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Tinos e Syros: Grecia per intenditori

Decolliamo da Malpensa su Atene l’8 luglio, siamo in quattro, io Pier, Alessandro e Roberto.
Da Atene prendiamo il bus arancione KTEL (4 euro) per il porto di Rafina.
Alle 15,30 ci imbarchiamo sul traghetto diretto alla prima tappa del nostro viaggio: Tinos.
Dopo un paio di ore giungiamo ad Andros e la osserviamo con nostalgia in quanto è stata meta di una nostra vacanza anni. Altre 2 ore e arriviamo a Tinos.
Tinos è l’isola mistica, bianca, splendida e ricca di colombaie. E’ come Lourdes per gli ortodossi, migliaia di pellegrini da tutta la Grecia vengono per visitare la chiesa della Vergine Maria (Panagia Evaggelistria) costruita nel 1823, dopo che una suora aveva sognato un’icona. Dopo ricerche e scavi è stata trovata ed anche una fonte di acqua dolce. Fu costruita la chiesa, e uno dei motivi di visita è la sterilità. Quando una donna desidera un figlio, percorre in ginocchio il percorso che porta alla collina e alla chiesa e se rimarrà incinta, lo porterà in pellegrinaggio alla chiesa per il battesimo.
Tinos è ricca di villaggi, chiese e spiagge.

9 Luglio: Dopo avere pernottato all’hotel Agali Bay (veramente squisito) affittiamo una macchina (40 euro al giorno) e cominciamo dalla spiaggia di Kolybitra, che sono due insenature gemelle, una è esposta al vento, l’altra piuttosto frequentata è attrezzata. Naturalmente il mare è bellissimo e ci godiamo il primo giorno di relax. Verso il tardo pomeriggio, nel rientro, ci fermiamo al romantico ma deserto paesino di Agapi.
Una bella chiesa, una taverna, molti gatti, colombaie, alcune viette con case bianche e totale assenza di persone. Ci dirigiamo a Volaka, davvero bellissima, circondata da migliaia di sassi particolari.
All’interno del paese si respira aria di origano, camminiamo nei vicoletti con piante di capperi accanto, coltivazioni di carciofi, piccoli negozi di artigiani che intrecciano cestini…e anche qui pochi
visitatori.

10 luglio: Ci dirigiamo verso la spiaggia Aghios Romanos situata sulla costa meridionale, da qui c’è un bellissimo scorcio sull’isola di Syros! Attrezzata con una bella taverna, sdrai e cuscinoni (3 euro a testa).
Nel tardo pomeriggio ci inoltriamo verso un’altra spiaggia, Kalivia, semi deserta, non attrezzata, un mare da favola e alberi di tamerici. Cena da Epineio, il migliore ristorante secondo noi, cena circa 25 euro in due con dolcetto e liquore in omaggio.

11 luglio: Decidiamo per il villaggio di Palormos, famoso per le sue taverne di pesce, sulla strada deviamo per il paese di Kardiani (in greco Cuore). FAVOLOSO! E’ amore a prima vista! Case raggruppate con una vista spettacolare sull’Egeo, un paio di taverne, dove all’ombra si può sorseggiare un caffè, una chiesa e la serenità più assoluta. Scendiamo a Palormos e la sua spiaggia che, dato il mare agitato non ci sembra granchè….ci fermiamo alla taverna Marina e mangiamo del buon pesce. Al rientro ci resta da visitare Pyrgo, bianca e marmorea ha un bel museo del marmo, alcuni negozi, chiese e taverne.
Nel tardo pomeriggio arrivati a Tinos Town visitiamo la famosa chiesa della Vergine Maria, quasi tramonto, un battesimo in corso, candele e offerte, davvero una sensazione di misticismo! Cena da San to alati, buon cibo, ma caro e con poca cortesia.

12 luglio: Restiamo nei dintorni della città ed allora Aghios Joannis Porto. Molto carina e al prezzo di 2 euro a testa lettini e ombrelloni. Giornata di relax totale.

13 luglio: consegniamo la macchina al noleggiatore e non ci resta che muoverci a piedi…..Aghios Fokas, la spiaggia più lunga di Tinos con tratti sabbiosi e tratti a ciottoli….ci fermiamo alla Golden Beach, perfettamente attrezzata. (5 euro a testa)
In serata ceniamo al mitico Epineo e poi la passeggiata nelle due vie che animano Tinos, una porta alla chiesa, con due passerelle rosse (che servono per chi in ginocchio si reca alla chiesa) e tanti negozi religiosi, la seconda più mondana, con negozi di souvenir e pasticcerie.

14 luglio: salutiamo abbracciandola la proprietaria dell’Hotel Agali bay e prendiamo il traghetto per la seconda meta del nostro viaggio/vacanza: Syros.
Syros è al centro delle Cicladi, ha grandi palazzi, ville e residenze in stile neoclassico, la sua capitale Ermoupoli rimane un importante centro per il traffico marittimo ed è la capitale dell’intero arcipelago.
E’ stata a lungo dominio della Serenissima e sia veneziani che genovesi introdussero il cattolicesimo.
La città si presenta con un grande porto e due parti (tipo 2 colline) alte, uno è Ano syros il quartiere cattolico che svetta con la chiesa barocca di San Giorgio (900 scalini), l’atro è il quartiere ortodosso Vontrados con la sua chiesa Anastasis.
L’isola non ha grossi centri abitati, ma è verde, tranquilla, meta di turismo prevalentemente greco.
Ad Ermoupoli c’è la Platia Miaoulis, la grande piazza rettangolare lastricata in marmo, dove si svolge quasi tutta l’intera vita della città. Ha caffè, taverne, nella sua prossimità, sorge il teatro Apollo, una replica in formato ridotto della Scala di Milano.
E’ molto ben organizzata, ci sono piccoli bus gratuiti che girano la città con varie fermate e bus che girano le spiagge dell’isola (1,80 euro).
Arriviamo a Syros nel pomeriggio e ci rechiamo in hotel nei pressi del porto.

15 Luglio: Dato che l’isola, anzi le sue spiagge, sono facilmente accessibili con il bus decidiamo di non noleggiare l’auto e di scegliere ogni giorno una fermata diversa, dedicandoci alla sera alla vista della città.
La prima tappa è Finikas, una bella spiaggia non molto grande, ben attrezzata. (costo 4 euro con consumazione)
La sera ceniamo in una taverna adiacente alla grande piazza.

16 luglio: Partiamo con il bus per la spiaggia Agkathopes, la più mondana e cosmopolita dell’isola, ma non ci piace, troppo affollata, quindi scoviamo un piccolo lembo di spiaggia nei pressi, con una taverna e ci godiamo il sole e lo splendido mare (4 euro con consumazione). Al rientro, nel pomeriggio visitiamo il museo archeologico (2 euro) che seppur piccolo è molto interessante. Visita alla chiesa di San Nicholas e passeggiata in centro.Cena alla taverna Seminario, ottima sia per i prezzi, per il cibo e la gentilezza.

17 luglio: Di prima mattina visitiamo il teatro Apollo, è davvero il teatro la scala in miniatura (2euro)!
Con il bus arriviamo alla spiaggia Mega Gialos, davvero una bella spiaggia, non troppo affollata ed attrezzata (4 euro). Nel tardo pomeriggio visitiamo Ano Syros con il bus gratis che ci porta nei pressi e poi i 900 scalini e la visita della bellissima chiesa barocca. Cena alla taverna Seminario.

18 Luglio: Varis beach, leggermente affollata, musica, attrezzata (4 euro con consumazione) bel mare.
All’ora del tramonto siamo nel quartiere ortodosso e alla chiesa Anastasis, poi scendiamo a piedi percorrendo i 500 gradini. Ultima sera…. Quindi qualche acquisto e un po’ di tranquillità seduti nella piazza principale mangiando un gelato.

19 luglio: Abbiamo il traghetto che ci porterà a Mykonos e poi in volo a Milano, salutiamo Syros, osservandola dal mare. E ci sembra davvero meravigliosa.

Tinos è mistica, serena, bianca, ha paesini solitari ma bellissimi, molte colombaie, belle spiagge, ed è ancora incontaminata, per noi è stata una vera sorpresa. La immaginavamo un po’ “ostile” come la vicina Andros, battuta dal vento, e invece abbiamo trovato un’isola accogliente, un’isola tranquilla adatta a tutti.
Syros è molto sottovalutata, è attrezzata, organizzata, pulita, nonostante la vicinanza con Mykonos, è fortunatamente ben lontana dal turismo modaiolo di massa, è vivibile come una città che conserva il suo lato “rurale”, ha bei negozi, ci sono mostre, musei e concerti, ma mantiene intatto il sapore delle isole greche non turistiche.
Che dire? Due isole poco conosciute agli italiani, oserei dire due isole da intenditori.
Quindi non per tutti!


VALENCIA: io, la mamma e las fallas

Quanti amici conoscete che sono già stati a Valencia? Io moltissimi. Tutti che dicevano: “è una città vivacissima”, “non puoi perdertela durante le Fallas”, “è bellissima e piena di energia” e “non ci sei ancora stato?”. Urgeva verificare tutte queste cose di persona!

Eccoci quindi al punto di partenza di questo viaggio: io, la mamma e las Fallas. Perché la mamma? Perché l’ho portata con me. Perché las Fallas? Perché abbiamo visitato la città durante la sua festa più sorprendente e coinvolgente. Un evento imperdibile! Ma vi racconto tutto qui sotto.

 

PRIMO GIORNO: 16 marzo

Colazione in aeroporto e sosta all’edicola per l’acquisto di un’imbarazzante rivista “da signora” per la mamma (che poi si porterà appresso oscurando la copertina). Inizia così questo viaggio a Valencia. Comincia con quella sorta di riti che precedono la partenza e che, col tempo, diventano quasi sacri.

Dopo un rapido volo Ryanair da Bergamo, atterriamo all’aeroporto di Valencia (si può raggiungere la città tramite la comoda metro – linea 3 e 5 – ticket 3.90€). La luce è accecante. I palazzi, le chiese e le piazze che vediamo sfrecciare accanto al taxi, che ci sta portando al B&B Almirante, sono invasi di luce. Oltre il portone di un antico palazzo c’è la nostra bella stanza e un piccolo ma delizioso patio esterno. Un po’ meno deliziosi i dolcetti di benvenuto che sgraffignamo nel salottino comune (così impariamo a fare gli ingordi)!

Data la festività, i prezzi di tutte le strutture ricettive salgono alle stelle raggiungendo livelli decisamente eccessivi se paragonati agli standard spagnoli. La nostra camera doppia costava 150 euro. La struttura è carina, ristrutturata di recente e a 200 metri dalla Cattedrale ma, se considerate che la colazione non era inclusa e che al b&b non cambiavano nemmeno le salviette, a mio avviso il prezzo era decisamente troppo. Se venite durante le fallas, mettete il cuore in pace e una mano al portafogli!

Ad ogni modo, adesso siamo pronti con la visita della città! Prendiamo un bus proprio dietro il b&b (linea 1 e 95 – costo biglietto 1,5€) ed iniziamo con il simpatico Parco di Gulliver, realizzato nel letto di quello che fino a qualche decennio fa era il fiume Turia (ora trasformato in un lunghissimo e curatissimo spazio verde). Ci trasformiamo in piccoli lilliput che salgono e scendono (tramite scivoli) dal povero gigante.

Data la splendida giornata di sole, riprendendo il medesimo bus, facciamo una piccola deviazione dal programma ed eccoci con i piedi affondati nella sabbia. Davanti ai nostri occhi il mare blu. Alle nostre spalle una spiaggia larga e La Pepica. Di cosa si tratta? Nulla di culturale! È il ristorante consigliato da Greta (un’amica innamorata di Valencia) dove divoriamo seppia alla griglia e la celebre paella, il delizioso piatto tipico della città.

È il momento di fare un salto nell’architettura futuristica della Ciudad de las Artes y las Ciencias (ci spostiamo con il taxi perché non costa molto – circa 7/8€). Una manciata di sfere, piscine, archi in cemento, palazzi dalle forme improbabili e tanto vetro. Ci sono perfino delle persone in una bolla di plastica che cercano in ogni modo di camminare sulle acque. Sembra di passeggiare in una città del futuro. E invece siamo ancora a Valencia!

La stagione non ci permette di fare già un bagno nel mare per cui eccoci all’Oceanografic (ticket on-line 29€) per un tuffo nell’acquario più grande d’Europa. È un luogo pazzesco ed immenso (servono almeno 2-3 ore per visitarlo) nonché una delle più belle attrazioni di Valencia! Zampettiamo come due anatre impazzite (quelle che popolano i laghetti dell’acquario sono decisamente più educate di noi) tra i vari padiglioni. Sono uno più bello dell’altro! “Mamma guarda i pinguini”, “Urco quanto sono grandi quei trichechi” e ancora “Andiamo a vedere lo spettacolo dei delfini?”. Mi mancava solo lo zucchero filato e la manina in quella della mamma. Ma forse la più eccitata era proprio lei che si spalmava sulle vetrate della galleria degli squali (è inutile che ci parli, non capiscono la tua lingua) e che curiosava tra coloratissimi pennuti simili a fenicotteri (attenta che il loro becco è a 10 cm dal tuo naso). Insomma due bambini indisciplinati!

Rientriamo in hotel sempre a bordo del solito bus di linea. Più tardi si uscirà per la serata. La mamma approfitta di questa pausa per schiacciare un rumoroso sonnellino (ho già capito che per me sarà una notte difficile). Fuori la situazione non è molto differente: le strade della città rimbombano dei mortaretti scoppiati in occasione de las Fallas, la più grande festa popolare di Valencia. Le sue origini sono antiche ma oggi si presenta come un folcloristico mix di fuochi, carri carnevaleschi, sfilate in abiti tradizionali e rumorosi petardi. Gli eventi più rilevanti, nonostante la festa duri parecchio tempo, si concentrano nei giorni che precedono il 19 marzo (cercate il programma on line).

Quando finalmente usciamo, la città è in fermento. Esplode di vitalità (oltre che per i petardi). Noi ci lasciamo coinvolgere e guardiamo tutto incuriositi. Oltre a donne in abiti tipici, agli angoli delle strade ci sono grandi sculture in cartapesta. Ce n’è una per ciascun rione e ricordano un poco i carri carnevaleschi di Viareggio (anche se in versione più piccola).

Per coronare questa intensa serata, a mezzanotte in punto, nei pressi del fiume Turia iniziano i fuochi d’artificio!

 

SECONDO GIORNO: 17 marzo

La seconda giornata a Valencia inizia come è finita la prima: mangiando churros e frittura simile. Partiamo bene!

Corriamo subito in soccorso al nostro stomaco prendendo un caffè bollente ai tavolini di un bar in Placa de la Virgen, al centro della quale troneggia una statua gigantesca della Madonna che sarà poi ricoperta di fiori.

Non sono ancora le 10 e già la città è attraversata da piccole bande musicali e gruppi di donne in abiti tradizionali che saltano, ballano e si pavoneggiano sfoggiando abiti ampi ed elaborati. La festa è nell’aria. A qualunque ora del giorno e della notte!

La musica attraversa anche la vicina Real Basilica de Nuestra Senora de los Desamparados (ingresso gratuito) e le mura gotiche della Cattedrale (ingresso 5€). Il sacro e il profano che si mescolano. Da bravi turisti, con le nostre audioguide alle orecchie, noi continuiamo imperterriti a visitare cappelle, quadri, altari elaborati, l’inquietante braccio mummificato di San Vincenzo e (udite udite) il Sacro Graal. Non ci si fa mancare nulla qui a Valencia!

Lungo le strade della città, nei vari rioni, incontriamo nuovamente le sculture allegoriche (le fallas), tipiche della festa. Sono vere e proprie opere d’arte davanti alle quali si chiacchiera, si beve una birra o ci si fa un selfie.

Entrare nel Mercato Centrale (ingresso gratuito) è uno spettacolo per la vista, l’olfatto e ovviamente il palato. Sotto questa elegante  struttura di inizio ‘900 ci sono quasi 1000 banchi carichi di cibo e pronti ad accontentare anche il palato più esigente. Noi siamo facili da soddisfare: un succo d’arancia fresco, un sacchetto di frutta disidratata e usciamo felici come due bambini. Cercate di arrivare prima delle 14.30 perché poi il mercato inizia a chiudere.

L’architettura gotica della città fa bella mostra di sé anche nella sofisticata sala della Lonja de la Seda (ticket 2€ – gratis durante las fallas) dove le colonne salgono al soffitto torcendosi in spirali.

Dopo aver raggiunto e scalato le torri medievali della Porta de Serranos (ticket 2€ – gratis durante las fallas), che fungevano da porte di accesso alla città e dalle quali si gode un bel panorama sui tetti e sui campanili, siamo fiacchissimi. “Di già?” starete pensando. In effetti non è da me. Ma un po’ di relax sulla panchina baciata dal sole è d’obblogo. “Relax” per modo di dire dato che abbiamo scelto proprio quella accanto al chiosco che vende i mortaretti (ecco perché era libera).

Dopo pranzo rieccoci in pista. Visitiamo il Museo de Bellas Artes de Valencia (ingresso gratuito), al di là dei giardini del Turia. Ci sono molte opere e molte sale da visitare ma devo ammettere di aver preferito le opere tardo medievali e rinascimentali. Le tele dei secoli successivi sono troppo scure per i miei gusti!

Se le api saltano di fiore in fiore, noi migriamo di panchina in panchina. Rieccoci nuovamente seduti al sole in mezzo ad un bel parco verde, prima di rientrare in hotel. Fuori i festeggiamenti proseguono. Si sentono continuamente petardi scoppiare, gente chiacchierare e il suono della banda.

Dopo la siesta (decisamente fuori orario) ci ributtiamo anche noi nella ressa. Dobbiamo ancora assistere all’offerta dei fiori alla Vergine, dobbiamo cenare, ci sono altri fuochi d’artificio da vedere e poi… non si va a letto senza frittelle e cioccolata calda (promesso!).

Eccoci quindi nella calca. Questa sera tutte le valenziane sfilano con gli abiti tradizionali per portare la loro offerta floreale alla Vergine. Cosa se ne fanno poi di tutti quei mazzetti di fiori? Semplice! Rivestono il mantello dell’immensa statua della Madonna! Ma non avete idea di quante persone siano. E’ tutto il giorno che sfilano persone (sempre diverse). E quando arrivano davanti alla statua, molte donne si commuovono e terminano la processione con gli occhi lucidi e un fazzolettino alla mano. Uno spettacolo davvero emozionante.

Come promesso, alle 23.55 eccoci all’Horchateria Santa Catalina con i nostri bunuelos de Valencia (giusto un poco fritti) e le cioccolate bollenti (in cui vengono inzuppati)! Alla faccia del bruciore di stomaco!

La nostra giornata non è ancora finita. All’una di notte iniziano i fuochi d’artificio. Questa volta ci spingiamo più vicino e difatti la folla è impressionante. Strattoniamo, scavalchiamo corpi ed eccoci finalmente in postazione per tempo. Stanotte lo spettacolo pirotecnico è qualcosa di superlativo che ci lascia a bocca aperta!

 

TERZO GIORNO: 18 marzo

I bunuelos de Valencia con la cioccolata calda di ieri sera a mezzanotte hanno garantito un sonno profondo. Questa mattina sono carico per continuare la visita della città!

Le ultime parole famose: dopo 10 min siamo già seduti al sole a fare colazione. La piazza con la Cattedrale e l’immensa statua della Vergine parzialmente ricoperta di garofani bianchi e rossi è troppo bella.

Riuscire ad attraversare la città è veramente complicato oggi. La folla è onnipresente e ci trascina con lei, spesso facendoci sbucare da tutt’altra parte rispetto a dove avremmo voluto (ma questo ci permette di scoprire qualche scorcio insolito della città).

Eccoci finalmente al Palazzo del Marqués de Dos Aguas (ingresso 3€), con la sua elaboratissima facciata. Entrare a visitarlo si è rivelata essere una bellissima idea. È davvero magnifico! Non tanto per la collezione di ceramiche esposte ma quanto per le splendide sale rococò, le antiche carrozze e gli arredi. Bella vita questi marchesi!

Nuovo bagno di folla per raggiungere Placa de l’Ayuntamiento. Mancano ancora 3 ore alla mascletà (lo scoppio di migliaia di petardi che fanno un polverone e un rumore assordante) ma le transenne sono già prese d’assalto. Noi continuiamo a gironzolare alla ricerca delle belle fallas di cartapesta colorata ma ad un certo punto mi volto e… la mamma è sparita! Panico. Che faccio? Scappo e la abbandono? No, non posso. Ma ecco che riappare dalla folla e mi fa una ramanzina. Forse era meglio lasciarla lì… Hahaha!

Festeggiamo il ricongiungimento con una Redbull per lei (così si tira su) e un’horchata per me (acquistata in un chioschetto lungo la strada). Non mi fa impazzire ma è la bevanda tipica di Valencia ed era giusto assaggiarla!

Una tappa molto poco culturale ma decisamente simpatica è quella in un negozietto di cianfrusaglie. Ci alleggerisce il portafoglio e ci fa trascorrere una bella mezz’oretta. Ricevo improvvisamente una chiamata dal b&b: dovevamo lasciare le chiavi prima delle 11! Mannaggia! Corri mamma che ci aspettano. Fortuna che le hanno offerto la Redbull che le ha messo le aliiii.

Valigie in mano, saliamo sul taxi e raggiungiamo il Mercado de Colón (non molto distante dalla metro che porta in aeroporto). Sotto questa bella struttura di inizio ‘900 sono stati realizzati bar e ristoranti davvero carini. Ci sediamo ad un tavolino e, mentre addento il mio panino con jambon iberico, parte una “bombardamento” di petardi vari. Pazzesco! C’è una mini ma assordante mascletá anche qui!

La nostra vacanza a Valencia finisce più o meno qui. In modo decisamente “scoppiettante”!

 

www.tusoperator.it

Visita il mio blog di piccoli e grandi viaggi

Un tranquillo week-end tra i Colli Euganei

L’occasione per questa breve fuga dalla città ci è stata fornita da un cofanetto ricevuto in regalo a Natale che prevedeva una notte a scelta in uno dei Borghi più belli d’Italia.

Scegliamo un week-end di metà Giugno sperando in giornate belle ma non troppo calde, anche se poi ci scontreremo con un fine settimana rovente.

La meta è l’hotel Villa del Poeta ad Arquà Petrarca nei Colli Euganei, località che non conosciamo ma che può essere raggiunta con un breve viaggio e, soprattutto, evitando il caos delle autostrade nei fine settimana estivi.

Mi informo un po’ sulla zona e vedo che la strada passa per Montagnana, un altro dei Borghi più belli d’Italia.

Viste le temperature elevate partiamo prestissimo Sabato 17 Giugno ed alle 8,30 siamo già alle porte di Montagnana. Lasciamo l’auto nel parcheggio gratuito di fronte alla porta XX Settembre ed iniziamo la visita.

La città medievale è un piccolo gioiello racchiuso tra bellissime mura perfettamente conservate.

 

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Le vie sono ancora vuote ed è veramente un piacere passeggiare alla ricerca di scorci interessanti da fotografare. Arriviamo al Duomo e dopo averne visitato l’interno incontriamo un simpatico signore orgogliosissimo della sua città che ci racconta alcuni aneddoti del periodo risorgimentale.

Andiamo poi all’ufficio per il turismo dove si può fare il biglietto per salire al Mastio, antica torre dalla quale si può vedere tutta la città all’interno delle mura e l’area circostante. Bel panorama, anche se la vista è molto limitata dai fari sistemati nelle aperture nel muro.

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Una volta scesi percorriamo il perimetro delle mura internamente, apprezzando i bei vicoli colorati e le casette addossate alla fortificazione.

 

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Passeggiamo senza una meta precisa poi ci ritroviamo di nuovo in piazza Duomo a bere qualcosa di rinfrescante.

Raggiungiamo il nostro hotel che si rivela una piacevolissima sorpresa. Bello, immerso nel verde e nella tranquillità a due passi da Arquà Petrarca. Una vera oasi di pace di cui approfittiamo subito per una breve pausa. La zona dei Colli Euganei ci incanta. Verdissima, rilassante e, almeno in questi giorni, non è presa d’assalto dai turisti.

 

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La visita della città inizia dalla casa del Petrarca, nella quale il poeta trascorse gli ultimi anni della sua vita (il biglietto d’ingresso faceva parte del cofanetto regalo), visita interessante, ben documentata da filmati e cartelli informativi.

 

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Proseguiamo poi con le altre attrattive: l’Oratorio SS Trinità e la Loggia dei Vicari, la chiesa di Santa Maria Assunta infine la Tomba e la Fontana del Petrarca (quest’ultima in verità versava in condizioni di incuria).

In generale, a parte la casa, più che i monumenti abbiamo apprezzato la bellezza della cittadina, passeggiando tranquillamente tra i suoi vicoli e giardini e curiosando nei negozi di prodotti tipici, in particolare ci ha colpito il “brodo di giuggiole”, un delizioso liquore a base di un frutto che non conoscevamo.

 

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Chiudiamo la giornata con una piacevolissima cena nella terrazza del ristorante Il Canzoniere, annesso all’hotel dove alloggiamo.

La Domenica mattina dopo colazione ci rechiamo a Monselice. Parcheggiamo, anche qui in un ampio parcheggio gratuito, vicino al castello e iniziamo una passeggiata per visitare il centro storico. Partiamo appunto dal castello, dove però si può entrare solo con visite guidate ad orari fissi.

 

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Non abbiamo voglia di aspettare così ci limitiamo a visitarlo dall’esterno. Passiamo a vedere piazza Mazzini con la duecentesca Torre Civica, poi andiamo verso la fontana di Botta, la Loggia, l’antica pieve di Santa Giustina e costeggiamo il muro di recinzione di villa Nani (decorato da statue …di nani e, cosa che ci stupisce parecchio, da tantissime piante di capperi).

 

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Prendiamo infine la direzione del Santuario delle Sette Chiese.

L’ingresso avviene varcando la Porta Romana ed entrando nel Santuario Giubilare composto da sei cappelle erette tra il 1605 e il 1615. Papa Paolo V, nel 1605, concesse l’indulgenza plenaria al Santuario in egual misura a quella concessa ai fedeli delle maggiori Basiliche di Roma.

 

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Alcuni mesi fa, in occasione del Giubileo, avevamo percorso a piedi l’originale giro delle sette chiese, un antico pellegrinaggio di oltre 20 Km. che tocca le quattro basiliche principali di Roma più altre tre chiese simbolo della capitale. Se all’arrivo, decisamente provati, ci avessero detto che di lì a pochi mesi, avremmo ripercorso il giro delle sette chiese, ci saremmo fatti una bella risata, e invece….

Il percorso è gradevole e non impegnativo, offre un bel panorama sulla città e termina con la bella Villa Duodo e il suo coreografico belvedere.

 

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Tornati all’auto decidiamo di trascorrere il resto della giornata girando senza meta tra le stradine tranquille a panoramiche dei Colli per poi concludere con una veloce puntata ad Abano Terme prima del rientro.

E’ stato un piacevole fine settimana non lontano da casa per scoprire quell’Italia minore della quale a volte ci si dimentica, ma che è sicuramente interessante e ricca di fascino.

Glacier-Waterton International Peace Park

Glacier-Waterton International Peace Park

Visita a due bellissimi parchi di montagna tra il Montana e l’Alberta dove l’orso è di casa.

 

Il progetto dei parchi della pace

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Glacier National Park nel nord del Montana (USA) e Waterton Lakes National Park nel sud dell’Alberta (Canada) rappresentano un esempio di collaborazione internazionale volta a preservare un delicato ecosistema comprendente laghi, ghiacciai e morene. Da qui l’appellativo di “parchi internazionali della pace”. In questo ambiente che offre paesaggi di una bellezza unica, veri e propri angoli di paradiso, vive una ricca fauna di abitanti di laghi, monti e foreste: orsi, alci, cervi, wapiti, caprioli, capre di montagna, marmotte, scoiattoli, lontre, il raro ghiottone tipico di questo territorio. La regina dei parchi è la Going To The Sun Road, la famosa strada di Shining. Il re dei parchi invece è l’orso, presente qui in quasi un migliaio di esemplari (3-400 grizzly e 5-600 black bears), che è quasi impossibile non incontrare lungo strade e sentieri.

Glacier National Park

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Raggiungo il Glacier National Park da sud, dopo un lungo trasferimento da Cody attraverso Wyoming e Montana (vedi il precedente diario su Yellowstone). Qualche problema con il navigatore di Google Maps, che non individua la strada più breve. Poco male, sceglie un percorso scenografico che attraversa la Custer Gallatin Forest e la Nez Percé Clearwater National Forest, poi sale verso il Montana lungo la highway US 93 lasciando sulla destra il Mission Range, altro massiccio delle Rocky Mountains, e costeggiando il grande Flathead Lake.  Per l’alloggio ho scelto il Glacier Travel Inn a Columbia Falls, posto proprio sulla US 2 a solo 25 km di distanza dall’ingresso Ovest del parco. Anche per questo parco, come a Yellowstone, le soluzioni di alloggio nei lodge all’interno sono molto care, da 200-250 € per notte in su, mentre scegliendo una sistemazione esterna si spende circa la metà.

Il Glacier National Park con i suoi 26 ghiacciai, 200 laghi, 1000 miglia di fiumi, cascate impetuose e cime maestose, è uno dei parchi americani più belli e affascinanti.  Due catene montuose attraversano il parco da nord-ovest a sud-est, le Livingston Mountains a ovest e più a est il Lewis Range. Ci sono 32 picchi oltre i 2700 metri, tra cui il più alto è il monte Cleveland (3192 metri). Le montagne del parco hanno uno stupendo colore bruno-viola, dovuto alla natura sedimentaria e alla presenza di minerali di ferro. In alcuni punti assumono tonalità di verde e grigio-rossastro per presenza di argilla e quarzite. Le variazioni di colore delle pendici montuose si notano a primo acchito durante la visita.

Caratteristica di questa meraviglia della natura sono i numerosi ghiacciai, che però è meglio affrettarsi a vedere perché stanno a poco a poco scomparendo. Da 110 che erano nel 1950, oggi sono solo 26 e si stima che entro il 2020 si estingueranno tutti. Secondo i geologi, resteranno ancora ridotte formazioni di ghiaccio e nevai permanenti, ma molti spettacoli naturali che caratterizzano questo parco sono destinati a un incredibile cambio di fisionomia.

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La prima sorpresa è proprio all’ingresso. Arrivo presto di mattina, il gate è aperto ma non c’è nessun ranger in giro. Che si fa… si entra o non si entra? Un cartello seminascosto indica che bisogna mettere i 30 dollari dell’ingresso in una busta, compilarla col proprio nome e col numero di targa della macchina e ripeterli su una ricevuta da staccare. Poi si mette la busta in una buca delle lettere e si inizia la visita. La ricevuta servirà per ogni altro ingresso nell’arco di una settimana. Come me, altre due coppie di visitatori fanno lo stesso. Notare bene che nessuno è lì a controllare se uno i 30 dollari li ha davvero messi in busta. Tutto basato sulla fiducia.

Going to the sun road – tratto Ovest

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La principale attrattiva del Glacier Park è la Going To The Sun Road, una delle strade panoramiche più incredibili d’America, che in 80 km taglia il parco lungo laghi e montagne e sale fino al Logan Pass (2026 metri), dando quasi l’idea di inerpicarsi verso il sole. E’ la famosa strada che si vede in Shining, quella percorsa da Jack Nicholson, alias Jack Torrance, mentre si dirigeva al famigerato Overlook Hotel (che però è nel Colorado, mentre le riprese furono girate in un albergo dell’Oregon).

Ann, la gentilissima hostess del motel, mi ha avvisato che il Logan Pass riaprirà solo il 18 giugno, causa neve, e che di conseguenza la strada è interrotta e percorribile solo in due tratti separati. La visita comincia quindi dall’ingresso Ovest lungo il Mc Donald Lake, per una ventina di km fino al Trail of the Cedars, il sentiero dei cedri. Da qui bisogna tornare indietro e riprendere la US 2 che corre lungo tutto il confine sud-est del parco. Noto con un certo stupore che nel lago non c’è neanche un’imbarcazione, ma il mistero verrà svelato poco più avanti.

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Parallela alla US 2 highway corre la linea ferroviaria panoramica Empire Builder della Amtrak, che collega Chicago con Seattle e ha due fermate proprio alle porte del parco. Molti visitatori giungono qui proprio col treno.

Il punto delle capre 

Lungo la highway ci sono alcuni punti di osservazione, tra cui il “goat lick overlook”, il punto delle capre, posto proprio davanti al ponte ferroviario arroccato su un crinale di montagna: se volete fare una bella foto al treno dell’Amtrak sospeso sul ponte di legno, tenete presente che transita di qui tutti i giorni verso le 8 e mezza di mattina. Il “goat lick” è a un centinaio di metri di distanza sulla destra, lungo il fiume Flathead. Il “lick” è un ripidissimo pendio scosceso ricco di sale, sul quale le capre di montagna zampettano mantenendosi miracolosamente in equilibrio senza alcuna difficoltà apparente. Le bianche caprette dalla barbetta mefistofelica leccano la superficie alla ricerca di sali di calcio, potassio e magnesio per reintegrare le perdite di questi minerali a cui vanno incontro durante l’inverno. Per inquadrarle bene ci vuole un teleobiettivo.

 

Two Medicine Lake e il problema delle cozze di montagna

Proseguendo lungo la US 2 si raggiunge l’East Glacier gate e da qui la prima delle strade che virano verso l’interno lungo le vallate che si aprono nel parco, quella che porta ai laghi Two Medicine incastonati tra i monti. I paesaggi lungo il percorso sono incantevoli. Le vette delle Rocky Mountains qui assumono un colore bruno-violetto, con cappuccio bianco di neve che ancora si deve sciogliere. Già da questa prima visione ci si rende conto che i ghiacciai purtroppo stanno scomparendo e oggi rimangono solo le morene scoperte.  Arrivati al secondo lago, un cartello avverte che la navigazione su tutti i laghi del parco è interdetta a causa della proliferazione di molluschi che stanno infestando le acque. Si tratta di mitili d’acqua dolce simili a cozze del genere dreissena, dette “quagga” e “zebra”. I molluschi si riproducono rapidamente e crescono a migliaia e migliaia soprattutto in prossimità dei pontili, dei docks e dei canali di scolo. Questi ospiti indesiderati sottraggono ossigeno e nutrienti all’ambiente lacustre, riducono la disponibilità di zooplancton e producono di conseguenza una forte diminuzione della popolazione di trote, salmerini  e ciprinidi che si trovano in scarsità di risorse alimentari, mentre le alghe sono già quasi del tutto scomparse.

Le imbarcazioni, sul cui fondo i molluschi aderiscono, sarebbero un veicolo di diffusione dell’infestazione verso altri punti dei laghi non ancora toccati dai maledetti bivalvi. Di conseguenza, la autorità del parco hanno preso la drastica decisione di proibire la navigazione, sia pubblica che privata.

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Nel secondo dei laghi Two Medicine, “the lake of the rising wolf mountain” (il lago della montagna del lupo che sale) è possibile fare un po’ di kayak, ma solo con quelli forniti dall’organizzazione che vengono accuratamente bonificati ogni due giorni.

Mai e poi mai avrei pensato che le cozze potessero costituire un problema per i laghi di montagna.

Going to the sun road – tratto Est 

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Da Two Medicine ritorno alla US 89 proseguendo verso il centro di visitatori di St Mary, che è il più importante del parco e anche il posto più fornito per comprare dei souvenir. Il trasferimento è abbastanza lungo (50 km circa), ma la strada è bella, corre su e giù per le colline aprendosi ogni tanto in viewpoints che offrono scorci dei laghi e dei ghiacciai ancora compatti. In alcuni punti ci sono raffigurazioni e ricostruzioni che ricordano l’insediamento indiano in questo territorio da parte delle tribù Corvi e Piedi Neri.

Appena dopo il St Mary Visitor Center inizia il secondo tratto percorribile della Going To The Sun Road, ovvero quello finale per chi arriva qui dopo avere superato il Logan Pass.

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Questo tratto di strada, che costeggia il St Mary Lake, è semplicemente meraviglioso.  A ogni angolo, a ogni curva, si aprono visioni stupende. Alcuni punti che non si dimenticano facilmente: Wild Goose Island, l’isola dell’oca selvaggia – Rising Sun, la valle del sole nascente – Sun Point, dove sorge il sole – il fronte del Jackson Glacier – Harrison Glacier, Sperry Glacier e i “defunct glaciers” Pumpelly, Pumpkin e Red Eagle – le baie e le insenature del lago – le cascate che si aprono lungo la strada. La strada è aperta fino al Jackson Glacier Overlook proprio davanti all’imponente massiccio della Going-to-the-sun Mountain, a cui fanno cornice Amphiteater Mountain, Heavy Runner Mountain e altri massicci che sembrano sorgere dalle acque. Molti sentieri si aprono lungo il percorso. Persino un pigrone come me non può rinunciare a percorrere qualcuno di quelli che dalla strada scendono verso il lago: quello vicino alla gola Sunrift Gorge e quello accanto che porta alle Baring Falls.

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Lungo la strada si incrociano spesso i “jammer”, caratteristici miniautobus scarlatti in stile vintage che accompagnano i visitatori privi di auto propria verso i luoghi più belli da ammirare.

Appena dopo il Jackson Overlook c’è il cartello “road closed – opening June 18th” e bisogna tornare indietro.

Many glacier road  

Se Going-to-the-sun è la strada più famosa, la Many Glacier road che si trova nel nord nel parco, una ventina di miglia dopo essere rientrati sulla US 89, è quella più ricca di sentieri di trekking che raggiungono ghiacciai nascosti e lontani. La strada costeggia il lago Sherburne, poi raggiunge lo Swiftcurrent Lake e il Josephine Lake. Sulle sponde dello Swiftcurrent Lake c’è lo storico Many Glacier Chalet, famoso tra gli appassionati di trekking che frequentano questa zona del Montana dato che da qui partono i sentieri più belli di tutto il Glacier Park. Many Glacier è un bellissimo hotel in stile rustico messo in una posizione invidiabile, con un solo difetto: per meno di 300 dollari a notte è difficile trovare una camera.

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Lungo l’istmo che unisce i due laghi c’è un grande assembramento di veicoli. Dato che provengo da Yellowstone, so già che questo significa presenza di fauna selvatica. Infatti: l’oggetto di tanto interesse è un magnifico grizzly dal pelo fulvo che si aggira tranquillo al limitare della strada in cerca di bacche. Un ranger cerca disperatamente di trattenere la gente dentro le auto ma non c’è niente da fare: con grande circospezione ormai siamo già scesi in una decina e ci avviciniamo furtivi all’oggetto del desiderio fotografico. L’orso sembra infischiarsene di tanta attenzione e continua a spostarsi lungo il ciglio della strada cercando nuove fronde. Ogni tanto alza la testa e ci guarda, che poi è tutto quello che speravamo perché così riusciamo a riprenderlo di fronte. Una foto ravvicinata è allegata al diario. Da non più di 4 metri riesco persino a fargli un filmino di una ventina di secondi. Poi finalmente, con grande sollievo del ranger, l’orso devia verso l’interno della boscaglia e a poco a poco scompare alla vista.

Il ranger, dopo avere redarguito tutti gli astanti, ci dice che questo atteggiamento di indifferenza da parte dei grizzly nei confronti dell’uomo è abbastanza comune, ma bisogna stare attenti perché ci sono altri orsi che, al contrario, non tollerano la presenza dell’uomo, diventano aggressivi e quindi possono essere osservati solo rimanendo in auto.  E’ notizia di un mese fa l’attacco mortale di un grizzly a un uomo in mountain bike nella foresta dei laghi Halfmoon a circa tre miglia dal West Glacier gate. Tra l’altro, l’uomo ucciso era proprio un ranger in perlustrazione. Questa consapevolezza ha sicuramente acuito il nervosismo del ranger di Many Glacier Road, fermo restando che il comportamento di noi che siamo scesi dalla macchina è stato estremamente imprudente. Il “bear jam”, congestione di persone e veicoli che si crea quando appare un orso lungo la strada, è una situazione di pericolo per tutti, orso compreso.

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I sentieri che partono dal Many Glacier Chalet portano ad alcuni tra i più bei ghiacciai nascosti del parco. Questa zona è la migliore sia per le passeggiate che per le possibilità di avvistamento di animali. Il sentiero di 9 km che porta al Grinnell Lake e al Grinnell Glacier è un mito tra gli escursionisti. Qualche tempo fa era più facile, perché si poteva raggiungere la base del ghiacciaio con le barche-taxi che attraversano i primi due laghi che si incontrano lungo il sentiero. Adesso però la navigazione è interdetta, come ho spiegato prima, e quindi bisogna fare l’intero tragitto a piedi. L’incontro con gli orsi lungo questo percorso è molto probabile, per cui conviene tenere a portata di mano lo spray antiorso.

Waterton Lakes National Park  

Da St Mary si sale lungo la N 89 fino a incrociare, dopo Babb, la US 17 “Chief Mountain Highway”, che dopo una ventina di miglia del tutto prive di traffico raggiunge il confine col Canada. La Chief Mountain, un possente massiccio cilindrico simile ai butte della Monument Valley, si erge ai lati della strada come un guardiano severo che controlla il transito verso il Canada.  Un piccolo obelisco marca il confine. Formalità doganali rapidissime, arrivando via terra non serve l’ETA, il permesso scritto. Image may be NSFW.
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Fanno solo aprire il portabagagli per vedere cosa hai dentro, ed eccoci nell’Alberta. Fotoricordo di prammatica davanti al grande cartellone “Welcome to Alberta – the wild rose country” e via sulla NR 6 che prosegue verso Nordest. Attenzione che da qui in poi i limiti di velocità sono espressi in kilometri, non più in miglia. Quelli canadesi sono persino più restrittivi di quelli americani (80 km/h sulle highways e 30 km/h nei centri abitati).

Poco dopo l’incrocio con la NR 5 c’è il gate del Waterton Lakes National Park. Questo piccolo parco lacustre, sconosciuto a molti, occupa 500 kmq nel sud dell’Alberta al confine con il Montana negli USA. Il parco costituisce un insieme unico con il Glacier Park statunitense, con cui condivide il grande Upper Lake e molti sentieri transnazionali. L’ingresso è gratuito, ma non è tutto: mi consegnano anche un “discovery pass” valevole per entrare gratuitamente in tutti i parchi canadesi, valido fino alla fine del 2017…. uno stimolo per ritornare, chissà.

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La zona umida di Maskinonge (che vuol dire “pesce brutto e grosso” nella lingua degli indiani Chippewa) è il primo lago che si incontra, a poche centinaia di metri dal gate. Il paesaggio a Maskinonge Overlook è da cartolina, ma fermatevi a leggere i tre manifesti, di cui uno scritto in idioma indiano, che descrivono le bellezze di questa zona umida. Nel lago sguazzano anatre selvatiche, otarde e falchi pescatori, e c’è possibilità di avvistare cervi e alci, ma solo all’alba e al tramonto.

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Dopo pochi kilometri si raggiunge il delizioso villaggio montano di Waterton, adagiato sulle rive dell’istmo tra Middle e Lower Waterton Lake. D’inverno ci vive solo una quarantina di persone, ma d’estate il borgo si rianima e si ripopola fino a superare il migliaio di residenti. Il colorato e barocco Prince of Wales hotel domina il centro abitato dall’alto di una collina, visibile da ogni punto ci si trovi, offrendo un colpo d’occhio eccezionale sui tetti rossi e azzurri degli edifici che si riflettono nel lago. Nello specchio d’acqua in centro paese però si vedono solo canoe e qualche barca a remi. Anche in questi laghi la navigazione è stata proibita per via del problema delle cozze d’acqua dolce, quindi niente battelli e niente servizio di vaporetti che raggiungevano l’Upper Lake in territorio statunitense. Se nel frattempo le corse dovessero essere riprese, ricordate di portare il passaporto, altrimenti non vi fanno scendere dal battello.

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Il villaggio di Waterton merita senz’altro una visita, almeno per una rilassante passeggiata tra il lungolago e la spettacolare cascata Cameron Falls, che al crepuscolo viene illuminata per rendere più suggestiva la visione. La cascata scende lungo la roccia più antica di tutta la catena delle Canadian Rocky Mountains, un basamento di età precambriana visibile sulla sinistra che risale a 1500 milioni di anni fa. Nei parchi cittadini circolano liberamente le grandi bighorn sheeps dalle corna ricurve, che pascolano indisturbate anche nel campeggio tra le roulotte.

La visita al parco si svolge lungo due percorsi, Akamina Parkway e Red Rock Parkway.

La Akamina Parkway si imbocca a nord di Waterton e, attraversando la valle tra Bertha Peak e Crandell Peak lungo il profondo canyon dell’Akamina River, raggiunge dopo una ventina di km il Cameron Lake quasi al confine con la British Columbia. Le bighorn sheeps attraversano spesso la strada scendendo dalle rocce, quindi bisogna guidare piano e stare molto attenti. Nuovo assembramento di auto lungo il percorso, poco dopo le ultime case di Waterton: questa volta il protagonista è un grizzly che ha scelto uno spuntone di roccia per sonnecchiare al sole, a una ventina di metri dalla sede stradale. La strada, in molti tratti stretta e ripida, raggiunge il sito di Discovery Well dove fu aperto il primo pozzo di petrolio del Canada Occidentale, poi le rovine di Oil City dove vivevano i lavoratori del bacino petrolifero, quindi il passo Kishinena che mette in comunicazione l’Alberta con la British Columbia e finalmente raggiunge il lago Cameron, un gioiello subalpino con i pendii segnati dalle valanghe invernali, abitati da una nutrita colonia di orsi. I paesaggi delle vallate e del canyon sono da stropicciarsi gli occhi.

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La Red Rock Parkway inizia a 3 km da Waterton lungo la strada che porta al centro visitatori. In 15 km raggiunge il Red Rock Canyon, uno stretto canyon di rocce rosse ferruginose formato dai torrenti che scendono dalle montagne Glendowan e Dungarvan. Nel tratto vicino all’area di parcheggio principale ci sono dei bacini tra le rocce dove si può fare il bagno, sempre affollati di gente. Lungo la strada ci sono alcuni viewpoints nei punti strategici dove è più facile incontrare gli animali. A Bellevue Hill Point un branco di caprioli è praticamente di casa tutto il giorno, mentre al mattino presto o alla sera arrivano anche gli orsi e i wapiti escono dalla foresta sulla collina per le quotidiane razioni di erba fresca.

 

Ritorno a Columbia Falls 

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L’intensa giornata canadese volge al termine. Gli alci nella laguna di Maskinonge non si vedono neanche adesso, pazienza. La highway che porta negli USA è ancora più deserta di quanto non fosse all’andata, mentre la sagoma severa della Chief Mountain proietta le ombre lunghe della sera sul percorso. Il doganiere americano è un po’ più scrupoloso di quelli canadesi. Appena si accorge che sono italiano prorompe in un lungo racconto sul suo fidanzamento con una ragazza di Trapani durato due anni, e vuole sapere tutto sulle ultime novità in Italia. Cerco di parlare solo di cucina e calcio, cosa che lo soddisfa molto. Dice che mi farà un regalo: mi chiedo cosa diavolo vorrà darmi, poi quando mi restituisce il passaporto mi mostra sorridendo il timbro che ha messo: Port of Chief Mountain … con tanto di orso disegnato! Se vi capita di passare da questo posto di frontiera, fatevelo mettere anche voi. E’ l’unico punto frontaliero fra Canada e USA dove hanno il disegno dell’orso nel timbro.

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Torno a Columbia Falls scegliendo di fare la Montana 464 che passa da Babb e Browning, nel pieno del Blackfeet Territory, cioè la regione dove vivono i discendenti della tribù dei Piedi Neri. All’ingresso di Browning si nota subito il bianco Wigwam Café Espresso, proprio a forma di tenda indiana: non ci si può esimere da una sosta per un espresso ristoratore. La gentilissima barista dai caratteri somatici chiaramente indiani mi indica una specie di gazebo dove raccolgono le firme per la costituzione di una regione autonoma per le tribù Blackfeet, Salish e Kootenai, invitandomi a firmare la petizione. Mi dice che avevano già un mezzo accordo con Obama, che era venuto qui in visita nel 2016, ma adesso c’è Trump….

Cena al Back Room Restaurant di Columbia Falls e preparativi per il ritorno in Italia.

 

Conclusione 

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Glacier e Waterton sono due parchi di puro splendore paesaggistico e naturalistico, dove si è completamente immersi in scenari magnifici. Gli effetti della contaminazione portata dall’uomo si fanno sentire anche qui, portando conseguenze terribili come lo scioglimento dei ghiacciai e l’introduzione di specie esogene. Ma la bellezza dei luoghi rimane eccezionale, al punto che a volte ci si sente degli intrusi di fronte agli spettacoli naturali, mentre altre volte ti sembra di essere parte di questo ambiente e dei suoi abitanti. E’ la sensazione che ho provato trovandomi a quattro metri da un orso che non si curava minimamente della mia presenza, come se anch’io fossi un abitante dei boschi come lui.

Luigi

luigi.balzarini@tin.it

 

DANIMARCA… pezzo dopo pezzo!

Molti dei viaggiatori che partono alla scoperta della Danimarca si fermano alla sua capitale, Copenaghen. Nel nostro tour di 5 giorni ci spingeremo un po’ oltre, per vedere cosa c’è al di là delle spalle della celebre statua della Sirenetta che, silenziosa, se ne sta nei pressi del porto cittadino.

Le tappe principali, che raggiungeremo con un’auto presa a noleggio dopo aver visitato la capitale, sono le seguenti: il castello di Frederiksborg a Hillerod, Roskilde, il castello di Egeskov, Odense e Billund (Legoland).

Non è un mistero che la Danimarca sia piuttosto costosa. Quindi, prima di partire, mettete in conto che non sarà un viaggio economico. Le possibilità di risparmiare qualcosa sull’alloggio (scegliendo ostelli o strutture di categoria inferiore) o sui pasti (si può andare nelle panetterie, nei fast food o nei supermercati) sono svariate. Però non risparmiate su tutto altrimenti non vi godrete il viaggio come meriterebbe!

 

PRIMO GIORNO: Copenaghen

Da quale momento si può definire iniziato un nuovo viaggio? Io non ho dubbi: dalla prima panetteria che si incontra usciti dalla stazione della metropolitana. “Due paste danesi (che qui chiamano viennesi) al cioccolato, per favore”. Una meraviglia di sfoglia, burro, cannella e cioccolato. Bene, che il viaggio in Danimarca abbia inizio!

Raggiungiamo Copenaghen tramite un volo Ryanair in partenza da Bergamo alle 6.35. Lo spostamento verso il centro città è davvero un gioco da ragazzi grazie ai percorsi facilmente segnalati. Si può scegliere tra il treno e la metro ma noi optiamo per la seconda (sia la linea 1 che la 2 portano in centro). Il costo del biglietto è di 36 DKK (3 zone) ma potete valutare anche un comodo ticket giornaliero (City Pass a 80 DKK) utilizzabile per 24 ore su tutti i mezzi pubblici.

Il nostro hotel a Copenaghen è il CPH Living Hotel (costo per camera per notte circa 1.100 DKK). Si tratta di una grande chiatta galleggiante con un’ampia finestra sul fiume. Slotsholmen e gli altri quartieri del centro cittadino sono proprio davanti ai nostri occhi. La location è formidabile e si può raggiungere il centro in 15-20 minuti a piedi o, molto più comodamente, in 5 minuti con una bicicletta a noleggio (150 DKK/ 20€ per tutto il giorno).

Il cielo è grigio ma non piove. Pronti, partenza… via! Iniziamo a visitare la città!

Eccoci subito sullo splendido canale di Nyhavn (la tipica immagine da cartolina della città), con i suoi edifici colorati affacciati sul canale, a cercare un tour in battello (ci sono un paio di compagnie e il costo è di 80 DKK). E’ un buon modo per farsi un’idea della città. Mentre la barca, bassa e tozza, scivola sull’acqua, davanti ai nostri occhi scorre Copenaghen con i suoi campanili curiosi, antiche navi, edifici in mattoni rossi, canali e strutture super moderne. Ricorda un po’ Amsterdam (ma non regge il confronto).

Dopo pranzo passeggiamo lungo lo Stroget, la via dello shopping cittadino: negozi di abiti firmati, ristoranti, un Lego Store e tanti oggetti di design. La zona è ben tenuta e vi sono anche alcuni angoli caratteristici. Pur essendo lunedì, la città brulica di vita. E basta poco per accorgersi di quanto sia bello il popolo danese. Hanno splendidi occhi azzurri e capelli biondissimi ad incorniciare i lineamenti fini del viso. Sembrano divinità vichinghe mentre pedalano fieri sulle loro biciclette che, spesso, sono pure dotate di un carrello in cui caricano indistintamente bambini e animali domestici. Meravigliosi e ultraterreni.

Avete presente la fiaba di Alice nel Paese delle Meraviglie? Varcare le soglie di Tivoli è la stessa cosa. Chiudi gli occhi e ti ritrovi in un sogno. Si, un sogno dove palazzi da mille e una notte vanno a braccetto con giostre di inizio ‘900, dove in laghetti infestati da pirati si riflettono le luci di centinaia di lanterne rosse, dove lo zucchero filato gira più veloce di una giostra di cavalli. Sembra di essere finiti chissà dove e invece siamo a Tivoli, il parco di divertimenti aperto nel 1843 nel cuore di Copenaghen.

Ci entriamo nel tardo pomeriggio, quando il cielo ha terminato di scaricare la pioggia. L’atmosfera serale è davvero fantastica. Il biglietto di ingresso costa 120 DKK e non da diritto praticamente a nulla perché tutte le giostre costano dai 25 ai 75 DKK.

 

SECONDO GIORNO: Copenaghen

Ma dove vai bellezza in bicicletta? ” diceva una vecchia canzone. “A zonzo per Copenaghen”, risponderei io. E grazie per “bellezza”! Oggi ci mescoliamo tra i danesi, patiti delle due ruote. Ok, non essendo biondi siamo poco credibili. Però lasciatemelo credere.

Iniziamo la visita da Slotsholmen con i suoi palazzi, la biblioteca (sia la vecchia sezione che la nuova chiamata “Diamante Nero”) e il giardino dove un pover uomo sta raschiando le alghe dal fondo della fontana.

Continuiamo passando accanto al Palazzo della Borsa (con la sua guglia attorcigliata) e arrivando ad Amalienborg, il palazzo dove abita la regina. Ne approfittiamo per gossippare alle sue spalle, scoprendo la sua storia e quella della sua discendenza. Nel frattempo arriva mezzogiorno l’ora del cambio della guardia. Un gruppetto di soldati in divise curiose ed improbabili sfila davanti a noi. C’è una calca incredibile, eccessiva per lo spettacolo che, in fondo, è piuttosto noioso.

Poco oltre, la grande cupola della Marmorkirken ci invita ad entrare (ingresso gratuito). L’interno è austero e pieno di marmi.

Rieccoci in strada. Risaliamo lungo il porto andando verso nord. La folla all’orizzonte ci conferma che ci stiamo avvicinando alla Sirenetta, il simbolo di Copenaghen. Ok, concordo sul fatto che sia deludente. Ma allora perché si fanno tutti un selfie con lei (me incluso)?

Il giro di Copenaghen in bicicletta prosegue con lo splendido e verdissimo Kastellet (ingresso gratuito). Sembra di essere in campagna (c’è pure un mulino) ma, in realtà, siamo in una fortezza.

Il nostro stomaco ora reclama il pranzo: un panino con un ottimo salmone! Recuperate le energie, raggiungiamo il Rosenborg Slot, un romantico castello del 1600 circondato da bei giardini pubblici. Ci mettiamo in coda per visitare l’ingresso (all’esterno si può accedere gratuitamente) ma la pioggia e i tempi di attesa ci scoraggiano. Anche se è leggermente fuori rispetto al centro, vale assolutamente la pena di visitarlo. Se poi ci capitate in una bella giornata, godetevi un po’ di relax nel parco (Kongens Have).

Un po’ defilato rispetto al resto della città ed esattamente dall’altro lato rispetto a dove ci trovavamo, ecco Cristiania. A dispetto del nome, si tratta di un quartiere indipendente dove la comunità è autogestita e dove vengono liberamente vendute le droghe leggere. Il quartiere è un mix di colori, vegetazione selvaggia degrado e villaggio caraibico. L’odore della marijuana qui pizzica le narici. Meglio allontanarci se vogliamo rientrare in albergo sulle nostre biciclette!

Dato che è ancora piuttosto presto, decidiamo di visitare un museo. Gli altri chiudono alle 17 quindi puntiamo verso il NY Carlsberg Museum (ticket 95 DKK). Che delusione! All’interno ci sono diverse sezioni con reperti delle civiltà mediterranee e qualche quadro dell’800. Non ne rimaniamo particolarmente impressionati. Per fortuna che, essendo martedì, il biglietto è gratuito (lo abbiamo scoperto sul momento).

La sera riprendiamo le biciclette e andiamo al Papiroeen, un vecchio capannone recuperato dove, all’interno, si trovano numerosi street food. Peccato che le cucine chiudono alle 21 (i bar invece rimangono aperti ancora per un po’)!

 

TERZO GIORNO: Hillerod, Roskilde e Soro

Aspettative altissime per la prima tappa fuori Copenaghen. Avevo letto che il Castello di Frederiksborg a Hillerod era uno dei più belli d’Europa (ingresso 75 DKK). “Ooooh! Esagerati!”, mi sono detto. Poi, ritirata la macchina a noleggio, in 40 minuti arrivi davanti a questo immenso castello di mattoni rossi e guglie in rame e rimani a bocca aperta. Le torri, i laghetti che circondano il castello, i giardini barocchi perfettamente disegnati (ad essi si accede gratuitamente). A me viene subito un formicolio. Di quelli che mi capitano raramente quando mi trovo in un luogo perfetto e immortale.

Non che gli interni siano da meno: mobili, stucchi e dipinti riempiono le belle sale. Ma gli ambienti più belli sono la cappella, carichissima di angioletti paffuti e dorati, e la Sala delle Udienze dal soffitto sontuoso. Come si fa a concepire tanta magnificenza?

Nel primo pomeriggio ci spostiamo a Roskilde (viaggio in auto 45 min) dove, una cinquantina di anni fa, sono state riportate alla luce cinque navi vichinghe del XI secolo ora custodite in un apposito museo (130 DKK). La cosa più curiosa è dove le hanno recuperate: direttamente dal fondo del mare! Il porto nei pressi del museo è molto operoso. Ci sono ricostruzioni di barche vichinghe che portano a spasso i turisti, cantieri navali “vecchio stile” e numerose attività per i bambini. La visita è interessante ma, a mio avviso, non così imperdibile. Ad ogni modo, avvisto due barchette in legno incustodite e, in una vasca d’acqua, insceno subito una battaglia navale!

A Roskilde si trova anche la famosa Cattedrale. Pare sia la chiesa più bella di tutta la Danimarca (vi sono sepolti decine e decine di reali) ed è pure nelle liste dell’UNESCO. L’ingresso è a pagamento (60 DKK) ma non ci colpisce particolarmente. Sicuramente è bella ma noi italiani siamo abituati bene ed abbiamo altri parametri.

Altri 45 minuti di viaggio ci separano da Soro, la cittadina in cui trascorreremo la notte. Abbiamo deciso di fermarci qui in quanto si trova lungo la strada che raggiunge l’isola di Fyn, la nostra meta di domani. L’hotel Cromwell Soro è decisamente caro (circa 1.500 DKK per camera per notte) e deludente. A cena, inoltre, non fiata alcun commensale e siamo a disagio.

Quando da piccolo non facevo il bravo, la mamma mi diceva: “ti mando in collegio”. Se mi avesse mandato al collegio di Soro, una sonnolenta e spentissima cittadina danese “famosa” per la sua accademia per giovani rampolli, avrei probabilmente rigato dritto senza batter ciglio. Ci sono alcune casette carine e un lago ma… che posticino triste e desolante!

 

QUARTO GIORNO: Egeskov, Odense e Kolding

Il capriccioso tempo danese oggi da sfoggio del suo lato peggiore. Una pioggerella insistente, infatti, torna spesso a rinfrescarci le idee. Armati di mantelline impermeabili, dopo circa un’ora di viaggio in auto che ci porta sull’isola di Fyn attraversando il Storebæltsbroen (spettacolare ponte lungo 18 km con pedaggio di ben 240 DKK ad auto), eccoci varcare le soglie del Castello di Egeskov (220 DKK). Ma non si tratta “solo” di un castello.

L’attrazione principale è il bellissimo palazzo della metà del ‘500 scenograficamente costruito su un laghetto, che conserva ancora all’interno l’arredo e gli allestimenti originali. Non è ricco come quello di Hillerod di ieri ma è molto interessante. Nelle soffitte è stato pure allestito un museo del giocattolo.

Come se questo già non fosse sufficiente per venire fin qui, il parco attorno al castello è pieno di attrazioni per tutta la famiglia: l’immensa esposizione di veicoli d’epoca (inclusi aerei, camper e mezzi di soccorso) per la gioia dei papà, un piccolo museo di ricchi abiti nobiliari per le mamme e un’infinità di giochi per i bambini (alcuni tanto belli che ho rimpianto di non avere più 10 anni). Ad un certo punto non abbiamo più resistito e ci siamo arrampicati anche noi a 15 metri dal suolo dove, tramite ponti traballanti, abbiamo attraversato un boschetto.

Ci sarebbe da restarci per tutta la giornata ma noi abbiamo altre mete in programma così, nel primo pomeriggio, ripartiamo per Odense (viaggio 30 minuti).

C’erano una volta la Sirenetta, il brutto anatroccolo, il soldatino di piombo, la piccola fiammiferaia e molti altri. No, non sto dando i numeri né facendo un frullato di fiabe. Tutti questi personaggi sono nati dalla penna di Hans Christian Andersen, uno degli scrittori danesi più amati. Chi non ha mai sentito raccontare le sue fiabe da bambino?

Siamo ad Odense, la sua città natale. Tra le antiche casette basse e colorate, i vicoli acciottolati e all’ombra del duomo del XIV secolo (con esposto lo scheletro di san Canuto dai discutibili trascorsi), si trovano molti riferimenti allo scrittore e qualche monumento a lui dedicato. Altrettanto monumentale la merenda di Giorgio. Andersen potrebbe scriverci una nuova fiaba (speriamo dal lieto fine).

Il centro di Odense è purtroppo deturpato da un grande cantiere che lo divide in due zone (stanno ridisegnando la viabilità) ma vale comunque la pena di dedicare un paio di ore alla visita della cittadina. La Lonely Planet parla addirittura di un paio di giorni ma a me pare decisamente troppo (a meno che non decidiate di visitare i parchi tematici per bambini dei dintorni).

La sera mi calo perfettamente nei panni di un borghese di inizio XX secolo in villeggiatura estiva lungo le tranquille acque del fiordo di Kolding (nello Jutland). L’hotel, anzi il palazzo in cui pernottiamo stanotte, è lo splendido Koldingfjord (circa 1.600 DKK per una junior suite per notte). All’esterno è un elegante edificio di inizio ‘900 mentre all’interno è un mix di design e antichità. Splendido e rilassante.

Abbiamo però riscontrato che cenare negli hotel danesi è piuttosto limitativo (il menù ha spesso solo 5 portate) oltre ad essere molto costoso. Ne approfittiamo quindi per andare alla scoperta di Kolding, una cittadina poco distante e collocata all’estremità del fiordo. Sono tutto gasato per essere riuscito a convincere Gio ad accompagnarmi a fare due passi. Per di più il posto é molto carino e, dopo la desolazione di ieri sera, è bello vedere movimento (seppur pacato) lungo le strade.

Ceniamo in un “all you can eat” giapponese (spesa circa 35€ a testa) che, pur essendo decisamente poco tipico, è una valida alternativa per chi non magia carne (nei ristoranti si fa fatica a trovare piatti di pesce o vegetariani).

Dopo cena risaliamo la collina del castello, un interessante esempio di recupero moderno, ed ammiriamo il panorama dall’alto. Il cielo la sera è luminoso e la luce del tramonto dipinge di rosa e viola le nuvole che, finalmente, hanno perso quell’aria minacciosa che assumono durante il giorno.

 

QUINTO GIORNO: Billund (Legoland)

Il sogno di un bambino (danese) è andare a… Legoland! Dalle bocche aperte e dagli occhi luccicanti, qualcosa mi dice che anche gli adulti non vedono l’ora di entrare in questo fantastico parco divertimenti dove tutto è costruito con i famosi mattoncini.

Il parco si trova a Billund (viaggio 40 minuti da Kolding), nei pressi dell’aeroporto e di un paio di hotel. Noi soggiorniamo al Propellen (1.350 DKK per camera per notte), un grande hotel che dista proprio 400 metri dall’ingresso di Legoland (ticket 379 DKK).

Stamattina il sole splende sopra Miniland, la sezione più famosa del parco, dove milioni di mattoncini colorati ricreano città del nord Europa. È una meraviglia! Ci sono barche che attraversano vere chiuse, trenini con sistemi sofisticati, cittadine vere e proprie, una vegetazione perfetta e luoghi famosi. Saltelliamo tutti emozionati da un angolo all’altro. Già questo vale l’ingresso!

Essendo in Danimarca, dopo il sole ecco arrivare un bel diluvio. Indossiamo di nuovo le nostre mantelle mentre saliamo sulle varie attrazioni, sempre in stile lego. Ci sono vichinghi, pirati, ninja, egizi, cowboy, esploratori polari, mondi sommersi (con tanto di acquario) e molto altro.

Nessuno da queste parti pare temere la pioggia. Ne sono quasi indifferenti. I bambini si divertono un mondo (mantenendo un certo impeccabile contegno), i genitori sono tranquilli e tutti salgono sulle attrazioni in cui ci si può bagnare ulteriormente. E questo con 16 gradi. Non oso immaginare quale sarebbe stato il livello di autocontrollo delle mamme italiane in tali condizioni!

Dopo esserci asciugati nella camera dell’hotel e dopo aver fatto un tuffo in piscina, avevamo davanti ancora tutta la serata. Non avevo voglia di chiudermi in camera l’ultima sera del viaggio. E così riesco a convincere quell’anima pia di Giorgio a portarmi a Jelling, un minuscolo villaggio a circa 20 minuti di auto da Billund carico però di storia.

Oltre ad una vecchia chiesa, due grandi tumuli sepolcrali e un paio di massi scolpiti circa 1000 anni fa con motivi celtici e cristiani non c’è molto. Ma su queste pietre (molto belle per la verità) è inciso un pezzo di storia danese: il battesimo di una nazione alla religione cattolica voluto da Aroldo Denteazzurro nel X secolo. Questo “Denteazzurro” in inglese si traduce con Bluetooth. Vi dice niente? Il sistema, che mette in comunicazione dispositivi diversi, deve infatti il suo nome al sovrano che riuscì, tramite la religione, a unire i vari territori scandinavi. Curioso, non è vero?

 

SESTO GIORNO: rientro in Italia

Questa mattina si conclude il nostro viaggio in Danimarca. Ci alziamo presto e, riconsegnata l’auto all’aeroporto di Billund, attendiamo pazienti il nostro volo per l’Italia.

Se questa nazione fosse una scatola di costruzioni, proprio come i Lego, ci metterei:

  • il tempo capriccioso che non scompone nessuno (se non i turisti)
  • i castelli da fiaba del XVI secolo (sono la cosa che mi è piaciuta maggiormente)
  • i costi esorbitanti della vita (dopo un po’ meglio non farci più caso)
  • la tranquillità della campagna che non contrasta molto con il silenzio ovattato delle città
  • il gusto per il design che si respira non solo negli hotel o ristoranti ma un po’ ovunque
  • la bellezza del popolo danese

 

www.tusoperator.it

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Lanzarote: mare, monti, grotte, natura e tanto vento

Delle quattro isole principali delle Canarie ci mancava solo Lanzarote e allora abbiamo colmato la “lacuna” nel luglio 2017, quando abbiamo deciso di visitare anche l’isola più nord-orientale dell’arcipelago. Come al solito per risparmiare ci muoviamo in largo anticipo e a marzo abbiamo già organizzato quasi tutto il viaggio comprando autonomamente il volo e prenotando l’hotel.

Il volo è il Ryanair che percorre quasi quotidianamente la tratta Bergamo-Lanzarote. Quattro ore abbondanti di volo sono piuttosto pesanti nei sedili stretti del vettore irlandese, ma il prezzo pagato fa passare in secondo piano i disagi. Nella tarda mattinata di domenica 16 luglio, puntualissimi, siamo in partenza per l’aeroporto di Arrecife, nel centro di Lanzarote. Arriviamo poco prima delle 16.30, ore locale (sono un’ora indietro rispetto a noi).

Il ritiro bagagli è velocissimo e altrettanto veloce è il ritiro dell’auto a noleggio che avevo prenotato dall’Italia tempo prima. All’inizio avevo bloccato una utilitaria su Cicar, la stessa compagnia canara che avevo usato a Gran Canaria, poi mi sono accorto che la loro consociata Payless aveva prezzi molto inferiori e allora ho deciso di orientarmi su questo noleggiatore low cost, molto diffuso a Lanzarote, come del resto le consociate Cicar e Cabrera Medina. Ero consapevole che, probabilmente, Payless mi avrebbe proposto un’auto maggiormente usata rispetto a Cicar o Cabrera Medina, ma il risparmio è stato notevole. Avevo prenotato una Volskwagen Polo 5 porte al fantastico prezzo di 120 euro per 10 giorni di noleggio, con tutte le assicurazioni comprese senza alcuna franchigia. Al desk di Payless, all’aeroporto, come spesso accade, mi hanno proposto, ovviamente allo stesso prezzo, una macchina differente, anzi mi hanno fatto scegliere tra una Panda 4X4, una Punto e una Bravo, tutte 5 porte. Ho preso la Fiat Bravo, scegliendo la macchina più grande. Pochi minuti di burocrazia e, facendo poche decine di metri, per arrivare al parcheggio di tutti gli autonoleggi, prima delle 17.00 eravamo già pronti per raggiungere l’hotel scelto, che dista meno di 10 chilometri dall’aeroporto.

E’ decisamente meno caldo rispetto all’Italia, c’è un po’ di vento, ma non troppo, insomma il clima è perfetto, anche se purtroppo, come leggerete, i primi due saranno gli unici giorni di clima piacevole e di vento debole.

Abbiamo deciso di soggiornare a Puerto del Carmen, soprattutto per la posizione strategica, in mezzo all’isola, per ridurre i tempi di spostamento nelle varie escursioni che sicuramente faremo. Puerto del Carmen è una cittadina turistica, sviluppata tutta in orizzontale sul lungomare, sull’Avenida de Las Playas, 7-8 chilometri di negozi, ristoranti, appartamenti e hotel che vanno dalla pista dell’aeroporto fino al porto. I grandi hotel internazionali sono tutti verso l’aeroporto, nella zona di Matagorda e Los Pocillos, invece nella zona più centrale sono soprattutto appartamenti e piccoli hotel.

Abbiamo scelto il Seaside Los Jameos Playa, proprio davanti alla lunga spiaggia di Los Pocillos, in una zona con altri hotel, leggermente decentrata rispetto al centro di Puerto del Carmen, ma comunque con negozi e varie attività nel lungomare. La catena Seaside, inglese, la conosciamo molto bene, avendo già lo scorso anno soggiornato a Gran Canaria, in un loro hotel, il Sandy Beach e, siccome ci eravamo trovati benissimo, abbiamo cercato di andare anche quest’anno in un hotel della stessa catena. Il Los Jameos Playa è leggermente più caro degli altri hotel della zona, ma, per fortuna, è l’unico, tra quelli che ho guardato, che ci ha permesso di aggiungere un letto alla camera doppia anche per nostra figlia di 13 anni, mentre, negli altri avremmo dovuto prendere una camera tripla, quindi, a conti fatti, il Los Jameos Playa ci veniva a costare meno degli altri in zona. Non ci abbiamo pensato troppo e già a marzo avevamo fatto la prenotazione tramite il portale Booking.com, pur con tariffa rimborsabile fino al giorno precedente.

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Seaside Los Jameos Playa

La scelta è stata assolutamente positiva. L’hotel è davvero fantastico, difficile chiedere di più. Camera bella, spaziosa, anche con il letto aggiunto per nostra figlia. Due armadi molto capienti. Bagno grande. Pulizia impeccabile sia in camera che nelle parti comuni. Giardini bellissimi e curatissimi. Due piscine per adulti e una per bambini. Una piscina leggermente riscaldata. Accesso al mare in poche decine di metri grazie all’uscita posta dopo la piscina. Top della struttura è sicuramente il buffet, completo di ogni genere di cibo sia a colazione che a pranzo che a cena, con carne e pesce grigliato in tempo reale tutti i giorni. Tutto lo staff sempre cordiale, sorridente e gentile. Lavanderia e palestra a disposizione gratuita, tennis a pagamento. Se proprio devo trovare un difetto, il wi-fi poco funzionante nella zona della piscina e della hall dove si tengono gli spettacoli serali, ma ad esempio nella nostra camera prendeva benissimo. Il prezzo è leggermente superiore ad altre strutture nella stessa zona, ma la qualità è assolutamente altissima. È frequentato quasi interamente da inglesi e tedeschi, mentre spagnoli, francesi e italiani sono pochissimi. Anche le scritte e gli annunci sono in spagnolo, inglese e tedesco, ma non è difficile comprendere e poi, per qualsiasi necessità, lo staff è sempre stato molto disponibile ad aiutarci per ogni esigenza.

Giusto il tempo di sistemare un minimo di valigia e, poco dopo le 17.00, siamo già pronti per andare a vedere il mare e fare un giro nei dintorni. Per arrivare al mare si attraversa tutta la zona delle piscine e con una uscita attivabile con la chiave elettronica della camera si è direttamente sul lungo mare di Los Pocillos, davanti ad una spiaggia lunghissima di sabbia fine. Non c’è tanta gente, o meglio, è molto distribuita nella grande spiaggia, alcuni sono nella zona attrezzata con lettini e ombrelloni a noleggio a 4 euro al pezzo al giorno e la maggior parte della gente è distesa autonomamente in vari punti della spiaggia. Il mare è calmo, ma l’acqua è freddina, come del resto ci aspettavamo, essendo Oceano, decidiamo di rimandare al giorno successivo il primo bagno in mare e invece ci tuffiamo nella piscina dell’hotel. Ce ne sono due, per adulti, molto grandi, una più fredda e l’altra leggermente riscaldata. Da bravi freddolosi scegliamo (e sceglieremo sempre) quella riscaldata.

La sera iniziamo a gustare il fantastico buffet che l’hotel propone sempre. Ogni sera c’è un tema a cui è dedicato una zona del buffet, ma sempre, sia a pranzo che a cena, si trova pesce e carne grigliata sul momento, oltre una grande varietà di pietanze, fredde e calde. Il problema è stato semmai quello di controllarsi e non mangiare troppo. Dopo cena abbiamo fatto il primo giro verso il centro di Puerto del Carmen sul lungomare. Percorrendo un paio di chilometri si arriva all’inizio della zona più turistica con un susseguirsi di locali, ristoranti e negozi di ogni genere. Il posto è affollato ma si passeggia bene sena alcun problema.

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Puerto del Carmen

Come al solito, in vacanza, ci alziamo presto, e dopo una abbondante colazione, il mattino seguente, decidiamo di incamminarci per fare tutta la spiaggia di Los Pocillos, sia in direzione di Puerto del Carmen (andando a destra uscendo dall’hotel), che in direzione di Matagorda e dell’aeroporto (andando a sinistra). Il tempo è bello e si cammina bene sul bagnasciuga, c’è il sole ma non fa troppo caldo. Passeggiamo per un paio di ore e poi sfidiamo le fredde acque dell’Oceano per fare il primo bagno in mare. Prima di pranzo decidiamo di fare anche un veloce bagno in piscina.

La scelta di Lanzarote è stata fatta per scoprire l’isola e tutte le sue attrazioni, ma anche e soprattutto per riposarci e goderci il relax di una vacanza tanto attesa e desiderata dopo un anno di periodi frenetici e stressanti, quindi per i primi due giorni decidiamo di sfruttare l’all inclusive dell’hotel (scelto proprio in funzione di goderci il relax che una struttura come questa può offrire) e quindi passiamo le prime due giornate tra hotel e mare, facendo solamente lunghe passeggiate, arrivando anche proprio ai lati della pista di partenza e atterraggio dell’aeroporto, che, camminando nell’isola pedonale sul lungo mare, è davvero vicina al nostro hotel. Nei primi due giorni il tempo è stato piacevole, anche se il vento ha iniziato ad aumentare progressivamente ed è stata, purtroppo, l’avvisaglia che quel clima piacevole non l’avremmo più trovato per tutto il resto della vacanza. Lunedì sera, oltre al vento che inizia a rendere difficoltosa la solita camminata verso Puerto del Carmen iniziano ad addensarsi anche minacciosi nuvoloni neri.

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Los Pocillos

Al martedì decidiamo che è arrivato il momento di iniziare a scoprire l’isola. Il tempo è discreto, il sole si alterna a nuvole anche se il vento è piuttosto forte. Andiamo a prendere la nostra Fiat Bravo, rimasta ferma nel parcheggio davanti all’hotel per un giorno e mezzo e questo momento in poi, la useremo tutti i giorni. La prima meta è quella che dovrebbe essere la spiaggia più bella dell’isola, Playa Papagayo, nell’estremità sud dell’isola.

I chilometri per raggiungerla non sono tantissimi, meno di una trentina, ma ci vuole parecchio tempo, perché oltre a fare una strada con molti saliscendi, dossi, semafori e limiti di velocità a 50 all’ora nell’attraversamento del paesino di Femes, a un certo punto la strada asfaltata finisce e si entra in una strada sterrata, molto molto brutta con diversi sassi e buche e bisogna quindi andare pianissimo per evitare il rischio di forare. A metà della strada sterrata si entra nella Riserva Naturale di Los Ajaches del Parco del Papagayo e si devono pagare 3 euro. Da quel punto in poi, in realtà, la strada, pur sempre sterrata, è meno brutta e più agevole. Ci vogliono almeno una ventina di minuti di strada sterrata ma alla fine si arriva sulla collinetta che sovrasta le quattro calette del Papagayo. La vista è subito fantastica, il mare cristallino ha colori stupendi e il giallo intenso della sabbia risalta fino quasi ad accecare. Bisogna fare un centinaio di metri in discesa a piedi per arrivare alla prima spiaggia. È poco prima delle 10 del mattino e la spiaggia è ancora poco affollata, ma, prevedendo il grande afflusso di turisti, decidiamo di non fermarci alla prima caletta, la più facile da raggiungere, ma di proseguire verso destra andando nelle due calette successive che, a quell’ora sono straordinariamente vuote. Abbiamo una spiaggia e un mare fantastico tutto per noi. Ovviamente poco dopo sono arrivati molti turisti anche qua, ma comunque c’è posto per tutti e si sta decisamente molto bene. Anche il vento che, a Puerto del Carmen, soffiava molto forte, qua è solo una leggera brezza, grazie alla protezione delle montagne circostanti che proteggono la baia. Il mare è freddino, ma assolutamente cristallino, con alcuni pesci che si muovono tranquillamente anche vicino a riva, impossibile non fare il bagno, anzi fare i numerosi bagni tra una passeggiata e l’altra sulla spiaggia. Il tempo vola in un posto così bello e quasi quasi non ci rendiamo conto di essere lì da oltre tre ore. Ancora bagnati decidiamo di tornare verso l’hotel per arrivare in tempo prima che chiuda il buffet del pranzo. Al ritorno la strada sterrata, come spesso accade la seconda volta che si percorre una strada, sembra un po’ meno brutta dell’andata e comunque ci ripromettiamo di tornare.

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Playa Papagayo

Il pomeriggio passa ancora tra mare e piscina, ma con il vento che sta purtroppo diventando sempre più forte e i nuvoloni neri che diventano sempre più minacciosi. La sera decidiamo di prendere la macchina per arrivare a ridosso del centro di Puerto del Carmen (prima che la strada diventi a senso unico), per poi camminare in tutto il lungomare centrale, fino quasi al porto, cosa che poi faremo praticamente ogni sera.

Al mercoledì, col tempo un po’ incerto, decidiamo di visitare un’altra zona turistica dell’isola, costa Teguise. E’ piuttosto vicino e quindi decidiamo di arrivarci facendo tappa prima nel paesino di Tias, pochi chilometri a nord di Puerto del Carmen.

Tias è un piccolo paese dedito soprattutto all’agricoltura, infatti arrivando si resta impressionati dal campi di meloni tutti recintati con rocce laviche a fare da protezione per il vento. Ora si sta trasformando e sviluppando dal punto di vista edilizio grazie anche al turismo, infatti alcuni turisti preferiscono prendere appartamenti in affitto a Tias, molto più economici (e anche lontani dalla confusione) rispetto a Puerto del Carmen, pur distando solo 4 chilometri dal mare e soprattutto Tias ospita i tanti lavoratori degli hotel e dei locali di Puerto del Carmen, anche loro in cerca di affitti più economici.

A Tias andiamo a vedere la casa-museo di Jose Saramago, un luogo poco reclamizzato e conosciuto, ma uno dei più belli e affascinanti dell’isola. C’è una guida che parla spagnolo, ma si può seguire il percorso con una audioguida in italiano. Appena entrati c’è un tappeto di lava vulcanica, oggetto assai insolito e poi ci si perde nei libri, nelle penne, nei quadri realizzati dall’artista canaro. Un percorso molto emozionante che ti fa sentire come se potessi vivere per qualche ora assieme allo scrittore e alla sua famiglia.

Dopo la sosta nel borgo di Tias riprendiamo la LZ-2, la strada più grande e frequentata di Lanzarote, in direzione di Costa Teguise. Per arrivarci non entriamo a Arrecife, la capitale dell’isola, ma ci passiamo di lato, in quella che da noi sarebbe una tangenziale, qua è la Circunvalacion, forse l’unico tratto piuttosto trafficato dell’isola e in poco più di una decina di chilometri arriviamo al centro di Costa Teguise.

Costa Teguise è una zona prettamente turistica, meno allungata e più circoscritta, oltre che meno confusionaria e rumorosa di Puerto del Carmen. Le spiagge non sono molte, e ci sono molti più scogli, la parta sabbiosa è veramente poca, mi pare di aver visto solo una insenatura di sabbia fine. Le altre tutte di ciottoli o scogli. Il mare è anche più mosso rispetto a Puerto del Carmen. Ci sono anche alcuni surfisti che si divertono a cavalcare le onde. Il tempo non è tanto bello, ci sono parecchie nuvole e fa anche un po’ freddino, non so come facciano i turisti che stanno in costume o addirittura fanno il bagno, noi ci limitiamo a fare una passeggiata nella cittadina e nel breve lungomare attraversando le varie spiagge e dopo un’oretta abbondante ritorniamo verso l’hotel.

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Costa Teguise

Al pomeriggio il tempo peggiora ancora, il sole praticamente non c’è più e il vento diventa fastidioso anche solo per camminare sul lungomare, quindi decidiamo di riprendere la macchina e andare alla scoperta di Cesar Manrique, ovvero dell’artista che ha reso Lanzarote una sorta di museo a cielo aperto con numerose costruzioni, quasi sempre ricavate adattando il paesaggio esistente. La prima meta è la Fondazione Cesar Manrique, il museo dove sono conservate alcune sue opere. Si trova tra Arrecife e Costa Teguise, molto semplice da raggiungere. E’ un perfetto connubio tra arte e natura, tra piante e lava, un esempio di come si possa modificare l’ambiente senza deturparlo. Non molto lontano proseguiamo verso il Monumento al Campesino, un’opera sempre di Manrique con un piccolo centro culturale, che racconta la storia dell’isola. La visita è gratuita ed è piuttosto veloce. Resterà da vedere la sua casa museo, che però è molto più a nord dell’isola, a Haria e la teniamo per quando decideremo di visitare quelle zone.

Il tempo continua a fare i capricci e anche giovedì ci svegliamo senza sole, ma con tanti nuvoloni neri e allora decidiamo di andare in quella che è la prima meta più importante e ricercata da tutti i visitatori di Lanzarote, l’escursione al Parco Naturale del Timanfaya.

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Timanfaya

Il Timanfaya è un vulcano attivo, che nelle varie eruzioni dei secoli scorsi ha cambiato completamente il paesaggio di tutta l’isola, che ora ha tracce vulcaniche praticamente ovunque. E’ l’attrazione più popolare dell’isola e quindi per non fare troppe code partiamo presto, circa alle 8.30 e, in mezz’oretta di strade piuttosto deserte, arriviamo al Parco. L’entrata è ovviamente a pagamento, ma noi optiamo per un biglietto cumulativo (il Bonos) che ci permette di vedere quattro attrazioni a prezzo scontato.

Dopo aver preso il biglietto mentre si è ancora in macchina (per quello accettano solo contanti), veniamo indirizzati in un grande parcheggio in cima ad una collinetta e qua è obbligatorio scendere dall’auto e salire in uno dei bus dell’organizzazione, che è l’unico modo per entrare effettivamente nel parco e passare nelle stradine attorno al vulcano.

Ci avviamo verso i pullman in attesa di turisti mentre iniziano a cadere le prime gocce di pioggia, evento assai raro a Lanzarote, come in tutte le Canarie. Saliamo, senza fare coda, negli ultimi posti del primo pullman disponibile e iniziamo il percorso tra le tortuose stradine del parco del Timanfaya. Il paesaggio è veramente molto strano, sembra di essere sulla luna, cumuli di lava impressionanti compaiono in ogni angolo di visuale. Il pullman ogni tanto si ferma e parte una descrizione in spagnolo, inglese e tedesco. Purtroppo la pioggia aumenta di intensità e bagna completamente il vetro del pullman rendendo praticamente impossibile fare le fotografie.

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Timanfaya

Il giro dura un’ora abbondante con varie soste, anche se non è possibile scendere, ma solo osservare lo scenario. Al ritorno nel grande parcheggio da dove siamo partiti è possibile assistere ad alcuni “spettacoli” che vengono ripetuti continuamente, ogni pochi minuti, sfruttando il grande calore emanato dal sottosuolo del Timanfaya. Il primo è una sorte di geyser che sprigiona fumo dalla terra, poi lo stesso calore che provoca l’autocombustione di fieno e paglia e, infine, entrando nella zona coperta, si arriva nei pressi del ristorante e qua, anche senza entrare e consumare nello stesso ristorante, in una saletta si resta stupiti a vedere che il calore proveniente dal sottosuolo è in grado di grigliare perfettamente carne e verdure che vengono continuamente lasciate sulla griglia.

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Timanfaya

Proprio mentre siamo nella zona del ristorante a vedere il cuoco che griglia petti di pollo, salsicce, bistecche e patate senza alcun fuoco, inizia a piovere molto forte, tanto da far sospendere le dimostrazioni esterne del geyser e dell’autocombustione. Proviamo ad aspettare una mezz’oretta al coperto per vedere se il tempo migliora, ma non c’è nulla da fare, anzi piove sempre più forte e allora con una corsa raggiungiamo la nostra Bravo e torniamo verso Puerto del Carmen.

Poco sotto il parco c’è un luogo pieno di cammelli, portano i turisti a fare il giro attorno al Timanfaya. Lo avevamo già visto all’andata, ma volevamo essere tra i primi per evitare code e non ci eravamo fermati. Ora proviamo a fermarci per vedere da vicino i tanti cammelli, ma piove troppo forte e non riusciamo nemmeno a scendere dalla macchina. Al pomeriggio restiamo in hotel, passando il tempo giocando a ping pong perché è ancora freddino e cade anche ogni tanto qualche goccia di pioggia.

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Timanfaya

Al venerdì abbiamo in mente di andare a nord per visitare le attrazioni della parte settentrionale dell’isola, ma per raggruppare i tre luoghi che vogliamo vedere, Cueva de los Verdes, Jameos de Agua e Mirador del Rio, che sono tutte compresi nel bonos acquistato il giorno prima, abbiamo bisogno di parecchie ore e non servirebbe nemmeno partire presto al mattino, visto che tutte aprono alle 10.00, quindi decidiamo di restare in zona al mattino e fare le escursioni al pomeriggio. Purtroppo il tempo è ancora brutto, ogni tanto cade qualche goccia di pioggia e comunque serve la felpa da quanto è freddo. Andiamo lo stesso a piedi verso l’aeroporto a vedere qualche partenza e atterraggio e poi pranziamo presto per partire verso nord prima delle 14.00.

La strada è semplice, si percorre la LZ-2 fino alla circonvallazione di Arrecife e poi si prende la LZ-1 praticamente fino all’arrivo, dove si trovano, vicine fra loro sia la Cueva de los Verdes, che Jameos de Agua. Andiamo prima alla grotta verde. Si entra a gruppetti con una guida che parla spagnolo e inglese. Non ci sono orari prestabiliti, ma non dobbiamo aspettare più di dieci minuti che è il turno del nostro gruppo per entrare.

La Cueva de Los Verdes è una grotta vulcanica, senza stalattiti e stalagmiti, si scende a una ventina di metri sotto terra e si percorre circa un chilometro senza grandi difficoltà, a parte qualche roccia piuttosto bassa, nel percorso guidato che dura poco meno di un’ora. Quello che colpisce maggiormente sono i colori, veramente particolari, dal nero al giallo, al verde. La visita si chiude con una sorpresa che lascia stupiti i visitatori.

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Cueva de Los Verdes

Dopo la grotta, facciamo in auto il breve tratto che porta al Jemeos de Agua, che è il naturale proseguimento della grotta verde appena visitata. Qua si entra in continuazione e la visita è libera, senza guida. Appena entrati si scendono un paio di rampe di scale e si arriva subito al grande lago che è appunto la terminazione della grotta lavica, derivata dalle eruzioni passate. Una caratteristica particolare del laghetto è che vi vivono tantissimi granchietti bianchi, molto rari. La parte naturale finisce qua. Continuando si entra nella parte realizzata da Cesar Manrique che ha creato una piscina, una auditorium e diversi spazi che ospitano incontri, convegni e altro creando una fusione tra naturale e artificiale che ha proposto anche in diverse parti dell’isola.

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Jameos de Agua

Il percorso le completiamo in meno di un’ora, tornati in superficie vediamo che il tempo, per fortuna, sta migliorando e finalmente, dopo due giorni di nuvole, torna a farsi vedere il sole, anche se il vento è sempre fortissimo. Riprendiamo la macchina e tagliamo in orizzontale l’isola, per arrivare quasi alla punta nord-ovest di Lanzarote, proprio di fronte all’isola de la Graciosa, per arrivare al Mirador del Rio.

Il Mirador del Rio è il punto più panoramico di Lanzarote, per salire in una terrazza molto particolare, creata anche questa da Cesar Manrique, si paga un biglietto di 4.50 euro, ma noi entriamo con il biglietto cumulativo bonos fatto al Timanfaya. Il cielo si è finalmente liberato dalla maggior parte delle nubi e, anche se il vento è fortissimo, riusciamo a fare qualche bella fotografia.

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Mirador del Rio

Finite tutte le attrazioni comprese nel bonos, possiamo tornare verso l’hotel e facciamo in tempo prima di cena a fare un tuffo in piscina. La sera, in hotel, è prevista la cena di gala e il buffet, sempre ricchissimo di ogni pietanza, diventa ancora più straordinario, soprattutto per i dolci con torte decorate in modo favoloso.

Al sabato invece decidiamo di tornare a sud, a vedere l’altra cittadina turistica di Lanzarote, Playa Blanca. Partiamo con il solito vento forte, che ci costringe e mettere la felpa e con una certa sorpresa, vediamo che a Playa Blanca il vento è molto più debole. Giriamo un po’ nei tanti negozi del paese, quasi tutti turistici, ma anche con alcune produzioni artigianali (spugne, prodotti vari derivanti dall’aloe) e poi ci piazziamo nella spiaggia più grande di Playa Blanca, la Playa Dorada, una spiaggia sabbiosa di sabbia fine, più chiara rispetto a quella lo Los Pocillos. Riusciamo a togliere le felpe, metterci in costume e a fermarci a prendere un po’ di sole in spiaggia anche se, per noi, è ancora troppo freddo per fare il bagno in mare anche se molti turisti lo fanno tranquillamente.

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Playa Blanca

Per tornare verso Puerto del Carmen, cambiamo strada e andiamo per un breve tratto a nord, fermandoci brevemente in tre punti panoramici, il primo è alle saline di Janubio, dove si arriva davanti ai grandi rettangoli dove viene raccolto il sale dall’acqua marina, poi ci fermiamo a Los Hervideros, un posto fantastico, a picco sul mare dove l’Oceano si infrange con tutta la sua forza sulla montagna. Infine ci fermiamo alla spiaggia nera di El Golfo, una spiaggetta molto caratteristica per il colore e per il fatto che è accanto ad un laghetto che assume una strana colorazione verdastra. Negli ultimi due luoghi visitati è quasi impossibile fermarsi più di qualche minuto per il vento fortissimo. Torniamo in hotel, passando attraverso la cittadina di Yaiza e facciamo in tempo a fare un tuffo in piscina prima del pranzo.

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Hervideros

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El golfo

Sabato pomeriggio trascorre tra spiaggia e piscina, ma ancora niente bagno in mare per il freddo e il vento e alla domenica mattina partiamo presto per un appuntamento a cui non volevamo mancare, il mercato di Teguise. Teguise è una cittadina tranquilla nel centro di Lanzarote, una trentina di chilometri da Puerto del Carmen, che ogni domenica si anima e si trasforma con ogni strada del paese diventa un bazar a cielo aperto con centinaia di bancarelle, sperse per tutto il paese.

Ci sono cianfrusaglie, come in tutti i mercati del mondo, ma anche tanti oggetti assolutamente originali, introvabili altrove, piccoli artigiani che producono monili con le pietre di lava, tessuti realizzati a mano, immancabili prodotti a base di aloe e tanto altro. Compriamo qualcosa e quando diventa quasi impossibile camminare per la grande folla che ha invaso il mercato anche con pullman organizzati, possiamo tornare verso Puerto del Carmen.

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Teguise

Il vento è ancora forte ed è difficile restare in spiaggia a prendere il sole, quindi, dopo esserci riposati un po’ in hotel decidiamo di riprendere la macchina e tornare a nord, verso Haria, per vedere la cittadina e visitare la casa di Cesar Manrique.

Haria è un pesino prevalentemente agricolo, che ha ospitato per la maggior parte della sua vita l’artista che ha realizzato quasi tutto quello che c’è da ammirare a Lanzarote, Cesar Manrique. Si può visitare la sua casa, arredata in modo assolutamente originale, mescolando, come sempre, elementi naturali ad altri creati appositamente.

La visita è abbastanza veloce e possiamo tornare in tempo per rilassarci a bordo piscina e tuffarci nella sua acqua tiepida, visto che ancora una volta, andare a fare il bagno in mare, almeno per noi, risulta impossibile.

Restano solo due giorni pieni di vacanza, è già passata oltre una settimana. Per fortuna, finalmente, il cielo è tutto sereno, anche se il vento continua a imperversare. Le visite culturali e naturalistiche sono finite, a parte l’estremo ovest, abbiamo visitato tutta l’isola. Gli ultimi due giorni vorremmo passarli al mare.

A Puerto del Carmen il vento è sempre forte, allora decidiamo di tornare a sud, dove abbiamo trovato vento meno fastidioso. Torniamo quindi nella spiaggia più bella che abbiamo visitato, Playa Papagayo. Solita strada sterrata tortuosa e lunga, ma le attese non vanno deluse nemmeno questa volta, spiaggia fantastica, vento moderato, tanta gente, ma comunque vivibile e finalmente riusciamo a tuffarci nell’Oceano dopo sei giorni di attesa. Restiamo oltre tre ore e ci godiamo tutto il sole e il mare.

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Playa Papagayo

Al pomeriggio noleggiamo una di quelle biciclette a quattro ruote sul lungo mare di Puerto del Carmen e in due ore di pedalate (assai faticose contro vento) facciamo tutto il lungomare, fin oltre l’aeroporto, scoprendo una serie di spiaggette, una anche realizzata appositamente per i cani e arriviamo fino a Playa Honda, una piccola località turistica tra l’aeroporto e Arrecife. La sera la passiamo a comprare una serie di souvenir da portare in Italia e regalare a amici e parenti.

Il martedì è l’ultimo giorno di vacanza, non ci sono dubbi, vogliamo ancora fare mare, quindi torniamo ancora nel parco naturale del Papagayo, facendo però alcune variazioni rispetto al giorno precedente. Intanto per arrivarci cambiamo strada, arriviamo a Playa Blanca, allungando quindi la strada e poi prendiamo una parallela alla strada sterrata delle volte precedenti che ci porta fino al pedaggio del parco naturale. Da qua in poi non ci sono alternative e facciamo i 3-4 chilometri di sterrato che restano, ma in questo modo abbiamo evitato i primi 2-3 chilometri (i più brutti) di sterrato, pur allungando di qualche chilometro il percorso. Poi, invece di andare a Playa Papagayo, giriamo a destra al primo bivio sterrato a andiamo nell’altra caletta della riserva, Playa Mujeres.

Playa Mujeres è una caletta piuttosto grande, raggiungibile anche a piedi o in bicicletta attraverso sentieri (niente affatto semplici) da Playa Blanca. In cima alla collinetta si vedono le altre calette di Playa Papagayo anche se non è possibile raggiungerle a piedi, via mare per gli scogli che affiorano. Qua arrivano anche i tanti battelli e catamarani che organizzano gite da ogni parte dell’isola, quindi questa spiaggia, pur bella e riparata come Papagayo, è più affollata soprattutto dopo le 11 del mattino. Il vento è quasi assente e possiamo goderci mare e sole in tutta tranquillità. Ci fermiamo fin quasi alle 14 con il rischio di restare senza pranzo, ma ne vale la pena. Riusciamo comunque a tornare in tempo prima che chiuda definitivamente il buffet dell’hotel.

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Playa Mujeres

L’ultimo pomeriggio è dedicato un po’ tristemente alle valige da fare e i preparativi per la partenza che sarà al mattino prestissimo del giorno dopo. Ultimo giro nel centro di Puerto del Carmen la sera e alle 4.45 di mercoledì mattina la sveglia suona indicando che la vacanza è ormai finita. Il breve tratto per arrivare in aeroporto e alle 7.00 puntuali partiamo per tornare a Bergamo.

Lanzarote è l’isola delle Canarie (tra le quattro principali che abbiamo visto) con le maggiori attrazioni culturali e naturalistiche, noi speravamo di fare più mare e di godere di un tempo più favorevole, ma è stato molto bello lo stesso, siamo stati benissimo in hotel al Seaside Los Jameos Playa e abbiamo visitato luoghi meravigliosi. Ci mancherà molto di Lanzarote, tranne il vento.

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Playa Papagayo

Atene e Naxos: storia, natura e tanto vento

Siamo Laura e Tommaso, due studenti universitari, che quest’anno hanno deciso di fare un salto nel passato passando da Atene e salpando poi per una meravigliosa isola greca.

26/07 – Con il volo delle 7.15 del mattino ci lasciamo dietro Malpensa e il caldo afoso, pregustandoci finalmente quella vacanza che per tutto l’anno abbiamo agognato. Il volo con Easyjet è tranquillo, riesco anche a dormire un po’ e arriviamo ad Atene in perfetto orario. Per me è la prima volta in Grecia, per Tommaso no, ma l’entusiasmo è alle stelle. Dobbiamo attraversare a piedi il terminal e sembra una camminata infinita, recuperiamo i bagagli e poi usciamo dall’aeroporto seguendo le indicazioni dateci dalla signora seduta accanto a me in aereo. Cerchiamo la fermata del bus giusta e facciamo i biglietti. Per il Pireo sono 6 euro a testa con il bus X96 e ci impiega poco più di un’ora e mezza. Facciamo un pezzo a piedi e arriviamo al nostro hotel: Faros II. Ci dicono che dobbiamo aspettare un attimo per la camera, quindi lasciamo lì i nostri bagagli e andiamo a cercare qualcosa da mangiare verso il porto. Ci fermiamo in un bar-caffetteria molto carino che si chiama Wake Cup (che nome adorabile :D). Siamo già stanchi e sudati dal continuo camminare e dal caldo, ma, non appena ci sediamo, la cameriera ci porta due grandi bicchieri d’acqua ghiacciata. Un gesto che apprezziamo moltissimo e che pensiamo dovrebbe essere fatto ovunque. Pranziamo velocemente e torniamo in hotel per mettere le cose in camera, poi andiamo subito a prendere la metro per il centro. Ho solo mezza giornata per visitare Atene e ho tutta l’intenzione di godermela quanto più possibile. La metro arriva in centro (stazione di Monastiraki) in un quarto d’ora e già ci si para davanti la piazza, la chiesa ortodossa e tante stradine caratteristiche. Sorridendo come un ebete, cerco di orientarmi con la cartina fino a che non vedo l’Acropoli: là sopra, imponente, difficile da non notare. Prendiamo la stradina che porta sulla salita, passando accanto alla Biblioteca di Adriano e successivamente all’Agorà antica, dove possiamo ammirare la Torre dei Venti. Pian piano e nonostante il caldo torrido, saliamo fino all’Acropoli. Prima di andare alla biglietteria, raggiungiamo la Collina dell’Aeropago dove si ha davanti l’Acropoli oltre ad una vista impagabile sulla città di Atene. Torniamo indietro e scopriamo che gli studenti non pagano, prendiamo i nostri biglietti ed entriamo finalmente nell’Acropoli. Non starò a raccontarvi tutto ciò che ho visto dentro, ma il sorriso ebete di prima è diventato ancora più ebete e non ho fatto altro che ripetere a Tommaso quanto fossi felice. Librandomi nell’aria dalla felicità, andiamo a visitare anche il museo dell’Acropoli (anch’esso gratuito!) che ci piace molto, ma avremmo voluto visitare anche i ritrovamenti sotterranei che, al momento, si possono solo vedere da sopra attraverso dei vetri o all’esterno da sopra la passerella che porta all’ingresso del museo.

Il sole comincia ad essere più basso, lasciandoci respirare un po’ di più e decidiamo di avventurarci per i vicoletti del quartiere della Plaka. E’ un quartiere magico, impregnato dalla storia, dove si possono sentire i profumi dei fiori e dei moltissimi ristorantini che si trovano. Ci fermiamo per mangiare qualcosa in uno di questi locali, ombreggiato da un’enorme bounganvillea e dopo la nostra buonissima grigliata di carne ci avviamo verso la metro: si torna al Pireo che domani ci si sveglia presto.

27/07 – Dopo una nottata tremenda, disturbata da dei ragazzi che sbattevano le porte in hotel e urlavano nei corridoi e dal bar di fronte all’hotel che, nonostante fosse un mercoledì, ha messo musica ad un volume tipo discoteca fino a tardi, ci avviamo verso il gate E6 per prendere il nostro traghetto della Blue Star Ferries. Direzione: Naxos. Ci impiega circa cinque ore con fermata a Paros, il mare è abbastanza tranquillo e avvistiamo anche una razza che nuota in superficie. Una volta scesi dal traghetto veniamo travolti dal caos di taxi, auto, bus e persone. Andiamo all’ufficio dei bus e chiediamo informazioni, ci indicano il nostro mezzo, paghiamo il ticket (2,40 euro a testa) e saliamo. In 25 minuti arriviamo a Mikri Vigla, il bus ferma davanti ad un supermarket chiamato Stratouris e scopriamo che il nostro residence è esattamente dalla parte opposta della strada. Si chiama Studios G. Salteris e ci lascia immediatamente una sensazione positiva: a differenza della maggior parte degli edifici circostanti abbastanza fatiscenti il nostro alloggio è recente, con un piccolo spazio per parcheggiare dentro il giardino. Veniamo accolti da un signore che parla solo greco e, al nostro “non capiamo la sua lingua”, ripete le stesse cose in greco, ma lentamente. Ci fa sorridere e ci accompagna al nostro appartamento. E’ all’ultimo piano, con la vista sul mare in lontananza e un piccolo balconcino. L’appartamento è abbastanza grande e ci piace, ma non apprezziamo molto il fatto che i letti siano singoli (costante in tutta la Grecia) e che alla doccia manchi la tenda. Comunque soddisfatti, lasciamo i bagagli e Tommaso va a comprare qualcosa per pranzo al supermarket di fronte. La spesa è tremendamente costosa, ma giustificata dal fatto che siamo in mezzo al nulla e con ogni probabilità è un luogo tendenzialmente solo turistico. Frutta e verdura sono di loro produzione ed è l’unica cosa che ha un prezzo più che onesto.

Nel pomeriggio indossiamo in un attimo i nostri costumi e andiamo finalmente in spiaggia. Abbiamo aspettato questo momento per mesi. La strada si divide: o a destra o a sinistra. Decidiamo di andare verso destra perchè è la spiaggia che vediamo dal nostro balconcino. Incrociamo diversi residence e qualche taverna, sulla spiaggia ci sono un bar e un villaggio turistico. Non è una giornata molto ventosa, ma notiamo che ci sono diverse persone che praticano kitesurf e windsurf. Mettiamo giù la nostra salvietta e passiamo il resto del pomeriggio lì. Verso sera andiamo al bar per brindare l’inizio della vera vacanza e inorridisco di fronte ad uno spritz preparato con il succo d’arancia. Anche il cocktail di Tommaso non è un granché. Scherziamo sul fatto di aprire un bar in loco noi due e poi rientriamo. Mangiamo sul balcone di casa e apprezziamo il meraviglioso silenzio che ci circonda.

28/07 – Ci svegliamo con calma, finalmente senza orario e, quando apriamo la finestra, vediamo il mare e persone che fanno windsurf. Ci svegliamo felici. Dopo la colazione, usciamo per andare a prendere l’auto dall’autonoleggio Apollon a pochi passi dall’appartamento e notiamo che l’auto più piccola che avevamo adocchiato ieri è già stata presa, ma la ragazza alla reception ci offre una Kia Picanto allo stesso prezzo. La frizione è durissima e ha un’altra serie di problemi e rumori, ma fa il suo dovere.

Oggi andiamo ad Agio Anna per cercare un’escursione per Koufonissi e la troviamo, ma non c’è nessuno al porticciolo per prenotare. Decidiamo di presentarci il giorno successivo (giorno indicato per l’escursione) sperando di riuscire a partecipare senza problemi. Torniamo verso Mikri Vigla e ci fermiamo sulla spiaggia della Plaka. Passiamo la giornata lì, ad abbronzarci e rilassarci. L’acqua è stupenda e la sabbia finissima, tanti scorci che ci ricordano la Sardegna.

Verso sera prendiamo la nostra favolosa Picanto e andiamo alla Chora: imperdibile tramonto dalla Portara che ci lascia tutti incantati e parte anche qualche applauso, poi ceniamo a base di pesce al Mezé2, uno dei tantissimi ristorantini sul lungomare. Torniamo a casa sazi e soddisfatti della giornata.

29/07 – Come da aspettative ci presentiamo per l’escursione e….. Siamo a bordo! Ci chiedono 50 euro a testa per tutta la giornata con il pranzo compreso e bevande illimitate. Alle 9.45 partiamo dal porticciolo di Agio Anna con Jason Daily Cruises e alle 11 ci stiamo già tuffando nel meraviglioso mare di Kato Koufonissi, isola a sud di Naxos. Rimaniamo un paio d’ore in questa caletta dove possiamo raggiungere a nuoto la spiaggetta o tuffarci e rituffarci dalla barca. Intanto ci preparano anche un tipico pranzo greco a bordo e dalla griglia si alza un delizioso profumo che dalla spiaggetta ci attrae nuovamente sulla barca. Facciamo incetta di souvlaki e salsa tzatziki e poi ripartiamo verso Pano Koufonissi dove rimaniamo fino alle 17 a goderci il mare cristallino e la sabbia bianca. Camminiamo anche un po’ e troviamo altre calette di sassi con un mare impagabile. Purtroppo si torna, ci servono anguria per merenda e ci facciamo cullare dalle onde mentre sopraggiunge la stanchezza della giornata.

30/07 – Oggi abbiamo in programma di andare a visitare il tempio di Demetra e di salire sulla cima del Monte Zas. Facciamo colazione e prepariamo le nostre sacche, pronti a camminare. Raggiungiamo il tempio senza nessun problema, parcheggiamo sulla strada come altri turisti e facciamo la piccola salita che ci porta in cima alla collina. Ammetto che il tempio di Demetra mi lascia abbastanza delusa perchè non si trovano cartelli esplicativi (quelli che ci sono sono totalmente rovinati e illeggibili) e mi sembra un po’ misero. Ci piace di più il paesaggio che ci circonda: colline, piccole casette, verde, chiesette e montagne non molto alte. Risaliamo in auto e seguiamo per Filoti, come ci hanno consigliato dei locali. Ci fermiamo anche in una di quelle piccole cappelle ortodosse che si incrociano su ogni strada, ma è chiusa e abbastanza abbandonata. Arrivati in questo stupendo paesino non riusciamo ad orientarci molto, ma siamo circondati da turisti e ristoranti, quindi Tommaso scende a chiedere indicazioni. Poco dopo seguiamo una stradina che diventa sempre più stretta, sale sempre più in alto e ci sono sempre meno protezioni. Essendo paranoica e soffrendo di vertigini, comincio a sudare freddo, nonostante Tommaso si stia divertendo a prendermi in giro. Ad un certo punto la strada si interrompe in un piccolo spiazzo dove ci sono parcheggiate alcune auto, giriamo la macchina e parcheggiamo sul lato della strada. Seguiamo a piedi l’unica strada possibile e dopo pochi istanti ci troviamo in una piazzetta di pietra, coperta da un’enorme pianta e con una fontanella d’acqua fresca. Comincia a fare parecchio caldo, è quasi mezzogiorno, ma decidiamo di metterci in cammino. Superiamo un cancelletto e seguiamo il sentiero per la Grotta di Zeus, ovvero dove la leggenda narra che egli sia nato. Dopo un po’ il sentiero non si può più definire tale, se non per dei segni di vernice rossa su alcuni sassi e quindi si sale un po’ come si riesce tra enormi pietre e capre che ti fissano. Fortunatamento abbiamo l’abitudine di indossare scarpe da tennis non oso immaginare la fatica di coloro che salivano con le infradito….bell’idea! :D

In una ventina di minuti raggiungiamo la grotta, non segnalata, ma che si nota perchè l’ingresso è un piccolo portale. Entriamo e subito percepiamo la differenza di temperatura: dentro è buio pesto e l’aria è fredda e umida. Ci facciamo luce con i telefoni e ci avventuriamo all’interno. Non è una grotta spettacolare, ma secondo me vale la pena farci un giro, quantomeno per l’atmosfera. Dopo qualche minuto sento dei pipistrelli emettere alcuni versi, probabilmente infastiditi dai turisti, e scappo verso l’uscita per paura che mi si attacchino ai capelli.. è solo una leggenda o lo fanno davvero? (Comunque sia non voglio investigare per rispondere a questa domanda. :D ) Tornando all’esterno, ci fermiamo ad ammirare la vista che si ha sul mare dall’alto. Si vedono alcune delle Cicladi e il mare di un blu meraviglioso. Il sole comincia a scaldare un po’ troppo e quindi decidiamo di rinunciare ad un’altra ora di camminata in salita per raggiungere la cima (da cui dicono si abbia una vista spettacolare sulle Cicladi) e torniamo verso la macchina.

Il pomeriggio lo passiamo sulla spiaggia di Kastraki tra ozio, silenzio (data la pochissima gente che la frequenta) e vento forte che dalla notte precedente sembra non voler smettere. La sera, invece, andiamo ad Agio Anna e ci divertiamo tantissimo grazie ad un gruppo di londinesi che, a Naxos per un matrimonio, decidono di tirarci dentro alla festa con musica, cocktails e ballate.

31/07 – E’ il nostro ultimo giorno con la favolosa Picanto e decidiamo di sfruttarlo al meglio: ci avventuriamo verso il Sud dell’isola su suggerimento della proprietaria dell’appartamento. Siccome il vento ormai è arrivato e non se ne andrà, ci consiglia di andare alla spiaggia di Aliko che dovrebbe essere un po’ più riparata. Loro chiamano la spiaggia “Hawaii”, ma a noi ricorda molto di più la Sardegna. Passiamo qui l’intera giornata. E’ stupenda e il mare è tranquillo. Ci sono alcuni turisti, ma non è caotica.

01/08 – Avevo letto da qualche parte qualcuno scrivere che “la Grecia senza vento che Grecia è..?” e potrei essere d’accordo, ma così è impossibile stare. Patria di quelli che fanno windsurf senza dubbio, ma per noi semplici umani in cerca di una tintarella e di un bagno al mare è difficile anche solo trovare un posto dove sedersi a leggere un libro senza che arrivino zaffate di sassolini dalla spiaggia o quintali di sabbia sopra alla crema solare. Essendo senza auto, ripieghiamo sulla spiaggia di Mikri Vigla e troviamo rifugio tra gli scogli per passare la mattinata. Anche il proprietario ci aveva avvisato che non era una giornata da spiaggia, ma non potevamo certo rinunciare e chiuderci in casa. La figlia del proprietario (l’unica a parlare inglese) ci consiglia di andare nella spiaggia di Mikri Vigla più a sud (all’incrocio si va verso sinistra e non verso destra come avevamo sempre fatto) e, effettivamente, sembra che la situazione sia leggermente migliore. Di sicuro domani passeremo qui la giornata intera!

La sera usciamo a cena e ci fermiamo da Stelios, una taverna vicina alla spiaggia, dove assaggiamo ottimi piatti tipici e spendiamo davvero poco. La salsa Tzatziki è fatta in casa e infatti è la migliore da noi gustata. Attenzione: crea dipendenza.

02/08 – E’ la nostra ultima giornata intera da passare a Naxos. Come previsto, usciamo di casa e raggiungiamo sin dalla mattina la spiaggia di Mikri Vigla (sud) e notiamo che l’intera massa di turisti presente a Naxos ha deciso di fare la stessa cosa. Circondati da gente, bambini urlanti e persone che propongono massaggi, ci ricordiamo la giornata a Kastraki dove non si vedeva nessuno per centinaia di metri. Una cosa che ci fa ridere è la sottospecie di guerra per accaparrarsi i sassi più grossi per legare l’ombrellone (che se no viene portato via dal vento): se si arriva tardi, non se ne trovano più. Torniamo a casa a mangiare e saltiamo le ore più calde. Quando torniamo pare che un po’ di gente se ne sia andata, rimaniamo fin dopo il tramonto e ci godiamo finalmente la spiaggia praticamente deserta con una birra in mano e il rumore del mare come sottofondo. Un bel saluto direi.

03/08 – Ultimi tuffi in mare e poi corriamo a casa a sbaraccare, oggi si va alla Chora a fare qualche acquisto e poi si torna ad Atene con la Blue Star Ferries. Salutiamo i proprietari del nostro appartamento che sono gentilissimi e ci permettono di lasciare le valigie in reception mentre andiamo a pranzo (nuovamente da Stelios: maledetta Tzatziki! :D ) e poi ci offrono dei dolcetti buonissimi. Alle 14 dovrebbe passare il bus davanti a Stratouris (supermarket), ma dopo mezzora ancora non si vede. Quando la mia pazienza da milanese sta esaurendo, eccolo che ci sfreccia accanto senza fermarsi. Quasi all’esaurimento nervoso chiedo dentro al negozio e mi dicono che DOVREBBE tornare, ma che prima va in spiaggia. Fortunatamente torna e riusciamo a salire. Purtroppo fa un giro lunghissimo, arrivando fino a Pirgaki (spiaggia a sud, vicino ad Aliko) e tornando poi in su, ripassando nuovamente da Mikri Vigla (ma senza entrare in paese). Dopo un’ora e dieci arriviamo finalmente alla Chora. Dovrebbero almeno informare sulle fermate che il bus fa e, invece, non si sa nulla se non degli orari indicativi. (Sembra quasi di avere a che fare con Trenord! :D)

Facciamo qualche acquisto e ci procuriamo anche una piccola cena da fare sulla nave (costosa e neanche buona, forse valeva la pena spendere 5 euro di panino sulla nave). Salpiamo e arriviamo puntualissimi alle 23.15 al Pireo. Scegliamo di prendere il taxi visto che l’hotel è più vicino all’aeroporto e non converrebbe prendere la metro. Veloce check-in al Park Hotel e subito a letto che domani si torna a casa.

04/08 – Facciamo colazione e poi finiamo di chiudere le valigie con una lacrimuccia per la fine delle vacanze. Prendiamo il bus X95 dalla piazza Agia Paraskevi che è ad un quarto d’ora a piedi dall’hotel e una volta in aeroporto ci imbarchiamo.

Ciao Grecia, è stato un vero piacere. Magari ci rivedremo!

Karpathos : mare mozzafiato e avventure “indimenticabili”

Siamo pariti da Lubjana venerdì 11 agosto alla volta di Karpathos. Già la veduta dal finestrino dell’aereo toglie il fiato. Un’isola a tratti verde, a tratti brulla, circondata da questo mare dalle meravigliose sfumature. Per chi non è amante dell’aereo e ha un po’ di paura come me, l’atterraggio non è dei migliori. L’aereoporto si trova nella parte sud dell’isola, vicino a una baia nominata Devil Bay , amata dai surfisti grazie al costante e forte vento che la caratterizza. Il vento è molto forte quasi sempre e si percepisce anche durante l’atterraggio. Essendo vicino alla costa avrete la sensazione di stare per atterrare in mare!

Scesi dall’aereo abbiamo ritirato i bagagli e siamo saliti sul bus che ci avrebbe portato in Hotel. Noi avevamo scelto un hotel vicino al centro di Pigadia (circa 20 minuti a piedi dal porto), il Blue Bay hotel. L’hotel è sulla strada principale, nelle vicinanze c’è un super market ben fornito e già nelle vicinanze si trovano delle taverne tipiche per cenare. Le camere sono molto modeste e negli standard dei 3* che si trovano nelle isole greche, però ogni giorno trovavamo la camera discretamente riassettata e pulita (tranne la domenica che non effettuano il riordino delle camere e il cambio asciugamani). Abbiamo deciso di non prendere l’aria condizionata (€ 6 al giorno) perchè essendoci molto vento anche di notte, tenevamo gli scuri chiusi e il vetro aperto in modo da far circolare aria e dormire senza avere caldo.

La sera siamo andati a mangiare al To Perasma Restaurant, subito sotto l’hotel. L’ambiente è molto carino e anche se si trova sulla strada, è un posto tranquillo in cui mangiare ottimo cibo greco. Ci hanno portato come antipasto offerto dalla casa 3 salse (di olive, di fave e di pesce) da accompagnare con la pita. Abbiamo poi preso due secondi molto abbondanti (ogni secondo è accompagnato sempre da contorno come patate, riso e insalata) e 3 birre da mezzo per un totale di € 23 in due.

Sabato : La colazione la mattina è discreta. C’è sia dolce che salato ma non aspettatevi grande scelta (per i più forti di stomaco la mattina al buffet troverete anche olive cetrioli e pomodori!). Abbiamo mangiato di corsa perchè dovevamo essere al porto di Pigadia alle 8.30 per partire alla volta di Saaria, un’isola disabitata a nord di Karpathos. Avevamo scelto la barca “amore mio” (la penultima, in legno, bialbero, con un ragazzo che la sera distribuisce i volantini e prende le prenotazioni per le gite). Il mare era molto mosso ma hanno detto che si poteva partire comunque. Dopo 3 ore e mezza di navigazione non troppo piacevole siamo arrivati a Saaria. Il mare qui è veramente incontaminato, le sfumature vanno dall’azzurro acceso, al turchese, al blu . la spiaggetta su cui si approda è veramente piccola infatti organizzano le gite in modo tale che non sia affollata. Sulla spiaggia verranno a farvi visita due caprette, molto simpatiche e socievoli che ormai sono abituate all’arrivo di turisti. Avevo letto che era consigliato portarsi delle scarpe da trekking per andare a piedi nella parte alta dell’isola da dove si può ammirare uno stupendo panorama. Avendo però solo 2 ore a disposizione per la permanenza sull’isola, abbiamo deciso di goderci il mare e di concederci qualche tuffo. Abbiamo fatto un po’ di snorkeling ma non abbiamo visto un granchè. Risaliti sulla barca abbiamo pranzato a base di souvlaki e insalata greca e siamo ripartiti alla volta di Agios Minas per fermarci solo a fare un breve bagno. A causa del mare sempre più mosso non siamo potuti fermarci e il capitano ha deciso di fare rotta verso Pigadia. A metà strada la barca si è bloccata per un presunto guasto al motore, eravamo lontani dalla costa e il capitano della barca non voleva chiamare aiuti perchè voleva sistemare il motore da solo (in mezzo al mare!). Dopo un’ora e grazie all’insistenza di alcune ragazze hanno chiamato la guardia costiera che è partita dal porto di Pigadia ma sempre a causa del vento non sarebbe arrivata prima di un’ora. Il sole stava tramontando dietro la montagna, ci stavamo allontanando sempre di più dalla costa e non si vedeva ancora arrivare nessuno. Quando alle 18 sono arrivati a prenderci, la nostra barca è ripartita e non hanno voluto farci salire sull’altra perchè “era pericoloso avvicinare le due barche con le onde”. Siamo arrivati fino alla baia di Kyra Panagya per salire sull’altra barca e raggiungere finalmente il porto di Pigadia alle 23.00. Il capitano della barca “amore mio” appena arrivati al porto è letteralmente scappato, senza nè una scusa nè un minimo accenno di rimborso vista la pessima esperienza. Quindi se dovete partire da Pigadia, per quanto i loro prezzi siano i più vantaggiosi, evitate quella barca!!!! La sera essendo già tardi siamo andati a letto senza cena.

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Domenica : pieni di buoni propositi siamo andati a ritirare il nostro quad (300c – € 160 per 4 giorni) e siamo partiti alla volta di Kyra Panagia (bisogna seguire le indicazioni per Aperi, una volta arrivati al bivio si gira a destra e si segue sempre per Spoa, ad un certo punto c’è sulla destra una strada che porta a Kyra Panagia. La strada è in discesa ma è asfaltata ed è fattibile sia con quad che con motorini perchè la pendenza non è eccessiva). Questa è una delle spiagge più famose anche grazie alla conosciuta chiesa dalla cupola rossa che la sovrasta. Qui il mare è veramente splendido, sembra di essere in una piscina. Il fondale è di sabbia misto sassi, l’acqua è azzurra e non fredda. Consiglio di arrivare entro le 10 per poter prendere un ‘ombrellone visto che non ce ne sono molti (€ 7 per ombrellone e due lettini). Raggiungendo la chiesa si può apprezzare ancora di più la bellezza di questa baia e le sfumature del mare. L’acqua è fonda quasi subito quindi per i bambini non è il massimo. Abbiamo pranzato sulla prima taverna sulla destra salendo dalla spiaggia: pessima! Quantità misere e costo elevato! Per un’insalata greca e un piatto di carciofi e carote e due birre abbiamo speso € 28!

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Dopo pranzo siamo partiti alla volta di Apella, la spiaggia successiva a Kyra Panagia. Un altro paradiso! La spiaggia è molto lunga e anche più affollata ma merita veramente trascorrerci del tempo e concedersi un bagno. L’acqua qui è più fresca e il fondale è prevalentemente di sassi, con delle rocce che affiorano dall’acqua non molto distanti dalla riva. Anche qua facendo snorkeling non abbiamo visto molto ma la vista che si ha del mare che si apre verso l’orizzonte è sensazionale. Se andate di pomeriggio non pensate di trovare ombrelloni. Potete però sfruttare l’ombra delle rocce che proteggono la spiaggia e godere del sole vicino al bagnasciuga.

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Verso le 18 siamo ripartiti per tornare in hotel, cambiarci e andare a mangiare in una delle taverne consigliate sul porto di Pigadia. Prima di sederci, abbiamo fatto una passeggiata lungo il porto. All’ora del tramonto i colori sono magnifici e l’atmosfera è magica.

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Abbiamo scelto di mangiare alla taverna Sofia’s Place. Gestore simpatico che a fine cena ci ha offerto il digestivo da bere rigorosamente al salto. Cibo mediocre, molto commerciale ma prezzi nella media delle altre taverne. Nota di merito al calamaro alla griglia che è sempre veramente fresco e ben cucinato. Nota di demerito per il piatto di specialità greche (la moussaka era più besciamella che altro e le altre pietanze si sentiva che erano state precotte e poi riscaldate). Abbiamo fatto una passeggiata nella strada interna dove ci sono i vari negozietti e siamo tornati verso l’albergo.

Lunedì: sempre in sella al nostro quad siamo andati a Diakoftis, spiaggia nel sud dell’isola, vicino all’aeroporto. Per arrivarci bisogna percorrere una strada sterrata ma il tragitto è pianeggiante e la strada è ok. La spiaggia di Diakoftis è costituita da due baie, quella di destra è decisamente quella che ha le sfumature più belle. L’acqua è come quella ai Caraibi! Limpidissima nonostante ci fosse vento e il fondale fosse di sabbia, tiepida come temperatura e per un bel pezzo arriva fino ai fianchi. Il posto è veramente selvaggio (ci sono solo 10 ombrelloni, un piccolo bar e un camioncino che cucina specialità greche). Unica cosa negativa: il vento insopportabile. Quando andate in questa spiaggia mettetevi in testa che o state in acqua o sul bagnasciuga. Stare sulla spiaggia con o senza lettino è praticamente impossibile, il vento è veramente forte e costante e ogni minuto arrivano folate di sabbia non indifferenti.

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Dopo aver fatto qualche foto e qualche bagno siamo tornati alla volta di Amoopi, una delle località più turistiche dove sono presenti anche diversi hotel e studios. Una volta prese le indicazioni per Amoopi siamo arrivati fino in fondo alla strada, dove abbiamo parcheggiato il quad e abbiamo subito notato che anche qui la baia era divisa in due parti. La parte sinistra sabbia bianca, acqua anche qui caraibica e vento (ma non insopportabile come a Diakoftis), la parte destra spiaggia di sassi, fondale anch’esso di sassi con rocce che spuntavano in mezzo al mare, riparata dal vento. Abbiamo fatto un bagno nelle acque turchesi della baia sabbiosa e poi abbiamo concluso il pomeriggio nella baia “rocciosa”. Anche qui abbiamo tentato con lo snorkeling e non siamo rimasti affatto delusi. Questa baia si chiama Baia di Votslakia ed è una delle zone migliori dove poter vedere qualche pesce. Non siamo ovviamente ai livelli del Mar Rosso, però abbiamo visto molte varietà di pesci di piccole e medie dimensioni. La baia è molto tranquilla ed è il posto ideale dove rilassarsi e godersi il sole che tramonta lentamente dietro la montagna.

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La sera abbiamo deciso di concederci un aperitivo in uno dei bar lungo il porto. Abbiamo scelto il Galery Cafe, verso la fine del porto, con i tavolini in prima fila rivolti proprio verso il mare. Ogni giorno dalle 17 alle 20 fanno l’happy hour e tutti i cocktails sono a € 5. Ne hanno un’infinità tra cui scegliere! Sono abbondanti e per niente annacquati!

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Verso le 19.30 non c’è ancora molta gente che passeggia quindi c’è quasi silenzio e veramente ci si può concedere un momento di relax vista mare. Abbiamo poi deciso di andare a cena da Mike’s, una taverna in una delle vie interne di Pigadia. Beh che dire, tutto super! La Moussaka è la migliore che ho mangiato (e la Grecia l’ho girata molto)! Viene tutto fatto sul momento infatti i tempi di attesa sono un po’ più lunghi ma ne vale la pena. Inoltre ogni giorno hanno orate fresche fino ad esaurimento, quindi meglio non andare troppo tardi. Un’orata da 500 gr con contorno di patate broccoli e riso, la moussaka e due birre da mezzo abbiamo speso € 28, praticamente niente. Pigadia è popolata per metà da persone e per metà da gatti quindi quando mangiate saranno li a guardarvi con occhi languidi per avere un po’ di cibo. Dategli un pezzo di pane o un avanzo e saranno contenti. Non disturbano.

Martedì: la meta era Agios Minas, la famosa spiaggia dove avremmo dovuto fermarci con la barca! Al noleggio ci avvisano che non possiamo scendere per la strada che porta alla spiaggia perchè è troppo ripida e l’assicurazione del quad non copre se ci sono incidenti (come anche a Kato Lako), però ci dicono che eventualmente possiamo lasciare il quad sulla principale e andare giù a piedi. Imbocchiamo la strada che porta a Spoa in quanto Agios Minas è nella parte nord, poco prima di Diafani. Appena nei pressi di Spoa ci accorgiamo che la strada inizia a farsi pericolosa. Andiamo sempre più in alto, lo strapiombo alla nostra destra aumenta, aumentano anche le raffiche di vento che ad un certo punto diventano insopportabili e notiamo che per strada ci sono diverse pietre franate a causa del vento. Decidiamo di proseguire fino all’imbocco della strada per Agios Minas. Arrivati malediciamo la ragazza del noleggio! Eravamo a 700mt di altezza e per raggiungere la spiaggia avremmo dovuto fare una strada di una pendenza terrificante, tutta sterrata, di ben 4 km. Visto il vento e visto che era impraticabile come percorso, siamo tornati indietro con non poche difficoltà in quando il vento era aumentato e c’erano il doppio delle pietre lungo la strada. Io ho fatto il tragitto con la mano sul casco del mio compagno perchè non gli volasse via e pregando che non ci arrivassero pietre addosso o che qualche raffica di vento non ci facesse perdere il controllo del mezzo. Decidiamo di tornare a Kyra Panagia e di goderci il pomeriggio in relax, senza andare alla ricerca di nuove avventure. Questa volta decidiamo di pranzare sul bar a sinistra salendo dalla spiaggia (ha una bellissima terrazza da cui godersi il panorama). Qui il cibo è più commerciale (insalatone, pesce, panini) ma tutto molto buono ed economico. Oggi c’è parecchio vento quindi il mare è un po’ mosso ma nonostante le onde l’acqua è sempre limpida e pulita ed è un piacere tuffarvisi.

La sera torniamo verso l’hotel e, dopo esserci cambiati e aver fatto aperitivo nel nostro solito posto, decidiamo di provare Manolis, ricorda come impostazione i kebab take away che si trovano in Italia, ma i piatti meritano. Qui si mangia uno dei migliori Gyros pita dell’isola. La carne è tenerissima e gustosa. Oltre al Gyros pita hanno anche piatti di carne veramente invitanti. Due Gyros di dimensioni enormi e due birre da mezzo: € 15 (costava più la birra del Gyros).

Mercoledì: partiamo presto e ci dirigiamo verso Damatria Beach, una spiaggia sempre nella zona dell’aeroporto, 15 minuti dopo aver superato Amoopi. Arriviamo che siamo praticamente gli unici sulla spiaggia. Anche qui c’è molto vento ma arrivano meno folate di sabbia rispetto a Diakoftis. L’atmosfera è unica! C’è silenzio e si sente solo il suono del vento e dell’acqua che accarezza le rocce. Un paradiso. La spiaggia è attrezzata ma noi abbiamo preferito fare i selvaggi e posizionarci sulla parte destra, quella senza ombrelloni, più vicina alle rocce. Anche qui l’acqua merita! Sarei stata in ammollo tutto il giorno. Unico problema: il vento qui è un po’ più fresco quindi dopo essere usciti dall’acqua non è piacevole.

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Dopo aver fatto una passeggiata sul bagnasciuga e aver preso un po’ di sole misto sabbia siamo ripartiti per pranzare ad Amoopi, all’Esperida, una taverna abbastanza conosciuta di cui avevo letto ottime recensioni. Qui prendiamo un Gyros piatto (la carne in questo caso era stata anche grigliata, veramente ottima) e un Imam (una melanzana divisa in due, cotta al forno con cipolle aglio pomodori e feta), un’acqua e una birra per € 21. Tutto squisito. Saremmo tornati anche la sera ma non essendo le strade illuminate non ci fidavamo a muoverci con il quad.

Trascorriamo il pomeriggio ad Amoopi sempre facendo snorkeling e rilassandoci un po’. La sera decidiamo di tornare da Mike’s perchè veramente è una garanzia di ottima cucina greca casalinga.

Giovedì: oggi avevamo deciso di fare una gita in barca con la Sofia My Love, barca sicura (ci siamo ben informati) ma ancora un po’ scottati dall’esperienza negativa del sabato decidiamo di fermarci tutto il giorno sulla spiaggia di Pigadia, di fronte all’hotel. Appena arrivati la mattina il mare non era un granchè, mosso e un po’ sporco ma con il passare delle ore devo dire che sono rimasta piacevolmente colpita di come l’acqua fosse anche qui limpidissima nonostante la vicinanza con il porto (i colori del mare però non sono paragonabili con quelli delle altre spiagge). Merito di questa spiaggia sono gli ombrelloni più grandi e al posto dei classici lettini ci sono delle sedute morbide che si adattano alla posizione del corpo. Insomma, pisolino assicurato! Pranziamo da Manolis e ceniamo da Mike’s, volevamo chiudere in bellezza la vacanza.

Venerdì: dopo aver passato qualche ora in piscina (nota di merito per la piscina dell’hotel molto pulita e ben tenuta), alle 14.00 vengono a prenderci per portarci in aeroporto per rientrare in patria.

Tirando le somme di questa vacanza devo dire che non ho visto un mare così bello da togliere il fiato in nessun altra isola greca (a parte alcune zone di Creta). Bisogna solo partire preparati all’idea del vento. Il primo giorno sembra veramente insopportabile, poi diventa un alleato perchè senza vento sarebbe quasi impossibile stare al sole. Consiglio il noleggio di una macchina per essere meno in balia del vento. Non che con il quad ci siamo trovati male, ma spesso gli spostamenti erano spiacevoli e fastidiosi a causa delle raffiche improvvise.

Sconsiglio dal profondo del cuore di andare con mezzi propri verso Diafani facendo la strada costiera. C’è una corriera che fa la strada interna che è molto meno pericolosa ed è la stessa strada che porta ad Olymbos, un paesino molto caratteristico che noi abbiamo deciso però di non visitare.

La strada costiera che porta a nord è davvero pericolosa, per il vento soprattutto. Sembrerò ripetitiva ma purtroppo lo stesso giorno che l’abbiamo percorsa noi ci sono stati diversi incidenti, di cui uno grave in cui ha perso la vita una ragazza che avevamo conosciuto durante il viaggio che era in sella del quad e a causa di una folata di vento improvvisa e davvero potente, ha perso il casco, il compagno ha perso il controllo del quad e l’epilogo è stato tragico. Quindi non siate incoscienti e regolatevi in base al vento che trovate al mattino quando vi svegliate per scegliere la destinazione in cui andare

Detto questo, prendendo le giuste precauzioni trascorrerete una vacanza splendida e certi posti vi rimarranno nel cuore.

 

 


Florida con bambini in agosto: cosa fare nelle ore più calde

Florida del Sud in agosto, due adulti e una bambina di quattro anni e mezzo. Sole bruciante, caldo umido tropicale notte e giorno, ogni tanto un breve acquazzone a dare un po’ di respiro (ma dopo ritorna tutto come prima). Il mare sicuramente piacerà agli appassionati delle terme: l’acqua è calda, si rincorrono le piccole correnti fredde per darsi un po’ di refrigerio. Insomma: le spiagge sono bianche, larghe e vuote, la natura è prepotente e verdissima, tutto è comodo e anche bello, ma il clima non è sicuramente il migliore. E allora, cosa fare con una bambina nelle ore più terribili? Ecco qui una decina d’idee, di “attractions” (note e meno note) che abbiamo visitato, selezionate dopo un attento studio a casa: e visto che lo studio di solito paga, sono tutte scelte che ci hanno soddisfatto e che ci fa piacere condividere.

Partiamo dalla fine, cioè dalle Florida Keys. La prima esperienza da non perdere è quella con la Glass Bottom Boat della Key Largo Princess (www.keylargoprincess.com), che si prende appunto a Key Largo (la prima località che s’incontra venendo da Nord), nei pressi dell’Holiday Inn. Il tour (30 euro per gli adulti, 14 per i bambini) dura oltre due ore e si fa con un grande yacht a due piani: il superiore è una terrazza-solarium (con un piccolo bar) da cui è possibile vedere la costa e l’oceano, mentre quello inferiore ha il fondo in vetro, con due grandi “buchi” rettangolari, ognuno di circa 15-20 metri quadrati. Gli adulti restano in piedi appoggiati alla balaustra che circonda i “buchi”, mentre i bambini siedono a terra con le gambe penzoloni sul fondo. Arrivati sulla barriera corallina, dopo una quarantina di minuti di navigazione, inizia lo spettacolo del John Pennekamp Coral Reef State Park (l’unico parco sottomarino degli Stati Uniti): decine e decine di pesci coloratissimi, formazioni coralline e piante acquatiche. Una giovane guida (parlante inglese) di volta in volta che i pesci appaiono sul fondo ne spiega la vita e le caratteristiche, indirizzando gli ospiti anche a guardare alcune creature marine che potrebbero sfuggire a occhi poco “allenati”, e fornendo informazioni a gettito continuo. La sosta sul reef dura 30-40 minuti, un tempo abbastanza lungo per sentirsi soddisfatti. A quel punto si rientra, e tutti si dirigono sul ponte per fare le ultime fotografie.

Il secondo appuntamento è a Islamorada, a meno di 30 chilometri da Key Largo (scendendo verso Sud). Lì si trova il Theater of the Sea (www.theaterofthesea.com), un parco di mammiferi marini nato nel 1946, immerso in un bellissimo giardino di vegetazione tropicale (incredibile è la quantità di orchidee), confinante con la laguna e le mangrovie. Al Theater (ingresso da 19 a 28 euro) è possibile assistere a spettacoli con delfini atlantici e leoni marini (nei quali i bambini vengono coinvolti, con loro grande gioia) e a show con pappagalli; fare un giro in una barca senza fondo per veder giocare i delfini; ammirare tartarughe, alligatori e squali tenuti in grandi vasche di acqua salata (pompata direttamente dall’Oceano Atlantico); seguire un tour informativo sulla vita dei tanti animali ospitati nella struttura (di cui una buona parte sono stati salvati e riabilitati). Alla fine degli spettacoli e delle varie attività si va tutti nella piccola spiaggia privata per bagnarsi in mezzo a decine di pesci. La struttura offre anche una varietà di programmi d’interazione con gli animali (come nuotare assieme alle razze o incontrare i delfini) per varie età e prezzi. Al Theater of the Sea, insomma, le ore si trascorrono in grande piacevolezza, e il divertimento è assicurato.

Dopo altri 130 chilometri, infine, si arriva nella deliziosa Key West. Qui il consiglio (e sarà l’unico riguardo le sistemazioni, ma perché la struttura merita davvero di essere pubblicizzata) è il Lighthouse Court Hotel del gruppo Historic Key West Inns (www.historickeywestinns.com). L’albergo è in pieno centro, sulla Whitehead Street (parallela della Duval Street, che è l’arteria principale della cittadina), accanto al fotografatissimo Bahama Village e di fronte alla casa-museo di Ernest Hemingway. L’architettura è quella tipica di Key West, risalente agli inizi del Novecento: una decina di edifici di uno o due piani, con rivestimenti in legno, tetti in latta e grandi portici tutti aperti. Nel vasto cortile (dove si consuma una buona e generosa colazione, sia dolce sia salata, compresa nel prezzo), posto al centro di tutti questi edifici, ci sono la piscina e il bar, ovunque fiori e alberi tropicali che concedono molta ombra. Le stanze sono davvero belle: la nostra (la J3, ancora ce la ricordiamo) era praticamente un appartamento, composto di piano terra e piccola mansarda, con parquet, cucinetta, balconcino, cabina armadio. Begli gli arredi, comodissimi i servizi (con doccia molto spaziosa). Ovviamente ci sono il wi-fi, l’aria condizionata, i ventilatori al soffitto, la grande televisione a schermo piatto, la cassetta di sicurezza, il parcheggio per l’auto (che però si paga a parte). Insomma, c’è tutto quello che serve, compresa la cortesia e la professionalità di un personale abituato a trattare con viaggiatori che vengono da tutto il mondo. Sì, tutto bello, ma quanto costa? Qui sta la vera sorpresa. I prezzi vanno dai 150 ai 210 euro: considerando quanto siano care Key West e la Florida in generale, e quanto siano comunque alti i prezzi di sistemazioni ben peggiori, il rapporto qualità/prezzo del Lighthouse Court Hotel è davvero notevole.

Da vedere assolutamente sono le Everglades. Un immenso e bellissimo territorio di paludi (che in realtà è un fiume che si muove lentissimo da Nord a Sud), pieno di animali, come gli alligatori e centinaia di specie di uccelli, e piante del tutto particolari. Un’occasione da non perdere per visitare questo patrimonio naturale unico al mondo è quella offerta dal Billie Swamp Safari (www.billieswamp.com) nella riserva naturale di Big Cypress, di proprietà dei nativi americani Seminole. Questa popolazione si stabilì in Florida nel Settecento, fu protagonista di tre guerre contro l’esercito degli Stati Uniti nella prima metà dell’Ottocento, e i suoi discendenti ancora oggi rivendicano con orgoglio di non aver mai firmato accordi e di non essersi mai arresi agli americani. Il Billie Swamp è una bella e grande struttura sita a Clewiston che offre tour tra le paludi, accompagnati da una guida, sia in airboat, la tipica imbarcazione con un’enorme elica dietro (il prezzo è 15 euro, la durata è mezzora), sia in “buggy”, un grande veicolo aperto e sospeso su ruote molto alte (dai 10 ai 20 euro secondo l’età, la durata è un’ora). Nel corso della giornata è anche possibile assistere a spettacoli con serpenti e altri animali, tutti condotti da guide Seminole. La struttura contiene anche un piccolo zoo (con istrici, pappagalli, alligatori, facoceri, capibara, tartarughe, lontre e linci), un ristorante (dove si è mangiato benissimo e a prezzi molto contenuti), un sentiero di circa tre chilometri che s’inoltra nelle paludi e un piccolo villaggio con le case tradizionali (dette chickees, ossia delle piattaforme sopraelevate in legno, aperte da ogni lato e coperte da un tetto di paglia). La giornata si può concludere approfondendo un po’ la storia e la cultura dei Seminole andando al Ah-Tah-Thi-Ki Museum (www.ahtahthiki.com), distante appena sei chilometri. All’inizio un breve filmato introduce al mondo dei Seminole, la visita poi continua attraverso le diverse sale, dove figure a grandezza naturale (organizzate in scene) mostrano le pratiche tradizionali dei nativi americani: dai giochi dei bambini alle cerimonie (come quella del “green corn”, cioè del raccolto annuale del mais), dalle danze alla vita quotidiana. Nel museo sono anche presenti oggetti, tessuti e numerosi pannelli informativi, oltre a opere di artisti Seminole contemporanei. Al di fuori, infine, c’è una lunga passeggiata in un bosco di cipressi che conduce al Ceremonial Grounds e al Living Village, dove è possibile vedere “dal vivo” com’era la vita reale dei nativi americani.

Palm Beach offre un paio di attrazioni davvero interessanti. Iniziamo dal South Florida Science Center and Aquarium (www.sfsciencecenter.org), una struttura educativa dove i bambini possono fare numerose attività, partendo dal principio (che è anche il loro slogan) che “the science is exciting”. Il centro (l’ingresso va dai 9 ai 12 euro) ospita, anzitutto, numerose vasche che mostrano diversi habitat ed eco-sistemi: dal reef corallino agli alligatori, dai cavallucci marini al “mondo nascosto” delle Everglades, dalle tartarughe ai pesci atlantici. Ampia è la parte dei giochi (saranno circa un centinaio) a disposizione dei bambini: si va da quelli ispirati ai principi fondamentali della fisica e della chimica (ad esempio, sulla densità dei solidi e dei liquidi, oppure sull’energia elettrica) a quelli di logica e ragionamento (ad esempio, giochi simili al tetris). Ci sono poi alcune macchine davvero curiose: la “frozen shadow”, che permette di fotografare la propria ombra, o la “hurricane force”, dove in una grande capsula di plastica si sperimenta la velocità del vento negli uragani. Molto interessante è anche l’esposizione dedicata allo spazio, dove si possono vedere meteoriti, rocce lunari e numerosi oggetti della spedizione Apollo 14 del 1971. Vi sono poi una sala con giochi più tradizionali (come le costruzioni o i giochi con l’acqua, e c’è anche un salottino per i genitori dove potersi riposare) rivolta ai bambini più piccoli, un teatro-planetario e, nel cortile, un campo di golf a 18 buche in miniatura. La hall centrale, infine, è dedicata alle esposizioni temporanee: nel nostro periodo c’era “Amazing butterflies”, un’interessante mostra interattiva sulla vita delle farfalle. Al South Florida Science Center and Aquarium, insomma, è possibile passare qualche ora divertendosi e imparando (cosa valida anche per noi adulti).

Dopo poco più di venti chilometri da Palm Beach, andando verso l’interno, si arriva in Africa. Il Lion Country Safari (www.lioncountrysafari.com) di Loxahatchee, nato a metà degli anni sessanta e via via ingrandito nel tempo, è una sorta di “succursale” dei grandi parchi ed è un’occasione unica per osservare la fauna selvatica di quel continente. Il Lion Country (entrata dai 20 ai 30 euro), situato in un’area molto grande (oltre 200 ettari), ospita centinaia di animali divisi per habitat geografici, che riprendono i nomi dei parchi africani (come Serengeti o Hwange) o altri ambienti come la pampa e la foresta indiana. Gli animali sono liberi e tenuti in ottime condizioni, quindi si gira chiusi in auto (all’ingresso viene fornito un cd da ascoltare come guida) per un percorso di 6-7 chilometri. Si possono osservare leoni, rinoceronti, scimpanzé, zebre, giraffe, antilopi, struzzi e moltissimi altri; ad alcune specie (come giraffe, pappagalli, oppure agli animali domestici del “petting zoo”) è possibile dare loro da mangiare. Si ha modo, quindi, soprattutto per chi non ha avuto ancora la fortuna di vederli nei loro luoghi d’origine, di ammirare gli animali da molto vicino, e per i bambini (ma anche per gli adulti) questo è sicuramente motivo di grandi emozioni.  La struttura offre parecchie altre cose: minigolf, aree preistoriche (con dinosauri a grandezza naturale), parchi giochi di vario tipo (dalle giostre al “safari splash”, dove ci sono giochi d’acqua per bambini), oppure si possono fare gite in barcone o sul pedalò sul lago Shannalee. Un’esperienza particolare, dunque, che è bene non perdere.

Fort Lauderdale è una cittadina molto piacevole dove hanno sede due strutture che consigliamo caldamente di visitare. La prima è il Museum of Discovery and Science (www.mods.org/home.html), articolata su due piani e piena zeppa di mostre interattive e cose molto interessanti (ingresso dai 10 ai 13 euro). Iniziamo dal piano terra: ci sono un acquario (da rimarcare è sicuramente una parte di barriera corallina attiva in cattività); un habitat per le lontre di fiume nordamericane; una sezione dedicata agli animali preistorici della Florida; un’altra sezione nella quale è ricostruita la storia delle Everglades, provvista anche di un simulatore di corsa in airboat che permette un’esperienza cinematografica davvero singolare (il Museo è anche protagonista di un importante progetto di conservazione di questo patrimonio naturale); una grande sala giochi e la sezione Go Green, dove i bambini imparano (giocando) a riciclare correttamente i rifiuti. La sezione più interessante del piano terra è lo Storm Center, dove si possono fare mille cose: provare il simulatore di uragani, toccare il vortice di un piccolo tornado, costruire una casa robusta, creare nuvole e fulmini. Tante le sorprese anche al primo piano, che è impossibile citarle tutte. Due sono certamente da menzionare: la mostra interattiva “To Fly”, dove ci sono una capsula-teatro in 7D che porta i visitatori in volo nello spazio, un “rover” che permette una passeggiata su Marte e numerosi simulatori di volo su cui è possibile provare l’ebbrezza di pilotare un aereo (come un Airbus o un Cessna); la mostra “Powerful You”, interamente dedicata alla scoperta del corpo umano: attraverso l’utilizzo di giochi e display interattivi, i bambini imparano in modo divertente l’anatomia, le funzioni del cervello e del cuore, la prevenzione delle malattie e le più recenti scoperte tecnologiche per mantenere il corpo in buona salute (impressionanti sono i macchinari che permettono al visitatore di utilizzare la chirurgia robotica, come ad esempio il CyberKnife). C’è molto da fare, insomma, e una mezza giornata passa senza neanche rendersene conto.

La seconda attrazione è il meraviglioso Young At Art Museum (www.youngatartmuseum.org), sito a Davie, a pochi minuti da Fort Lauderdale. La struttura (ingresso da 9 a 12 euro), nata nel 1989 grazie all’intraprendenza delle due fondatrici (Esther e Mindy Shrago), ma rinnovata totalmente nel 2012, è uno dei migliori centri di educazione artistica e culturale per bambini al mondo, come testimoniano i numerosi premi internazionali vinti. La struttura ospita quattro gallerie permanenti (Green Scapes, Culture Scapes, Wonder Scapes e Art Scapes), create in collaborazione con artisti e designer di fama mondiale: nella coloratissima Wonder Scapes, ad esempio, le varie illustrazioni della storia di “Alice nel paese delle meraviglie” del disegnatore DeLoss McGraw prendono forma nella realtà, divenendo spazi e giochi (come la stupenda House & Tea Party o le curiose “sedie vocali”) dove poter rivivere le esperienze della favola. La quantità di cose da fare è enorme: si va dalla riproduzione di una stazione della metropolitana di New York alla struttura-labirinto Wave (raffigurante le onde del mare) percorribile all’interno, alle infinite possibilità di giocare (disegnare il proprio autoritratto, costruire strumenti musicali con materiali riciclati, produrre musica come nel famoso spettacolo Stomp). Il museo, infine, offre gallerie temporanee (durante la nostra visita c’era il Palindrome Park, un’installazione organizzata come un viaggio sensoriale attraverso le forme geometriche, i colori e la natura), numerosi corsi per bambini e ragazzi, una grande biblioteca, uno studio di registrazione e molto altro ancora.

E concludiamo con Miami. In città ovviamente c’è di tutto, quindi consigliamo tre esperienze (tra le tante possibili). Iniziamo dalla gita in barca Bayside Blaster con la Island Queen Cruises (che offre 5-6 tour diversi, tutti sul sito www.islandqueencruises.com). Si prende al Bayside Marketplace (in pieno centro, dove ci sono ristoranti, bar, negozi e spesso musica dal vivo), il biglietto va dai 15 ai 23 euro. Il tour dura un’ora e mezzo, le partenze sono a vari orari. La compagnia di navigazione è molto professionale, la guida del tour è perfettamente bilingue, inglese e spagnolo. La crociera si svolge nella Biscayne Bay e inizia costeggiando Dodge Island, ossia la parte commerciale del porto (si “ammirano” quindi container e gru, che può anche essere interessante vedere da vicino, comunque dura pochi minuti). Ci s’inoltra poi per South Beach e da lì si aprono nuovi scenari: la splendida skyline di Miami, Brickell Key e Fisher Island (sede di condomini super-esclusivi dove si può attraccare soltanto se invitati), la marina di Miami Beach. Ma a suscitare la curiosità di tutti è Millionaire’s Row, la “riva del milionario”, dove si vedono ville hollywodiane e yacht costosissimi che appartengono ai personaggi “rich and famous” dello star system a stelle e strisce: Julio Iglesias e Liz Taylor, Ricky Martin e la “chica dorada” Paulina Rubio, Shaquille O’Neal (ex campione del basket Nba) e Gloria Estefan, e poi ancora rapper, industriali, attrici, fuoriclasse del football americano, cui si aggiungono la casa (piccola, in verità) di Al Capone e la villa in cui fu girato il film Scarface. Il nostro consiglio è di fare la gita al tramonto, la luce è quella migliore per scattare qualche bella fotografia.

Assolutamente da non mancare è quell’angolo di “paradiso terrestre” che prende il nome di Fairchild Tropical Botanic Garden (da rimarcare il sito www.fairchildgarden.org, molto ricco di informazioni). Il giardino è nella bellissima zona di Coral Gables, l’ingresso va dai 10 ai 20 euro. Il Fairchild, aperto al pubblico nel 1938, copre un’area di oltre 30 ettari. Annovera importanti e ampie collezioni di rare piante tropicali, come palme e cycas, oppure alberi magnifici e particolari, come l’albero del sughero, coperto di orchidee (quest’ultime sono ovunque e sono migliaia) e felci, o l’albero del pimento, che odora di cannella, noce moscata e chiodi di garofani mischiati assieme. È davvero difficile descrivere l’armonia dei laghetti e delle cascate, l’estrema cura della natura, i profumi del Fairchild: passeggiando tra i suoi vialetti (ma il giardino si può vedere anche a bordo di un trenino, con un’autista che svolge anche il ruolo di guida), si fa un “pieno” di bellezza che non si può dimenticare. Tra le tante meraviglie va sicuramente menzionata la voliera di farfalle The Wings of the Tropics: un posto incantato dove volano centinaia di farfalle dell’America centrale e meridionale, grandi e colorate (come le famose morphos), creando una sorta di poetico arcobaleno in movimento, immerse per di più in un giardino di orchidee e piante tropicali che si percorre attraverso una passerella. L’ultima annotazione va fatta per la notevole attività di ricerca, laboratorio, educazione e conservazione della biodiversità di cui il Fairchild è protagonista, che ne fanno uno dei più belli, importanti e meritevoli giardini botanici al mondo.

Affacciato sulla pittoresca baia di Biscayne, il parco divertimenti di vita marina Seaquarium (www.miamiseaquarium.com) offre ai visitatori ore di divertimento e di istruzione. Il parco (ingresso dai 30 ai 38 euro) è attivo dal 1955 e annovera anzitutto molti spettacoli, tutti accompagnati da presentazioni didattiche: il più popolare è sicuramente il Flipper Dolphin Show (che si svolge presso la Flipper Lagoon, sede del famoso spettacolo televisivo degli anni sessanta), e poi spettacoli di delfini atlantici, delfini bianchi del Pacifico, orche, leoni marini e foche. Il Seaquarium è molto grande (circa 40 ettari), ha quindi al proprio interno numerose strutture: il Penguin Isle (sede di dieci pinguini africani in via di estinzione), con annessa mostra su questi animali; il Conservation Outpost dedicato alle tartarughe marine; il Manatee Exhibit, dove è possibile ammirare un esemplare di lamantino e conoscere tutto su quest’animale fortemente minacciato; la Discovery Bay, un habitat di mangrovie dove trovano posto tartarughe, alligatori e uccelli selvatici. Vi sono, poi, diversi acquari, dove sono ospitati squali, pesci tropicali e razze (queste ultime sono in una “touch pool”, cioè una vasca in cui è possibile toccarle). Per i bambini, inoltre, vi sono diverse strutture di “gonfiabili” e un bel parco giochi a forma di nave dei pirati (dove si aggirano iguane molto grandi). È possibile, infine, immergersi nelle piscine e “incontrare” gli animali, nuotando e giocando con loro (ovviamente queste esperienze sono pagate a parte).

Un’altra Grecia: mare in Calcidica, panorami mozzafiato in Tessaglia e siti archeologici nell’entroterra macedone

Al terzo tentativo in tre anni ce l’ho fatta: a Bergamo ci attende il volo Ryanair per Salonicco prenotato da tempo, pieno e in ritardo di circa una mezz’ora per un brutto temporale (poi recuperato in volo). Passeremo le due settimane centrali di agosto in giro per la Grecia Settentrionale, nelle regioni della Macedonia e della Tessaglia.

Guide turistiche e siti internet

Per l’organizzazione del viaggio, oltre agli spunti dal ilgiramondo.net, ho utilizzato alcuni siti internet dedicati esclusivamente alla penisola Calcidica (in inglese) e due guide:

  • Lonely Planet “Grecia continentale” ed. 2016: un volume di quasi 400 pagine di cui 2 capitoli per le zone di interesse, che ho preso in formato .pdf e di cui ho stampato le pagine che mi servivano. Le parti dedicate a Salonicco e Meteore sono discrete, per la Calcidica c’è veramente molto poco.
  • Dumont “Penisola Calcidica e Salonicco”: (consigliatami dalla nostra esperta di isole greche sea breeze, grazie!) è del 2004 ma molto ben fatta, con una parte dedicata ai luoghi interessanti di Macedonia e Tessaglia.

Verso la Sithonia

Arrivati al piccolo aeroporto di Salonicco chiamiamo il noleggiatore e in pochi minuti arriva l’agente con l’auto.

Il noleggio è costato più del volo: volendo un’auto per 12 giorni sapevo che il conto sarebbe stato un po’ più del solito, ma non immaginavo così tanto (minimo 600 € senza assicurazioni extra). Ho trovato un noleggiatore locale (Poseidon Rental Cars), con sede in città a Salonicco e qualche buona recensione in siti esteri. Mi sono fidata e devo dire che non è andata così male: per la categoria più piccola ci hanno chiesto 530,00 €, comprensivi di assicurazione per fondo e pneumatici, ritiro in aeroporto e riconsegna all’albergo in centro a Salonicco. L’auto, una Nissan Micra con qualche annetto sulle spalle, era pulita e in discrete condizioni, e la cauzione è stata sbloccata a pochi giorni dal rientro.

Partiamo per la Calcidica, precisamente per il “secondo dito” (la Sithonia), dove alloggeremo 8 notti. Dopo un’ora e mezzo di strade poco trafficate arriviamo a Vourvourou, nel piccolo “resort” con vista sul mare Simon King (prenotato da Expedia ad 83€ a notte senza colazione). Vourvourou in agosto non ha prezzi economici come altre zone della Grecia e già a febbraio-marzo non c’era molta scelta.

Il Simon King ha una piccola piscina con un bel panorama, lettini e teli mare a disposizione, ampio spazio per parcheggiare anche all’ombra, qualche bici (è a circa 800 metri dal paese). Il nostro monolocale (che chiamerò casa da qui in avanti) è ampio, su due livelli, arredato con un gusto moderno, con pulizie giornaliere e cambio asciugamani ogni 2 giorni. Non è adatto agli alti, il soppalco su cui si trova il letto matrimoniale è veramente basso. Il Wi-fi è debole, ma sufficiente per consultare qualche sito. Il bagno, carino, avrebbe il box doccia da cambiare anche se il complesso non dovrebbe avere più di 2-3 anni, e c’è qualche problema con gli scarichi (non ci sono fognature in zona), ma basta non scaricare l’acqua dalla cucina e dal bagno in contemporanea. Oltre a noi c’erano diversi altri italiani che andavano e venivano. Davanti scorre la strada della Sithonia dove le auto sfrecciano a velocità sostenuta e quindi l’esterno non è silenzioso, ma gli appartamenti sono ben isolati e non arrivano rumori da fuori o dai vicini. Alle spalle c’è la bellissima pineta che fa parte dell’area protetta del Monte Itamos. Tutto sommato ci tornerei ancora, anche se non è scattato il colpo di fulmine.

Abbiamo scelto Vourvourou (Vurvurù), anche se non offre molto, per evitare la folla di altre località più organizzate; è l’insieme di pochi alberghi e numerosi complessi di appartamenti, sorto lungo la spiaggia della baia dallo stesso nome, con qualche ristorante e taverna, pochi negozietti/mini market, e tanti noleggi di barche e kayak. È formato da due strade, una che scorre in basso vicino al mare e la statale più in alto (da cui si godono bellissime viste sulla baia con il piccolo arcipelago che la punteggia), che non sembrano aver avuto una pianificazione urbanistica. Vale soprattutto per la via principale, lungo cui sorgono la maggior parte degli edifici: è irregolare e senza marciapiedi… passeggiare la sera è più un rischio per la propria vita che un piacere. Non è il posto da scegliere se si cerca vita mondana o movida notturna, però è perfetto per la vicinanza ad alcune spiagge tra le più belle della zona.

La frequentazione ci è sembrata principalmente greca, rumena e bulgara, ma non mancavano anche italiani, tedeschi e qualche americano.

Una sera a cena ho avvistato un lussuoso yacht nella baia, di fronte all’isola di Diaporos: in seguito ho scoperto che si trattava del Principe di Galles con la consorte!

Un accenno al lato culinario di questa prima parte di vacanza: all’estero cerchiamo di mangiare la cucina locale, ma a Vourvourou era più facile individuare locali in cui servissero pasta e/o pizza che cucina greca! Abbiamo provato uno dei locali “storici”, citato già dalla guida Dumont, Gorgóna I Poulmán e un paio di volte il più rinomato Paris, consigliato sia dalla Lonely Planet che dal resort. Il primo è molto alla buona, con gli ospiti che si siedono a cena ancora con il costume addosso e cibo discreto ma nulla di più. Il secondo è un pelo più ricercato (qui si passa almeno a farsi una doccia prima di sedersi a tavola ma ai piedi rigorosamente le ciabatte da spiaggia!) però l’unica cosa che ci è veramente piaciuta è stato il piatto di antipasti misti… così per il resto della vacanza abbiamo optato per una taverna/fast food in cui la carne alla griglia era molto buona (oltre ai gyros pita, buonissimi gli hamburger), il Garlic, a breve distanza da casa.

Visto che ci fermeremo qui fino alla mattina del 14 agosto e che si sa quale è la routine di una vacanza al mare, questa parte non sarà un diario giornaliero.

Abbiamo rinunciato alle attività al di fuori della Sithonia cui avevo pensato: un tour delle spiagge della Kassandra, il sito archeologico di Olinto (per pigrizia!), l’escursione al Monte Athos da Ormos Panagias in barca (avendo visto quanti pullman ci fossero all’imbarco e per evitare i balli di gruppo previsti nel viaggio di rientro). Ci siamo dedicati esclusivamente alle spiagge ed al relax, restando quasi sempre entro la mezz’ora d’auto.

Spiagge in Sithonia

Le spiagge che abbiamo visitato non sono molte, visto che ci siamo innamorati di Karidi, e le altre in un modo o nell’altro non sono state alla sua altezza

Karidi: la spiaggia usata per buona parte delle cartoline dell’intera Calcidica, a circa 2 km da casa. Ci siamo stati 6 volte, anche per un paio d’ore a inizio o fine giornata. È una spiaggia completamente libera (la prima sera abbiamo comprato un piccolo ombrellone, con base per la sabbia, a circa 10€), con un paio di venditori di bibite, snack e gelati al limitare della pineta. È ampia ma non grandissima, formata da un’insenatura principale con sabbia molto chiara e fine, acqua tranquilla, calda che digrada dolcemente; qui si posiziona la maggior parte dei turisti. L’insenatura è delimitata a nord e a sud da piccoli promontori rocciosi, in cui gli scogli sono stati scolpiti dalla natura in forme molto belle. Oltre si trovano altre due baie: a sud c’è Micro Karidi, meno affollata perchè ospita un noleggio barche ed è circondata da edifici; a nord ci sono scogli con piccole spiaggette, nostro rifugio in un paio di occasioni: l’acqua ha splendidi colori, i bagnanti sono decisamente meno e si fa un buon snorkeling (anche se il migliore forse resta quello sul lato nord della spiaggia principale). La grande pineta alle spalle della spiaggia offre molto spazio all’ombra; qualcuno ci ha letteralmente piantato le tende per lunghi periodi, e non mancavano i camper. Sempre in pineta si parcheggia in totale libertà. In agosto è molto molto frequentata, quasi tutti ci fanno almeno una visita; per la sua conformazione in alcuni giorni può essere piena di posidonia oceanica a riva, per cui l’effetto a prima vista è meno affascinante, meno da cartolina (e un po’ puzzolente ;) ). A noi è successo un paio di volte, ma basta passare nella baia di fianco e non c’è problema (l’acqua è più alta qui e ci sono meno bimbi). Di norma l’acqua è perfettamente limpida, ricca di pesci… che è quello che mi interessa, ed il motivo principale per cui ci siamo tornati così spesso. Certo è che ci vorrebbe un po’ più di attenzione all’ambiente.

Livari: appena a nord di Vourvourou, è piuttosto famosa perchè una sottile striscia di sabbia forma una piccola laguna interna. Bella per qualche foto, ma non ci farei il bagno per il gran numero di barche.

Trani Ammouda: poco più a nord di Ormos Panagias (piccolissimo paesino pittoresco da cui partono le barche per il Monte Athos), a 10 km da casa, è un lunghissimo spiaggione con un mare dai bei colori, dove c’è anche qualche piccolo e silenzioso beach bar, ma è principalmente dedicato alle famiglie che preferiscono la spiaggia libera. È talmente grande che si trova subito parcheggio (anche qui gratis) e spazio per ombrellone e asciugamani di fronte al mare anche alle 14.00. La sabbia è dorata e grossolana. Dopo la prima visita non ci siamo più tornati, è bella ma non il nostro genere.

Lagonisi: una favola trasformata in incubo (almeno per noi). Si trova poco a nord di Vourvourou, molto vicina a Ormos Panagias, ma è completamente diversa da Trani Ammouda: spiaggia di sabbia bianca e molto fine, acqua meravigliosamente azzurra, tranquilla e che digrada lentamente, con qualche roccia sul fondo, protetta da un’isoletta. Un po’ di snorkeling si può fare vicino agli scogli nell’area libera. Il problema è quello che ne stanno facendo dal 2015: la spiaggia libera è ridotta ad uno spazio piccolissimo, sovraffollato e che viene sommerso con l’alta marea; abbiamo scelto la parte attrezzata pensando di andare meglio… si pagano 10€ all’ingresso al parcheggio e si ha diritto (se c’è posto) a ombrellone e 2 lettini, senza ulteriori obblighi di consumazione. Il beach bar ha la solita musica martellante da giovincelli (non mi sembrava adatta alla clientela presente). Dov’è il problema? Ombrelloni e lettini praticamente quasi fino in acqua, e i rifiuti degli ospiti per terra, mescolati alla bellissima sabbia, nell’indifferenza degli ospiti stessi e dei numerosi ragazzi che continuavano a passare a prendere le ordinazioni (con i prezzi più cari che abbia visto in tutta l’area). Dalla sabbia al mare il passo, purtroppo, è breve… La consiglierei solo in bassa – bassissima stagione, ed è un vero peccato!

Orange Beach: altro disastro annunciato; la spiaggia più famigerata della penisola, una meraviglia della natura di cui si può ormai solo intuire la bellezza passata. Siamo arrivati presto, prima delle 9.00; è a mezz’ora di strada da casa, circa 20 km verso sud di strada costiera, tutta curve ma in buone condizioni, dove però è difficile vedere il mare essendo immersa nella pineta protetta che caratterizza questa parte della Sithonia. Se non volete ricordarvi solo gli aspetti negativi, lasciate perdere la parte attrezzata del beach bar e scegliete la caletta rocciosa sulla destra rispetto al parcheggio. Noi purtroppo non lo abbiamo fatto. Il beach bar offre i lettini e l’ombrellone in cambio di una consumazione qualsiasi (2 caffè freddi 8,00€, altrove sono meno cari ma vista la fama della location ci può stare). Anche così presto, molti sono già prenotati, ma possiamo sceglierne una coppia in seconda fila… con la terrificante musica martellante già a buon volume a quest’ora del mattino. Le rocce bianche in contrasto con l’azzurro del mare e il Monte Athos sullo sfondo sono  bellissimi, ma basta avvicinarsi per vedere i resti della baraonda del giorno precedente… resti che purtroppo individuo anche in acqua, dove ho fatto l’unico bagno deludente della settimana. Fuggiti alle 11.00.

Rodia: non ho capito da dove derivi la fama di questa spiaggia (marketing?). Si trova a 12 km da Vourvourou verso sud (ci siamo stati rientrando da Orange Beach) e per raggiungerla bisogna percorrere uno sterrato (apparentemente scavato ad hoc) in discesa e lungo diversi km. Forse proprio per questo non è affollata? Non c’è spiaggia libera e lo sapevamo; la consumazione è obbligatoria per avere lettini ed ombrellone ma non c’è una spesa minima; abbiamo pranzato, a cifra ragionevole, e anche con una certa soddisfazione. Se invece si desidera consumare il proprio pranzo, per l’accesso si devono pagare 20€. L’allestimento è bello, con cuscinoni, poltrone e tavolini anche all’ombra dei grandi alberi. Il problema sono la spiaggia, di sassolini, e il mare, che sarà limpido e pulito ma non ha assolutamente i colori delle altre baie della zona. Mi sembrava di essere al lago, ecco. Non ci tornerei e non la consiglierei a nessuno.

Koviou: questa è stata l’altra nostra spiaggia preferita. È una piccola baia sulla costa opposta della Sithonia, a soli 18 km da casa, tra le spiagge di Agios Ioannis e di Kalogria (entrambe promettenti e più note). La sabbia è mista a sassolini colorati, l’acqua ha colori incantevoli, sui lati si fa un buono snorkeling e io non sarei più uscita dal mare. Non c’è mai molta gente, e lo spazio è equamente diviso tra spiaggia libera e attrezzata (una piccola parte è riservata all’albergo che però si trova alcune centinaia di metri più all’interno, e dove non consiglio di mangiare!). Con 5€ si hanno ombrellone e due lettini per l’intera giornata, e non c’è obbligo di consumazione. Musica soft (quando si sente), diversi italiani (più che altrove). Ci siamo tornati molto volentieri.

Il sabato sono riuscita a convincere il mio compagno ad affrontare qualche chilometro in più per andare fino alle due località più famose della costa orientale della Sithonia (per Toroni e la costa occidentale non c’è stato nulla da fare): Sarti, molto frequentata dagli italiani, e Kalamitsi, famosa per la spiaggia e i campeggi, con una breve deviazione a Sikia. E’ bello vedere il paesaggio che cambia all’improvviso, finisce la foresta di pini e iniziano aree coltivate (molti olivi) nonostante il terreno resti impervio, e ogni tanto un vero paese, o un cavallo solitario in attesa all’ombra.

Kalamitsi: Siamo arrivati di mattina presto e subito ci siamo resi conto che, anche se il paese è carino con tanto di piccolo lungomare, questa località non ci sarebbe piaciuta. Lo spiaggione, di sabbia dorata piuttosto grossolana, non ha nulla di pittoresco; ai tratti di spiaggia libera si alternano diverse aree attrezzate e già a quest’ora c’è molta gente in acqua… troppo “effetto riviera” per i miei gusti. E soprattutto l’acqua è freddissima! L’unica che abbiamo trovato (forse dipende dal fatto che qui non c’è più la protezione del Monte Athos?).

Sarti: dopo essere fuggiti ancora bagnati da Kalamitsi ci siamo fermati a Sarti per il pranzo (discreto e abbondante in un localino della piazza centrale, a 19,90€ in due compreso ouzo e tsipouro). Paesino dove si vedono ancora molte delle casette costruite negli anni venti del novecento per ospitare i profughi greci dell’Asia Minore (così come in molti dei paesi della Calcidica, che prima era quasi disabitata), ha un centro storico molto pittoresco e ordinato, restaurato ad uso e consumo dei turisti; un bel lungomare, e una spiaggia con vista sul Monte Athos lunghissima e con colori da cartolina, con ampi spazi di spiaggia libera semivuoti. Gli italiani che scelgono di venire qui fanno bene ma… che traffico assurdo al di fuori delle vie pedonali! Le vie strette e le auto parcheggiate in ogni angolo libero rendevano impossibile passare in certi incroci (e lo dovevano fare bus di linea e camion…). Invece a inizio paese c’è spazio per parcheggiare vicino alla spiaggia.

Isola di Diaporos (qui una vista dall’alto): last but not least, forse il meglio della vacanza. Una chicca da godersi via mare. Anche qui se potete andarci in bassa stagione (o in yacht con i signori Carlo e Camilla) fate un affare. L’isola di Diaporos (quasi disabitata, ci sono solo alcune ville lontane una dall’altra) è l’isola più grande del piccolissimo arcipelago nella baia di Vourvourou, ed è raggiungibile in barca o in kayak (ci sono anche alcune gite organizzate in partenza da Ormos Panagias). Inizialmente avevamo pensato alla barca (non serve la patente nautica per quelle più piccole) ma andavano prenotate con almeno 5 giorni di anticipo! Ci siamo allora decisi per il kayak e ci siamo rivolti a Sea Kayak (www.seakayakhalkidiki.gr) che, nel pomeriggio dopo il rientro delle escursioni di gruppo, noleggia canoe (con mappa, spiegazioni sull’uso, giubbini di salvataggio e sacca impermeabile) anche ai totali principianti come noi. Si paga al rientro (40€ per 4 ore abbondanti). Con qualche iniziale problema di coordinazione e un po’ di fatica in più dovuta al moto ondoso contrario provocato dalle tante barche a motore (per fortuna piccole), siamo riusciti ad arrivare ai due gioielli non-più-così-nascosti dell’isola: Blue Lagoon e Mirsini (Hawaii) beach. Peccato per l’affollamento, in bassa stagione devono essere spettacolari; alla Blue Lagoon, stretta tra due isole, abbiamo fatto un bel bagno vicino a riva… il fondale è bellissimo, con tanti pesci e  formazioni coralline gialle, l’acqua ricorda la Tabaccara a Lampedusa. Poi ancora qualche pagaiata sulla strada del ritorno per fermarci a riposare all’ombra nella meno affollata Mirsini Beach: una piccola baia dalla sabbia come borotalco, scogli di granito e pini, peccato per un po’ di posidonia. È possibile circumnavigare l’intera isola in poco più di tre ore, ma sarà per la prossima volta, magari partendo la mattina presto e non nella calura delle 3 del pomeriggio!

Chi volesse noleggiare una barca (le più piccole portano 4 persone) ricordi di prenotare in anticipo; la spesa si aggira, in alta stagione, intorno ai 70€ più il carburante per l’intera giornata (i noleggiatori sono molti e le cifre variano leggermente, qualcuno ha il sito, altri il numero di telefono esposto sulla strada).

Nella prossima pagina: la Tomba di Filippo il Macedone, le Meteore, Dion

India a modo mio…

Ognuno racconta l’India a modo suo. C’è chi parla dei colori, chi degli odori, chi dei maestosi forti, chi dei sorrisi della gente, chi della sporcizia, chi delle escursioni in cammello o in elefante, chi della pioggia ad agosto ecc.

Io, invece, vorrei raccontare l’India da tutt’altro punto di vista. Infatti, dopo 18 giorni di tutte le cose elencate sopra, la vera India che mi è rimasta è quella che ti fa apprezzare quello che hai a casa perché in un paese come l’India, la gente pensa che la vita che tu conduci, esista solo nei film. Ed è per questo che gli indiani formano le file per farti le foto nella speranza di aver incontrato chissà quale star di Hollywood…

Quando torni da un viaggio in India ti rendi conto di quanto ridicolo sei a metterti l’amuchina ogni tre secondi, ad avere la paranoia di non sapere “cosa mettermi stasera” viste le tonnellate di vestiti che ti ritrovi nell’armadio, ad essere condannato a non avere gli anticorpi necessari vista l’abitudine di vivere in una casa che luccica e splende, ad essere triste e insoddisfatto anche se nulla ti manca nella vita.

Problemi di questo genere gli indiani non ce li hanno… loro vivono spensierati mettendo lo stesso pantalone e la stessa maglietta ogni giorno, a ballare nel fango dopo due gocce di pioggia (senza prendere alcuna malattia), a mangiare con le mani senza il bisogno di riempirsi d’amuchina prima di iniziare, a sorridere spontaneamente nonostante il poco che hanno.

E allora un viaggio in India non farà altro che farti riflettere su questo, penso. Potrai portare a casa mille foto e mille souvenir, ma ciò che di più prezioso avrai guadagnato, sarà la consapevolezza che ognuno nel mondo conduce la vita a modo suo e ciò non significa per forza che una vita sia migliore o peggiore. Pensarla in questo modo sarebbe presuntuoso e sintomo di ignoranza. Semmai, starà proprio nell’intelligenza di quella persona avere la capacità di riuscire a trarre il meglio dalla vita che, per volontà di chissà chi, gli è capitata.

Ciò detto, il mio viaggio si è svolto in cinque fasi.

Fase 1: 10 giorni in giro per il Rajasthan (Mandawa, Bikaner, Jaisalmer, Jodhpur, Pushkar, Agra). Con l’ausilio di un autista prenotato con l’agenzia Karni (consigliato!) abbiamo trascorso i primi dieci giorni indiani in giro per il Rajasthan. E’ un giro abbastanza comune quindi elenco solo alcune impressioni:

– Mandawa e Bikaner: tornassi indietro le salterei. La strada è lunga e non vale la pena trascorrere quelle ore per quel poco da vedere. A Bikaner, se necessario fermarsi, vale la pena cenare o soggiornare (per chi può permetterselo) al The Laxmi Niwas Palace. Noi abbiamo, ovviamente, solo cenato ed è stato un incanto.

– Jaipur: non ripeterei il giro in elefante alla salita dell’Amber Fort. Gli animali sono trattati come schiavi e non c’è modo di godere di tale tratto.

– Agra: attenzione al controllo sicurezza al Taj Mahal. Sono davvero fiscali: lasciate tutte le cose a casa o ve le bloccano all’ingresso (carte, peluche, tripod, sigarette elettroniche ecc.).

Fase 2: Varanasi. Siamo arrivate in aereo, compagnia Indigo. Prenotato tutto sul sito in maniera facile e veloce. Volo economico e compagnia impeccabile (ritengo anche migliore delle low cost europee). Varanasi, anche se fuori rotta, merita 24 ore di sosta. E’ un posto mistico, quasi spettrale e ti immerge nella cultura induista. L’unica nota triste è data dai turisti occidentali che scattano mille foto delle salme prima della cremazione. Se facessero così al vostro funerale, sareste contenti?

Fase 3: Goa. Ad agosto era sconsigliata dai più. Ce ne siamo fregate e abbiamo pagato le conseguenze. C’è da dire, però, che la necessità di un po’ di riposo accompagnato dallo scrosciare insistente della pioggia, era ciò che ci serviva in quel momento. Al terzo giorno, è risuscitato il sole. Troppo tardi, però.

Fase 4: Delhi. Ultime 24 ore nella capitale. Dopo tre giorni di sonnolenza e pioggia, ripiombare nel traffico e nel caos di una metropoli di 16 milioni di abitanti, non è stato proprio gradevole. Tuttavia, grazie ai tuc tuc a 40 rupie a tratta, ce la siamo girata in maniera agevole e divertente.

Fase 5: Aeroporto. Lo so, non ha senso come ultima fase la sola tratta in aeroporto. Però, in realtà, la corsa in aeroporto nella buia Delhi dell’una di notte, calma, tranquilla, quasi incontaminata, costituiva una sorta di “corsa all’occidente” – e a me ha fatto riflettereE le riflessioni avute sono proprio quelle descritte nel discorso iniziale che vi invito a rileggere in quanto forse, più che aprire, chiudono al meglio questo mio racconto.

Namaste. Carmen

Ps: amo le parole ma le immagini, a volte, rendono di più. Eccovi il video del nostro viaggio: India trip 2017 (visibile solo su pc o smart tv – no smartphone).

Sry Lanka e Maldive

É tanto tempo che stavo valutando un viaggio in Sry Lanka.. ed eccoci qua grazie alle mille info trovate sui vari siti e al bellissimo gruppo di fb di Milena …

Partenza da Malpensa scalo Dubai arrivo Colombo… viaggiato di notte con la emirates compagnia top.

In aeroporto compiliamo il classico fogliettino dove bisogna scrivere il nome dell’h della prima notte e passiamo velocemente il controllo passaporto il visto avevo quello on line fatto in precedenza dall’Italia sito evisa@sltidc.lk.

Prese le valigie prendiamo il taxy che avevo prenotato direttamente con l’hotel pagato direttamente al taxy 22$.

Direzione Negombo hotel The Panorama Negombo 55$ consiglio vivamente questo hotel pulito personale gentile e zona centrale.

Costume e subito in spiaggia.

Allora avevo già letto su internet è difatti é così… c’e molto sporco molti sacchetti e lattine… non sono ancora pronti al turismo ( E IL SUO BELLO) la sua spiaggia é immensa poca gente con molte onde e sabbia color mattone il mio Edoardo si divertiva come un matto.

Torniamo in hotel doccia e via … finiamo in un ristorante classico senza posate e tovaglioli e con tovaglia buca Image may be NSFW.
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" class="wp-smiley" style="height: 1em; max-height: 1em;" />" class="wp-smiley" style="height: 1em; max-height: 1em;" /> ma abbiamo mangiato bene e speso poco poco…

09 Agosto colazione buona e abbondante poi chiuse le valige arriva puntuale con minivan grande e pulito il nostro autista Rajithvishantha che ormai é diventato un nostro amico consiglio vivamente.

Partiamo diretti per Dambula ci fermiamo per strada a vedere le rovine Arankele non ci hanno fatto impazzire e siamo ripartiti pranzo veloce in un locale tipico X strada e via arrivo verso le 3 in hotel prenotato con booking.com Sandaras Resort & SPA molto bello all’apparenza ma poi una delusione per la poca attenzione e non manutenzione generale.

Usciamo in centro e mangiano in un locale carino economico veramente lento ( tutti in Sry Lanka).

10 Agosto oggi il giorno più atteso Sigiria partenza dal nostro hotel alle 08:00 e via si va… siamo riuscì a salire sopra tutti e 5 fino alla fine vi dirò che stavo X mollare …. Che sudata e che copada… portatevi dell’acqua perché in cima c’e una fontanella ma non penso si possa bere…

Scendiamo belli sudati e puzzolenti e andiamo alle rovine di Polonnaruwa anche qui la stanchezza e il caldo la fan da padroni e non ci fanno impazzire …

Adesso si parte X il safari che il nostro autista ci aveva consigliato zona e ci ha prenotato la mattina così siamo arrivati e c’era la nostra geep pronta ad aspettarci

Il safari ci piace molto solo di elefanti ma va benissimo così… Edoardo si é addormentato Lugo il tragitto ( parte più noiosa) e si é svegliato quando c’erano gli elefanti … che emozione X il mio piccolo viaggiatore …

Rientro doccia e usciamo distrutti X cena… finiamo in un locale fuori dal nostro hotel sporco lento ci danno solo del riso ( buono) ma alla fine ci chiedo un esagerazione €€€€.

11 Agosto andiamo a visitare le Cave box fantastico assolutamente da non perdere… ancora scale Image may be NSFW.
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Andiamo a sistemare le valige in Daysinn prenotato con booking.com posto bella zona appartamento grande gentilezza esorbitante del proprietario con piscina anche qui pulizia stile Sry Lanka.

Andiamo a vedere il tempio del sacro dente molto bello e poi le danze tipiche prenotate dal nostro autista  le danze belle anche i spara fuochi

Restiamo addirittura fuori e da buoni Italiani all’estero andiamo da Pizza Hut Image may be NSFW.
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" class="wp-smiley" style="height: 1em; max-height: 1em;" />" class="wp-smiley" style="height: 1em; max-height: 1em;" /> una bella passeggiata in torno al fiume e a nanna….

12 Agosto partenza direzione Ella passando da Nuwara Eliya la strada é una curva unica in salita un po’ pesantina anche X noi … Ci fermiamo in una fabbrica di tee visita carina e poi ci offrono del tè e non si paga l’ingresso noi abbiamo lasciato la mancia alla guida una ragazza carina …

Ripartiamo ancora tornanti e pioggiarella arriviamo alla Nuwara Eliya visitiamo il mercato e giretto X la città molto carina… ripartiamo e in circa 2 ore di tornarti arriviamo a Ella… piove e piove … la strada X il nostro hotel é molto impervia e con l’acqua fa molta paura… per fortuna il nostro autista è molto bravo e arriviamo devastati dalla giornata e impauriti dalla strada.

Insistiamo con nostro amico autista di fermarsi ma non c’e nulla da fare non vuole ….

Mangiamo in hotel prenotato su booking.com consigliatissimo Rock inn.

13 Agosto La mattina andiamo a fare la camminata a Little Adams Peak  ci porta il tuc toc fino alla base della montagna e poi circa 20 minuti di scalini ( di nuovo) bella la vista

Scendiamo chiudiamo i bagagli e tramite una stradina dall’hotel siamo in 3 minuti in centro giretto X qualche souvenir e poi pranzo da Chilly Caffe il locale più famoso di Ella.

Ripartiamo col nostro amico e finiamo dopo 2 ore a Tissa … avevo prenotato direttamente sul sito nelle palafitte Yalaheights… ecco non ci tornerei… abbiamo dormito malissimo perché  tutta la notte c’e stato casino per le preghiere e di un uccello in più l’edificio era vuoto ed un po’ lasciato andare.

14 Agosto La mattina alle 9 partiamo finalmente X il mare direzione Mirissa… il tempo è un po’ grigio e il nostro hotel Paradise Beach Resort non sembra essere dei migliori… invece dobbiamo rivalutare il tutto. Perché é direttamente sul l’oceano e con piscina grande e piccola per i bambini insomma perfetto … peccato che non tengono le strutture ma le lasciano decadere…

Qui la prima sera usciamo col nostro autista che ci porta sul mare e mangiamo finalmente del buon pesce il nostro Edoardo si è addormentato ancora in macchina e non se più svegliato.

15 Agosto Oggi giornata relax con massaggio stratosferico da Badora SPA consiglio pulito bravi efficienti si può prenotare anzi meglio prenotare 15€ 90 minuti

16 Agosto ci facciamo ancora mezza giornata e ancora un massaggio e partiamo direzione Galle

Per strada ci fermiamo a vedere le tartarughe nulla di che ma aiutiamo un po’ il centro con della piccola beneficenza

Arriviamo in centro a Galle nel hotel The bend che consiglio vivamente e la città ci piace subito peccato il caldo … partiamo con il nostro amico autista e ci facciamo un giretto e visitiamo le mura e ci fermiamo X vedere un bellissimo tramonto poi cena e nanne

17 Agosto Oggi è l’ultimo giorno in Sry Lanka e partiamo verso le 10 direzione Colombo che mi stupisce quanto stanno costruendo dei grattaceli lussuosi e maestosi … nel giro di qualche anno sarà pieno e sembrerà un altro paese confronto la povertà che abbiamo visto fuori città

Visitiamo la famosa moschea rossa enorme ma oltre 3 metri quadrati non possiamo stare noi visitatori … che dire noi siamo due donne e ci guardavano malissimo … 3 minuti e siamo usciti …

Facciamo un giretto intorno la moschea ma nulla di che tanta cineseria

Ripartiamo alla volta della aeroporto

Salutiamo il nostro amico autista con un fondo di tristezza é la prima volta che visito un paese con autista locale che ti fa da guida ed é una cosa che consiglio a chiunque ma vi consiglio lui Rajithvishantha onesto non invadente insomma il massimo … ciao ciao Sry Lanka si va alle Maldive

Alle 20:30 parte il nostro volo emirates e alle 21:30 dopo 1 1/2

( in Sry Lanka c’e un fuso di 30 minuti) arriviamo alle Maldive … e subito l’aeroporto ci delude …

Ci aspetta Zorro mandato dalla GH prenotata precedentemente da casa e ci portano in hotel Grand City stanza piccola ma non ci interessa dormiamo una sola notte

18 Agosto sveglia presto colazione e alle 07:30 passano a prenderci e ci portano X prendere il traghetto che porta alla capitale.

Li troviamo Zorro che ci aiuta con le valige e ci porta al nostro traghetto essendo Venerdì parte alle 09:00… ci sediamo davanti convinti di aver fatto una bella scelta … invece oscena si sentivano tutte le botte … alle 09:15 partiamo come si dice a Brescia a Canna e dopo circa 40 minuti non ne potevamo più … e sentiamo un rumore la barca veloce si é rotta Noooooo si torna lentissimo a Male circa altre 3 ore…

Arriviamo e C’e Zorro che ci aspetta e ci comunica che andiamo a mangiare e che il prossimo traghetto parte alle 14 primo giorno Maldive sputtanato

Alle 14 partiamo traumatizzati la prima mezz’ora pesante ma non troppo ma poi le onde erano sempre più alte e il cielo  nero… in tutto questo mio figlio dormiva in braccio a me … dopo 1:30 siamo arrivati devastati spaventati stravolti è l’unico mio pensiero era che fra qualche giorno bisognava ritornare ….

La gh Assia Inn suggerita su internet é come descritta con tutti i confort é molto pulita l’unica a pecca il tempo che é ancora brutto

19 Agosto sveglia colazione e c’e il sole ye ye ye protezione 50 cappellini e via sia va a pic nic Island qui é propio bella la spiaggia l’isolotto tutto…

Rientriamo cotti cotti e Edoardo é accaldato penoso al sole li provo la febbre ed ha 38,5… cazzo apro la mia farmacia portatile e li do il nubrofen e dorme tutta notte … la mattina la febbre c’e ancora… l’istinto mamma mi dice che é gola e tosse causa tutti i vari sbalzi di temperature … andiamo dal medico qui sull’isola 13$ la visita 5$ le medicine i ragazzi della gh sono stati carinissimi e hanno chiamato lo zio che parla bene italiano X farci capire meglio col medico e col farmacista

Usciamo e diamo subito tutte le medicine ad Edoardo é si addormenta ed i miei genitori vanno a fare l’escursione giornaliera

Noi ci riposiamo ed Edoardo sta decisamente meglio andiamo in spiaggia.

I giorni volano ed é il momento di partire…

Che dire delle Maldive in gh.. sicuramente diverse dal classico viaggio in resort… meno noioso…

La nostra gh era d’oro per la gentilezza e la cortesia del personale… come prezzo paragonato alle altre dell’isola era quella migliore visto che nel pacchetto c’era compreso pensione completa e tutti i traghetti e le tasse…

L’unica cosa che secondo me possono migliorare é il pranzo e la cena che sono proprio statici .. sempre riso bianco e pasta col tonno… ed Acqua.. mai una bibita o un dolcetto la sera… mentre X la colazione va benissimo

L’ultimo gg prenotiamo il traghetto di ritorno alle 07… avevo il cuore a mille col terrore di fare un viaggio come all’andata invece nulla… c’era il sole e il mare piatto…

Arrivati a Male prendiamo il traghetto X l’isola Xxx e prendiamo una stanza giusto X buttare un po’ le ossa… facciamo un giro X l’isola e troviamo un bel ristorante e pranziamo molto bene… poi stiamo un po’ in spiaggia ma é un po’ una menata perché le donne non possono fare il bagno in costume…

Ultima cena e via si torna…

Che dire non torno entusiasta dalle Maldive .. sarà il fatto che Edoardo si é malato sarà tutto il tempo che si perde X il traghetto… sarà perché ho visto altri paradisi senza spendere così tanto…. Non so forse ora devo provare un resort anche se penso di stufarmi parecchio…

Il mio bambino é stato bravissimo si é adattato a tutto e giocava con tutti grandi e piccini …

In molte mia amiche mi hanno chiesto come mi sono organizzata con il mangiare del bambino.. diciamo che il mio è un trita tutto e che io non sono molto fissata su orari e cibi salutari per 3 settimane all’anno non muore nessuno… comunque mi sono portata dall’Italia un piccolo termos e la sua pasta ( perché veloce come cottura) un pezzo di grana e olio e delle bustine di brodo di verdure liofilizzato e qualche omogeneizzato …

Preparavamo la mattina o la sera in base al programma della giornata in modo che almeno una volta al giorno mangiasse le sue cose preferite…

Idem per i Pannolini ne ho portati circa una ventina da casa e poi comprati in loco di tutte le marche ( costano pure meno che in Italia) …

Andate senza tanti problemi si trova tutto in Sry Lanka ma anche alle Maldive magari con meno scelta…

 

Insomma pensiamo alle prossime mete…

Spiti Valley

Himachal Pradesh – Spiti Valley 

In India stavolta non per relax marino, ma piuttosto per fare il pieno di adrenalina e magari incontrare una guru indiana vestita di arancione, meglio se gnocca e con le gambe all’insù in posizione di meditazione, dispensatrice di gioia e felicità che mi sappia indicare la via maestra da seguire. Tornare nella catena montuosa dell’Himalaya, dimora spero senza neve, significa anche incamerare una dose di vitamine mentali, un po’ mistiche quanto surreali che verranno utili per affrontare i prossimi uggiosi mesi invernali.

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Hindustan Tibet Road  fa parte del circuito Spiti Valley ed è conosciuta anche come la Via della Seta. Il percorso inizia poco dopo la città di Ambala e per la maggior parte attraversa la valle di Kinnaur lungo la riva del fiume Satluj per entrare alla fine nel Tibet a Shipki La Pass. E’ considerato uno dei percorsi più suggestivi al mondo ed in realtà è per questo che sono qui, spinto dalla curiosità di verificare se è tutto oro quello che luccica o se al contrario sono esagerazioni o mere dicerie tibet-indiane. L’itinerario da Shimla a Shipki La Pass sul confine indiano-tibetano è quello inverso che i protagonisti di “Sette anni in Tibet” hanno effettuato per arrivare in India, direi che in prospettiva è un buon viatico.Image may be NSFW.
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Questo singolare viaggio ha la città di Chandigarh (Punjab) il punto di partenza e arrivo per un totale di circa 2100 chilometri. Si svolge essenzialmente nei luoghi più remoti nel lato settentrionale dello stato di Himachal Pradesh, con una breve divagazione sul tema nel Kashmir.
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New Delhi – Chandigarh, breve volo con Jet Airways per sbarcare alla base del circuito dove è previsto l’incontro con la bestia, una bella motocicletta, una Royal Enfield bella… si fa per dire, comunque affidabile e diciamo di un certo fascino.

La città meno indiana dell’India non mi è nuova, mi ricorda una gita dal mio punto di vista fuori dall’ordinario di qualche anno addietro, chi volesse saperne di più può seguire il link.

Ladakh Il Piccolo Tibet

Chardigarh – Shimla – Narkanda Km 180

Preso contatto con la mia compagna di viaggio è il momento di partire per una tappa di avvicinamento che richiede oltre sei ore per giungere a Shimla in quota 2300 metri. Capitale dello stato Himachal Pradesh è una delle mete estive preferite dai turisti indiani, noi non siamo qui per fare shopping, visite guidate o quant’altro possa offrire la città a dei viaggiatori di passaggio, sostiamo soltanto brevemente per i rifornimenti e ripartiamo.

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Il paesaggio inizia a farsi interessante, accompagnati a tratti da nuvole bianconere finalmente assaporiamo l’odore di Himalaya. Arriviamo nel villaggio di Narkanda (2750 mslm) ma l’hotel dove trascorreremo la notte si trova ancora più avanti sulla cima più alta. Per raggiungerlo è necessario prendere una strada asfaltata un po’ sconnessa e stretttissima che in sei chilometri porta dapprima a Hatu Temple e successivamente a Hatu Peak (3400 mslm). Da qui si gode di un discreto panorama sulla catena montuosa parzialmente imbiancata.

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Narkanda – Sangla Km 210

In direzione del distretto tribale di Kinnaur, oggi prevediamo di raggiungere Karcham per poi deviare verso Sangla Valley.

Discesa con a fianco un indiavolato fiume Sutlej e da Hatu Peak arriviamo a Rampur oltrepassando i classici villaggi di strada un po’ squallidi e sempre rumorosi. Abbandoniamo la Hindustan road per una variante di valico un po’ più impegnativa, tanto per rendere meno monotono il tragitto. Stiamo correndo su un percorso di montagna punteggiato qua e là da numerosi templi, purtroppo non abbiamo tempo da dedicare alle visite culturali. Nei pressi di Bashahr svoltiamo per una scorciatoia a sorpresa che fiancheggia la montagna. Dopo poco tempo raggiungiamo una jeep che fa di tutto per non farsi superare fino al villaggio di Kurgo e infine a Sarahan rientriamo di nuovo sulla Hindustan road. 

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Siamo a Karcham, niente di particolare per i miei occhi, nota più che altro per la sua centrale idroelettrica. Percorriamo diciotto chilometri di strada con da un lato alte montagne e dall’altro la gola profonda dove scorre il Baspa, un imponente corso d’acqua assai agitato. Sangla si trova a circa 2900 metri in una valle stupenda, campi di zafferano, frutteti e prati verdi fanno da cornice alle vette himalayane.

In paese ci sono negozi, un mercato, piccoli ristoranti e qualche albergo. Le rive del fiume sono disseminate di campeggi, ci accomodiamo in uno di questi dove per la cena è stato acceso un grande fuoco sotto un cielo stellato da far invidia a uno zaffiro.

Sangla Valley – Chitkul

Per godere appieno di questa meraviglia il giorno successivo inforchiamo le Enfield per una escursione da Sangla verso il minuscolo villaggio di Chitkul, ultimo avamposto indiano prima del confine con il Tibet. Venticinque chilometri che si snodano sul filo del rasoio della montagna, un bordo stretto in parte asfaltato e quando non sconnesso liscio come un uovo. Dal villaggio si gode di una bella visuale sul distretto di Kinnaur

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Quando le condizioni meteo lo permettono, si può arrivare facilmente a Chitkul con un servizio di taxi jeep locale. 

Sangla – Khab – Nako Km 170

Partenza al mattino presto, pochi chilometri a ritroso e siamo al bivio di Karcham, adesso si tratta di arrampicarsi fino a Spello. Nulla a che vedere con il borgo in provincia di Perugia, è comunque per noi un traguardo importante poiché c’è un posto di polizia che controlla i documenti, infatti occorre un lasciapassare per andare oltre. Poco dopo incontriamo i Pooh, non la rinomata band, ma una famosa sassaiola che al nostro passaggio suona a modo suo un concerto.

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Manca poco al passaggio di “Sette anni in Tibet“, ma arrivare a Shipki La Pass è storia diversa, ciò che era nell’immaginario resta tale, in realtà come da programma dobbiamo svoltare verso nord poiché dopo Khab e prima di arrivare al confine vero e proprio con il Tibet c’è una zona cuscinetto militarizzata e interdetta. Entriamo in un lungo tunnel scavato nella roccia e quindi subito dopo attraversiamo il ponte sulla confluenza dei fiumi Sutlej e Spiti che da questo momento in poi seguiremo nel suo corso fino a Nako, uno sperduto villaggio da cartolina incastonato sulle rive di un piccolo lago a quota 3700 mslm. 

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Nako – Tabo – Kaza Km 130

Partenza di levata per Kaza, ma prima dobbiamo superare Malling un breve quanto infame tratto molto temuto da tutti i viaggiatori. A questo proposito c’è un detto himalayano che recita pressappoco così: “Il tuo cuore dovrà essere libero da qualsiasi cosa prima di attraversare questa strada nel periodo del monsone”, perfetto siamo a posto. Dopo Nako iniziano le danze, la pista definirla disastrata non rende bene l’idea, tutto è frantumato, uno dei tanti simpatici cartelli stradali ci avverte: ” Darling I want you but not so fast”. Procedo lentamente ma non più di tanto perché non posso certo restare in mezzo al guado, «Tesoro un cavolo non c’è problema» — rifletto fra me e me nel mentre navigo a zig zag in un fiume d’acqua che arriva da sopra e si getta di sotto nel burrone. 

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Procediamo attraverso i varchi che i bulldozer hanno aperto su frane da far paura, intanto con la coda dell’occhio vedo di lato nel precipizio che si formano vere e proprie cascate che pare di essere a quelle delle Marmore. A ogni passaggio si forma una piccola colonna di mezzi che a turno si avviano a superare gli ostacoli. Quasi due ore per fare sette chilometri, naturalmente bisogna considerare che c’è sempre l’indiano che fa l’indiano e si pianta nel mezzo bloccando tutti gli altri. Allora giù i soccorsi, tra il serio e il faceto c’è chi spinge, chi suona il clacson, chi bestemmia, chi traina, persone che camminano lungo la strada e chi cerca di fare una improbabile riparazione. Superato il cosiddetto muro avanziamo in una insidiosa discesa che rapidamente piomba sul paese di Chango. Poco più in là un cartello con scritto “Welcome to Spiti Valley” ci avverte che abbiamo ormai alle spalle la regione di Kinnaur. A Sumdo dobbiamo mostrare i documenti al posto di polizia e registrare il passaggio.

Spiti Valley

Prossima fermata a Tabo, dove facciamo una pausa per qualche cosa che che somiglia a un panino. Dovremmo visitare l’antico monastero, si tratta del complesso buddista più importante fuori dal Tibet, ma a causa delle circostanze non vedo, non sento e non parlo. Al risveglio partiamo per l’ultima sezione della giornata, ancora cinquanta chilometri lungo il fiume Spiti prima di arrivare a Kaza.

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Kaza

E’ il capoluogo della Spiti Valley, una città che offre tutti i comfort necessari per restare un paio di notti in santa pace, questa volta in albergo con wifi inclusa. “Una splendida giornata, stravissuta non importa se è finita”, mi collego in rete e faccio girare il disco finché non cado nelle braccia di Morfeo.

Oggi dobbiamo visitare due attrazioni, il Key e il Komic Gompa.

Usciamo da Kaza e poco dopo al bivio procediamo verso  Hikkim e quindi Komic. La distanza è relativamente breve, solo venti chilometri e manco a dirlo il tracciato è

prevalentemente sterrato e in ripida salita fino a 4500 mslm.

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Questo villaggio si trova nella parte più sconosciuta della trans -himalayana ed è noto per essere il centro abitato più in quota dell’Asia e forse del mondo raggiungibile tramite una rotabile. A Kaza c’è un servizio taxi che scarrozza su e giù turisti più che altro indiani, immagino in cerca di una famosa grappa oppure più semplicemente per lasciare la classica preghiera vicino al monastero di TangyudRepentino cambiamento delle condizioni atmosferiche, siamo a corto di ossigeno e piove acqua che ci si potrebbe fare una granita, servirebbe un bicchierino giusto per scaldare il motore, una dose aggiuntiva di potenza… altro che “After whisky driving risky”, ce ne sono talmente tanti di questi cartelli monitori che mi sa che qui siano tutti “brihai”ubriachi. La verità è che questi avvertimenti sono diretti ai turisti di città che quando salgono fin quassù gli piglia un accidente, penso dal freddo e allora si danno al “ponce”. Sara così?

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Ponce

E’ una bevanda alcolica inventata a Livorno nel 1800 e tutt’ora servita in qualsiasi bar. La composizione standard è base di “Rumme”, Rum, caffè basso o come dicono altri ristretto, caramello aromatico, zucchero e una scorza di limone, scaldato a vapore e bevuto bollente è come ingoiare un calorifero. Per quanto mi riguarda, siccome sono quasi astemio, preferisco la Torpedine che sarebbe la variante rinforzata del ponce con aggiunta di un cucchiaino di peperoncino tritato fine come un orpello.

Frattanto ho indossato una specie di tuta anti pioggia, inverto la marcia e via giù per la discesa a tutta birra, voglio dire piano piano, si sa che la birra è poco alcolica. Adesso la stradina si presenta fangosa uguale a scivolosa, situazione a dir poco imbarazzante per chi non è dotato di 4×4 o gomme tassellate, metto le ruote nei solchi segnati dalle jeep e se Dio vuole arrivo a una quota più bassa dove non è caduta una goccia d’acqua. E’ allora conveniente tramite una deviazione fare ancora qualche chilometro  per visitare il Key 

Gompa

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C’è un po’ di luce e si respira meglio, ma ormai sono un ghiacciolo. Suggestivo il monastero sul cucuzzolo della montagna, lo osservo dall’alto a debita distanza, scatto qualche foto e torno in albergo. Non hanno il ponce livornese, quasi quasi mi fermo qui e apro una Startup, “P&T Ponce e Torpedine Impex”. Più export che import, cosicché sarà più facile ottenere finanziamenti a sfondo sperduto per diffondere le sane bevande in questa parte del mondo e chissà in seguito in tutto il continente. Certo che cavolata… ma mica tanto, consideriamo che il prodotto con questo freddo può essere consumato tutto l’anno, però bisognerebbe prima di tutto fare un test per verificarne il gradimento. Per ora ripiego su una mistura di tè con whisky bollito a mo’ di tisana, un brucia budella che non è il massimo per scongelare.

Kaza – Kunzum La Pass – Chandra Taal Lake – Killar Km 300

Cielo terso e temperatura gradevole, caricate le carabattole sulla moto ci mettiamo in marcia per raggiungere un lago in alta quota e successivamente Killar. La parte più emozionante di oggi è rappresentata dalla conquista del Kunzum Pass (4590 mslm) il più alto di Spiti Valley, poco noto ai bikers e sconosciuto alla maggior parte dei viaggiatori.

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La strada è classificata a ragione come una delle più spettacolari, ciò non significa che sia difficile. Iniziamo l’ascesa molto aperta e veloce con passaggi su gole profonde, con la sola attenzione al fondo ghiaioso che richiede una guida moderata. Il paesaggio quasi desertico si presta a sensazioni di grandezza molto simili a quelle provate nel Ladakh. In cima nello spiazzo c’è pochissima gente, la visuale è straordinaria su tutta la vallata e sul ghiacciaio Sigri, il più ampio dell’Asia e secondo al mondo. Nel punto più alto si trova lo Stupa circondato da bandiere e preghiere buddiste.

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La tradizione vuole che il viaggiatore una volta giunto qui debba girare a piedi attorno al tempio, il che equivarrebbe a una benedizione, insomma una specie di assicurazione per un proseguimento tranquillo su questa rotta, ed è quello che abbiamo fatto. Stop and go fra rocce e i soliti bulldozer, stiamo andando  a vedere Chandra Taalun posto fuori dal mondo a 4300 metri di altitudine.

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Tornati sui nostri passi arriviamo a Jabber Point dove c’è il bivio che attraverso il Rohtang Pass conduce alla notissima Manali – Leh. 

Info

Toh, chi non si rivede: Rohtang Pass e Manali

Il paesaggio muta da roccioso a verde, tanto verde che il valico il più incasinato dell’India che connette la valle di Kullo con quelle di Lahaul Spiti a causa dell’infinito flusso di mezzi che effettivamente causano molti problemi di inquinamento ha da un paio di anni un accesso limitato, ma soltanto per chi proviene da Manali. Due sono Il permessi rilasciati, quello di viaggio senza nessuna limitazione e quello turistico valido solo un giorno per un massimo di 800 veicoli, quest’ultimo serve ai turisti che giornalmente fanno la spola da Manali a Rhotang e viceversa, ambedue si ottengono a pagamento seguendo una procedura online o mettendosi in fila sul posto. 

Nel nostro caso che proveniamo dalla Spiti Valley non sarebbe necessario fare alcunché, non perché abbiamo un bollino speciale ma piuttosto perché il numero di veicoli che provengono da questo lato sono pochi e quindi secondo il governatorato ininfluenti. Come sappiamo le difficoltà di varcare il Rothang Pass (3900 mslm) sono due, quella relativa al meteo sempre imprevedibile che può cambiare in un attimo e il traffico bestiale. 

Da sapere

Manali è una cittadina molto popolare che attrae un grande numero di viaggiatori sia per il celebre itinerario verso Leh, quanto perché nel periodo estivo è meta di migliaia di turisti in cerca di frescura. Mall Road è la via principale dove si trovano tutte le strutture turistiche di un certo livello e diciamo pure che offre un po’ di vita mondana. In questa via ci sono anche diverse agenzie che offrono un po’ di tutto, dalle escursioni guidate, al parapendio, gite in mongolfiera e naturalmente il contestato giro andata e ritorno a Rothang Pass. Invece per respirare l’aria di un villaggio indiano di montagna bisogna uscire da questa strada e dirigesi a Old Manali dove peraltro tutto costa un terzo. Nella città vecchia e specialmente nei numerosi caffè e ristoranti si incontrano una varietà di viaggiatori che provengono da ogni parte del mondo, avventurieri zaino in spalla e altrettanti motociclisti che quasi come gli alpinisti intenti nel preparare una difficile ascesa si scambiano informazioni utili sullo stato delle strade. 

Noi da Jabber Point salutiamo a distanza Rohtang e riprendiamo la rotta verso Killar, il paese più a nord dello stato Himachal Pradesh al confine con il Kashmir. Sulla carta ci stiamo avvicinando al punto più cruciale e atteso del viaggio. Lo scenario non si discosta molto da quello del giorno precedente, con la differenza che la pista a partire da Keylong via via si fa sempre più stretta e che le “fiumare” da attraversare sono più numerose. Si dice che la strada Keylong – Killar -Kishtwar sia una delle più spaventose quanto emozionanti al mondo. L’acqua viene giù che è un piacere inondando la strada, Il pericolo più che altro è determinato dal fatto che senza preavviso arrivi una frana, questo è il solo pensiero negativo che mi accompagna.

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Siamo giunti a Killar, un agglomerato di piccoli villaggi situati a circa 2800 mslm in una gola profonda del fiume Chenab, qui troviamo diversi negozietti e alcune guesthouse dove in una di queste prendiamo alloggio.

Killar – Kishtwar Km 120

Varchiamo il confine dello stato Himachal Pradedsh ed entriamo nel Kashmir, in realtà è questa la parte più enfatizzata quanto dicasi pericolosa. C’è da dire che la mulattiera lunga 120 Km è percorsa in entrambi i sensi di marcia anche dalle auto ed è anche il principale accesso al campo base di Kishtwar Kailash una vetta alta 6450 metri.  tuttavia è da evitare di avventurarsi con il buio o con il maltempo e in particolare quando c’è vento. Oggi il meteo è assolutamente favorevole, una bella giornata soleggiata e se con una moto è sufficiente stare più o meno addossati al costone della montagna, con una vettura tutto sarebbe più difficile, non fosse altro perché non è raro che un mezzo a quattro ruote debba tornare indietro per chilometri fino a un posto valido di scambio. Intanto a un certo punto mi accosto di lato e lascio passare una jeep, vedranno loro come fare.

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Vista impagabile sul fondo valle, ma non bisogna soffrire di vertigini, procediamo con estrema cautela su questa scogliera scavata sulla faccia della montagna. Superata una certa timidezza iniziale e oltrepassati alcuni punti da brivido la via diventa  sempre più amichevole e lentamente scendiamo di quota fino ad arrivare alla cittadina di Kishtwar, capitale dello zaffiro e dello zafferano. Noi ci resta che fare un giro alla ricerca dell’oro giallo e prepararsi alla tornata finale. Non concordo con quelli che inseriscono questo tragitto nella speciale classifica delle “strade più pericolose del mondo”. Nutro qualche dubbio che si possa annoverare in questa categoria per il solo fatto che ci transita qualche matto con una jeep e qualche branco di pecore. Calma… con una moto o con un mulo si può fare benissimo, una bella mulattiera che fa storia a parte, ecco proporrò al ministero indiano delle strade rotte di spostarla in questa più logica sezione.

 

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Kishtwar – Nurpur Km 300

Giornata piena di avvicinamento sulla via del rientro, fa già molto caldo, arriviamo nel tardo pomeriggio in questo dormitorio appiccicoso e brulicante di gente chiamato Nurpur. Il giorno successivo consegneremo i mezzi a Chardigarh e ci avvieremo verso casa. A proposito della Guro… mica trovata, tutti baffoni, d’altronde è risaputo che salvo poche eccezioni le guide spirituali induiste sono tutte di sesso maschile. 

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Chios: l’isola guerriera

Amanti delle isole greche, dopo averne già visitate più di una ventina, per questo settembre 2017, decidiamo per Chios, l’isola della mastica.

Chios è la quinta isola per grandezza della Grecia, ed ha circa 200 Km di costa.

Ha la forma di una mezza luna, ha foreste, spiagge nere di lava, spiagge di sabbia e di ciottoli bianchi o colorati, bagnante da un mare turchese.

La leggenda vuole qui, la nascita di Omero. Fu regina dei mari con le sue flotte e impavidi marinai.

Gli storici dicevano che vincerà la guerra colui che avrà come alleato la forte e guerriera Chios.

Ma Chios è famosa per la produzione della mastica o masticha. L’albero, il lentisco, cresce in tutto il mediterraneo, ma solo su quest’isola produce la preziosa resina. Per accaparrarsene il commercio, Chios ha subito molte invasioni, dei Macedoni, Romani, Bizantini, Veneziani e Genovesi e dal ‘500 al 1912 ha subito una lunga dominazione ottomana.

E’ un’isola fortificata, con le sue architetture medioevali, paesi molto suggestivi abbelliti da tecniche decorative molto particolari, ha molte torrette di vedetta sulle sue coste, grandi vallate e discrete montagne. Nonostante tutto questo, Chios rimane fuori dalle rotte turistiche, sopratutto italiane.

11 Settembre 2017: Decolliamo da Malpensa per Atene con volo Aegen e poi da Atene con un piccolo volo Olimpic Airline. Alle 19,30 con un taxi (12 euro per 4 Km) arriviamo alla nostra base: Karfas. Prendiamo possesso dei nostri alloggi, praticamente sul mare presso la taverna Karatazsas e cominciamo con la prima cena.

Karfas è una piccolissima località balneare a 4 km da Chios città. Una carina insenatura con alcune taverne, una gelateria, una pasticceria e due due piccoli mini market.

12 Settembre 2017: Noleggiamo un’auto per 7 giorni a 210 euro, una Yaris e partiamo per le prime tappe verso Sud. La prima è la spiaggia di Mavra Volia, uno dei posti più unici di Chios. La lava, proveniente da uno dei due vulcani inattivi che circondano la spiaggia, è la causa del colore nerastro dei ciottoli, che contrasta fortemente con il blu del mare. Dopo qualche ora di relax ci spostiamo a Emporios che è un piccolo villaggio con taverne caratteristiche e pranziamo.

Ci dirigiamo nel pomeriggio verso la spiaggia di Komi, sabbiosa, ma trasandata e con molti locali chiusi. Dopo una pennichella all’ombra di tamerici, verso le 17 ci dirigiamo a Pyrgi, uno dei villaggi fortificati chiamato anche “il villaggio dipinto”.

L’intero villaggio di Pyrgi, che si trova a 25 km a sud della città di Chios, occupa una delle aree che si sono conservate così come furono edificate in passato. Da notare sono le tipiche strade strette, le numerose chiese, tra cui emerge quella bizantina dei Santi Apostoli e le case con decorazioni geometriche bianche e nere sulle pareti esterne; le “xysta” sono ciò che più colpisce i visitatori.

Pyrgi, con le case costruite le une vicine alle altre, a dare l’impressione di un muro ininterrotto, è stato designato patrimonio nazionale. Le strade sono lastricate e strette; questo tipo di villaggio fortezza, a quattro angoli, veniva costruita per difendersi dai pirati e dai Turchi, ma anche per una migliore coltura del mastice.

Dopo la visita di Pyrgi scoviamo per caso, nei pressi, una bellissima spiaggia, Agia Dinami, secondo noi, la più bella in assoluto di tutta l’isola. E’ quasi il tramonto, ed è spettacolare immergersi in acque cosi trasparenti.

13 Settembre 2017: Entriamo in Chios città per fotografare i suoi “fotografatissimi” mulini. Poi saliamo verso il nord, verso la spiaggia di Nagas e poi di Giossonas. Ci fermiamo in una spiaggia attrezzata e gestita da due ragazzi, e per molte ore siamo gli unici frequentatori di questo piccolo paradiso. La caratteristica del nord dell’isola è la vegetazione con alti aceri e molti cipressi e le spiagge hanno i ciottoli colorati.

Rientrando verso sera ci fermiamo a Daskalopetra e iniziamo la tortuosa ricerca della pietra di Omero, dalla quale il grande poeta dava le sue lezioni. Alla fine dentro un giardino mal curato abbiamo visto questa roccia senza nessuna indicazione o iscrizione. Verso la tarda serata ceniamo a Chios città, una passeggiata sul lungomare, un gelato alla mastica, qualche occhiata ai negozi, uno sguardo alla moschea illuminata e poi rientro nella tranquilla Karfas.

14 settembre 2017: Ci dirigiamo verso il centro dell’isola, e il suo cuore, lo troviamo nel bellissimo monastero di Nea Moni. Si sta svolgendo un battesimo e l’atmosfera è davvero molto coinvolgente. Peccato i lavori in corso (che pare durino da anni) ma la pace di questo luogo immerso nella vegetazione è davvero unico.

Proseguendo facciamo una sosta a Anatavos, il paese fantasma.

Il villaggio è stato abbandonato dopo il il massacro selvaggio ottomano del 1822 e oggi è un monumento nazionale. Anche se Anavatos è abbandonato, come la maggior parte dei villaggi del nord di Chios, un notevole numero di case è ancora in piedi, alcune ristrutturate alcune no. Gli abitanti, poche decina, abitano silenziosi questo villaggio. Lo stile è medioevale e si presenta come un villaggio fortezza, molto ben mimetizzato nel contesto del panorama e quasi passa inosservato.

Dopo la visita, ci fermiamo alla spiaggia di Elinta, una vera chicca. Deserta, sono le 11 di mattina, con cigni che si avvicinano, una marea di farfalle e l’acqua del mare meravigliosa.

Nel pomeriggio cambiamo spiaggia …e allora verso Lithi, piccolo paesino, con alcune spiagge attrezzate.

Verso le 18 decidiamo di visitare il paese di Avgonyma, sempre nel centro dell’isola.

Risalente al medioevo ha una vista mozzafiato sul mare Egeo, inoltre una foresta di pini la circonda, rendendo Avgonyma un posto davvero romantico e speciale. Ben tenuto, con 10 abitanti e una taverna nella piccola piazza che ci ispira moltissimo. Sono solo le 19, ma spinti dalla fame, ci fermiamo a mangiare gustose polpette con il sugo.

15 Settembre 2017: Decidiamo per una visita a Mesta.

Questo villaggio/castello è perfettamente conservato dal periodo bizantino. Le auto devono essere lasciati al di fuori delle mura che circondano il villaggio.

Le strade sono lastricate in pietra, strette e collegate alla torre quadrata centrale. Questo tipo di fortezza, fu costruito allo scopo di proteggere gli abitanti e la coltivazione di mastice contro i frequenti attacchi dei pirati e dei turchi.

Merita una visita e una sosta in una delle taverne della piazza anche solo per una caffè.

Dopo Mesta è la volta di Vessa, ma fra i borghi medioevali, secondo noi è quello meno ben conservato.

E’ quasi mezzogiorno e abbiamo voglia di un bagno in mare, raggiungiamo quindi Salagonas. La strada è sterrata e ci sono un po’ di curve, ma per qualche ora, merita la sosta.

Completamente deserta e non attrezzata, troviamo anche qui un mare fantastico.

Sulla strada del rientro, ci fermiamo al villaggio di Olimpi. Il villaggio è stato fondato nel 13° secolo e si distingue per la sua notevole architettura. Le case sono costruite in modo tale che le pareti esterne siano congiunte, affinché chiunque affronti il villaggio veda una fortezza senza aperture visibili. La torre che si trova al centro del paese è alta 20 metri ed è stata utilizzata per la difesa in caso di attacco dei pirati.

Girovagando per il villaggio osserviamo scene di vita quotidiana, una signora a spasso con il suo asino, un’altra che lava al lavatoio pubblico, signore vestite di nero sedute sulla porta di casa……davvero una Grecia di altri tempi!

Rientro a karfas e cena in taverna.

16 Settembre 2017: Partiamo alla volta dell’estremo nord dell’isola, attraversiamo Chios città e poi verso le montagne, dopo un paio di ore giungiamo alla meta prefissata: spiaggia di Agiasmata nota per le sue acque termali. Il villaggio è molto piccolo, la spiaggia deserta e con ciottoli, il mare bello. Nel centro del paese esiste una clinica termale dove d’estate i clienti possono soggiornare. Dopo qualche ora è la volta di Volissos con il castello medievale trapezoidale veneziano a 6 torri. Pranziamo in una taverna e il ristoratore ci parla in italiano in quanto ha studiato a Roma.

Dopo la sosta proseguiamo verso Agia Markella, la sua spiaggia e il suo monastero. Dedicato a questa santa morta per mano del padre, è meta di molte pellegrinaggi.

Pausa relax in spiaggia fino al tramonto. Rientro a Karfas.

17 Settembre 2017: Visitiamo Kampos e le ville patrizie genovesi, Kampos è a pochi km da chios città, quindi facilmente raggiungibile. Ci dirigiamo verso Nenita per visitare l’orto botanico che però troviamo chiuso, quindi ci fermiamo nei pressi, sulla spiaggia di Gridia, con mare turchese e ciottoli bianchi. Pranzo in taverna nel paese e rientro a Karfas.

18 Settembre 2017: Verso Pyrgi e il museo della mastica, fermandoci prima nel paese di Armolia, famoso per le sue botteghe di ceramiche dipinte a mano. Il museo è davvero mosto interessate, appena fuori Pyrgi è stato costruito con un design molto moderno, vetro, acciaio e pietra, che però si inserisce benissimo nel contesto del paesaggio.

Il costo è di 3 euro, ma vale la pena, e si può visitare la piantagione esterna del lentisco che produce la mastica.

Sosta pranzo a Olimpi e poi verso la nostra spiaggia preferita: Agia Dinami.

Ci godiamo l’ultimo giorno davanti al mare, che qui, in questa spiaggia, ricorda il mare delle Maldive.

Cena in taverna a Mega Limnionas.

19 Settembre 2017:Si torna a casa! Chiudiamo a malincuore il nostro piccolo bagaglio a mano, tanto su quest’isola meravigliosa non ci è servito molto, pochi abiti e costumi.

L’importante è stato avere occhi per vedere i suoi panorami, avere olfatto per sentire l’odore della mastica che pervade tutti i i villaggi del sud, e avere cuore per amarla.

Luisa Deninotti

 

Giappone… carpe diem!

Arrivare in Giappone è come entrare in un manga. Le persone, i cartelloni pubblicitari, il cibo e ogni altra cosa sembrano leggermente alterate rispetto alla realtà a cui siamo abituati. Tutto sembra disegnato, come in un fumetto o in un cartone animato della nostra infanzia.

Quindi, se ve lo state chiedendo, qui esistono davvero le ragazze con la divisa da scolaretta/marinaia e con i capelli rosa. Non erano solo le amiche di Sailor Moon a passeggiare per Tokyo agghindate a quel modo!

Ecco, io credo che un viaggio in Giappone sia principalmente questo. Non tanto la bellezza dei suoi monumenti o l’armonia dei suoi templi. Venire in Giappone significa accostarsi ad un mondo completamente diverso dal nostro, un luogo osservato solo in tv o nei cartoni animati che si rivela essere davvero “strambo”, “alternativo” e “surreale”. E i giapponesi? Ne vogliamo parlare? Anche loro sono la vera attrazione del viaggio: precisi, formali, cortesi fino ad essere quasi ridicoli, distaccati, puliti e scettici. Unici, insomma.

Veniamo adesso al programma di viaggio. Seppur la bellezza del Giappone è il Giappone stesso (sembra una frase senza senso ma non è così), è necessario fare un elenco dei luoghi che si vuole visitare. Avendo avuto a disposizione 10 giorni pieni (più due di viaggio in aereo), il nostro tour può essere così sintetizzato:

  • 3 giorni per la visita di Tokyo
  • 1 giorno visita di Nikko (spostamento in giornata da Tokyo)
  • 1 giorno nella zona di Hakone (spostamento in giornata da Tokyo)
  • 3 giorni a Kyoto, comprensivi degli spostamenti da e verso Tokyo (vi consiglio di aggiungere un giorno perché la città è davvero stupenda e ricca di attrazioni)
  • 1 giorno a Nara con sosta al Fushimi-Inari Taisha di Kyoto (spostamento in giornata da Kyoto)
  • 1 giorno a Hiroshima e Miyajima (spostamento in giornata da Kyoto – è una giornata intensa ma fattibile)

Come muoversi in Giappone? Ovviamente con i mezzi pubblici. Io preferisco gli spostamenti in autonomia con la mia auto ma mi sono dovuto ricredere. Prima di tutto perché sono comodissimi, puliti e costituiscono essi stessi una delle attrazioni del viaggio. Poi perché non ha proprio senso muoversi in auto in città così congestionate ed estese. Le metro e i bus saranno quindi il vostro supporto negli spostamenti cittadini mentre, per le lunghe tratte, dovrete sicuramente prendere il treno. Ecco in aiuto il mitico JR Pass che, al costo di circa 217 euro, permette di utilizzare buona parte dei treni giapponesi per una settimana. Sono inclusi addirittura gli Shinkansen, ossia i treni ad alta velocità. Le regole non sono poche ma non è difficile da utilizzare (troverete un sacco di informazioni on line e nei vari blog di viaggio).

Il costo del viaggio? Non bassissimo ma principalmente perché c’è di mezzo un volo internazionale (abbiamo trovato Alitalia molto comoda perché effettua voli diretti da Milano a Tokyo). Si può riuscire a spendere anche poco se ci si sa adattare ma un budget troppo limitato a volte non permette di godere appieno della vacanza e delle bellezze di un luogo. Noi abbiamo speso 2.100 euro, tutto compreso (ad esclusione dei souvenir).

Una delle esperienze più interessanti del viaggio sarà sicuramente quella con la cucina locale. Non aspettatevi di abbuffarvi sempre di sushi ed affini perché non è così facile trovare posti in cui lo preparano. Cioè, lo si trova in quasi tutti i menù ma è di una varietà drammaticamente limitata e di livello medio. Se tenete duro, ad ogni modo, troverete di certo qualche ristorante specializzato (ne abbiamo trovato uno alla stazione di Kyoto che era fenomenale)!In genere i prezzi non sono particolarmente elevati e anche questa è stata una sorpresa non da poco!

Vi state chiedendo quale guida acquistare prima del viaggio? Io sono un fan della Lonely Planet che, dopotutto, trovo molto comoda. Purtroppo quella per il Giappone è un librone enorme e difficile da portarsi appresso per cui, seppur controvoglia, mi sono acquistato anche alcuni capitoli pdf dal sito della Lonely Planet. E’ stato decisamente più comodo ed agevole leggerli sullo smartphone!

Cosa fare prima della partenza? Io vi suggerisco di: dare un’occhiata alla guida turistica per capire come sono suddivise le città e dove sono collocate le attrazioni principali (avere le idee chiare vi farà risparmiare un sacco di tempo), acquistare un’assicurazione viaggio, prenotare on-line il JR Pass (dovete farlo necessariamente prima della partenza), scaricare sul vostro cellulare le mappe dei mezzi pubblici e qualche app off line (magari gratuita) che funzioni da navigatore (es. MAPS.ME).

Temo di avervi annoiato con questa lunga premessa quindi veniamo al racconto vero e proprio!

PRIMO E SECONDO GIORNO

Il nostro volo Alitalia (senza scali) parte da Malpensa nel primo pomeriggio e ci scaricherà nella capitale nipponica solamente alle 11 della mattina successiva. L’aeroporto di Tokyo è leggermente incasinato ma dobbiamo riprenderci rapidamente se vogliamo attivare il JR Pass (c’è un grande ufficio pieno di turisti in coda nel piano sotterraneo dove si prendono i treni che conducono in città) ed acquistare le comodissime carte prepagate SUICA o PASMO (sono praticamente speculari) che, una volta caricate, permettono di viaggiare su tutti i mezzi pubblici della città (timbrando sia alla salita che alla discesa, viene calcolato automaticamente l’importo da detrarre).

Raggiungiamo la città utilizzando la Keisei Railway, più comoda data la posizione del nostro hotel (ci sono diversi treni che, in base alla velocità, hanno prezzi differenti). Prendiamo il Keisei Main Line, il più economico (¥1030), che ci condurrà fino al quartiere Ueno in circa 1.15 ore.

Quante cose a cui pensare all’arrivo! Si, ero piuttosto agitato e stressato. Per cui, quando sono arrivato al nostro fantastico e lussuoso Hotel Ryumeikan Ochanomizu Honten, ho tirato un sospiro di sollievo ed ho iniziato a distendere i muscoli.

Dopo la prima danza di inchini con gli incaricati della reception (al termine della vacanza diventeremo tutti esperti) e una rinfrescata, si parte in metropolitana per Shinjuku. È uno dei quartieri che meglio rappresentano la capitale giapponese: un’overdose di luci, un caos di persone, grattacieli (come il Tokyo Metropolitan Government Offices dove si può salire gratuitamente ogni giorno tra le 9.30 e le 23 anche se la vista non è così imperdibile), stradine con centinaia di localini grandi come un letto matrimoniale (Golden Gai), un quartiere a luci rosse (Kabukicho) e qualche tempio che riposa tranquillo (Hanazono-jinja), come proiettato in un’altra dimensione. E’ decisamente un ottimo punto di partenza per farsi un’idea di quello che vi aspetterà in Giappone!

TERZO GIORNO

Per terra. I fiori di ciliegio (sakura) li abbiamo trovati quasi tutti per terra, ai piedi degli alberi. Ormai siamo già a metà aprile! Ma vederli volteggiare spinti dal vento è una delle immagini più belle del Parco di Ueno.

Sparsi tra gli alberi si trovano antichi templi in legno, tra cui spicca il Kiyomizu Kannon-do (ingresso gratuito) e il Ueno Tosho-gu, rivestito in foglie d’oro (ingresso ¥500 ma è bello anche solo da fuori). Qui si trova anche un giardino pieno di peonie enormi con ombrellini di carta per proteggerle (ingresso a pagamento). Nei pressi dei templi, lanterne in pietra e nuvole d’incenso. L’atmosfera è davvero magica.

Noi però non ci limitiamo a fare i turisti e ci dedichiamo allo sport: noleggiamo delle barchette a remi (¥600 per mezz’ora) e un romantico pedalò a forma di cigno. Forza che dobbiamo bruciare un po’ di calorie!

Un treno superveloce che corre attorno a tutta la città, il JR Jamanote, ci scarica poi ad Harajuku. I binari separano in due il quartiere. È una divisione sia fisica che caratteriale. La zona più spirituale è nascosta in un fitto bosco con all’interno il tempio di Meiji-ji. Purtroppo l’edificio è in buona parte in restauro anche se i mastodontici torii all’ingresso del parco, la passeggiata nel verde (circa 15 minuti dalla stazione JR) e l’atmosfera rilassata ci hanno ripagato della delusione.

Dalla parte opposta della stazione, Harajuku rivela la sua faccia più modaiola, caotica e consumistica. Qui si trovano le fashion victim giapponesi ma anche i cosplayer. Ci sono centri commerciali con oggetti curiosi e strade sovraffollate con coloratissime crepes cariche di ogni porcheria (inclusi interi creme caramel e fette di torta). Non lasciatevi sfuggire Takeshita-dori, la via simbolo del quartiere. E’ un po’ sovrastimata ma si incontrano soggetti davvero curiosi!

Un ulteriore spostamento in metropolitana ed eccoci a Shibuya. Welcome nel caos più caotico di Tokyo! Cosa c’è da vedere da queste parti? Il caos, appunto! La guida segnala che l’attrazione principale è l’attraversamento pedonale più frequentato al mondo (pare lo attraversino circa 1000 persone ogni volta). Sembra di essere travolti dalla folla, da una marea improvvisa in cui tu sei solo il pesce più piccolo e confuso.

I neon e i pannelli luminosi sono ovunque e ci accompagnano tra centri commerciali, stanzette in cui scattiamo foto che sembriamo dei manga e ristoranti di ogni tipo. Dove siamo andati per cena? In un locale in cui si ordina su tablet e il sushi arriva su un trenino futurista!

QUARTO GIORNO

Stamattina abbiamo capito da dove arriva tutto il pesce che finisce sulle tavole di Tokyo: dal mercato di Tsukiji. Gironzolare tra le bancarelle è tutt’altro che semplice perché bisogna stare attenti a pozze d’acqua maleodoranti, a muletti che sfrecciano come impazziti ed a teste di tonno che ti osservano in modo inquietante. Il tutto è molto colorato e pittoresco ma più che appetito mi ha dato il voltastomaco.

Molti turisti vengono fin qui all’alba per partecipare all’asta del tonno. L’ingresso è riservato ad un numero limitato di persone ma noi non ne eravamo interessati. Così ci siamo accontentati di accedere all’orario dei turisti (tra le 10 e le 11 del mattino) quando il mercato inizia a chiudere.

Tutto attorno si trova invece il mercato esterno, sempre aperto, decisamente disordinato ma piuttosto verace. Per gli amanti del sushi (molti vi fanno colazione) c’è da impazzire!

In tarda mattinata, con lo stomaco in subbuglio, ripieghiamo verso il Hama-rikyu Onshi-teien per prendere una boccata d’aria. Si tratta di un antico giardino (ingresso ¥300) a 15 minuti a piedi dal mercato dove, tra sentieri e passerelle si trovano piante in fiore, laghetti e boschetti molto curati.

C’è perfino una casa da tè sull’acqua che serve una tazza di fortissimo tè matcha (sembra un passato di verdura) con stucchevoli dolcini ripieni di marmellata di fagioli rossi. Il tutto è più bello che buono! Però l’esperienza è davvero unica e la location perfetta.

Il vivace e colorato quartiere di Asakusa, che raggiungiamo dopo alcuni cambi di metro, ruota attorno allo splendido Sanso-ji, uno dei templi più frequentati di Tokyo (ingresso gratuito). Poco importa se sia autentico o ricostruito, qui l’atmosfera e la devozione superano ogni cosa. Nakamise-dori, una lunga via su cui sono allineati negozietti che vendono souvenir (tutti confezionati con una cura che si può trovare solo qui in Giappone) e dolcetti (e ricaschiamo sul ripieno ai fagioli rossi), precede il luogo sacro. All’interno del tempio, caratterizzato da edifici in legno rosso, perdete qualche minuto nello scoprire cosa hanno in serbo per voi gli dei. E’ sufficiente mettere una moneta, agitare un barattolo, estrarre il numero prescelto e cercare il foglietto con la sorte nell’apposito cassetto. Attenti perché il responso potrebbe non essere affatto piacevole (in tal caso ritentate nuovamente la fortuna)!

La sera ci spostiamo a cena ad Akihabara, il quartiere della tecnologia. Sarà per la pioggia o per il fatto che per le strade non c’è molta gente, ma a noi non ha fatto impazzire. Nemmeno il Sexy Shop di 7 piani ci pare così curioso. Ripieghiamo quindi in un ristorante e poi a nanna presto.

QUINTO GIORNO

La puntualità dei mezzi di trasporto giapponesi è ormai proverbiale. E difatti il nostro shinkansen (treno ad alta velocità) parte in perfetto orario dalla stazione JR di Tokyo. Ma prima viene ripulito ad una velocità impressionante da una schiera di addetti con tanto di cappello infilzato da un rametto di fiori di ciliegio finti. Poco sobri ma assolutamente efficienti. E non è finita qui. Mentre siamo diligentemente in coda per salire sul nostro vagone, i sedili ruotano su se stessi, pronti per il cambio di marcia. Fantastico!

Oggi utilizziamo per la prima volta il nostro JR Pass, un comodissimo abbonamento valido per una settimana ed utilizzabile su quasi tutti i treni JR, compresi quelli ad alta velocità. Teoricamente sarebbe meglio prenotare i treni ad alta velocità recandosi qualche giorno prima agli appositi uffici presenti nelle principali stazioni.

Per raggiungere Nikko (la nostra meta), dalla Tokyo Station prendiamo il JR Shinkansen fino a Utsunomiya e da qui cambiamo salendo sulla JR Nikko Line (sempre compresa nel JR Pass). Una volta arrivati alla stazione, un comodo bus (¥310 singola corsa/ ¥500 giornaliero) ci permette di evitare la passeggiata di circa 30-45 minuti per arrivare alla zona d’interesse turistico.

Gli splendidi templi di Nikko, entrati nell’elenco dei beni patrimonio dell’Unesco, compaiono come funghi nel sottobosco. All’ombra di alberi antichi, il muschio ricopre le lanterne di pietra e i muretti.

Risalendo la collina, oltre i grandi torii (portali di ingresso ai luoghi sacri) e i primi grandi templi (tra cui qualcuno in restauro), ecco comparire la pagoda e i primi templi del Tosho-gu (biglietto unico per tutta l’area del tempio ¥1300). Sono tutti in legno laccato e dipinto in colori vivaci. Gli intagli, le statue e gli ornamenti sono minuziosi e anch’essi colorati. Ci sono anche le famosissime scimmiette “non vedo, non sento e non parlo” (vengono proprio da qui!).

Poi gli occhi vengono rapiti dallo splendore dorato del Yomei-mon, la porta di accesso al recinto sacro del tempio vero e proprio. Ad un certo punto non si capisce più dove posare gli occhi. È tutto così bello che esco dal sentiero e per poco non inciampo rovinosamente su qualche sasso. Il tutto con la bocca ancora aperta.

Dopo pranzo (e forse proprio a causa di questo) compiamo un grosso errore. Decidiamo di cambiare il programma e, invece di continuare con la visita degli altri templi nel bosco, optiamo per un viaggio in bus verso le Kegon Falls. Il costo del trasporto si rivelerà esorbitante e il viaggio sarà più lungo del previsto (circa 45 minuti solo andata). Attraversiamo i monti fino a raggiungere una località piuttosto insulsa ma affacciata su un bel lago. Ma non lasciamoci distrarre, l’obbiettivo sono le cascate. Sarà per il bosco ancora pelato (quassù ci sono ancora mucchi di neve e le foglie non sono ancora spuntate) ma rimaniamo delusi. Non sono brutte, per carità, ma ci hanno portato via due ore dalla visita di Nikko e non è stata una buona idea. Da qui il passaggio da Kegon a Kagon Falls è davvero breve.

Prima di riprendere il treno che ci riporterà a Tokyo, ci fermiamo a scattare qualche fotografia al Shin-kyo, il tradizionale ponte rosso di Nikko, e ad acquistare qualche dolcetto giapponese. Sono talmente curiosi (anche se non sempre buonissimi) che non ci arrendiamo nella nostra ricerca di un dolce che valga la pena di portare quel nome!

SESTO GIORNO

Per prendere una boccata d’aria fresca, gli abitanti di Tokyo (come si chiamano? Tokyesi?) vengono ad Hakone. È una località di montagna, non molto distante dal Monte Fuji, dove è possibile fermarsi una notte e oziare in qualche onsen (le terme giapponesi). Fare una gita da queste parti equivale a prendere una moltitudine di mezzi differenti. Nell’ordine, ecco quelli che abbiamo preso noi in una sola giornata: treno rapido JR Shinkansen (Tokyo-Odawara compreso nel JR Pass), treno normale (Odawara-Hakone Yumoto), trenino a scartamento ridotto (fino a Gora), funicolare (fino alla sommità del Soun-zan), funivia (arrivo a Togendai), barca dei pirati (avete letto bene) e bus (fino ad Hakone Yumoto dove abbiamo chiuso il cerchio). E’ comodo perché non si cammina quasi per nulla ma se non amate i mezzi di trasporto pubblici, questa gita non farà per voi!

Per utilizzare tutti i mezzi di trasporto dell’area è necessario acquistare l’Hakone Freepass (noi l’abbiamo preso ad Odawara). Il prezzo non è indifferente  (pass per 2 giorni – che è il minimo – ¥4000) ma non avete alternative in quanto i singoli biglietti costano molto di più. Tenete presente che non è compreso nel JR Pass.

Il su e giù per i monti e lungo il lago Ashino è piuttosto carino, soprattutto per via della bella giornata (altrimenti non ne sarebbe valsa la pena). Ma volete sapere qual è stato il momento migliore? Quello in cui, scollinando con la funivia, è comparso il Monte Fuji, ricoperto di neve, in tutta la sua conica bellezza. Nella cabina si è diffuso un lungo e rispettoso “oooh”.

Lungo il viaggio in treno fino a Gora, non lasciatevi sfuggire l’Open-air Museum di Hakone (ingresso ¥1400). Uomini volanti che sfidano il cielo, sfere sospese in cui specchiarsi, donnone enormi dall’abitino colorato, eliche giganti e un grande caleidoscopio in cui è possibile infilarsi dentro. Tutto questo e molto altro lo si trova in questo verdissimo e sorprendente museo dove, su di una dolce collina, si trovano sparse qua e là sculture di arte moderna e contemporanea. Ci sono opere di Rodin, Mirò, Giacometti e padiglioni dedicati a Manzù (uno parte da Bergamo e guarda chi si ritrova in Giappone!) e Picasso. Il museo è bellissimo e le opere, per quanto non sia in grado di capirle, sono davvero sorprendenti.

Se vi state chiedendo se una giornata ad Hakone sia una buona idea, io sinceramente non sono in grado di rispondervi. A noi la giornata non è dispiaciuta, soprattutto grazie al bel tempo e al fatto che siamo riusciti a vedere il Monte Fuji. Però il paesaggio non è nulla di spettacolare e nemmeno lo sono le varie attrattive lungo il percorso. Se non avete molti giorni a disposizione in Giappone, potete anche optare per altre mete!

SETTIMO GIORNO

Oggi è un giorno di partenze. Lasciamo Tokyo e, grazie al JR Shinkansen, andiamo verso sud. In meno di tre ore eccoci nella nuova stazione di Kyoto. Tanta modernità contrasta in modo quasi sconcertante con l’architettura tradizionale della città.

Dopo aver pranzato in uno dei numerosi ristorantini della stazione, prendiamo il “The Kyoto City Bus & Kyoto Bus One-Day Pass”, un pass giornaliero di ¥500 che ci permetterà di prendere tutti i bus della città (acquistabile al Kyoto Bus Information Center all’uscita nord della stazione di Kyoto).

I bus a Kyoto hanno regole molto strane per noi occidentali: si sale nel mezzo e si scende davanti (dove si paga al conducente la tariffa del viaggio effettivamente svolto). Ma ancor più complesso è riuscire a capire quale sia il pullman corretto da prendere. La mappa, infatti, è molto fitta di rotte e sbagliare può essere semplice. In questo può aiutarvi Google Maps, se impostato sull’opzione mezzi pubblici.

Usciti dall’hotel (Minato Hotel – troppo caro per quello che vale), ci dirigiamo a piedi verso Gion, per intenderci il quartiere delle geishe (che qui però si chiamano geiko). E’ una meraviglia con le sue antiche case in legno, le lanterne rosse, le sale da tè, i viottoli che si perdono chissà dove e, ovviamente, gli splendidi templi. La sera riusciamo ad avvistare anche due maiko, le apprendiste geisha, mentre appaiono e scompaiono tra i vicoli. E’ proprio il Giappone tradizionale che tanto mi aspettavo di vedere e che a Tokyo è difficile da scorgere.

Vi consiglio di passeggiare lungo Hanami-kōji e Shinbashi Dori (quest’ultima è una delle zone più pittoresche della città) e poi, spingervi verso l’antica zona alle spalle del Yasaka-jinja, il tempio che sorveglia Gion e che la sera diventa ancora più suggestivo (ingresso gratuito).

Quando il sole cala e le luci si accendono, la città si svuota. Avevo letto che durante il periodo primaverile alcuni templi rimanevano aperti fino a tardi in occasione di alcuni eventi legati alle luci. Noi ci dirigiamo verso il Kodai-ji (ingresso serale ¥600) e rimaniamo folgorati da tanta delicatezza e suggestione. Illuminato di notte non ha eguali. Tra le luci soffuse e le musiche antiche, è emozionante attraversare i sentieri del complesso, visitarne i templi, i giardini e la piccola foresta di bambù!

OTTAVO GIORNO

Il quartiere Higashiyama di Kyoto è uno scrigno che contiene antichi templi, giardini curati che si specchiano nei laghetti e stradine affiancate da tradizionali abitazioni in legno. È qui che l’antico Giappone continua a vivere.

E questo ovviamente non è un segreto. Migliaia di turisti curiosi e di studenti, omogeneizzati nella loro divisa ordinata, affollano i siti. Per fortuna ci sono ancora alcuni angoli, lontani dalla massa, in cui sostare in silenzio contemplando la perfezione di un giardino giapponese.

Con la nostra Lonely Planet alla mano, iniziamo la visita da Tainari-meguri, una vietta piena di negozi di souvenir che conduce al celebre Kiyomizu-dera (ingresso ¥400). Il fatto che sia in fase di restauro pare non scoraggiare le masse. Ma questo è uno dei siti più famosi della città e la vista che si gode su Kyoto da questa collina è davvero indimenticabile. All’uscita del tempio proseguiamo in discesa lungo Sannen-zaka e Ninen-zaka, due belle vie tradizionali con case in legno e negozi di artigianato.

Quando raggiungiamo il Kodai-ji (visitato ieri sera), la folla diminuisce significativamente. Finalmente si può passeggiare con maggior pace. Continuiamo a camminare fino al Maruyama-koen, un grande parco gratuito non lontano da Gion. Non è indimenticabile ma, immersi in un silenzio rigenerante, il parco ci permette di raggiungere il tempio successivo. Si accede al complesso del Chion-in attraverso un immenso portale e una non indifferente scalinata. L’ingresso è gratuito (a meno che non decidiate di visitare l’interno del tempio che, ad ogni modo, è in restauro) e, tra la vegetazione, troviamo laghetti e piccoli templi. Il luogo è molto bello ma dobbiamo andare avanti.

Dopo aver pranzato lungo la strada, attraversiamo il portale di ingresso al Shoren-in (ticket ¥500). Pare di accedere ad un altro pianeta: la folla si concentra altrove per cui è possibile godere della serenità e del silenzio del tempio.

Passeggiando scalzi sui freddi tatami dei padiglioni in legno si hanno bellissime vedute dei giardini circostanti, ritenuti tra i più belli di Kyoto. Il paesaggio naturale, fatto di laghetti, muschi e foreste di bamboo, è stato modellato da una mano sapiente ed arricchito con ciliegi, lanterne in pietra e piccoli tempietti. Una meraviglia per gli occhi e per lo spirito.

E’ il primo pomeriggio e, arrivati a questo punto, abbiamo due opzioni: proseguire lungo il Sentiero della Filosofia e visitare i templi di Higashiyama Nord oppure spostarci con i mezzi pubblici (che fatica!) e raggiungere il Kinkaku-ji, il tempio dorato. Seppur a malincuore, optiamo per la seconda scelta.

Nella pubblicità di un profumo di alcuni anni fa, una bella ragazza sosteneva che la vita non è tutta in bianco e nero ma oro. Il concetto era probabilmente lo stesso di coloro che hanno progettato il Kinkaku-ji, un tempio rivestito da lamine d’oro che si specchia nelle verdi acque di un tranquillo laghetto (ingresso ¥400). Mentre le carpe nuotano tranquille, la folla freme per immortalare uno dei monumenti più famosi del Giappone.

La sera, dopo aver mangiato un fantastico okonomiyaki (frittatine tradizionali fatte cuocere su una piastra), ci dirigiamo verso Ponto-cho. Si tratta di una stretta via tradizionale dove si affacciano ristoranti di un certo livello. La zona nei dintorni è piuttosto vivace e ci si può fermare in qualche locale per bere qualcosa.

NONO GIORNO

La giornata inizia con un viaggio in treno che parte dalla stazione di Kyoto (linea JR Nara Line inclusa nel JR Pass) ed una serie di quiz.

Question n.1: cosa è un torii? È una sorta di porta di accesso al tempio.

Question n.2: cosa rappresenta la volpe nella tradizione giapponese? È il messaggero di Inari, il dio del riso e dell’agricoltura. È un animale sacro e misterioso.

Question n.3: qual è il tempio di Kyoto che riunisce questi elementi? È il Fushimi-Inari Taisha, famoso soprattutto per la sfilza di torii arancioni che si susseguono l’uno dopo l’altro nel bel mezzo del bosco. E dopo aver messo da parte l’ossessione per la foto perfetta, il luogo si è manifestato in tutta la sua suggestiva bellezza.

Scesi alla Inari Station (il viaggio dura solo 5 minuti) ci si trova subito di fronte al tempio. Il complesso (ingresso gratuito) è molto grande e frequentato ma la particolarità di questo luogo si nasconde tra la vegetazione della collina. Non è necessario fare molti passi per ammirare i tori arancioni ma, più si sale, meno gente si incontra e l’atmosfera diventa più magica.

Dopo un paio d’ore dedicate alla visita, rieccoci sulla linea JR con destinazione Nara. Arrivati in stazione (durata viaggio circa 1.15 ore), prendiamo il bus Nara Kotsu (da “East Gate 2” linea 1/2/72 fino a Daibutsuden Kasugataisha-mae o 70/97 fino a Todaiji Daibutsuden – ticket ¥190) e raggiungiamo la zona dei templi cittadini, immersa in un grande parco verde.

Il padiglione in legno più grande al mondo non poteva che racchiudere la scultura bronzea tra le più grandi al mondo. Non appena varchiamo la soglia del Todai-ji (¥500), quindi, abbiamo detto la cosa più ovvia al mondo: “ooooh”! La statua del Grande Buddha (Daibutsu), seduto a gambe incrociate nel tempio più famoso di Nara, è davvero sorprendente. Se da un momento all’altro decidesse di alzarsi (la statua è alta 16 metri), sfonderebbe immediatamente il tetto.

Poco oltre il grande tempio, una strada tranquilla e molto caratteristica prosegue in salita fino ad un paio di altri templi: il Nigatsu-do (ingresso gratuito), da cui si gode di una bella vista sulla città, e il Sangatsu-do (ingresso ¥500), che osserviamo solo dall’esterno.

Nara è famosa non solo per i suoi antichi luoghi di culto ma anche per i 1200 cervi che passeggiano liberamente nel parco. “Speriamo di riuscire ad avvistarli”, ci dicevamo prima di arrivare. In effetti è impossibile non vederli dato che passeggiano tra la folla in cerca di cibo. Inutile dire che ci siamo procurati i biscottini di cui sono ghiotti e li abbiamo imboccati. Troppo carini!

DECIMO GIORNO

La giornata di oggi sarà molto intensa. Partiremo la mattina presto da Kyoto e, in giornata, raggiungeremo Hiroshima sempre grazie ai treni JR Shinkansen. La nostra prima tappa è l’isola li Miyajima che, una volta arrivati alla stazione di Hiroshima, raggiungiamo prendendo prima un treno (fermata Miyajima-guchi) e poi un traghetto JR Miyajima Ferry (incluso nel JR Pass).

Un torii rosso fluttuante (che emerge dal mare) è il biglietto da visita di Miyajima, un’isoletta fatta di cime boscose a poca distanza da Hiroshima. Usciti dal battello, tutti i turisti percorrono il lungomare fino al torii per immortalarlo in selfie e foto di gruppo. C’è perfino chi sfida la marea e la spiaggia fangosa.

Ma a Miyajima ci sono anche templi antichi (tra cui il Itsukushima-jinja – ¥300 – che è formato da un insieme di palafitte dipinte di bianco ed arancione), file di lanterne di pietra, una pagoda che sfida il cielo e piccoli cervi affamati che scrutano tra le borse dei passanti.

Dopo aver pranzato lungo la via principale del villaggio (piena di negozietti e ristoranti per turisti), riprendiamo prima il traghetto e poi il treno verso Hiroshima. Inutile ricordare il motivo per cui la città, situata nel sud del Giappone, è tristemente nota. Quello che oggi rimane da visitare, dopo che la prima bomba nucleare esplose sopra la città radendola al suolo, è ben poco e ruota attorno a quel drammatico giorno del 1945.

Una manciata di monumenti commemorativi si susseguono su un’asse che attraversa il Parco della Pace e tocca, tra gli altri, l’Atomic Bomb Dome (considerato il simbolo della città), il commovente monumento ai bambini vittime della bomba, la fiaccola della pace e il Museo (ingresso ¥200). In un silenzio surreale, qui sono raccolti oggetti, storie e documenti. Per non dimenticare.

Rientriamo a Kyoto che ormai è sera. Siamo davvero distrutti ma ne è valsa la pena! Prestate attenzione agli orari dei treni perché, per evitare troppi cambi, i JR non sono moltissimi.

UNDICESIMO GIORNO

Oggi è l’ultimo giorno a Kyoto. E’ davvero un peccato non aver dedicato a questa città ancora un giorno o due. Il treno verso Tokyo partirà verso metà pomeriggio quindi questa mattina ci spostandosi verso la periferia della città. Ci immaginavamo zone squallide e palazzoni di cemento e invece il quartiere di Arashiyama è tutt’altro (lo si raggiunge in 15 prendendo un treno della JR Sagano Line dalla stazione di Kyoto fino a Saga-Arashiyama e poi proseguendo a piedi per altri 15 minuti).

Dove finisce la città, inizia un bosco che risale verso colline popolate di scimmie (che però non vediamo perché bisognerebbe addentrarsi verso zone più isolate). In questo punto si trovano due famose attrazioni: il suggestivo Bosco di Bamboo (ingresso gratuito), con le grosse canne che si innalzano verso il cielo, e il tranquillo giardino zen del tempio di Tenryu-ji (ingresso ¥500), dove grasse carpe nuotano in un bel laghetto.

La serenità che trasmettono questi luoghi è interrotta solo dalla voce di Moira che chiede: “dove pranziamo oggi?”.

Il pasto più soddisfacente di tutto il viaggio in Giappone? Quello seduti al sushi bar di un ristorante della stazione di Kyoto prima di prendere il JR Shinkansen verso Tokyo. Sushi e sashimi vengono preparati sotto i nostri occhi. Le papille si dilatano, ma quelle gustative di più! Si stende l’alga, si appallottola il riso e si aggiunge il “tonno grasso” con delle verdurine misteriose. Dopo aver arrotolato il tutto ed averlo tagliato a rondelle, le nostre bocche sono già impastate. Prendiamo il sushi con le bacchette (ormai sono diventato bravo pure io!), lo immergiamo nella salsa di soia e… mmmm… che buonooo! Il cuoco sorride compiaciuto. Ma noi di più!

Arrivati a Tokyo ci sistemiamo nel nostro squallido hotel in zona Ueno. Il quartiere di giorno è piuttosto vivace ma la sera si spegne rapidamente. Abbiamo scelto questa zona in quanto comoda per spostarci domattina verso l’aeroporto.

Per l’ultima serata, prendiamo la linea JR Yamanote e raggiungiamo nuovamente il caotico quartiere di Shibuya. Un pieno di “giapponesità” è quello che ci vuole prima di ritornare alla normalità della nostra cara vecchia Italia.

DODICESIMO GIORNO

E’ tempo di raccogliere le proprie cose e, dopo una colazione da Starbucks (quella tradizionale è improponibile per noi italiani), di dirigerci verso l’aeroporto di Narita tramite la Keisei Railway. Il volo decolla verso le 13 e arriveremo in Italia alle 18.30. Sembrano poche ore ma bisogna mettere in conto il fuso orario!

Cosa mi è piaciuto di più di questo viaggio? Come ho già detto, la cultura giapponese e il suo popolo. Per noi occidentali possono sembrare molto “strani” ma è davvero interessante conoscerli di persona.

Per il resto, mi sono innamorato di Kyoto. I suoi templi pacifici e le sue antiche stradine in cui passeggiano ragazze in kimono sono l’immagine più bella che mi sono portato in valigia.

E’ un viaggio che merita di esser fatto? Direi di si. Ci sono sicuramente luoghi più belli da vedere ma un viaggio in Giappone è qualcosa di unico e indescrivibile. Qualcosa di figo, ecco.

 

www.tusoperator.it

Per maggiori informazioni e per vedere il diario con le mie fotografie di viaggio, visita il mio blog!

 


Sorprendente Thailandia

La Thailandia è un favoloso calderone di cultura, storia, umanità, divertimento, natura.

Quello che mi ha sbalordito di questa terra è il paradosso. Un momento ti senti perso su Marte, il momento dopo un thailandese ti ha portato dove volevi andare, senza parlare una parola di inglese e senza conoscere le vie della città dove vive. Il tutto per 50BHT (poco più di un euro).

E’ il posto più diverso da casa tua che potresti mai immaginare, eppure dopo un giorno ti senti a casa.

GIORNO1: Chiang Mai. Fin dal nostro viaggio in taxi verso l’hotel, ho avuto quella famigliare ma rara sensazione di colpo di fulmine verso un posto. Questa cittadona a misura d’uomo ma vibrante di city vibe ti riempie il cuore e l’anima. Il Thailandese medio né capisce bene né parla bene l’inglese. L’amara scoperta l’abbiamo fatta il primo giorno, quando ho deciso di uscire di casa per cercare un taxi. Se sei fuori dal centro turistico, non aspettarti che una ragazza al baracchino dello street food capisca la parola “taxi”. Glielo dovrai mimare ;)

Alcuni posti a Chiang Mai vanno visitati per primi, per essere sicuri di non farveli sfuggire.

-Wat Chedi Luang: questo tempio va visto per almeno tre motivi: una delle parti di cui è composto è antichissima, e quindi molto diversa da ciò che vedrete nel resto dei luoghi di culto più famosi; l’interno del tempio è meravigliosamente decorato; nel cortile esterno, sotto a un albero, troverete un gruppetto di giovani monaci disponibili a chiacchierare con voi.

-Wat Srisuphan e saturday market: nella vivace cornice del mercato del sabato, potrete vedere un tempio d’argento piccolo quanto incredibile, soprattutto se riuscite a vederlo con le luci del tramonto. Il mercato del sabato è uno dei mercati più belli che ho visto, vi troverete dal cibo ai souvenirs, dall’arte all’argento, che chiaramente (contrattando) potrete portarvi a casa praticamente alla metà del nostro prezzo di mercato.

-Talat Ton Lam Yay: il fantastico mercato dei fiori (e foglie!), cui i locals si recano principalmente per comprare quelle che saranno le offerte al Buddah nei templi. Voi passerete fotografando tutto come ebeti e osserverete gli sguardi perplessi (ma pur sempre sorridenti) dei venditori.

GIORNO2:Dedicato ad una delle due escursioni che ci hanno portato più l”ontano”: il parco nazionale del Dei Southep. Qui si trova uno dei templi più famosi, immerso tra la nebbia di una montagna, cosa che gli conferisce un’atmosfera sospesa interessante, peccato solo per le orde di turisti. Abbiamo raggiunto il Doi Suthep con un taxi rosso a forfait, facendoci poi anche portare alle cascate. Quali cascate? Boh! Ho indicato al tassista alcune Waterfalls indicate sulla Lonely Planet e lui, dopo aver annuito e ripetuto “aah yes yes!” un paio di volte, ho come l’impressione che mi abbia portato nelle prime waterfalls che gli sono venute in mente. Ad ogni modo, è stata una bella escursione, il posto è poco inflazionato dai turisti e si ha la possibilità di fare una passeggiata nella foresta e farsi sorprendere dai ragni più grossi che abbia mai visto.

GIORNO3: dedicato in parte a una delle esperienze più belle dell’intera vacanza: l’escursione con gli elefanti. Vi vieto di aver lasciato la Thailandia senza esservi fatte abbracciare dalla ruvida proboscide di un elefantone salvato da qualche campo. Uno dei centri trovati sulla Lonely, il Retirement park, era perfetto per noi e abbiamo scelto quello. Ma ultimamente ce ne sono una marea, grazie al turismo sempre più consapevole che rifiuta le escursioni a dorso di elefante e qualsiasi pratica che preveda forzature e cattività. Al Retirement park potrete invece farvi rubare le banane da elefantini di un anno e farvi un bel bagno di fango insieme a un pachiderma. Tutto molto dolce e divertente!

Il resto della giornata è stato dedicato ad un massaggio al Thai massage conservation club: in questo centro massaggi dove i massaggiatori sono esclusivamente ciechi, ho iniziato la mia esperienza di massaggi in thailandia. Chiedete belli decisi un massaggio tradizionale thai pensando di farvi un’ora di relax, per poi ritrovarvi a sopportare una specie di tortura lunga 60minuti (ma, come dicono loro, “It’s a good pain!”)

GIORNO4: giornata dedicata al lungo viaggio verso Ko Phangan. Sveglia presto, volo Chiang Mai-Bangkok, altro volo Bangkok-Surat Thani, autobus fino al Dongsai Pier e, infine, circa tre ore di traghetto veloce (…) per finalmente giungere all’isola. Dopo varie peripezie per trovare il nostro host di Airbnb, abbiamo raggiunto la villetta che avevamo prenotato e abbiamo scelto un posto tanto al mucchio per consumare una (pessima) cena a Thong Sala.

GIORNO5: il primo giorno sull’isola lo abbiamo dedicato alla scoperta di una delle spiagge più scomode da raggiungere ma che si è rivelata anche la più bella in assoluto. Hat Yuan, spiaggia sulla costa est, come le altre di questa parte di isola (la più bella) si raggiunge solo con le long tail boat. Al suo fianco, Hat Thian, nella quale potete arrivare anche facendo dieci minuti di corroborante passeggiatina nella foresta partendo da Hat Yuan. Più piccola di Hat Yuan, potenzialmente paradisiaca, ma purtroppo più sporca, ospita una sola struttura, che vi farà mangiare solo healthy food. Se sarete così puntuali da arrivare entro le 14. Altrimenti poi chiude. Verso le cinque siamo tornati nella civiltà e da lì a casa, per farci un bagnato in piscina, prepararci e uscire a cena. Avendo affittato una macchina e comprato una sim thai, spostarsi è stato da subito abbastanza semplice (guida a destra esclusa! Ma anche a quella ci si abitua).

GIORNO6: giornata dedicata a Koh Ma: nella parte nord-ovest, questa spiaggia va raggiunta sia perché una lingua di sabbia la collega a un’isolotto deserto, sia perché c’è una piccola barriera dove potrete fare un po’ di snorkeling e vedere qualche pesciolino colorato. Questo se, come me, siete troppo poveri per il PADI. In caso invece siate ricchi e appassionati, andate a farvi un’immersione partendo da Chaloklum. Dicono (e ho le prove!) che si vedano un sacco di fantastici squali-balena. Un’oretta l’abbiamo dedicata ad un bel massaggio con olio di cocco vista mare. A fine giornata siamo andati a Hao Mae hat  per vedere il tramonto. Si tratta di una spiaggia dove guardare il sole che scompare nel mare sorseggiando una Chiang e facendo foto ai bagnanti. Serata spesa in un ristorante franco-thailandese raggiunto godendosi i sali-scendi dell’entroterra di Phangan.

GIORNO7: siamo ritornati ad Hat Yuan in vista di passare la notte in un bungalow tra mare e foresta, prenotato due giorni prima telefonicamente chiamando direttamente il Barcelona bungalows (uno dei due resort presenti sulla spiaggia). In giornata siamo tornati per qualche ora ad Hat Thian per farci una nuotata fino alla sua bella piattaforma con amaca e una “passeggiata” sugli scogli ustionanti in cerca di un posto da cui tuffarci. Verso le 19,30 siamo andati ai bungalow per prepararci, abbiamo cenato al ristorante abbarbicato sugli scogli, una meravigliosa struttura interamente in bambù, dove però abbiamo mangiato abbastanza male vista la zuppa esageratamente piccante, che ci è stata riproposta ben due volte. Da qui, abbiamo attraversato la foresta per raggiungere il Guys Bar ad Hat Thian, dove il venerdì si fa festa. Colti dalla solita pioggiona tropicale, sul presto siamo scappati verso i nostri lidi e abbiamo finito la nottata facendoci un bagno nella tiepida acqua di Hat Yuan.

GIORNO8: giornata vissuta in pieno relax, nella iniziale intenzione di tornare alla civiltà, scelta che è poi stata aggirata bellamente per via della tropicalizzazione che ci ha colto. Sia siamo spostati da Hat Yuan solo nel pomeriggio, abbiamo noleggiato un aqua scooter con il quale abbiamo sfrecciato liberamente per mezz’ora lungo le coste est dell’isola, per poi spostarci e passare l’orario del tramonto al singolare Amsterdam Bar, dove la vista è stupefacente. E non solo la vista.

GIORNO9: giornata passata nella famosa Bottle Beach, sulla costa nord-est, raggiunta da Chaloklum tramite una long tail boat. Meno apprezzata di Hat Yuan ma comunque molto carina e ricca di servizi. Nel ristorante della spiaggia ho mangiato un’insalata di gamberi molto buona e altrettanto piccante. Tra amache e cocchi, la giornata è volata.

GIORNO10: il secondo giorno dedicato al viaggio, questa volta di ritorno verso Bangkok, senza dubbio la meta più paradossale di questa avventura. Ti invito a leggere la nostra esperienza nella stupefacente Bangkok sul mio blog www.ariannapernorio.com , dove potrai trovare mini-guide di viaggio, cosigli, curiosità e tanta sana ironia.

Attraverso il vecchio continente: Republica Ceca, Paesi Bassi e Belgio

Diario di viaggio Praga – Amsterdam-Anversa

A questo giro …scriverò di Praga, Amsterdam e Anversa.

Non appena sono state emesse da Ryanair le tariffe per i viaggi estivi, quindi nel mese di novembre 2016, ho cercato la combinazione di voli che facesse al caso mio, cioè come partire da Palermo o Trapani e vedere Praga e Amsterdam. Dopo aver iniziato le consultazioni ho trovato la combinazione che ho ritenuto più fattibile: partenza da trapani per Praga, sosta di 3 gg a Praga e da lì partenza per Bruxelles Charleroi, da dove con un auto a noleggio avrei raggiunto Amsterdam a circa 270 km di distanza. Costo totale del voli per 3 A/R 500€.

Fatto

In virtù dell’orario dell’aereo di ritorno e della distanza sopra citata, ho voluto aggiungere una tappa intermedia che fosse più vicino all’aeroporto, cosicché da non fare una levataccia… scelta definitiva per la notte precedente al viaggio di ritorno: Anversa.

Dopo qualche giorno inizio con gli hotel. A Praga non è stato complicato, ma ad Amsterdam ho dovuto fare i conti con i costi elevati delle strutture ricettive di qualsiasi livello!

Per cui, ho trovato l’hotel “u krize” a Praga nel quartiere Mala Strana, sotto la collina di Petrin e a 10 minuti a piedi dal ponte Carlo. Costo, colazione compresa, per 3 notti: 330€ tasse di soggiorno incluse.

Ad Amsterdam ho trovato il Meininger hotel  che per il fatto che fosse non molto vicino al centro (5 km, ma attaccato alla stazione di sloterdijk da dove partono tutti i tipi di mezzi pubblici) aveva un prezzo più “abbordabile”: 474€ per 4 notti colazione e tassa di soggiorno escluse.

Ad Anversa l’Holiday Inn Express Anversa City north. A 2 km dal centro, vicino all’autostrada, prezzo per 3 colazione compresa 102€, perfetto.

Durante le prenotazioni suddette, booking.com mi ha proposto un servizio di trasporto per Praga da e per l’aeroporto con auto, conducente con tanto di cartello con su scritto il mio cognome al costo di 32€ totali! ma si, dai…il cartello mi piace!! Potrete all’occorrenza trovarli al seguente indirizzo:  https://www.mozio.com/it-it/

Più avanti nel tempo, all’inizio di giugno, mi sono occupato del noleggio dell’auto, che nello specifico, stavolta ho voluto provare a noleggiarla con Ryan Air, non fosse altro perché, come dice la loro pubblicità, hanno davvero prezzi o condizioni davvero vantaggiose. Quindi per una auto tipo Opel Astra o similare per 5 gg ho pagato, compresa una loro assicurazione casco in collaborazione con AXA, 175€. Per inciso erano gli unici ad offrire l’auto a questi prezzi con chilometraggio illimitato.

Il più è fatto…

Così arriviamo al 12 agosto 2017, il nostro volo partirà  da Trapani per Praga alle 19.05 e arriverà  alle 21.30 circa.

Arriviamo a Praga puntuali, e appena usciamo troviamo un tipo grosso quanto un armadio che teneva in mano un cartello con il mio cognome. Subito ci “tira” via dalle mani i nostri trolley e parlando un po’ di italiano ci accompagna in macchina. In poco meno di 20 minuti siamo davanti l’hotel. Nonostante nella prenotazione fosse indicato che le mance erano comprese, ho ritenuto di dare al mio grosso amico 10€ di mancia… credo di sapere a cosa gli serviranno, a giudicare dall’odore di birra che ho sentito già appena l’ho avvicinato!

L’hotel è una struttura non modernissima, situata tra un pub e un ristorante, la reception è piccolina, ma l’accoglienza, a dispetto di quanto avevo letto circa la freddezza dei praghesi, è stata molto calda: ci hanno subito chiesto cosa potessero offrirci e sorriso a tutti denti! La camera per noi si trova al primo piano, è disposta su 2 livelli, dotata di mini frigo, aria condizionata, armadio… non male, solo un po’ datata, ma può andare.

Adesso sistemiamo un po’ le cose e ci mettiamo a dormire.

Domenica 13 Agosto 2017

Alle 8.00 scendiamo per la colazione, che servono in un locale piccolino, ma ci stiamo tutti comodamente. La colazione è abbondante nelle quantità, ma non ricchissima e variegata. Per quanto riguarda le nostre abitudini, era più che sufficiente. Vicino l’hotel faccio un prelievo al bancomat di 2000 corone (circa 85€) che serviranno per pagare le piccole cose che non sia il caso di pagare con carta di credito. A seguire ci rechiamo subito verso il centro: alle 10.00 ho prenotato un tour gratuito e alle 14.30 uno a pagamento -10 € gli adulti, gratis gli under 16 – con i ragazzi di “white umbrella tours Praga”. Allora… questi ragazzi offrono di farvi da guida accompagnandovi in diversi tour possibili, uno di questi è gratuito: quello della città vecchia e del ghetto ebraico e dura 3 ore abbondanti. Li potete prenotare direttamente dalla loro pagina Facebook, loro vi manderanno – via mail- biglietti, ricevute e il giorno prima il promemoria perché non vi dimentichiate! L’appuntamento è sempre presso un angolo della piazza della città vecchia, proprio davanti il negozio Cartier. Quindi…nel nostro caso, ci ha accompagnato Daniele Caravaggio, un ragazzo abruzzese laureato in storia e davvero preparato che se non lo vedete non ci potete credere…un pozzo di cultura!! Oltre che molto simpatico…

Il tour è stato più che interessante e appena concluso tutti abbiamo più che volentieri offerto dei soldi a Daniele: meritatissimi!!

Per arrivare in centro, dal nostro hotel, si passa per il magnifico e superaffollatissimo Ponte Carlo… Meraviglia! Con tutte le sue 30 statue e le relative credenze/leggende, il grande fiume Moldava che lo attraversa nei suoi passaggi…rimarrete stupiti ogni volta che lo attraverserete, perché sono sicuro che lo farete più volte. Dopo aver superato il ponte, dopo un dedalo di viuzze e 5 minuti circa, si arriva alla piazza dell’orologio o piazza della città vecchia…e qui, ci sarebbe da parecchio da scrivere: Amici, mettetevi comodi…ma tranquilli, proverò a sintetizzare!

Iniziamo dal Municipio della città vecchia e la sua torre dell’orologio: peccato che lo abbiamo trovato impacchettato e in fase di restaurazione!! Ma la parte relativa agli orologi era perfettamente visibile… fu costruito all’inizio del XV secolo da un maestro orologiaio e un professore di matematica e astronomia e da subito non funzionò benissimo… il risultato che possiamo apprezzare adesso circa il perfetto funzionamento è abbastanza recente: fu riparato e completato in alcune parto dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Non riesco a spiegarne il complesso funzionamento qui…ma fidatevi, è davvero un opera di grande ingegneria, non perdetevelo!

Dall’altra parte della piazza, possiamo apprezzare la bellissima Chiesa in stile Gotico di Santa Maria di Tyn, edificata nel XIV secolo ed ancora oggi, dopo che nel XVII secolo subì un incendio che vide il suo interno restaurato in stile barocco, piuttosto che il gotico originario, è in eccellente stato. Purtroppo, essendo posizionata dietro altre costruzioni, dalla piazza,  se ne può apprezzare solo la parte alta…peccato.

Al centro della piazza campeggia la statua di Jan Hus – Boemo -, che visse tra il XIV e il XV secolo, fu prima sacerdote-professore e poi  rettore della prestigiosa università di Praga, condannò la chiesa accusandola pubblicamente di essere corrotta, fu di fatto una sorta di antesignano di Martin Lutero…infine fu accusato di essere eretico e arso sul rogo. Ne sopravvisse  il movimento dei cristiani Hussiti. Merita una visita veloce anche la chiesa di San Nicola…ma vedrete che la girerete talmente tante volte che di questa piazza non vi sfuggirà nulla!

Inizio del tour alle ore 10.00 tutto di un fiato fino alle 13 passate. Per dare alcuni cenni: Kafka, Quartiere Ebraico e relativi cimitero e sinagoghe, piazza San Venceslao, teatro degli stati con cenni storici su Mozart…insomma un bel contenitore turistico – culturale!

Quindi pausa pranzo, che noi, su consiglio della nostra guida, abbiamo consumato presso il ristorante “u Parlamentu” in valentinska 52/8 , a pochi metri dalla piazza della città vecchia. Offrono il menu con una sezione tutta italiana ed il personale capisce bene la nostra lingua, e già questo è degno di apprezzamento, poi degli ottimi piatti, più che altro a base di carne o zuppe. Ottime le salsicce. Per 2 portate ciascuno, bibite e contorno abbiamo pagato 48 € più (ricordatevelo sempre!) il 10 % di mancia.

Finito appena in tempo il pranzo, corriamo all’appuntamento delle 14.30, sempre con Daniele (!!) per il secondo tour guidato”Castello di Praga e mala strana” …non voglio dilungarmi, ma il castello e la cattedrale Di San Vito…li ho aggiunti alla lista dei posti top che ho fin qui visitato…e vi assicuro che qualcosa ho visto! Da non perdere il muro di John Lennon. Finirà oltre le 18.00, quindi torniamo in hotel, ci rilassiamo qualche minuto e poi proseguiamo la serata.

Poiché il pranzo è stato – per così dire – abbondante, ci limitiamo a soddisfare un’altra delle nostre curiosità gastronomiche che avevamo di Praga, e in uno dei tanti locali ad hoc che precedono il ponte Carlo, compriamo il famoso ” Trdlo”: un sorta di cannolo di pasta sfoglia che potrete farcire con ciò che desiderate: creme varie, frutta, panna, gelato…o tutte queste cose messe insieme, che in media costa tra 150-200 corone (6/8€) ma vi basterà per la cena.

Intanto ci godiamo ancora le bellezze della città vecchia, come se non bastasse mai…

La sera è ancora di più un pullulare di turisti…forse troppi! Ma considerato il periodo, credo sia prevedibile.

Rientriamo per la nanna.

Lunedì 14 Agosto 2017

Dopo la colazione, attraversiamo la strada davanti l’hotel e ci arrampichiamo -letteralmente- piuttosto che usare la funicolare, su per la collina di Petrin : una bella scarpinata! Arrivati in cima, visitiamo il bellissimo roseto, quindi arriviamo alla torre, dove per salire in cima si pagano 6€. Io ho scelto di salire a piedi, non ho usato l’ascensore, ed è stato faticoso quanto suggestivo. Ma arrivati su…avrete tutta Praga davanti i vostri occhi: Meraviglia!! Per riuscire a fare un po’ di foto, certo è una battaglia, perché lo spazio è ridotto e chiuso da vetrate e la gente tanta, ma vi sono 3-4 finestrelle aperte da dove potrete fare delle belle foto. Quindi riscendiamo e torniamo verso la città dove andremo a vedere la famosa casa danzante, opera moderna di recentissima realizzazione, ideata da un architetto croato Vlado Milunić a metà degli anni 90 laddove prima esistevano le rovine di un edificio bombardato durante la seconda guerra mondiale. La struttura stona un po’ con l’ambiente circostante, ma magari è cosi che hanno pensato che dovesse essere… Per visitarla si accede dal piano terra e tramite ascensore si arriva al settimo piano, non è previsto biglietto, ma una volta usciti dall’ascensore, capirete che c’è comunque il “trucco”: per arrivare alla terrazza devi attraversare obbligatoriamente un bar, ma se non consumi non puoi uscire fuori a fare le foto…uhm…queste cose mi fanno un po’ irritare: potrebbero anche mettere una vademecum a piano terra, piuttosto che fartelo scoprire cosi! Vabbè …

Ci incamminiamo verso il centro, ma per arrivarci da qui devi attraversare una buona parte della città nuova, e qui ti rendi conto di dove sono i praghesi, di come è la città lontano dal centro storico, del suo essere viva al di là del turismo. Proprio li troviamo la piazza antistante il centro commerciale “Quadrio”, dove si trova la testa rotante di Kafka, un opera realizzata nel 2014, alta poco più di una decina di metri e composta da 42 anelli rotanti in acciaio del peso di circa una tonnellata ciascuno che nelle intenzioni dell’autore- David Cerny- vuole rappresentare la personalità multiforme di Kafka, appunto. Da vedere.

Proseguiamo perché vogliamo approfondire la breve visita  di Piazza S. Venceslao accennata il giorno prima durante il tour guidato. Iniziamo dalla parte alta, quindi dal Museo nazionale (anche questo chiuso per lavori di restauro) e dalla emozionante lapide dedicata all’Eroe della Primavera di Praga, Ian Palach, il giovane  datosi alle fiamme per protestare contro il regime comunista sovietico e la invasione dei carri armati nel gennaio 1969.

Poco più in basso si erge la statua equestre di San Venceslao, appunto, sorretta da 4 santi e dominante tutta l’area sottostante.  La piazza ha più la forma di un viale, tant’è che in molti la paragonano agli Champs Elysees, è piena di locali per lo shopping e la ristorazione e vale davvero la pena farci un bel giro.

Scendendo si torna verso il centro, e noi siamo diretti al ristorante Pivnice Stupartska, in via stupartska 745, consigliatoci da amici e ben recensito, devo dire che ci ha davvero soddisfatto. Pulito, ottima cucina e prezzi sempre in linea con altri già visitati: circa 15/20 € per un pranzo di 2 portate più contorno. Finito il pranzo, ci troviamo nella vicinissima piazza della città vecchia, sempre piena di gente e di artisti più o meno talentuosi, indugiamo un po’ nei paraggi…e dopo andremo ad effettuare un “pit stop” in hotel.

Torniamo ancora nella città vecchia, con l’ovvia atmosfera di chi tra poco deve lasciare un posto incantevole come Praga, ma con il tarlino nel cervello che ti dice “tranquillo, prima o dopo ci torni”! Rigustiamo ogni angolo, ogni prospettiva che vogliamo tenere nel nostri ricordi più preziosi, così come se volessimo rafforzarli.

Per la cena ho voluto assaggiare il famoso prosciutto di Praga, che proprio nella piazza alcuni commercianti lo preparano alla brace e tu lo compri e lo consumi nei tavolini che mettono a disposizione. Però dovete sapere che quando andrete a comprarlo, loro non ve ne daranno mai meno di mezzo chilo! Si, espongono i cartelli in cui il prezzo è indicato in 89 corone (poco meno di 3€) l’etto, ma hanno i pezzi già tagliati e non ve ne daranno meno. Per cui io per un piatto di ottimo prosciutto, che abbonda per 2 persone, anche 3 volendo, pane compreso e una coca ho pagato 18 €.

Ultimo giretto, qualche souvenir tipo la immancabile tazza di Starbucks che si trova proprio di fronte l’orologio astronomico, oppure la maglietta all’Hard Rock Cafe, poco distante, nella adiacente Male Nemesti…altre piccole cose…e rientriamo: ci aspetta una levataccia.

Martedì 15 Agosto 2017

Quando acquistai questi biglietti -Praga /Charleroi, il volo era alle 8.30, ma qualche tempo prima della data Ryanair mi mando una mail di notifica per dirmi che è stato anticipato alle 6.15 (!!!) ma che adorabili …(?)

Per cui …sveglia alle 3.30 e alle 4.00, in anticipo di 15 minuti sull’orario convenuto, ci viene a prendere un altro “smilzo” con una monovolume per accompagnarci all’aeroporto che raggiungiamo in 15 minuti. Non è ancora indicato il gate, i negozi sono quasi tutti chiusi, tranne il bar. Una volta indicato il gate ci mettiamo in fila e subito una poco simpatica ragazza inizia a misurare i trolley! Ora…ok le dimensioni, ma molti di noi, specie al ritorno abbiamo qualcosa in più e nella parte anteriore di ogni trolley qualche millimetro lievita… ma tu pensi che ciò che più importa è comunque il peso, perché quello può influire sull’assetto del volo, non 2 millimetri di profondità in più, laddove nella cappelliere questo non potrà mai inficiare l’alloggiamento della valigia!? Risultato: 90% di trolley stivati! Mai vista tanta inutile precisione…

Arriviamo a Charleroi in anticipo, tant’è che aspettiamo che l’ufficio hertz, dove abbiamo prenotato l’auto, apra, poiché è chiuso e non sono neanche le 8. Puntuale apre una ragazza cordialissima che parla un ottimo italiano ci da subito una bella Auto e qualche prezioso consiglio. Subito ci avviamo in direzione Amsterdam.

Purtroppo il tempo è pessimo, e per tutti i quasi 300 km che dovrò percorrere pioverà sempre! Il tutto reso molto più complicato dalle migliaia di tir che riempiono la strada per tutto il tragitto! Comunque, verso le 12.30 arriviamo a destinazione, dietro l’hotel troviamo un parcheggio che, non ci crederete , sembra essere gratuito, possibile ???

Lasciamo lì l’auto con tutti i bagagli e andiamo a mangiare qualcosa per pranzo, data l’ora e il check in previsto dalle 14. Piove ancora e a piedi raggiungiamo un vicino – nemmeno tanto- burger king, una cosa veloce…e quindi torniamo a prendere i bagagli e fare il check in in hotel.

L’hotel…

un palazzo enorme con centinaia di stanze, alla reception un nutrito gruppo di ragazzi molto giovani, stile molto moderno. Chiedo di aggiungere la colazione per noi tutti per tutti e 4 i giorni, che costa 7,90€ a persona al giorno, ci danno la camera, ma ci chiedono di attendere una decina di minuti perché la stavano finendo di sistemare. La camera è piccolissima, con 3 letti singoli (eppure tramite booking avevo fatto espressamente richiesta di avere un letto matrimoniale!), senza armadio, la finestra non si poteva aprire. In 4 giorni non hanno mai pulito per terra ne cambiato lenzuola o federe ne rifatto i letti, tranne ripiegare il piumino e metterlo sopra il letto. Rifare la stanza consisteva solo nel cambiare i teli del bagno. Cosa che l’ultima sera non avevano nemmeno fatto! Cosi sono sceso alla reception dove per l’ennesima volta ho chiesto se ci fosse qualcuno che parlasse italiano, per potergli esporre questo problema, stavolta ancora più intollerabile degli altri giorni, ma niente. Con l’aiuto del traduttore espongo il problema e ad un ragazzo della reception, questo sbarra gli occhi e chiama una sua collega che, miracolosamente , capiva un po’ di italiano. Letto quanto da me lamentato e viste tutte le foto che avevo ogni giorno fatto per documentare lo stato della camera, questa ci ha chiesto scusa, pregandoci di attendere al bar, dove avremmo potuto consumare qualcosa offerto da loro come segno della loro mortificazione, ed essa stessa è salita a portare i teli del bagno e passare l’aspirapolvere.

La colazione era abbondante, ma povera di assortimento, nulla di dolce, e una volta finito devi sparecchiare il tavolo, buttare gli avanzi e portare il tutto alla lavastoviglie…

Un punto di forza, invece, è la presenza, proprio accanto l’hotel della stazione metro/bus/tra,/treni Sloterdijk …cosa molto apprezzata.

Per quanto riguarda il muoversi con i mezzi -metro , tram e bus- abbiamo optato per un abbonamento valido 96 ore (4gg) dal momento del primo check in, che è costato 22€. Mentre  per mia figlia ne abbiamo preso 4 giornalieri da 2.50€ l’uno validi anche questi 24 ore dal primo check-in. Abbiamo potuto usare metro e tram con estrema disinvoltura…una benedizione! Per districarmi facilmente tra scambi, direzioni e fermate varie, ho installato una app – Amsterdam rail Map lite che mi ha reso tutto più semplice poiché è estremamente intuitiva e ben fatta. Puoi seguire il tuo percorso in tempo reale e capire quando cambiare o scendere…la consiglio vivamente .

Posate le borse, non vedevamo l’ora di scappare da quella stanza e vedere la città, nell’ordine preciso in cui l’ho scritto…

In una trentina di minuti, cambiando una volta la linea metro, arriviamo alla stazione centrale di Amsterdam, che come in molti sanno, oltre ad essere una bellissima opera, è anche il punto dal quale si espande la città dal mare verso l’interno in un alternarsi concentrico di canali e strade…

Usciti dalla stazione, ci troviamo subito nella bellissima Damrak, una via piena di negozi, ma un tempo era il letto di un fiume. Subito impattiamo in una enorme costruzione in mattoni rossi: il famoso, e un tempo floridissimo, palazzo della borsa di Amsterdam costruito agli inizi del 900.

Proseguendo oltre si arriva alla famosissima piazza Dam, un tempo sede di un grande e ricco mercato, ora punto di ritrovo per tutti, turisti ed indigeni! Qui campeggia il Bello, ma sobrio, palazzo Reale, La chiesa Nuova, un obelisco dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale e il museo delle cere di Madame Tussauds. Sul lato sinistro, a continuare il Damrak, inizia il Rokin, bellissima via commerciale, mentre sul lato destro si dirama la Raadhuisstraat, che noi percorriamo per circa un km fino ad arrivare alla casa di Anna Frank. Giunti a destinazione, ci facciamo subito una idea reale di ciò che temevamo: la fila per entrare è lunghissima!!

Purtroppo ho sottovalutato la cosa, e quando “solo” 3 mesi prima provai ad acquistare online i biglietti per evitare appunto queste interminabili file, erano già esauriti da tempo!

Vi consiglio di consultare in tempo utile il sito ufficiale – http://www.annefrank.org/it/Museo/Informazioni-pratiche/Domande-e-risposte/FAQ-Vendita-on-line-dei-biglietti/- ed evitarvi cosi tempo e fatica, se volete visitare questo emozionantissimo sito.

Da li abbiamo fatto un bel giro al Jordaan district, il pittoresco “quartiere degli artisti”, davvero molto carino…ci si perde!

E’ giunta l’ora di cenare, avevo pensato di andare da “buffet van odette,in Prinsengracht 598, 1017 KS , ma dopo 20 minuti di piacevole camminata lungo il canale di Prinsegracht, arrivati sul posto, scopriamo amaramente che senza reservation non si mangia, panico! Torniamo verso il centro, lungo il canale Singel, ma è tutto pieno e in alcuni casi è già tardi, quindi ci dobbiamo accontentare dello street food…speriamo vada meglio domani.

Sono le 23 passate, si torna alla metro, quindi in hotel, dove arriveremo a mezzanotte circa.

Mercoledì 16 Agosto 2017

Finiamo di consumare la colazione e alle 10.00 circa prendiamo la metro, sempre per la Central Station, da dove dopo una bella passeggiata arriviamo al mercato dei fiori di singel…. me lo aspettavo più grande, ma offre comunque dei bellissimi colori e tanti souvenir a prezzi interessanti.

Dopo ci rechiamo a Vondelpark, dove, seduti sull’erba pranziamo in modalità pic-nic consumando un paio di ottime zuppe olandesi comprate in confezioni take away da En Zo Soup, in kerkstraat 146: per 7/8 € vi danno delle ottime zuppe con carne, pesce o verdure, una bella fetta di pane, il tutto in una graziosa confezione che ne garantisce il contenimento e il mantenersi della temperatura. Ci concediamo anche un po’ di relax finale dopo pranzo..leggasi pennichella veloce! Il parco non è grandissimo, anzi, più piccolo di quanto mi aspettasi, ma è carino, molto pulito e c’è tanta gente. A pochissima distanza c’é la fermata dei battelli della blue boat company, per la quale noi abbiamo acquistato online, in combinazione con i biglietti del museo Van Gogh al prezzo di 27 € gli adulti e 10€ gli under 12,  una crociera nei canali che si può fare in un giorno e in un’ora a nostra scelta. Allora andiamo, facciamo convalidare i biglietti, e dopo più di mezz’ora di attesa partiamo a bordo di questo grosso battello coperto da un tetto a vetri. Ti danno le cuffie e puoi sentire la guida in italiano che ti descrive i vari punti di interesse e relativi eventuali aneddoti. Io dopo poco sono uscito nel ridotto spazio esterno a poppa e cosi ho potuto fare un po’ di belle foto. Bellissime le centinaia di case galleggianti!!

Finito il giro nei canali, attraversiamo la strada, proprio di fronte l’Hard Rock Cafè proseguiamo sotto il Rijksmuseum ed arriviamo in Museumplein, dove campeggia la “I Amsterdam Sign”, ovvero quella enorme scritta biancorossa dove migliaia di persone tentano di farsi fotografare, in molti casi rischiando l’osso del collo per salire in cima alle lettere, senza grande successo!! Ma va fatto…e in qualche modo anche noi scattiamo un paio di foto…

Si sta facendo sera, torniamo indietro e, giunti nel Damrak ci concediamo un po’ di shopping economico da Primark e nei tantissimi negozi li vicino per qualche grazioso souvenir. Proprio lì a pochi passi notiamo la fila di gente che vuole comprare le famose patatine fritte da Mannekenpis…tanto annoverate da tantissimi amici che ne hanno scritto abbondantemente. Ebbene, dopo 10 minuti di fila, perché  sono davvero veloci, prendiamo 2 coni di patate fritte con le loro buonissime salse e devo dire che sono davvero speciali. Abbiamo preso la size small, ma per finirle abbiamo faticato. 2  coni medi con salsa e 2 coca per 15€. A pochi metri c’è la metro Central Station, si torna a fare la  nanna.

Mercoledì 17 Agosto 2017

Colazione veloce e subito alla fermata del tram per arrivare al Museo Van Gogh, dove per le 10.00 abbiamo l’ingresso prenotato. Scesi dal tram inizia subito a piovere, ma sono un centinaio di metri e arriviamo subito. Già c’è una lunga fila, ma per nostra fortuna, chi è in possesso di prenotazione online, accede direttamente. Ottimo, siamo pure in anticipo!!

Il museo è luminosissimo e modernissimo, molte sono le vetrate che lasciano entrare la luce e vedere all’esterno. Si scende con delle scale mobili e si arriva all”ingresso dove si devono lasciare gli zaini, prendere l’audioguida che costa 5€ ed è gratis per i minori. Però non vi registrano, quindi se il minore ne prende prima 1 e poi un’altra, magari in 2 file diverse… ehm, ok…

Al piano superiore, da dove inizia la visita vera e propria delle opere, c’è un pannello che, se vi fa piacere, vi ritrae davanti una gigantografia del  famoso autoritratto dell’artista per farvi i selfie e inviarli in tempo reale alla vostra casella e-mail.

Per oltre 3 ore ci siamo persi tra le magie di questo strano, ma dotatissimo artista. L’audio guida è stata una benedizione, molti punti di vista e molti dettagli sicuramente non li avremmo potuti apprezzare allo stesso modo. Prima di andare via, facciamo una obbligatoria tappa in uno dei corner shop presenti dentro il museo, devo dire che, diversamente da tanti altri musei visitati, qui i prezzi sono decisamente più interessanti, per cui, qualche bel ricordino ce lo portiamo con noi.

Soddisfatti di quanto visto e vissuto, usciamo, ma scopriamo che piove ancora! Li vicino ci sono dei bar, ci accomodiamo in uno di questi cosi mentre ci ripariamo un po’ prendiamo una crepe e un paio di panini.

Il tempo non migliora, e realizzo che questo potrebbe tornare a nostro vantaggio…corriamo a prendere il tram e scendiamo vicino la casa di Anna Frank: Ho pensato che la pioggia facesse desistere i visitatori della casa, ovvero quelli senza prenotazione che, in fila, devono aspettare le 15.30 per acquistare i biglietti.

In qualche modo ci ho visto bene, la fila era meno della metà di quella vista 2 sere prima! Ci mettiamo in fila consci che ci sarà molto da aspettare, ma il tempo di attesa non sappiamo quantificarlo, quindi penso: vediamo come va, se appena aprono si va troppo lenti, ahimè, devo rinunciare. Intanto continua a piovere, e questo fa scappare via qualcuno che, diversamente da noi e da molti altri,  non era ben attrezzato per la pioggia, non male…

Appena pochi minuti dopo, dietro di noi, udiamo qualcuno parlare la nostra lingua, istintivamente ci voltiamo e accenniamo un sorriso di intesa… di intesa, si… perché per tutto il tempo abbiamo piacevolmente chiacchierato con questa coppia di Bergamo, Daniela e Gianfranco, come se ci conoscessimo da una vita! Il tempo è volato, alle 15.30 aprono e in meno di mezz’ora siamo dentro. I biglietti costano 9€ per gli adulti e 4,50€ per i ragazzi. L’audioguida è gratis (evvai!!)

Sembrerà banale, trito e ritrito, ma per quanto ci si possa sentire pronti e preparati, perché magari abbiamo letto il libro o visto decine di documentari circa questa sfortunata ragazzina, non si può non farsi coinvolgere emotivamente moltissimo! La vocina che narra e spiega i vari passaggi è, opportunamente, quella di una ragazzina, e questo ti tocca ancora di più! Per un paio di ore buone restiamo assorti dalla nostra esperienza, davvero molto toccante. Alla fine del tour ci ritroviamo al bar della biglietteria con i nostri nuovi amici, fuori piove ancora e senza che ci rendiamo conto, stiamo lì altre 2 ore a chiacchierare, ridere e conoscerci meglio…questa rimarrà la parte migliore della nostra vacanza: è sempre bello avere ed apprezzare nuovi amici!!

Ci salutiamo con la promessa di tenerci in contatto, e andiamo via . Noi in direzione della zona del canale spiegel- leidsedwarstraat, dove i locali per la ristorazione si susseguono senza fine. Proviamo a trovare posto da Pantry, molto ben recensito e caldamente consigliato da molti amici viaggiatori, ma non hanno posti liberi, per cui molto influenzati dalla fame, ci accomodiamo al Rancho, dove scopriamo che ci lavoro un simpatico ragazzo italiano che ci suggerisce e spiega i piatti e ci fa anche uno sconto! Il piatto del giorno prevede un antipasto, un piatto di carne e un dolce/gelato, e costa 20€, prendiamo quello e non era male. La serata è abbastanza fresca, troppo… torniamo in hotel.

Venerdì 18 agosto 2017

Dopo la colazione andiamo subito alla vicinissima stazione dei treni e facciamo i biglietti per Zaanse Schans, che costano 5€ ciascuno e i treni sono frequentissimi: ogni 20 minuti circa …

Per avere tutte le informazione che vi occorrono, potete consultare Questo Sito per conoscere l’orario di tutti i treni olandesi :http://reiseauskunft.bahn.de/bin/query.exe/in Preciso dettagliato e completamente in italiano.

In poco più di 15 minuti arriviamo a destinazione, uscendo dalla stazione si va a sinistra per una via dove c’è una fabbrica di cioccolato… immaginate che buon odore! Il ponte che si attraversa per arrivare alla zona dei mulini è mobile, e noi lo troviamo alzato per consentire il passaggio di un veliero con 3 altissimi alberi …

I mulini sono pittoreschi, ti riportano indietro nel tempo! Sono tenuti benissimo, molto colorati. Li vediamo tutti , per 5/6€ alcuni si possono visitare all’interno, ma c’è troppa fila e pioviggina, quindi desisto. Andiamo nella zona dello shopping ed entriamo in un negozio dove delle graziose ragazze in costume tipico, oltre a prestarsi gentilmente a fare qualche foto, vendono mille tipi di formaggi facendolo degustare e addirittura vedere la lavorazione dal vivo! Vendono anche cioccolata, biscotti e molti altri prodotti tipici…noi prendiamo un paio di panini al formaggio e pranziamo nel giardino a fianco. Quindi qualche souvenir nei negozi lì intorno, alcune altre bellissime foto e verso le 15 ritorniamo verso le stazione per rientrare in città.

Facciamo una “sosta tecnica” in hotel e con la metro ritorniamo in centro per fare altri giri e compare qualcosa da portare a casa, oltre il Damrak, per quanto riguarda lo shopping ad Amsterdam, Consiglio i souvenir in via nieuwendijk, prezzi più convenienti e tantissimi negozi, anche marchi prestigiosi, che, se vogliamo, contrastano con i numerosi negozi più turistici che offrono prodotti a base di erbe particolari…

Dopo un oretta di girovagare e fare shopping, purtroppo, ancora una volta inizia a piovere!!

Indossiamo le nostre utilissime mantelline, ma la pioggia è alquanto intensa, per cui ci ripariamo sotto la tenda di un negozio proprio dietro piazza Dam. Già che siamo lì, proprio davanti a noi c’è un Kebbabaro e ci prendiamo dei panini. Accanto c’è una pasticceria, prendiamo una mega-fetta della famosa torta alle mele olandese (9€!) che è buona, si, ma mi aspettavo di più…

Non ha smesso del tutto di piovere, ma ci dirigiamo a Central Station per tornare in hotel con la metro.

Ritengo sia doveroso far sapere che ad Amsterdam, per poter usare i bagni nella quasi totalità dei locali si pagano 0,50€. Anche se state consumando qualcosa, fosse una birra o un pasto !

Per cui, volevo consigliare alcuni posti per andare in bagno gratis: Hard rock nella zona del Rijksmuseum.

Centro commerciale De Bijenkorf, in Danmark angolo piazza Dam: non si paga e nella zona delle toilettes c’è un distributore di acqua fresca e un divanetto …rarità ad Amsterdam!

Sabato 19 agosto 2017

Prepariamo i bagagli e scendiamo a fare colazione.

Assolti gli oneri economici lasciamo (finalmente) questo hotel e andiamo a recuperare la nostra auto al parcheggio… che dovrò ancora avere conferma se effettivamente fosse gratuito: così è, evviva !

In hotel mi avevano chiesto 15 € a notte …piccola consolazione !!

Proprio vicino l’hotel imbocchiamo subito l’autostrada che in poco più di 2 ore ci porterà nella nostra ultima breve destinazione: Anversa.

La città più grande delle Fiandre, oltre a costituire una tappa di avvicinamento all’aeroporto di Charleroi, mi era rimasta in gola quando, a dicembre 2015 visitai Brugge , Gand e Bruxelles, ma non ebbi tempo di vederla.

Arriviamo per le 13.00. L’hotel, l’holiday inn express antwerpen city north, è vicino l’autostrada e a 2 km dal centro, ma non è ben collegato con i mezzi pubblici. È moderno e ha un parcheggio che costa 17€ al giorno. La Camera è molto spaziosa così come il bagno. Una tripla con una ottima e abbondante colazione più parcheggio e tassa soggiorno l’ho pagata 125€. Intanto scopriamo che i nostri carissimi amici Bergamaschi, che da Amsterdam dovranno continuare la loro vacanza a Brugge, si fermeranno anche loro ad Anversa nel nostro stesso hotel e passeremo il pomeriggio e la serata insieme. Ottimo!!!

Noi intanto posiamo le borse e ci dirigiamo verso il centro che raggiungiamo in 20 minuti di piacevole passeggiata. Scoprire il centro di Anversa è una autentifica piacevolissima sorpresa! La piazza, Grote Markt, con le case delle corporazioni, il magnifico palazzo municipale in stile rinascimentale è bellissima. Peccato che ci fosse montato un palco per uno spettacolo musicale che ha visto esibirsi innumerevoli artisti per tutto il tempo che abbiamo trascorso lì, non consentendomi così di fare le bellissime foto che avrei voluto di quella piazza! Subito dietro di staglia l’altissimo campanile – nonché torre civica – della cattedrale di Nostra Signora, ammirevole espressione di stile gotico che, a mio avviso, meriterebbe una piazza più grande…

Poco distante, andiamo a visitare il Castello di Het Steen, che si affaccia sul grande fiume Schelda ed è uno degli edifici più antichi di Anversa. È piccolino, fu eretto nel XII secolo per difendersi dopo le incursioni Vichinghe, ed in seguito, fino al XVIII secolo, utilizzato come prigione. Durante la nostra visita  (gratuita) all’interno era allestita una mostra di disegni di bambini … null’altro. Vale la pena farci un giretto …

Proseguiamo e raggiungiamo la bellissima Groenplaats, dove sono allestiti tanti stand in cui vendono di tutto, e al centro della piazza si tengono lezioni collettive di ballo. Lungo il perimetro tanti bei negozi, tra i quali l’Hard Rock, Starbucks e Mc Donald…

Dalla parte opposta rispetto la Cattedrale, si dirama la via Schoenmarkt, che poi diventa Via Meir, ed è una bellissima passeggiata in area pedonale in questa elegante strada piena di bellissimi e prestigiosi negozi. Qui abbiamo mangiato una buonissima Waffel al cioccolato.

Intanto i nostri amici ci avvisano che sono arrivati in hotel e stanno per raggiungerci … ci diamo appuntamento alla piazza Grote Markt.

Una volta arrivati loro facciamo un giretto ancora per il centro e, vista l’ora, iniziamo a cercare un buon locale dove cenare tutti insieme. Alcuni sono già pieni, altri sostengono di avere già la cucina chiusa (non sono nemmeno le 21,00…!). Al fianco della cattedrale, in Lijnwaadmarkt 2, troviamo “het Vermoeide Model Restaurant”, un grazioso locale in stile pub/steack house che all’interno ha 3 livelli piccolini raggiungibili da una ripida scala dove poter accomodarsi. Mangiamo della ottima carne di diversi tagli, ma accompagnata da ottime salse, tra le quali la rochefort, qualche patatina fritta e del formaggio … tutto molto buono e gradevole l’atmosfera. Prezzo a persona 20/25 euro circa.

La serata è fresca e la compagnia eccellente: Giancarlo e Daniela sono uno spasso, si sta bene e facciamo un bel giro continuando a chiacchierare e ridere fino all’hotel.

Domenica 20 Agosto 2017

Alle 8.30 facciamo colazione tutti insieme, si avvicina il momento di separarsi ed è chiaro che non fa piacere a nessuno. Indugiamo un po’ con i saluti e la promessa che resteremo in contatto, poi noi prendiamo i bagagli e lasciamo l’hotel in direzione di Charleroi da dove alle 14.00, puntuali, partiamo in direzione Trapani.

Spero di potervi essere di aiuto per le vostre vacanze.

Buoni Fantastici Viaggi a tutti!!!

Peppe, Laura e Serena

 

 

Island Hopping alle Sporadi

Non so per quale motivo ma mi è già successo. Preparo un viaggio nei minimi dettagli, controllo i costi dei voli, contatto le strutture, poi mi sveglio un bel mattino e in un secondo cambio meta e prenoto. Così è stato anche per la vacanza estiva di quest’anno. Dopo aver lavorato un bel po all’organizzazione di una vacanza in un’altra zona della Grecia vedo che c’è un volo diretto per Skiathos e in un lampo decido: lo compro e si va alle Sporadi. La vacanza di 15 giorni sarà suddivisa equamente tra Alonissos, Skopelos e Skiathos.

LA TRANQUILLA ALONISSOS

Primo errore: Contare troppo sulla puntualità della compagnia aerea Blu Express. Ho acquistato online i biglietti per l’aliscafo (l’ultimo della giornata) che partiva per Alonissos un’ora e mezza dopo l’atterraggio, peccato che il volo sia decollato con due ore di ritardo. Fortunatamente all’arrivo ci informano che ci sarà un piccolo aliscafo supplementare verso sera, quindi salutiamo i soldi spesi per il primo biglietto e ne acquistiamo un secondo (si tratta di compagnie diverse). Almeno così è scongiurato il pericolo di una notte al porto.

Partiamo con un’ora di ritardo (una costante per tutti i mezzi presi per questa vacanza) ma all’arrivo ci attende una piacevole sorpresa: appartamento con mega terrazza sul mare, luna piena ed eclissi in corso.

Amo la Grecia. Mi sento bene. Mi sento a casa.

Alonissos è un’isola deliziosa, tranquilla anche se siamo in pieno Agosto. Anzi direi un vero e proprio paradiso. Qui a farla da padrona è la natura, visto che è Parco Marino Nazionale, zona protetta e unico centro del Mediterraneo per la cura e la salvaguardia della foca monaca (MOM).

Patititri, il porto e sede del nostro alloggio, offre qualche ristorantino, due o tre bar e alcuni negozietti. Quindi poca, pochissima vita serale. Si trovano comunque forni, negozi di frutta e verdura e minimarket per ogni esigenza.

 

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Un po’ di più lo offre Old Village, antico centro principale dell’isola, distrutto da un terremoto e ricostruito in seguito. Qui c’è una scelta più ampia (ma decisamente più turistica) di locali, negozi ristoranti. Si trova in montagna a soli tre chilometri da Patitiri e vale senz’altro una (o anche più di una) visita.

 

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Spiagge: ad Agosto le principali e facilmente raggiungibili erano organizzate con ombrelloni, lettini taverne ed altro, alcune in modo più soft, lasciando una buona porzione di spiaggia libera, altre completamente stipate. In tutte il costo di ombrellone più due lettini è stato di 6 € al giorno. Se, come noi, si è mattinieri, si può godere un po’ ovunque della massima tranquillità in quanto fino a mezzogiorno non si riempiono. Spesso e volentieri alle 8,30/9 abbiamo “inaugurato” noi la spiaggia. E questo in linea di massima ha funzionato anche per le isole successive, benchè decisamente più frequentate di Alonissos.

Aghios Dimitrios

La nostra preferita, ottimo rapporto comodità/tranquillità e un’acqua…..che aspettava solo di essere imbottigliata.

 

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Milia

Una piccola gemma color smeraldo. Bellissima.

 

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Leftos Gialos

Anche questa molto bella (in realtà tutte le spiagge dell’isola sono fantastiche). Però troppo piena di pouf, divanetti, tende, bar e addirittura una piscina. Abbiamo fatto comunque dei bagni meravigliosi ma quando si è riempita troppo ce ne siamo andati.

 

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Gerakas

All’estremità opposta dell’isola, ma sinceramente l’unica che non ci è tanto piaciuta. Vale la pena andarci comunque per la strada: non si incontra nessuno (se si escludono le caprette) ed è panoramica ed immersa nel verde.

 

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Kokkinokastro e Chrissi Milia

Le più famose, ma troppo stipate di ombrelloni per i nostri gusti, quindi non ci siamo fermati. La prima è decisamente scenografica.

 

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Glyfa, Tzortzi Gialos, Katerina Vala

Spiagge completamente libere, non c’era quasi nessuno. Katerina Vala è praticamente il retro di Kokkinokastro quindi stessa location, massima tranquillità.

 

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Tsoukalia e Mikros Mourtias

Spiaggette tranquille in cui siamo stati per un piacevole bagno al tramonto. Mikros Mourtias si raggiunge tramite uno sterrato con una discreta pendenza che parte di fronte al cimitero dell’Old Village. E’ una spiaggia per nudisti.

 

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E per finire in bellezza: Megali Ammos

Circa quattro km di sterrato decisamente bruttino. Ci siamo chiesti cosa avremmo fatto se avessimo bucato una gomma lì nel bel mezzo del nulla. Poi si lascia lo scooter e si scende a piedi per quello che forse una volta era un sentiero nella pineta. Quando appare la spiaggia è bellissima e incredibilmente vuota, tutta per noi. Ma prima ancora di metterci piede veniamo fermati da due volontarie del MOM che ci dicono che non si può andare perchè le foche hanno deciso di andare a dormire lì. Nooooo!!! Giuriamo di non fare alcun rumore, un bagnetto in silenzio senza svegliarle, ma le tipe sono inamovibili. Giochiamo l’ultima carta chiedendo se almeno possiamo andarle a vedere. Basta uno sguardo per capire che non se ne parla nemmeno. Di questa spiaggia ci resterà comunque una bella foto e la certezza che qui le foche sono veramente a casa loro.

 

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Di Alonissos ci è piaciuto veramente tutto, abbiamo trascorso giorni piacevolissimi, ma ciò che più mi è rimasto nel cuore sono le strade che percorrevamo al mattino presto in scooter, vuote, silenziose e immerse nel verde, avvolte dal profumo di pini e macchia mediterranea.

 

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LA MAESTOSA SKOPELOS

Più affollata della precedente, Skopelos si è comunque rivelata un’isola affascinante. Le montagne più imponenti, che bisogna superare per raggiungere le varie spiagge, regalano panorami fantastici. Decisamente qui ci sono più cose da visitare.

Skopelos town, dove abbiamo fatto base, è una cittadina che si sviluppa intorno al porto principale.

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Offre le immancabili viuzze con negozi e ristoranti e una parte antica molto carina, alla quale si accede tramite una scalinata affiancata da chiese e che porta fino alla parte più alta (il kastro) dove c’è una bellissima vista e dove si può passeggiare e perdersi in un labirinto di vicoli.

 

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Glossa, nell’estremità nord dell’isola, è un bel paesino, adagiato sul fianco della montagna. Si lascia lo scooter in prossimità della chiesa principale poi si prosegue a piedi. Almeno una volta bisogna venirci per il bellissimo tramonto che si può ammirare da qui.

 

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Poco prima di Glossa c’è la deviazione per Aghios Ioannis, la famosa chiesetta del matrimonio di Mamma Mia. Al di là della fama dovuta al film è sicuramente da vedere in quanto molto particolare. Sicuramente ad Agosto bisogna andare presto, in quanto si trova alla fine di una stradina stretta dove è quasi impossibile fare inversione con l’auto e a mezzogiorno, quando ce ne siamo andati, si stava trasformando in un incubo.

 

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Spiagge: anche qui la scelta è ampia, le più famose sono sul lato ovest e sono anche le più frequentate, in quanto servite dagli autobus che le collegano con la città. In caso di vento e mare mosso su questo lato la costa a sud offre alcune spiagge ben riparate

Stafylos: ci siamo andati appunto in una giornata molto ventosa. Il mare era tranquillo e la spiaggia carina, ma abbiamo preferito passare la giornata a Velanio, con mare altrettanto tranquillo e acqua trasparente, ma molto meno affollata. Basta attraversare a piedi tutta la spiaggia di Stafylos e seguire il sentiero che passa sopra le rocce.

 

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Milia : sulla carta è la spiaggia più bella dell’isola. Sarà che il mare era mosso e pieno di alghe, sarà la musica sparata a palla dalla taverna alle spalle degli ombrelloni, ma per noi è stata un po’ una delusione.

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Ci consoliamo sulla via del ritorno con una sosta nella bella (anche se ormai stracolma) Panormos, che, chissà perchè, anche se è lì accanto ha un mare calmissimo e meraviglioso.

Limnonari: il suo nome significa acqua di lago ed è proprio questo che abbiamo trovato arrivando al mattino presto. Inoltre è l’unica spiaggia di sabbia dell’isola e con l’ombrellone meno caro di tutta la vacanza (5 €).

 

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Skopelos è il giusto mix per chi cerca un po’ di tutto: natura rigogliosa, belle spiagge, paesini incantevoli e divertimento.

LA (PIACEVOLMENTE) TURISTICA SKIATHOS

Terza tappa della nostra vacanza è stata Skiathos, da dove riparte il volo per l’Italia. Sapevo che si tratta di un’isola estremamente turistica, frequentata perlopiù da giovani alla ricerca di divertimento e vita notturna. Nonostante ciò anche il soggiorno qui è risultato piacevole. L’unico paese di tutta l’isola è Skiathos town che sorge intorno al porto.

 

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Tutte le altre zone sono solo agglomerati di strutture ricettive che si sviluppano lungo la costa sud. Qui ci sono le spiagge principali, tutte di sabbia, così come tutte le altre spiagge dell’isola, e ottimamente servite da una linea di bus che da mattina a sera le collega alla città.

Ovviamente sono le più frequentate, quindi se si desiderano spiagge più tranquille bisogna spostarsi sul lato nord e percorrere alcune strade sterrate. Spesso però in questa zona il mare è mosso.

La cosa che mi ha maggiormente colpito è quanto quest’isola, nonostante il forte afflusso turistico, sia pulita, ordinata e curata.

Per il resto c’è ben poco da vedere a Skiathos: il corso principale pieno di negozi e locali (tutti ovviamente più cari che nelle isole precedenti) e, a quattro chilometri, il monastero Panagia Evangelistria, carino, con un piccolo museo interessante e un negozio dove vendono oggetti e alimentari prodotti dai monaci (…forse). Nulla di imperdibile ma, tanto per cambiare, un pomeriggio si può fare.

 

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Spiagge: ovviamente anche qui i costi sono maggiori, tra gli 8 e i 10 € al giorno per ombrellone e due lettini. Abbiamo dato la precedenza alle spiagge a nord, ma poi, trovando il mare sempre mosso , ne abbiamo provata anche una a sud.

Serse Mandraki: ci si arriva tramite una strada sterrata non troppo impegnativa e che regala un bellissimo panorama. Spiaggia ampia,tranquilla e con sabbia dorata . Piccola curiosità: il nome deriva dal re persiano Serse, che qui distrusse la flotta ellenica.

 

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Megalos Aselinos: una piccola strada asfaltata, a tratti un po’ malandata, conduce ad una bellissima spiaggia, grande e selvaggia con due sole file di ombrelloni. Davvero fantastica, purtroppo mare mosso con alghe.

 

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Troulos: eravamo riuscita ad evitarla fin qui, ma proprio l’ultimo giorno l’abbiamo trovata: la corsa al mattino presto per accaparrarsi gli ombrelloni in prima fila. Un paio di signori arrivati pochi secondi dopo di noi ci guardano con astio poi iniziano, seccati, a distribuire ogni sorta di oggetto su tutti i lettini occupandoli. Evidentemente erano degli habituè e noi, arrivando prima, gli abbiamo soffiato una delle postazioni preferite. Questo ci fa presagire cosa diventerà questa spiaggia nelle ore centrali, comunque all’inizio siamo stati discretamente bene anche qui ed abbiamo trovato un mare limpido e calmo.

 

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Come sempre anche questa vacanza in Grecia si conclude con la voglia di tornare in questo Paese che ormai è per noi diventato familiare e non ci delude mai.

Patagonia Australe in settembre: è possibile?

Dal 16.09   al   03.10.2017

Premessa:

Questo diario spero risponda alle molte domande che si pongono tutti quelli che vogliono visitare la Patagonia in settembre e non hanno traccia di notizie nei vari diari pubblicati. La mancanza di notizie è confermato dalla totale assenza di italiani in questo periodo da me rilevato.

16 settembre

Volo AirFrance (mediocre) 470euro che atterra su Santiago dopo aver fatto scalo a Parigi e Lima. La scelta di volare su Santiago è dovuto alla estrema economicità del volo rispetto a Buenos Aires che costava più del doppio.

17 settembre

All’arrivo all’aeroporto di Santiago, nell’area arrival, noto la presenza di una miriade di uomini di colore che stanno lì per ripararsi dal freddo avendo la sensazione di stare nel più brutto aeroporto che abbia mai visto.

Passo la notte lì per attendere il volo su Punta Arenas con la compagnia SkyAirline. Da qui attendo il bus Bus.sur (biglietto acquistato su internet) che mi porta a Puerto Natales nel pomeriggio.

Arrivo in questa città grigia, ventosa, piena di cani randagi e mi metto alla ricerca di un ostello barato nei dintorni del centro. Il destino mi porta al Sant’Agustin gestito da 3 sorelle che mi sembra il migliore dopo aver valutato altri anche più blasonati. Dovuto al periodo di bassa stagione mi danno una singola al prezzo del dormitorio 8000$ (prezzo più basso in assoluto). Recatomi in centro, vado a ritirare i soldi all’ATM e faccio anche un po’ di spesa al supermercato. Comincio ad accorgermi che i prezzi sono molto alti anche maggiori di quelli italiani.

Non c’è tanto da vedere in giro se non il corso principale a degli stand di gastronomia in occasione della festa nazionale.

18 settembre

Di mattino presto mi reco al terminal per prendere il bus che porta a Torres del Paine 15000$ a/r (Bus Gomez o MariaJosè, stessi prezzi stessi orari). Appena ci mettiamo in viaggio l’ansia aumenta per la preoccupazione di trovare cattivo tempo dato il periodo per cui guardo sempre l’orizzonte per cercare di capire come sarà il tempo e con molta sorpresa vedo che più ci avviciniamo al parco e più limpida diventa la giornata….che sospiro di sollievo!

Si arriva a Laguna Amarga dove si scende e si paga l’entrata 11000$ (bassa stagione) e poi si prende un micro per il transfer fino all’Hotel Las Torres (3000$).

Da qui comincia il sentiero per base Torres in una giornata bella e soleggiata. La prima parte è dura perché tutta in salita ma poi si scende fino al Rifugio Cileno. Purtroppo a questo punto mi devo fermare perché per arrivare fino al Mirador base Torres occorrono altre 2 ore per cui non facendo in tempo a riprendere il bus delle 14.30 (unico orario) devo, con molta delusione, tornare indietro.

Lungo la strada del ritorno molti mi chiedono il perché del regreso, ma io a testa bassa vado avanti.

Specifico che l’orario per il ritorno a P.N. è solo alle 14.30 fino al 19 settembre e poi viene attivata la seconda corsa alle 19.45, quindi capite che per 2 giorni ho dovuto rinunciare ad arrivare a base Torres, che tra l’altro era innevato, quindi ancora più bello.

19 settembre

Riprendo di mattina il bus Gomez per il parco, ma questa volta scendo a Pudeto per prendere il catamarano 28000$ a/r. Il mio programma era quello di trovare un posto al rifugio Paine Grande ma non avendo una prenotazione ero un po’ in ansia di non trovarlo. Sul catamarano parlo con uno dello staff che gentilmente contatta il rifugio tramite una trasmittente per sapere se c’era posto e dopo aver ricevuto l’ok mi tranquillizzo, altrimenti sarei tornato indietro. Sbarchiamo e mi trasferisco al rifugio Paine Grande dove prendo posto per dormire 33000$.

Lascio lo zaino e mi metto subito in marcia perché voglio arrivare al mirador Grey prima, e poi fino al glaciar Grey. Anche oggi è una bella giornata e non c’è bisogno di mettere neanche la giacca perché ci si scalda facendo attività fisica. Oggi mi sento libero dagli orari dei bus perché alloggerò al Paine Grande e posso vivere a pieno tutta la giornata.

Il mio entusiasmo aumenta sempre di più a mano a mano che si sale fino ad arrivare al primo mirador da dove si comincia a vede il lago, ma il cammino è solo all’inizio infatti quando arrivo al mirador Grey è tutto uno spettacolo con gli iceberg color turchese che galleggiano sull’acqua e un arcobaleno che fa da sfondo.

Sulla roccia piatta del mirador c’è una famiglia intera che sta mangiando un panino e dopo aver fatto il punto della situazione sulla mappa con loro, riprendo il cammino mentre loro tornano indietro perché hanno il bus: che peccato.

Per arrivare al Glaciar Grey mancano ancora 1,5 ore di cammino, ma non immagino ancora che cosa mi aspetta. Durante l’avvicinamento incontro persone che stanno tornando dal glaciar e che mi incitano ad andare avanti garantendomi che ne sarebbe valsa la pena. Arrivo al rifugio Grey ancora chiuso e dopo 10’ giungo al glaciar Grey che mi si presenta davanti come uno spettacolo unico. Sul fondo compare il ghiacciaio formato da un muro alto di ghiaccio che galleggia sul lago dove vi è la presenza di vari iceberg. Alcuni bambini vanno a staccarne dei pezzi di ghiaccio e me ne offrono da mangiare, accetto con qualche dubbio ma poi tutto ok.

Faccio delle foto, mi riposo un po’ e mi rimetto in marcia per tornare indietro perché siamo nel pomeriggio inoltrato. Prima di andar via mi giro varie volte a voler fissare e scolpire le immagini che ho davanti del glaciar Grey e il suo lago nella mia mente.

Arrivo al refugio Paine Grande verso il pomeriggio tardi col vento che si fa sentire; mi metto comodo sulla poltrona, bevo un thè e chiacchiero col gli altri di varie cose. Passo la notte in camere compartita dentro il sacco a pelo.

20 settembre

Arriva il mattino e non vedo l’ora di ritornare sui sentieri che mi porteranno al mirador Britannico. Dopo colazione mi metto subito in cammino attraversando il primo tratto tutto in piano di 2 ore che porta al Campamento Italiano. Qui trovo dei ragazzi che stanno togliendo la tenda dopo aver passato la notte lì. Da questo punto si può andare verso Los Cuernos a destra o salire a sinistra verso la Val Frances. Io non ho dubbi sulla scelta ma gli altri ragazzi dopo avermi consultato mollano. Il primo tratto è tutto in salita e bisogna rocciare per salire. Di lato c’è una grande montagna piena di neve da cui partono dei gran boati originati dalle numerose valanghe che si staccano. La fortuna ha voluto che nel versante di fronte a me si è originata una slavina che ho potuto guardare indiretta: uno spettacolo della natura!

Continuo a salire fino ad arrivare al mirador Frances dove è doveroso fare una piccola siesta e ammirare quello che ti circonda. Non resto molto qui perché so che quello che viene dopo sarà molto più interessante.

La strada è ancora lunga e in salita, ma ad un certo punto incontro un ragazzo che mi dice che manca solo mezz’ora all’arrivo. Mi rincuoro e via si riparte.

Ad un tratto esco fuori dal bosco e mi trovo davanti un campo di rocce bianche, solo due pezzi di legno delineano l’orientamento da seguire con molte incertezze. Continuo ad andare avanti e dopo l’ultimo pezzo in ripida salita arrivo al mirador Britannico. Qui trovo dei ragazzi svedesi e dopo aver fatto delle foto e ammirato il panorama torniamo indietro a scendere. Oggi non posso fare tardi perché alle 18.30 ho il catamarano che ci condurrà a Pudeto. Il cammino di ritorno passa velocemente perché quasi tutto in discesa e dopo esser arrivato al Campamento Italiano, con 2 ore arrivo al rifugio Paine insieme ad un altro ragazzo cileno con cui condivido l’ultimo pezzo di strada.

Al ritorno al rifugio ho tutto il tempo per un thè e per chiacchierare con tutti gli altri che aspettano l’imbarco. Arrivato il catamarano, saliamo a bordo e dopo 20-30’ siamo a Pudeto accompagnati da un tempo che si è messo sul brutto. Sbarcati troviamo i vari bus che ci aspettano per rientrare a Puerto Natales. Per arrivare all’ostello percorro sempre la stessa strada, ma questa volta faccio un brutto incontro coi soliti cani randagi che mi circondano come se mi volessero attaccare. Ero pronto a difendermi con il sacco a pelo che portavo in una mano, ma dopo un po’ i cani si sono allontanati. Alloggio sempre al Sant Agustin dove ho una stanza tutta per me e mi rendo conto di essere l’unico turista.

21 settembre

Lascio di mattino presto Puerto Natales per trasferirmi a El Calafate in cui arrivo a mezzogiorno. Trovo un alloggio a Las Carretas abbastanza vicino al terminal e proprio all’inizio della via principale per 150AR. Condivido la stanza con un ragazzo argentino che fa lo scalatore e proprio in quel momento mi dice che sta andando al ghiacciaio con l’autostop, non vado con lui perché il mio programma è quello di andare l’indomani. Faccio un giro per El Calafate in un calda giornata; tento di prelevare i soldi al ATM ma sul display leggo che mi saranno addebitati 104AR$ per cui desisto. Allora vado alla Cambio Facile ma anche lì non è molto vantaggioso per via del valore di cambio, ma sono costretto ad accettare. La giornata passa tranquillamente passeggiando per le strade di questa cittadina carina e faccio un allungo fin sulla sponda del lago argentino.

Prima di tornare in ostello faccio la spesa e compro una bottiglia di vino che condividerò più tardi con il mio amico di stanza cenando insieme. Intanto lui lava i piatti e io torno dentro per una doccia calda. Mentre vado a letto lui mi avvisa di aver ricevuto un invito galante da una ragazza e tornerà al mattino presto.

22 settembre

Dal terminal partono vari bus al mattino 9.30 per il Perito Moreno. Io scelgo quello che ha orari intermedi per il ritorno in modo da essere in orario per partire per El Chalten nel pomeriggio.

Arrivati al Parco Glaciar Perito Moreno, sale sul bus un ragazzo che dopo averti chiesto la nazionalità ti dice il ticket da pagare che è 500AR$ per stranieri. Ripartiamo e arriviamo all’entrata da cui si può acquistare il ticket (500AR) per fare il giro in barca che ti porta di fronte al ghiacciaio o seguire la passerella lunghissima in legno da cui si può ammirare il ghiacciaio in molteplici angolazioni (sconsiglio il giro in barca, è solo per turisti….).

La vista è meravigliosa in una bella giornata di sole e ho l’opportunità di ammirare dai vari mirador tutta la maestosità che ho di fronte. Naturalmente tutti aspettano le cadute di pezzi di ghiaccio in acqua che produce uno spettacolo sensazionale. Ho potuto assistere tra le varie cadute a quella di un blocco che si è staccato cadendo non in verticale ma obliquo proprio poco prima di andar via: spettacolo unico.

Ritorno a El Calafate e attendo al terminal l’arrivo del bus Chalten Travel 450AR$ che parte alle 18.00 per El Chalten.

Arrivati intorno alle 21, percorro il corso principale semibuio e dopo qualche tentennamento arrivo al Patagonia Hostel che per 200AR$ mi dà un letto in stanza compartita. Sono molto contento di essere arrivato qui perché mi piace molto l’ambiente e c’è molto spazio. Anche la presenza della cucina mi permette di prepararmi qualcosa da mangiare.

Condivido la stanza con un ragazzo tedesco che avevo incontrato a El Calafate e dopo aver discusso con lui del programma per l’indomani ci mettiamo a dormire.

23 settembre

Mi alzo presto, faccio colazione e parto subito per il primo percorso verso Il Fitz Roy. Sono il primo ad entrare nel parco e subito mi metto a salire arrivando in cima da cui il sentiero continua più o meno piatto. Arrivo con anticipo al Campamanto Poincenot in cui conosco 2 ragazzi che hanno dormito in tenda e mi dicono di essere stati al mirador del lago de Los Tres in giorno prima in una giornata di sole e aver ammirato senza nuvole il Fitz. Per oggi non sono molti ottimisti per il tempo, ma io non mi demoralizzo.

Riprendo il cammino arrivando ad un punto in cui vi è un campo di rocce bianche e il sentiero praticamente sparisce. Dopo aver sbagliato direzione, riprendo la strada giusta e arrivo in un punto in cui un cartello avvisa di non salire perché pericoloso. Giudico questo come una grande ipocrisia, ovvero si segna sulla carta un luogo da vedere per attirare il turista e poi si mette il cartello di non passare tale segnalazione. La presenza di tale cartello mi fa capire che proprio da lì bisogna salire per arrivare all’obbiettivo. La salita è dura ma arrivato sopra posso ammirare in basso il lago de Los Tres e di fronte il monte Poincenot con affianco il Fitz Roy semiavvolto dalle nuvole.

Molto contento di essere arrivato fino a quel punto, purtroppo non oltrepassabile per via della neve, meno contento di non poter vedere il Fitz. Questa montagna vedo che si comporta come una signorina capricciosa che gioca al “vedo non vedo”, ovvero ti illude di denudarsi ma rimane coperta dalle nubi. Il giochino va avanti per molto e allora, scattate le foto, decido di regresare.

Sono solo sul sentiero e penso a tutti gli altri cosa stessero facendo negli ostelli. Mi rimane ancora del tempo prima del buio e allora, al bivio, prendo il sentiero per Laguna madre e Hija che non mi piacciono in modo particolare.  Tornando indietro predo un altro sentiero per Laguna Capri che invece è molto bella. Mi siedo per riposare al bordo del lago e faccio conoscenza con una ragazza americana con cui parlo della possibilità di arrivare al lago Los Tres, ma che sconsiglio perché sola e perché impegnativo. Mentre chiacchiero con lei si apre il cielo sul Fitz Roy e viene fuori tutta la sua nudità potendolo così ammirarlo integralmente senza veli.

Soddisfatto della giornata e del gran giro fatto, torno al Patagonia per cenare e fare la doccia.

24 settembre

Mi alzo sempre presto perché il mio amico tedesco che sta con me parte per Rio Gallegos, mentre io vado al Cerro Torre. Ci salutiamo e via alla ricerca del sentiero. La giornata è diversa da ieri, ho la sensazione che non sarà bellissima. Il cammino è lungo per arrivare al Campamento de Agostini che trovo completamente vuoto, dopo il quale si arriva al Lago Torre. Guardando dritto si dovrebbe vedere il Cerro Torre, ma è completamente coperto di nubi scure.

Dopo aver sostato qualche minuto lì, mi incammino lungo il sentiero di destra tutto roccioso. Non so dove porta, ma sono curioso. Dopo 40’ di cammino arrivo comincio a pestare neve fresca che sta scendendo e il suo livello comincia a salire. Arrivato nei pressi di una grande roccia non riesco più ad andare avanti perché il sentiero è coperto di neve e il livello comincia a salire troppo. Resto lì un po’ di tempo per guardare dall’alto il Lago Torre, fare delle foto e godere di tutto quello che mi circonda.

Con molto stupore vedo che tutti si sono fermati all’inizio del lago e nessuno ha percorso il sentiero fatto da me: non sapranno mai che si sono persi!

Comincio il lento cammino a ritroso sotto i fiocchi di neve che rendono più scenico e natalizio il paesaggio. Dopo 40’ arrivo al campamento De Agostini e poi via verso El Calafate. Non nego che mi giro più volte per vedere se le condizioni climatiche stessero per cambiare, ma niente, anche se qualche bagliore di luce ogni tanto si intravede. I fiocchi sono sempre più fitti e all’arrivo all’ostello arriva una nevicata copiosa che dopo poco svanisce.

Molto soddisfatto di tutta la giornata anche se il Cerro Torre, molto più capriccioso del Fitz, non si è fatto proprio vedere; vuol dire che resterà sempre nella mia immaginazione. Invece grande soddisfazione per essere arrivato quasi al mirador Maestri non raggiungibile per via della neve.

Sono all’ostello con largo anticipo e ho tutto il tempo per prepararmi con calma. Dal terminal, alle 18.00, prendo il bus per El Calafate che arriva alle 21. Naturalmente ritorno al Las Carretas dove sono praticamente solo e posso avere la stanza tutta per me.

25 settembre

La mattina dopo prendo il transfer per l’aeroporto VesPatagonia che effettua il servizio per 100AR. Non avendo potuto prenotare per tempo, mi metto sul bordo della strada di fronte all’ostello e appena passa il bus lo blocco e mi faccio caricare.

Volo per Ushuaia con Aerolines Argentina. Dall’aeroporto condivido il taxi, unico mezzo per raggiungere la città, con un’altra ragazza per 170AR$. Alloggio al Torre al Sur che trovo ottimo come posizione ma piccolino per contenere molta gente. Lascio la borsa e faccio dei giri in centro per conoscere la città. Certo non è che c’è tanto da vedere, ma non è così terribile come da qualche parte letto.

All’ufficio informazioni mi faccio apporre il timbro (che si può scegliere) sul passaporto gratuitamente e prendo delle info per il parco. Dopo aver fatto spesa rientro per cucinare qualcosa.

26 settembre

E’ mattino, apro gli occhi e penso: “oggi compio gli anni”; quegli anni così importanti che segnano….auguri!

Ho scelto Hushuaia per festeggiare perché metaforicamente come per la città è la fine del mondo, per me è la fine di un blocco di anni e l’inizio di un altro.

Da calle Maipù angolo Fadul c’è uno spiazzale da cui partono bus e micro che conducono al parco Tierra del Fuego. Dopo una breve contrattazione strappo il viaggio a/r per 400AR$ (costo normale 500$).

Ci sono varie fermate per il parco ma io ho scelto l’ultima e poi sono andato a ritroso. I sentieri sono molto semplici e poco spettacolari. Da Baia Lapataia, considerato la Costera chiusa, vado a ritroso fino al centro Lakatush, da lì ho seguito il sentiero per Hito XXIV abbastanza lungo, niente di che, che costeggia il lago e arriva al confine col Cile.

Al ritorno il vento si fa sentire e attendo il bus per il ritorno presso il centro Lakatush che parte alle 15 e alle 17.00.

Ritornato a Ushuaia faccio una lunga passeggiata invitato anche dal tempo che si era messo bello. Per cena scelgo un ristorante per degustare carne accompagnata dal vino tinto molto buono, formaggio e come dessert il dulce de leche.

Attraverso il corso, faccio una visita alla chiesa salesiana, faccio spesa per consumare i rimanenti AR$ e torno in ostello.

27 settembre

Alle 4 suona la sveglia perché mi attende il bus Tecniaustral che parte alle 5 e arriva a Rio Grande alle 8. A seguire con bussur alle 10.30 arrivo a Puerto Natales. Naturalmente c’è la frontiera da passare e bisogna evitare di portare al seguito, frutta, carne cruda, formaggio, verdura; i controlli sono abbastanza attenti.

Puerto Natales è una cittadina molto carina anche se non c’è molto da vedere. Tuttavia una passeggiata in centro la merita. Intanto per trovare un ostello non è facile, ma gentilmente sono proprio i titolari di altri alloggi che mi indicano il posto che volevo.

28 settembre

Prima di partire faccio un ultimo giro in centro e tornato per prendere lo zaino mi reco all’aeroporto col taxi 5000$.

Volo per Puerto Montt con arrivo alle 14. Dall’aeroporto c’è un servizio bus che per 2500$ porta al terminal da cui con altro bus ETM con poltrone molto comode, arrivo a Castro. Da questo punto comincia un secondo viaggio fatto non più di parchi ma da città più o meno grandi.

Arrivato al terminal esco fuori trovandomi nel centro nevralgico della città che mi piace subito. Il primo obbiettivo è quello di trovare un alloggio, allora chiedo a qualcuno che mi indica un portone di fronte al terminal. Vado a chiedere e trovo subito ospitalità per 8000$ in stanza singola.

Posato lo zaino esco fuori per vedere la città; mi reco in piazza de Armas dove c’è la chiesa molto bella di S. Francesco, patrimonio dell’umanità, arrivo sul lungomare e faccio conoscenza con alcuni pescatori che stanno pulendo il pescato. Incuriosito da un tipo di cozze molto più grandi delle nostre, mi metto a guardare  e mi fanno salire a bordo per farmi vedere come si trattano offrendomene una da mangiare cruda: l’indomani li rivedrò di nuovo al mercato salutandoci cordialmente.

Intanto si fa sera e mi ritiro nella mia abitazione.

29/30 settembre

Non so se resterò anche oggi a Castro in quanto il tempo è cambiato e comincia ad arrivare la pioggia. Intanto finisco il giro iniziato il giorno prima visitando in più zone Los Palafittos che sono delle costruzioni in legno di vario colore le cui fondamenta sono costituite da pali di legno fissate in acqua ed adibite a vario uso come abitazioni, locali, ostelli, negozi ed abitazioni.

Ritorno in centro e considerato che la pioggia ricomincia, dopo aver rivisitato la chiesa decido di partire per Achao.

E’ molto semplice spostarsi in queste zone tra i vari paesini, perché esiste una fitta rete di micro che partono a tutte le ore raggiungendo i vari posti.

Il primo micro mi porta a Dalchaue da cui con un secondo arrivo a Achao. Anche qui sono accolto da pioggia e vento che non mi permettono di visitare con calma il posto. Il mio obbiettivo è visitare la chiesa di Santa Maria di Loreto molto antica fatta tutta di legno scuro, ma anche se sono dentro l’orario di apertura la trovo chiusa. Vado in comune a chiedere spiegazioni e mi dicono che c’è una signora che la tiene aperta ma probabilmente quel giorno è rimasta a casa, tuttavia mi suggeriscono di andare dal prete che abita di fianco per farmi aprire. Dopo tre tentativi per aprire il cancello dell’abitazione finalmente riesco ad entrare e suonare il campanello. Mi apre il parroco ma alla mia richiesta di aprire la chiesa si sottrae….che delusione.

Intanto provo a trovare un alloggio e dopo aver parlato a lungo con una ragazza che gestisce il posto, decido di tornare ad Dalchaue. La pioggia mi insegue e fatta una foto alla chiesa di Nostra Signora del Dolore sempre di legno di colore chiaro che rispecchia l’architettura della scuola chilota in legno, prendo il bus per Ancud.

Mi sistemo in uno ostello disabitato da turisti e faccio visita alla città percorrendo varie strade del centro fino a sera. Anche qui c’è un’interessante cattedrale in piazza e un museo della storia.

Il giorno dopo ho in programma di visitare la pinguinera di Panihuill, ma per via della incertezza degli orari dei bus durante questa stagione e a causa del maltempo decido di desistere.

Visito il forte San Antonio baluardo della difesa dei chiloti contro gli spagnoli che dovettero, dopo molte battaglie, firmare il trattato di resa e così l’isola di Chiloè fu annessa al Cile.

Tornato in piazza visito gratuitamente il museo della storia che ritengo molto interessante per la presenza di elementi sia storici come resti di mezzi di trasporto, utensili, che naturali e topografici. Non mancano elementi fotografici.

Uscito dal museo decido di trasferirmi a Puerto Varas in bus(ETM) partendo dal terminal municipale. Arrivato, cerco un ostello abbastanza lontano dal centro che trovo chiuso e dopo un tentativo invano da parte dei vicini di contattare il proprietario, torno in centro. Tento in altri due ostelli, ma uno è pieno e nell’altro vi è già una ragazza che non vuole compartire la stanza. Un po’ preoccupato mi rimetto in marcia per arrivare finalmente nell’ultimo che avevo in lista che mi accoglie bene ed è veramente carino con una camera molto spaziosa, una bella cucina, e un living con una stufa a legna. Mi reco al centro di informazione turistica per avere info su cosa si può vedere. Devo dire che Puerto Varas l’ho trovata molto carina, con lungo lago dove si può passeggiare tranquillamente ammirare i due vulcani Osorno e Calbuco se si è fortunati….

E’ possibile fare trekking nel parco vicino alla città.

01 ottobre

Di mattina presto saluto Puerto Varas con un ultimo giro per la città e mi reco al terminal di bussur con destinazione Valdivia. Arrivo verso mezzogiorno al terminal e prima di iniziare il giro acquisto il biglietto per Valparaiso previsto per la notte. Mi devo accontentare di quello che rimane in quanto quasi tutti i posti sono occupati.

Fuori dal terminal trovo subito il micro n°20 per Niebla che passa dopo qualche minuto. Richiedo di fermarmi nel punto dove parte il ferry per l’isola Corral. Salgo sul traghetto e in 30’ arrivo sull’isola che mi appare subito come fosse disabitata. Diciamo che questa è un’isola di pescatori e per la mancanza totale di turisti sembra disabitata. Dopo aver fatto un giro per scattare delle foto attendo il ferry che tarda a venire saltando una corsa. Una volta tornato sulla terra ferma faccio l’autostop per arrivare a Niebla per visitare una struttura storica simile ad un forte usato per la difesa dagli attacchi stranieri. Quando arrivo la struttura sta per chiudere, ma il guardiano mi fa entrare lo stesso in modo da poter scattare qualche foto.

Riprendo il bus 20 per tornare in centro e visitare la città. Molto curioso è una copia del pendolo di Foucault costruito per dimostrare che la terra ruota e che la rotazione completa avviene in 24ore. Da vedere anche un sommergibile in disuso e dei leoni marini che bivaccano su un a struttura di legno sul fiume.

Visito la cattedrale e mi metto in cammino verso il terminal da cui prendo il bus alle 22.30 per Valparaiso.

02 ottobre

Arrivo a Valparaiso a metà mattinata. Nei pressi del terminal c’è un grande mercato di prodotti agricoli e vedo che i prezzi sono ben diversi da quelli della Patagonia ovvero sono molto più bassi. Mi metto in cammino per raggiungere il quartiere chiamato Il Museo a Cielo Aperto, ovvero si tratta di una zona dove artisti disegnarono delle vere opere d’arte sui muri, i cosiddetti murales. La strada è tutta in salita e ad un certo punto si arriva alla casa museo di Pablo Neruda che però quel giorno era chiuso perché lunedì.

La giornata è abbastanza calda e pian piano mi metto in cammino per tornare al terminal non prima di visitare Plaza de Armas un paio di chiese e via verso l’ultima tappa: Santiago.

Prendo il primo bus che mi porta al terminal Alameda da cui con una lunga passeggiata arrivo all’ostello che si trova nei pressi della stazione Los Heroes.

Esco dall’ostello per dirigermi verso il centro. Avevo l’idea che Santiago fosse una città molto brutta e pericolosa. Certo nei pressi della stazione ferroviaria mentre scattavo una foto mi si avvicina una ragazza che mi mette in guardia che mi potrebbero rubare la macchinetta e poco dopo vedo un nuvolo di auto della polizia perché una ragazza è stata picchiata, ma a parte questo credevo che la città non offrisse niente. Tutto sbagliato. Anche alcune recensioni dicevano che fosse brutta, ma vi posso dire che il centro è veramente bello e mi ha proprio stupito.

Partendo da Plaza de Armas si può percorrere una serie di strade pedonabili lungo le quali si incontrano palazzi, chiese che si possono fotografare e visitare. Per non parlare della cattedrale molto bella.

Giro tutto il centro, compro qualche ricordino e rientro in ostello. Trovo l’ambiente abbastanza confortevole con una bella cucina in cui ci si può preparare da mangiare. Trovo anche delle bottiglie di vino che sono in comune e ne approfitto. Dopo una bella doccia vado a dormire, ma fino alle 2 non chiudo occhio per lo schiamazzo che sento nel living.

03 ottobre

Dopo aver fatto una bella colazione mi dirigo presso la stazione Los Heroes da cui parte il bus Centropuerto che per 1800$ porta in aeroporto. Volo Airfrance per il ritorno in patria.

Conclusioni

A margine di questo diario potremmo trarre varie conclusioni.

Prima della partenza non avendo trovato traccia di viaggiatori in questo periodo ed ero terrorizzato dal trovare tempo pessimo, soprattutto avevo la paura che i sentieri fossero innevati e invece tutt’altro.

I sentieri percorsi erano in perfetto stato a parte zone dove erano allagate per la presenza di falde che sgorgavano dal terreno. La marcatura dei sentieri era buona, tuttavia molte volte si ha la sensazione di smarrire la retta via ma poi si ritrova quella giusta. Per Torres del Paine si potrebbe fare molto meglio in termini di tenuta e di segnaletica delle piste, soprattutto in certe zone a fronte di un ticket d’ingresso alto. Non vi è la minima presenza di guardiaparchi né tantomeno la possibilità di assistenza in caso di necessità.

Per El Chalten ritengo migliori i tracciati ma anche lì ci sono tratti poco chiari come quello dopo il Poincenot che porta al lago De Los Tres.

Il parco Tierra del Fuego regala molto meno emozioni e la mappa che danno fa un po’ sorridere.

Lungo i sentieri è possibile che non s’incontri nessuno ma a parte un possibile timore autosuggestivo, non mi pare che ci possano essere pericoli per la propria sicurezza.

In generale posso dire che lo spettacolo che regala la natura percorrendo i sentieri vale il viaggio.

I costi dei transfer (traslado) con bus turistici sono molto alti anche per tratti brevi, così come il costo della vita in Patagonia è alto ed è visibile guardando i prezzi al supermercato che superano i nostri.

Gli alloggi più economici in dormitorio sono di circa 10euro; non ho prenotato nulla da casa ad eccezione per l’ultimo giorno a Santiago. Nel periodo si rischia di trovare ostelli completamente vuoti. I prezzi trovati su internet sono più alti di quelli in loco anche per i bus.

Sia in Cile che in Argentina c’è il grosso problema del randagismo, ovvero vi è la presenza costante di branchi di cani di grossa taglia che girano indisturbati per le strade e fanno un po’ paura. Credo che i due governi debbano trovare una soluzione a questo problema.

Nel periodo la parte illuminata del giorno è limitata rispetto all’estate; il sole sorge intorno alle 7 e fa buio alle 19.30 per cui non si può stare lungo i sentieri sino a tardi.

Si può viaggiare soli senza problemi, non ho avvertito sensazione di pericolo e non c’è bisogno di agenzie almeno per quello che ho fatto.

Il volo per Santiago costa meno della metà di quello per Buenos Aires per cui bisogna valutare attentamente questo.

Credo di aver fatto 2 viaggi, uno in Patagonia e uno in Cile da Puerto Montt a Santiago. Debbo dire che la seconda parte merita un viaggio a sé, soprattutto quella dell’isola di Chiloè in cui sarebbe perfetto potersi spostare in auto propria.

L’unico mezzo usato per costruire il viaggio è stato il mio computer.

Spero di aver contribuito a dare le informazioni utili al vostro futuro viaggio.

Allora, dopo aver letto il diario sono riuscito a rispondere al quesito iniziale: è possibile viaggiare in Patagonia in settembre? A voi la risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Messico in libertá

Io e il mio ragazzo siamo stati sulla Riviera Maya lo scorso giugno, piú precisamente l’alloggio era a Playa del Carmen. Per chi dice che questo non é il vero Messico, é vero, non é il Messico tradizionale, é molto turistico ma ci sono dei posti favolosi da visitare, sia siti archeologici che riserve naturali. Come periodo Giugno é molto caldo e afoso, ci hanno spiegato che é cosi fino ad agosto-settembre, mentre da dicembre ad aprile-maggio é la stagione secca, quella migliore, perché fa comunque caldo ma dovrebbe esserci meno umiditá.

Noi abbiamo preferito una vacanza “autonoma”, senza affidarci ad un tour operator, ed abbiamo affittato un appartamento, che abbiamo trovato su facebook Rentas Riviera Maya, ci siamo fidati soprattutto perché non ci veniva chiesto nessun acconto. Tramite la stessa pagina abbiamo noleggiato la macchina (senza carta di credito), e abbiamo richiesto come servizio aggiuntivo solo i due trasferimenti dall’aeroporto a Playa del Carmen e viceversa.

Devo dire che ci siamo trovati molto bene, l’appartamento semplice ma pulito e centrico, ed Erika sempre disponibile per darci una mano e consigli vari. Di sera potevamo uscire e con una piacevole passeggiata raggiungere la Quinta Avenida che é la strada pedonale dove si trovano ristoranti, negozi e locali vari. Ah, vicino c’era anche un grande supermercato aperto fino a tardi, utile per noi che eravamo in giro praticamente tutto il giorno, e almeno per la colazione ci compravamo le cose per farla in casa.

Durante il nostro soggiorno abbiamo visitato ovviamente il sito di Chichen Itza (e scattato la nostra foto a una delle nuove 7 meraviglie del mondo), come dicevo siamo andati in macchina, la strada é sicura e in un paio d’ore si raggiunge la destinazione. Poi abbiamo visitato piú a sud, il sito archeologico di Cobá, che consiglio per la posizione in mezzo alla foresta e perché si puó salire sulla piramide (non fatelo se soffrite di vertigini!), e le rovine di Tulum (non abbiamo resistito e abbiamo fatto anche un tuffo nella spiaggetta sotto alle rovine). Un altro giorno siamo andati a Rio Secreto, Erika ci ha dato una mano per comprare gli ingressi, che é una sorta di parco in cui si fa un percorso di un paio d’ore in vari cenotes tutti collegati tra di loro, con una guida che vi accompagna ovviamente; un’esperienza incredibile in uno scenario fiabesco, tra stalattiti, stalagmiti e acque cristalline.

Se vi piace fare snorkeling vi consiglio di passare una giornata a Cozumel, si prende il traghetto direttamente da Playa del Carmen, e partono ogni mezz’ora circa. L’unica escursione organizzata che abbiamo comprato é stata quella alla biosfera di Siank’aan, perché ci sembrava un po’ complicato andarci da soli visto che c’é piú di un’ora di strada sterrata, é stato molto bello perché abbiamo visto delfini e tartarughe marine in mezzo al mare, e poi abbiamo fatto il bagno nelle piscine naturali, vere e proprie piscine con un’acqua cristallina, calmissima e sabbia bianchissima.

Io sinceramente ve le consiglio tutte, e c’erano anche molti altri posti che avremmo voluto vedere, ma per mancanza di tempo non ce l’abbiamo fatta.

Per mangiare c’é una scelta amplissima, si puó spendere pochissimo, mangiando tacos, panini, o molto di piú nei piú ricercati ristoranti con cucina internazionale…e se vi manca un piatto di pasta o un buon cappuccino non  mancano ovviamenti i locali italiani, noi avevamo trovato il nostro posticino vicino a casa, Pasta e Polpetta, con prezzi giusti e pasta fresca fatta a mano!

Insomma, se state pensando di andare in Messico ma siete indecisi, io vi consiglio questa meta, prenotando con un po’ di anticipo il volo (per Cancun) non é carissimo, noi abbiamo speso 700 euro andata e ritorno, ed é diretto (Blu Panorama), per la sistemazione c’é una scelta amplissima, dagli immensi Resort All Inclusive, agli alberghetti in paese, agli attrezzatissimi appartamenti. E di posti da vedere ce ne sono veramente un’infinitá!

Buone vacanze!

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