei appassionata d’Africa quindi parliamo per tutto il tempo. Il mare è clemente ma si balla comunque parecchio. Fa caldo e la mascherina non aiuta. In meno di 1 ora attracchiamo a Folegandros. Il porto di Karavostasis è piccolo e grazioso con le casette bianche vicino alla spiaggia. Il mare è trasparentissimo. Troviamo l’autista del nostro hotel, dove rimarremo 3 notti, che ci porta in pochi minuti a destinazione.

Hotel: Pegados – B & B – camera Windmill – € 150 a notte

(https://www.pegados-folegandros.gr/hotel/index.html)

All’arrivo troviamo Cristina, la proprietaria. Parla un pochino di italiano. A pelle non ci piace perchè tratta i camerieri in modo molto poco carino. Sembra un generale. Avevamo prenotato direttamente chiamandola al telefono. Avevamo pagato solo una notte con bonifico e le altre due lo faremo qui, prima di partire, e per il pagamento in contanti ci farà lo sconto del 10%. Il posto di primo impatto sembra bello ma ci rendiamo subito conto che è trascurato. Richiede parecchia manutenzione. La nostra camera, la windmill, è originale, grossa e con 3 terrazzi ma è tenuta male. Come ho scritto nella prefazione, il bagno è un’indecenza e sarebbe tutta da ristrutturare. Martina rimane qui mentre io e Pier andiamo in “centro” a piedi. Vediamo un rental car, Venetia Rental (https://www.venetiarentals.gr/en/) quindi, siccome Sonia e Simone hanno affittato la macchina, decidiamo di prenderla anche noi per essere più liberi. Pattuiamo  € 89 per quasi 3 giorni. La prenderemo domani mattina. Proseguiamo la passeggiata e gironzoliamo per la graziosissima Chora che si trova a strapiombo sul mare. E’ pieno di ristorantini. A Folegandros tutto è piccolo e raccolto. Quest’isola ci piacerà tantissimo. Il punto ancor più caratteristico della Chora è il Kastro, un paese nel paese, la zona antica. Arriviamo fino al punto panoramico dal quale si vede il salto sul mare. C’è un muretto a righe bianche … il muretto del quale si era innamorata una mia amica e che l’ha spinta a venire fino a qui dopo aver visto una sua immagine. In effetti è fotogenico … La singolare chiesa che si trova quasi alla sommità della collina che sovrasta Chora, la raggiungeremo un’altra sera. Torniamo in una delle piazzette e ci sediamo per un aperitivo. Oridiniamo la tzatziki (salsa allo yogurt con cetrioli e limone) e la pita (piadina). Peccato che ci portano solo una pita ed un piatto intero di salsa … la pita la cuociono al momento quindi non facciamo in tempo ad ordinarne un’altra. Torniamo in hotel giusto per una doccia e poi torniamo in centro per cenare al Chic Restaurant con Sonia, Simone ed i bimbi. Il gruppo si è riunito. D’ora in poi, a parte una giornata, saremo sempre insieme. Ceneremo davvero bene (€ 65). C’è una bella atmosfera la sera nella Chora. Facciamo due passi e poi entriamo in un bar per bere un amaro. Ci portano l’ouzo … nessuno riesce a finirlo. E’ all’anice e ha una gradazione fortissima. Non ci piace.Torniamo poi in hotel.

4) 09 agosto 2020 domenica: Folegandros

Dopo colazione andiamo a ritirare la macchina e poi ci troviamo con Sonia e Simone. Ci spostiamo subito ad Agali. Non c’è nessuno. Il cielo è leggermente coperto, si aprirà a metà mattinata. Simone fa volare il drone e Pier si entusiasma un sacco ….. già prevedo un acquisto al rientro…..La spiaggia di Agali è carina ma noi ci spostiamo ad Agios Nicholaos. La raggiungiamo in circa 20 minuti a piedi. Volendo si può arrivare anche via mare. Dalle 11 in poi da Agali parte una barca che porta i turisti sia ad Agios Nicholaos che a Livadaki (spiaggia più a nord raggiungibile altrimenti solo a piedi con una camminata di circa 1 ora). La nostra idea era di rimanere un paio d’ore, visto che è presto, ad Agios Nicholaos e poi spostarci a Livadaki ma oggi la barca non arriva fino a là per il mare mosso. Rimarremo quindi tutta la giornata ad Agios Nicholaos. Quando arriviamo ci sono solo due turisti. Arriveranno più tardi alcune persone ma comunque ci sarà poca gente. Sistemiamo i teli sotto ad alcune tamerici. Qui ci sono due ristoranti. Per pranzo scegliamo il ristorante panoramico sopra la spiaggia, Papalagi. Cibo buono e ottimo panorama (€ 50). Pomeriggio ancora di relax. Decidiamo di cenare al ristorante sulla spiaggia (Agios Nicholaos Tavern) però è assurdo andare in hotel per farci la doccia e poi tornare qui (la sera portano i clienti avanti ed indietro in barca dal porticciolo di Agali). Quindi optiamo per la soluzione di cenare presto e poi rientrare dopo. La spiaggia, essendo rivolta ad est, rimane all’ombra un bel pò prima del tramonto quindi poco per volta le persone se ne vanno. A cena saremo solo noi più altre 6 persone. La location è bella ma la cena non sarà assolutamente all’altezza (€ 75). I camerieri sono gentilissimi e si fanno in quattro ma il cibo non sarà nulla di che (polipo durissimo e bruciato condito con troppo aceto). Peccato. Apprezziamo comunque il silenzio rotto solo dal beccheggio delle onde ed il cielo stellato. Torniamo ad Agali in barca con il buio pesto e poi diretti in hotel.

5) 10 agosto 2020 lunedì: Folegandros

Pier va a correre fino alla chiesa sopra la Chora poi, dopo colazione, ci troviamo con i nostri amici. Oggi si va a sud diretti alla spiaggia Katergo, che si contende con Livadaki il primato di più bella dell’isola. Arriviamo al porto (sembra una cartolina) e poi proseguiamo a destra. Vediamo delle case, dopo il cartello che indica la nostra meta, quindi andiamo a curiosare. Ci troviamo di fronte ad una bella immagine. Un signore anziano sta accompagnando un gruppo di capre. Ci fa un bellissimo sorriso sdentato quando lo salutiamo. Le case, tutte in pietra sono circondate da fichi d’india strapieni di frutti. Quest’isola è brulla, riescono a sopravvivere solo queste piante. Torniamo indietro fino al parcheggio e lasciamo la macchina. Il sentiero per raggiungere la spiaggia è bello. Il primo tratto è in piano poi si deve scendere fino al mare. La camminata ha richiesto 25 minuti. Dall’alto c’è un gran bel colpo d’occhio. Il mare è di un colore meraviglioso. Anche qui non c’è nessuno. Si può arrivare anche in barca dal porto. Non c’è nessun punto ristoro. Oggi il mare è mosso. Facciamo il bagno ma per i bimbi è un pò meno sicuro rispetto alla spiaggia di ieri. Ci fermiamo un paio d’ore e quando arriva la prima barca, torniamo indietro. Andiamo al porto. La spiaggia ed il mare sono belli. Cerchiamo un ristorante. Scegliamo il Mapeipeion perchè ha la terrazza sul tetto. Non c’è molta scelta di piatti ma ci troviamo bene. Pier e Simone prendono dei pesciolini fritti e dicono che sono ottimi (€ 47). Andiamo poi un’oretta in hotel. Pier e Martina rimangono lì, io vado a fare foto alla Chora e al Kastro. In giro non c’è nessuno. Fa caldo ma è ventilato. Trovo degli angolini davvero graziosi. Rientro puntuale per ripartire in macchina direzione nord. Passiamo per il paesino di Ano Meria dove si trova una bella chiesa con la cupola blu e poi puntiamo alla spiaggia Agios Georgios. La strada è sterrata e parecchio pendente. Arriviamo fino alla spiaggia dove ci sono solo altre 3 coppie in quad. Il mare è molto grosso. Non si riesce a fare il bagno. Facciamo volare il drone e poi tentiamo la risalita. La nostra macchina non ha problemi. Simone non si fida quindi sale da solo. Pier porta su me e Martina e poi scende a recuperare Sonia e i ragazzi. Torniamo in hotel giusto il tempo di una doccia e pagare il conto all’hotel. Ci scoccia parecchio perchè, in fase di prenotazione avevamo detto che avevamo l’esigenza di farci una doccia prima di partire domani (l’idea di viaggiare in traghetto tutti sporchi di salsedine non ci faceva impazzire ….) e Cristina ci aveva detto che non c’erano problemi. Ci avrebbe dato una camera d’appoggio solo per quello. Invece oggi ci dice che non si può … benissimo … Una volta docciati abbiamo appuntamento per andare a vedere il tramonto dalla chiesa sopra la Chora. Facciamo prima due passi nel Kastro e poi raggiungiamo la chiesa. Da lassù c’è un bel panorama. Si vedono le case del Kastro a strapiombo sul mare. Andiamo poi a cena al ristorante Nicholas’ Place. Il proprietario, Nicholas, è famoso per il suo caratteraccio ma con noi sarà gentile e ceneremo molto bene (€ 70). Ci offre anche il delizioso liquore tipico, il Rakomelo. Viene portato, come la grolla, con il fuoco acceso per bruciare un pò l’alcool. Molto buono. Facciamo ancora due passi e poi rincasiamo.

6) 11 agosto 2020 martedì: Folegandros – Milos

Oggi abbiamo solo poche ore prima di prendere il traghetto quindi andiamo diretti al parcheggio per la spiaggia Livadaki. La strada è tutta in discesa. Si passa vicino ad una chiesetta. Arriviamo a destinazione in una quarantina di minuti. La spiaggia si trova in un’insenatura molto bella. Anche oggi siamo i primi. Io e Simone andiamo al faro di Aspropunta. Il sentiero si trova a sinistra della spiaggia. In una ventina di minuti lo raggiungiamo. Bello e bella location. Torniamo alla spiaggia con l’idea di un bagno ma ci dicono che ci sono diverse meduse, una ha punto Giorgia, quindi evitiamo di entrare in acqua. Sono passate da poco le 11 quando arriva la barca che porta i turisti da Agali. Il tempo è tiranno quindi affrontiamo la salita. Per fortuna che c’è parecchio vento altrimenti sarebbe impegnativa per il caldo. Per pranzo ci fermiamo nel primo ristorante che troviamo. Si chiama Sunset. La conduzione è familiare, genitori e figlio. Potenzialmente, essendo cucina casalinga, potrebbe avere un suo perchè, ma in realtà pranzeremo male (€ 35). Andiamo da Simone e Sonia per un bagno in piscina, non potendo fare la doccia in hotel… andiamo a rendere la macchina e paghiamo 22 € per la benzina. Il proprietario ci porta al porto. Andiamo in un bar  per stare all’ombra e avere un posto dove sedersi. Appena ci sistemiamo arriva il messaggio della SeaJets … 1 ora e mezza di ritardo… benissimo!!!!!! Finalmente alle 18 partiamo … il mare è parecchio mosso. La tratta dura circa un’ora. Alle 19 sbarchiamo a Milos. Ci separiamo da Sonia e Simone perchè abbiamo affittato la macchina in due posti diversi. Noi l’abbiamo presa, come ho scritto nella prefazione, tramite il sito che usiamo di solito, www.rentalcar.com, da Auto Union (https://www.autounion.gr/car-rental-guide/car_hire_milos.html) al costo di € 160 per 3 giorni. Gli uffici sono vicini al porto di Adamas. Auto perfetta, super igienizzata con tanto di protezione in plastica su volante, cambio e sedili. Andiamo diretti a Pollonia, dove abbiamo prenotato 3 notti. Arriviamo alle 20.30 dopo aver visto il tramonto viaggiando.

Hotel: Pollonia Studios – solo pernottamento – Suite con Vista Mare – € 250 a notte

(https://pollonia-studios.gr/?lang=it)

Li abbiamo contattati direttamente. Abbiamo pagato una notte con bonifico ed il saldo di € 500 in contanti all’arrivo (ci hanno fatto sempre lo sconto del 10% per il pagamento in contanti). La ragazza alla reception ci dà parecchie info ed una mappa dettagliata dell’isola. L’appartamento è carinissimo tutto azzurro e bianco. Ci troveremo proprio bene. Il mare lo si vede ma è dall’altra parte della strada. Facciamo giusto in tempo a sistemare le borse, farci una doccia ed è già ora di uscire. Ci siamo dati appuntamento alle 21.30. Andiamo a piedi al porticciolo di Pollonia dove ci sono tutti i ristoranti ed ovviamente sono tutti pieni. Non sapendo di preciso a che ora arrivavamo con il traghetto, non ci siamo fidati a prenotare, come facciamo di solito. Dovremo aspettare. Riusciremo a sederci da Rafiki alle 23. Ceneremo bene anche se il tavolo è da 4 e noi siamo 7, ma non ci sono alternative (€ 78). Anche oggi giornata lunga quindi andiamo volentieri a dormire.

7) 12 agosto 2020 mercoledì: Milos

Facciamo colazione in un bar e poi puntuali ci troviamo con Sonia e Simone. Oggi visiteremo la costa nord. Puntiamo diretti a Sarakiniko. La spiaggia è molto piccola ma la particolarità sono le rocce si trovano in quella zona. Sono bianche e levigate dagli agenti atmosferici. Particolare e bella. Ci sono delle grotte che siamo riusciti a vedere solo con il drone in quanto non si si riesce a sporgere. C’è anche un cenote, una sorta di piscina dove l’acqua del mare entra ed esce, come quelli messicani. Ci spostiamo poi a Mandrakia. Questo piccolo porticciolo con le rimesse delle barche a pelo d’acqua ed una chiesetta, è l’immagine più famosa di Milos. Effettivamente è davvero un gioiellino. Ci sono anche dei rimessaggi nella parte verso il mare aperto. Una ventina di polipi sono “stesi” su un filo ad asciugare, come i panni. C’è un ristorante direttamente sul mare, molto ben recensito, Medusa. Purtroppo ci dicono che non prendono prenotazioni ed ora è presto per pranzare. Torneremo più tardi. Andiamo allora alla spiaggia Plathiena. E’ bella con il mare pulitissimo e le onde di misura giusta per i bambini anche se Giorgia e Lorenzo sono bravissimi a nuotare. C’è la possibilità di farsi la doccia con acqua dolce. C’è anche un ristorante ma noi vogliamo andare da Medusa quindi ci spostiamo nuovamente. Una volta arrivati scopriamo che ci sono 30 persone in attesa …. dobbiamo accantonare l’idea quindi andiamo nell’entroterra, a Tripiti, da Ergina. Anche questo ristorante è molto conosciuto. Ha una bella terrazza. Mangeremo davvero bene e la cameriera è super gentile (€ 53). Andiamo poi a fare due foto a Firopotamos. Anche qui ci sono le rimesse delle barche a filo acqua, una chiesa, dei ruderi di un edificio e la spiaggia (nessun punto ristoro). Altro angolino davvero grazioso. Torniamo all’hotel, dopo una sosta in un market, giusto il tempo di una doccia e poi si riparte. Avevo visto un’immagine bellissima del tramonto a Klima quindi ci tengo ad andare a vederlo. I rimessaggi delle barche vanno per la maggiore e riesco a fotografarli con il sole che cala. Andiamo poi al ristorante, l’unico che c’è qui, Astakas. Lo avevamo prenotato questa mattina e che si trova proprio sul mare. Il nostro tavolo è a pochi centimetri dall’acqua. Location molto bella, il cibo non sarà all’altezza più che altro perchè il polipo è completamente bruciato e i dolci, dopo 1 ora di attesa, li abbiamo disdetti (€ 60). Oggi abbiamo saputo che dovremo fare il tampone quando arriveremo in Italia quindi abbiamo chiamato subito la nostra Asl e prenotato per il giorno dopo il nostro rientro. L’abbiamo scampata in andata in arrivo ma ora ci tocca….

8) 13 agosto 2020 giovedì: Milos

Facciamo colazione in camera e poi partiamo. Oggi ci dedichiamo al sud. Vediamo da lontano il paesino di Adamas, dove siamo arrivati con il traghetto. Bel colpo d’occhio. Andiamo poi a vedere dal punto panoramico la spiaggia Tsigrado ed infine andiamo a parcheggiare a Firiplaka. Come al solito c’è poca gente. Visto che staremo qui qualche ora prendiamo l’ombrellone (€ 15 con due sdraio). Il mare è davvero bello. E’ poco profondo per un lungo tratto. E’ perfetto per i bambini. Facciamo due passi sulla spiaggia fino a raggiungere delle formazioni rocciose notevoli di color giallo, rosso e rosa. Bello. Facciamo la classica giornata di mare con bagni e relax. Pranziamo con delle insalate comprate nel piccolo bar della spiaggia (€ 28). Sonia e Simone si fermano un pò di più. Io voglio tornare a Klima per fotografare ancora i rimessaggi delle barche. Andiamo poi all’appartamento. Come al solito il tempo è tiranno quindi doccia e via … andiamo a Plaka per vedere il tramonto e cenare. Puntiamo per un aperitivo con vista all’Utopia cafè ma ci vuole la prenotazione quindi ci troviamo un posticino tutto per noi per goderci il tramonto. Per cena andiamo da Archontoula. Buono (€ 70). Ci fermiamo in un negozio di dolci per acquistare una torta. Avevamo in mente di fare una cena da noi ma in 7 sul nostro terrazzo era un pò complicato, così decidiamo di andare là a bere la bottiglia di vino che ci ha regalato l’hotel con un dolcetto. Facciamo ancora due chiacchiere prima di andare a dormire.

9) 14 agosto 2020 venerdì: Milos – Santorini

Oggi noi dobbiamo partire per Santorini mentre Simone e Sonia ci raggiungeranno domani. Avremmo dovuto viaggiare insieme ma quando abbiamo cercato di prenotare il traghetto, a distanza di poche ore, c’era solo più un posto sul loro quindi abbiamo anticipato la partenza ad oggi. Facciamo colazione in un bar e poi andiamo ad Adamas. Lasciamo la macchina dopo aver fatto il pieno. Come al solito il traghetto ha già un’ora di ritardo … anzichè alle 10.00 partiamo alle 11.00. Faremo tappa anche a Folegandros prima di arrivare a Santorini. Il mare è forza 5 quindi impiegheremo quasi 3 ore. C’è la processione di persone che vanno in bagno perchè stanno male. Una volta arrivati andiamo ancora da Kronos a prendere la macchina. Paghiamo € 74 per 3 giorni. La lasceremo in aeroporto. E’ ora di pranzo. Andiamo ad Akrotiri in un ristorante, Misteli, che ci hanno suggerito Sonia e Simone. Molto grazioso il posto, personale gentilissimo ma soprattutto ottimo cibo. Ci siamo trovati davvero bene (€ 58). I nostri vicini prendono una bistecca enorme alla griglia. Guardiamo sul menù … 800 grammi … solo 14 € … pazzesco … una, basta per due … Attraversiamo di nuovo l’isola ed andiamo al nostro hotel che si trova a Firostefani, tra Imerovigli e Fira, dove staremo 3 notti. Ha il parcheggio.

 

Hotel: Splendour Resort – Junior Suite con Piscina Privata – € 259 a notte con colazione e cena

https://www.splendour-santorini.com/

 

Paghiamo tutto all’arrivo. Avevamo prenotato su booking con la cena e la colazione comprese. Chiediamo se possiamo togliere la cena ma ci dicono che è un pacchetto e non riescono. Se vogliamo possiamo convertirla in pranzo. Così facendo la prima sera staremo qui, il secondo giorno faremo pranzo mentre il terzo lo perdiamo perchè andremo fuori sia a pranzo che a cena. Avevamo prenotato con questa soluzione perchè senza cena inclusa, costava di più. Non abbiamo capito come fosse possibile. La camera è molto spaziosa e la nostra piscina privata è proprio davanti alla camera. Con grande gioia di Martina, il pomeriggio lo passiamo qui. Nel tardo pomeriggio Pier va a correre fino a Skaros Rock e noi donne facciamo un giro per negozietti verso Fira. Avendo la cena inclusa, anche se non ci fa impazzire … questa sera decidiamo di mangiare qui. E’ un pò triste perchè siamo solo noi ed un altra coppia, ma si mangia bene. Andiamo a dormire presto perchè domani mattina ci alziamo prima dell’alba.

10) 15 agosto 2020 sabato: Santorini

Ci siamo fatti dare dall’hotel un breakfast box, non volendo aspettare le 8 per la colazione quindi mangiamo qualcosina in camera e alle 7.00 partiamo per fare la camminata da Fira ad Oia. Il sentiero lo imbocchiamo davanti al nostro hotel. In realtà inizia dal centro di Fira. Nel primo tratto attraversiamo tutta Imerovigli lustrandoci gli occhi guardando piscine da urlo dei vari hotel. Fuori dal paese inizia il sentiero sterrato che è tutto un sali-scendi passando vicino ad alcune chiesette con la cupola blu. Facendo la camminata all’alba si è quasi sempre all’ombra e si ha una vista meravigliosa sulla caldera, avendo il sole alle spalle. Nei punti in cui si riesce a guardare verso i paesi, i colori non rendono perchè sono in controluce. Se la si dovesse fare al tramonto, sarebbe il contrario. Questa passeggiata merita, non è difficile e il panorama è bellissimo, soprattutto dalla chiesa più in alto. Impieghiamo 2 ore e mezza ma ce la prendiamo con calma. C’è da considerare che non ci sono punti ristoro, da quando finisce Imerovigli fino ad Oia quindi bisogna avere scorta di acqua. Arriviamo in paese e andiamo a fare un’altra colazione poi Pier si posiziona su una panchina all’ombra mentre io e Martina andiamo a fare ancora delle foto e facciamo due acquisti. Essendo presto non c’è in giro praticamente nessuno. Andiamo sulla strada parallela a quella vista caldera, dove passano le macchine, e prendiamo il pullman per tornare in hotel. Costa € 1,60 a testa fisso, per la tratta da qui al centro di Fira. Non si può scendere prima. Quindi poi da Fira all’hotel andiamo a piedi. Decidiamo di pranzare li. Nel mentre ci raggiungono Sonia e Simone in arrivo da Milos. Loro hanno trovato un mare più clemente rispetto a quello che abbiamo trovato noi ieri. Pranziamo quindi tutti insieme. L’insalata Santorini è buonissima. Pomeriggio ancora di relax in piscina. Per cena cerchiamo varie recensioni su internet poi Sonia trova Pelican Kipos a Fira e prenotiamo. Per raggiungerlo percorriamo le viuzze più basse, verso il mare, costeggiando diversi hotel. Così si ha una bellissima visuale sulle costruzioni bianche che si tingono di rosa al tramonto. Guardiamo calare il sole e poi andiamo al ristorante. Non è vista caldera ma ha un bel giardino pieno di piante. Ci troveremo davvero bene (€ 74). Proveremo un liquore, il Mastika, davvero buono. Alla fine portano ai ragazzi la panna cotta mentre a noi adulti il vin santo … Torniamo in hotel sempre a piedi.

11) 16 agosto 2020 domenica: Santorini

Ultima giornata con un pò di piscina. A metà mattina io e Pier andiamo a fare un giro in macchina. Voglio andare a fare delle foto dalla collina più alta dell’isola, verso Pyrgos. Potenzialmente potrebbe essere da urlo ma aimè, proprio sulla punta dove c’è la visuale migliore, c’è una base militare …. comunque, se si ha tempo, un giretto fin quassù si può fare. Non si ha una visione d’insieme della caldera, ma a tratti merita. Sonia e Simone sapevamo che uscivano a pranzo, la nostra idea era di rimanere in hotel ma non ne abbiamo voglia. Portiamo la macchina in hotel, recuperiamo Martina e andiamo verso Fira. Avevamo letto delle recensioni positive sulla Stani Tavern quindi ci indirizziamo là. E’ vista caldera. Mangeremo proprio male (€ 45) … se stavamo in hotel era meglio … peccato. Pier e Martina poi tornano direttamente in hotel mentre io mi “perdo” a fare foto percorrendo le viuzze basse … Sul tardi solo io e Sonia andiamo a Skaros Rock. Bella passeggiata con una bella visuale di Imerovigli dal basso. Siamo indecisi su dove andare a cena poi all’unanimità decidiamo di tornare Pelican Kipos. Chiamiamo e hanno posto. Ceneremo sempre molto bene (€ 70). Alla fine portano lo yogurt ai ragazzi al posto della panna cotta. Facciamo un brindisi di fine vacanza … con la Mytos, birra che ci ha dissetati quasi tutte le sere … con l’augurio di organizzarne un’altra … Andiamo in hotel e Pier e Simone … fanno il bagno in piscina …. speriamo che domani non abbiano la febbre altrimenti i termo scanner dell’aeroporto li bloccano ….. per fortuna non accadrà.

12) 17 agosto 2020 lunedì: Santorini – Milano

Colazione in hotel, paghiamo le bevande che non erano comprese (€ 29) e la tassa di soggiorno (€ 22 per tutti e 3 per le tre notti) e poi andiamo in aeroporto. Simone e Sonia, che per questi due giorni non avevano preso la macchina, vanno con la navetta dell’hotel. Costa € 35 fino in aeroporto e 25 fino al porto, dovesse interessare. Una volta arrivati consegnamo la macchina all’addetto della Kronos. Il volo dei nostri amici parte per Venezia 1/2 ora prima del nostro. Li vediamo decollare provando già un pò di nostalgia…. abbiamo passato proprio una bella vacanza insieme!! Anche il nostro volo parte puntuale. All’arrivo troviamo a caratteri cubitali, ovunque, le indicazioni di fare il tampone. Malpensa impiegherà ancora qualche giorno per essere operativa per farli appena si sbarca. Sentiamo varie telefonate di persone impanicate che cercano di contattare, senza riuscire, l’Asl. Per fortuna che noi abbiamo già appuntamento per domani. Nostro figlio Matteo va a recuperare i nostri labrador in pensione perchè noi dobbiamo andare diretti a casa. Facciamo un misero pranzo con il take away di Mc Donald … rimpiangendo già i deliziosi piatti grechi …

Questa vacanza inaspettata e così tanto diversa dal nostro solito modo di viaggiare, ci lascerà dei bei ricordi …

  1. tampone fatto, 1 settimana per l’esito … ma tutti negativi!!!!

Se volete qualche info non esitate a scrivermi: african.dreams2019@gmail.com

The post Grecia ai tempi del covid (agosto 2020) appeared first on Il Giramondo.

Island Hopping alle Cicladi (in un anno da dimenticare)

$
0
0

È una mattina di fine Novembre umida e nebbiosa, sto riordinando le foto di Agosto e, mentre mi perdo nelle bellissime immagini della Grecia, non posso fare a meno di pensare a tutta l’ansia provata prima della partenza ma anche a quanto questa vacanza sia stata meravigliosa. Sì, perché poco dopo aver acquistato i voli e inviato l’acconto per gli alloggi è iniziata la diffusione di questo orrendo virus trasformatosi poi nella pandemia tuttora in corso. Siamo stati incerti fino all’ultimo se annullare tutto e perdere quanto pagato (la compagnia ad Agosto operava regolarmente quindi non prevedeva un rimborso, così come i gestori dei residence) o partire correndo alcuni rischi. Non parlo tanto della paura del contagio (conosco le nostre abitudini, siamo estremamente mattinieri in un luogo in cui le 12 sono considerate poco più che l’alba), ma del timore di avere problemi all’arrivo visto che venivano effettuati tamponi random con obbligo di quarantena presso una loro struttura in caso di positività. Alla fine decidiamo di andare, prenderemo quello che verrà. E quello che è arrivato è stata la solita incantevole vacanza nel paese che più amo al mondo.

COSI’…

domani si parte. Attendo fino a mezzanotte davanti al monitor che mi arrivi il documento con un QR code da mostrare all’ingresso in Grecia. I nostri iniziano con numero pari quindi niente tampone all’arrivo. Primo sospiro di sollievo!

Lo spostamento all’ultimo minuto da parte di Aegean Airlines dell’orario del volo da Bologna ad Atene ci ha fatto perdere la coincidenza per Milos, quindi cerchiamo una stanza con servizio navetta nei pressi dell’aeroporto per poter ripartire il giorno dopo di prima mattina.

Preciso che su tutte le isole le regole anticovid sono sempre state rigorosamente rispettate, sia nei locali che sui traghetti che all’aperto. Va da se che anche negli aeroporti e sugli aerei si sono rispettate alla lettera tutte le procedure.

1° giorno

Il piccolo aereo della Olympic ci lascia in un minuscolo aeroporto dove ci attende l’autista mandato da Orizontes Studios, la struttura che abbiamo scelto, e che sceglieremmo di nuovo, ad Adamas, il porto principale, in zona leggermente decentrata e tranquillissima, con deliziosi appartamenti in un giardino curatissimo e una bella piscina. Il tempo di sistemare velocemente le nostre cose e di prendere lo scooter e siamo già sulla strada per Achivadolimni, lunga spiaggia sul lato opposto del golfo di Adamas. Solitamente è battuta dal Meltemi, che ad Agosto spira incessantemente, ma oggi è placida e tranquilla come un lago e si offre a noi in tutta la sua bellezza. Siamo in sei in tutta la spiaggia. Non avremmo potuto iniziare meglio.

Sulla strada del ritorno ci fermiamo alla spiaggia di Alykes, incuriositi dal cartello che indica Sorgenti Termali, ma non ci sembra nulla di particolare.

Nel tardo pomeriggio saliamo a vedere Plaka, il capoluogo di Milos, classico paesino cicladico bianco, caratterizzato da casette basse e vicoli tortuosi sulle colline alle spalle del porto.

2°giorno

L’isola di Milos può essere idealmente divisa in due parti: ad est tutte le località sono facilmente raggiungibili con qualunque mezzo, mentre le spiagge ad ovest si raggiungono solo in fuoristrada o barca. Considerati i pochi giorni ci concentreremo sulla zona est.

Alle 8 siamo già a Sarakiniko. Ci sono pochissime persone e sembra veramente di passeggiare su di un altro pianeta. È una delle immagini iconiche di Milos, caratterizzata da formazioni di pomice bianco che danno la sensazione di passeggiare in certi momenti sulla luna ed in altri tra gli iceberg del polo.

Ci spostiamo poi nel piccolo villaggio di Mandrakia dove vediamo le prime Syrmata, antichi ricoveri invernali per le barche scavati nella roccia che oggi vengono sempre più adibiti ad abitazione per le vacanze.

Infine ci fermiamo a Firopotamos, altra deliziosa spiaggetta orlata da tamerici e Syrmata che qui sembrano vere e proprie villette in riva al mare. L’acqua ha l’aspetto di un cristallo liquefatto, una vera meraviglia, non per niente rimarrà una delle nostre preferite.

Nel tardo pomeriggio ci spostiamo verso Plathiena, una tranquilla spiaggia rivolta ad ovest da cui si può godere di un bellissimo tramonto.

3° giorno

Sempre di buon mattino (la nostra fortuna nel non aver problemi a svegliarci presto ci ha permesso di stare sempre in spiagge quasi vuote su tutte le isole, rispettando nella massima sicurezza ogni regola sul distanziamento) ci dirigiamo a Pollonia. Ci fermiamo lungo la strada per scattare qualche foto alla spiaggia di Pachena e al piccolo fiordo di Papafragos. Una volta arrivati andiamo subito ad informarci sugli orari del traghetto che tra qualche giorno ci porterà a Kimolos poi ci rilassiamo in spiaggia. Pollonia è un paesino delizioso, con un’ampia spiaggia di sabbia bianca che degrada dolcemente verso un mare tranquillo. Alle spalle, come in quasi tutte le spiagge di Milos e delle isole che visiteremo, ci sono tante tamerici che regalano ombra a chi è sprovvisto di ombrellone o in caso di forte vento. Su un lato della spiaggia si affacciano tanti ristorantini a pelo d’acqua. Direi che questa località può essere riassunta in due parole: relax totale.

Nel tardo pomeriggio dopo un riposino in piscina andiamo a vedere Klima al tramonto. Klima è l’altra immagine iconica di Milos. La lunga serie di Syrmata a pelo d’acqua con i portoni colorati ne fa uno dei luoghi più fotografati dell’isola. La luce del sole che scende rende poi tutto ancora più affascinante. Concludiamo la serata cenando e passeggiando al porto di Adamas.

4° giorno

Oggi è la volta di Paliochori, altra bella spiaggia facilmente raggiungibile, caratterizza dalle rocce colorate alle spalle che sfumano dal giallo all’ocra al rosso.

Contrariamente alle altre questa è una spiaggia molto attrezzata, cosa che a mio avviso le fa perdere buona parte del suo fascino. Dopo poco però il tempo volge al brutto. Una serie di nuvoloni neri non rendono piacevole la permanenza quindi cambio di programma e ci dirigiamo verso Tripiti dove sorge un antico teatro romano in marmo bianco ben conservato che si affaccia in modo suggestivo sulla baia.

In zona è anche indicato il luogo dove è stata rinvenuta la famosa statua delle Venere di Milo. Sarebbe stata nostra intenzione anche visitare le vicine Catacombe ma una fila di due ore ci ha fatto desistere.

Nel pomeriggio il tempo migliora quindi torniamo nella amata Firopotamos.

Questa sera il tramonto lo andiamo ad ammirare dall’alto del Kastro, l’antica fortezza che sovrasta Plaka. Una bella salita, per niente aiutata dalla temperatura che c’è, ma ne vale la pena.

5°giorno

La mattina la dedichiamo alla bella Firiplaka, grande spiaggia divisa in due parti da un faraglione, la prima attrezzata la seconda libera. Come sempre scegliamo il tratto libero.

Oggi il vento è veramente fortissimo e si fatica a restare sdraiati sulla sabbia, così verso le 13, quando la spiaggia inizia a riempirsi , un po’ per motivi di sicurezza un po’ perché la permanenza è diventata fastidiosa e abbiamo voglia di vedere altro, ce ne andiamo. Non ho ancora parlato del vento. Ad Agosto è una costante alle Cicladi, ma anche una mano santa perché permette di sopportare il caldo che in assenza sarebbe intollerabile. Per noi, a parte oggi, non è mai stato un problema. E comunque su queste piccole isole basta informarsi sulla direzione da cui spira e sul lato opposto si trova sempre qualche caletta abbastanza tranquilla.

Passiamo il pomeriggio a passeggiare tra Adamas, Plaka e Tripiti, i centri principali che, come spesso ci accade, si finisce sempre col vedere di sera per cena o al ritorno dalle spiagge, ed è un peccato perché vale la pena  spendere del tempo gironzolando tra le case di questi paesini.

1° giorno

L’arrivo a Kimolos è quantomeno pittoresco. Dopo tanti messaggi con la proprietaria dell’appartamento per accordarci sul transfer, ci troviamo soli al porto. Con non poche difficoltà e un caldo allucinante riusciamo a contattarla. Arriva una baldanzosa signora con un piccolo scooter che ci lascia allibiti. Sarebbe il nostro transfer?? Ci risponde che ci accompagna su in paese uno alla volta poi ritornerà a prendere le valigie.

Volevate l’isoletta caratteristica e autentica? Eccovela. E poche storie!

In realtà Kimolos è un’isola così, da “poche storie”. C’è UNA strada, UN distributore, UN paesino, UN taxi.

Già la amo.

Ritiriamo lo scooter prenotato con buon anticipo (e meno male vista la scarsa disponibilità) e, dato che è molto presto per il check in, ci fermiamo per un primo bagno nella spiaggia di Klima. Carina, anche se sicuramente non il meglio che si può trovare sull’isola.

Ci rimettiamo in sella e cominciamo a percorrere la strada prendendo le deviazioni che incrociamo. Per prima tocca a Karras e restiamo senza parole: una piscina blu dove tuffarsi da alcuni scogli piatti bianchissimi. Non c’è spiaggia ma il divertimento è assicurato. Che meraviglia!

Quando iniziamo ad essere stanchi di tuffi e risalite ci muoviamo verso Goupa, deliziosa caletta di ciottoli con ai lati alcune syrmata e dalla quale si può fotografare una roccia particolare a forma di elefante. Facciamo un po’ di spesa e prendiamo possesso dell’appartamento che, trovandosi nel punto più alto del paese, proprio di fianco alla chiesa, ha una bellissima terrazza con vista mozzafiato sul mare.

Ecco…appunto…di fianco alla chiesa…con campane che battono le ore e le mezz’ore H24 , e la messa cantata tutte le sere in diretta con gli amplificatori. Sempre a proposito di isoletta caratteristica e autentica.

La serata termina nella piazzetta del paese, dove, tra i tavoli di un ristorantino e un bar, corrono spensierati tutti ragazzini che abitano qui.

2° giorno

Il turismo a Kimolos è per la maggior parte di tipo giornaliero. Quasi tutti vengono qui la mattina col traghetto da Milos e rientrano nel pomeriggio (non sapendo cosa si perdono non fermandosi almeno per qualche giorno). La meta è per tutti la bianca spiaggia di Prassa, e proprio qui ci rechiamo stamattina. Arriviamo, come sempre, che è ancora vuota e lo spettacolo è veramente grande. Sabbia bianchissima, mare trasparente, una parte attrezzata (ma carina), una parte libera o orlata dalle solite tamerici.

Bagni, sole e relax a più non posso poi verso le 13, quando comincia ad essere un po’ piena ce ne andiamo. Non resistiamo però al richiamo di Karras sulla via del ritorno e una mezz’oretta di tuffi e puro divertimento non ce la toglie nessuno.

Verso le 17 ci muoviamo in direzione di Skiadi, una formazione rocciosa nel cuore dell’isola a forma di fungo che si raggiunge prima con un lungo sterrato in scooter poi con una camminata di 40 minuti. Come sempre la luce del tramonto esalta le opere d’arte che la natura è in grado di creare.

3° giorno

Tanta bellezza e tanto relax oggi vengono un po’ turbati dalle notizie che arrivano dall’Italia e che parlano di tampone obbligatorio al rientro dalla Grecia in quanto paese a rischio. Ci sembra veramente assurdo, vista la situazione tranquillissima che abbiamo incontrato finora e il massimo rispetto delle regole, comunque nei prossimi giorni segnaleremo la nostra presenza all’Ausl e faremo ciò che ci chiedono.

Così per rilassarci andiamo a Kalamitsi, deliziosa spiaggetta con le solite tamerici e abbellita da tanti gigli di mare. Come al solito ci siamo noi e pochissime altre persone, quindi pace, sole e bagni.

Nascosta tra la vegetazione c’è una piccola taverna molto molto semplice, proprio di quelle che piacciono a noi. Prenotiamo per cena.

La spiaggia del pomeriggio oggi è Mavrospilia, guarda ad ovest ed ha un bellissimo tramonto che tinge di rosa gli scogli in mare.

Quando fa buio sulla via del ritorno ci rifermiamo a Kalamitsi, dove ceniamo (benissimo e a poco) ammirando le stelle e le onde che lambiscono la spiaggia a pochi metri dai tavoli. Una cena qui se ci si ferma a Kimolos è assolutamente da fare.

4° giorno

Oggi è l’ultimo giorno a Kimolos e decidiamo di replicare i luoghi che più ci sono piaciuti. Quindi mattina a Prassa con sosta, ormai obbligatoria, per i tuffi a Karras e pomeriggio a Kalamitsi.

Passeggiata serale con pitagyros e via a chiudere le valigie.

1° giorno

Alle 10 il traghetto ci lascia al porto di Folegandros dove gentile e sorridente ci aspetta il proprietario di Haraki, il residence che abbiamo scelto alle porte della chora. Giusto mezz’ora per fare il check in e ritirare lo scooter e siamo già operativi. Il primo impatto con l’isola è veramente buono. Bello il porto, bella la chora, belli i panorami e bella anche la spiaggia di Angali, una tra le più semplici da raggiungere. Sicuramente anche una tra le più popolari, ma per ora si sta veramente bene.

Nel tardo pomeriggio dopo qualche tuffo rinfrescante in piscina saliamo alla Panagia, il luogo simbolo di Folegandros, una chiesetta in cima al monte alle spalle della Chora che si raggiunge tramite una lunga scalinata a zig-zag. Una delle cartoline iconiche delle Cicladi. E da qui il tramonto non ha eguali.

Le serate nella chora poi sono deliziose, tra i tavolini illuminati da mille lampadine e i negozietti nei vicoli. Dicono che la chora di Folegandros sia la più bella delle Cicladi. Non fatichiamo a crederlo.

2°giorno

Un tratto in scooter poi una bella scarpinata su di un sentierino ci portano a Katergo, solita meravigliosa spiaggia con acqua cristallina ma caratterizza da un grande scoglio a forma di balena che sembra nuotare verso la riva.

Ci si può arrivare anche in barca ma a noi da più soddisfazione raggiungerla a piedi al mattino presto quando non c’è ancora nessuno, poi la vista dall’alto è impagabile. Tassativamente con scarpe chiuse, cappello e acqua in quanto l’ultimo tratto è piuttosto scosceso e al ritorno col sole a picco la risalita si fa sentire.

Pomeriggio a Livadi, tranquilla spiaggia giù vicino al porto, non speciale, ma piacevole e tranquillissima nonostante sia la spiaggia del campeggio dell’isola.

Per cena invece raggiungiamo Ano Meria, terzo e ultimo paese di Folegandros dopo Karavostasis (il porto) e la Chora, che si susseguono sull’unica strada principale. Andiamo lì per assaggiare la Matsata, un piatto tipico a base di pasta (tipo grosse tagliatelle) fatte in casa con pomodoro e formaggio locale che fanno da accompagnamento a vari tipi di carne. Lo facciamo da Mimi’s, rustica trattoria in cima al villaggio con una piccola veranda riparata dal vento.

Sempre a proposito di vento, se durante il giorno è una mano santa la sera è piuttosto freddino e, se ci si muove in scooter, meglio essere ben equipaggiati.

3° giorno

La meta di oggi è Livadaki, la spiaggia più famosa di Folegandros. Anche qui ci si arriva o con una lunga camminata o in barca partendo da Angali. Proviamo a cambiare e scegliamo la barca. Ce ne pentiamo esattamente due minuti dopo aver fatto il biglietto. Iniziamo con l’orario di partenza che sulla carta era 10,30 ma si sa, siamo in Grecia, quindi fino alle 11,30 restiamo sul molo in attesa di non si sa cosa…

Inoltre pare che tutti oggi abbiano deciso per questa meta, quindi le barche fanno avanti e indietro scaricando ad ogni giro decine di persone e, visto il momento particolare, la cosa non ci piace affatto. Certo la spiaggia è bellissima, ciottoli bianchi e acqua trasparente ma purtroppo con tante meduse. Insomma un insieme di cose che fa perdere al tutto parecchio fascino. Sarebbe stato meglio scarpinare al mattino presto.

Non so come mai ma per noi funziona sempre così: quando le aspettative sono troppo alte restiamo sempre un po’ insoddisfatti.

4° giorno

Partendo a piedi sempre da Angali percorriamo un bel sentiero panoramico (molto più semplice di quello per Katergo) che, tra una sosta e l’altra per fotografare minuscole chiese e deliziose calette, ci porta alla spiaggia di Agios Nikolaos. Arriviamo che è praticamente vuota, fantastica, profonda con alle spalle tante tamerici per l’ombra. Oggi è veramente un piacere stare in spiaggia.

Verso le 14 ripercorriamo il sentiero e facciamo una pausa pranzo nel nostro patio.

Poi è il turno di Karavostasis, la spiaggia del porto che di “spiaggia del porto” non ha proprio nulla, tanto da essere una delle più piacevoli e rilassanti, con i suoi ciottoli bianchi, le acque dai colori cangianti e le tamerici che la ornano. E poi è bellissimo stare qui ad oziare guardando l’andirivieni di barche e barchette (e ogni tanto qualche “barcona”).

5° giorno

Alle spalle del porto, nascosta dalle case, c’è una bella spiaggia che si raggiunge semplicemente scendendo una scalinata: è la spiaggia di Vardia. Stranamente snobbata dai più in favore di altre più blasonate, è in realtà una spiaggia che merita una sosta e che ci ha regalato una piacevole mattinata di bagni, sole e mare calmissimo.

Per l’ultimo pomeriggio in spiaggia scegliamo non la più bella, esclusiva o gettonata ma quella che ci ha regalato le emozioni migliori. Stranamente è risultata essere Karavostasis… quella del porto.

E PER CONCLUDERE IN BELLEZZA…

Per il rientro potevamo scegliere di tornare a Milos o di raggiungere l’aeroporto di Santorini. Anche se una vacanza qui l’avevamo già fatta ci ritagliamo un paio di giorni per rivedere Santorini. Scegliamo il Golden Star, un hotel con piscina a Fira per due motivi: non abbiamo un mezzo di trasporto e ci serve un luogo dove stare un po’ al fresco nelle ore centrali del giorno che qui risultano invivibili per il gran caldo. Abbiamo visto l’isola come mai più ci ricapiterà di vederla. Senza le solite orde di turisti e croceristi che solitamente la caratterizzano è sembrato strano passeggiare tra Fira, Firostefani e Imerovigli incontrando pochissime persone e trovare posto nei ristoranti con tavoli vista tramonto sulla caldera senza fare fila e pagando poco. Ovviamente, visto il motivo che ha reso tutto ciò possibile, spero che questo non accada mai più, ma è stato veramente bellissimo, Santorini rimane uno dei più bei posti al mondo.

The post Island Hopping alle Cicladi (in un anno da dimenticare) appeared first on Il Giramondo.


Guadalupa – In volo sulle ali di una farfalla

$
0
0

Esiste un arcipelago immerso tra l’oceano Atlantico e il mar dei Caraibi a forma di farfalla dove spiagge incantevoli, scenari mozzafiato e una natura incontaminata, fanno di questo angolo del pianeta un autentico paradiso tropicale.

Siamo a Guadalupa, arcipelago delle piccole Antille, per scoprire le bellezze di una manciata di isole, ognuna con una sua storia, un suo fascino, una sua cultura, sulle quali è possibile vivere esperienze uniche a stretto contatto con un popolo brioso dalle radicate tradizioni creole.

6 Le gemme che compongono questo territorio d’oltremare francese: Basse – Terre, dai paesaggi floridi e lussureggianti; Grande – Terre, unica per le  spiagge di sabbia bianca coperte da alte palme di cocco e per le meravigliose acque turchesi del mare; la Désirade, con i suoi scenari naturali contrastanti; Marie-Galante, l’isola dei cento mulini, dalle tradizioni secolari nella coltivazione della canna da zucchero e la produzione del rum; Les Saintes, pittoresca come un quadro d’autore; ed infine Petit Terre, riserva naturale marina e terrestre di inestimabile valore ambientalistico.

Ed allora, spinto da un incontrollabile spirito d’avventura lo scorso gennaio sono andato a scoprire e successivamente descrivere con questo mio diario i tesori di questo fazzoletto di mare custode di un inestimabile patrimonio naturale, partendo dalle due principali isole dell’arcipelago: Basse – Terre, situata ad ovest della Guadalupa, e Grande –  Terre situata invece a est.

Basse – Terre, territorio di 848 chilometri quadrati, in passato fu denominata tale dai marinai per la possibilità di approdo sottovento. Qui ha sede l’omonima capitale, città d’arte e di storia e centro amministrativo dell’isola di Guadalupa. Posta ai piedi dell’imponente vulcano Soufrière, Basse – Terre è custode di due importanti opere architettoniche: la Cattedrale di Nostra Signora di Guadalupe, costruita su una vecchia cappella in legno del XVIII secolo, e l’imponente fort Delgrès edificato nel 1649 da Charles Houel, oggi simbolo della lotta alla schiavitù portata avanti nei primi anni del 1800 da Louis Delgrès.

Basse – Terre è un’importante isola anche per la presenza del parco archeologico delle Roches gravées di Trois-Rivières; il sito, di particolare interesse storico, è quotidianamente meta di numerosi turisti; esso infatti conserva oltre 230 incisioni rupestri risalenti al IV secolo dopo Cristo, straordinaria testimonianza lasciata dai primi abitanti della Guadalupa, gli indiani Arawak.

Tuttavia, il cuore naturale di Basse – Terre è rappresentato dal lussureggiante parco nazionale. La sua superficie di 17.300 ettari ospita una fauna ed una flora di impareggiabile bellezza. Diverse le specie animali presenti in questo ambiente; qui vivono rare iguane dalla cresta spinosa, procioni lavatori, e svariate varietà di volatili. Molte altresì, le attrazioni naturali: tra tutte, la maestosa cascata de Carbet, patrimonio di straordinario interesse naturalistico grazie ai suoi oltre 120 metri di altezza ammirabili su tre livelli, e gli splendidi giardini botanici, come quello di Deshaies, tenuta di sette ettari di territorio coltivati a orchidee, buganvillee, ibisco, canneti, dove hanno trovato casa pappagallini variopinti e simpatici fenicotteri rossi.

La natura a Guadalupa non si è di certo risparmiata, e Grande – Terre, ala sinistra della grande farfalla, con i suoi 590 chilometri quadrati di superficie, caratterizzati da depositi calcarei e formazioni coralline, ospita seducenti ed incantevoli spiagge bianche disseminate da palme di cocco d’alto fusto, con acque cristalline e turchesi nelle quali dimorano rare specie marine.

La città più importante di Grande – Terre è Pointe-à-Pitre, centro commerciale dell’isola, sede dell’aeroporto internazionale Pôle Caraïbes di Le Raizet, e di alcuni importanti monumenti storici come il museo Shoelcher, che occupa una bellissima casa creola del 1887; il museo municipale Saint-John Perse;  la chiesa di Saint-Pierre e Saint-Paul, la statua dell’amministratore coloniale Felix Eboue, primo uomo di colore che nel 1936 ricoprì la carica di governatore nell’impero francese, e piazza della Vittoria, all’interno della quale si trova l’ufficio turistico in stile coloniale, un chiostro, ed il mercato delle spezie di fine XIX secolo.

Tre i principali centri balneari di Grande – Terre: le Gosier, St. Anne e St. Francoise, località altamente turistiche grazie alla presenza delle più belle spiagge dell’intero arcipelago. A Gosier, il lido della Datctha si caratterizza per i suoi splendidi fondali color turchese intenso, quella della Petit-Havre e di Jacques per le graziose e raccolte anse, mentre quella della Salines per la presenza di sentieri naturalistici. L’attrazione maggiore è però rappresentata dall’isolotto Gosier posto a poche centinaia di metri dalla terraferma. Grazie ai suoi fondali ed alla ricchezza di fauna marina protetta, è classificato quale importante sito naturalistico, meta, quotidianamente, di molti appassionati di immersioni subacquee.

Le Bourg, le Caravelle, e Bois Jolan sono invece le bianchissime spiagge di St. Anne, prestigioso centro turistico dal meraviglioso lungomare, lungo il quale giornalmente prendono posto coloratissime bancarelle per lo shopping dei tanti turisti che affollano questa cittadina. Citazione a parte va invece fatta per la provincia di St. Francoise, una lingua di terra che si estende fino alla punta più a sud di Grande Terre, la  Pointe des Châteaux. La città ospita il porto destinato alle tratte per l’isola de la Désirade e de la Petite Terre, mentre su entrambi i lati dei suoi 12 chilometri di litoranea, il promontorio accoglie un’infinità di complessi turistici, anse priveè per naturalisti, e spiagge per le famiglie dalle svariate caratteristiche naturali dove iguane curiose girano indisturbate tra mangrovie, palme e anfratti.

Tra i lidi più rinomati di St Francoise ricordiamo Raisins Clairs, posto alle porte della città; più a nord quello di Helleux, meglio conosciuto come Gros Sable, splendida insenatura dove i surfisti trovano la palestra ideale per cavalcare le migliori onde di Grande – Terre; ed ancora la ventosa Salines, l’area nudista di Plage Tarare, e l’ansa che bagna Pointe de Châteaux, sulla punta più a sud-est di Grande – Terre.

L’arcipelago della Guadalupa si pregia di altre tre esclusive isole, ognuna con una suo fascino ed una sua storia. Tra queste, spicca La Dèsirade, aspra e selvaggia, di origine vulcanica, scoperta nel 1493 da Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio verso le Antille. Oggi ospita poco più di 1500 abitanti e la sua conformazione morfologica, soprattutto sulle estremità, presenta scenari suggestivi diversi tra loro.

La punta nord-est, arida e lunare, posta a ridosso dell’ansa Devant-y-Bon, prende il nome di Pointe Doublé, mentre quella opposta, le Pointe des Colibris, si caratterizza per la presenza di alcuni cannoni risalenti al XIX secolo. D’altrettanto interesse sono i meravigliosi e invitanti litorali di sabbia chiarissima coperte dalle classiche palme di cocco, tipiche dei più incantevoli lidi tropicali. Tre le spiagge più belle dell’isola: la plage a Fifi, le Souffleur e de la Petite Riviere, poco distante dal grande faro, pienamente attivo per le navi che, frontalmente, solcano le rotte dell’oceano Atlantico. Seppur priva di importanti siti storici, la Désirade conserva due manufatti ormai decadenti: un’antica stazione meteo ed un cotonificio, la graziosa cappella di nostra Signora del Calvario, e simpatiche segnaletiche stradali invitanti a fare attenzione agli attraversamenti delle iguane.

Spostandoci sul lato sud-ovest delle due grandi isole, Grande – Terre e Basse – Terre, scopriamo Marie-Galante, denominata l’isola dei cento mulini, coperta da lussureggianti piantagioni di canna da zucchero da secoli ingrediente di base nella produzione del rum. 158 i chilometri quadrati d’estensione, conta la presenza di circa 12000 abitanti concentrati principalmente in tre città: Ground-Bourg, Capesterre e St. Louis.

Grand-Bourg, situata a sud dell’isola, principale porto di imbarco e sbarco per Pointe-à-Pitre, sulla Grande – Terre, conserva testimonianze di inestimabile valore storico; Capesterre, a sud-est di Marie-Galante, è un piccolo borgo caratterizzato dalla presenza di spiagge bellissime e scenari naturali mozzafiato; infine Saint-Louis, situata a nord-ovest dell’isola, porto d’imbarco per le tratte da e per St. Francoise e Les Saintes, ospita una popolazione molto legata alle antiche tradizioni locali che, oltre a vivere di turismo, vive principalmente di agricoltura coltivando le innumerevoli piantagioni di canna da zucchero per la produzione del rum.

Considerato le modeste dimensioni di Marie-Galante, girarla tutta in tondo non richiede molto tempo, però soffermarsi su ciascuna delle bellezze naturali presenti sull’isola, è come leggere un capitolo di un voluminoso libro delle favole.

Ed allora ripercorriamo i siti più interessanti dell’isola iniziando il nostro tour virtuale da Grand-Bourg, ammirando i resti dell’abitazione di Roussel-Trianon, antico zuccherificio dei primi anni del 1800, oggi sito storico di elevato valore culturale, per poi scoprire a St. Louis, le numerose distillerie di rum, il famoso mulino Bézard, e le incantevoli spiagge di Vieux-Fort.

Citazione a parte va invece fatta per il suggestivo Gueule Grand Gouffre, un enorme cratere scavato nella roccia che si lancia per oltre 60 metri a picco nel mare, nella cui parete, nella sua parte più bassa, si apre con un maestoso arco naturale dal quale hanno prepotentemente accesso le fragorose acque azzurre del mare dei Caraibi.

Completano il maestoso quadro naturalistico di Marie-Galante, la sottile barriera corallina che fa da protezione alla cittadina di Capesterre dove, acque color smeraldo e celeste, una sabbia bianchissima e alte palme di cocco, fanno della famosa spiaggia de la Feullière uno dei luoghi più seducenti dell’intero arcipelago della Guadalupa.

Ma il fascino delle piccole Antille sembra non avere limiti, e l’arcipelago di Les Saintes, distribuito lungo un territorio di circa 14 chilometri, ne è la più evidente testimonianza. Terre-de-Haut, l’isola più grande delle 7 presenti in questo angolo dei Caraibi, è sede di due interessanti siti storici: l’imponente Fort Napoléon e la chiesa della nostra Signora dell’Assunzione. Les Saintes riserva altresì bellezze naturali uniche, come la baia di Terre-de-Haut, considerata dall’UNESCO tra le più pittoresche del mondo, la spiaggia di Pompierre, l’ansa a Cointe e la caletta Pain de Sucre.

Infine, l’arcipelago Les Saintes si distingue dalle altre isole della Guadalupa per l’importante fauna marina presente nelle sue splendide acque. Qui è infatti facile imbattersi in branchi di balene e delfini.

Sotto il profilo naturalistico, il miglior scenario dell’arcipelago è offerto dalla fascinosa Petite-Terre a sud de la Dèsirade; due piccole isole Terre-de-Haut, strettamente interdetta al pubblico in quanto riserva naturale, e Terre-de-Bas, soprannominata il faro della fine del mondo. Entrambe sono circondate da una barriera corallina riconosciuta riserva naturale, marittima e terrestre. Qui trovano infatti dimora le iguane antillesi, paguri, uccelli sedentari e migratori, e una grande varietà di specie di pesci e tartarughe marine.

Al termine di questo viaggio in solitaria posso quindi considerare la Guadalupa un vero paradiso terrestre; un favoloso angolo del mondo immerso tra il mar dei Caraibi e l’oceano Atlantico dove il calore del sole, i colori degli scenari naturali, e i sapori e le fragranze dei suoi frutti e dei prodotti, fanno delle piccole Antille francesi un eden unico da vivere armonicamente a stretto contatto con la briosa verve di un popolo saldamente radicato alle centenarie tradizioni creole, un popolo cordiale e ospitale capace di rendere uniche ed entusiasmanti le esperienze turistiche dei moltissimi villeggianti che annualmente visitano il meraviglioso arcipelago d’oltremare francese.

Stefano Mappa

The post Guadalupa – In volo sulle ali di una farfalla appeared first on Il Giramondo.

Viaggio in Calabria… sognando il Perù!

$
0
0
(by Luca, Sabrina e Leonardo)

Sabato 1 Agosto:

Doveva essere (per noi) una epica spedizione, al di là dell’oceano, alla scoperta di un popolo ed un luogo speciale come il Perù e invece, a causa del maledetto covid, eccoci qua in partenza per un viaggio nella cara e vecchia Italia (in tre invece che in cinque), senza nulla togliere alle straordinarie bellezze del nostro amato paese.

Così, cercando di uscire anche un po’ dai soliti schemi, dedicheremo le nostre ferie estive alla Calabria, regione che costituisce la punta dello stivale e, compresa fra due mari (Ionio e Tirreno), risulta essere ricca di storia e tradizioni… non disdegnando però anche una puntatina all’arcipelago delle Isole Eolie, situate in buona parte anche di fronte alle coste calabresi, ma appartenenti, amministrativamente parlando, alla Sicilia.

Prendiamo il via alle 9:35 del mattino, in una calda giornata di inizio agosto e un quarto d’ora più tardi entriamo in autostrada A14 a Forlì andando spediti verso sud, con le tre corsie dell’arteria che scorrono, seppure piuttosto piene. La nostra paura, infatti, è quella di rimanere imbottigliati nel traffico, viste le previsioni da bollino rosso, confermate dall’altro lato della carreggiata, completamente bloccato a causa di un camper ribaltato.

Alle 11:00 siamo ad Ancona e maciniamo chilometri senza intoppi, cosa che non si può certo dire, di nuovo, in direzione opposta alla nostra, nella quale un pazzo minaccia di gettarsi da un viadotto e ha fatto chiudere l’autostrada, che registra oltre dieci chilometri di coda… Lo vediamo il tipo mentre passiamo… ma alla fine non si getterà.

A Pescara sono le 12:30 e poco dopo facciamo sosta per un veloce pranzo al sacco.

Alla ripresa delle ostilità con l’asfalto registriamo il passaggio, intorno alle 14:30, nei pressi di Foggia, nel bel mezzo di un infuocato Tavoliere delle Puglie, dove il termometro segna, impietoso, +39 °C… e un’ora più tardi siamo a Bari.

Procediamo così, sempre spediti, favoriti da un traffico che si è quasi azzerato quando, poco dopo le 16:00, usciamo dall’autostrada A14 a Taranto ed imbocchiamo la Strada Statale 106 Ionica verso ovest.

Non c’è che dire: è filato tutto liscio nella sfida al bollino rosso e siamo in netto anticipo sulla tabella di marcia. Decidiamo così di fare una sosta fuori programma, nei dintorni della località di Metaponto, all’area archeologica di Tavole Palatine, dove si trovano quindici splendide colonne architravate dell’antico tempio dorico dedicato alla dea Hera, risalenti al VI secolo a.C., che ci possiamo godere esplorando il sito, aperto a tutti e totalmente gratuito.

Scattiamo suggestive foto delle colonne, disposte su due file parallele, e poi risaliamo in auto così da percorrere l’ultimo tratto di strada di giornata (circa trenta chilometri) fino all’abitato di Nova Siri Scalo, dove prendiamo alloggio per la notte al Prima Luce B & B, un posticino tranquillo e molto ben curato situato sulle prime alture alle spalle del paese.

Per cena la ragazza della struttura turistica ci prenota gentilmente un tavolo al vicino ristorante Dual Blu, dove gustiamo buone pietanze, prima di chiudere definitivamente la giornata, ma proiettati verso la successiva, che sarà il via ufficiale all’esplorazione della Calabria.

Domenica 2 Agosto:

È piacevole la sveglia al Prima Luce B & B, nel bel mezzo della campagna lucana, da dove, dopo colazione, scendiamo a Nova Siri Scalo per le compere di giornata, prima di dare il via all’odierna tappa.

Pochi chilometri lungo la Strada Statale 106 Ionica ci portano a lasciare la Basilicata per entrare in Calabria e subito dopo deviamo verso l’interno per raggiungere, a breve distanza, il villaggio di Rocca Imperiale.

Ci fermiamo prima di tutto a fotografare il pregevole colpo d’occhio sul paese, che pare un angolo di presepe, con le case disposte a cascata sotto l’imponente sagoma della Rocca Sveva e poi raggiungiamo un parcheggio nei pressi del centro, dal quale ci avventuriamo lungo le sue caratteristiche viuzze.

Il borgo, annoverato fra i più belli d’Italia e scelto anche come set naturale da alcuni famosi registi, fra i quali Pupi Avati, fonda le sue radici nel XIII secolo, allorquando Federico II di Svevia vi fece erigere il possente castello.

Risaliamo così, non senza fatica, gli angusti vicoli dell’abitato, con interessanti scorci, fino alle porte del castello e poi torniamo con calma all’auto per riprendere l’itinerario.

Da lì proseguiamo ancora per l’interno ed un altro pittoresco villaggio, ma subito incontriamo un cartello che indica la strada per giungervi interrotta per uno smottamento, allora ritorniamo sui nostri passi verso la costa e poi risaliamo, poco più avanti, di nuovo sulle montagne. In questo modo raggiungiamo prima la località di Montegiordano e poi continuiamo verso la nostra meta, che è il borgo di Oriolo, anch’esso catalogato fra i più belli d’Italia, ma incontriamo un altro cartello, che indica strada interrotta per frana… Questa volta però non ci scoraggiamo e proseguiamo. Veniamo così premiati, perché in realtà si passa e poco più tardi planiamo dall’alto di una strada a tornanti con belle viste sul paese di Oriolo, andando poi a parcheggiare nei pressi del centro.

A piedi ci rechiamo quindi alla scoperta della parte più antica dell’abitato, nella quale si trova il poderoso castello aragonese, che esploriamo palmo a palmo, fra interessanti ambienti di epoca medioevale e vasti panorami sui paesaggi circostanti.

Riconquistata l’auto, ormai in tarda mattinata, ci dirigiamo poi spediti verso valle e intorno a mezzogiorno giungiamo, in riva al Mar Ionio, nei pressi di Roseto Capo Spulico, allo splendido castello federiciano (Castrum Petrae), che si erge, impetuoso, a pochi metri dal profilo costiero.

Il maniero, risalente all’epoca normanna, fu ricostruito nel Duecento per volere dell’imperatore e re di Sicilia Federico II di Svevia, detto Barbarossa, che ne fece anche uso come dimora estiva, ed oggi fa bella mostra di sé, in scenografica posizione, per essere compreso fra le più spettacolari architetture dell’intera regione.

Scattate tutte le foto del caso, anche in affiancamento al curioso Scoglio dell’Incudine (un piccolo faraglione a forma di fungo che spunta dalle acque antistanti), ci fermiamo poi un po’ sul posto, approfittandone per un rinfrescante bagno e per consumare il nostro quotidiano pranzo al sacco.

Alla ripresa del viaggio lungo le strade della Calabria proseguiamo verso sud sulla Strada Statale 106 Ionica e poco dopo svoltiamo per l’interno in direzione del Massiccio del Pollino, ritenuto uno dei maggiori sistemi montuosi dell’Appennino, con cime che superano i duemila metri di quota.

Dopo circa 25 chilometri giungiamo così nel paese di Civita, sorto su di un’altura a picco sulle Gole del Raganello, una suggestiva forra rocciosa che si dipana fra scoscesi picchi. In questo modo, da un apposito belvedere, possiamo goderci il panorama sulla parte terminale del canyon e sul vertiginoso ponte del diavolo che l’attraversa, mente riceviamo una telefonata da Federico, nostro figlio, che è rimasto malauguratamente a piedi durante la sua partenza per le ferie, ma per fortuna nulla a cui non si possa porre rimedio, poi riprendiamo l’itinerario.

Ormai completamente schiavi dei saliscendi appenninici superiamo, con qualche difficoltà, l’abitato di Castrovillari e subito dopo giungiamo in vista della piramidale sagoma del paese di Morano Calabro, mentre dalle alte vette circostanti montano alcuni grossi nuvoloni.

Seguendo le indicazioni andiamo così a parcheggiare nei pressi del centro di questo borgo, definito il presepe del Pollino e pure lui annoverato fra i più belli d’Italia, per poi fare una breve passeggiata lungo i vicoli che s’inerpicano sulla collina, fino alle rovine del castello normanno, ma non restiamo eccessivamente affascinati dal luogo, forse per la sua troppa decadenza. Ci fermiamo allora nella piccola piazza a sorseggiare qualcosa di fresco, mentre i nuvoloni lasciano cadere qualche timida goccia di pioggia, e poi ripartiamo.

In questo modo imbocchiamo per un breve tratto l’autostrada A2 Salerno-Reggio Calabria, verso nord, per uscire quasi subito in direzione della costa tirrenica, lungo la Strada Provinciale numero 3.

Fra impervie montagne arriviamo così, a pomeriggio inoltrato, nel parcheggio della Grotta del Romito, un’interessante sito risalente al neolitico che ci apprestiamo a visitare.

Acquistati i biglietti e visionato un piccolo museo che introduce all’esperienza ci inoltriamo lungo un sentiero che conduce all’ingresso della grotta, dove si trovano alcune incisioni rupestri, fra le quali la più importante (a livello addirittura europeo) è un graffito, su di un grande masso, raffigurante un bovide (il cosiddetto bos primigenius): stupefacente opera databile fra i 14 e i 12.000 anni fa! Tutto intorno poi alcuni scavi hanno portato alla luce sepolture risalenti più o meno alla stessa epoca, ovvero quella dell’homo sapiens nell’era paleolitica.

La grotta, piccola nel suo genere, culmina infine in un piccolo e freddo anfratto ricco di stalattiti e stalagmiti: un quadretto interessante, ma nulla in confronto ai graffiti preistorici.

Completata in questo modo l’ultima visita di giornata, con una infinità di curve, guadagniamo la costa tirrenica della Calabria nella cittadina di Scalea, dove andiamo a prendere alloggio al B & B Casa Alessandro, una struttura molto semplice, ma che soddisfa appieno le nostre esigenze.

Più tardi, infine, usciamo a cena, nei paraggi, al Ristorante Il Corsaro e poi torniamo in camera a riposare, al termine di un’apprezzabile ma intensa giornata.

Lunedì 3 Agosto:

Oggi primo capitolo del viaggio completamente dedicato al mare, e anche con pochissimi chilometri da percorrere… in completo relax.

Dopo la colazione offerta dal B & B nel vicino bar-pasticceria prendiamo strada e, fatta una provvidenziale spesa, ci avviamo a nord di Scalea lungo la costa, che in questo tratto è alta e scoscesa.

Poco più tardi scendiamo così dalle alture in direzione dell’ampia spiaggia di Praia a Mare, prospiciente la severa Isola di Dino, dove eravamo stati in occasione di un precedente viaggio. Questa volta però andiamo nell’insenatura poco più a sud, ma neanche qui ci fermiamo, perché dopo aver parcheggiato l’auto nel suo punto più meridionale, a piedi scavalchiamo un promontorio per giungere alla più appartata spiaggia del Lido i Gabbiani, al cui centro si erge il cosiddetto Scoglio dello Scorzone.

Lì affittiamo un ombrellone con due lettini (non proprio economici) e alleggeriti degli zaini proseguiamo camminando lungo il bagnasciuga, fino alle asperità che delimitano la baia, dove, fra grandi massi, si apre un angusto tunnel scavato nella roccia. Lo attraversiamo e arriviamo in una piccola insenatura, dalla quale il sentiero si arrampica su di un irto sperone. In questo modo ci affacciamo dall’alto sull’incredibile spiaggia dell’Arcomagno.

È davvero sorprendente questo luogo, perché nella nostra vita di incalliti viaggiatori, grazie a Dio, abbiamo avuto la possibilità di vedere tante bellezze naturali, ma mai ci era capitato un azzurro specchio d’acqua delimitato su di un lato da una classica mezzaluna di sabbia e sull’altro da un’alta parete rocciosa, nella quale si apre uno scenografico arco che dà verso il mare aperto.

Meravigliati scendiamo alla piccola spiaggia e lì ci fermiamo per goderci un bagno a dir poco originale, quindi restiamo a deliziarci dell’impareggiabile vista sull’Arcomagno, ma anche dei panorami che si gustano, sulla costa, lungo l’ardito sentiero che proviene da sud, spesso chiuso per motivi di sicurezza.

Poco prima di mezzogiorno la splendida ma esigua baia fra le rocce, a dispetto del covid e degli assembramenti, è traboccante di gente, così ci avviamo pian piano sulla via del ritorno alla spiaggia del Lido i Gabbiani, nella quale, dopo un piacevole e lunghissimo bagno immersi nelle acque azzurre e trasparenti che la lambiscono (nonostante lo scuro fondale), pranziamo protetti dal nostro prezioso ombrellone.

Il pomeriggio lo trascorriamo poi nell’ozio più completo, praticando la più classica delle vite balneari, fin quasi a sera, quando, ormai al termine della giornata, facciamo ritorno al vicino Arcomagno, per assaporare lo spettacolo del tramonto (di nuovo in compagnia di tanta altra gente), con il disco solare che scende proprio al centro dell’arco … la ciliegina sulla torta di una bella, ma anche calda giornata, una condizione quest’ultima che da domani, viste le previsioni, cambierà, ma, speriamo, non più di tanto.

L’esperienza, più che positiva, del tramonto all’Arcomagno ci ha fatto fare tardi, così, una volta tornati al B & B, usciamo per cena ben oltre le 21:00. Un ritardo che viene poi amplificato dal ristorante siciliano Vularie, al quale ci siamo affidati. In questo modo ci alziamo da tavola quasi alle 23:00 e subito dopo andiamo dritti a nanna, verso la prossima tappa lungo le strade della Calabria.

Martedì 4 Agosto:

Come da previsioni si prospetta una mattinata con tante nuvole… non il massimo, ma almeno non piove e, soprattutto, non abbiamo in programma una giornata di mare.

Partiamo da Scalea poco dopo le 9:00 e andiamo a sud lungo la costa per circa cinquanta chilometri fino all’abitato di Paola, dove ci fermiamo per dare un’occhiata al Santuario di San Francesco di Paola, il santo patrono della regione, particolarmente venerato a giudicare dall’ampio parcheggio per i fedeli, nel quale lasciamo l’auto.

Il santuario, situato alle spalle del paese in una verde vallata costeggiata da un torrente, affonda le sue radici nel XV secolo, allorquando i primi seguaci di Francesco cominciarono ad aggregarsi. Di quell’epoca rimane il primitivo oratorio, situato nei sotterranei, ma non accessibile causa covid, così come la cosiddetta “zona dei miracoli”. Allora ci accontentiamo di fotografare la facciata della basilica e dopo una veloce visita dei suoi interni torniamo al nostro mezzo per riprendere l’itinerario.

Da Paola cominciamo a salire verso le montagne, in direzione del capoluogo, Cosenza, laddove si accumulano grossi nuvoloni. Superata però una lunga galleria, a sorpresa, il meteo cambia e ci ritroviamo al sole, sotto ad un bel cielo azzurro… meglio così!

Transitati in questo modo nei pressi della città ricominciamo a prendere quota seguendo le indicazioni per il Parco Nazionale della Sila, istituito allo scopo di preservare le aree di grande interesse ambientale comprese nel più vasto altopiano d’Europa, fra cime che sfiorano i duemila metri di altezza.

La Strada Statale 107 Silana-Crotonese è però chiusa per lavori, così dobbiamo fare una lunga e tortuosa deviazione per guadagnare le zone più alte del parco, dove si trova uno dei luoghi di maggiore interesse, ovvero la Riserva dei Giganti della Sila, che, gestita dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) custodisce un magnifico bosco ultracentenario.

Intorno alle 12:30 parcheggiamo nei pressi dell’area e a piedi ci dirigiamo verso il suo ingresso per visitarla. Subito dopo ci avviamo così lungo i sentieri e le passerelle in legno che si snodano fra veri e propri monumenti della natura: 58 colossali pini larici, piantati nel Seicento dai baroni Mollo, allora proprietari della tenuta, che sfiorano i 45 metri di altezza e i due di diametro e che si possono considerare l’ultima maestosa testimonianza dell’antica Silva Brutia, celebrata dagli scrittori latini… Certo, meno della metà, in fatto di dimensioni, rispetto alle sequoie giganti della California, ma comunque un risultato notevole, sia per l’Italia che per l’intera Europa.

Così facendo in meno di un’ora completiamo lo splendido percorso turistico nella selva, molto ben strutturato rispetto alla decadenza di altre aree del parco, e poi riguadagniamo l’auto per pranzare con i nostri soliti panini.

Successivamente riprendiamo il viaggio, cominciando a scendere dall’altopiano in direzione del versante ionico della Calabria, e dopo circa 25 chilometri arriviamo nell’intricato paese di San Giovanni in Fiore.

Lo definiamo intricato perché, nonostante il navigatore, brighiamo non poco lungo le sue strette vie prima di giungere nei pressi dell’interessante Abbazia Florense, uno dei più grandi edifici religiosi della regione, le cui origini risalgono al XIII secolo, quando i monaci florensi lo fecero erigere in stile romanico e in sostituzione della precedente chiesa, edificata dal fondatore dell’ordine, Gioacchino da Fiore e distrutta da un incendio.

Varchiamo così il portale gotico per ammirare l’unica imponente e spoglia navata, prima di scendere alla cripta, che ospita le spoglie di Gioacchino poi usciamo all’aperto per andare a vedere l’elegante abside e, nei paraggi, uno scenografico arco normanno risalente al 1200, che è un po’ il simbolo del paese.

Ripresa nuovamente strada continuiamo a scendere dalla Sila e dopo un’infinità di curve arriviamo in vista del villaggio di Santa Severina, dalle antichissime origini, chiamato alche la “Nave di Pietra”, per la sua posizione in cima ad un enorme sperone di tufo.

Andiamo a parcheggiare proprio sotto al poderoso castello normanno e da lì, a piedi, ci dedichiamo all’esplorazione del borgo (uno dei più belli d’Italia e a giusta ragione).

Prima di tutto vediamo la piccola Chiesa di Santa Filomena, interessante esempio di architettura bizantino-normanna, risalente all’XI secolo e formata da due cappelle sovrapposte, poi arriviamo al “Campo”, nome con il quale gli abitanti di Santa Severina chiamano la loro piazza, a causa del suo uso come piazza d’armi nell’antichità.

In questo vasto spazio allungato ed irregolare prospettano tutti i più importanti edifici del borgo, a partire dalla bella Cattedrale di Santa Anastasia, eretta fra il 1274 ed il 1295, i cui interni risultano particolarmente decorati, ma anche il piccolo Battistero di Santa Severina, unico esempio bizantino pervenuto ai nostri giorni ancora integro, di forma circolare e con quattro appendici.

Sul lato diametralmente opposto del Campo dà invece l’imponente sagoma del castello detto Carafa, ma anche di Roberto il Guiscardo, il re normanno che ne ordinò la costruzione nell’XI secolo.

Il maniero è il simbolo indiscusso del paese e un’opera militare tra le più complesse e belle di tutta la Calabria, cinta da possenti mura merlate e composta da un mastio centrale con quattro torrioni angolari, che visitiamo palmo a palmo, assaporando anche i panorami che si godono sul paesaggio circostante, che spazia fino alle coste del Mar Ionio.

Verso le 18:00 completiamo così, con soddisfazione, la visita di Santa Severina e subito dopo ci avviamo per strada all’epilogo della tappa.

Così facendo, in breve, giungiamo nell’abitato di Le Castella dove, nella prima periferia, prendiamo alloggio per due notti all’Hotel Il Corsaro e dove in serata usciamo a cena in centro, al Ristorante III Millennio. Qui ceniamo bene, con bella vista sul vicino castello aragonese, ma non all’aperto, perché nel frattempo si è alzato un forte vento, che poi ci invita a fare ben presto rientro alla base, concludendo comunque un altro bel capitolo della vacanza.

Mercoledì 5 Agosto:

Oggi c’è in previsione un meteo estremamente variabile, ma quando ci alziamo splende un magnifico solleone.

Facciamo colazione in hotel e poi partiamo per Capo Colonna, il punto più orientale della Calabria, che dista circa 25 chilometri da Le Castella.

Per strade secondarie, poco trafficate, in men che non si dica conquistiamo il capo, presso il quale, prima di tutto, andiamo a visitare l’omonimo parco archeologico, completamente gratuito, grazie alla solita, italica, disorganizzazione.

Qui si trovano le rovine dell’antico Tempio di Hera Lacinia, che fu uno dei santuari più importanti della Magna Grecia, dall’età arcaica fino al IV secolo a.C.… Di vere e proprie rovine però si tratta, perché di tutto quanto rimane solo una unica, seppur suggestiva, colonna, che si erge fiera di fronte al Mar Ionio… il resto sono solo tracce di mura e fondamenta.

Nelle vicinanze si trovano anche uno storico faro, di origini ottocentesche, ed un dignitoso Museo Archeologico, in teoria meritevole di una visita, ma in pratica chiuso per covid. Ci spostiamo allora in auto al capo vero e proprio, dove si trova la caratteristica chiesetta medioevale di Santa Maria, fiancheggiata da una torre di avvistamento risalente al XVI secolo, che osserviamo brevemente prima di avviarci verso la parte più balneare della giornata.

Torniamo sui nostri passi verso sud per una manciata di chilometri e poi deviamo in direzione della costa per raggiungere la Spiaggia di Marinella, compresa entro l’Area Marina Protetta di Capo Rizzuto.

Parcheggiata così l’auto lungo una strada senza uscita continuiamo a piedi sulla sinistra della baia fino a conquistare una punta sabbiosa, protetta da alcuni scogli naturali: un bel posticino, con mare calmo e trasparente, nel quale siamo intenzionati a trascorrere almeno tutto il resto della mattinata.

Ci godiamo subito un bagno, mentre il cielo pian piano si riempie di nuvole sempre più minacciose, fino a quando, verso mezzogiorno, un temporale ci sfiora, passando poco più a nord e facendo fuggire la quasi totalità dei bagnanti. Noi invece resistiamo e a giusta ragione, perché di lì a poco torna a splendere il sole.

Più tardi pranziamo e intorno alle 14:30 arriva un altro temporale, che questa volta sembra proprio venire verso di noi, allora raccogliamo tutto l’armamentario e ci avviamo spediti in direzione della nostra auto… Ottima intuizione, perché saliamo a bordo dribblando le prime gocce e appena chiusi gli sportelli si scatena un violento acquazzone.

Partiamo così in direzione sud, sotto la pioggia battente, alla ricerca di un lido più… asciutto, cosa non facile, ma possibile vista la grande variabilità odierna del meteo.

Lungo il tragitto infatti smette di piovere e quando arriviamo alla prescelta Spiaggia di Le Cannella splende un bel sole. Parcheggiata così l’auto nelle vicinanze andiamo a prendere posto in questo vasto arenile, dalla sabbia rossastra (come la cannella, appunto) e bagnata da acque limpide ed invitanti, quanto di meglio si possa desiderare per concludere degnamente la giornata.

Consumiamo subito un piacevole bagno e poco più tardi ci sfiora, di nuovo, un temporale, che sfila leggermente più a nord, lasciando poi spazio definitivamente al sole.

In questo modo, anche con un pizzico di fortuna, arriviamo positivamente a sera, allorquando, dopo aver banchettato con un’ottima cena da Tipico e Piccante (un ristorantino con eccellenti prodotti locali), nel centro di Le Castella, rientriamo per trascorrere la seconda ed ultima notte all’Hotel Il Corsaro, che ha svolto appieno la sua funzione.

Giovedì 6 Agosto:

In barba alle incerte previsioni, quando scostiamo le tende della camera, splende invece un bel sole. Così facciamo colazione e check-out, lasciando in deposito le valigie, che torneremo a prendere nel pomeriggio, quindi ci dirigiamo, a brevissima distanza, verso la spiaggia di Le Castella.

Una volta parcheggiata l’auto però non andiamo subito al mare, bensì verso il centro del paese, così da fotografare lo splendido Castello Aragonese, che si erge su di un isolotto prospiciente l’abitato, circondato da acque turchesi e collegato alla terraferma mediante un sottile istmo di scogli.

L’attuale roccaforte, edificata nel XV secolo, poggia su fondamenta risalenti alla Magna Grecia, un fortilizio che nel tempo fu usato anche dai romani e da Annibale mentre batteva in ritirata. Il castello però non ospitò mai la nobiltà locale, infatti rivestì funzione prettamente difensiva e, spesso attaccato dai turchi, rimase popolato fino agli inizi dell’Ottocento, quando gli abitanti si trasferirono sulla terraferma dando vita all’odierno villaggio.

La visita al maniero, inserito in un magnifico contesto, risulta però di breve durata, perché è chiuso per restauri e quindi visibile solo esternamente, così possiamo ben presto dedicarci alla vicina e bella spiaggia.

Guadagnato l’arenile ci accaparriamo un buon posto nel quale piantare il nostro ombrellone e subito corriamo in acqua a goderci un lungo bagno, mentre la mattinata scivola via piacevolmente.

Verso mezzogiorno cominciano invece a montare parecchie nuvole da ovest e poco più tardi pranziamo in spiaggia rimanendo sulle nostre posizioni, ma invano, perché intorno alle 14:00 comincia a scendere pioggia, prima qualche goccia e poi sempre più fitta, allora scappiamo in fretta e furia, limitando i danni, ma giunti in auto ci guardiamo in faccia sconsolati e a corto di idee per il proseguo della giornata.

Proviamo a spostarci, quindici chilometri più a nord, ad un’altra spiaggia, quella di Cavallucci, dalla sabbia rossastra come Le Cannella, ma è zuppa di pioggia e incupita dalle nuvole, che non hanno la minima intenzione di aprirsi.

A questo punto non ci rimane che tornare in hotel a recuperare le valigie e quindi partire in anticipo per il tratto di trasferimento che ci porterà al termine della tappa.

Sotto ad una pioggia incessante e a tratti torrenziale andiamo lungo la costa ionica verso Catanzaro (il capoluogo di regione) e superata la città ci apprestiamo ad attraversare la Calabria nel suo tratto più stretto, per tornare in direzione del litorale tirrenico. In questo modo ci lasciamo alle spalle il maltempo, ritrovando il sole ed il cielo azzurro.

Giunti al mare nei pressi di Lamezia Terme seguiamo l’autostrada A2 verso sud per una manciata di chilometri, fino a Pizzo Calabro, dove usciamo per seguire le indicazioni che portano alla celebre località di Tropea.

Nel tardo pomeriggio, ma comunque in netto anticipo rispetto alle previsioni, arriviamo così sulle prime alture alle spalle di Tropea, nella frazione di Gasponi, al B & B Le Mulinare, che ci ospiterà per le prossime dieci notti e quindi fino alla fine del viaggio, poi, più tardi, andiamo a cena, nei pressi del paese di Caria, allo spartano Ristorante Torre Galli e lì mangiamo anche molto bene, mettendo così una pezza ad una giornata piuttosto travagliata.

Venerdì 7 Agosto:

Il meteo non sembra proprio darci tregua, perché in previsione c’è un’altra giornata di grande incertezza, anzi, intorno alle 9:00 scoppia un forte temporale, che poi va pian piano in esaurimento. In questo modo saltano però tutti i piani in progetto e scattano quelli di riserva.

In auto partiamo verso il capoluogo Vibo Valentia, che dista una ventina di chilometri, e lì andiamo dritti al suo Castello Normanno, edificato probabilmente sulle vestigia dell’antica Acropoli di Hipponion, in cima al colle che domina l’abitato.

Al suo interno è ospitato anche il Museo Archeologico Nazionale intitolato a Vito Capialbi, colui che nell’Ottocento raccolse i primi reperti a testimonianza della vita della città, dall’insediamento greco di Hipponion alla colonia romana di Valentia.

Ci immergiamo così per oltre un’ora fra ceramiche corinzie, antiche monete, statuette votive ed elmi di bronzo, oltre al principale reperto del museo, ovvero una preziosa laminetta aurea riportante una iscrizione in dialetto dorico, poi usciamo all’aria aperta, dove nel frattempo è tornato a splendere il sole… chissà per quanto però.

Fiduciosi, al termine della visita, andiamo comunque in direzione di Tropea, chiamata anche la “Perla del Tirreno” e situata al centro della cosiddetta Costa degli Dei, che è luogo di antiche leggende e storie millenarie. Si dice infatti che a fondarla si stato Ercole, di ritorno dalla Spagna e dalla sua impresa delle Colonne d’Ercole.

Qui andiamo a parcheggiare quasi in centro ed in riva al mare, che oggi risulta essere piuttosto mosso. Confidando però nella tenuta del sole affittiamo un ombrellone e due lettini, poi, dopo un veloce pranzo, ci dedichiamo alla visita di Tropea, lasciando le nostre cose in spiaggia.

Prima di tutto saliamo, mediante una ripida scalinata, alla più nota chiesetta della città, quella di Santa Maria dell’Isola, presente in tutte le più famose vedute di Tropea e situata in cima ad uno sperone di tufo.

Le sue radici affondano nell’antichità, ma l’edificio attuale, circondato da giardini che offrono pregevoli scorci sull’abitato e sul bellissimo mare circostante, conserva ben poco dell’originaria struttura, essendo stata completamente ricostruita in epoca gotica.

Subito dopo, mediante un’altra irta serie di gradini, accediamo al centro storico, ubicato alla sommità di un’ampia e piatta rupe rocciosa, dalla quale si possono godere eccezionali panorami sull’antistante tratto di mare.

Una passeggiata lungo stretti e caratteristici vicoli ci porta poi alla scoperta della centralissima Piazza Ercole, la più importante di Tropea, contornata da interessanti palazzi, ma anche della Cattedrale di Maria Santissima di Romania, un bell’esempio di architettura normanna risalente al XIII secolo, che però troviamo chiusa.

Tornati, in seguito, al mare e al nostro ombrellone quando è ancora primo pomeriggio corriamo subito a rinfrescarci tra le onde, quindi andiamo alla scoperta di grotte e anfratti situati nella costa sotto a Santa Maria dell’Isola e in questo modo facciamo piacevolmente sera… ottimo risultato, se si pensa che doveva essere una giornata di maltempo!… Solo il mare non è stato il massimo essendo piuttosto mosso, cosa che invece ha divertito non poco il piccolo Leo.

Per concludere in serata andiamo a cena prima del solito al vicino Ristorante Il Giardino, perché Leonardo vuole vedere la partita di calcio nella quale si diverte molto meno e la Juve esce mestamente dalla Champions League… Meglio in questo caso sdrammatizzare e pensare al proseguo della vacanza.

Sabato 8 Agosto:

Appreso dell’esonero (giusto) del signor Sarri dalla Juventus, partiamo per una prima parte di giornata a carattere prettamente culturale… un programma di visite azzeccato, infatti non è previsto bel tempo, per cui, balnearmente parlando, non ci perderemo nulla.

Il nostro obiettivo è il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, per il quale abbiamo una prenotazione (causa covid) per le 10:20 di questa mattina.

Prendiamo così il via da Gasponi intorno alle 8:30 e dopo trenta chilometri ed una infinità di saliscendi, che ci fanno perdere tanto tempo, entriamo finalmente in autostrada A2 verso sud.

In questo tratto più scorrevole recuperiamo gran parte del ritardo, fino all’uscita di Villa San Giovanni, dove ci troviamo fermi in coda per il traffico diretto all’imbarco per la Sicilia… una coda però, tutto sommato, accettabile perché alla fine emergiamo senza patemi dall’ingorgo e poco dopo le 10:00 parcheggiamo sul lungomare di Reggio Calabria, a due passi dalla nostra meta.

Puntuali ci presentiamo così all’ingresso, per dedicarci alla visita del più noto museo calabrese, nato da un’idea risalente ai primi anni del Novecento di realizzare un grande polo museale dedicato alla Magna Grecia ed inaugurato nel 1959. Più di recente poi, nel 2016, è stato riaperto dopo una chiusura per restauri, con una nuova, importante riorganizzazione, che si sviluppa, in ordine cronologico, dalla preistoria alla romanizzazione della Calabria.

In questo modo iniziamo dal secondo piano e dalla sezione che espone i reperti più antichi, fra i quali anche quelli provenienti dalla Grotta del Romito, vista dal vivo nei primi giorni del viaggio.

Scendiamo quindi al primo piano per immergerci fra le testimonianze della Magna Grecia, dove spicca la sezione dedicata ai santuari, che espone magnifiche decorazioni e alcuni gruppi scultorei sorprendenti, come il cosiddetto Cavaliere di Marafioti e i Dioscuri Castore e Polluce, tutti provenienti dal tempio dorico di Locri Epizefiri.

Al piano mezzanino, infine, osserviamo i ritrovamenti di epoca romana. Ma la visita al museo culmina con la stanza che ospita i famosissimi Bronzi di Riace, due veri e propri capolavori della bronzistica del V secolo a.C., rinvenuti nel 1972 nelle acque del Mar Ionio prospicenti la cittadina di Riace… Non c’è che dire, sono bellissimi e per un po’ rimaniamo, emozionati, a contemplarne la perfezione, in un ambiente forse troppo buio, ma probabilmente adatto perché la luce potrebbe risultare a loro dannosa.

Nella stessa stanza si trovano anche i cosiddetti Bronzi di Porticello: due teste di eccezionale fattura chiamate di Basilea e del Filosofo, ma quest’ultima è mancante, perché in prestito ad una mostra temporanea.

Soddisfatti dell’esperienza ci avviamo così verso l’uscita, ma restiamo bloccati dentro al museo, perché nel frattempo si è scatenato un furibondo temporale che ci fa attendere circa un’ora prima di placcarsi.

Quasi alle 13:00 riconquistiamo finalmente la nostra auto e con quella partiamo subito verso sud lungo la costa dello Stretto di Messina, con la sagoma dell’Etna che emerge prepotentemente, fra le nuvole, nel vicino e confuso profilo costiero siciliano.

Così facendo, dopo una trentina di chilometri e poco prima di Melito di Porto Salvo, deviamo verso l’interno per raggiungere il villaggio fantasma di Pentedattilo, mentre per fortuna è tornato a splendere il sole.

Giunti dove termina la strada pranziamo con i nostri panini e poi andiamo alla scoperta del paese, che prende il nome dalla forma della roccia su cui sorge, simile ad una gigantesca mano di pietra (penta e daktilos, cioè cinque dita).

Il borgo, abbandonato dai suoi abitanti per motivi migratori e per effetto di continue minacce naturali, offre scorci davvero suggestivi, ma bisogna fare attenzione, perché la decadenza sta prendendo un eccessivo sopravvento e forse sarebbe opportuno un serio programma di recupero, prima che sia troppo tardi.

Alla ripresa delle ostilità con l’asfalto torniamo sui nostri passi verso Reggio Calabria. La superiamo e, dopo una decina di chilometri, usciamo dall’autostrada A2 per l’abitato di Scilla, epico luogo che fu dimora dell’omonimo mostro, contrapposto al siciliano Cariddi, all’imbocco dello Stretto di Messina, ma anche storica cittadina, che fonda le sue radici nella geografia della Magna Grecia.

Qui ci dedichiamo prima di tutto a Piazza San Rocco per vedere la baia di Marina Grande (o delle Sirene) dall’alto, dominata dalla massiccia sagoma del medioevale Castello dei Ruffo, quindi scendiamo al mare per trascorrere in spiaggia il resto della giornata.

Troviamo a fatica un parcheggio per la nostra auto e poi andiamo a ritagliarci un po’ di spazio lungo la pietrosa battigia, bagnata da acque azzurre e trasparenti, ma ancora un po’ mosse a causa del meteo instabile… Meteo che però non fa più le bizze e ci permette di arrivare piacevolmente a sera.

Da Silla occorre, infine, ancora un’ora di strada per tornare a Tropea, così arriviamo un po’ lunghi e ci rechiamo a cena, nei paraggi del B & B, ben oltre le 21:00, al Ristorante La Casareccia, strapieno di gente locale, essendo sabato sera, poi andiamo dritti a nanna, perché domattina ci aspetta, come da programmi, una levataccia che ci porterà, nel cuore del Mar Tirreno, alle Isole Eolie.

Domenica 9 Agosto:

La sveglia suona alle 6:00 e con sollecitudine ci prepariamo a partire per l’escursione, da noi organizzata, che ci porterà, per i prossimi due giorni, a scoprire l’intrigante arcipelago delle Isole Eolie: sette frammenti di terra vulcanica sparsi nel Tirreno orientale, davanti alle coste della Calabria e della Sicilia, ma ricadenti in provincia di Messina e quindi, a tutti gli effetti, siciliani.

Poco dopo le 7:00 siamo al porto di Tropea e ritirati i biglietti saliamo sulla motonave della Savadori Navigazione, che alle 7:45 salpa per l’isola di Stromboli, la più orientale, ma anche settentrionale, delle Eolie, che si estende per circa 12 chilometri quadrati e comprende l’omonimo vulcano, uno dei più attivi del mondo, che si eleva a 926 metri sul livello del mare.

Dopo circa 1 ora e 30 di navigazione approdiamo sull’isola dove, appena sbarcati, salutiamo tutti i nostri compagni di viaggio, perché loro prenderanno parte ad una escursione più breve che rientrerà in giornata, mentre noi seguiremo un’altra rotta.

Scattiamo qualche foto dell’imponente cono vulcanico, che ogni tanto sbuffa ed è sovrastato dal classico pennacchio di fumo, ma anche della nera spiaggia ai suoi piedi e poi saliamo sull’aliscafo della Liberty Lines che, passando per le isole di Panarea, Salina e Lipari ci porta alla prima vera e propria meta del nostro viaggio dentro al viaggio, ovvero l’isola di Vulcano.

Vulcano… il nome è tutto un programma, non per niente i suoi circa 20 chilometri quadrati si devono alla fusione di più crateri e nella mitologia greca in questa terra si riteneva vi fossero le fucine di Efesto, dio del fuoco e fabbro, che aveva per aiutanti i Ciclopi. Successivamente i Romani ribattezzarono il dio Efesto col nome di Vulcano e conseguentemente l’isola venne così chiamata… ed è da qui che derivano i termini vulcano e vulcanesimo.

L’isola è affascinante, dominata com’è dall’imponente sagoma del Gran Cratere, sul quale varrebbe la pena salire a piedi, ma occorrono circa tre ore e noi abbiamo a disposizione solo la metà del tempo.

Appena sbarcati osserviamo allora la famosa pozza di fango di Vulcano, nella quale avremmo voluto bagnarci, ma che sapevamo essere chiusa… per covid? … No, per un sequestro preventivo… Probabilmente uno dei soliti pasticci all’italiana!

Allora catturiamo qualche scatto e poi proseguiamo per la vicina Spiaggia di Acque Calde, situata proprio nel tratto di costa antistante la pozza.

Qui, nelle azzurre acque del Tirreno, a pochi metri dal bagnasciuga, si manifesta un eccezionale fenomeno naturale: alcune fumarole emergono, infatti, dal basso fondale scaldando l’acqua e dando vita ad alcuni primordiali idromassaggi, che ci fanno godere di una esperienza a dir poco unica e piacevole. Peccato solo che il tempo voli, obbligandoci ben presto a riguadagnare la spiaggia, per pranzare e per avviarci, subito dopo, verso il porto e l’appuntamento con l’aliscafo.

Che rabbia però, non c’è stato neanche il tempo per andare a vedere la nerissima Spiaggia di Levante e poi, dopa la corsa per arrivare all’imbarcadero, apprendiamo che il traghetto della Liberty Lines è in ritardo… di quasi mezzora.

Alla fine, un po’ contrariati ma soddisfatti, affrontiamo poi le Bocche di Vulcano, il braccio di mare largo 750 metri che ci divide dalla vicina isola di Lipari, la più grande (37 chilometri quadrati) e popolosa dell’arcipelago, nella quale ci fermeremo per la notte.

Appena sbarcati ci rechiamo al vicino Autonoleggio Pit Stop per affittare un’auto con la quale fare un veloce giro dell’isola, alla scoperta dei punti di maggiore interesse… e poco più tardi prendiamo il via, a bordo di una dignitosa Fiat Panda, verso nord lungo la costa.

In questo modo attraversiamo il paese di Canneto e subito dopo arriviamo, in località Porticella, alla zona in cui c’erano le famose cave di pomice di Lipari, attive fin dal XIII secolo e chiuse definitivamente nel 2007, allo scopo di evitare ulteriori gravi danni ambientali.

Lì andiamo a fotografare la singolare spiaggia, bagnata da azzurre acque lattiginose, a causa della polvere di pomice, e circondata da fatiscenti strutture minerarie, che sono sì una interessante testimonianza di archeologia industriale, ma si presentano in uno stato davvero pessimo e richiederebbero urgenti interventi di messa in sicurezza.

Dopo questa insolita visita riprendiamo il periplo dell’isola, doppiando il lato settentrionale di Lipari e poi salendo di quota lungo una strada che si allontana dal profilo costiero, con il panorama che spazia quasi sull’intero arcipelago: da Stromboli a Panarea, poi la più vicina Salina e, in lontananza, verso ponente, Filicudi e Alicudi.

Seguendo un’angusta deviazione conquistiamo quindi uno dei punti più elevati dell’isola, dove si trova la Chiesa Vecchia di Quattropani, così conosciuta e chiamata da tutti i locali, che in realtà è il Santuario di Maria Santissima della Catena, antico luogo di culto eretto nella seconda metà del XVI secolo… Niente di architettonicamente eccelso, però le semplici linee geometriche di questo piccolo edificio bianco si stagliano magnificamente sul grandioso panorama che abbraccia tutto l’arcipelago, rendendo il luogo un privilegiato balcone sul Mar Tirreno.

Ripresa nuovamente strada con la prua rivolta a sud arriviamo anche al cosiddetto Belvedere di Quattrocchi, il cui toponimo è nato dalla tradizione che implica la necessità di avere quattro occhi per apprezzare appieno lo spettacolare scorcio, aperto sulla frastagliata costa sottostante e sull’Isola di Vulcano in lontananza.

Scattate le dovute foto del caso torniamo quindi verso Lipari città e, passati a vedere anche la curiosa Chiesa dell’Annunziata, fronteggiata da una lunga scalinata di tufo, ci dirigiamo verso l’estrema punta meridionale dell’isola, dove si trova l’Osservatorio Geofisico.

Già dal parcheggio il panorama è notevole, ma è seguendo un breve sentiero fra la macchia mediterranea che diventa strepitoso. Si giunge infatti in un vertiginoso tratto di costa, che si affaccia sui sottostanti Faraglioni di Lipari e sulla dirimpettaia Isola di Vulcano, il tutto nella calda luce del tardo pomeriggio… una splendida esperienza, sicuramente la migliore del nostro breve tour dell’isola.

Riconquistato l’osservatorio ci rechiamo infine a consegnare l’auto, completando felicemente il giro turistico, e subito dopo, a piedi, andiamo verso il centro dell’abitato alla ricerca della nostra sistemazione, che si trova nello strettissimo Vicolo Montesanto.

Prendiamo così alloggio nell’affabile appartamento “Il soffio di Eolo” e poi usciamo per cena, nelle vicinanze, a Marina Corta, al Ristorante Nenzyna, e qui mangiamo bene, ma sarà il pasto più costoso del viaggio.

Lunedì 10 Agosto:

Al risveglio nell’appartamento “Il soffio di Eolo” del dio dei venti non c’è proprio traccia, perché fa un caldo infernale, in più Leonardo non sta proprio benissimo e forse ha anche qualche linea di febbre. Subito ci viene in mente il maledetto covid, ma poi propendiamo per una semplice raffreddata, così gli somministriamo una provvidenziale tachipirina e poi diamo il via alla nuova giornata.

Scesi in strada ci dedichiamo prima di tutto alle viuzze del centro storico di Lipari, camminando fra interessanti scorci fino a Marina Corta, che offre una delle più caratteristiche vedute della città, poi saliamo alla cittadella fortificata: un insieme di edifici realizzati sulla rocca di origine vulcanica alta circa cinquanta metri, a strapiombo sul Mar Tirreno.

Questo fu uno dei primi luoghi abitati dell’isola e dell’intero arcipelago, con insediamenti che risalgono al Neolitico e quindi a circa seimila anni fa. Nel corso della storia si susseguirono poi sul luogo i baluardi di numerose civiltà, dalla greca alla romana, dalla normanna alla spagnola.

Qui si trova anche la Cattedrale di San Bartolomeo, il principale luogo di culto di Lipari, ma è ancora chiusa, allora ci dedichiamo al vicino Museo Archeologico Eoliano, che raccoglie, in diverse sezioni, eccezionali reperti, soprattutto greci e romani, provenienti dalle campagne di scavo nell’arcipelago.

Ci misurano la temperatura e risultati tutti in regola, per quasi un’ora, ci immergiamo fra le vaste raccolte, sparse in tre edifici attorno alla cattedrale, inframmezzati dalla cattedrale stessa, che nel frattempo ha aperto i battenti, con la sua bella volta affrescata ed il suggestivo Chiostro Normanno… Non c’è che dire, trasuda storia da tutti i pori la cittadella fortificata di Lipari e a testimonianza vi sono anche i numerosi scavi archeologici visibili nell’area.

Completate le visite scendiamo dalla roccaforte passando attraverso le vestigia del castello medioevale, quindi ci rechiamo in appartamento a recuperare gli zaini e con quelli andiamo rapidamente verso il porto per proseguire nel nostro itinerario.

Intorno alle 11:00 saliamo così sull’aliscafo della Liberty Lines che, passando per Salina, in poco meno di un’ora ci porta sull’Isola di Panarea, la più piccola (3,34 chilometri quadrati) e meno elevata dell’arcipelago, ma anche la più antica, geologicamente parlando.

Sbarcati nel piccolo porto facciamo spesa e poi con un mini-taxi elettrico ci facciamo accompagnare, lungo le anguste strade dell’isola, fin quasi alla sua punta più meridionale, alla spiaggia di Cala Zimmari, l’unica di sabbia di Panarea… Qui però non ci fermiamo.

A piedi, infatti, attraversiamo la baia e, dopo esserci fermati a pranzare all’ombra di alcuni arbusti, proseguiamo lungo la costa alta e rocciosa, in un caldo infernale e fra splendidi scorsi panoramici, fino a Capo Milazzese dove, alla sommità di una scenografica scogliera, si trovano i resti di un villaggio dell’età del bronzo e più in basso la bella Cala Junco, caratterizzata da grandi ciottoli, bagnati da un invitante mare cristallino.

Dedicato al luogo tutto il tempo necessario torniamo poi a Cala Zimmari per consumare un refrigerante e desideratissimo bagno, ma anche per rimanere in acqua il più a lungo possibile, fin quasi alle 15:00, quando ci prepariamo a far ritorno, ancora col mini-taxi, al porto dell’isola.

Lì ritroviamo l’imbarcazione della Savadori Navigazione, lasciata ieri mattina, che al termine di questa avventura ci riporterà a Tropea, e alle 16:00 in punto salpiamo, con la prua rivolta a nord-est. In questo modo transitiamo di fianco agli isolotti rocciosi di Spinazzola e Basiluzzo e alle 16:45 sbarchiamo di nuovo a Stromboli.

Questa volta non ci fermiamo però in spiaggia, ma saliamo a piedi verso il centro di Scari (San Vincenzo), il principale nucleo abitato dell’isola, fino all’omonima chiesa, dalla cui antistante piazza il panorama spazia, in lontananza, sullo scoglio di Strombolicchio, e lì ci fermiamo a riposare. Poi allunghiamo la passeggiata fino alla casa che ospitò, nel 1950, il regista Roberto Rossellini e l’attrice Ingrid Bergman, durante la loro storia d’amore a lato delle riprese del film che porta il nome dell’isola, quindi, intorno alle 18:30, andiamo a consumare una prematura cena alla pizzeria Da Luciano, in previsione dell’imbarco entro le ore 20:00… perché il bello della giornata deve ancora venire! …

All’orario previsto salpiamo infatti dal porto e, passando accanto alle vertiginose scogliere di Strombolicchio, arriviamo, nella calda luce del tramonto di fronte alla sciara del fuoco di Stromboli che, lo ribadiamo, è uno dei vulcani più attivi del pianeta. Infatti poco dopo un’esplosione provoca la fuoriuscita di un piccolo getto di lava… fantastico! … Poi un altro scoppio e un altro ancora… Quindi una lunga pausa, apparentemente senza fine, ma proprio mentre la motonave stava per abbandonare la scena ecco una clamorosa ed inaspettata quarta esplosione ed anche una quinta! … Missione compiuta e ineguagliabile esperienza in dote, che ci porta a ringraziare idealmente Stromboli per il numero pirotecnico offerto!

Ora non resta che rientrare col buio completo a Tropea e lungo il tragitto, in una calda notte di San Lorenzo, ci godiamo anche lo spettacolo delle stelle cadenti. Infine, poco prima delle 23:00, entriamo nel porto della “Perla del Tirreno” e un’ora più tardi concludiamo, stanchissimi ma felici, questa intensa due giorni di visite alle Isole Eolie, che mai dimenticheremo.

Martedì 11 Agosto:

Dopo le due fervide giornate eoliane ce ne aspettano almeno un paio decisamente più tranquille.

Consumata la nostra solita colazione in camera partiamo così verso est lungo la costa e dopo una trentina di chilometri, superato il caotico abitato di Pizzo Calabro, ci fermiamo a bordo strada per andare a visitare la curiosa Chiesetta di Piedigrotta, scavata nel tufo durante il XVII secolo per un voto legato ad un naufragio, ma poi ampliata e decorata con statue ricavate dalla nuda roccia a partire da fine Ottocento, per merito di tre generazioni di artisti locali: Angelo, Alfonso e Giorgio Barone.

La chiesetta, con la semplice facciata rivolta a mare e gli interni disseminati di statue in ordine apparentemente casuale, è davvero molto particolare e suggestiva, solo il parcheggio dove lasciare l’auto per andare a visitarla è uno scandalo: cinque euro, per tutto il giorno o anche solo per la mezzora necessaria a vedere la chiesa…

Dopo l’unica esperienza a carattere culturale della giornata torniamo poi sui nostri passi in direzione di Tropea e giunti nella località di Zambrone ci fermiamo, trovando anche non poca difficoltà a parcheggiare.

Da lì scendiamo poi, per mezzo di uno scosceso e polveroso sentiero, alla sottostante Spiaggia Scoglio del Leone (o Paradiso del Sub), che vista dall’alto è decisamente scenografica, con la roccia a forma del felino re della foresta facilmente identificabile e gli splendidi colori del mare circostante, ma giunti più in basso ci rendiamo conto che è piena all’inverosimile, un autentico carnaio, alla faccia del covid e del distanziamento sociale.

Forse un po’ incoscienti però non desistiamo e una volta ritagliato, a fatica, in nostro minuscolo spazio vitale fra teli ed ombrelloni corriamo subito a refrigerarci tra i flutti di un’acqua molto bella, ma non bellissima, forse a causa della troppa gente.

In questa spiaggia, considerata fra le più allettanti della Costa degli Dei, trascorriamo l’intera giornata, passando forse più tempo in acqua che a riva, vista la calura odierna.

Intorno alle 17:00 il luogo si fa più vivibile e così ci fermiamo altre due ore, alla disperata ricerca di un po’ di tranquillità, da unire alla bellezza di questo tratto di costa, poi facciamo ritorno con calma al nostro B & B.

Per cena torniamo infine al Ristorante Torre Galli, dal simpaticissimo Giuseppe e sua moglie Carmela, mangiando ancora molto bene e promettendo di ripetere il tutto almeno una terza volta, prima del termine della vacanza.

Mercoledì 12 Agosto:

Missione Capo Vaticano, rinomato luogo e punto più occidentale della Costa degli Dei, che conta alcune delle migliori spiagge di tutta la Calabria.

Alla solita ora partiamo dal B & B Le Mulinare e poco dopo le 9:00 siamo già sulla terrazza panoramica posizionata sopra le scogliere del capo, dalla quale la vista, nonostante sia controsole, è splendida. Da lì però non possiamo fare a meno di notare la spiaggia sottostante, dove dovremmo andare, già piena di bagnanti, tanto da consigliarci a cambiare programma.

Ci spostiamo allora ad un altro punto di osservazione, dal quale possiamo vedere le paradisiache spiagge di Capo Vaticano, accessibili solo dal mare, poi andiamo decisamente verso altri lidi.

Percorriamo una manciata di chilometri verso Tropea e poi, nei pressi dell’abitato di Santa Domenica, scendiamo al mare in direzione della Spiaggia di Riaci, nei cui pressi troviamo a fatica parcheggio, pagandolo anche a caro prezzo (18 euro!).

Affittiamo quindi un ombrellone e due lettini nel vicino stabilimento balneare, anche questi salati: 40 euro! In compenso il mare di fronte a noi è splendido: un’autentica piscina, al cui richiamo non riusciamo proprio a resistere.

Dopo un lungo bagno andiamo in esplorazione sul vicino Scoglio Grande, la conformazione rocciosa che caratterizza l’estremità occidentale della baia, dove siamo posizionati… Eroso dalle onde e dagli agenti atmosferici questo ingente blocco di arenaria è tutto traforato e a nuoto si può anche percorrere una sorta di canyon, collegato a sua volta con alcune grotte… tutto molto suggestivo.

Dallo scoglio però tanti giovani fanno tuffi, anche da importanti altezze, e così, ad un certo punto capita un brutto incidente: una ragazza scivola da 7-8 metri sul livello del mare e dopo aver sbattuto più volte sulle rocce cade in acqua. Subito i bagnanti nelle vicinanze la soccorrono e, con l’aiuto di un pedalò, la portano a riva, poi, dopo una interminabile mezzora arriva a prenderla l’ambulanza… Speriamo non sia nulla di grave, ma soprattutto di irreparabile!

Appena il tempo di riprendersi per l’accaduto e all’orizzonte appare un grande veliero.

Incuriositi lo osserviamo mentre si avvicina, contornato da uno sciame di barchette più piccole, fino a quando non capiamo che si tratta della Nave Scuola Amerigo Vespucci, incontestabile vanto italiano, considerata la più bella nave del mondo, che poi apprendiamo essere nei paraggi per un evento.

Pranziamo con i nostri panini sotto all’ombrellone e dopo una mattinata densa di emozioni trascorriamo un pomeriggio tranquillo e rilassante, più che altro immersi in quel mare incantevole, con anche pregevoli esperienze di snorkeling… E la giornata scivola così piacevolmente a sera e ad un infuocato tramonto. Una giornata conclusa poi con una cena all’Agriturismo Manitta, sempre nell’entroterra e nei dintorni di Gasponi.

Giovedì 13 Agosto:

Partiamo poco dopo le 8:30 dal B & B per una giornata, in qualche modo, alternativa alla spiaggia e andiamo spediti alla volta di Vibo Valentia.

Oltrepassato il capoluogo proseguiamo poi in direzione dell’interno e salendo di quota passiamo attraverso i reconditi paesi di Soriano Calabro e Serra San Bruno, quindi dopo un’infinità di curve superiamo il Passo di Pietra Spada, a 1350 metri di quota, e da lì planiamo ancora una volta verso il Mar Ionio, che già dalla località di Stilo, dove facciamo sosta, s’intravvede in lontananza.

In questo storico paese delle Serre calabresi ci fermiamo per vedere, soprattutto, la bella chiesa grecobizantina chiamata La Cattolica, risalente ai secoli X-XI e considerata uno dei più notevoli monumenti calabresi, raffigurata a pagina nove del Passaporto Italiano, ma anche in attesa di far parte del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Eretto alle pendici del Monte Consolino questo piccolo edificio religioso è sormontato da cinque scenografiche cupole di forma cilindrica, rivestite di mattonelle, ed il suo interno, su pianta quadrata e croce greca, è suddiviso in nove parti uguali da quattro antiche colonne, con i muri che recano i resti di alcuni pregevoli affreschi.

Immortaliamo il tutto e poi ci concediamo una breve passeggiata lungo il dedalo di viuzze della vecchia Stilo, prima di far ritorno alla nostra auto per riprendere l’itinerario.

In questo modo completiamo la discesa in direzione del Mar Ionio e una volta conquistato il profilo costiero lo seguiamo verso nord lungo la Strada Statale 106, ma solo per circa 15 chilometri, fino alla deviazione verso l’interno per il paese di Badolato, un borgo medioevale il cui recupero storico ed architettonico è conosciuto in tutto il mondo. Negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso fu infatti dichiarato “in vendita” come provocazione, perché nel tempo si era progressivamente svuotato… e in parte funzionò perché così vennero attirati sul posto tanti stranieri, che ne intrapresero il restauro, innescando la conseguente rinascita.

Lungo la strada ci fermiamo, poco prima del villaggio, in un’area attrezzata con tavoli da picnic, a pranzare, con la vista che spazia da un lato su Badolato e dall’altro sul Mar Ionio in lontananza, poi saliamo alla piazza principale e da lì andiamo in esplorazione per le vie del centro (in parte ripristinate, ma ancora bisognose di numerosi interventi edilizi), fino alla Chiesa dell’Immacolata, ubicata in posizione panoramica e solitaria, su di un crinale appena a levante dell’abitato: all’andata tutta in discesa, ma al ritorno, ovviamente, in salita… che fatica! Ma ne è valsa la pena.

Riconquistato il nostro mezzo torniamo in direzione del mare proseguendo a nord lungo la costa e, oltrepassata la località di Soverato, scendiamo alla vasta Spiaggia di Caminia… Qui brighiamo un po’ a parcheggiare, ma poi possiamo goderci due ore abbondanti di sole, tranquillità e acque cristalline, prima di imboccare la via del ritorno a Tropea.

Da Caminia occorre un’ora e mezza abbondante per attraversare, ancora una volta, la Calabria. Così arriviamo al B & B Le Mulinare intorno alle 20:00… Giusto in tempo per una doccia e poi uscire a cena, nelle vicinanze, al Ristorante Il Giardino, concludendo una positiva giornata.

Venerdì 14 Agosto:

Con la vacanza che volge ormai irrimediabilmente al termine partiamo, dopo colazione, per il vicino paese di Zungri, sorto alla sommità di uno scosceso dirupo, nelle cui pendici si trova il cosiddetto Villaggio Rupestre degli “Sbariati”, risalente, orientativamente, all’età bizantina.

Prima visitiamo il modesto Museo della Civiltà Contadina e poi scendiamo lungo il sentiero che porta all’insediamento, dislocato su di una superficie di circa tremila metri quadrati e articolato su più livelli dell’ampio costone roccioso, ospitante oltre cinquanta grotte a destinazione abitativa, che rendono l’idea di come queste popolazioni si fossero organizzate per vincere le situazioni ambientali dell’epoca.

Vaghiamo per un po’ fra le antiche cavità, alla scoperta di originali prospettive e poi ritorniamo sui nostri passi, per andare verso il mare e quindi verso la parte prettamente balneare della giornata.

Dalle alture scendiamo così, nelle immediate vicinanze di Tropea, alla località di Parghelia per andare alle note Spiagge di Michelino.

Parcheggiamo nei pressi della piccola stazione ferroviaria e poi da lì affrontiamo la strada e la lunga scalinata che porta alle due spiagge, che dall’alto, ma anche dal basso, sono ugualmente belle, bagnate da un mare azzurro e trasparente. Purtroppo, però, sono fin troppo piene di bagnanti. Non a caso siamo nella settimana clou dell’estate, covid o non covid.

Riusciamo comunque a ritagliarci il nostro spazio vitale in riva al mare e da lì cominciamo a goderci il posto, consumando bagni su bagni.

Facciamo anche snorkeing, vedendo davvero tanti pesci, e nel pomeriggio, con Leo, vado in esplorazione ad ovest della baia, oltre i cosiddetti Scogli della Ringa, per mettere piede su di una terza spiaggia, in qualche modo segreta e semi-deserta, la ciliegina sulla torta su di un luogo eccelso, balnearmente parlando.

In questo modo arriviamo piacevolmente a sera e più tardi torniamo a cena nel nostro posto preferito, il Ristorante Torre Galli, e ci troviamo così bene che prima di andar via diciamo a Giuseppe di prenotarci anche per domani sera, quando consumeremo l’ultima cena del viaggio.

Sabato 15 Agosto:

Ed eccoci a Ferragosto di questo assurdo 2020 e all’ultima giornata intera da passare in Calabria… una bella vacanza, per carità, ma se penso che proprio oggi doveva il primo giorno del tanto desiderato viaggio in Perù… beh, la rabbia mi sale in modo pazzesco!

Vista la giornata iper-festiva decidiamo di partire un po’ prima del solito e poi, una volta sistemati, non muoverci più fino a sera.

Ci rechiamo così direttamente a Capo Vaticano e, in pratica, da lì riprendiamo il programma variato mercoledì scorso. Parcheggiamo nei pressi della località di Grotticelle, quindi, a piedi, andiamo a prendere posto in uno stabilimento balneare della vicina Spiaggia Salamite, la più vicina al capo e così chiamata per le lucertole che la popolano (le salamite, in dialetto locale).

La baia è bagnata dalle “solite” acque azzurre e trasparenti, forse tempestate da troppe rocce, che ne penalizzano un po’ la balneazione… invece le lucertole scarseggiano decisamente, anzi, sono assolutamente latitanti.

Poco dopo le 10:00 affittiamo un pedalò e con quello andiamo in esplorazione verso le spiagge altrimenti inaccessibili di Capo Vaticano: prima la più lontana Praia i Focu, così chiamata perché un tempo vi si accendevano dei fuochi, come punto di riferimento per i pescatori, e poi la Spiaggia ‘A Ficara (per la presenza di un vecchio albero di fichi), entrambe bellissime. Su quest’ultima proviamo anche a sbarcare, ma causa il moto ondoso e da solo non riesco a tirare in secca il pedalò.

Ci accontentiamo allora di scattare qualche foto e di fare un bagno nelle acque cristalline del capo, fra i cui scogli, secondo la leggenda, risiedeva un oracolo (Manto) che offriva responsi a marinai e naviganti prima di affrontare le ire di Scilla e Cariddi, poi rientriamo con calma a Spiaggia Salamite.

Nel frattempo, però, si è forse mosso un po’ il fondale, infatti sono arrivati a riva diversi detriti di posidonia a sporcare e rendere meno invitante il mare di fronte a noi… peccato perché in parte questo ci rovina gli ultimi scampoli di vacanza.

Pranziamo e poi trascorriamo, senza infamia e senza lode, l’ultimo pomeriggio a destinazione completamente balneare del viaggio, a Spiaggia Salamite… Per fortuna possiamo poi rimediare più tardi, con l’ennesima, ottima e ultima cena proposta da Giuseppe e Carmela al Ristorante Torre Galli.

Domenica 16 Agosto:

È arrivato il momento di affrontare il lungo viaggio di rientro a casa, infatti ci attendono ben 950 chilometri di strada, da percorrere, fra l’altro, in un giorno con il traffico da bollino rosso.

Partiamo da Gasponi poco dopo le 7:00 del mattino e 45 minuti più tardi imbocchiamo l’autostrada A2, Salerno-Reggio Calabria, a Pizzo Calabro, verso nord.

Così facendo poco dopo le 9:00 ci lasciamo alle spalle la Calabria per entrare, temporaneamente, in Basilicata e appena più tardi in Campania. Infatti alle 10:40 siamo a Salerno, da dove prendiamo a seguire prima la A30 e poi l’Autostrada del Sole, lungo la quale troviamo sì un po’ di traffico e qualche coda, ma nulla di drammatico.

Intorno alle 13:00 facciamo sosta, in un’area di servizio nei pressi di Roma, così da pranzare e fare rifornimento, prima di riprendere a macinar chilometri.

Superata la capitale, ad Orte, usciamo dalla A1 per affrontare la superstrada E45, che ci porta a transitare un quarto d’ora dopo le 15:00 nelle vicinanze della città di Perugia e, passata un’altra ora, sul Passo del Verghereto, per rientrare così in Romagna.

Il viaggio si conclude poi felicemente, alle 17:07, di fronte al cancello di casa.

Senza pensare a quello che avrebbe dovuto essere senza il dannato covid, tutto sommato, è stata una bella vacanza che, accompagnata da tante bellezze, sia storiche che naturali, ha contribuito a farci trovare un po’ di serenità… unico neo la troppa gente, costante di ogni viaggio, in Italia ad agosto… Il tutto con la speranza che il buon Dio ci restituisca presto il mondo intero per far ciò che più ci piace, ovvero viaggiare… liberamente!

□ Dal 01 al 16 Agosto 2020

□ Da Forlì’ a Forlì km. 3366

The post Viaggio in Calabria… sognando il Perù! appeared first on Il Giramondo.

Cuba, sconcertante Cuba!

$
0
0

27 febbraio

Volo NEOS per l’ Avana alle 16:40 per arrivare all’ Avana alle 21:40 (ora locale).

Bagaglio ridotto al minimo in quanto la NEOS ammette solo 5 kg di peso ma noi ci siamo organizzati con borsoni flosci, tracolle e vestizione tipo “cipolla”. Il trattamento a bordo però è abbastanza soddisfacente: pasti abbondanti e “lasagna”!

All’ aeroporto siamo accolti dalla responsabile Valentina. Alloggiamo nel villaggio Bravo Arenal Alpitour a Playa del Este, a circa 30 km da l’ Avana, struttura degna dello standard del conosciuto brand. All’arrivo ci viene offerto un cocktail di Benvenuto.

 

Il villaggio ha una struttura abbastanza semplice e non è eccessivamente enorme, le camere sono disposte su due piani (piano terra e primo piano) e raccolte in diversi blocchi. Noi alloggiamo al primo piano nel blocco 3, abbastanza vicino a ristorante, piscina e spiaggia. La stanza è molto ampia e spaziosa; la pulizia è nella norma, sul letto la solita scultura fatta con il telo da mare. Dopo aver sistemato i bagagli e dopo una doccia ristoratrice andiamo a cena e Bianca incontra una sua ex collega! Incredibile concomitanza! Dopo subito a letto abbastanza stanchi per il viaggio.

VINALES

Il primo insediamento risale al 1607 ed il nome deriva da un vigneto impiantato da un colono proveniente dalle Canarie.

Case private dipinte in tonalità brillanti dal verde lime al rosa, all’ azzurro, al giallo sole, al turchese e al corallo offrono camere e appartamenti in affitto. Alcune vantano nomi fantasiosi: Casa Arcoiris (Casa Arcobaleno), La Casa de las Sonrisas (la Casa del Sorriso) e Villa musicale, ma sono in genere il nome dei loro proprietari.

Da una terrazza si gode una magnifica vista panoramica della Valle de Vinales e di solito è il punto di partenza per un tour della valle. Un buon Mojito mentre ammiriamo gli affioramenti calcarei, i famosi “Mogotes” a forma di pan di zucchero, ovvero quel che rimane delle più antiche rocce di Cuba. Nel corso di milioni di anni le falde acquifere sotterranee ne hanno erose le fondamenta calcaree, provocando la formazione di grotte le cui volte sono poi crollate lasciando in piedi solo i pilastri ossia i nuclei più duri ovvero gli attuali “Mogotes”.

Primo incontro con la musica cubana: un gruppo si esibisce ed io non posso che inserirmi e suonare le claves!  Dall’alto si vede il mosaico creato dalle piantagioni di tabacco. Ci trasferiamo al Mural de la Prehistoria, opera maestosa di 120 metri d’altezza, dipinta sulle rocce del periodo giurassico, fatta da Leovigildo Gonzales, allievo del messicano Diego Rivera, che sfrutta gli interstizi della roccia per creare effetti di luce e colore, raffigurante la storia dell’evoluzione dalle ammoniti (molluschi cefalopodi fossili) all’ Homo Sapiens. Realizzato tra il 1959 e il 1962 è stato restaurato nel 1980.

Vinales è ben nota per una grande rete di grotte e dopo il pranzo, allietato da un gruppo musicale, (mi ripropongo suonando stavolta il campanaccio) si può visitare una di queste belle caverne. La grotta più nota è la Cueva del Indio, scoperta nel 1920 e al suo interno vennero ritrovati disegni rupestri e alcuni resti archeologici risalenti alla cultura cubana precolombiana. La prima parte di circa 250 mt. si percorre a piedi attraversando gallerie illuminate da luce artificiale per poi proseguire risalendo il fiume San Vincente per 500 mt. su una piccola barca a motore. Uscendo dalla grotta si incontra Il Palenque de los Cimarrones, una spettacolare cavità che servì da rifugio a schiavi africani fuggiaschi e che oggi ospita un piacevole ristorante.

Si continua attraversando la pittoresca cittadina sul corso principale intitolato a Salvador Cisneros Batancourt, indipendentista e firmatario della costituzione del 1848, su cui si affacciano numerose case coloniali con i tipici portici per ripararsi dal sole e dalle piogge tropicali passando tra auto d’epoca e carri trainati da cavalli. Il più importante complesso architettonico è costituito dalla piazza centrale, il Parque Martì, su cui si affacciano la Iglesia del Sagrado Corazon de Jesus e l’ex Colonia Espanola (circolo dei signorotti spagnoli) attuale Casa della Cultura Paolo Montanez al cui interno fanno scuola di ballo caraibico dei ragazzi del posto.

Questa bella cittadina ci ha sconvolti con la sua genuina bellezza cubana che offre. Quando ho pensato a Cuba, ho pensato auto d’epoca colorate edifici friabili, mojito e sigari. Vinales per la sua semplicità mi ha fatto apprezzare questo paese molto di più.

Sulla strada del ritorno una visita ad una “casa del tabacco” con tetto di foglie di palma a falde molto inclinate dove vengono trattate le foglie del famoso sigaro. Un lavorante ci mostra la sua abilità nella lavorazione di un sigaro. 200 km e siamo al villaggio Arenal. Cena al ristorante situato in fondo alla reception. Si trova qualcosa di carne e di pesce cotti al momento sulla piastra. Sempre presente anche della verdura cotta e cruda, dello spezzatino o della pasta al forno o della pasta e del riso freddo. C’è un angolo riservato alla pasta cotta al momento…diciamo che è meglio passare oltre. La frutta: sempre presenti papaia, ananas bianco, arance e pompelmi. Dessert un po’ scarsi: dolci pieni di panna o i biscottini di frolla. Buono il gelato! Una passeggiata sulla spiaggia e poi a letto! Buonanotte! Anzi buenas noches! Domani visita de l’ Avana.

L’ AVANA

L’Avana fu fondata nel 1519 ed è la città dove le storiche tracce coloniali sono state più preservate. Come ha detto l’architetto americano Andrès Duany l’Avana ha per l’America lo stesso potere che Roma ha per l’Europa. Una città con tutti gli stili e nessuno stile, e come disse Alejo Carpentier, scrittore e giornalista cubano, che chiamava l’Avana la città “delle colonne”, per via dei numerosi elementi architettonici barocchi che ornano i più importanti edifici: in realtà, è anche la città delle inferriate, dei portoni, dell’intimità, dell’ombra, della frescura: “Uno stile senza stile che, attraverso una simbiosi, un processo di mescolanza, diventa infine un barocco lui stesso”.

L’Avana è una vivace capitale che merita di essere visitata per le splendide architetture e le numerose occasioni di divertimento. Molte sue attrattive sono concentrate in tre quartieri: La Habana Vieja, Centro Habana e Vedado.

1 marzo

Habana Vieja

Iniziamo la visita dal centro antico dalla Plaza Vieja circondata da portici colonnati e sulla quale si affacciano splendidi edifici di quattro secoli diversi. Ci dirigiamo poi percorrendo l’Avenida del Puerto verso Plaza de Armas dove si sente tutta l’atmosfera dell’età coloniale. Ammiriamo il Palacio de los Capitanes Generales, sede del museo de la Ciudad e il Templete, piccolo ed austero edificio con l’aspetto di un antico tempio che sorge nel luogo dove, secondo la leggenda, venne fondata la città di San Cristòbal de la Habana. Lì, sotto una frondosa ceiba-albero tropicale ritenuto sacro dalla popolazione indigena-sarebbero state celebrate le prime riunioni del governo locale (il cabildo) e la prima messa. Ancora oggi accanto al Templete si erge una maestosa ceiba. Nel centro della piazza fu posta nel 1834 la statua del re Fernando VII fino al 1955, poi sostituita da quella di Carlos Manuel de Cespedes, il Padre della Nazione. Dalla piazza si scorge il seicentesco Castillo de la Real Fuerza con un ampio fossato e i caratteristici bastioni angolari, la più antica costruzione militare dell’Avana. Sulla torre di vedetta fu issata la Giraldilla, la banderuola segnavento secentesca, ispirata alla Giralda di Siviglia.

Plaza de San Francisco di gusto ispano-andaluso è dominata dalla basilica del 18° secolo sul lato sud, con la sua imponente torre, la Lonja del Comercio (1909) sul lato nord, e la Aduana (1914) e il terminal Sierra Maestra delle navi da crociera sul lato est. La piazza è stata sviluppata presso il porto di L’Avana durante il XVI secolo, quando i galeoni spagnoli ormeggiavano presso il vicino molo. Su un lato della piazza la Fuente de los Leones scolpita nel 1836 dall’artista italiano Giuseppe Gaggini in marmo di Carrara. Sulla piazza una bella scultura in bronzo dal titolo ‘La Conversación’ su una base di marmo posta davanti all’ingresso della Lonja del Comercio. Realizzato dall’artista francese Etienne e donata da Vittorio Perrotta al Comune nel mese di settembre 2012, rappresenta la necessità di un dialogo nella società contemporanea. Situata al di fuori della chiesa, Il “Cavaliere di Parigi”, una  statua dedicata ad un personaggio molto popolare all’Avana che negli anni ’50 intratteneva i passanti su vari argomenti. José María López Lledín, nato in Spagna, (1899-1985) era un vagabondo famoso a L’Avana nei primi anni ’50. Di media statura, aveva i capelli arruffati, sempre vestito di nero, con un mantello nero. Portava con se un portafoglio con documenti e una borsa contenente i suoi effetti personali.

In Calle Odispo al n° 115 una antica buca per le lettere, El Buzon, in pietra scolpita. Dominata dall’elegante profilo della sua chiesa, Plaza de la Catedral è uno dei simboli di la Habana Vieja. La Cattedrale dell’Avana, dedicata alla Virgen María de la Concepción Inmaculada e sede dell’Arcidiocesi di San Cristóbal de la Habana, fu costruita nel XVIII secolo ampliando un antico oratorio. Rispetto alla grandiosa facciata che lo scrittore cubano Alejo Carpentier definì “musica fatta in pietra”, con i due grandi campanili asimmetrici, l’interno è abbastanza deludente. Una nota curiosa: la statua lignea di San Cristoforo risulta sproporzionata nel tronco rispetto alla gambe in quanto queste furono tagliate per far passare la statua dal portale! Sulla piazza si affacciano il Palazzo del Marchese di Aguas Claras, il Palacio del Conde de Lombillo, il Palacio del Marqués de Arcos, il Palazzo del conti di Casa Bayona, che attualmente ospita il Museo dell’arte coloniale; e Wifredo Lam Center, un piccolo museo e una galleria dedicata a Wifredo Lam, uno dei più rinomati artisti moderni cubani. Interessanti le vetrate policrome ad arco denominate “punto medio”. Non possiamo farci mancare la visita alla famosa Bodeguita del Medio e lungo la strada incrociamo un gruppo festante di scolari.

È la taverna-ristorante più famosa di tutta Cuba. Infatti Ernest Hemingway che la frequentava molto spesso l’ha citata in una delle sue frasi:  “My mojito in La Bodeguita, my daiquiri in El Floridita”. In particolare, il suo ristorante è uno dei migliori in termini di cucina creola. C’è una tradizione secondo la quale le personalità che vi passano lascino un segno, un ricordo, un oggetto, o un graffito, e si possono trovare nomi storici come Salvador Allende, Pablo Neruda e naturalmente Ernest Hemingway.

Per ultimo il Seminario de San Carlos y San Ambrosio, costruito dai Gesuiti nella prima metà del ‘700. Nel 1950, una facciata imponente che si affaccia sulla baia fu costruita, imitando lo stile barocco della Catedral de La Habana. In un tratto infossato lungo il perimetro della facciata alcuni cannoni seminterrati…

Imbocchiamo il tunnel che passa sotto El Canal de Entrada e arriviamo sulla punta rocciosa all’ingresso della baia dell’Avana dove sorge El Castillo De Los Tres Reyes Del Morro. Fortezza costruita dal 1589 su progetto dell’italiano Giovanni Bautista aveva la funzione di avvistare i nemici, prima di tutti i pirati. Dalla fortezza si gode una splendida vista della città. Al castello si accede attraverso una galleria, dove alcune targhe ricordano il punto in cui gli inglesi aprirono una breccia che nel 1762 consentì loro di conquistare la città dopo 40 giorni di assedio. Siamo accolti da un gruppo musicale e Bianca viene coinvolta in un ballo caraibico! Nel negozio di souvenir acquistiamo un sigaro Cohiba nella sua particolare confezione.

Centro Habana e Prado

Il Paseo de Martí, precedentemente conosciuto come Paseo del Prado, è una grande strada, situata in centro che ha una storia di oltre 200 anni e che rimase, per lungo tempo, la strada più importante e bella dell’Avana. Al giorno d’oggi, continua ad essere un luogo attraente per i turisti e un luogo molto apprezzato da tutti i cubani. Questo fu il primo viale situato fuori dalle antiche mura della città. La sua costruzione fu voluta dal Marchese de La Torre, venne iniziata nel 1772 e conclusa nel 1830, durante il governo di Miguel Tacón. Il proposito iniziale era quello di creare una grande passeggiata come quelle delle città di Parigi o Barcellona (di fatto è ispirato a quello de Las Ramblas di Barcellona). In questo viale si trovano otto statue in bronzo, a forma di leone aggiunte nel 1927 per simbolicamente vigilare. Il viale ha una lunghezza di due chilometri ed è diviso in quattro parti perfettamente delimitate tra loro: El Paseo, il Parque Central, in cui si trova la scultura di José Martí, il piazzale del Capitolio, e il Parque de la Fraternidad.

Edifici notevoli sono:

Il Gran Teatro con una delle sue stanze dedicata a Garcia Lorca, che vi soggiornò per alcuni mesi nel 1930 ha sede in un palazzo in stile eclettico con slanciate torrette angolari. La facciata è ornata da quattro gruppi marmorei realizzati dall’italiano Giuseppe Moretti che raffigurano la Beneficenza, l’Educazione, la Musica e il Teatro. È uno dei più capienti teatri del mondo.

Il Capitolio (imitazione del Campidoglio di Washington), uno dei più sontuosi di tutta l’America latina, attualmente chiuso al pubblico per importanti opere di restauro che lo faranno tornare sede del governo.

L’Hotel Inglaterra storico albergo ottocentesco con dettagli architettonici di gusto spagnolo.

Dopo aver pranzato in un ottimo ristorante ovviamente con musica di sottofondo, andiamo verso il Vedado incrociando particolari personaggi: una vecchietta che fuma un sigarone, un cane molto particolare ed un simpatico venditore di frutta esotica. Prima però una puntata al Memorial Granma, che si trova alle spalle del Museo della Rivoluzione, dove è conservato lo yacht che riportò Fidel, il Che ed altri rivoluzionari a Cuba dall’esilio in Messico. Ci sono anche mezzi civili adattati ingegnosamente dai guerriglieri, tra cui un furgone di spedizioni crivellato di colpi oltre che ad aerei ed armamenti vari dei tempi della rivoluzione. In un lato del giardino arde una fiamma perenne in memoria di quanti persero la vita perseguendo l’ideale rivoluzionario.

Vedado e Plaza

Il nome Vedado deriva dal fatto che nella zona nel ‘500, per poter avvistare pirati in avvicinamento, era “vietata” la costruzione di case e strade. Tra l’800 e il 900 il quartiere fu ampliato e molte famiglie importanti vi si trasferirono. Pertanto oggi esso ha due volti: da una parte un moderno centro politico-culturale e dall’altro uno storico quartiere con vecchie case dai portali coloniali e angoli suggestivi.

L’immensa Plaza de la Revolucion, scenografia delle grandi manifestazioni popolari, è il centro politico della capitale e di tutta Cuba. Vi si trovano le famose auto d’epoca ad uso turistico ed i curiosi “coccotaxi”.

Un interessante articolo del “Bergamo post” sulle auto d’epoca di Cuba:

Dal 1959, anno della vittoria di Che Guevara e Fidel Castro, le uniche vetture che potevano essere liberamente vendute a Cuba dovevano risalire a prima della Rivoluzione. Con qualche eccezione, dagli anni Settanta, riservata ad alcune categorie di cittadini: artisti, diplomatici, atleti, medici. Fino a quando, nel dicembre 2013, il quotidiano cubano Granma diede la notizia: Raul Castro, presidente di Cuba, era pronto ad aprire l’isola al libero mercato dell’auto. Niente più folkloristiche vetture degli anni Cinquanta, niente più Chevrolet scolorite tenute insieme con rappezzi ed interventi meccanici al limite dell’irrazionale. Un po’ di nostalgia per gli appassionati dell’immagine dell’isola comunista dei Caraibi, ma anche il riconoscimento che era giunta l’ora di guardare avanti. Oggi, a riforma compiuta, il governo rende noti i primi dati sulle vendite: in sei mesi, sono state vendute appena 50 auto e 4 motociclette. Praticamente niente.

Un’auto nuova a Cuba costa troppo. In realtà la notizia non dovrebbe colpire più di tanto, vista la situazione economica del Paese. In uno Stato in cui la popolazione ha uno stipendio medio di 20 dollari mensili, la spesa per un’automobile nuova, o comunque non risalente al periodo pre-rivoluzionario, è insostenibile. Una Kia Sorrento usata, che in Italia costerebbe sui 9 mila e 400 dollari, a Cuba costa l’equivalente di 80 mila dollari. Ed una Fiat Punto? 30mila dollari. Senza pensare ad una Peugeot 508 nuova di zecca, che per noi costerebbe sui 53mila dollari, mentre nell’isola rossa l’equivalente di 262mila dollari. Un cittadino cubano dovrebbe vivere più di 300 anni per potersi permettere una nuova auto. Uno dei motivi dei prezzi così alti sono le tasse che ha deciso di mettere Raul Castro sulla compravendita di autovetture, imposte che avrebbero dovuto finanziare il sistema del trasporto pubblico. Visti i risultati deludenti però, è difficile che ciò avvenga. Altro problema è la burocrazia ed i tempi di consegna lunghissimi. Attualmente sono 11 le agenzie di vendita presenti a Cuba, 4 solo all’Avana, tutte controllate dall’agenzia statale Cimex.

Comunque lo spettacolo offerto da queste colorate auto è veramente eccezionale: la presenza di Buick, Pontiac, Ford, Chevrolet etc. ci fa quasi assistere a tutta o quasi tutta la produzione di auto made in USA degli anni ’50! La facciata del Ministero del Interior è occupata dalla sagoma in bronzo di Ernesto Che Guevara che agli inizi degli anni ’60 aveva il suo ufficio in questo edificio. Su un altro edificio la sagoma di Camilo Cienfuegos, coraggioso comandante che ebbe un ruolo di primo piano nella lotta armata e che morì in un incidente col suo piccolo aereo tornando da Camaguey dopo aver arrestato il traditore Hubert Matas. Ma il monumento più significativo è quello dedicato a Josè Martì, una torre di 109 mt. con basamento a stella in marmo grigio su cui si trova una enorme statua di 18 mt. in atteggiamento meditativo del patriota nonché poeta, saggista e giornalista. Una capatina al centro culturale e commerciale Almacenes San Josè, un interessante mercato di prodotti artigianali situato nell’ultimo tratto della Avenida del Puerto. Gli edifici monumentali che compongono il magazzino sono stati costruiti nel 1885 dall’architetto Adolfo Saenz Yanez, insieme ad un molo a cui i piroscafi e golette potevano attraccare e risparmiare i costi di carico e scarico. Nella sua costruzione furono utilizzati più di 3.000 tonnellate di acciaio, calcestruzzo e muratura per un costo di 3.000.000 pesos dell’epoca. Al di fuori sono parcheggiate locomotive in disuso una volta usate per il trasporto della canna da zucchero. Lo storico Eusebio Leal Spengler, definì il centro “come luogo per godere di un ambiente culturale in cui l’arte, artigianato, il pensiero e le idee colloquiano armoniosamente”. Oggi i vecchi magazzini sono il più grande mercato di artigianato a L’Avana, con oltre 300 bancarelle dove si trovano tutti i tipi di souvenirs: camicie Guayabera, sculture in legno, accessori in pelle, gioielli e numerosi oggetti correlati. Fuori del mercato ci sono diversi locali con vista sulla baia, dove ci si può sedere, e sono una buona scelta per il pranzo o semplicemente un drink. È un luogo molto popolare sia tra i cubani che tra i turisti. Torniamo in albergo per la cena e dopo di corsa al leggendario Buena Vista Social Club, il tempio della musica cubana nata dalla fusione delle melodie spagnole e i ritmi africani.

Era in origine un club attivo dal 1932, riservato ai neri durante gli anni della dittatura di Fulgencio Batista. Abbiamo pagato 35 CUC per i nostri biglietti che comprendevano tre cocktail molto generosi. La musica è quello che ci si aspetta. Ci sono solo alcuni dei musicisti originali (alcuni sono morti come il leggendario Compay Segundo), ma i membri più giovani sono comunque fantastici. Omara Portuando, l’unica donna ad apparire sulle discografie del Buena Vista Social, dimostra qui che, a 70 anni suonati, possiede ancora le qualità che hanno contribuito a sviluppare la sua notorietà sulla sua isola natale e rende più facile capire perché i critici l’hanno definito la Edith Piaf di Cuba. Lo spettacolo è travolgente, i vari interpreti e i ballerini sono formidabili come formidabile è il presentatore. Il percussionista poi è semplicemente fantastico! Poi tutti sul palco a ballare… compreso me!

La danza ha un ruolo fondamentale nella vita dell’isola, infatti non si ascolta la musica stando immobilmente seduti: i piedi scandiscono il ritmo, le mani lo accompagnano, il corpo ondeggia. Che spettacolo! Siamo rimasti incantati. Domani saremo a Santa Clara.

2 marzo

SANTA CLARA

Colazione e poi partenza: ci aspettano 280 km!

Fondata il 15 luglio 1689 da un gruppo di abitanti della costa per mettersi al riparo dai pirati fu per secoli capitale di Las Villas, che comprendeva le odierne province di Cienfuegos, Sancti Spiritus e Villa Clara. Oggi è una città vivace che può essere visitata in poco tempo. La sua fama è dovuta al suo ruolo chiave nella rivoluzione cubana. Il 31 dicembre 1958, le forze combinate di Che Guevara e Camilo Cienfuegos che avevano già conquistata la città, provocarono il deragliamento di un treno che trasportava rifornimenti militari e truppe per il dittatore Fulgencio Batista. Parte del treno è ancora in mostra in città insieme ad un enorme monumento in Plaza de la Revolución nel quale Che Guevara e altri rivoluzionari sono sepolti. Per questo la città è nota come la città del “guerrillero heroico”. Una volta che il Che e Camilo presero la città, Cuba fu praticamente divisa a metà, tagliando tutte le comunicazioni tra ovest e est dell’isola. Questo è stato il momento decisivo nella rivoluzione e Batista lasciò il paese poche ore più tardi. Il 1° gennaio 1959, i rivoluzionari vittoriosi, guidati da Fidel Castro, arrivarono a L’Avana per impadronirsi del potere e dare l’avvio di una nuova era nella storia cubana. Plaza Leoncio Vidal è molto ariosa con aiuole ben curate alberi frondosi panchine e lampioni d’epoca e mantiene l’aspetto conferitole nel 1925. Schiera numerosi monumenti storici come la replica in legno della Torre Eiffel di Parigi; la Glorieta, cassa armonica costruita nel 1911, che al giorno d’oggi continua ad essere uno spazio riservato alla banda comunale e per gli anziani che vi si recano per assistere al Danzón cubano, la danza ufficiale. Poco distante il monumento a Martha Abreu de Estèvez, ricca ereditiera, che finanziò il Teatro de la Caridad, i primi quattro lavatoi pubblici, l’osservatorio astronomico, la centrale elettrica, un ospedale e la sede dei pompieri! Al confine del parco è il Santa Clara Libre Hotel (ex Santa Clara Hilton), considerato dalla critica e il pubblico di essere molto poco attraente per la sua mole e il colore, rispetto al resto del parco, in quanto si scontra con tutta l’architettura circostante. Tuttavia, l’edificio è ricco di storia. Le pareti della struttura mostrano ancora segni di mitragliatrice dall’attacco delle forze ribelli comandate da Che Guevara e Camilo Cienfuegos. Il Teatro de La Caridad è uno degli otto grandi teatri di epoca coloniale cubana. Altri edifici intorno alla piazza sono il Central Plaza Hotel, l’ex municipio e il centro della danza, e in un angolo si trova il Museo delle Arti Decorative, che ospita una delle più grandi collezioni di arti decorative coloniali del paese. A piedi ci rechiamo al poco distante Monumento al Tren Blindado, opera dello scultore Josè Delarra, che ha voluto commemorare l’episodio proprio nel punto dove avvenne il deragliamento. La sequenza dell’intera azione viene ricostruita attraverso elementi originali come i quattro vagoni, mappe, fotografie, armi, divise ed il bulldozer D-6 Caterpillar usato per rimuovere le rotaie. La resa dell’intera guarnigione di 408 uomini fu quasi immediata.

In strada passano continuamente “mezzi di trasporto ippotrainati”, simboli di una miseria evidente. C’è anche una moto elettrica parcheggiata! Si va all’attrazione principale, che si trova a circa 2 km da Plaza Leoncio Vidal: il complesso monumentale del Comandante Ernesto Che Guevara eretto nel 30° anniversario della sua morte e in memoria della battaglia di Santa Clara. Il complesso è costituito da un museo, monumento e il mausoleo. Il museo è piuttosto piccolo, ma è possibile vedere oggetti personali e ricordi della sua infanzia in Argentina, della rivoluzione fino alla sua morte in Bolivia. Il monumento mostra un’imponente statua in bronzo del Che con il braccio ingessato (si era procurata una frattura in una precedente battaglia) e un bassorilievo che raffigura scene del conflitto, su cui sono incise le storiche parole della lettera di commiato da lui scritta prima di recarsi in Bolivia. Il mausoleo che si trova sul retro del monumento, è molto severo: borse, foto e videocamere non sono ammessi. Ci sono solo gli ossari con i volti in rilievo del Che e dei suoi compagni ornati di  fiori e una fiamma perenne. La visita vale la pena in ogni caso.

Partenza per l’hotel “Los Caneyes”, un’enclave rurale tra palme da cocco, felci e boschi frondosi che presenta un’architettura che imita le abitazioni dei Taino, un popolo indigeno precolombiano. I Taino sono stati la prima popolazione amerindia a popolare i Caraibi, regione nella quale giunsero dal Sud America. Molti storici ritengono che la scomparsa di questo popolo sia avvenuta a causa del genocidio commesso dagli europei durante la loro conquista e delle malattie infettive arrivate con i colonizzatori. “Los Caneyes” è il nome Taino delle loro capanne primitive circolari. Il cuore dell’hotel è la piscina servita da un bar all’aperto e sala giochi. C’è anche una piccola palestra, e un centro di bellezza di piccole dimensioni dove vengono offerti massaggi. La maggior parte delle 96 stanze dell’Hotel, tutte fornite di aria condizionata, si trova in bungalow ottagonali, sparsi in mezzo a prati alberati: noi siamo nella “cabana 22”. Una sistemazione decisamente particolare! Mi aspetto canti tribali ma… niente! Ottima cena! Domani Trinidad.

3 marzo

TRINIDAD

Sveglia al canto del gallo e dolce sorpresa: circondati da caprette, uccelli esotici polli, un gallo e… un alligatore per fortuna tenuto in un recinto! Prima colazione e partenza per Trinidad distante “appena” 90 km. Durante il viaggio sosta in un mercatino per acquisto di souvenir ed incontro con un pappagallo in gabbia… Sorpresa inaspettata: il povero volatile ha entrambe le zampette amputate e mi viene spontaneo intonare la canzone di Renzo Arbore “COCORITO” ma lui non sembra gradire! Uno dei fatti più interessanti di Trinidad è forse la sua dolce storia. Alla periferia della città si trova la Valle de Los Ingenios dove una volta schiavi e, in seguito, lavoratori cubani lavoravano tutto il giorno nelle piantagioni di canna da zucchero. Trinidad era una volta il più grande produttore di zucchero nella regione, e ci sono stati più di 70 zuccherifici operativi nella zona. Essi non sono in funzione, e in molti casi restano solo rovine. Valle de Los Ingenios è un altro patrimonio mondiale dell’UNESCO. L’industria dello zucchero nella città è diminuita durante la metà del 19° secolo, riducendo l’importanza di Trinidad come centro industriale. Fondata da Diego Velázquez de Cuéllar nel 1514, Trinidad recentemente ha festeggiato il suo 500° anniversario. Per commemorare questo evento epocale, il centro storico di Trinidad è stato oggetto di un rispettoso restauro che ha reso la città ancora più bella di prima. Passeggiare per Trinidad è come attraversare un museo all’aperto ed è come fare un passo indietro nel tempo. Le strade in acciottolato e le case color pastello conservano intatto il fascino coloniale. Plaza Mayor è un’eccellente vetrina della splendida architettura coloniale su cui si affacciano edifici importanti come la Iglesia Parroquial de la Santissima Trinidad, la Casa de los Conspiradores (dove si riunivano nell’800 gli indipendentisti) con un balcone ad angolo in legno, il Palacio Brunet che conserva una raccolta di mobili e suppellettili delle più antiche famiglie della città, la Galeria de arte Benito Ortiz e il museo de Arcquitectura Colonial che illustra gli elementi distintivi dell’architettura trinitaria. Unico nel suo genere nel paese, mostra lo sviluppo della casa vernacolare ed è la chiave di lettura per comprendere il piano urbanistico di Trinidad in interazione con modi costruttivi e lo sviluppo economico legate allo sfruttamento e al commercio del tabacco primo e dell’industria dello zucchero in seguito, che hanno portato a espressioni di vita e di cultura che si riflettono in città. Una sosta al bar La Canchanchara, la caratteristica casa de infusiones posta in un edificio del ‘700 dove gustiamo il cocktail a base di rum, lime, acqua e miele che dà il  nome al locale. Nel patio ombreggiato suona un gruppo che giudico il migliore sentito finora e compro il loro cd. Nota curiosa: le indicazioni dei wc son rappresentate da mutande ovviamente una da uomo e una donna debitamente incorniciate!

Passeggiando per le strade asciutte e polverose acciottolate, alla luce del sole accecante, mi resi improvvisamente conto di una faccia strana che mi guardava dall’interno ombroso di un edificio. Una bambola seduta su uno sgabello basso in una stanza spoglia – la sua faccia nera guardava fuori dal mezzo di una schiuma di pizzo bianco, un abito bianco in un ampio atrio arioso, con le sue pareti bianche e murale rappresentante un pesce azzurro. È stata come una scarica elettrica, è il custode del tempio di Yemayá, luogo di culto della Santeria, una delle religioni professate a Cuba, che ha avuto influenze africane tramite Haiti. Vengono adorati dei simili ai nostri pagani, che sovrintendono ai diversi aspetti della vita delle persone. Qui in particolare viene venerato il culto della divinità femminile del mare, ai piedi della cui statua si lasciano oggetti votivi.

Per maggiori informazioni:

https://it.wikipedia.org/wiki/Santeria

Pranzo a base di pesce in un ristorante sempre ottimo e dopo, per digerire io e Bianca da soli saliamo sul campanile dell’elegante Iglesia y Convento de San Francisco del 1813, adibiti nel 1895 a guarnigione dell’esercito nel 1922. Furono poi in parte demoliti e fu salvato solo il campanile che divenne simbolo della città. 126 scalini… ma ne vale la pena: il panorama che si gode sulla città compensa la fatica. Un ultimo giro nelle strade di Trinidad e poi ci rimettiamo in viaggio verso l’hotel che si trova sulla penisola di Ancon a soli 18 km di distanza. Lungo la strada si incontrano i resti de l’Iglesia de Santa Ana costruita nel 18° secolo con l’imponente campanile. Il complesso alberghiero è il Brisas Trinidad del Mar, molto bello ma abbastanza trascurato. È il momento di bagnarci nelle acque dei Caraibi! La sabbia di Ancon Beach, a differenza delle altre bianchissime di Cuba, è di un bel giallo e ciò è dovuto principalmente all’erosione delle montagne dell’Escambray. Non c’è davvero modo migliore per rilassarsi. Per completare si assiste ad un tramonto da sogno! Cena a base di aragosta e per completare la serata assistiamo ad uno spettacolo di canti e musiche caraibiche. Domani Camaguey distante circa 255 km passando per Sancti Spiritus.

4 marzo

SANCTI SPIRITUS

È la città capitale della provincia che porta lo stesso nome e si trova nella zona centrale dell’isola di Cuba. Situata ai margini del fiume Yayabo, venne fondata il 4 giugno 1514, da Diego Velázquez de Cuéllar, a 8 km dalla sua attuale posizione. Nel 1522, fu trasferita sulle rive del fiume Yayabo, il suo luogo attuale. Fu il primo punto di partenza della conquista spagnola del Yucatán. Il fulcro di tutta la città è il Parque Serafin Sanchez, situato nel cuore della cittadina ed è la piazza principale.

Come Santa Clara, anche a Sancti Spiritus la via commerciale è pedonalizzata e piacevole da percorrere: l’Indipendecia Sur che parte dalla piazza principale, ha tanti negozi, per lo più con merce per cubani anche se qualche tienda turistica non manca. Una iscrizione sulla pavimentazione riporta l’anno della sua fondazione.

Ci sono importanti chiese da visitare: la Iglesia Parroquial Mayor del Espiritu Santo e la Iglesia de Nuestra Senora de la Caridad. La prima si trova nel centro della città, vicino al Parque Serafin Sanchez, la seconda si trova in Calle Cespedes, sempre nel centro della città ma leggermente più lontana dal Parque Serafin Sanchez. La chiesa Iglesia Parroquial Mayor è il tempio più antico di Sancti Spíritus. Inizialmente venne costruita nel Villaggio Vecchio, vicino al fiume Tuinicú, completamente il legno. Nel 1680 venne ricostruita in muratura nell’attuale sede.  Al giorno d’oggi, è uno dei gioielli coloniali di stile barocco più visitati dal turismo internazionale e nel 1977 venne dichiarata Monumento Nazionale. Un altro museo interessante è quello di Arte Coloniale dove è possibile ammirare mobili e complementi d’arredo di origine europea. Il palazzo era stato costruito per le ricche famiglie dei coltivatori di zucchero nella Valle Iznaga, successivamente è stato restaurato e adibito a museo. La Biblioteca Provincial Rubén Martínez Villena si trova nel centro storico urbano della provincia di Sancti Spíritus ed è importante, in particolar modo, per il suo valore architettonico. L’edificio neoclassico, costruito nella prima metà del secolo XX, fu inaugurato come biblioteca nel dicembre del 1963 a cui venne dato dell’intellettuale e rivoluzionario, Rubén Martínez Villena. Di fronte al Parque Serafin Sanchez il Perla Hotel, unico originariamente costruito per tale utilizzo Centro Storico, in risposta alle esigenze di un’epoca di trasformazioni urbane notevoli. Esso appartiene alla architettura eclettica. Sosta per il pranzo e si continua il viaggio per Camaguey.

CAMAGUEY

Una delle prime sette città fondate dagli spagnoli a Cuba, Camagüey ha svolto un ruolo di primo piano come il centro urbano di un territorio interno dedicato al bestiame e l’industria dello zucchero. Camagüey, la “LEGENDARIA” così chiamata per la sua tradizione eroica e patriottica, la città labirinto di Cuba, è un dedalo di vie tortuose in cui è davvero difficile orientarsi. Molti sostengono che il labirinto fu creato per difendersi dai pirati – la città di Camagüey nacque sul mare ma, in seguito ai numerosi assalti dei pirati, fu spostata nell’entroterra –, alcuni suppongono che i quartieri siano stati fondati a cerchio intorno alle chiese più antiche e altri ancora che le vie tortuose fossero un segno di ribellione verso i Conquistadores spagnoli, i quali prediligevano città a pianta quadrata (di più facile controllo). Edifici religiosi, associati alle principali piazze, costituiscono un sistema di punti di riferimento nel tessuto urbano, caratterizzato dalla sua omogeneità. Il centro storico continua ad agire come centro della città e il luogo per le attività sociali e culturali, che riflettono un ricco patrimonio immateriale. Iniziamo da Plaza San Juan de Dios completamente restaurata che è un angolo tranquillo e fuori dal tempo. Vi sorgono edifici settecenteschi di colori pastello ed un intero lato è occupato da un complesso architettonico comprendente una chiesa ed un antico ospedale ora sede della sovrintendenza ai beni culturali.

Salendo invece lungo la via parallela, Calle Independencia, appena all’imbocco di Plaza de los Trabajadores con di fronte l’Iglesia de la Merced del 1601 ma rimaneggiata tra il 11748 e il 1756, con facciata barocca e campanile centrale, vi è la bellissima casa natale di Ignacio Agramonte, l’eroe della prima guerra d’indipendenza cubana. Girando per la città siamo arrivati in una piazza e la mia attenzione è stata attirata da molte persone che si dirigevano in un punto ben preciso. Ho chiesto lumi alla guida che mi ha spiegato che in quel luogo c’era il mercato contadino. Siamo così entrati ad osservare le bancarelle piene di frutta esotica con degli “standard” molto diversi da quelli cui siamo abituati a vedere nei nostri mercati. La frutta, anche se bruttina da vedere aveva un proprio “profumo” cioè le banane sapevano di banane, anche se avevano la buccia nera. Incontriamo una “bodega”, dove con la “libreta de abastecimiento”, ogni famiglia cubana può comprare a prezzi “politici” irrisori i prodotti essenziali di prima necessità: alimentari (riso, fagioli, latte, zucchero, uova, patate) ma anche sigarette, sigari, fiammiferi, saponette, assorbenti. La “bodega” è un negozio statale che distribuisce questi prodotti razionati, sopportando a volte lunghe file senza alcuna certezza di trovare quel che si cerca. Dicono i cubani: «fa parte della vita di tutti noi, da sempre».  Una sosta al bar “El Cambio” che vale la pena visitare per un drink. Un gruppo di artisti si organizzò per ristrutturare e decorare un vecchio edificio della fine del XVII secolo trasformandolo nel centro ricreativo e bar El Cambio molto visitato dai turisti e gestito da personale altamente qualificato nella preparazione di vari cocktail. Nel cuore della città, si trova lo splendido Parque Agramonte  con le sue panchine in marmo e una statua equestre in bronzo su basamento in granito rosa, opera dello scultore italiano Salvatore Buemi, di Ignacio Agramonte, uno dei protagonisti della guerra di indipendenza del 1851.

In Piazza Maceo si trova la statua dedicata a Antonio Maceo conosciuto anche come il Titano di Bronzo un generale e politico cubano, eroe della guerra per l’indipendenza dell’isola dalla Spagna avvenuta tra il 1868 e il 1898. Il nostro albergo, l’Avellaneda è molto particolare: antica dimora coloniale appartenuta un tempo ad un medico della zona, è una rara scoperta nell’hotellerie cubana ed ha mantenuto il fascino dell’epoca. L’hotel è dedicato a Gertruda Gòmez de Avellaneda, nota come la “Tula” o la “Peregrina”, una grande poetessa, giornalista, strenua lottatrice per i diritti delle donne. Tutte le camere (solo 9) sono al piano terra e danno su un patio molto curato. In attesa della cena un giretto per il centro della città abbastanza elegante in verità ed incontriamo una vecchietta che chiede una sigaretta a Bianca… stranamente non un sigaro! Cena e poi riposo. Domani ci aspettano 330 km per raggiungere Santiago passando per Bayamo.

5 marzo

BAYAMO

Bayamo “la ribelle”. La tradizione ribelle di questa città è molto antica: gli indios di questo territorio opposero una strenua resistenza agli spagnoli e anni dopo quando il Vescovo dell’isola di Cuba Don Giovanni della Altamirano Cabezas, in visita alle aziende agricole, fu rapito dal corsaro francese Gilberto Girón, con l’intenzione di chiedere un riscatto enorme alla città. Nell’effettuare lo scambio scoppiò una lotta sanguinosa durante la quale i pirati furono sconfitti e lo schiavo Salvador Golomon decapitò il corsaro esponendone la testa nella piazza principale. Ma la pagina più gloriosa è quella per delle lotte per l’indipendenza dagli spagnoli dopo le quali la città fu liberata e dichiarata capitale della repubblica. Mesi dopo per evitare che potesse essere riconquistata i suoi abitanti decisero di incendiarla! Il 20 ottobre 1868 le forze cubane ottennero la capitolazione delle autorità spagnole di Bayamo e la popolazione festante chiese al compositore Pedro Figueredo di creare un inno per celebrare l’evento. Si narra che Figueredo scrisse il testo sul momento senza scendere da cavallo. Due anni più tardi Figueredo venne catturato dagli spagnoli e ucciso ma la Bayamesa divenne celebre in tutta l’isola come richiamo alla lotta del popolo cubano per la libertà della patria e nel 1899, alla fine della guerra anticolonialista, fu adottato come inno nazionale. Alla luce di questi eventi l’inno La Bayamesa fu scelto come inno nazionale.

¡Al combate corred bayameses,               

que la patria os contempla orgullosa;

no temáis una muerte gloriosa,

que morir por la patria es vivir!

 En cadenas vivir es vivir

en afrenta y oprobio sumido.

Del clarín escuchad el sonido;

¡a las armas, valientes, corred!

Alla lotta correte bayamesi,

che la patria vi guarda orgogliosa;

non temete una morte gloriosa,

ché morire per la patria è vivere!

 Vivere in catene è vivere

sottomessi all’affronto e alla riprovazione.

Ascoltate il suono del bugle;

alle armi, valorosi, correte!

La visita parte dal parque Céspedes, la piazza principale della città, dominata dalla statua di Carlos Manuel de Céspedes, un rivoluzionario cubano che ha guidato Cuba all’indipendenza. La Plaza de l’Himno, così chiamata perché qui il 20 ottobre 1820 fu intonata per la prima volta la Bayamesa, l’inno nazionale. A ricordare l’episodio un complesso scultoreo comprendente lastre di bronzo con incisi i versi e la musica di Perucho Figueredo.

Lungo il cammino, curiosando nelle case al pianterreno, si colgono bei personaggi. La Iglesia Parroquial de San Salvador è particolarmente importante in quanto in essa furono messe in salvo le immagini sacre quando i patrioti incendiarono la città. Ma senza successo in quanto dalle fiamme si salvarono solo il fonte battesimale e la Capilla de los Dolores. In piazza facciamo tanti incontri: un gruppo di ragazzini ed uno strano tipo (sordomuto) che indica il mio ventre prominente alludendo con ampi gesti alla mia voglia di mangiare molto. E ancora ragazzini che intonano l’inno nazionale. Ora appuntamento musicale alla Casa de la Trova. Edificio di grande valore architettonico risalente alla fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo , è stato uno degli edifici sopravvissuti al fuoco della città e attualmente conserva le sue soffitti e pareti, esponenti fedeli dell’architettura Bayamesa. Nel cortile musica a go-go, Bianca balla ed io bevo un doppio mojito! Ci rimettiamo in viaggio e dopo pranzo sosta al Santuario della Virgen del Cobre. Il villaggio del Cobre a circa 20 km da Santiago era famoso per le miniere di rame (cobre) in cui lavoravano numerosi schiavi. È la chiesa più famosa di Cuba e vi si conserva la statua alta appena 40 cm, di una Madonna mulatta (la “CACHITA”) adornata riccamente un po’ come la Macarena andalusa. Secondo una leggenda tre schiavi furono salvati in un naufragio dall’immagine della Madonna che galleggiava sulle onde. Per maggiori notizie:

https://it.wikipedia.org/wiki/Nostra_Signora_della_Carit%C3%A0_del_Cobre

Arriviamo a Santiago e alloggiamo al Gran Hotel Escuela in pieno centro.

SANTIAGO de CUBA

La seconda città cubana per importanza, la più africana, la più musicale e la più calda. Garcia Lorca la definiva “ritmo di rami secchi, arpa di tronchi vivi, caimano, fior di tabacco”. A parte le auto e gli edifici moderni è quella di sempre: allegra a appassionata, ritmi lenti, odore di mare. Situata in una baia tra il mare e le montagne della Sierra Maestra è una città fiera e coraggiosa che ostenta con orgoglio il titolo di Cuna (culla) de la revolucion.

L’ex Plaza de Armas di Santiago ora Parque Céspedes, è il cuore della città, luogo d’incontri e di riposo, viva a tutte le ore del giorno e della notte, una sorta di palcoscenico. I monumenti che vi si affacciano:

La Chiesa Madre “Madonna Assunta”, del XVI secolo, dal 1533 al 1663 fu oggetto di distruzioni e saccheggi da parte dei corsari, incendi senza contare eventi sismici del 1678, 1679, 1766, il 15 agosto. Dopo tre ricostruzioni nel 1810, infine, fu posta la prima pietra di quella che sarebbe stata l’attuale Cattedrale. I lavori durarono otto anni e si conclusero il 24 aprile 1818. Occupa una superficie di 2115 metri quadrati, orientata da nord a sud, consta di cinque navate. Il terremoto del 20 agosto 1852 provocò altri danni che furono velocemente riparati. Ha l’aspetto eclettico coi due campanili aggiunti nel 1922 con due nicchie contenenti le statue di Colombo e di Bartolomé de Las Casas e il posizionamento sul frontone della statua di un angelo. Ciò che colpisce è la sua posizione elevata sulla piazza, raggiungibile con una imponente scalinata.

 

L’ Ayuntamiento (il Comune) fu edificato nel 1950 seguendo un progetto settecentesco rinvenuto negli archivi delle Indie e nel suo corpo principale ha un balcone da dove Fidel Castro ha proclamò il trionfo della Rivoluzione. Casa de Diego Velasquez costruita tra il 1516 e il 1530 fu la dimora del conquistatore spagnolo. È considerata il più antico edificio di Cuba. L’Hotel Casa Granda storico albergo aperto nel 1920 che Graham Green nel suo romanzo Nostro agente all’ Avana descrisse come un luogo affascinate e frequentato da spie.

Poco distanti:

Il Museo Emilio Bacardi Moreau in un elegante palazzo neoclassico, il più antico ed eclettico museo di Cuba. Voluto e inaugurato nel 1927 dal fondatore delle celebri distillerie di rum ospita cimeli delle guerre d’indipendenza, quadri di pittori contemporanei ma anche una mummia egizia. Il Palacio Provincial, progettato dall’architetto e ingegnere civile Carlos Segrera Fernández, fu inaugurato il 23 giugno del 1926, in stile eclettico, è stato dichiarato un monumento nazionale nel 2003. È il centro del governo della Provincia. La Casa de la Cultura Miguel Matamoros, situata in un importante edificio con eleganti linee architettoniche, ospita molti eventi culturali. Dopo cena gironzoliamo per la città che di sera offre aspetti interessanti ma anche una sconcertante illuminazione stradale sostenuta da una specie di traliccio portante cavi di tutti i generi!

6 marzo

Ultimo giorno a Cuba con visite molto interessanti.

Prima tappa Il Museo 26 de Julio-Cuartel Moncada.

Quando Castro il 26 luglio 1953 tentò l’assalto alla caserma cercò di venire in possesso di molte armi e dare avvio alla rivolta generale. Come è noto l’azione fallì causando la morte di otto giovani rivoluzionari e la cattura di altri 55 che vennero torturati e fucilati. La caserma che porta ancora i segni delle pallottole sulla sua facciata dal 28 gennaio 1959 è sede della Ciudad Escolar “26 de Julio”. Una parte dell’edificio ospita il Museo Historico, che in dieci sale ripercorre la storia cubana dall’arrivo di Colombo alla guerriglia sulla Sierra Maestra, con un plastico che ricostruisce l’assalto alla Moncada e cimeli dei fratelli Castro e del Che. Una visita al cimitero de Santa Ifigenia che accoglie le ceneri di Castro. Quando si arriva si vede che non hanno costruito un grande monumento. È semplicemente una pietra, una piccola pietra con sopra la scritta “Fidel” posta tra il mausoleo dedicato a José Marti, padre dell’indipendenza, e il monumento ai martiri del 26 luglio 1953. All’Avana e a Santiago sono stati sparati 21 colpi di cannone che hanno concluso i nove giorni di lutto. Da qui si capisce come Castro considerasse la rivoluzione, con umiltà. È una bella cosa da vedere. Ci dirigiamo verso la parte orientale di Santiago dove si trova la Plaza de la Revolucion, ampio spazio dove confluiscono i tre grandi viali di accesso alla città. La piazza è dominata da un grande monumento realizzato negli anni ’90 che rappresenta il generale Maceo a cavallo circondato da 23 machete che rappresentano la data del 23 marzo 1878, data della ripresa dell’attività rivoluzionaria. È anche presente una fiamma eterna. L’ architettura risente non poco dell’influenza sovietica….

Le ceneri del padre della rivoluzione cubana si trovano accanto alla tomba di José Martí, l’eroe nazionale dell’indipendenza.

Seconda ed ultima tappa il Castillo del Morro.

La fortezza militare Castillo de San Pedro de la Roca, anche conosciuta come “Castillo del Morro”, fu dichiarata dall’UNESCO, Patrimonio dell’Umanità, nel 1997, per il suo grande valore storico e architettonico. Anticamente, si chiamava il Museo della Pirateria, ma poi il nome fu cambiato per conciliare i nuovi contenuti del museo, più generali e legati all’ambiente in cui si trova. Fu commissionata nel 1637 dal governatore Pedro de la Roca all’ ingegnere italiano,  al servizio presso il Regno di Spagna, Giovanni Battista Antonelli per difendere la città dai pirati. Entriamo percorrendo il ponte levatoio che conserva intatto l’ argano che azionava la struttura e arriviamo alla piazza centrale, punto nevralgico che fungeva da centro di smistamento delle diverse attività comunicando con la cappella, le caserme, la guarnigione e le celle sotterranee.

La scalinata in pietra sul versante panoramico faceva parte di un sistema di scale che portava ai vari piani superiori. Nelle casematte sono esposte stampe che raffigurano la storia dei forti di Santiago mentre nel piazzale di artiglieria sono esposti cannoni dell’epoca. Percorriamo i cammini di ronda fino ad una terrazza panoramica da cui si gode uno splendido panorama della baia di Santiago.

Ottimo pranzo a base di pesce al vicino Ristorante “El Morro” che ha avuto tra i suoi ospiti anche Paul Mac Cartney! In viaggio verso Holguin da dove partiremo per l’Italia ma ci avvisano che il nostro aereo ha un ritardo di ben 4 ore! Partiremo non alle 0.50 ma alle 4.50…. Lungo la strada le ultime immagini di una Cuba sconcertante: edifici diroccati, auto emananti pericolosi gas di scarico, pullman ricavati da autocarri “trasformati” mediante lamiere apposte sui lati ed altre testimonianze di povertà.…..

Per riempire questa attesa l’ Alpitour ci ospiterà presso una sua struttura:

Playa Pesquero, immersa in un paesaggio rigoglioso con bungalow posti in giardini con 2 ristoranti e vari bar aperti 24 ore al giorno, piscina scoperta, vasca idromassaggio e palestra. Sono inoltre disponibili campi da tennis, pallavolo, basket e ping-pong. Approfittiamo per visitare il resort, per farci un’abbuffata incredibile con abbondanza di vino e mojito aspettando con calma il bus che ci porterà all’ aeroporto. Non tutti i mali vengono per nuocere. Speriamo solo di non perdere la coincidenza con l’aereo a Malpensa per tornare a Napoli. Arriviamo a Malpensa e col cuore in gola ci precipitiamo al check-in dell’Easyjet convinti di non farcela ma una voce proveniente dall’altoparlante ci annunzia un ritardo di un’ora e 30! Tutto sommato poteva andarci peggio!

Mi piace concludere con un pensiero su Cuba trovato sul web:

“Cuba te espera” (Cuba ti aspetta) per farti provare i suoi famosi sigari immaginando di scorgere nel loro fumo il volto di Che Guevara, assaporare il suo chimerico rum fantasticando di conversare con Ernest Hemingway, o più semplicemente per mostrarti i suoi strabilianti, ma pur sempre reali colori del mare e ballare nei suoi tanti luoghi colmi di storia … Sì ballare, perché a Cuba non si cammina si balla!

 

The post Cuba, sconcertante Cuba! appeared first on Il Giramondo.

Toledo – la “città delle tre culture” 2017

$
0
0

12 ottobre

Volo IBERIA da Napoli, arrivo all’ aeroporto Barajas di Madrid, treno per la stazione ferroviaria Atocha di cui parleremo in seguito della sua architettura e della sua storia e poi con un altro treno “Avant”, l’alta velocità spagnola, raggiungiamo Toledo. L’albergo è El Hostal Puerta de Bisagra situato all’ ingresso della città antica, vicino alla Puerta omonima, costruito attorno ad un tipico cortile Toledano caratterizzato da una particolare hall con pavimento in vetro che affaccia sulla sala colazione…. È un bel pomeriggio tiepido e subito ci rechiamo all’ufficio turistico per chiedere notizie e organizzare il nostro soggiorno.

Vicino troviamo la Nueva Puerta de Bisagra realizzata nel X secolo durante il Regno di Toledo sotto la dominazione araba, durante la quale la città era conosciuta come Bab al- Saqra. La porta veniva utilizzata come accesso principale alla città durante l’epoca andalusa. Si tratta di un edificio enorme, con doppia torre circolare, divisa da un ampio portale dominato da un colossale scudo reale retto da un’aquila bifronte e nel suo cortile interno si trova una statua di Carlo V. La Vecchia Puerta de Bisagra, o Porta di Alfonso VI  attraversa il muro che circonda la città. La sua costruzione risale al decimo secolo, sfruttando i resti del precedente edificio, anche se sono state fatte diverse modifiche stile Mudéjar non prima del XIII secolo e conserva gran parte della struttura originale.

La vicina chiesa di Santiago del Arrabal risale al XIII secolo, intorno al 1256. Si tratta di una chiesa con un piano incrociato latino e di un transetto marcato, il cui spazio interno è diviso in tre navate con tre absidi semicircolari. Poco distante si trova la Mezquita del Cristo della Luz, una piccola affascinante moschea della fine del X secolo, è l’unica moschea sopravvissuta tra le dieci che una volta si trovavano in Toledo. Pilastri e archi a ferro di cavallo a righe rosse e bianche (ricordano in scala molto minore la Mezquita di Cordoba) dividono lo spazio in tre navate attraversate da altre tre, formando in tal modo nove piccoli scompartimenti. Interessante anche la Ermita de la la Virgen de la Estrella, però incassata al lato della strada. Dopo una breve salita arriviamo alla Puerta del Sol costruita in stile mudejar con influenza Nazarí datata nell’ultimo quarto del secolo XIV. Il nome proviene dal sole e dalla luna che una volta erano dipinte su entrambi i lati del medaglione posto sul fronte che descrive l’ordinazione di Ildephonso, il santo patrono di Toledo.

13 ottobre

Iniziamo la giornata avviandoci verso il Monasteiro de los Reyes non trascurando di ammirare la vicina Iglesia Santiago del Arrabal la più grande chiesa mudéjar in Castilla-La Mancha. La chiesa attuale è stata costruita nel XIII secolo (circa 1256) ed è costituita da tre navi con crociere e tre absidi. La sua facciata è caratteristica per il suo profilo a gradini e la finestra in stile romanico mentre la sua torre è la più antica della regione. Lungo il cammino incontriamo l’iglesia di El Salvador costruita su un’antica moschea e l’Iglesia de Santo Tomè in stile Mudejar del XIV secolo molto famosa perché al suo interno si trova l’opera maestra del Greco: La sepoltura del Conte di Orgaz. Breve sosta in un negozio di souvenir che espone due grandi statue di Don Chisciotte e il fido scudiero Sancho Panza. Foto e video d’obbligo!

Attraversiamo il quartiere ebraico, la Juderia, quartiere caratteristico e molto bello, con i suo vicoli irregolari e stretti e con le mattonelle colorate incastonate nei muri e nel selciato. Arriviamo al  Monasteiro de los Reyes del XV sec la cui costruzione fu ordinata dai Re Cattolici pensando alla loro sepoltura, anche se poi i loro resti furono sepolti nella Cappella Reale di Granada. Una delle caratteristiche peculiari di questo monastero sono le sue pareti esterne dove sono conservate le catene degli schiavi liberati da Ferdinando il Cattolico.

Il Monastero si divide nella Chiesa, a navata unica con cappelle laterali, e il chiostro, realizzato con decori che richiamano lo stile gotico. Nella Cappella centrale, infine, è possibile vedere i grandi scudi in pietra dei Re di Spagna, incassati tra figure di aquile bifronte e iconografie tradizionali dei santi cattolici. Ci dirigiamo verso il fiume ed il Puente di San Martin che si trova fuori del centro abitato della città vecchia, e permette di sorpassare il fossato scavato dal fiume che costeggia il borgo. Sul Ponte si racconta da secoli una leggenda: il suo costruttore sbagliò i calcoli del progetto e la moglie, temendo per la carriera del marito, gli diede fuoco distruggendolo prima che venisse inaugurato, ma facendo apparire come un incidente. Quando fu ricostruito, confessò all’Arcivescovo il suo atto criminoso, ma questi la perdonò perché così facendo salvò la carriera del marito e la vita di tanti innocenti che sarebbero potuti morire nel crollo di un ponte non stabile. Il Ponte, a più arcate, è dominato da una bella Torretta di accesso, di forma squadrata, mentre il camminamento si allarga in due punti, uno a forma semicircolare e uno a forma rettangolare, creando così due balconi panoramici dai quali ammirare il panorama sulla città e la valle circostante.  Una attrattiva turistica è l’attraversamento del fiume con il “volo dell’angelo” ovvero sospesi a carrucole che scorrono lungo un cavo d’acciaio che percorre 150 mt da sponda a sponda. Mi rammarico di non poter provare questo brivido, dovrei fare a meno della videocamera che non posso impugnare perché bisogna sorreggersi agli appositi sostegni con ambo le mani…..peccato! A saperlo avrei comprato una GoProCam!

Toledo è un saliscendi di scale…. ci aspetterà una bella fatica in questi giorni! In una piazza un pianista suona pezzi classici: ci dicono che è uno degli allievi del conservatorio di musica che si esibiscono in varie piazze della città per una iniziativa culturale. Poco distante il Real Colegio de Doncellas Nobles che dalla fine del XVI secolo, è stata una scuola universitaria e fin dagli anni ’90 del secolo scorso è una residenza universitaria femminile. Interessante il collegamento a passerella coperta tra due diversi corpi di fabbrica. Interessante anche la visita a Plaza Santo Dominguo el Antiguo con l’omonimo convento e l’Iglesia di Santa Leocadia. Un museo che voglio assolutamente vedere è il Concilios Cultura Visigoda. È un edificio che ha sostituito una moschea musulmana nel XIII secolo ed è stato costruito secondo la moda del momento, cioè come un edificio mudéjarico di pianta basilicale di tre navate, con abside centrale. Questo museo è dedicato alla conservazione e all’esposizione delle vestigia storico-artistiche della cultura visigota che ha reso Toledo la capitale del regno e mostra numerosi pezzi archeologici dal VI al VIII secolo, dipinti, documenti e oreficerie, nonché arredi della necropoli di Carpio de Tajo e ottime riproduzioni delle corone del tesoro di Guarrazar. Gli affreschi che coprono le pareti della chiesa sono romanici, fin dal XIII secolo. Un passaggio angusto porta alle scale che raggiungono la cima del campanile. Ci andiamo!

Di fronte c’è la Iglesia di San Idelfonso conosciuta anche come “Chiesa dei Gesuiti” che sorge in un luogo privilegiato della città di Toledo, la zona più alta, con una spettacolare facciata e un imponente interno. È tardo pomeriggio e passiamo le ore che ci separano dalla cena in piazza Zocodover il vecchio mercato delle bestie (sūq ad-dawābb), cuore della città, ai piedi dell’Alcazar.

È il punto di incontro e il centro di Toledo sempre affollata e molto vivace, piccola ma molto accogliente e piena di caffè e ristoranti, negozi di souvenir, pasticcerie. Ha tutto! Dopo aver fatto acquisti torniamo in albergo, ceniamo stavolta in un altro ristorante dal nome che mi ricorda qualcosa….El Tirador! Siamo subito rimasti piacevolmente sorpresi sia dai prezzi che dall’atmosfera e dall’allegria presente che ci ha messo di buonumore e che ci ha fatti sentire come se fossimo clienti abituali. Domani giornata piena!

14 ottobre

Oggi andiamo al Puente de Alcàntara di buon mattino per avere una luce propizia visto che la sua posizione è ad est. Di origine romana sorto nel luogo in cui il fiume Tago offre un alveo minore era il punto di passaggio attraverso il quale le strade romane attraversavano il Tago, unendo Saragozza a Mérida e, nel periodo arabo, Saragoza con Cordova.

È una costruzione di tipo militare che funge da ingresso in città, composta da tre archi e protetta con due porte fortificate ai suoi estremi, una in stile barocco e l’altra esagonale, costruita nel medioevo su impianto arabo preesistente, a doppia porta. Presenti lo scudo dei Re Cattolici e l’immagine di San Ildefonso, patrono di Toledo. In alto si vede l’imponente Alcàzar e di fronte il Castillo de San Servando (oggi ostello della gioventù) la cui costruzione è datata  l’11 marzo 1088, quando Alfonso VI lo destinò a monastero affidato agli abati di San Vittore di Marsiglia. Si pensa che questa collina avesse fortificazioni romane e, più probabilmente, islamiche. Sul lungofiume esiste un percorso pedonale e ciclabile che gira tutto intorno alla città e scendiamo per guardare da giù il ponte e il fiume che scorre in una oasi ecologica protetta (Senda Ecologica). Siamo circondati da colture di camomilla. Meglio di una tisana! Ci spostiamo verso nord sulla Carreta Doce Cantos fino ad arrivare all’ Escaleras Mecanicas ovvero le scale mobili che portano su a Plaza Zocodover. Le scale portano al Palacio de Congresos de Toledo in soli cinque minuti e comodamente. A parte il valore dell’opera a servizio della popolazione è da ammirare la splendida architettura che lo distingue. L’inserimento paesaggistico, gli equilibri costruttivi e la funzionalità fanno di quest’opera un fulgido esempio di progresso civile. La stazione superiore ospita un grande terrazzo panoramico sulla città organizzato con punto di ristoro.

Penso che se Napoli, “città obliqua”, avesse interventi del genere potrebbe essere un fiore all’occhiello di tutta l’Italia. Ma purtroppo non è così… Abbandonati questi pensieri tristi ed arrabbiati ci dirigiamo verso la prossima tappa, una tappa di eccellenza: l’Alcàzar.

Uno degli edifici più simbolici di Toledo posto nel punto più alto della città, concepito storicamente nel sec. XI, durante il regno di Alfonso XI, nel periodo in cui la Spagna era nettamente divisa tra la dominazione araba e la resistenza cristiana, come fortezza e palazzo. Ospita il Museo dell’Esercito e la Biblioteca Regionale di Castiglia-La Mancia. Il museo consta di due edifici, l’“ALCÀZAR” propriamente detto a base quadrata che è costituito da 4 livelli espositivi e l’“EDIFICIO NUOVO” che ospita uffici amministrativi, negozi, workshop, spazi destinati al pubblico, zone di accoglienza, archivio, biblioteca, auditorium, caffetteria e sale di esposizioni temporanee. Il grande cortile centrale è circondato da due gallerie e presenta nel suo centro una statua dell’imperatore Carlo V. All’esterno presenta grandi torri quadrate nei suoi angoli. Il Museo dell’Esercito (precedentemente ospitato a Madrid) presenta 6 500 oggetti in un museo che copre 8 000 m². Ci ubriachiamo letteralmente di armi bianche e da fuoco, l’artiglieria, bandiere, uniformi, miniature, onorificenze, plastici e modelli su scala, oggetti etnografici, raccolte di soldatini di piombo o in silhouette di cartone e diorami. Veramente un’esposizione notevole! Come notevole è l’elegante tenda Indo-Portoghese posta nella Capilla Imperial nel suo montaggio originale fatta di cotone e decorata con motivi moreschi, mogul e portoghesi tra i quali il fiore del cardamomo, alludendo al percorso di spezie e agli interessi che il Portogallo aveva con le sue colonie… Storicamente si pensa sia stato un dono delle donne grenadine all’imperatore Carlo V per la sua campagna di Tunisi, nel 1535. All’esterno si trova il monumento all’Assedio dell’Alcàzar. Il martedì 21 Luglio 1936 quando, nel cortile interno della fortezza, il capitano Vela lesse il comunicato che dichiarava lo stato di guerra tra la provincia di Toledo ed il governo rosso di Madrid. Iniziava così la guerra civile spagnola. Il tempo è volato, la stanchezza ci prende, torniamo in albergo!

15 ottobre

La Cattedrale di Santa Maria de Toledo è il principale edificio di culto cattolico della città, ulteriormente conosciuta come “Catedral Primada de Toledo”, ovvero la Prima Cattedrale. È un imponente edificio di stile gotico, realizzato a partire dal 1226 sotto il regno di Fernando III il Santo, e ultimato dopo il 1492, con l’unione dei regni di Castilla e Aragona e la riunificazione della Spagna seguita alla cacciata degli arabi. Proprio la presenza musulmana, e la costruzione della grande Moschea cittadina, potrebbe aver influenzato la struttura della cattedrale, a cinque navate, così come si ritrova nella sala della preghiera islamica, così come il campanile potrebbe essere stato elaborato sulla base del minareto preesistente.  Altamente influenzata dal gotico francese, la porta nord del tempio è ispirata direttamente dalla famosa Notre Dame di Parigi. È una delle cattedrali più maestose di tutto il paese e il suo interno più che una chiesa sembra un museo, specialmente nella sacristia dove si trovano dipinti famosi del Greco, Caravaggio, Tiziano, Rubens… ecc.

La cattedrale è composta da cinque navate, 88 colonne, transetto e doppio deambulatorio. È lunga 120 metri, larga 59 metri, con un’altezza di poco superiore ai 44 metri. All’interno compaiono inoltre delle belle vetrate del XV e del XVI secolo e circa una ventina di cappelle che ospitano tombe di personaggi importanti. Le cappelle più importanti sono: la Capilla de los Reyes Nuevos (Cappella dei Nuovi Re), la Capilla de Santiago, la Capilla Mozárabe. Il coro (Capilla Mayor) collocato nel centro della cattedrale e a cui si accede tramite l’imponente cancellata che richiese 10 anni per completarla adornata dallo scudo imperiale di Carlos V, costituisce la parte più antica dell’intera chiesa, racchiuso da due griglie realizzate in pietra traforata, sulle quali si trovano delle statue e un coro di angeli. In armonia con quest’opera di pietra, si costruirono i pilastri che danno accesso al presbiterio.  Nel pilastro di sinistra si trova la statua del pastore Martín Alhaja, che, secondo la leggenda, diede informazioni nella battaglia di Las Navas de Tolosa. Il pilastro a destra è chiamato pilar del Alfaquí, per la presenza della statua del “faqih” Abu la Walid (un esperto di fikh , o giurisprudenza islamica) di cui esiste una curiosa storia.

“La città di Toledo venne conquistata dal re Alfonso VI di León nel 1085. Uno dei punti delle capitolazioni che resero possibile la consegna della città senza spargimento di sangue, fu la promessa da parte del re di preservare e rispettare i luoghi di culto, gli usi e la religione tanto dei musulmani quanto della grande popolazione cristiano-mozaraba; naturalmente la grande moschea era compresa in questi accordi. Poco tempo dopo, il re dovette partire per questioni di stato, lasciando al comando della  città la moglie Costanza e l’abate del monastero di Sahagún, Bernard de Sedirac, che era stato elevato al rango di arcivescovo di Toledo. Essi, in accordo e approfittando dell’assenza del re, intrapresero l’azione che, come scrisse il padre gesuita Juan de Mariana nella sua Historia General de España, provocò quasi una rivolta e la rovina della città recentemente conquistata. Il 25 ottobre 1087, l’arcivescovo, d’accordo con la regina, inviò uomini armati per impadronirsi della moschea con la forza. Questi installarono un altare provvisorio e collocarono una campana sul minareto. Padre Mariana scrive che il re fu talmente contrariato da questi fatti, che né l’arcivescovo né la regina riuscirono a dissuaderlo dal condannare a morte tutti i partecipanti attivi. La leggenda narra che furono i musulmani i veri mediatori di pace, nella figura del negoziatore e “faqih” Abu Walid, che portò al re un messaggio in cui si accettava come legittima l’usurpazione. In memoria e come segno di gratitudine per questo gesto, il capitolo della cattedrale gli dedicò un omaggio, commissionando la sua effigie da collocare in uno dei pilastri del coro. In seguito a questi eventi, la moschea toledana fu consacrata e trasformata in cattedrale cristiana, quasi senza modifiche alla struttura.”  (fonte Wikipedia)

Ammirevole il maestoso retablo (grande pala d’altare con molti scomparti dipinti o scolpiti, tipica dell’arte spagnola) dell’altare maggiore, in stile tardo gotico, di legno policromo e dorato la cui realizzazione durò ben sei anni (1498-1504), e ci lavorarono i migliori scultori del tempo.

Dietro il retablo, nel deambulatorio, si trova “El transparente”, notevole opera scultorea in marmo e alabastro in stile barocco churrigueresco (il termine “churrigueresco” deriva dal cognome Churriguera una famiglia di architetti barocchi il cui lavoro era caratterizzato da una decorazione molto elaborata. Per estensione, il termine è stato usato per chiamare il barocco spagnolo del primo terzo del XVIII secolo e indica tutte quelle architetture che avevano un movimento marcato e un variegato ornamento, specialmente nella retablística.), realizzata tra il 1729 e il 1732 dall’artista Narciso Tomé. L’opera fu concepita appunto come un retablo, con due corpi uniti al centro da un tabernacolo, simboleggiante il sole con i suoi raggi, circondato da un seguito di angeli e arcangeli. Sul tabernacolo batte un cono di luce proveniente da una finestra ovale ricavata nella volta del deambulatorio, decorata da splendidi affreschi. Un impianto scenico sbalorditivo difficile da spiegare se non lo si ammira sul posto! Resto visibilmente emozionato!

Le emozioni non sono finite. Nelle vetrine delle sale del tesoro si trovano alcune tra le principali opere di oreficeria della Cattedrale. Quello che più risalta del Tesoro è la grandiosa Custodia Processionale, commissionata dal Cardinale Cisneros a Enrique de Arfe nel 1515, che al suo centro accoglie l’Ostensorio. Questa fu impreziosita dal Cardinale Cisneros con il contributo della Regina Isabella la Cattolica e in base alle credenze fu realizzata con il primo oro che arrivò dall’America. È composta da 5.600 pezzi uniti da 12.500 viti, inoltre contiene 250 statuine di smalto e argento dorato. È coronata da una Croce di diamanti realizzata nel 1600 e appoggia su una pedana d’argento del secolo XVII donata dal Cardinale-infante Luis Antonio de Borbón.

Tra le opere d’arte di questo Tesoro possiamo ammirare la Bibbia di San Luigi della scuola reale francese, che fu regalata nel 1258 ad Alfonso X. Al suggestivo chiostro si accede dalla porta di Mollete, mentre sono ben cinque le porte secondarie che si aprono sulle pareti delle strutture adiacenti alla Cattedrale. Le pareti del corridoio esterno sono decorate con belle statue e affreschi. La visita alla cattedrale ci ha impegnato quasi tutta la mattina! Ne è valsa la pena, è la più magnifica cattedrale che abbiamo visto fino ad ora! Siviglia non è da meno ma questa ci ha sbalordito! Pranziamo anche per riposarci prima di intraprendere l’ultima tappa di oggi: il Mirador. Col bus 71 arriviamo dopo un breve percorso al punto posto sul colle chiamato Cerro del Emperador, un “balcone” naturale sulla vallata con uno splendido panorama mozzafiato su Toledo a 180 gradi e permette di vedere la Cattedrale, l’Alcazar e le sinagoghe. Il “balcone” in verità è situato nell’hotel Parador che incombe su un meandro del fiume Tajo, buona occasione per un drink al bar!

Torniamo sempre in bus dal lato ovest e ci fermiamo al’“escaleras de La Granja” la seconda scala mobile di Toledo che copre un dislivello di 36 metri tra il centro storico e il nuovo quartiere di Santa Teresa e offre un parcheggio di 400 posti auto. Il collegamento meccanico inizia con una  porta che attraversa la fondazione delle mura medievale creando uno zig zag suddiviso in sei rampe ben inserite sul fianco della collina. Durante la salita, abbiamo una splendida vista dell’unione tra il fiume Tago e la città. L’ impianto ha ricevuto numerosi premi nel campo dell’architettura e dell’urbanistica. Conclusa la giornata di visite torniamo in albergo. Domani partenza per Madrid.

 

16 ottobre

Partiamo da Toledo con lo stesso treno Ave che ci porterà a Madrid in circa 30 min. La stazione di Toledo del 1919 contiene tanti elementi della decorazione spagnola dalle vetrate colorate ai rivestimenti murari. Anche la parte biglietteria ricorda vagamente nelle forme la ricerca stilistica del legno scolpito. Le chiusure in maiolica degli sportelli colorate sono molto caratteristiche. Mi viene alla mente Gaudì….

 

 

The post Toledo – la “città delle tre culture” 2017 appeared first on Il Giramondo.

Ferragosto: la Benedizione della montagna e dei fiori a Feldthurns/Velturno

$
0
0

Tra Bressanone e Chiusa, lungo la valle del fiume Isarco, sul versante sud delle montagne che ne delimitano l’argine sinistro, si distendono al sole ridenti paesi circondati da ameni prati, si spandono boschi lussureggianti, si arrampicano vigneti vigorosi, si aggrappano incantevoli masi e, qua e là, occhieggia qualche chiesina dal campanile appuntito.

masi

Un ampio pianoro, che degrada dolcemente sul fianco della montagna a m. 850 s.l.m., accoglie l’armonioso paese di Feldthurns-Velturno ,noto per i numerosissimi castagneti che lo sovrastano e per il massiccio Castello stufa maiolica dagli interni preziosi, antica residenza estiva dei Vescovi-Principi di Bressanone.

Al centro del paese si erge, solitaria, la Chiesa Parrocchiale (risalente al 1112 e ristrutturata intorno al 1500 in stile tardo gotico) dedicata a Maria Assunta .Chiesa Parrocchiale

Qui, come in molte altre Chiese tirolesi dedicate all’Assunzione in Cielo della Madonna, ogni anno, il 15 agosto, si svolge un rito religioso per onorare Maria SS. cui segue una festa tipica, nel cortile del Castello, per celebrare le feriae Augusti (riposo di Augusto) e la fine dell’estate.

La Processione

La mattina di Ferragosto, alle ore 9,00, il Sacerdote celebra la S. Messa in lingua tedesca: è una cerimonia molto partecipata a cui intervengono numerosi sia gli abitanti sia gli ospiti di Velturno e dei paesi limitrofi.

La celebrazione della Messa è sottolineata dal suono dell’organo a canne della Chiesa e dai canti del Coro di Velturno: vibrazioni armoniose e voci potenti, che si esprimono con maestria e solida preparazione in brani anche complessi, regalano intense emozioni.

Al termine della Messa i fedeli si dispongono in fila per la Processione:

in testa al corteo si innalzano 3 enormi e pesanti stendardi il trasporto di ognuno dei quali richiede la forza di due robusti uomini: uno regge la lunga asta portante di circa 10 metri, l’altro cerca di mantenere stabile la posizione del vessillo e di contrastare le folate di vento manovrando la barra di sostegno orizzontale attraverso due robusti cordoni.

stendardoIl pesante tessuto damascato è decorato sia sul diritto che sul rovescio con soggetti religiosi: il vessillo con disegni floreali fucsia su fondo oro riporta su un lato l’immagine del Sacro Cuore e sull’altro Gesù e San Giuseppe al lavoro; quello con gli stessi disegni di foglie e fiori in blu, sempre su fondo oro, incornicia, da una parte una bella immagine dell’Angelo Custode che protegge un uomo e un bimbo tirolesi e dall’altro la Sacra Famiglia, nel terzo i medesimi decori, rossi su fondo oro, contornano l’immagine di Sant’Antonio e sul retro quella del Battesimo di Gesù.

Tra uno stendardo e l’altro si avviano in fila gli uomini, più o meno giovani.

Dietro di loro si allinea il gruppo degli Schützen  che reggono la statua del Sacro Cuore, seguono i Rappresentanti dell’Associazione locale Frontkämpfer/Reduci della 2^ Guerra Mondiale con le loro insegne e, ancora, alcuni uomini del luogo che innalzano la statua di Sant’Aloisio (San Luigi Gonzaga, protettore dei giovani).

Reduci II Guerra mondiale

S. Aloisio

Subito appresso, eseguendo uno dei brani del loro repertorio, cominciano a sfilare gli elementi della Musikkapelle/ banda musicale del paese, poi si avviano i componenti del Coro che eseguono musiche e canti durante tutto il percorso.

    Banda musicale    Coro

    Poi è la volta della statua lignea della Madonna in Trono col Bambino sorretta dai membri della Confraternita seguita da piccoli stendardi portati da due ragazzi del gruppo dei chierici. Confraternita e SacerdoteQuindi, preceduto dai bambini che hanno ricevuto di recente la Prima Comunione, sotto il Baldacchino che gli conferisce solennità ed onore, avanza il Sacerdote che regge tra le mani il SS Sacramento.

SignoreAl seguito del Sacerdote, si avviano le signore non più giovanissime dietro la Statua della Vergine portata a spalla da quattro donne più giovani; appresso alle anziane sfilano le donne sposate e le ragazze da marito, tutte rigorosamente vestite con i costumi tradizionali.

Il lungo corteo, recitando preghiere e intonando canti, si snoda percorrendo un sentiero appositamente falciato nei prati fioriti , verso un ampio spiazzo che si stende fin sul limitare della parete scoscesa della montagna.Fiori nei prati

Qui si resta incantati da un panorama che mozza il fiato: le montagne che si ergono a sinistra dell’Isarco, coronate dalle creste delle Dolomiti, si stagliano verdissime ed imponenti.

Corona di montiSassopiatto

La Benedizione della montagna

In questa sublime cornice si compie il toccante rito con cui la gente di montagna rende grazie a Dio dei doni che concede e Gli chiede aiuto e protezione.

Il Sacerdote, rivolto verso le montagne, impartisce la Benedizione contro le calamità naturali (Wettersegen)  recitando una preghiera che viene, ancora oggi, declamata in latino:

A fulgure et tempestate

Libera nos, Domine Jesu Christe

Fiat misericordia tua Domine super nos

Quemadmodum speravimus in Te

Domine, exaudi orazione meam

Et clamor meus ad te veniat!

Dominus vobiscum

Et cum spiritu tuo

Oremus! A domo tua, quaesumus Domine spirituales nequitiae repellantur et aerarum discedat malignita tempestatum.

Per Christum Dominum nostrum

Amen

Dalla folgore e dalla tempesta

Liberaci Signore Gesù Cristo

Sia la tua misericordia sopra di noi

Poiché noi speriamo in Te

Signore, esaudisci la mia preghiera

E il mio grido giunga fino a te!

Il Signore sia con voi

E con il tuo spirito

Preghiamo! Nella tua casa, preghiamo Signore che siano respinte le iniquità spirituali e si allontani la malignità delle tempeste del cielo.

Per il nostro Signore Gesù Cristo

Amen

Tempesta in arrivo

A sottolineare la solennità del momento si dispiegano il suono della banda e il canto dei coristi: la radura se ne imbeve, il silenzio ne è impregnato e i sensi sono rapiti dall’incanto.

Al termine della benedizione la processione riprende il cammino per ritornare alla Chiesa. Lungo il percorso si effettua un’altra sosta in uno spiazzo nelle vicinanze delle prime case del paese dove la banda ed il coro eseguono ancora alcuni brani, quindi il Sacerdote, questa volta rivolto verso il centro abitato, impartisce di nuovo la Benedizione e chiede la protezione divina. Al termine della declamazione, gli Schützen si schierano per eseguire il presentat-arm e sparare un colpo a salve in aria  ad indicare il loro impegno in difesa del territorio e del paese.Schutzen

Il rito della Benedizione “Wettersegen”, con cui si invoca la protezione divina per gli uomini, per il loro lavoro, per le loro case, per i campi e le foreste viene impartita quattro volte l’anno:

Processione per la Festa del Corpus Domini (Giugno), per la Festa del Sacro Cuore di Gesù (Giugno), per la Festa di Santa Maria Assunta (Agosto), per la Festa della Madonna del Rosario (Ottobre)

La Benedizione dei mazzi di fiori

Particolarmente coinvolgente e suggestivo è il rito della benedizione dei mazzi di fiori a conclusione della cerimonia.

Le donne, ma anche alcuni uomini, di ogni età giungono in Chiesa portando un mazzo o un cesto di fiori raccolti nei loro giardini o nei campi e lo depongono sul gradino ai piedi dell’altare prima che inizi la Messa. Profumi e colori di mille corolle accrescono il carisma e la suggestione di questa Celebrazione.

Fiori dei fedeliTerminata la Messa, quando tutti i fedeli sono usciti per andare in Processione, alcuni addetti dispongono degli appositi tavoli di fronte alla porta dell’Edificio Sacro e vi sistemano i mazzi in bell’ordine.

Quando il corteo rientra dal lungo giro sui prati vicini, il Sacerdote procede a benedire i fiori e i presenti ripetendo nuovamente l’invocazione per la protezione della montagna.

Dopo che il Prete si è allontanato ognuno riprende i propri fiori per riportarli a casa.

Questo mazzo andrà ad abbellire e rallegrare la stube/soggiorno nel corso del lungo inverno sostituendo i fiori, benedetti l’anno precedente, che saranno bruciati.

I Costumi tradizionali: Trachten e Dirndl

Alla bellezza della Cerimonia si aggiunge lo spettacolo offerto dagli abitanti di Velturno e dintorni che, per la festa, indossano vestiti che riprendono fedelmente gli antichi trachten/costumi tradizionali locali o i dirndl/abiti tradizionali delle classi più agiate diffusi nel Tirolo e in Germania e Svizzera.

costume 100 anni faLe donne che fanno parte della Musikkapelle indossano un trachten composto da un corpetto attillato rosso e verde sopra una camiciola candida e da gonna lunga nera guarnita da uno schürze/grembiule blu. Questo costume era già indossato dalle signore di Velturno 100 anni fa, esclusivamente al mattino, nei giorni di festa, per recarsi a Messa. Nella banda anche gli uomini vestono gilet con i colori tipici tirolesi, verde e rosso, su camicia bianca e pantalone nero.

La divisa delle signore che compongono il Coro si ispira, invece, ad un costume più antico, risalente a 200 anni fa; è ugualmente elegante, ma forse un po’ più pratico, le donne usavano indossarlo nel pomeriggio dei giorni di festa. Questo tipo di trachten consiste in una ricca gonna nera, cui si sovrappone un grembiule damascato di un tenue color rosa o celeste, e in un corpetto di velluto nero ornato da bottoncini di metallo e da un piccolo colletto di pizzo. Lo stesso tipo di abito delle coriste è indossato anche dalla maggior parte delle donne del paese che lo arricchiscono con uno scialle dello stesso tessuto prezioso del grembiule, con qualche gioiello e, ma sempre più raramente, con l’originale cappello nero a tesa rigida stretta, ornato da un grande nastro che si lega sulla nuca e scende lungo la schiena. Questo cappello, nelle famiglie tirolesi, viene tramandato di generazione in generazione.

Costume 200 anni fa    costume tradizionale

Oltre ai trachten, nelle feste tirolesi, si possono ammirare signore vestite con i dirndl . Il termine” dirndl” originariamente indicava una giovane donna, oggi viene utilizzato indifferentemente per indicare l’abito o la ragazza che lo indossa. Ad indossarlo, però, non sono soltanto le giovani. Questi eleganti costumi hanno il pregio di mettere in risalto la bellezza delle donne e molte signore, soprattutto in città, lo usano nei giorni di festa ; attualmente, anche molte ragazzine hanno capito i pregi estetici del costume tradizionale ed indossano con disinvoltura il dirndl che più si addice loro scegliendo tra i numerosissimi, svariati e stupendi modelli che trovano in commercio nei negozi specializzati o si possono ammirare in Internet.

Gli abitanti di Velturno di sesso maschile amano indossare il trachten locale che consiste in un elegante abito marron con gilet nero e, rigorosamente, cravatta rossa con fermacravatta argentato e cappello di feltro verdone. Se, però, la giornata è calda, la maggior parte degli uomini veste solo camicia bianca e cravatta su pantaloni scuri. Non è raro, poi, incontrare qualche locale, abbigliato con un dirndl maschile, che è apprezzato soprattutto dai giovani oltre a caratterizzare il costume degli Schützen.

Gli Schützen

A Velturno la realtà e lo spirito che anima gli Schützen sono molto vivi e sono sorretti anche, come testimoniano il monumento e la targa posti davanti alla sede dell’Associazione turistica locale dedicati a Simon Rider, dalla memoria di eventi storici riguardanti valorose gesta di intrepidi soldati tirolesi che sono nati in paese o si sono battuti proprio per la difesa di Velturno e dei territori circostanti.Simon Rieder

La compagnia degli Schützen, a più di 500 anni dalla sua costituzione, è attualmente una realtà folcloristica, ma i suoi membri , volontari, nutrono un vivo senso della “Patria” inteso come appartenenza al proprio territorio, il Tirolo, e cercano di trasmettere alle giovani generazioni l’orgoglio, l’attaccamento e la conservazione degli usi e costumi locali, anche attraverso l’organizzazione di feste o il restauri di monumenti. Nelle loro sfilate gli Schützen esibiscono uniformi e fucili che sono la copia fedele delle dotazioni degli antichi soldati tirolesi e le loro manifestazioni costituiscono un’originale attrazione turistica. Nel corso delle parate, al comando di un capogruppo, simulano portamento e gesti militari e, talvolta, sottolineano il termine delle cerimonie cui prendono parte sparando dai loro fucili una carica a salve. Subito dopo si radunano in un luogo appartato per mettere in sicurezza i fucili procedendo a scaricare, raccogliere e contare i  bossoli.

   Present-Arm disarmo

 Per noi,  autori di questo reportage, da qualche anno, questa festa è divenuta un piacevole ed immancabile incontro con il fascino della montagna e della gente del Sud-Tirolo che apprezziamo ed ammiriamo non solo per i loro usi e costumi religiosi e laici, ma anche per i deliziosi piatti della loro gustosa cucina. Un appuntamento che aspettiamo con la certezza che ogni volta avremo occasione di assistere ad uno spettacolo suggestivo e di scattare splendide foto che ci piace condividere con altri Giramondo.

The post Ferragosto: la Benedizione della montagna e dei fiori a Feldthurns/Velturno appeared first on Il Giramondo.

Viewing all 574 articles
Browse latest View live