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Lituania: Vilnius e Trakai ai confini dell’Europa

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Le Repubbliche Baltiche sono da sempre un’idea per qualche giorno di vacanza. Sono anni che tengo d’occhio i voli per Tallin, Riga e Vilnius, ma, per un motivo o per l’altro, non si era mai presentata l’occasione di andare. Cercando una vacanza economica per fine settembre 2017 ho dovuto, mio malgrado, scartare le ipotesi Tallin e Riga perché troppo care, ma invece, a conti fatti, Vilnius rientrava perfettamente nel nostro budget limitato e allora, senza pensarci troppo, poco più di un mese prima della partenza ho prenotato tutto, volo e sistemazione.

Il volo è un Ryanair che collega alcuni giorni alla settimana Bergamo con Vilnius. Siamo partiti, in leggero ritardo (e soprattutto restando oltre 30 minuti chiusi con oltre trenta gradi nel pulmino dell’aeroporto che evidentemente non sapeva in che aereo doveva portarci), venerdì 8 settembre nel tardo pomeriggio. Due ore e mezzo di volo e siamo arrivati a Vilnius, in un aeroporto molto moderno e recentemente ristrutturato, ma relativamente piccolo e con poco movimento.

La Lituania è un’ora di fuso orario avanti rispetto all’Italia, quindi siamo arrivati che erano già passate le 21.00, ora locale. Il tempo è certamente più rigido rispetto alla caldissima estate italiana, ma non fa freddo e i maglioni pesanti che ci eravamo portati resteranno quasi sempre nello zaino. L’aeroporto di Vilnius è molto vicino alla città, poi noi abbiamo scelto un hotel leggermente fuori dal centro storico, nella direzione dell’aeroporto, quindi con il bus 3G che parte dall’aeroporto, in poco più di dieci minuti e quattro fermate siamo già davanti al nostro hotel.

Abbiamo scelto, soprattutto per il prezzo veramente basso, 159 euro la camera doppia con colazione compresa per tre notti, il Corner Hotel. E’ in un palazzo di cinque piani, piuttosto decadente, come detto molto comodo per l’aeroporto, ma obiettivamente uno degli hotel meno belli in cui siamo stati, anche se vale sempre la regola che nelle città si resta veramente poco nell’hotel. La colazione è abbastanza lontana dai gusti italiani, con molto salato e praticamente nulla di dolce, ma questo credo che sarebbe capitato nella maggior parte degli hotel lituani. La zona è molto tranquilla, pure troppo, nel senso che attorno c’è pochissimo, solo qualche locale e tanti palazzoni tipici delle periferie delle grandi città. Insomma il primo impatto con la città non è sembrato dei migliori, anche se uscendo immediatamente dopo l’arrivo per andare a mangiare qualcosa, scopriamo subito che a poche centinaia di metri dall’hotel si trova un centro commerciale aperto 24 su 24 della catena Maxima, onnipresente in città, che ci ha permesso di prenderci dolcetti buonissimi a poche decine di centesimi che mangiavamo a colazione e anche un locale molto carino, il Fortas, che serviva sia pizza che piatti tipici lituani ad un costo irrisorio, sarà il luogo della nostra cena per tutte le tre serate che passeremo in Lituania.

Finita la cena, sono già passate le 22.00 e, considerando appunto che in zona non c’è nulla, decidiamo di rientrare in hotel e preparare le giornate successive. Il meteo era incerto nelle previsioni, la nostra idea è di svegliarci e a seconda del cielo più o meno minacciante pioggia, decidere cosa fare. Sabato mattina il cielo è quasi completamente sereno e allora non ci sono dubbi, decidiamo di fare subito l’escursione a Trakai, una cittadina medievale a una trentina di chilometri da Vilnius che sorge alla confluenza di tre laghi, disposta su tre isolette, una delle quali è interamente occupata da un grande castello raggiungibile solo via mare oppure a piedi attraverso un ponticello.

Per andare a Trakai ci sono due possibilità, o prendere il treno, oppure il bus. Il tempo di percorrenza è circa lo stesso (una mezz’oretta), il vantaggio del bus è che sono molto più frequenti le corse e quindi decidiamo di prendere il pullman che parte ogni mezz’ora dalla stazione centrale delle autolinee di Vilnius, situata proprio dietro la stazione centrale ferroviaria, proprio ai limiti della Old Town della città, il centro storico, dichiarato Patrimonio dell’Unesco.

Ci svegliamo abbastanza presto, ma ce la prendiamo comoda, dopo colazione, compriamo qualche dolcetto al Maxima e ci dirigiamo a piedi verso la stazione dei pullman, ci vuole quasi mezz’ora a piedi dall’hotel, pensavo che le distanze fossero un pochino più brevi. La stazione delle autolinee è un posto apparentemente molto semplice in cui orientarsi. Ci sono una trentina di postazioni su due lati opporti di una pensilina e sopra ogni postazione un cartello con la destinazione e gli orari. Da qua partono anche pullman per Riga, Tallin e anche altre città europee. Tre postazioni annunciano bus per Trakai, con orari diversi. Adocchiamo la postazione in cui partirà il bus delle 10.00 per Trakai e ci resta solo da fare il biglietto. E qua nascono i primi problemi con la lingua, che ci trascineremo per tutta la vacanza. Ci sono un paio di macchinette automatiche a metà pensilina, provo ad usarle ma non compare la scritta “Trakai”, provo a chiedere in inglese ad un addetto con la divisa dell’aerostazione, ma mi fa cenno che non parla inglese. Allora entriamo nella parte coperta dove ci sono alcuni negozietti e una biglietteria, faccio una breve coda, al mio turno chiedo (ovviamente in inglese) due biglietti andata e ritorno per Trakai, ma mi vengono solo restituiti un foglio con gli orari dei bus e il solito “no speak English”. Decido di seguire un cartello con la “I” di “informazioni”, ci metto un po’ a trovare il piccolo sportello e finalmente trovo una addetta che capisce l’inglese e mi dice semplicemente che i biglietti per Trakai si fanno solo sul bus.

Torniamo verso la pensilina, ma intanto il bus era partito, aspettiamo il successivo delle 10.30 e finalmente, dopo aver fatto il biglietto da 1.60 euro a testa, partiamo verso Trakai. Dopo un breve tratto per uscire dalla città percorriamo una sorta di superstrada ai lati di una foresta con alberi altissimi e ogni tanto qualche casetta tipica del Nord Europa, con tetto alto e pendente e fatta tutta di legno, spesso colorate con vernici molto forti. Alle 11 e pochi minuti arriviamo a Trakai sul lungo lago, nella parte più abitata della cittadina, ma dalla parte opposta rispetto al castello, che è il motivo della nostra escursione.

Per arrivare al castello comunque è molto facile, bisogna percorrere a piedi tutta la penisola sul lungo lago e attraversare gli altri due laghetti che confluiscono nella cittadina. E’ oltre un chilometro di passeggiata ma molto piacevole, rilassante lungo il lago e ai lati delle tante casette di legno colorato, un posto assolutamente tranquillo, che infonde un grande senso di pace e serenità. Il tempo ci aiuta, la temperatura è ideale, non è troppo caldo per camminare, ma nemmeno freddo, qualche nuvola che ogni tanto passa veloce nel cielo non disturba più di tanto.

Castello Trakai

Andando nella direzione del castello passiamo davanti ad una chiesa, apparentemente ortodossa perché si intravedono grandi icone anche dall’esterno, la facciata è piccola e anche l’interno sembra abbastanza contenuto, decidiamo di entrare e veniamo colti da un misto di stupore e inquietudine. Già avvicinandoci all’ingresso siamo avvolti da un acre odore di incenso, ma quello pensiamo possa essere comune nelle chiese ortodosse, ma entrando restiamo attoniti ad osservare sulla destra una quindicina di donne in costumi tipici intente a mangiare con piatti, vassoi e vettovaglie di ogni genere e sulla sinistra una bara con attorno una serie di lumini. Non osiamo fermarci oltre e usciamo subito. Probabilmente era un funerale, che viene celebrato rendendo omaggio al defunto con appunto una sorta di festa in chiesa.

Piuttosto sconvolti continuiamo nel nostro cammino verso il castello e la sosta in una panchina sul lungolago con una serie di cigni sia bianchi che neri che si avvicinano e la vista dello splendido castello nello sfondo fanno tornare la serenità nella nostra mente. Il luogo continua ad essere molto tranquillo anche se man mano che ci si avvicina al castello la gente aumenta e, per la prima volta in Lituania, siamo a contatto con un certo numero di turisti, in misura comunque molto contenuta rispetto a tutte le altre città europee che abbiamo visitato.

Poco prima dell’ultimo tratto e del ponticello che porta al castello sul lungo lago si trovano una serie di ristoranti e negozietti di souvenir più o meno turistici, che vendono soprattutto monili realizzati in ambra, ma sempre in casette di legno che non disturbano il paesaggio mozzafiato che diventa sempre più romantico e affascinante man mano che ci si avvicina al castello e il verde della natura inizia a fondersi con il blu del lago. L’ultimo tratto viene fatto solo a piedi attraversando un ponte che porta all’isoletta occupata interamente dal castello di Trakai, che domina il panorama con il suo colore rosso.

http://www.ilgiramondo.net/forum/album-foto/u-30607/lituania+2017/203600-castello-trakai-15.jpg

Si entra in una sorte di grande portone levatoio che porta direttamente nella corte del castello perfettamente integro come costruito originariamente. Il biglietto completo consente di visitare tutte le aree del castello, comprendente varie stanze. Entrati sembra di immergersi in un’altra epoca, e si ha la sensazione che possano spuntare da un momento all’altro accanto a noi dame e cavalieri. I turisti sono tanti ma ci si sposta bene e si entra senza problemi e senza fare code anche nelle tante stanze visitabili nei tre piani del castello, alcune semplicemente spoglie, altri con reperti d’epoca e altre ancora con piccoli musei dedicati alle armi, ai tesori e a tutti quello che è stato conservato del castello. Una serie di stretti passaggi e scalette ripide portano da un lato all’altro del castello in una sorte di labirinto e intreccio di passaggi segreti.

La parte più bella e affascinante del castello è comunque la parte esterna, le sue torrette, i suoi giardini, sempre affacciati nel grande lago calmo, tutto avvolto da un grande silenzio, spezzato solo dal vociare di qualche anatra o cigno che vive nel lago, una sorta di oasi del benessere a cielo aperto, l’ideale per rilassarsi ed estraniarsi per qualche ora dalla routine della vita moderna.

Senza quasi che ce ne rendiamo conto passano rapidamente un paio di ore e la fame incomincia a farsi sentire e allora decidiamo di pranzare in uno dei tanti ristorantini del lungo lago che propongono cibo tipico lituano, soprattutto i “kibinai”, dei fagottini ripieni di carne o verdure, ne prendiamo uno a testa, uno ripieno di pollo e l’altro di verdure miste e poi prendiamo una sorta di pancake di patate che ci portano in quattro maxi porzioni, decisamente abbondanti. Il tempo è sempre clemente, tanto che decidiamo di mangiare nei tavolini all’aperto e godiamo della fantastica vista del castello mentre mangiamo. Si spende pochissimo, circa sei euro a testa e veramente siamo pienissimi alla fine del pasto.

Passiamo un’altra oretta a rilassarci sul lungolago alle spalle del castello, ci chiedevamo perché qualcuno consigliava di considerare una giornata intera da trascorrere a Trakai, visto il solo castello da visitare, ma ci rendiamo conto che veramente vale la pena restare il più a lungo possibile in un luogo così bello e rilassante, la sua visita vale sicuramente il viaggio in Lituania.

Castello Trakai

Per quanto si stia bene, a metà pomeriggio decidiamo di tornare a Vilnius per iniziare a girare un po’ anche nel centro storico della città e vedere le prime attrazioni. Ce la prendiamo comunque comoda passeggiando tranquillamente sul lungolago per tornare alla stazione dei bus e prendere il primo in direzione Vilnius.

Prima di partire pensavamo di girare tutto a piedi a Vilnius, perché il centro storico è abbastanza concentrato in un paio di chilometri, ma avendo visto che il nostro hotel dista almeno una mezz’oretta dal centro e avendo già camminato dalla mattina fino a metà pomeriggio, cambiamo idea e decidiamo di prendere un abbonamento giornaliero di tutti i bus, che vale per 24 ore dal primo utilizzo. Per scrupolo vorrei chiedere se è vero che la validità delle 24 ore scatta al primo utilizzo (come credo), oppure vale solo per il giorno solare e qua nascono nuovi problemi di incomprensione con la lingua. Vado all’ufficio informazioni della stazione e mi dicono che non hanno biglietti dei bus, provo in chiosco con l’insegna dell’azienda dei trasporti, hanno il biglietto ma non capiscono quello che chiedo e comunque poi non mi danno più nemmeno i biglietti, terzo giro all’ufficio turistico nella piazza della stazione e qua sembrano capire quello che intendo, mi confermano la mia teoria, ma per l’acquisto mi rimandano al chiosco antistante, con la addetta alla cassa che mi guarda malissimo prima di vendermi i due abbonamenti giornalieri.

Prendiamo il minibus numero 88 dalla piazza della stazione, l’unico piccolo bus (dimensioni di una navetta dei parcheggi degli aeroporti), che può entrare nel centro storico, non nella via centrale, che è completamente isola pedonale, ma in quelle parallele. Finalmente, entriamo nella Old Town di Vilnius. Decidiamo di scendere nella fermata antistante il Municipio, uno splendido palazzo con grande colonne bianche davanti, L’edificio non è visitabile, ma si affaccia su una splendida piazza e soprattutto è all’inizio della via principale della città vecchia, Piles g., che porta verso la Cattedrale.

Cattedrale Vilnius

Ci incamminiamo nella via storica della città, popolata da negozietti artigianali mescolati a negozi di grandi marche multinazionali, ma anche piena di piccole bancarelle che vendono disegni, collanine e altri manufatti artigianali. Oggi non abbiamo una meta specifica, vogliamo solo assaporare un po’ della capitale della Lituania. Ci sono un certo numero di turisti, molti orientali, ma comunque, considerando che è la via più frequentata dal turismo, in un numero decisamente inferiore rispetto a tutte le altre città europee che ho visitato finora.

La prima cosa che salta agli occhi passeggiando per Vilnius è il numero incredibile di chiese nel centro storico. Dalla piazza del Municipio ce ne saranno almeno 4-5 a vista e passeggiando lungo la via se ne incontrano almeno altrettante e il fatto incredibile è che sono tutte splendide, sia all’interno che all’esterno. Alcune sono cattoliche, altre ortodosse, tutte con stili diverse, ma davvero meritevoli di una visita. Ci sono anche splendidi palazzi colorati e decorati finemente, ben diversi dai palazzoni fatiscenti della zona del nostro hotel.

Entriamo velocemente nelle chiese che incontriamo nel nostro cammino, la prima e San Casimiro, una imponente chiesa cattolica con una grande facciata rosa che si affaccia proprio sulla piazza del Comune. Continuiamo a entriamo in San Nicola, una chiesa ortodossa, con una piccola facciata, una grande cupola e piena di splendide icone all’interno. Poi è la volta della chiesa dedicata ai Santi Giovanni il Battista e l’apostolo, chiesa cattolica con un grande campanile, vicino all’Università. E poi ancora la Chiesa della Santa Madre di Dio, ortodossa e la chiesa del Santo Spirito, cattolica, tutte a poche centinaia di metri l’una dall’altra. E prima di arrivare alla Cattedrale entriamo anche in altre due chiese cattoliche, la Chiesa di San Michele e quella della Santa Croce. Tutte le chiese sono aperte, gli ingressi sono gratuiti, in un paio di casi si stava celebrando una funzione religiosa e in un altro paio invece si stavano celebrando dei matrimoni.

Prima di andare verso la piazza della Cattedrale, decidiamo di andare nella storica Università, una delle più antiche in Europa, prima dell’orario di chiusura, considerando che alla domenica sarà chiusa. L’università è un posto magnifico, con una serie di cortili tenuti benissimo con tanto verde, tanti fiori e tante statue, ecco un altro luogo che induce serenità e relax. C’è pochissima gente, gli studenti sono ormai a casa per il week end e non ci sono molti turisti, ci sediamo in una panchina a riposarci, prima di entrare nel piccolo museo allestito all’interno di un dipartimento e nella storica biblioteca aperta al pubblico gratuitamente.

Università Vilnius

Ormai è quasi l’imbrunire, sono quasi dieci ore che siamo in giro, abbiamo camminato tantissimo, arriviamo giusto nella piazza della Cattedrale per vederla dall’esterno, con la strana caratteristica di avere il campanile staccato dalla chiesa e, senza saperlo ci rendiamo conto solo in questo momento che il giorno successivo Vilnius sarebbe stata invasa da migliaia di maratoneti, perché vediamo la preparazione di pannelli luminosi, stand vari e soprattutto il grande palco per l’arrivo. Non ci facciamo caso più tanto (il giorno seguente invece caratterizzerà la giornata, nostro malgrado) e cerchiamo un bus che ci riporti verso l’hotel. La cena è al solito ristorante Fortas, poi facciamo un giro nel centro commerciale Maxima e andiamo a letto.

La domenica è interamente dedicata a Vilnius e, sapendo che ci aspetteranno molte scarpinate per raggiungere due colline che vogliamo visitare, siamo ben felici di avere fatto l’abbonamento del bus. Andiamo alla pensilina a pochi metri dall’hotel, aspettiamo o il 17 o il 24 che portano in zona cattedrale. Passa l’orario segnato nel cartello, passano altri minuti e non si vede nessun bus, a parte il 3G che arriva dall’aeroporto e va in una direzione diversa da quella che vogliamo fare noi. Diamo la colpa alla domenica. Aspettiamo ancora e il tempo passa. Dopo oltre mezz’ora, sconsolati, diamo per persi il 17 e il 24 e, cartina dei bus sotto mano, decidiamo di prendere il terzo 3G che ci è passato davanti e fare tre fermate per almeno avvicinarci un po’ al centro e poi proseguire a piedi. Peccato che dopo la seconda fermata il bus supera il fiume Neris e quindi procede allontanandosi dal centro. Scendiamo appena possibile, e con Google Maps cerchiamo di capire dove siamo e per poi incamminarci verso il centro a piedi.

Nella mezz’oretta abbondante di cammino (praticamente quello che impiegavano andando subito a piedi dall’hotel), finalmente riusciamo a capire cosa sta succedendo ai bus. Tutto il centro è chiuso al traffico per la Maratona, il cui percorso è una serie di circuiti all’interno della Old Town di Vilnius, quindi molti bus sono stati soppressi e per altri è cambiato il percorso. Davanti ad una pensilina di una fermata sul lungo fiume notiamo anche un cartello che, col senno di poi, c’era anche (attaccato accanto a vari annunci pubblicitari) alla fermata davanti al nostro hotel. Peccato che è scritto solo in lituano e quindi assolutamente incomprensibile per noi.

L’unico dato positivo è che la giornata, nonostante alcune previsioni piuttosto negative, è ancora bella. C’è un po’ di vento, ma si alternano sole e nuvole, comunque non piove. Facciamo tutto il lungo viale che costeggia il fiume e vediamo passare i vari maratoneti, incitati da qualche tifoso e dai tanti ragazzi lituani (presumo volontari) che si occupavano dell’ordine e che nessuno intralciasse gli atleti. La passeggiata è anche piacevole, peccato solo aver perso quasi un’ora tra le varie inutili attese. Arriviamo finalmente nella piazza della Cattedrale, quasi assordati dalla musica fortissima che esce dagli amplificatori allestiti per quella che è stata la partenza e che sarà l’arrivo della maratona.

Prima di entrare in una delle Basiliche più strane che abbia mai visto, veniamo colpiti da un gruppetto di turisti che guardano a terra. Sono accanto la mattonella Stebuklas, una storica piastrella a pochi metri dalla Cattedrale. “Stebulkas” significa “miracolo” e la storia racconta che quello era il più esatto in cui iniziò la immensa catena umana, arrivata fino a Riga e a Tallin per protestare contro il dominio sovietico nelle Repubbliche Baltiche e quel gesto ha dato il via alla ribellione che ha portato alla indipendenza di Lituania, Lettonia e Estonia. Ora si è diffusa le credenza che girando su se stessi per tre volte attorno alla mattonella e esprimendo un desiderio, questo si avveri. Ci mettiamo in coda per fare il nostro giro a 360 gradi e poi entriamo in Cattedrale.

Stebluklas

Come detto, sembra più un museo o un teatro di una chiesa. La facciata è un grande colonnato di marmo bianco, con alcune statue sempre bianchissime. L’interno è piuttosto spoglio e ai lati delle tre grandi navate ci sono piccole cappelle con splendide decorazioni. Il campanile è invece completamente staccato dalla Basilica. Indubbiamente alcune chiese viste il giorno prima e altre due che vedremo sono più belle e caratteristiche, ma questa Basilica dedicata ai santi patroni della Lituania, Stanislao e Vladislao, è assolutamente un punto di ritrovo e di partenza per ogni visita turistica.

Visitata la Cattedrale, ci aspetta la prima scarpinata impegnativa delle due previste, perché vogliamo salire sulla collinetta che ospita la Torre di Gediminas. In linea d’aria sono solo alcune centinaia di metri dalla Cattedrale, ma per arrivarci bisogna salire moltissimo in una stradina a chiocciola con il fondo originale di ciottoli irregolari. Un tempo c’era una funicolare che portava sulla collinetta, ma è stata interrotta da alcuni anni e ora l’unico modo per arrivarci è a piedi. Una gran fatica per arrivare, ma poi la vista della torretta difensiva e soprattutto la vista dell’intera città dall’alto ripaga enormemente lo sforzo e resta la soddisfazione di essere in uno dei posti più belli della Lituania.

Gediminas Tower

La torre è quel che resta del castello che dominava la città, issato dal suo fondatore Gediminas, che aveva lo scopo di difesa e di protezione. Ora all’interno della torre c’è un piccolo museo con immagini storiche della città. Scattiamo diverse foto sia della Torre che del panorama, tra cui quelle alla Collina delle Tre Croci, la nostra prossima meta.

E’ la collina di fronte a noi, ma per arrivarci bisogna riscendere a valle, fare un breve tratto di bosco, e poi risalire attraverso una lunga scalinata in legno ripidissima e poi fare ancora un altro tratto di bosco. Insomma ancora più faticoso di prima. Anche in questo caso la fatica viene ricompensata dalla soddisfazione di aver raggiunto un luogo molto emozionante e spirituale costruito per ricordare il martirio di alcuni monaci crocifissi per aver difeso il cristianesimo. Le croci originali erano in legno, sono andate distrutte e sono state sostituite da queste altissime in marmo bianco. Andati via 4-5 turisti arrivati prima di noi, per alcuni minuti siamo gli unici in questo luogo e la sensazione di forte spiritualità è ancora più intensa. Il panorama è anche qua magnifico, anche se molto simile a quello che si gode dalla Gediminas Tower.

La discesa è meno faticosa, ma bisogna fare una certa attenzione a non scivolare, perché è molto ripida. Incrociamo un paio di parsone che portano a spasso splendidi cani Husky, che ci guardano un po’ strani non so se sopresi nel trovare turisti fin lassù oppure se pietosi per la nostra evidente fatica per scendere la ripida collina.

Tre Croci

Tutte queste scarpinate ci hanno fatto venire fame, entriamo in un fast food e facciamo il pieno di carboidrati e poi l’idea sarebbe di andare nell’unico posto fuori dal centro che volevamo visitare, nella chiesa di San Pietro e Paolo, anche per quello avevamo fatto l’abbonamento ai bus, ma con la viabilità modificata per la Maratona non sappiamo bene se riusciremo ad arrivarci. Andiamo nella piazza antistante la stazione centrale, dove passano almeno una decina di bus e, nella grande pensilina, finalmente, pur con tutti i cartelli solo in lituano, riusciamo a capire i bus soppressi e quelli con il percorso modificato, perché ci sono anche i disegni con i percorsi e le fermate di tutte le linee.

Per arrivare alla Basilica di San Pietro e Paolo ci vogliono una decina di fermate di bus e si arriva in un grande spiazzo alla periferia della città dominato dalla grande chiesa, che è imponente e maestosa anche da fuori, ma la sua grande peculiarità è all’interno, un susseguirsi semplicemente favoloso di stucchi bianchi, con oltre duemila di statue di diverse dimensioni e altrettante decorazioni, un battistero barocco tutto il marmo bianchissimo, un pulpito rococò e per finire un originalissimo veliero che scende dal soffitto. Sicuramente è delle chiese più belle che abbia mai visto e siamo stupiti dalla quasi totale assenza di turisti al suo interno.

Restiamo ad ammirare la grande Basilica per alcune decine di minuti e poi usciamo per prendere di nuovo un bus che ci riporta verso il centro perché abbiamo ancora parecchio da vedere. Purtroppo il tempo è decisamente peggiorato rispetto al mattino, e inizia a cadere qualche goccia di pioggia, ma non ci darà più fastidio di tanto, perché comunque anche se il sole è stato coperto dalle nubi, cadono solo poche gocce ogni tanto.

San Pietro e Paolo Vilnius

Torniamo il pieno centro e andiamo subito a visitare quella che molti considerano la chiesa più bella di Vilnius, la chiesa di Sant’Anna. Sicuramente è la più bella e la più originale esternamente, costruita con mattoncini rossi in stile gotico, molto slanciata, con una serie di guglie e di archi spettacolari. L’interno però è incredibilmente piccolo, dà l’idea di una piccola cappella, più che di una grande chiesa. E basta che siano entrati un gruppo di turisti prima di noi e allora diventa anche piuttosto difficile visitarla, comunque resta un pizzico di delusione nel vedere un interno così raccolto, dopo aver visto la facciata così alta e slanciata.

Subito dietro la Chiesa di Sant’Anna, praticamente attaccata ad essa si trova la chiesa dell’antico monastero di San Bernardino. Anche questa è colorata di rosso esternamente e costruita in stile gotico anche se con tante decorazioni barocche. L’interno è molto più grande anche se meno decorato della vicina Sant’Anna. Si sta celebrando un battesimo mentre la visitiamo allora non vogliamo disturbare la funzione e osserviamo solo i grandi affreschi dal fondo della chiesa.

Abbiamo fatto ormai metà pomeriggio e siamo parecchio stanchi per il tanto camminare, quindi ci meritiamo un po’ di riposo e, per fortuna, siamo proprio all’ingresso del Parco di San Bernardino, una delle più belle e grandi aree verdi di Vinius. Ci sediamo in una delle tante panchine, molte occupate dai reduci della maratone e altre invece da famiglie lituane che portano a passeggio i propri figli.

Il parco del Bernardino è molto bello, c’è anche una fontana “magica” con l’acqua che cambia colore, ci sono tantissime panchine per sedersi e rilassarsi. La tentazione di restare fino a sera a riposarsi è tanta, ma abbiamo ancora un paio di attrazioni da vedere per riuscire nella nostra piccola impresa di visitare praticamente tutto il visitabile di Vilnius in una sola giornata, quindi dopo una breve pausa ripartiamo, attraversando l’intero parco e ci dirigiamo verso la Cattedrale che è comunque poco distante da una delle porte di accesso al parco.

Sant'Anna e San Bernardino Vilnius

Dalla Piazza della Cattedrale, orami svuotata dai maratoneti che hanno finito la proprio impresa e dagli stand pubblicitari, torniamo verso il Municipio, questa volta però non prendendo la via centrale pedonale, ma facendo, almeno per un tratto, la via più elegante di Vilnius, Gedimino pr., con tutti i negozi delle grandi firme internazionali, oltre a ristoranti e caffè molto chic. Casualmente ci imbattiamo anche nella realizzazione di uno stop pubblicitario o di una scena di un film con una registrazione in mezzo alla strada, che comunque era già stata bloccata per la Maratona.

Tornati davanti al Municipio, prendiamo la strada opposta rispetto a quella fatta nel giorno precedente e praticamente continuiamo nella direzione contraria rispetto alla Cattedrale. Dopo poche decine di metri arriviamo davanti all’ennesima splendida chiesa, Santa Teresa. E’ una chiesa cattolica in stile barocco, splendidamente rifinita all’interno, ci deve essere appena stato un matrimonio, perché c’è ancora movimento di persone che tolgono fiori e decorazioni, ma colpisce soprattutto lo splendido altare maggiore e un grandissimo organo a canne che occupa un’intera parete della Basilica.

Pochi passi dopo, come abbiamo già visto in tutto il centro di Vilnius, siamo davanti ad un’altra chiesa, questa volta ortodossa e molto più piccola, la Chiesa della Trinità. Ancora poche decine di metri e siamo davanti all’ultima attrazione che desideriamo visitare di questa città, la Porta dell’Aurora.

E’ l’unica porta della città rimasta, delle nove originali, ma è molto di più di un arco che consente l’accesso al centro storico, come esistono in tante città del mondo. E’ una vera e propria cappella dove si venera la Madonna, rappresentata da una gigantesca icona all’interno della cappella stessa. Si sente una profonda spiritualità accedendo a questa cappella. Ci si può arrivare entrando da una porticina e una scaletta, quasi anonima, posta una ventina di metri prima di arrivare dalla alla Porta.

La Madonna Beata Vergine dell’Aurora riceve migliaia di fedeli ogni giorno ed è venerata da tutti i lituani, sia quelli di religione cattolica, che quelli di religione ortodossa. Pur essendo ormai quasi l’imbrunire quando saliamo noi, c’è ancora molta gente inginocchiata o semplicemente in piedi a pregare davanti all’icona della Madonna. Anche noi ci fermiamo qualche minuto in silenzio, per poi lasciare spazio a chi vuole entrare nella piccola cappella e usciamo ad osservare la Porta dell’Aurora anche dal lato esterno fuori dalla Old Town.

Porta dell'Aurora

Ormai sono oltre dieci ore che siamo in giro, non ci resta che, stanchissimi, tornare verso l’hotel, cenare al solito ristorante Fortas e andare a letto, nell’ultima serata lituana.

Lunedì mattina è l’ultima mattinata da trascorrere a Vilnius, prima di ripartire nel primo pomeriggio. Purtroppo piove anche se abbastanza debolmente. Ci alziamo e prima ancora di far colazione andiamo all’ipermercato Maxima a prendere qualche dolcetto da mangiare a colazione e anche altri da portare a casa, poi, armati di ombrellino partiamo ancora a piedi per l’ultimo giro in centro.

Oltre ad il solito giro tra le vie ciottolate del centro, tra il Municipio e la Cattedrale e un passaggio nella strada Gedimino per acquistare qualche souvenir da portare a casa, decidiamo di andare in un luogo pittoresco e originale, Uzupis.

E’ un quartiere molto bohemien, situato oltre il fiume che attraversa la città, introdotto da un cartello stradale che annuncia appunto di essere arrivati nella “Libera Repubblica di Uzupis”. C’è anche una vera e propria costituzione appesa ad un muro con le regole che valgono solo in quel quartiere. Ovviamente, a livello legale, è solo un quartiere come gli altri e valgono le stesse regole del resto della nazione, ma qua sicuramente c’è più tolleranza,

E’ il quartiere per eccellenza abitato da artisti di ogni genere e si trovano murales ovunque, alcuni anche veramente belli. Andandoci di mattina è ovviamente meno vivo e vitale rispetto alla sera, ma comunque ci facciamo un’idea dell’originalità del luogo. Non mancano personaggi assolutamente “strani”, il più originale ci sembra un tizio che andava a piedi con il casco in testa e in braccio un cagnolino, pure lui dotato di casco di dimensioni ridotte.

Uzupis

Attraversato rapidamente Uzupis, ci ritroviamo nel parco del Barnardino, ma inizia a piovere un po’ più intensamente e non ci resta che tornare verso l’hotel Corner a prendere il nostro bagaglio e alle 12 in punto siamo pronti a rispettare l’orario del check out per riprendere il bus 3G che, in poco più di dieci minuti ci porta, in largo anticipo, all’aeroporto di Vilnius. Altre due ore e mezza di volo e siamo puntuali rientrati in Italia.

Vilnius è la città meno turistica e meno europea tra tutte quelle che ho visitato finora, probabilmente è anche la meno abituata e organizzata per accogliere turisti, comunque è una bella città con tante attrazioni diverse tra loro e un numero impressionante di chiese, una più bella dell’altra. Trakai, poi, da sola, vale il viaggio in Lituania.

Castello Trakai


Dal New England all’Ontario tra oceano, foliage, lupi e alci

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Preparazione del viaggio  

Maine 17 Highway - 1Fine settembre: in mezzo ai soliti annunci commerciali che intasano la mail spicca un’offerta di Air Canada: A/R Malpensa-Toronto a poco più di 400 €.  Qualche momento di riflessione, riorganizzazione dei programmi di lavoro, poi la decisione: si parte. E’ l’occasione buona per realizzare un viaggio pensato da tempo: visitare le regioni famose per il “foliage”, la mutazione cromatica a cui vanno incontro in autunno le foreste di alcune regioni dell’Est americano e canadese, prima di perdere le foglie per il freddo invernale.

In un paio di giorni il piano è fatto: un loop che passando per lo stato di New York raggiunge il Vermont e le zone del foliage, poi si scende verso la costa del Maine fino all’Acadia Park e da lì si risale in Canada verso il Québec e l’Ontario, passando attraverso il misterioso Algonquin Park prima di ritornare a Toronto per il volo di ritorno. Programma impegnativo, che potrebbe risentire del meteo e delle condizioni delle strade. Vedremo.

Periodo del viaggio: prima quindicina di ottobre.

Scelta del volo: destinazione Toronto. Costo 413 € A/R. Valutata anche l’alternativa di volare su Boston, che però costava circa 200 € in più.

Auto a noleggio: 32 € al giorno, con Budget. Una Nissan Altima spaziosa e affidabile. I kilometri da fare sono molti, meglio stare comodi.

Dotazione cartine: New England, Québec e Ontario, nell’ipotesi che il navigatore di Google Maps abbia qualche problema di funzionamento nei luoghi più remoti.

Pernottamenti: quasi tutti pianificati dall’Italia via web, con l’opzione di annullamento senza penali entro 48 h in caso di imprevisti.  A Rockport e Québec cercati al momento, sempre via web. Scelti hotel e B&B con costo variabile tra 28 e 105 € per notte (media sui 70 €).

Tappe previste: Niagara Falls – Burlington – due/tre nel Vermont – due/tre nel Maine (Portland, Camden, Bar Harbor, Lubec) – Québec – Madawaska o Muskoka nell’Ontario.

Km previsti: circa 3000.

 

Niagara Falls by night    

Arrivo a Toronto nel primo pomeriggio. Ritiro macchina e trasferimento a Niagara Falls, dove ho previsto il primo pernottamento. Il traffico all’uscita da Toronto è caotico, peggio che fare la tangenziale Est di Milano alle 6 di sera. Alla fine l’ingorgo si sblocca e proseguendo lungo la QEW (Queen Elizabeth Way) che collega Toronto con Buffalo, si raggiunge abbastanza agevolmente Niagara Falls.

La Niagara Parkway, che segue il corso del Niagara River per 56 km, è sempre stupenda. Si passa tra vigneti con le foglie che stanno già ingiallendo (un anticipo dei colori che si incontreranno nel prosieguo del viaggio), venditori di frutta e dolci homemade, fattorie e wineyards, piccoli college tra i campi, gatti fuori dalla porta in attesa del padrone, ciclisti per la strada e canoisti lungo il fiume.  Lungo il percorso i punti di attrazione sono molti: si passa sotto il Rainbow Bridge che collega USA e Canada, poi si raggiungono il Butterfly Conservatory, il Floral Clock, orologio floreale con le margherite appena sbiadite per l’autunno, le Whirlpool Rapids su cui fluttua appesa a un cavo la funivia che sorvola le rapide (Whirlpool Aerocar), il parco Niagara Glen. Alla fine della parkway c’è Niagara-on-the-Lake, graziosa cittadina affacciata sul lago Ontario dove le surfinie nei vasi appesi per le strade miracolosamente mantengono ancora i loro colori vivaci.

Al ritorno a Niagara Falls la Skylon Tower è aperta (chiude alle 22). Dall’osservatorio a 150 metri d’altezza una leggera pioggerellina non impedisce di ammirare le cascate in versione notturna: potenti fasci di luce colorano di azzurro e verde la Horseshoe Falls, la cascata canadese a ferro di cavallo più grande e famosa, mentre gli statunitensi puntano sul rosso per la Bridal Veil Falls in territorio USA.

Burlington e dintorni      

Il confine con gli Stati Uniti è a pochi km da Niagara Falls. Formalità ridotte al minimo, non chiedono nemmeno di aprire il bagagliaio. Solo un quarto d’ora di attesa a causa dell’immancabile pullman di turisti cinesi da regolarizzare. Si entra nello stato di New York.

Halloween impazza nelle fattorieIl viaggio per raggiungere Burlington, che è la prima tappa prevista in Vermont, è lungo ma non stancante. Bello in particolare l’ultimo tratto che si svolge lungo la US 11, a ridosso del confine tra lo stato di New York e il Canada, per poi entrare in Vermont appena superato il grande Lake Champlain.  Lungo la strada si vedono distese coltivate a grano e tante fattorie variopinte con i caratteristici granai dal tetto spiovente (“barns”). Bambole di pezza, streghe di Halloween sulle scope, pupazzi di stoffa sui trattori e le grandi zucche dalla faccia sorridente illuminate da dentro fanno capolino un po’ dovunque, anche se manca ancora parecchio a Halloween. Qua e là, soprattutto lungo le rive dei fiumi, compaiono le prime macchie bruno-arancio degli aceri in foliage, fenomeno per il quale il New England è famoso. Le soste per le foto, come era prevedibile, sono tantissime, così arrivo a Burlington un po’ più tardi del previsto.

Burlington è la città più grande del Vermont: 60 mila abitanti, più i circa 12mila studenti dell’università che è una delle più antiche d’America. Tutto il New England è disseminato di college famosi: Yale, Syracuse, Providence, Farmington, Massachusetts Institute of Technology, Springfield, la famosa e aristocratica università di Harvard. Il centro di Burlington brulica di studenti che si affollano lungo Church Street riempiendo tutti i locali, al punto che qui alla sera è praticamente impossibile trovare un posto libero in un ristorante (salvo i McDonalds che però mi sono ripromesso di evitare per quanto sarà possibile). Affollatissime anche la gelateria di Ben&Jerry e la pasticceria di Lake Champlain Chocolates. Ripiego quindi sullo Shanky restaurant, con veranda sul lago e le nere sagome dei monti Adirondack sullo sfondo. Malgrado la loro specialità sia il seafood, non mi negano un assortimento dei famosi formaggi del Vermont con una birra locale, proveniente dalla vicina Magic Hat Brewery.

Il giorno dopo, sabato mattina, doverosa visita al campus dell’università, praticamente vuota per il fine settimana quando gli studenti fanno ritorno in famiglia.  Scendo a piedi verso il Waterfront, ma un trambusto proviene dalla vicina Market Place. Come ogni fine settimana, gli agricoltori, gli allevatori o anche semplici casalinghe della zona portano la loro mercanzia nella piazza della chiesa, trasformata per l’occasione in piazza del mercato.  Church Street Market Place diventa una cornucopia di ortaggi, frutta, formaggi (cheddar a profusione), sciroppo d’acero, merletti, statue di legno intagliato, robivecchi che espongono i loro gingilli, barattoli di confettura, cesti di funghi e castagne. Tra la mercanzia si aggirano furtivi gli scoiattoli speranzosi di riuscire a arraffare qualcosa. Il top del mercato sono i gazebo dove puoi fare colazione con i dolci fatti in casa: compro due homemade tartes, una al lampone e una ai mirtilli, che sono una delizia. Impossibile resistere a mangiarsele lì sul posto, respingendo gli attacchi di uno scoiattolo più intraprendente degli altri. Sono talmente buone che decido di prenderne altre quattro: serviranno per la colazione del giorno dopo. Forse, se ci arrivano.

Tappe all’uscita da Burlington: Magic Hat Brewery, a 5 miglia dal centro in direzione sud. Dall’esterno sembra una di quelle fabbriche abbandonate da archeologia industriale, con silos arrugginiti e camini semidiroccati. Ma quando entri scopri le caldaie per la bollitura del mosto, i tini per la fermentazione, la giostra di imbottigliamento. Nella sala di ristoro della birreria propongono accoppiamenti di vari tipi di birre con i migliori formaggi locali: eccezionali il Cabot Clothbound stagionato e il Moses Sleeper, crosta fiorita di tre settimane proveniente dalle fattorie di Greensboro, a una trentina di km di distanza.

Perché “Magic Hat”, cioè “il cappello magico”? Provate a guardare sotto i tappi delle bottiglie: ci sono delle simpatiche frasi magiche tipo quelle sulla carta dei baci Perugina: “hocus pocus non perdere il tuo focus” o “fai la tua mossa per cercare la traccia da seguire”.  In verità le frasi sono abbastanza banali: la vera magia sta nella qualità della birra che è notevole.

Di microbirrifici come questo ce ne sono un sacco nel Vermont, e anche nel Maine. Vale la pena di visitarne qualcuno, ma soprattutto di fare la scorta di bottiglie, perché ho letto che molti ristoranti sulla costa sono alcohol-free e quindi se uno vuole accompagnare il pasto con la birra se la deve portare. Altrimenti, coca cola e soft drinks.

Poco più avanti c’è lo Shelburne Museum. Non sono un fanatico dei musei, ma questo è davvero speciale. Più che un museo, è un’esposizione di quadri storici del Vermont che la famiglia Havemeyer Webb ha raccolto con pazienza certosina e precisione svizzera. Mostra un passato di vita rurale e l’evoluzione della colonizzazione da parte degli immigrati europei, francesi e irlandesi soprattutto. Il must del museo è il Ticonderoga, un piroscafo di 900 tonnellate con la caratteristica grande ruota a pale, che fece servizio sul Lake Champlain fino al 1923. Visitate l’interno della nave: gli specchi, gli stucchi e i velluti dei corridoi e del salone testimoniano uno splendore antico. Come siano riusciti, nell’inverno del 1955, a portarlo qui superando i 3 km di avvallamenti che lo separano dal Lake Champlain, è una storia affascinante. Il piano di trasbordo da solo richiese mesi di studio. Fecero scivolare il piroscafo in un bacino laterale appositamente scavato, poi da lì costruirono una ferrovia speciale, con un treno rinforzato speciale capace di trasportare la nave.

Eccezionale anche la riproduzione dell’antica stazione di Shelburne della Central Vermont Railway, epoca fine ‘900. Ci sono due locomotive a vapore perfettamente conservate e un vagone di prima classe con spaccati di vita di viaggio. L’ufficio del capostazione è di un realismo incredibile, con i fischietti, il telegrafo, la macchina da scrivere a tasti, gli inchiostri, i sacchi della posta, le tabelle con gli orari scritti a mano, gli astucci con i biglietti. Pare di vederlo, chinato sulla fioca luce di una lanterna a olio, mentre studia i tempi e gli incroci dei treni preparandosi all’arrivo di un convoglio.

Altre meraviglie assortite di questo museo: una antica farmacia piena di vasi di erbe medicinali, una fucina con tanto di fabbro in carne e ossa che forgia ferri di cavallo, un faro portato qui da chissà dove, una segheria con macchinari a vapore, una collezione di preziose bambole di pezza, una giostra di quelle con i cavalli a dondolo che ormai non si vedono più, e tanto altro ancora. Non perdetevelo.

 

Attraverso Vermont, New Hampshire e Maine lungo le strade del foliage      

Trout River - Stato di New YorkContinuando lungo la US 7 che scende verso sud si incrociano le scenic byways che percorrono le vallate di queste contee del New England.  Sono almeno una decina quelle che si diramano tra Vermont, New Hampshire e Maine. Sceglietene una tra le tante che deviano a est verso le Green Mountains: sono tutte uno spettacolo. Io ho fatto la Vermont 125 che collega Middlebury con Hancock e consente poi di risalire verso Stowe lungo la VT 100. A Waterbury, poco prima di Stowe, le code lungo la strada segnalano che siamo vicino a un punto degno di nota. Il motivo di tanto interesse è …una fabbrica di gelati. Gli americani vanno pazzi per i gelati della factory di Ben&Jerry.  Pare che sia l’attrazione turistica n.1 del Vermont.  I pulmini verdi e celesti di Ben&Jerry si trovano dovunque da queste parti. La coda per prendere un gelato con gli strani gusti prodotti qui è lunga 100 metri. C’è persino il gelato all’astice (che a me pare praticamente insapore), assieme ad altri gusti opinabili come “la pasta della sera” o “caramello salato biondo”. Lasciamo agli americani la loro ice cream mania: penso che molti dei nostri gelatai ruspanti qui potrebbero fare da maestri.

La cosa più simpatica del luogo è sicuramente il “cimitero dei gusti estinti”. Ebbene sì, c’è un vero e proprio cimitero con tanto di lapidi dove “riposano” i gusti che la fabbrica non produce più, con la data di creazione e la data di ritiro dal mercato. Divertenti gli epitaffi. Esempi: “antica zolletta di prugna che sbattevi nelle nostre bocche ma non sei mai riuscita a soddisfarci” oppure “mirtillo selvatico del Maine, sei stato un soffio evanescente e ti abbiamo trasformato in muffin”.

StowePercorrere le strade di queste contee è un piacere assoluto. Si attraversano paesini bucolici con bianche chiese e annessi lunghi campanili slanciati, e deliziose villette di legno a colori pastello una più bella dell’altra. Tutte con la veranda, tre gradini all’ingresso, la cassetta per la posta sul ciglio della strada, l’immancabile canestro da basket in giardino e le zucche esposte sul prato. Ma mai l’ombra di un cancello, mai una recinzione, al massimo uno steccato che delimita la proprietà di una famiglia da quella dei vicini. Alcuni paesi che degni di nota che sicuramente troveranno il dovuto spazio sulla X-card della vostra macchina fotografica: Stowe, piena di gente intenta a far shopping, Rutland, uno dei pochi con la chiesetta dipinta di rosso, Montpelier, un paesotto che è la capitale del Vermont, Barre, Peacham. La barn rossa di Peacham, con accanto la chiesina col campanile bianco aguzzo e le macchie colorate degli aceri che fiammeggiano, è uno dei punti più fotografati d’America.

Paesaggio lungo la Kancamagus HighwayProseguendo verso est si entra nel New Hampshire. Qui la regina delle strade del foliage è la US 112, la mitica Kancamagus Scenic Byway, o più semplicemente “The Kanc”. Da Lincoln a Albany, la strada attraversa la White Mountain National Forest, tra paesaggi multicolori, boschi chiazzati di rosso e di giallo, i caratteristici ponti coperti, mulini a pale, decine e decine di sentieri che si aprono verso ruscelli e laghetti. Calcolate almeno 5-6 soste.

Lascio “the Kanc” all’altezza di Albany per puntare verso nord raggiungendo la US 2. All’altezza di Gilead si entra nella foresta di Shelburne dove predominano le betulle dalla bianchissima corteccia, che danno il loro contributo di toni chiari ai colori dell’autunno.

Pernottamento a Rumford nella No View Farm: un nome un programma perché il navigatore di Google Maps non riesce a localizzarla e solo con l’aiuto della farmacista del paese riuscirò a raggiungerla, quando è già buio pesto.  Davvero un luogo no view (invisibile). Per la prima volta qui sperimento la camera budget, prenotata via web. Costo solo 28 dollari (23 € circa): in pratica ti danno un posto per dormire, ma i servizi, la doccia e tutto il resto sono in comune con la famiglia proprietaria e con gli altri ospiti. La sorpresa positiva è che nel retro della fattoria c’è una bakery (panificio-pasticceria) gestita dalla signora Kate padrona di casa.  Per sdebitarsi del disagio patito per raggiungerli, mi offre una porzione di mixed berries pie fatta in casa: giuro che le avrei portato via tutta la torta!

Il foliage        

Due parole sul fenomeno del foliage.

IMG_7285In autunno alcune specie di piante decidue, cioè quelle soggette alla caduta delle foglie, vanno incontro a un cambiamento di colore per il degrado della clorofilla dovuto all’abbassamento della temperatura e alla riduzione delle ore di luce. La clorofilla, che è responsabile del colore verde, viene progressivamente sostituita da altri pigmenti che hanno una componente cromatica compresa tra il giallo e il rosso, come le antocianine, i carotenoidi e alcune sostanze fenoliche. In generale, il fenomeno è favorito dal soleggiamento e sfavorito dalla pioggia e dall’umidità, che possono accelerare il processo di caduta delle foglie durante il periodo del cambio di colore.

Nelle regioni del nord degli Stati Uniti e nelle foreste del Canada l’osservazione di questo fenomeno è diventata una vera e propria mania, che coinvolge botanici, fotografi, appassionati di trekking, semplici curiosi. I principali attori di questa mutazione cromatica sono varie specie di acero (maple – vira al rosso), il larice (tamarack – vira al giallo/arancio), la betulla (birch – vira al giallo), il frassino (ashtree – vira all’arancio-bruno), il pioppo (poplar – vira al giallo).

Negli USA e in Canada quello che colpisce sono l’intensità e l’estensione del fenomeno. Distese sterminate di pianure e vallate si riempiono di macchie colorate a perdita d’occhio. Ma anche da noi è possibile ammirare gli splendidi colori dell’autunno: per esempio nelle valli prealpine, nelle Langhe, nelle foreste umbre e casentinesi, nel parco della Sila in Calabria. In Italia contribuiscono al cromatismo autunnale anche specie come il platano, il castagno e il nocciolo. Ma qual è la specie vegetale più soggetta ad accendersi di calde tonalità autunnali gialle e rosse da noi? E’ la vite, cosa che pochi immaginano.

Maine 17 e US 201 “Old Canada Road”         

Alcune tra le più belle strade del foliage non sono nemmeno citate sulle guide turistiche. Semplicemente eccezionali sono i 50 km circa della Maine 17, che da Mexico (si chiama proprio così) conducono in direzione nord verso Oquossoc e il Rangeley Lakes State Park.

Paesaggio lungo la Mancamagus Highway - 2Pioggia e nuvole basse quando faccio questa strada. I colori dell’autunno sono offuscati dall’umidità e da una fastidiosa nebbiolina che sale dal terreno, ma la pioggia non impedisce di cogliere gli stupendi colori delle foreste e delle valli che si susseguono lungo la strada. Sono almeno tre i punti da non perdere: il Coos Canyon all’altezza di Byron e i due overlook collinari che si incontrano poco prima di arrivare all’abitato di Rangeley.

Mano a mano che salgo verso nord qualche sprazzo di luce si fa strada tra le nuvole. Grazie al tempo migliore, la vista spazia su valli e colline punteggiate di giallo, rosa e rosso, inframmezzate dall’azzurro dei laghi e dal verde degli abeti, che per contrasto appaiono persino più brillanti di quello che sono in realtà. In luoghi come questo, molto semplicemente ti siedi su una delle panche dell’overlook e rimani lì a guardare estasiato, perdendo la cognizione del tempo. Poi arriva il solito pullman di cinesi (anche qui!) e allora capisci che è meglio fare un filmino da portarsi come ricordo prima che gli intrusi invadano il luogo per fare le fotoricordo e si infilino anche nelle tue immagini. Arrivato a Oquossoc noto che molti shops lungo la strada hanno già esposto le motoslitte anche se siamo solo all’inizio di ottobre, segno che la neve qui non tarderà molto ad arrivare.

La Maine 17 è magica per il foliage e malgrado la giornata non proprio favorevole la metto al top della mia classifica personale delle strade del foliage.

La magnifica US 201 “Old Canada Road” era la strada principale che dalla costa atlantica saliva verso il Canada prima che venissero costruite le autostrade Interstate 91 e 95. Dopo la diramazione dalla Kennebec Basin - US 201 Old Canada Road 95 i centri abitati che si incontrano si contano sulle dita di una mano. In compenso, il percorso lambisce una quantità infinita di laghi e laghetti che costituiscono il bacino del Kennebec River. Anche lungo questa strada ci sono dei viewpoints sopraelevati che offrono paesaggi mozzafiato. Macchie di rosso, giallo, rosa e verde, più il bianco delle betulle e l’azzurro dei laghi e del cielo: qui non siamo solo davanti a un panorama spettacolare, questa è proprio la tavolozza di un pittore.

Fate attenzione perché a volte questi punti panoramici sono segnalati solo come semplici piazzole di ristoro, senza il cartello “scenic overlook ahead”. La bellezza dei luoghi prosegue in territorio canadese, dove la strada viene rinominata in QC 173. C’è l’alternativa autostradale, l’Autoroute 73 che se possibile sarebbe da evitare.

Consiglio vivamente di scegliere questa strada se intendete trasferirvi dalla costa atlantica al Québec in Canada. Ci metterete magari un po’ più di tempo, ma i vostri occhi (e la X-card) si riempiranno di colori e panorami eccezionali, specialmente in autunno.

Costa Atlantica del Maine          

E’ tempo di scendere verso la costa. Prima tappa a Portland, uno dei centri più importanti del New England costiero. Lascio la macchina in un parcheggio a qualche centinaio di metri dal mare. Passeggiando tra gli edifici in mattoni rossi, tra viuzze punteggiate di caffè, negozi e bar si arriva all’Old Port. Prima di tutto visita al mercato del pesce (attenzione: chiude alle 4), quindi doverosa sosta per il primo lobster di questo viaggio da Portland Lobster & Co, proprio sul lungomare, con accompagnamento di una corposa Allagash brown ale di produzione locale. Allagash è un altro delle decine di microbirrifici di questa regione che si possono visitare. Le loro birre sono prodotte secondo un procedimento molto simile a quello dei trappisti belgi e generalmente non sono filtrate.

Non c’è molta coda al Lobster Pound, si può ordinare con calma e sedersi a uno dei tavolini all’aperto con vista sul molo, approfittando della temperatura sopra i venti gradi. C’è anche un arcobaleno all’orizzonte, segno che deve esserci stato un temporale da poco. Lobster, come noto, sarebbe in realtà l’aragosta e non l’astice, ma gli americani identificano con questo termine entrambi i crostacei. Prima di sederti ti danno un simpatico “lobsterino” di plastica rossa, che si accende e trilla quando il tuo piatto è pronto, avvertendoti che devi andare allo sportello cucina a ritirarlo.  C’è il tempo di fare Portland Head Lighthouseun giro per il porto e quindi di riprendere la macchina per andare a vedere il faro Portland Head Lighthouse a Cape Elizabeth. Ci vogliono solo 10 minuti dal centro. Vale davvero la pena di fare una deviazione per ammirare questo scenografico faro posto su uno sperone roccioso con le onde che si frangono sulla scogliera, specialmente se la giornata è chiara e senza nebbia.

Serata in uno dei pub del porto, con un complessino che suona musica jazz.

Nel programma del giorno dopo ho inserito la visita a Boothbay e Pemaquid Point, ma il tempo è cambiato. Nuvole basse, pioggia battente, una densa nebbia che avvolge ogni immagine. Provo a raggiungere la penisola di Pemaquid, ma il faro, che sarebbe uno dei più belli tra i 67 fari della costa del Maine, rimane un’ombra indistinta nella nebbia. La pioggia continua per tutta la giornata, quindi anticipo il trasferimento che ho fissato a Rockport. Nello spostamento sto ben attento a tenermi alla larga da Cabot Cove, che come noto è la cittadina dove opera Jessica Fletcher “la signora in giallo”, capace di attrarre assassini e omicidi come la carta moschicida. In realtà il luogo non esiste, è solo una finzione cinematografica, ma una toccatina preventiva si impone. Non si sa mai.

Lungo la strada mi fermo per una visita alla “State of Maine Cheese Company”, uno dei caseifici dove si produce il famoso cheddar del New England. Noto che il formaggio è bianco, mentre lo ricordavo di un bel colore arancione. La casara Maureen mi spiega che a est del Mississippi il cheddar è bianco, mentre quello colorato, più noto, lo fanno a ovest aggiungendoci dei pigmenti. Un’altra sezione dello stand è dedicata ai famosi mirtilli del Maine, i blueberries venduti in cestino o in vasetto, con la relativa ottima marmellata.

Camden

Ancora nuvole in cielo oggi, ma almeno non piove. Camden, a pochi kilometri da Rockport, è un paesino grazioso con un porto da cartolina in cui sono ormeggiati una decina di bellissimi windjammer, i famosi velieri a più alberi costruiti nei cantieri del paese e di altri centri vicini.

CamdenPrima della crociera nella baia, che è in programma alle 11, c’è il tempo per salire sulla collina del Camden Hill State Park, da dove si domina la Penobscot Bay punteggiata di 300 e più isole. Sulla destra c’è il centro abitato, con due campanili bianchi alti e aguzzi che spuntano dal verde degli abeti lungo i viali. Qua e là macchie gialle e rosse di aceri in foliage, fenomeno intenso anche qui.

Al molo è pronto il Surprise, uno schooner di 12 metri a due alberi con la carena verde scuro. Lo skipper ci avverte che il meteo non promette niente di buono, quindi non è sicuro di potere issare le vele una volta che saremo in mare. Partiamo, ma non appena siamo fuori dal porto comincia a piovere a dirotto. La crociera, prevista di due ore, si riduce alla circumnavigazione dell’isoletta con il faro di Penobscot Lighthouse e un affrettato rientro in porto. Peccato. Almeno facciamoci una fotoricordo sul Surprise da conservare nei ricordi.

Si prospetta un’altra giornata di pioggia. Piano B: rifugiarsi nella Sea Dog Brewery & Company per un lobster roll con le patatine fritte, il famoso panino con l’astice che viene servito in tutti i pub e i ristoranti (lobster pound) lungo la costa da Boston al New Brunswick. Tra l’altro l’opzione di prendere il lobster roll è più comoda e conveniente che ordinare l’astice intero. Costa meno, ti servono solo la carne dell’astice già estratta dalla coda e dalle chele, non è necessario fare manovre complicate con le pinze per spaccare la corazza e non ci si impiastra nel tentativo di succhiare quello che rimane dentro la carcassa del crostaceo.

Bar Harbor, la pesca all’astice e l’Acadia National Park

Al risveglio, al Ledges Bay motel di Rockport, entra luce dalla tendina: finalmente un po’ di sole dopo tanta pioggia e nebbia, e due giorni di viaggio quasi buttati via per causa del maltempo.

Proseguo il viaggio verso est lungo la costa del Maine. Prima tappa la penisola di Deer, fino a Stonington che sta proprio sulla punta. Questo borgo di quattro case è il primo porto peschiero del Maine. A occhio e croce, credo che per ogni casa ci saranno cinque o sei pescherecci.

Acadia National Park - Vista da Cadillac Mountain 1Ritorno sulla US 1 e proseguo verso est, per poi deviare verso Mount Desert Island e l’Acadia National Park. La giornata di sole ha invogliato un sacco di gente a venire qui per un picnic o per passare un pomeriggio sulle spiagge tra le rocce, così il traffico è abbastanza caotico. Le 27 miglia del loop del parco fanno parte a buon diritto delle scenic byways del Maine. Il percorso è decisamente scenografico, con viste stupende sulle Cranberry Islands e sulla cittadina di Bar Harbor. Una deviazione porta alla sommità della Cadillac Mountain, da cui la vista spazia a 360 °C su un lungo tratto di costa del Maine. Dopo avere macinato tanti km finalmente posso spaparanzarmi su un prato e prendere un po’ di sole.

Rientro a Bar Harbor nel pomeriggio. Alle 3 c’è in programma l’escursione per la pesca all’astice con Lulu Lobster Boat. Lulu è una tipica barca di pescatori modificata in modo da ospitare i turisti. Lasciato il porto di Bar Harbor, ci dirigiamo verso il faro di Egg Island (l’isola dell’uovo). Il sole deve piacere anche alle foche: un gruppo di otarie occupa gli scogli affioranti e rimangono tutte lì sdraiate a crogiolarsi. Curiosamente, mentre passiamo davanti ci seguono con lo sguardo, controllando dove va la barca. Da uno scoglio si leva in volo un’aquila testabianca, mentre cormorani neri e collobianco scorrazzano un po’ dappertutto.

La guida sulla barca ci introduce alla tecnica di pesca all’astice. Mostra alcune gabbie che vengono pasturate con pezzi di pesce andato a male. Pare che gli astici siano particolarmente attratti dall’odore del pesce rancido. Le gabbie hanno una serie di camere di non ritorno, un po’ come le nasse, o le cuette come le chiamiamo qui in Lombardia. Una volta che l’astice, attratto dall’odore del pesce, entra nelle camere, non può più tornare indietro. Nell’ultima camera viene tenuta aperta una finestrella le cui misure sono tarate sulle dimensioni minime consentite per la cattura. Questo permette agli esemplari più piccoli di uscire indenni dalla gabbia. Le gabbie vengono attaccate al caratteristico galleggiante di segnalazione variopinto che si vede in molte fotografie e calate in acqua. Di galleggianti tutto attorno ce ne sono centinaia e centinaia.

Pesca all'astice a Bar HarborDopo una mezz’oretta di giro in barca nella baia ritorniamo a recuperare le gabbie. E’ impressionante come in così poco tempo le gabbie si siano già popolate di astici: due nella prima e ben 5 nella seconda. Chissà quanti ce ne devono essere in queste acque. Gli esemplari pescati vengono utilizzati per una dettagliatissima spiegazione sulla vita del crostaceo, le abitudini alimentari, il comportamento sociale (scopriamo che sono aggressivi e cannibali: uno degli astici pescati manca di una chela, che secondo la guida è stata strappata da un suo simile), come riconoscere se è maschio o femmina, come avviene l’accoppiamento. Alla fine vengono tutti rigettati in mare per la gioia dei bambini presenti sulla barca, che si sono divertiti un sacco.

Cena da Stewman’s Lobster Pound proprio sul molo di Bar Harbor. Lobster roll con verdure e per finire uno strepitoso blueberry pie fatto in casa.

Il meteo del giorno dopo prevede il ritorno della pioggia, per cui abbandono l’idea di proseguire lungo la costa fino a Quoddy Lighthouse, l’estrema punta orientale degli USA al confine con il New Brunswick canadese. Domani si va direttamente in Canada puntando verso Québec.

Bienvenue au Québec!

Il percorso dalla costa dell’Atlantico verso il Québec si snoda lungo la US 201 Old Canada road, che dopo il confine prosegue in Canada come statale QC 173. Un’altra strada meravigliosa per ammirare il foliage, poco o nulla citata dalle guide. Noto che molti aceri qui sono nelle fasi brown e bare, cioè nudi. Hanno già perso le foglie alla sommità, anche se siamo solo a metà ottobre. Più si va a nord, più il periodo del foliage è anticipato. Il tratto di strada che attraversa il bacino del Kennebec River è magnifico. Fermo l’auto in un paio di piazzole a caso e mi addentro un po’ nei boschi, scoprendo cascatelle nascoste e panorami sulle vallate multicolori. La speranza in realtà era quella di incontrare l’alce…. Occhi aperti ma non se ne vedono, pazienza.

Teoricamente per raggiungere il Québec era possibile fare la Interstate, cioè l’autostrada, con risparmio di tempo ma perdendo l’opportunità di ammirare paesaggi splendidi. Formalità di confine ancora ridotte al minimo ed eccoci davanti alla bandiera azzurra del Québec su cui campeggia il giglio bianco, emblema araldico della regalità francese dall’epoca dei Capetingi che nostalgicamente i québecois mantengono nei loro stendardi.

Bienvenue au Québec! Per qualche giorno si cambia lingua.

Québec - Chateau FrontenacProvenendo da sud, si raggiunge Québec col ferry di Lévis, sull’altra sponda del San Lorenzo. In questo modo, oltre a evitare il caotico traffico di ingresso nella città, comune a tutti i grandi centri canadesi, si ha la migliore visuale sulla città bassa e sull’imponente mole del Chateau Frontenac che domina la basse ville. Il castello è in realtà il lussuoso hotel Fairmont.

Trovato un parcheggio, faccio un giro per il centro storico vagabondando senza una meta precisa. Il nome Québec non è di origine francese, come si potrebbe pensare. In realtà deriva dalla parola Algonquin kébec, cioè “dove il fiume si restringe”, riferito chiaramente al San Lorenzo. Ma le insegne, i colori, l’atmosfera sono tali e quali a un quartiere di Parigi. Café de Paris, bistrò, l’hotel de ville (il Municipio), la basilica copia in piccolo di Notre Dame, Rue Saint Louis che da sola vale la visita. Rue du Trésor è affollata di artisti che espongono i loro acquarelli, ci sono musicisti di strada un po’ dovunque, tra cui riconosco il bravissimo arpista che avevo incontrato durante un viaggio precedente.   La Terrasse Dufferin che sormonta il grande fiume San Lorenzo e Rue du Petit Champlain come sempre sono affollate di turisti. C’è la coda per prendere la funiculaire du vieux Québec che collega basse ville e haute ville. Noto che quelli in attesa hanno tutti gli occhi a mandorla. Io faccio la scalinata, che diamine.

In Place de l’Hotel de Ville e nella Place Royale gruppi di studentesse dell’istituto artistico fanno schizzi a matita di scorci della città.  Il Columbus day è imminente: in Place de l’Hotel de Ville c’è una caravella con la statua in cartapesta di Cristoforo Colombo …solo che l’hanno riempita di zucche. Altre due enormi zucche arancio marcano la scalinata di ingresso del Municipio: per le vie della città c’è una curiosa confusione di immagini tra Columbus day, zucche di Halloween, manifesti elettorali per l’elezione del sindaco e proclami di indipendenza del Québec. La costante invece sono i cinesi, scaricati a migliaia da due enormi navi da crociera ormeggiate al porto, che si intrufolano senza ritegno in tutte le fotografie che tento di scattare.

La parete del palazzo in fondo a Parc de la Cetière, all’angolo tra Côte de la Montagne è Rue Notre Dame, è stata interamente dipinta col magnifico Fresque des Québecois, un colossale murale trompe-l’oeil di 420 m2 realizzato dagli artisti di Cité Création. In una ventina di scene l’affresco racconta 4 secoli di storia, dall’arrivo dei francesi nel Québec fino alla guerra con gli inglesi e alla civilizzazione del territorio. Un altro bellissimo affresco murale è più in basso, su un edificio del Quai Chouinard lungo il San Lorenzo.

Qui si respira aria di Europa. Cena da Aux Anciens Canadiens in fondo a Rue Saint Louis. Escargot come entrée e a seguire l’eccezionale tris di carni per cui questo ristorante va famoso: cervo, bisonte e caribù. Conclusione con la tarte d’érable (pasticcio d’acero). Conto alto di 79 CAD (circa 55 €), ma per questo menu ne vale la pena.

Pernottamento al Monastère des Augustines, prenotato la sera prima su internet. Le stanze sono proprio alcune celle delle monache. In effetti sono alquanto spartane: 4 metri per 4 o forse neanche, servizi in corridoio, niente TV. Unica concessione alla modernità: il wi-fi. Un’ala del monastero è riservata alle monache, con ovvio divieto d’accesso per gli ospiti dell’hotel. Si può visitare il refettorio, il coro, la corte per la meditazione, l’archivio delle Augustines che assistevano gli immigrati provenienti dall’Europa, persino un museo. Una scelta suggestiva ma non proprio la più comoda, considerando anche il costo dell’hotel (150 CAD, il più alto di tutto il viaggio).

 

Flashback: il cambio della guardia nella Citadelle

Settembre 2011. Nella notte l’uragano Irene si è appena abbattuto su Québec e ha ingrossato il San Lorenzo colorando le acque del grande fiume di giallo e ocra con fango e detriti. Ma al mattino presto è già uscito il sole: in hotel mi confermano che la cerimonia del cambio della guardia verrà eseguita. Di corsa quindi verso la piazza d’armi della Citadelle nella città fortificata. Alle 10 i soldati del ventiduesimo reggimento Canada Royal “Van Doos” (storpiatura di vingt-deux, 22), in divisa da giubbe rosse e col caratteristico colbacco nero in testa, entrano nella piazza e cominciano a fare strane evoluzioni di cui non si capisce bene il significato. Poi a un certo punto arriva lei: la capra Batisse, mascotte del reggimento e primadonna della manifestazione, fasciata con lo stendardo cittadino. I québecois sono talmente fanatici di questo animale che hanno creato persino il Batisse Fan Club. Come tutte le cerimonie di cambio della guardia, anche questa è svolta a uso e consumo dei turisti e non ha alcun valore pratico. Infatti la fanno solo d’estate. Ma vale la pena di assistere, se non altro per lo stupendo panorama che si gode dall’alto della Citadelle su Québec Ville, sul Chateau Frontenac e sull’Ile d’Orléans in mezzo al San Lorenzo.

Montréal   

Prossima tappa Montréal, che si raggiunge facilmente da Québec con l’autoroute 40.

Solito caos per entrare in città in macchina. Per fortuna Google Maps funziona benissimo e individua un percorso cittadino abbastanza spedito per raggiungere Centre Ville. Le cose interessanti da vedere a Montréal non sono molte. Il tanto decantato quartiere latino volendo si può anche tralasciare.  Ma non si può assolutamente perdere la basilica di Notre Dame de Montréal.

Notre dame de MontréalDietro una facciata neogotica abbastanza anonima si cela un trionfo di decorazioni in legno, dipinti, mosaici, vetrate istoriate, volte a crociera in colori pastello, un grande organo a canne. La meraviglia però sta nello stupendo colore azzurro dell’abside e del coro, che rende l’interno di questa cattedrale uno dei più belli del mondo.

La basilica è diventata famosa per il primo incontro ravvicinato tra USA e Cuba dopo la revoluciòn castrista, quando nel 2000 Jimmy Carter e Fidel Castro si trovarono vicini per partecipare ai funerali di stato dell’ex primo ministro canadese Pierre Trudeau.

In Ontario: Ottawa e il parco delle mille isole

Una trentina di km dopo Montréal, proseguendo lungo la superstrada 401 che costeggia il San Lorenzo, si entra in Ontario e si torna a parlare inglese.  Tra Brockville (cittadina davvero graziosa) e Kingston si estende il Thousand Islands National Park, il parco delle mille isole, un arcipelago d’acqua dolce formato da una miriade di isole e isolotti disseminati lungo il corso del fiume. Fate una crociera in barca perché il percorso fluviale è spettacolare. I tour partono da Brockville e Gananoque. Alcuni raggiungono il Boldt Castle in territorio statunitense. Bisogna accertarsene perché è necessario il passaporto per scendere e visitare il castello, che peraltro è piuttosto insignificante. Gli scorci tra le mille isole, le villette con tanto di torretta di avvistamento, gli aceri rosseggianti sugli isolotti regalano immagini straordinarie. Se poi passa una nave, si rimane letteralmente a bocca Un enorme cargo tra gli isolotti del Thousand Islands Parkaperta. A un certo punto la barca del tour si ferma e accosta. Dietro un bosco di aceri compare la sagoma grigia della prua di una nave. Ma come… si faceva a fatica a passare col battello della crociera! Un enorme cargo sta procedendo verso l’estuario che sfocia sull’Atlantico. Sarà lungo almeno 200 metri: come faccia una nave così gigantesca a passare in pertugi così angusti sfiorando le isole, è davvero un mistero.

La guida sulla barca ci spiega che c’è un preciso canale navigabile segnalato con boe, ma che è necessaria una patente nautica speciale per potere manovrare una nave in questo tratto del San Lorenzo. Comunque sia, a vedere questi mastodonti del mare risalire lentamente il San Lorenzo sfiorando gli scogli si rimane esterrefatti. La foto è tra quelle allegate al diario.

Lascio il San Lorenzo in direzione di Ottawa, la capitale del Canada. Stavolta l’ingresso in città è abbastanza agevole. Il centro si gira facilmente a piedi in un paio d’ore, o un po’ di più se volete fare la visita guidata che parte dalla torre al centro del complesso. Tutti gli edifici più interessanti sono concentrati sulla Parliament Hill, una collinetta che domina la città. Qui c’è una serie di palazzi in stile gotico vittoriano col tetto verde che costituiscono l’insieme del Parlamento canadese: il Centre Block con la Camera dei Comuni e il Senato, la Peace Tower, la torre della pace, l’East Block con gli uffici dei senatori e il West Block con gli uffici dei ministri e le sale riunioni. Ai lati di Parliament Hill corrono l’Ottawa River e il famoso Rideau Canal, quello che d’inverno ghiaccia e si riempie di pattinatori, visto spesso nelle fotografie.

 

Algonquin Park

Algonquin Provincial Park -1L’Algonquin Provincial Park è uno dei più bei parchi del Canada Orientale, poco conosciuto e poco visitato. Si trova a 250 km da Ottawa e a 320 km da Toronto. Nel giro che ho programmato, è l’ultima tappa sulle strade del foliage. Qui il colore che predomina è il giallo-arancio, perché gli aceri rossi hanno già perso quasi tutte le foglie anche se siamo solo a metà ottobre.

Siamo nella regione lacustre Madawaska, che è anche il nome del B&B che ho scelto (Madawaska Lodge), praticamente una fattoria in mezzo alla foresta.

Il parco è attraversato dalla highway 60, che è aperta al traffico commerciale ma non dà diritto di fermarsi e di usufruire delle attrezzature. Per farlo bisogna pagare un biglietto di entrata di 17 CAD al giorno (circa 12 €) e esporre il tagliando in ogni luogo dove ci si ferma.

Il biglietto dà diritto a fare trekking lungo i sentieri, noleggiare bici o canoe, fermarsi per le fotografie. Ai lati della strada e dietro ogni curva si scoprono paesaggi magnifici. Molte delle tracce portano a punti di vista panoramici sopraelevati. Per il primo spettacolare lookout non c’è neanche da camminare: si trova proprio dietro il Visitor Centre. Una visione perdita d’occhio di foreste, laghi e fiumi macchiati di colore per la livrea autunnale.

I must dell’Algonquin Park:

  • i sentieri, tanti e per ogni categoria di visitatori. Alcuni sono davvero facili. Ho fatto il Lookout Trail (2.1 km), il Track and Tower fino alla ferrovia abbandonata (circa 4 km), Hardwood Lookout (1 km) e una parte del Centennial Ridge
  • Algonquin Provincial Park -2i magnifici lookout che si raggiungono alla fine di un sentiero, o a volte direttamente dalle piazzole sulla highway, che offrono panorami mozzafiato
  • gli animali: in questo parco la probabilità di incontrare l’alce e i castori è alta (vedi dopo….)
  • i percorsi ciclabili: le bici si noleggiano presso lo store del Lake of Two Rivers, da dove parte anche la pista ciclabile più lunga e più bella. Sono una ventina di km pedalabili che dopo un tratto lungo una vecchia ferrovia abbandonata si inoltrano nella foresta. Costo 29 CAD/4 ore
  • la canoa. Si noleggiano a Opeongo Lake e Canoe Lake. Meglio il secondo punto, per la maggiore estensione dei laghi e per i colori dell’autunno più variati (sull’Opeongo Lake predomina il giallo). Non avevo mai pagaiato prima: è facilissimo e non stanca. Consiglio di provare anche agli appassionati di kayak. A richiesta comunque noleggiano anche questi. Costo delle canoe o del kayak: 24 CAD/giorno.

Un alce nell'Algonquin Provincial ParkDurante il secondo giorno di visita nell’Algonquin ecco finalmente il re delle foreste del nord. Un alce maschio (moose bull) seminascosto nella boscaglia appena all’inizio del sentiero Centennial Ridge, poco dopo il parcheggio per le auto. L’alce ha ancora in testa frammenti del palco corneale, che cresce in estate e poi viene perso durante l’inverno. Se ne sta tranquillo tra gli alberi a ruminare erba e fronde, incurante dei click dei visitatori che accorrono a frotte. Sarà a una ventina di metri, quindi si riesce a riprenderlo bene, inquadrando col tele il caratteristico muso che sembra un badile.  Dopo un po’ l’alce si stufa, si erge in tutta la sua possanza (2 metri d’altezza per 7-8 quintali di peso) e si inoltra nel bosco scomparendo alla vista.  Tutti subito a controllare le foto per vedere se l’abbiamo ripreso bene, con i soliti scambi di mail: mandami le tue foto dell’alce che io ho quelle dei castori al Beaver Lake, etc… Poi andiamo al Visitor Centre per registrare l’avvistamento sulla lavagnetta delle osservazioni. Vedo che in settimana siamo già al terzo avvistamento di alci. In particolare uno è stato segnalato proprio a Centennial Ridge, quindi si tratta probabilmente dello stesso esemplare. E’ il secondo alce che vedo nei viaggi in questi territori, il primo fu un giovane esemplare nel Montana, ma l’emozione che si prova a vedere questo imponente cervide è sempre forte.

Un souvenir molto speciale 

A parte le solite magliette, felpe, orsi e alci di plastica, magneti da frigo e oggetti in legno intagliato, c’è un souvenir davvero unico che si può riportare in Italia dopo essere stati da queste parti. Poco prima dell’East gate dell’Algonquin Park, accanto all’agenzia di Opeongo Outfitter, c’è The Moccassin House, uno store che vende mocassini in pelle di cervo o di alce. Ce ne sono in stock più di 1000 paia. Prezzo attorno ai 100-120 CAD (70-85 €).

Haliburton Forest: lupi e adrenalina   

Dal Madawaska si passa al Muskoka. In entrambe le regioni l’acqua prevale sulla terraferma, tanto il territorio è disseminato di laghi e laghetti incastonati tra le colline. Sono migliaia e migliaia, uno più bello dell’altro. Il National Geographic le ha incluse nei 20 luoghi “Best of the World”.

 

Camminando tra le nuvole

A un centinaio di km dall’uscita ovest dell’Algonquin Park, dopo un percorso che si inoltra sinuosamente tra gli infiniti laghi della regione, c’è la Haliburton Forest, una proprietà privata che offre due esperienze da provare assolutamente.

Walking in the clouds - Haliburton ForestLa prima è il Canopy Tour. E’ una passeggiata di 4 ore che include trekking, tratti in canoa, e soprattutto l’adrenalinico Walk in the clouds (camminata tra le nuvole), una lunga passeggiata nella foresta sospesi a 20 metri d’altezza lungo una serie di passerelle tra gli alberi. La “camminata tra le nuvole” è lunga 750 metri, ripartiti in 26 sezioni. I momenti più critici sono quelli di sgancio e riaggancio delle funi di sicurezza tra una sezione e l’altra, ma il rischio obiettivamente è contenuto.  Le emozioni che si provano facendo questo percorso sono indimenticabili: vertigine e batticuore quando si guarda giù in basso, palpitazione a ogni ondeggiamento della passerella, una sensazione di dominio sul mondo quando ci ferma a osservare il paesaggio dall’alto sulle piazzole di interscambio. Ci si mette persino la pioggia a rendere sdrucciolevoli gli assi sospesi. Qualcuno scivola facendo ondeggiare paurosamente la passerella, ma l’imbragatura e gli agganci sono a prova di caduta. Arrivati alla fine, ci si sente fieri dell’avventura vissuta.

Il Canopy Tour, prenotato dall’Italia via Internet, è costato 95 CAD (circa 68 €), ma è un’emozione esclusiva che non si dimentica facilmente.

 

I lupi di Haliburton

Due Calzini - il capobranco dei lupi dell'Haliburton Wolf centreL’altro punto di interesse della foresta di Haliburton è il Wolf Centre. Qui vivono in libertà 10 lupi, alcuni grigio-neri di razza Lupo Nero del Labrador, altri dal pelo fulvo e quasi tendente al bianco di razza Lupo del Canada Orientale. Li si può osservare stando dietro una vetrata. Bellissimi   animali, si muovono in gruppo con la caratteristica andatura dinoccolata seguendo il capobranco, un maschio alfa di pelo grigio-beige. Mi ricordano Due Calzini, il lupo di “Balla coi lupi” che il tenente John Dunbar (Kevin Costner) stava cercando di ammaestrare e che verrà poi ucciso dai soldati federali. Fanno una tremenda impressione gli occhi di questi animali, che si stagliano gialli come fari sopra il lungo muso appuntito.  Immagino il terrore che può provare chi si dovesse trovare davanti questi occhi di notte.

Conclusione   

Dopo le avventure nella foresta di Haliburton, che sono state un po’ la ciliegina sulla torta, questo bellissimo viaggio tra foliage, oceano, lupi e alci è terminato. Ritorno a Toronto attraversando la regione di Kawartha, anche questa tappezzata da migliaia di laghi come le vicine Madawaska e Muskoka.

Maine 17 Highway - 2L’autunno è meraviglioso in queste regioni tra la costa atlantica e il sud del Canada. Per il foliage, il periodo migliore dipende dalla latitudine: più si va a nord, più il fenomeno è anticipato. In Québec e Ontario il picco dei colori è verso fine settembre, nel New England invece si protrae fino a dopo metà ottobre. Sia il periodo che l’intensità del fenomeno possono variare in funzione delle condizioni meteo. Le giornate di sole conferiscono alle foglie toni più caldi e accesi, mentre la pioggia tende ad accelerare il processo di distacco dai rami, riducendo la durata del cambiamento di colore.

La mia personale classifica delle strade del foliage: 1° la Maine 17 da Mexico a Oquossoc – 2° Kancamagus highway da Lincoln a Albany – 3° Vermont 125 da East Middlebury a Hancock – 4° US 201 Old Canada highway – 5° Highway 60 in Canada da Maynooth a Huntsville, ma tantissime altre stradine secondarie non citate nelle guide offrono scorci di foliage di uguale intensità e bellezza, col vantaggio di essere praticamente prive di traffico.

Le cittadine più belle: Peacham – Rutland – Stowe – Burlington – Oquossoc – Camden – Stonington – Saint Georges – Brockville – Huntsville.

Stonington - Deer IslandLe scene e i colori che si colgono sono eccezionali. Alcune foto, riviste a fine viaggio con gli amici, ricordano quadri di impressionisti e macchiaioli. L’accostamento con la tavolozza di un pittore, di fronte a tanti stupendi e variegati panorami, è una sensazione che si è ripetuta spesso durante il viaggio.

Il Vermont ha talmente tanti punti di interesse che meriterebbe un viaggio da solo, magari fermandosi un po’ di più a visitare i centri dove gli attivissimi vermonters producono formaggi, dolci, birra, marmellate, oggetti d’artigianato.

Le giornate passate lungo la costa del Maine purtroppo sono state sfavorite dal tempo piovigginoso e nebbioso, ma i rari momenti di sole hanno offerto immagini e impressioni eccezionali. E poi se proprio la pioggia non dà tregua ci sono sempre le birrerie e i lobster pound

L’Algonquin Park si è rivelato una magnifica scelta. E’ lontano dai percorsi turistici più battuti, ma spero che qualcuno dopo avere letto questo diario ci voglia andare, perché merita veramente e cela sorprese dietro ogni cespuglio e nel folto di ogni bosco, con l’aggiunta di panorami indimenticabili.

Riepilogo    

Km percorsi: 3227. Per un viaggio così articolato è fondamentale avere un navigatore, specialmente se capita di dovere fare tratti notturni tra laghi e foreste. A volte per 30-40 km non si incontra neanche una luce. Il navigatore di Google Maps installato sul cellulare si è rivelato molto efficiente, segnalando persino le stradine nei boschi imboccate per sbaglio. E’ necessario impostarlo in modalità attivo offline, per le aree dove non c’è rete web.

Stati attraversati: negli USA New York, Vermont, New Hampshire e Maine – in Canada Québec e Ontario

Parchi: White Mountain National Forest – Rangeley Lake State Park – Camden Hills State Park – Acadia National Park – Algonquin Provincial Park

Animali visti: foche, cormorani, aquila testabianca, scoiattoli, castori, lupi, l’alce

Costo medio di un lobster roll (panino con l’astice) con patatine e birra: 25-30 dollari

Costo medio dei pernottamenti: 63 €

Grazie per essere arrivati fin qui

Luigi

luigi.balzarini@tin.it

Flores e Komodo , Storie Miti e Magie

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Flores -Informazioni utili

Flores è una delle Piccole Isole della Sonda, dalla superficie di circa 14.300 km², la popolazione è di circa 1,5 milioni di abitanti; il centro principale è Maumere.

L’isola è compresa amministrativamente nella provincia di Nusa Tenggara Orientale; è divisa in otto distretti governativi locali:

Su Flores sono presenti molti vulcani attivi, il Kelimutu, l’Egon, l’Ilimuda.

Oltre a Komodo, Flores è l’unica altra zona, dove possono essere avvistati varani di Komodo selvatici, in particolare nella zona orientale dell’isola.

Sull’isola si parlano almeno sei lingue tutte appartenenti al ceppo austronesiano. Nei distretti di Ngada ed Ende, si parla la catena di dialetti di Flores centrale; all’interno di quest’area, vi sono differenze linguistiche fra villaggio e villaggio.

Flores, a differenza di gran parte dell’Indonesia, è per la stragrande maggioranza di fede cattolica, e rappresenta il confine fra l’espansione del cattolicesimo nell’oceano Pacifico e l’inizio della zona islamizzata dell’Asia. In tutta l’isola è ancora forte la credenza animista con riti e magie .

Come arrivare

Voli diretti da Bali con arrivo su Labuan Bajo o Maumere Con Nam Air – Wings air – Lion Air – Garuda

Da Giacarta e altri aeroporti nazionali e internazionali – quasi tutti I voli sono via Denpasar

Come spostarsi

L’Isola di Flores è talmente bella che vale la pena fare un tour, abbastanza stancante e dalle tratte lunghe, ma che vi riempirà il cuore di panorami meravigliosi.

L’ideale è prendere auto e autista, come sempre dare lavoro alla gente del posto, e partire alla scoperta di usi e costumi di questa parte di mondo .

Il mio viaggio

È iniziato a Bali, volo diretto su Maumere con Wings Air (2 Ore.)

Visita dei vari villaggi ikat – Moni e il kelimutu – Ende, blue Stone beach – Riung e il 17 Island National park

Bajawa con i villaggi fiumi e torrenti, Ruteng villaggi risaie – Labuan Bajo

Ha continuato con una crociera di 4 giorni a Komodo National park.

 

Ikat – Dokar village, Sikka,

Chi Viaggia in questa parte di mondo ,deve assolutamente visitare almeno un villaggio dove si pratica ancora questa antichissima arte di tintura e tessitura –
L’ikat è un procedimento per la tintura e tessitura dei filati, diffuso in alcune isole Indonesiane del Nusa Tenggara Timur , Lombok , Sumba , flores e Timor
ikat significa nuvola.

tingere un ikat e’ un procedimento molto lungo , una parte dei filati sono protetti tramite una stretta legatura che una volta sciolta andranno a formare il motivo del disegno, il filato viene immerso in colori naturali derivati da erbe e radici , le parti non legate si colorano , per ogni colore occorrono nuove legature e nuove immersioni .

un ikat semplice, nel quale la tintura è praticata sui fili dell’ordito, uniti in piccoli mazzi legati in modo da ottenere, durante la tessitura sul telaio, il disegno prestabilito e un ikat doppio, nel quale sono trattati con analogo procedimento anche i fili della trama.
i disegni non sono riportati da nessuna parte sono eseguiti a memoria, parlano della vita del villaggio e di questo popolo . 
per fare un ikat di buona qualità occorre circa un anno di lavoro.
Osservare queste donne è come fare un tuffo in un’epoca lontana, è pura arte.
 

Blue Stone Beach-

A vederla dall’alto e’ impossibile non stupirsi, una lunga spiaggia dove la sabbia e’ turchese

In realta’ la sabbia e’ nerissima , ma in gran parte ricoperta da sassi di varie dimensioni nelle varie gradazioni di azzurro ,  sembra sia un fenomeno naturale dovuto a qualche attività vulcanica, I famosi sassi blu esistono ancora, mi sono chiesta se tra qualche anno ci saranno ancora ,perché’ esiste un vero business per la raccolta di queste pietre, sono raccolti dalla gente del posto, in cambio di poche rupie, per poi essere esportati, soprattutto in Giappone, dove sono venduti a caro prezzo per realizzare giardini e altri decori . per adesso ce ne sono ancora e sono bellissimi , noi ci siamo stati , li abbiamo visti e  fotografati.
 

Ngada – misteri e magie di un antico popolo

E’ partendo da Bajawa che raggiungiamo il villaggio di Bena, dell’etnia Ngada. Questa popolazione indigena vive fuori dal tempo, ancora completamente immersa nella propria antica cultura. L’ordine sociale è regolato da una rigida struttura matriarcale.

Quello che li rende particolarmente interessante, è la conservazione totale delle pratiche e dei credi animisti.
Il loro quasi completo isolamento, ha permesso di mantenere pressoché intatti i riti riguardanti la fertilità della terra, i matrimoni, le nascite, la morti . la costruzioni di nuove case.
I simboli che distinguono questa popolazione sono il ngadhu costituito da pali di legno intagliati sovrastati da un tetto di fitta paglia scura con sopra una figura umana che simboleggia gli antichi avi maschili . e il bhaga La riproduzione di una casa in miniatura ed è un simbolo femminile, entrambi rappresentano il culto di questo popolo per gli antenati.
Bena è il villaggio Ngada più interessante e tradizionale, qui si tiene il maggior festival della regione chiamato Reba, tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio. Durante sei giorni di cerimonie hanno luogo danze, canti e offerte di animali che sono sacrificati sulle antiche pietre.
A noi occidentali queste pratiche possono risultare disumane, ma un viaggiatore non deve giudicare con i suoi criteri ma ancora una volta osservare comprendere e avere rispetto per una cultura così antica e unica .

Malanage hot springs

Ecco un altro posto di flores che e’ un peccato perdere, Le sorgenti calde Malanage, sono formate da un fiume di acqua calda che scorre direttamente dal ventre del  vulcano e mescolandosi con un torrente di acqua fresca , da origine a una zona termale tutta naturale .  

I colori di questo fiume caldo sono verde smeraldo , sicuramente dovuto all’alta presenza di minerali 

Ottimo per rilassarsi durante un tour dell’isola e socializzare con la gente del posto che ama fare il bagno in queste acque .

Le Risaie a Ragnatela di Flores

Queste tipiche risaie che disegnano ragnatele verdissime, sono gestite da tutta la comunità, in modo da avere in ogni periodo dell’anno il raccolto. 

Kelimutu – il mistero dei tre laghi colorati.

Di tutti i luoghi visti nel mio viaggiare, questo è uno di quelli che più ha suscitato in me stupore e ammirazione.
Visitato in assoluta solitudine insieme ai miei compagni di viaggio, in un tardo pomeriggio di foschia, i laghi comparivano e sparivano davanti ai nostri occhi, rendendo questo luogo veramente unico .

Il Kelimutu è un vulcano ancora attivo, famoso per la caratteristica dei suoi tre laghi colorati.
I laghi possono avere diversi colori, blu, verde, rosso, marrone scuro .

Un’antica leggenda narra che la variazione cromatica dei tre laghi dipende dall’animo inquieto degli spiriti.

Il primo dei tre laghi, il Tiwu Ata Mbupu detto anche ‘lago degli anziani’, ha un colore azzurro.
Simbolo della purezza e della profondità dell’animo, all’interno del Lago Blu vi andrebbero a riposare gli spiriti degli anziani che hanno condotto una vita Giusta.

Gli altri due laghi sono il Tiwu Nuwa Muri Koo Fai tipicamente verde e il Tiwu Ata Polo, il lago ‘incantato’ il cui colore può variare dal rosso scuro al nero al marrone.
Il mistero dei laghi tricolore non è stato ancora svelato scientificamente.
Si suppone che i colori, dipendano dall’attività vulcanica che si sviluppa nei fondali dai quali fuoriesce vapore e gas composti dal biossido di zolfo, cloruro d’idrogeno, solfuro e anidride carbonica.

Rimane ancora un mistero anche il fatto che sia nella stagione secca sia con abbondanti piogge il livello dei laghi rimanga sempre invariato .

Chi decide di visitare questo posto la faccia sapendo, che i colori dei laghi saranno una sorpresa una volta raggiunta la cima della montagna.
A differenza di altri laghi vulcanici, il Kelimutu resta un mistero, destando stupore ogni volta che emergono dalla foschia, perché’ non c’è dubbio sulla magia di questo meraviglioso posto .

Riung, se non è il Paradiso, ci assomiglia molto.

Se devo pensare a un posto di marea veramente bello e incontaminato ,dove sicuramente ritornerò, la mente e il cuore mi riportano a Riung, arrivarci è dura, la strada è lunga e malmessa, il paesino scomposto e polveroso fatto da semplici case di pescatori e poche guest house a gestione locale, senza acqua calda internet o energia elettrica (solo generatori, quando funzionano !) non fate caso a questo , prendete la barchetta locale , fatevi condurre in questo meraviglioso arcipelago formato da venti isole, anche se gli Indonesiani le hanno chiamate 17 isole, in ricordo del giorno dell’indipendenza, (17 Agosto), sono completamente disabitate, bellissime e circondate da giardini di corallo multicolore .

 

Labuan Bajo la baia del tramonto

Labuan Bajo, Fino a qualche anno fa’ era solo un piccolo villaggio di pescatori adesso è diventata la porta d’ingresso al parco nazionale di komodo.

La città è brutta sporca e disordinata, anche se ricca di ristoranti ,warung ,guest house e tutto quello che può servire al turismo.

Nulla di questa cittadina rimarrà nel cuore … ma salendo sulla collina che la sovrasta, di certo non scorderete la magnifica vista sulla baia e i suoi tramonti infuocati.

 Komodo, ancora Asia e già Oceania

Il Parco Nazionale di Komodo comprende tre isole principali, Komodo, Rinca e Padar e molte altre piccole isole. Sono di origine vulcanica. Si sono formati milioni di anni fa, si stima nel giurassico, sulle due placche continentali di Sahul e Sunda: hanno picchi aguzzi che raggiungono i 700/900 metri.
Gli abitanti di queste isole sono pescatori, per lo più nomadi, provenienti da Flores, Sulawesi e altre isole intorno, circa 4000 persone, suddivise tra i quatto, maggiori centri abitati e i molti piccoli villaggi.
Patrimonio Mondiale Naturale dell’UNESCO all’inizio solo per la conservazione del famoso Dragone di Komodo la protezione si è poi estesa anche ai fondali, che ospitano oltre 1000 specie di pesci e 260 di coralli fra molli e duri.

Nel Novembre 2011 l’isola di Komodo è stata inserita nell’elenco delle Nuove Sette Meraviglie Naturali del Mondo.
E’ qui che L’oceano Pacifico s’incontra con l’oceano Indiano, la una corrente oceanica è impressionante con un vero e proprio ribollire del mare e forti mulinelli.
L’Asia che abbraccia L’Oceania, creando a un ambiente unico e prezioso.
Il Parco è considerato una delle destinazioni mondiali più interessanti dal punto di vista naturalistico sul pianeta. Uno dei più ricchi ambienti marini del mondo, oltre a poter avere incontri ravvicinati con il Dragone di Komodo.
Non venite a Komodo solo per il mare, scegliete questa destinazione per ammirare uno dei grandi miracoli della natura, coscienti che tutto qua’ è fragile e prezioso e dobbiamo avere un totale rispetto per luoghi così unici.

Isole…….

Sia sia decidiate per una breve crociera, o che scegliate un resort di lusso , o che decidiate di rimanere a Labuan Bajo e fare escursioni giornaliere, Le isole di questo piccolo arcipelago non vi deluderanno .

Noi continuiamo il nostro viaggio con una navigazione tra le isole del Komodo National park, la barca è semplicissima , due cabine basiche con due tavole di legno come letti e un minuscolo bagno in comune, il ponte superiore non ha nemmeno il parapetto ,ma i ragazzi dell’equipaggio sono gentili e ci vizieranno con cibo fresco preparato al momento, escursioni personalizzate fatte al mattino prestissimo in modo da poter vedere ogni luogo in solitudine, a Rinca siamo entrati che ancora il parco non era aperto, stessa cosa a Padar alle 7.30 del mattino eravamo già in cima alla vetta

 Padar Island

Ci sono luoghi che incantano per la sua unicità, per l’emozione che regalano, Padar è uno di quelli.

Osservare quest’isola dalla forma bizzarra dall’alto vi ripagherà dalla fatica che avrete fatto per arrivare alla cima, siete nel primordiale territorio dei draghi di Komodo, c’è chi dice che si aggirano ancora liberi a Padar !

Poserete il vostro sguardo sulle vette aguzze che sprofondano in un mare trasparente, sulle ampie baie a mezzaluna, sentirete il silenzio totale che vi circonda e il calore del sole sulla pelle, scenderete giù’ dal ripidissimo sentiero, coscienti di avere avuto un altro meraviglioso regalo della natura da conservare per sempre nei vostri ricordi.

Io lo metto di diritto tra i posti più emozionanti che ho visto!

IL  DRAGONE DI KOMODO

Esiste una zona in Indonesia, che ha un parco nazionale dichiarato patrimonio dell’Unesco, dove il tempo sembra essersi fermato all’epoca in cui vivevano i dinosauri. Sì, perché qui, il signore incontrastato che regna sovrano è il Drago di Komodo, un rettile appartenente alla famiglia dei varanidi, la più grossa specie di lucertola vivente.
I Draghi di Komodo rappresentano i più grandi rettili conosciuti sulla Terra ed anche gli animali dal veleno più potente. Il parco nazionale di Komodo è situato nei pressi delle isole indonesiane della Sonda, e include Komodo, Rinca e Padar, oltre ad altre isole minori. Copre un’area totale di 1817 km quadrati, dei quali 603 è di terra.
I Draghi di Komodo sono carnivori e cannibali. Gli esemplari adulti, se il cibo scarseggia, non esitano a mangiare i loro simili, specie se di dimensioni più ridotte. Essi non riconoscono i propri figli, e di conseguenza sono spinti a cibarsi di essi.

I nuovi nati sono immediatamente abbandonati al loro destino, come sempre accade nel mondo dei rettili.

I piccoli si rifugiano sugli alberi, per fuggire ai loro stessi genitori.

Pink Beach ….

Sicuramente bella, una vera cartolina, peccato sia diventata molto turistica e inflazionata, la voglia di posare i propri piedi nella soffice sabbia rosa che si perde in un mare limpidissimo, non è frenata nemmeno dal divieto di ancoraggio, un via vai continuo di barchette locali trasporta sulla baia schiere di turisti , dei posti che ho visto a komodo è quella che meno mi ha colpito, siamo stati gli ultimi a lasciare pink beach, mentre tornavo verso la mia barca, ho dato un ultimo sguardo alla bellissima baia finalmente deserta, ho visto un maiale barbuto e i suoi piccoli che sbucavano dalla vegetazione , era di nuovo la loro casa , bellissima e selvaggia  …  E’ cosi che mi piace ricordarla .

Kalong Island e le sue Volpi Volanti

Kalong Island è una piccola isola circondata da una fitta vegetazione di mangrovie.

Al crepuscolo, mentre il sole che tramonta colora di rosso il cielo, migliaia di pipistrelli lasciano il loro rifugio tra gli alberi e si alzano in volo, andranno in cerca di cibo a Flores .

Questa migrazione è uno spettacolo magnifico, capace di far rimanere stupito ogni viaggiatore che ha la fortuna di poterlo ammirare .

Queste Volpi volanti giganti appartengono alla specie di Sunda Flying Fox, endemica in Indonesia, si trova solo nelle Piccole Isole della Sonda (Nusa Tenggara) Lombok, Sumbawa, Sumba, Flores.

Come soggiornare a Komodo

La soluzione migliore per visitare Komodo rimane la navigazione, fatta con le barche locali, niente di lussuoso, ex barche da pescatori risistemate alla meglio, per accogliere un turismo che sa’ rinunciare alle comodità in favore di una natura unica e magnifica.

Altre possibilità sono

soggiornare a Labuan Bajo e fare uscite giornaliere , io consiglio le strutture sulla collina da dove poter ammirare uno splendido tramonto sulla baia , io ho scelto Golo Hill top

Soggiornare in una delle isole che hanno strutture:

Diving Komodo ResortAngel Island , bellissime isole con strutture di lusso

Kanawa island – isola molto bella ma con una struttura esageratamente basica e trasandata

Riflessioni di viaggio

Ho amato Flores, isola bellissima con continui su e giù dalle montagne al mare, panorami vari e bellissimi, ammetto che il tour è lungo e stancante, è un viaggio adatto a un piccolo gruppo di amici ,per via delle lunghe ore da passare in auto.

Komodo mi è piaciuta molto ,ma ho trovato un sacco di turisti, tantissimi italiani, forse mi aspettavo luoghi più incontaminati e solitari, certo impossibile scordarsi le albe meravigliose e i tramonti che ho potuto ammirare dal ponte della barca

 

 

Lungo le coste del New England

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Volevamo farci un viaggio extra-Europa, ma senza una meta precisa in testa (in realtà, di mete in testa ne ho anche troppe, è questo il vero problema); su Skyscanner troviamo, per il periodo che ci interessava, un volo per Boston ad una cifra molto interessante. Dove si può andare partendo da Boston, avendo a disposizione una decina di giorni? Inizialmente abbiamo pensato alla Cascate del Niagara e la cosa mi ha parecchio esaltata. Certo la distanza in auto non è poca, circa 7 ore, ma con una o due tappe intermedie sarebbe diventato tutto sommato fattibile. Però lungo il tragitto non c’era molto che mi interessasse… Scopro, invece, che nel New England ci sono un sacco di parchi e zone naturalistiche molto interessanti, tra cui addirittura un Parco Nazionale: l’Acadia National Park. E alla fine l’opzione Niagara viene accantonata a viaggio da destinarsi…

L’Acadia diventa così il fulcro centrale del nostro viaggio. Avremmo voluto vedere tante altre cose: il New Hampshire, la zona nord del Maine al confine col Canada, le White Mountain… Ma alla fine abbiamo deciso di dedicare ben 5 giorni all’Acadia: come sempre, avendo poco tempo a disposizione, bisogna fare delle scelte, e noi preferiamo sempre vedere magari meno cose, ma godendocele di più.

I primi giorni del viaggio, invece, abbiamo deciso di passarli in Massachusetts: l’idea originaria era stare proprio a Boston qualche giorno, ma i prezzi folli degli alloggi ci hanno fatto desistere. Molti non condivideranno questa scelta: sì, lo so, Boston è molto carina, vivibile, la città più europea degli Stati Uniti etc etc… ma noi non siamo particolarmente attratti dalle città americane, quindi non siamo pentiti.

VOLO

Il volo, con Swiss, trovato al prezzo di 440 euro A/R, partiva da Milano con breve scalo a Zurigo di un’ora a tre quarti. Zurigo ha la fama di essere uno dei migliori aeroporti europei per gli scali, quindi eravamo abbastanza tranquilli. Peccato che arrivati a Malpensa il nostro volo risultava cancellato! Panico! Ai banchi della Swiss ci hanno detto che saremmo partiti col volo successivo, un’ora dopo, ma a quel punto lo scalo diventava di soli 45 minuti… Potevamo farci poco, quindi abbiamo cercato di prenderla con filosofia, mal che vada ci saremmo fatti una serata a Zurigo offerta da Swiss… E invece siamo riusciti a prendere la coincidenza, nonostante un po’ di coda al controllo passaporti e nonostante abbiamo dovuto anche cambiare terminal. E pure le valigie sono arrivate a destinazione. Al ritorno, invece, tutto regolare (in ogni caso al ritorno lo scalo era di tre ore…)

Volo confortevole sia all’andata sia al ritorno, con una buona scelta di intrattenimento anche in Italiano: quindi, nonostante la partenza non proprio felice con la cancellazione, Swiss promossa a pieni voti!

ALLOGGI

I primi tre giorni abbiamo alloggiato in una cittadina a nord di Boston, Lynn, in una stanza con bagno privato prenotata tramite Airbnb: soluzione un po’ spartana, ma ad un ottimo prezzo (140 euro per tre notti) considerata la zona; starci più giorni sarebbe stato impegnativo, visti gli spazi non proprio enormi, ma per tre soltanto è andata bene.

Nel Maine abbiamo poi alloggiato a Winterport presso Crooked Steeple Hall: prenotato su Booking per 575 $ per sei giorni, si è rivelato un appartamento grande e spazioso, dotato di molti comfort (lavatrice, asciugatrice, Netflix…) al piano terra sul retro di una vecchia chiesa (nel resto dell’edificio, invece, stanno ricavando una location per cerimonie). A posteriori, forse, avremmo scelto una località più vicina all’Acadia, dove i prezzi però erano decisamente più alti.

L’ultima notte infine l’abbiamo passata al Best Western Plus North Shore Hotel a Danvers, per riavvicinarci a Boston: l’hotel aveva appena terminato i lavori di ristrutturazione e cambio di proprietà (e anche di nome: infatti non lo trovavamo!), quindi si presentava decisamente nuovo e ben tenuto; camere grandi e ben rifornite. Per una sola notte prezzo non bassissimo (97 euro) ma comprensivo anche di prima colazione.

MEZZI DI TRASPORTO

Abbiamo noleggiato un’auto tramite Autoeurope con Avis: 277 euro per dieci giorni, comprensivi di assicurazione totale. Ci è stata data una Focus praticamente nuova. Piccolo dettaglio: c’era la possibilità di noleggiare il GPS, ma visto il costo non proprio esiguo abbiamo deciso di affidarci a una app offline. Arrivati sull’auto scopriamo però di avere un navigatore touch-screen integrato, di cui ci siamo serviti per tutto il viaggio… ma quindi, se avessimo noleggiato il GPS, avremmo speso un sacco di soldi in più, con pure la beffa di dovercelo portare sempre appresso?!

Negli States la benzina è decisamente più economica che da noi. Per spostarci in Maine abbiamo utilizzato l’autostrada, l’Interstate 95 (che attraversa da nord a sud tutta la East Coast) attraversando anche alcuni caselli con pagamento di pedaggio: in tutto, comunque, abbiamo speso 7 dollari a tratta, che per circa 350 km di viaggio direi essere un prezzo più che onesto.

Negli Stati Uniti ogni stato ha una legislazione a sé per quello che concerne le patenti straniere: in Maine, per esempio, è sufficiente la patente italiana, mentre in Massachusetts è richiesta anche quella internazionale. So che in molti ignorano questa legge e girano ugualmente con quella italiana, anche perché all’atto di noleggiare e ritirare l’auto quella internazionale non viene minimamente richiesta. Però abbiamo preferito non correre rischi inutili e richiesto quindi la patente internazionale (la si può richiedere in motorizzazione o, ad un costo decisamente maggiorato, in autoscuola).

PROCEDURE PER GLI STATES

Per entrare negli States è necessario fare richiesta dell’Esta (sito ufficiale: https://esta.cbp.dhs.gov/esta/); il nostro era ancora in corso di validità dal viaggio precedente (dura due anni), quindi non abbiamo dovuto rifarlo.

Non obbligatoria formalmente, ma consigliatissima ovviamente, l’assicurazione sanitaria.

IL NEW ENGLAND

Il New England è la zona più nord-orientale degli Stati Uniti, composta da 6 stati: Maine, New Hampshire, Massachusetts, Vermont, Connecticut e Rhode Island. Esso è famoso, a livello turistico, soprattutto per il foliage, quel fenomeno per cui in autunno le foglie degli alberi assumono colori molto vivi tra il giallo, l’arancione e il rosso: per questo motivo il periodo tra la fine di settembre e la prima metà di ottobre è considerato alta stagione, soprattutto in Vermont, New Hampshire e alcune zone del Maine. La costa del Maine è invece molto frequentata anche nei mesi estivi, essendo un susseguirsi di spiagge e cittadine turistiche: non per nulla il soprannome del Maine è Vacationland!

26 AGOSTO        Si Parte!

Come già anticipato, nonostante il primo volo cancellato, il viaggio d’andata è andato abbastanza bene.

Alle 15.30 circa ora locale eravamo a Boston.

Dopo le solite trafile all’immigrazione (tutto sommato l’attesa non è stata neanche troppo lunga e l’addetto ci ha fatto una domanda a malapena) e ritirato i bagagli, abbiamo preso la navetta che conduce alla zona degli autonoleggi. Recuperata la macchina siamo partiti alla volta di Lynn.

La nostra casa era in un quartiere residenziale tranquillo, in una zona abitata perlopiù da ispanici (al supermercato ci hanno parlato in Spagnolo!) … non pensavo che da quelle parti ce ne fossero così tanti!

Cena veloce e a letto presto distrutti: d’altronde eravamo in piedi da quasi 24 ore!

27 AGOSTO        Salem e Cape Ann

La dormita ci ha rigenerati; la giornata si presentava molto bella, con un fantastico cielo terso.

Il programma prevedeva di andare a Salem, nota come la città delle streghe per il famoso processo alle streghe del 1692, che ha ispirato anche diversi film. Arrivati abbastanza presto, essendo domenica mattina, la città era abbastanza vuota; abbiamo camminato fino al faro per poi tornare verso il centro; a quel punto, avvicinandosi l’ora di pranzo, la città si era parecchio animata. Spiccavano poi personaggi travestiti che proponevano improbabili tour horror… probabilmente in autunno, nel periodo di Halloween (che a Salem tra l’altro viene festeggiato per tutto il mese) avrebbe anche un suo perché, ma in una soleggiata giornata di agosto con 23°C non è che ci fosse tutta questa atmosfera dark, anzi!

Le streghe la fanno da padrone in generale: museo delle streghe, casa delle streghe… Noi, per variare un po’argomento, abbiamo visitato invece la Ropes Mansion Garden, una dimora del 18esimo secolo e i suoi giardini accanto.

Nel pomeriggio ci siamo poi spostati verso la penisola di Cape Ann. La prima tappa è stata Gloucester, importante centro dell’industria del pesce e da sempre cittadina di pescatori: spicca infatti sul lungo mare il monumento ai caduti in mare. E’ qui, inoltre, che era ambientato il film con George Clooney La tempesta perfetta. La passeggiata sul lungo mare (tappezzato di bandiere americane, un grande classico di questo viaggio: abbiamo visto bandiere ovunque, addirittura attaccata all’auto) è gradevole e uno dei passatempi è fermarsi, per scelta o per forza, a osservare il ponte stradale semovibile sollevarsi per permettere l’uscita in mare, dal canale, delle barche più grandi; c’è chi, addirittura, si è organizzato con le sedie per godersi lo spettacolo!

Tornando da Gloucester ci siamo fermati a Manchester-by-the-Sea: anche in questo caso è stato qui ambientato un film, che ha preso proprio il nome dalla cittadina omonima. Il caso ha voluto che lo vedessi lo scorso inverno proprio pochi giorni prima di prenotare inaspettatamente il volo per Boston… chi l’avrebbe mai detto, allora,  che qualche mese dopo mi sarei ritrovata proprio lì!

Tuttavia il film, ambientato in inverno e con una trama decisamente drammatica, trasudava grande malinconia, mentre nel nostro caso la bella giornata trasmetteva solo una sensazione di pace.

28 AGOSTO        Newburyport e Plum Island

Eravamo indecisi sul fare un giro a Boston o spostarci verso qualche zona naturalisticamente interessante. Ma la giornata splendida come il giorno precedente ha deciso per noi: si va allo State Park di Plum Island a fare birdwatching!

Lungo la strada una sosta alla graziosa cittadina di Newburyport e poi dritti al centro visitatori del parco, dove l’addetta era molto stupita di trovarsi davanti due italiani.

L’ingresso al parco costa 5 dollari ad auto. Lungo la strada ci sono diversi parcheggi da cui partono, sulla sinistra, i sentieri che conducono alle spiagge, sulla destra quelli che conducono invece verso le torrette di avvistamento.

Le spiagge, vista la bella giornata, erano molto gettonate, ma noi abbiamo decisamente preferito dedicarci al birdwatching: grazie al nostro binocolo siamo anche riusciti a vedere qualcosa di interessante. Anche qui le persone con cui abbiamo interagito erano stupite che fossimo Italiani: quelle zone sono sì molto turistiche e gettonate dagli Americani, ma non sono certo così frequentate dagli Europei.

Alla fine della strada si raggiunge un’altra riserva, Sandy Point, che credo sia molto gettonata tra i locali per la spiaggia: infatti il parcheggio (piccolo, a dire il vero) è spesso pieno e bisogna aspettare che esca qualcuno per entrarvi.

Plum Island è decisamente un posto carino dove passare qualche ora a contatto con la natura; peccato che all’interno non vi fossero punti ristoro e noi fossimo completamente senza cibo… quindi alle 14 passate siamo fuggiti verso Newburyport in preda ai morsi della fame!

Di ritorno verso casa una sosta alla cittadina di Ipswich, che non abbiamo trovato nulla di che.

29 AGOSTO        Verso il Maine

Giornata dedicata al trasferimento verso il Maine. Il viaggio è durato poco meno di 4 ore ma è stato tranquillo. La giornata non era bella come i giorni precedenti, il cielo era abbastanza nuvoloso, ma tutto sommato dovendo stare chiusi in auto meglio così.

Sapevamo che Winterport, la cittadina dove avevamo affittato l’alloggio, fosse piccola, ma non immaginavamo così: qualche casa lungo la strada principale, una pizzeria, un negozio di the e tanti altri negozi chiusi o abbandonati. Anche molte case sembravano abbandonate e adibite ora a magazzino. Tutto intorno prati e boschi e poco lontano il fiume Penobscot. Diciamo che non mi stupisce che la fantasia di Stephen King, vivendo da quelle parti, abbia elaborato certi romanzi…

Stanchi per il viaggio non avevamo voglia di fare molto, ma anche la sola ricerca di un supermercato da quelle parti è stata un’impresa non banale.

30 AGOSTO        Acadia National Park (Loop road)

Non abbiamo perso tempo e ci siamo diretti subito verso l’Acadia; purtroppo il cielo era completamente coperto, ma da previsioni non era attesa pioggia. Lungo la strada, soprattutto avvicinandoci al parco, abbiamo notato un gran quantitativo di lobster pound (il Maine è famoso per i suoi astici, che vengono serviti in questi localini); anche i venditori di mirtilli a bordo strada non mancavano. Anche qui, bandiere a stelle e strisce ovunque, anche se qua e là faceva anche capolino qualche bandiera canadese.

L’Acadia National Park si estende prevalentemente su parte del territorio della Mount Desert Island; quest’ultima è collegata alla terra ferma da un ponte. Poco prima di arrivare sull’isola vi è un centro di informazioni turistiche, dove è possibile farsi dare informazioni sul parco, recuperare qualche mappa e qualche rivista e, soprattutto, acquistare il pass d’ingresso al parco: esso costa 25$ ad auto e vale per una settimana; non è ovviamente cedibile a terzi, ma ci ha lasciato perplessi il fatto che sul pass non ci fosse un nominativo o il numero di targa: grande fiducia nel prossimo, negli Stati Uniti! Essendo il parco esteso a macchia di leopardo sull’isola, non c’è un vero e proprio ingresso, ma qua e là vi sono dei controlli (noi in realtà ne abbiamo visti solo un paio) e bisogna quindi tenerlo esposto. C’è anche un servizio autobus, volendo, per spostarsi all’interno del parco; non mancano, poi molti bagni pubblici (a dire il vero li abbiamo trovati un po’ ovunque, anche nelle città, e devo dire che erano sempre ben tenuti).

Come prima giornata abbiamo deciso di dedicarci al giro classico: dopo una sosta al centro visitatori, molto affollato, imbocchiamo la strada per la cima della Cadillac Mountain, la montagna più alta del parco nonché della costa atlantica settentrionale (ma chiamarla montagna è un po’ azzardato: si tratta di soli 466 metri). La vista sarebbe anche bella, ma col cielo grigio non rende molto. La Cadillac Mountain è molto frequentata nelle primissime ore del mattino: si dice che qui è possibile vedere la prima alba del Nuovo Continente; anche se geograficamente non è proprio vero, deve essere bello lo stesso. Noi però ci abbiamo creduto sulla fiducia: ad agosto l’alba è decisamente troppo presto, soprattutto per noi che avevamo anche un’ora di strada da farci!

Abbiamo proseguito poi lungo la Park Loop Road, una strada ad anello che passa per i punti più famosi del parco, tra cui Sand Beach, Thunder Hole, Otter Point; presso ognuno di essi vi sono dei parcheggi e qua e là partono sentieri più o meno impegnativi. Tutto molto suggestivo, laghi, fiumi, fiordi e mare si confondono tra loro nella Mount Desert Island: l’acqua è uno degli elementi predominanti di questa zona del Maine.

Nonostante la giornata non fosse bellissima, il parco era molto affollato e non sempre si trovava posto nei vari parcheggi; sbirciando le targhe, abbiamo notato come ci fossero turisti provenienti un po’ da tutti gli States, ovviamente con una prevalenza di quelli della East Coast.

Conclusa la Loop Road, siamo andati a farci un giro a Bar Harbor: città principale della Mount Desert Island, è una località molto turistica, affollata di hotel, ristoranti, negozi di souvenir; non mancano neppure le agenzie turistiche che organizzano escursioni di diverso tipo, tra cui le immancabili uscite in mare per vedere le balene.

31 AGOSTO        Acadia National Park (Jordan Pond Path)

La giornata si presentava stavolta bellissima e abbiamo quindi deciso di approfittarne per fare un po’ di trekking all’Acadia; ci sono tantissimi sentieri, di livello e difficoltà differente, un po’ per tutti i gusti insomma. Noi abbiamo deciso di fare una delle camminate più gettonate, 8 km ma quasi tutti in piano: il Jordan Pond Path.

Jordan Pond è un laghetto molto carino, dove il giorno prima non ci eravamo neppure fermati causa affollamento di auto. Qui si trova anche un bar-ristorante. Il sentiero percorre tutto il perimetro del lago, con degli scorci davvero belli. C’è da dire che la giornata meritava davvero, con quei colori e quella luce il parco non sembrava neanche lo stesso del giorno prima. Il paesaggio ricorda un po’ quello dei laghetti alpini, con la differenza che non ci sono montagne alte, siamo al livello del mare e a pochi chilometri da noi c’è l’oceano… differenze da poco, insomma!

Lungo il tragitto si incrociano altri sentieri tra cui, ad un certo punto, una deviazione per Bubble Rock, una formazione rocciosa che avrei voluto visitare sia il giorno prima sia la mattina prima di arrivare a Jordan Pond, ma che avevamo sempre saltato non trovando posto nel piccolo parcheggio da cui partiva il sentiero in corrispondenza; il cartello della deviazione indicava 600 metri quindi ci sembrava una buona idea seguirlo… peccato che i 600 metri fossero praticamente lungo una parete verticale! Sono stati i 10 minuti più faticosi della mia vita e, soprattutto, guardando indietro, mi domandavo come avremmo fatto a scendere da lì senza ammazzarci…

Arrivati in cima ansimanti, vediamo intorno a noi famiglie con bambini e gente in infradito: evidentemente il sentiero ufficiale è decisamente meno impegnativo.

Il paesaggio però valeva tutta la fatica.

Molti si prestavano alla classica foto di rito con il masso che non si capisce bene come faccia a stare in equilibrio.

Onde evitare di romperci qualcosa siamo poi scesi dal sentiero principale, a costo di allungare la strada o di abbandonare di tutto il Jordan Path; in realtà ad un bivio siamo riusciti a riagganciarci a quest’ultimo e a proseguire quindi con l’anello intorno al lago.

Davvero una bella passeggiata, banale ma da fare.

Tornando, abbiamo poi deciso di fare ancora un salto sulla cima della Cadillac Mountain: anche se erano arrivate un po’ di nuvole e il cielo non era più terso come in mattinata, valeva la pena scattare delle foto per rifarsi del grigiume del giorno precedente. Sì, l’Acadia quel giorno sembrava quasi un posto diverso rispetto alla giornata precedente quando, devo ammettere, non ero rimasta particolarmente entusiasta.

Oltre alle nuvole, però, era arrivato anche un vento forte e freddo.

1 SETTEMBRE    Bar Harbor e Acadia National Park (zona occidentale)

Avevamo prenotato per il whale watching con Bar Harbor Whale Watcing Co, al costo di 59 dollari a testa. Si poteva scegliere fra tre gite giornaliere, una la mattina, una alle 13 e l’altra nel tardo pomeriggio; noi avevamo optato per quella delle 13. Il forte vento di quel giorno, però, da subito ci ha fatto sospettare che l’escursione potesse essere cancellata. Alle 11 siamo passati a chiedere informazioni, ma non avevano ancora preso una decisione definitiva; ne abbiamo quindi approfittato per una passeggiata sul lungo mare di Bar Harbor: a destra del porto si estende difatti una breve passeggiata.

A sinistra, invece, è possibile arrivare fino di fronte all’isolotto di Bar Island: la sua peculiarità è che, quando c’è bassa marea, esso risulta raggiungibile direttamente a piedi dalla Mount Desert Island; per questo sulla rivista dell’Acadia, che si può avere al centro di informazioni turistiche, vengono giornalmente specificati gli orari delle maree.

Nel frattempo il vento, purtroppo, era andato ad intensificarsi e come previsto l’escursione è stata annullata: ci riproveremo il giorno dopo!

A quel punto ne abbiamo approfittato per un giro nella zona più occidentale della Mount Desert Island, con diverse soste, tra cui l’Eagle Lake, Echo Lake, Seawall (zona attrezzata con tavolini da picnic) e soprattutto Bass Harbor, col suo famoso faro che tutti vogliono fotografare.

Stagni e laghetti dell’Acadia non sono balneabili, fa eccezione Echo Lake; quelle acque però, già in generale, non sono molto calde, e in particolare in quel giorno, col vento forte e freddo, tutto facevano fuorché invogliare a fare un tuffo. Malgrado ciò, abbiamo visto una persona nuotare serenamente nell’Echo Lake, uscire dall’acqua in costume con tutta la calma di questo mondo e camminare pacificamente fino a raggiungere l’asciugamano… tutto questo mentre noi, con la felpa, stavamo congelando e maledicendo il vento.

2 SETTEMBRE    Whale watching

Finalmente il vento si era placato e, dopo una passeggiata a Bar Harbor, alle 13 siamo partiti per il whale watching. Eravamo davvero in tanti sulla barca, troppi direi. Molti si sono accomodati all’interno, noi in pole position davanti, all’aperto; prima della partenza, fermi sotto il sole, faceva davvero caldo e ci domandavamo se non avessero forse fatto un po’ di terrorismo psicologico dicendoci di portare vestiti molto pesanti e che avrebbe fatto molto freddo… poco dopo la partenza ci siamo subito ricreduti: non faceva freddo, si gelava letteralmente! Sarà per la velocità della barca, non so, ma nonostante felpina, giacca antivento e pashmina stavo davvero patendo, infatti ogni tanto entravamo a riscaldarci un attimo. All’interno c’era comunque un sacco di gente accampata che pensava solo a bere caffè e mangiare patatine, non si capiva perché avessero deciso di spendere 59 dollari…

Purtroppo di balene ne abbiamo vista solo una molto in lontananza; ci siamo rifatti con qualche delfino e, soprattutto, con le decine di foche che stazionavano sull’isolotto di Egg Rock.

L’uscita è durata poco meno di 4 ore; devo dire che non siamo tornati particolarmente entusiasti: c’era decisamente troppa gente sulla barca. Anni fa avevamo fatto un’escursione di whale warching alle Azzorre e ci aveva convinto molto di più, ci era sembrata molto più “scientifica” e seria (e avevamo anche visto le balene). Il freddo poi, sicuramente, ha contribuito a non entusiasmarci al centro per cento. Certo è che, se fossimo andati il giorno prima con quel vento, sarebbe davvero stato insostenibile!

3 SETTEMBRE    Acadia National Park (Schoodic Peninsula)

Il tempo si presentava un po’ incerto e sapevamo che le previsioni, per quel giorno, davano pioggia nel pomeriggio. Prima di recarci, come al solito, verso l’Acadia, abbiamo fatto una sosta al Fort Knox, un forte del 1800 utilizzato soprattutto durante la Guerra di Secessione; l’ingresso costa 8 dollari a testa e permette anche l’accesso al Penobscot Narrows Observatory: l’osservatorio in questione è situato sulla cima di uno dei piloni portanti del ponte che collega la terra ferma con Verona Island, isola fluviale del Penobscot; in ascensore si raggiungono rapidissimamente i 130 metri di altezza (il più alto osservatorio in un ponte del mondo), da cui si può rimirare il panorama in tutte le direzioni.

L’ideale ovviamente sarebbe andarci in una giornata limpida; nel nostro caso il tempo non era bellissimo ma c’era ugualmente una buona visuale.

Siamo poi partiti alla volta della Schoodic Peninsula, una penisola a est della Mount Desert Island, dove si trova un’altra porzione di Acadia, l’unica sulla terra ferma e non su un’isola. Anche qui, poco dopo l’ingresso, si trova un centro visitanti.

Un’altra sosta interessante è presso lo Schoodic Institute.

Come nella zona principale del parco, anche qui partono diversi sentieri: il più famoso è quello che conduce sulla sommità più elevata; volevamo farlo, ma il tempo non proprio bellissimo ci ha fatto desistere e ne abbiamo fatto solo una piccola parte.

Una piccola nota: i sentieri dell’Acadia, a nostro avviso, avrebbero potuto essere segnalati meglio e con maggiori spiegazioni. Per essere un parco molto frequentato dagli escursionisti i cartelli lasciavano un po’ a desiderare…

Tornando verso casa il tempo era nettamente peggiorato. Essendo presto abbiamo deciso di allungare la strada e spingerci sino a Bangor, la città di Stephen King. A differenza di Winterport, in questo caso, si tratta davvero di una vera e propria cittadina. Ma non so, sarà stato il cielo plumbeo, il fatto che era domenica e la città semideserta, ma mi ha trasmesso una brutta sensazione e sono voluta andarmene quasi subito! Comunque è stata una buona idea perché da lì a poco ha iniziato a piovere e ha proseguito per tutta la serata.

4 SETTEMBRE    Verso il Massachusetts (con sosta a Portland)

Era giunto il momento di tornare in Massachusetts, ma sulla strada del ritorno abbiamo previsto una sosta a Portland, precisamente a Cape Elizabeth nel Fort Williams Park, per ammirare il faro più antico del Maine.

Peccato che non fossimo i soli ad avere avuto questa idea: il primo lunedì di settembre negli Stati Uniti è festa nazionale per il Labor Day (l’analogo del nostro Primo Maggio) e tutto il New England pareva essersi riunito al Fort Williams Park. Il tempo di fare qualche foto e siamo quindi fuggiti. Bello però!

Il viaggio è stato decisamente più lungo dell’andata, a causa del traffico: tutta la East Cost rientrava dalle vacanze, dal week-end lungo o semplicemente dalla gita fuori porta, vista la bella giornata! Noi, che evitiamo sempre di spostarci in Italia durante feste comandate e ponti, per evitare il traffico, ci siamo beccati la giornata da bollino nero negli Stati Uniti! In futuro ci ricorderemo del Labor Day, di cui ignoravamo l’esistenza fino a prima di questo viaggio.

5 SETTEMBRE    Marblehead e si rientra…

Poiché avevamo il volo di rientro nel tardo pomeriggio, abbiamo approfittato della mattinata per farci un ultimo giro. Siamo andati a Marblehead, cittadina tranquilla vicino a Salem: niente di imperdibile, ma per passare qualche ora va più che bene.

Alle 13, con un po’ di anticipo, abbiamo riconsegnato l’auto ad Avis, espletato il check-in e poi, dopo un pranzo veloce, passato i controlli. L’aeroporto di Boston è diviso in differenti terminal e quello da cui partivamo noi, dedicato ai voli internazionali, non è particolarmente grande, come ci si potrebbe invece aspettare da un aeroporto di una famosa città americana.

Volo regolare e, poco dopo le 6 del mattino, siamo arrivati a Zurigo; tre ore dopo ci attendeva l’aereo per Malpensa, dove siamo arrivati completamente rincretiniti dal fuso e soprattutto dalla quasi totale assenza di ore di sonno… E’ stata poi una lunga giornata…

A tratti dal mio racconto potrebbe sembrare che questo viaggio non mi abbia entusiasmata. In realtà non è così: è stato molto divertente e abbiamo visto dei posti belli e interessanti. C’è da dire però che, nonostante siano posti naturalisticamente molto belli e intatti, non si tratta di paesaggi così insoliti o particolari e quindi ci hanno colpito meno rispetto ad altri posti che abbiamo visitato, magari anche geograficamente più vicini. Probabilmente sono luoghi che vanno davvero visti nel periodo del foliage, per cogliere la loro vera essenza.

Nonostante ciò è innegabile che quel poco che abbiamo visto del Massachusetts è stato una piacevole scoperta e che il Maine abbia un suo fascino tutto particolare, misterioso e anche un po’ inquietante (Stephen King e Signora in Giallo docent …).

 

 

 

Bali Giava e Karimun Jawa, Natura Cultura e Atolli di Cristallo

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Questo viaggio inizia a Bali, dove io vivo , se non siete mai stati a Bali, questo è il momento giusto per inserirla in un tour, qualche giorno nella zona di Ubud e altri al sud vi daranno una panoramica dell’isola degli Dei, ci siete già stati ? bene ritornate lo stesso, sappiate che in quest’isola c’è sempre qualcosa di nuovo da vedere.

Partiamo da Bali con un volo Garuda diretto a Semarang, altre 2.30 di auto per arrivare a Jepara, cittadina sulla costa da dove salpano le imbarcazioni per le isole , Jepara non è certo un luogo turistico e le cose da vedere non sono molte ma troverete piacevole fare una passeggiata e osservare la vita semplice degli abitanti , per poi finire questa lunga giornata di trasferimento ammirando un bellissimo tramonto sul porticciolo .

La struttura dove soggiorniamo hotel Syailendra è nuovo pulito e piacevole , abbastanza in contrasto con il nulla che offre la cittadina .

La mattina dopo freschi e riposati ci facciamo portare al molo d’imbarco , dove in un clima di caos totale ci mettiamo in paziente attesa della partenza, ci toccherà la slow boat che impiega circa 5 ore o la speedy boat che arriva alle isole in 2 ore ?

Le barche non sono operative tutti i giorni e in caso di mare mosso NON SONO GARANTITE LE PARTENZE.

Attenzione –difficilmente in Indonesia l’oceano è una tavola e se soffrite di mal di mare, prendete precauzioni.

Se volete inserire queste isole nel vostro viaggio, è consigliato lasciare dei giorni di viaggio “vuoti “ sia prima sia dopo.

Le Karimunjawa a largo della costa centro orientale di Jawa, sono molto belle e la loro lontananza e difficoltà nel raggiungerle, ha fatto in modo che ancora adesso siano selvagge e praticamente sconosciute, l’arcipelago conta circa 27 isole, quelle classiche da cartolina con palme che ondeggiano al vento, mare cristallino, sabbia candida e finissima , fondali incontaminati anche se di nessun interesse per i diver esperti.

La popolazione vive di pesca e pratica l’allevamento delle alghe.

Oltre il famoso e costosissimo Kura kura resort, che per altro è in un atollo isolato e lontano da tutto.

Le soluzioni sull’isola principale sono spartane e semplici, io ho scelto Ayu hotel, una piccola struttura che offre un buon servizio, i bungalow di legno sono un po’ bui e Il bagno in stile indonesiano è all’aperto  ha solo acqua fredda, stanno costruendo nuovi bungalows molto carini e  lussuosi ,  i proprietari gentilissimi e la loro colazione quasi ogni mattina diversa ricca e varia vi farà innamorare di questo posto.

Le Karimun sono isole con religione islamica, alle 4.30 del mattino sarete svegliati dalle preghiere, finite quelle non stupitevi se passerete a musica disco, messa a tutto volume per poi passare a un concerto di canto di galli.

Sull’isola principale, verdissima, che personalmente ho trovato, splendida, non ci sono molte spiagge, ma le poche sono veramente “ da cartolina “ palme che ondeggiano al vento contornano baie selvagge che si affacciano su un mare striato da tutte le sfumature di blu ….è stato molto divertente girovagare per quest’isola con lo scooter, che qualsiasi struttura vi procurerà su richiesta, alla modica cifra di circa 5€ il giorno.

La sera c’è ben poco da fare, qualche ristorantino che prepara piatti indonesiani, uno che ha anche cucina internazionale, la zona comune del villaggio, nonché campo da calcio, mercatino, che, la sera si trasforma in un food market, dove senza troppe pretese, mangerete seduti per terra del pesce cucinato alla griglia .

Obbligatoria almeno un’esplorazione in barca delle isolette vicine, quasi tutte disabitate e contornate da spiagge bianche e lagune turchesi, sorprendenti i banchi di sabbia che affiorano in mezzo al mare.

Le isole sono fantastiche, ma non ci passerei più di 4-5 notti, diventa un bellissimo viaggio, che vale la pena fare, se abbinate alla natura e cultura di Bali e Giava.

Salutiamo lo splendido e tranquillo arcipelago di cristallo per rituffarci nel caos indonesiano.

Eccoci a Giava, tredicesima isola per ordine di grandezza e la più popolosa al mondo.

L’isola di Giava si affaccia a sud sull’oceano Indiano mentre a nord è bagnata dal Mar di Giava che è parte dell’oceano Pacifico. Giava è percorsa da una catena montuosa vulcanica che comprende 121 vulcani, dei quali 25 ancora in attività .

La religione preponderante è l’islam con l’80% circa della popolazione e con minoranze induiste e buddiste. Il territorio è caratterizzato a nord da pianure alluvionali e a sud da aspri rilievi.

Giacarta è la capitale e la principale città dell’Indonesia. Situata sulla costa nordoccidentale dell’isola, ha una superficie di 661,52 km² e una popolazione di 14.900.000 di abitanti.

Isola bellissima, ricca di foreste, risaie, cascate e una cultura varia, costudisce prove del suo passato con i celebri templi buddhista di Borobudur e indù di Prambanan.

Ci fermiamo a dormire a poche centinaia di metri dal maestoso Borobudur, ho già avuto la fortuna di visitare Giava in un mio precedente viaggio , ma ovviamente non mi faccio scappare l’occasione di rivedere queste bellissime zone ancora una volta.

Per arrivare al  piccolissimo tempio di Selogriyo , si deve percorrere un sentiero abbastanza facile della durata di circa un’ora, che parte da un piccolo paesino, con belle vedute su una vallata di risaie e altre piantagioni, è un luogo poco turistico, dove poter entrare in contatto con la socievole gente del posto.

Borobudur – Antichi splendori

Il Borobudur è un monumento buddhista (800 d.C.) dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

Un’opera imponente con una base quadrata di 123 x 123 metri e un’altezza di 35, costituito da circa 1.600.000 blocchi di pietra, le sue pareti sono ricoperte da 2.672 bassorilievi che narrano la storia del Buddha, la costruzione fu commissionata dalla dinastia dei Syailendra, all’apice del loro splendore e potere, cosi maestoso che visto da lontano appare come una montagna; L’edificio è formato da dieci terrazze , Il primo livello rappresenta la vita nelle spirali del desiderio.

I cinque livelli quadrati rappresentano la progressiva emancipazione dai sensi.

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Le ultime tre terrazze simboleggiano il cammino progressivo verso il nirvana.

Sulla cima dell’edificio è presente una serie di stupa ,la filosofia buddista del Borobudur riguardo alla sua vetta dice che “ la cima non è il punto di culmine del viaggio, ma è il viaggio, il culmine di se stesso.”

( come non essere d’accordo !)

L’intero cammino è caratterizzato dalla presenza di nicchie contenenti statue di Buddha (504) ogni Buddha è diverso dagli altri.

Il biglietto d’ingresso turistico costa 250.000 rp , caro se si rapporta al costo della vita indonesiana ma in linea con qualsiasi sito Unesco del mondo

Prambanan

Un complesso di templi induisti (850 d.C.) completamente diverso dal Borobudur, i due templi sono spesso accomunati ma in realtà presentano differenze strutturali enormi, il primo ha un aspetto massiccio mentre il complesso del Prambanan è tutto sviluppato verso l’alto.

Si pensa che in origine il complesso di templi fosse composte di ben 232 costruzioni, molti di questi erano mausolei di antichi re.

Il re che volle questa costruzione fu Rakai Pikatan, egli si reputava la reincarnazione di Shiva e per questo dedicò molta attenzione alla costruzione della struttura, inoltre a causa della sua convinzione dedicò il tempio Principale al culto del suo dio prediletto.

Il complesso conta diversi templi, ma i più famosi sono i tre principali dedicati rispettivamente a Brahma, Vishnu e Shiva.

Molto bello anche il Candi Plaosan

Costruito nella metà del 9 ° secolo da Sri Kahulunnan discendente di Syailendra, Il complesso Plaosan è un insieme di due templi buddisti, Plaosan Lor e Plaosan Kidul.

La coloniale Jogja

Si chiama Yogyakarta ma per tutti è semplicemente Jogja, conosciuta come il centro della cultura e dell’arte giavanese, meravigliosi i suoi batik e gli spettacoli di burattini.

Io salto sempre e volutamente il mercato degli uccelli, evito anche la visita al kraton, per i miei gusti sono entrambi assolutamente privi di ogni interesse!

Adoro invece gironzolare per la strada centrale dall’antico fascino coloniale di Jalan Malioboro, osservare i mercati coloratissimi, la gente indaffarata nella contrattazione delle merci, i bemo dai colori sgargianti.

Aggiungendo una beve visita al Water Castle (Tamansari), quello che una volta era il giardino del sultano, una costruzione cinta da mura coninterno un cortile e varie vasche d’acqua.

Gunung Bromo

Forse non ha l’alone di mistero e magia del Kelimut di Flores, o la maestosità del Rinjani di Lombok, né la bellezza dell’Agung di Bali, però il Gunung Bromo resta uno dei vulcani più visitati dell’Indonesia.

Venire a Giava e inserire questo colosso fumoso nella lista di cose da vedere è una splendida idea.

Il Gunung Bromo è un vulcano  attivo che fa’  parte del Parco Nazionale del Bromo Tengger Semeru, alto circa 2.300 metri, non è la vetta più alta ma è il più famoso , questo vulcano si erge dal mezzo di una pianura chiamata ” Mare di Sabbia”.

E’ facile da visitare, basta pernottare nel vicino villaggio di Cemoro Lawang, da tenere conto che le strutture della zona sono tutte molto basiche, care , sporche , e senza nessun servizio , il villaggio invece l’ho trovato molto interessante da visitare, mi è dispiaciuto non avere tempo per approfondire di più la visita dei dintorni, da qua’ è possibile raggiungere a piedi il vulcano in circa 45 minuti, intorno al Bromo ruota una vera e propria organizzazione che tiene in mano tutta la gestione turistica , malgrado io avrei voluto fare un assoluto fai a modo mio , non ci sono riuscita e mi sono fatta convincere al classico tour  in jeep , con sveglia alle 2.30 e partenza alle 3 di notte, per ammirare il sorgere del sole dal Monte Penanjakan, sole che potrebbe non sorgere se ci sono nuvole basse, cosa non per niente improbabile poiché siamo in alta montagna, il freddo umido pungente e la pioggerellina vi farà pentire più volte di aver fatto questa scelta, stare immobile per circa 3 ore, seduta per terra su un tappetino lurido di plastica che la gente del posto affitta a peso d’oro.

Ritornerei a Cemoro Lawang e al Bromo ma non farei mai più questo percorso organizzato dai t.o. del luogo .

Anche perchè dalla terrazza del nostro “hotel “Bromo Permai si vede benissimo tutto il parco e fortunatamente ci siamo goduti un bellissimo tramonto, con raggi rossi fuoco che s’infiltrava tra le nuvole.

Dopo aver patito ben tre ore di freddo quasi polare, aver intravisto una pallidissima alba , siamo scesi di nuovo verso il grande mare di sabbia, noi insieme a un’infinita esagerata di jeep cariche di persone, che nemmeno a Rimini il giorno di ferragosto!

La vera scalata al Bromo inizia proprio dal mare di sabbia, un paesaggio lunare da dove si ergono questi imponenti signori fumosi, l’intero percorso dura circa un’ora, è abbastanza facile, ma molte persone si fanno trasportare da poveri cavallini.

L’ultimo tratto è fatto da una ripida scalinata ricoperta da uno strato di cenere, alla fine della scalinata … Ecco, siamo veramente sull’orlo di un vero vulcano attivo fumoso e borbottante !

Madakaripura waterfall

Non siamo ancora stanchi di meraviglie e quindi lungo la strada per Surabaya decidiamo di fermarci per vedere queste scenografiche cascate, che si raggiungono prima con un passaggio in motorino, dai “trasportatori guide “del posto e poi con una piacevole camminata nella foresta tra ruscelli e felci giganti.

Il nostro viaggio a Giava Centro orientale è finito è l’ora di ritornare a Bali con un breve volo da Surabaya .

Riflessioni di viaggio

Un viaggio ricco, vario e piacevolissimo, Giava è bella è vale sempre un viaggio, sicuramente ritornerò ancora per vedere altri angoli fuori rotta di questa grande isola, il Bromo anche se super turistico e mal gestito è comunque un’esperienza che rifarei  ma a modo mio, lo consiglio a ogni viaggiatore , le karimunjawa mi hanno saputo stupire e affascinare con i loro colori e la loro gente ospitale  , ancora una volta questo paese  ha saputo conquistare il mio cuore e farmi emozionare .

Bru

 

Sumba , Marapu e Spiagge

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Perché un viaggio a Sumba ? cosa può spingere un viaggiatore ad avere il desiderio di andare in una terra così lontana e poco conosciuta,  non so spiegarmi il perché’,  io vado a “cuore “, quest’isola mi girava in testa da tanti anni, non mi aspettavo grandi cose, quello che volevo era mettermi alla prova con un nuovo viaggio in una terra ancora poco conosciuta, ho trovato un’isola che mi ha saputo incantare e stupire, sono tornata a casa con un solo desiderio … ritornare. 

Sumba è un’isola che si trova nella parte orientale Dell ‘Indonesia , fa parte delle piccole isole della sonda.

E’ una delle poche isole Indonesiane a non avere nemmeno un vulcano, secca poverissima, selvaggia e poco conosciuta dal turismo.

E’ famosa per la sua cultura e religione unica e sorprendente , con riti e credenze ancestrali , i miti del marapu , culto degli antenati , per loro la vita sulla terra è solo temporanea , è dopo la morte che si vive eternamente nel mondo spirituale .

Nella comunità esiste una sorta di stregone che ha la facoltà di parlare la lingua dei morti e comunicare con loro . I funerali giocano un ruolo importantissimo ,durante la cerimonia funebre , vengono fatte offerte e sacrifici di animali che servono ad assicurare al defunto un viaggio tranquillo verso il mondo degli spiriti.

I preti marapu viaggiano da un villaggio all’altro cavalcando i famosi cavalli, molti dei quali si trovano ancora allo stato brado.

I villaggi megalitici hanno abitazioni dai tetti altissimi disposte intorno a uno spazio centrale dove si trovano le antiche tombe degli antenati, ogni villaggio ospita ancora l’ albero delle teste, dove un tempo erano esposte le teste dei nemici sconfitti 

Viaggiare attraverso i villaggi di quest’isola , significa scoprire un mondo a sé , per cultura e tradizioni , poter ammirare una natura ancora incontaminata .

Leggende, tradizioni e realtà a Sumba sono un tutt’uno , rendendo difficile distinguere l’una dalle altre.

Un Fantastico Viaggio indietro nel tempo a una sola ora di volo dalla frenetica e moderna Bali.

come arrivare a Sumba

i voli sia per Waingapu che per Tambolaka sono tutti via Denpasar o Kupang

come spostarsi

indispensabile auto e autista , pochi ( punti ?! ) taxi o altri mezzi turistici

il mio viaggio a Sumba

volo diretto Bali per Waingapu – wings air (1.45 ) 

Prima tappa Waingapu e i suoi dintorni, le colline di Wairinding, i villaggi dei dintorni della città e quello di Melolo, la bellissima pantai Walakiri, il lungo viaggio attraverso mille colline color ocra fino a Waikabubak, Tambolaka da dove si decolla con volo Garuda diretto su Bali .

I villaggi della zona tra i quali il bellissimo Ratenggaro, Bwanna beach l’indimenticabile spiaggia selvaggia dei sogni, ma che belle anche tutte le altre, e l’azzurro infinito di Weekuri … per finire alla pace di oro beach .

Waingapu , le sue colline ondulate e le spiagge magnifiche

Waingapu è il capoluogo e la città più grande dell’isola, ed è questo il nostro punto di arrivo, a livello turistico la città non ha nulla d’interessante, se non qualche bancarella e un bel mercato molto fornito di frutta e verdure freschissime, un porticciolo, dove per poche rupie, vi sarà cucinato del pesce spalmato da una dose abbondante di piccantissima salsa .

Basta andare appena fuori dal centro, e lo sguardo si perde in uno spazio infinito, in luoghi antichi e incontaminati, mille colline ondulate che si gettano in verdi vallate di campi di mais .

Come se lo spettacolo di queste colline non bastasse, a pochi chilometri, ci sono anche lunghe spiagge di sabbia bianca e mare turchese, orlate da palme come nell’immagine classica dell’isola tropicale che si rispetti .

 

i Mille fili di un Ikat

Avevo già potuto ammirare in un villaggio di Flores, tutta la procedura della lavorazione di un ikat 

Queste meravigliose stoffe, tinte con colori naturali e tessuti a telaio dalle mani abili delle donne, ancora una volta mi hanno affascinato e trascinato in una cultura antica, fatta di colori e disegni espressivi, molto di più di un semplice tessuto, esso racconta la vita del villaggio, della tessitrice e tramanda negli anni la storia come se fosse un libro scritto.

Qua ho trovato ikat ancora più belli e colorati di quelli di Flores, forse perché è impossibile parlare di Sumba e non pensare a quest’antichissima forma d’arte.

Waikabubak

Le ondulate colline color ocra lasciano il posto alla foresta, cascate e antichi villaggi animisti , questa è la seconda città dell’isola, certo definire tale un intreccio di strade polverose e un mercato è un parolone, solo il traffico è aumentato, da Waingapu fino a qua è stato quasi inesistente.

Oro Beach

Sognato, desiderato, voluto, la strada per arrivarci sembra non portare a nulla …. Questo posto fuori dal mondo è un vero incanto, la struttura arroccata su una collinetta domina un paio di belle baie cosparse di conchiglie e coralli, i bungalow sono molto carini, tutto lo staff e Siska, la proprietaria gentile e disponibile, ci hanno veramente viziato con i loro deliziosi piatti.

Non adatto a chi non sopporta gli insetti, infatti, nonostante tutto l’ambiente sia pulito, nelle camereci sono molti piccoli animaletti del corallo , toke belli grossi e canterini , e altre creaturine tropicali .

Non so quando, ma metto Oro Beach nei posti del “ritornerò ancora “.

Kampung Ratenggaro e Ratenggaro Beach 

Uno dei più famosi villaggi megalitici di Sumba, questa volta famoso vuol dire anche strepitoso, quando sono arrivata qua, non credevo ai miei occhi, il posto è bellissimo e ci si potrebbe passare ore a osservare il paesaggio, le abitazioni dai tetti altissimi, la gente del villaggio nelle loro faccende quotidiane, in molti cercano di vendere il loro artigianato ai pochi turisti che hanno la grande fortuna di arrivare fin qua, insistendo un po’ ma i manufatti sono realmente belli 

Quasi tutti gli uomini a Sumba sfoggiano con grande orgoglio il loro Parang, un grosso machete dall’impugnatura intarsiata che ci ricorda l’anima guerriera di questo popolo .

Tutti uomini donne e anche bambini masticano il Sirih Pinag, la noce di betel che serve per dare energia e che macchia le loro labbra e denti di rosso vivo producendo una forte salivazione che li costringe a sputare continuamente, ovunque per terra a Sumba ci sono macchie di sputo rosso sangue.

 l’ affaccio sull’infinita spiaggia battuta dal vento, per me un luogo da non scordare mai più. 

la partita di calcio Italia – Sumba 

Bwanna Beach

Una lunga e tortuosa strada di terra battuta che attraversa villaggi di capanne di paglia, con donne che tessono o cucinano, bufali al pascolo e bambini che giocano nello spazio centrale del villaggio intorno alle antiche tombe degli antenati.

alla fine della strada, una lunga e ripidissima discesa e poi infine … la Spiaggia dei sogni, perfetta, scenografica, drammatica, unica.

Weekuri Lake

Un perfetto colore azzurro infinito, così splendente sotto il sole da non sembrare reale, una cornice di roccia scura e frastagliata, erosa dagli agenti atmosferici e dal mare, No, non è in un sogno ma il Weekuri lake.

Forse nessuno ha pensato di inserirlo tra le meraviglie del mondo … io lo metterei !

Riflessioni di viaggio

Dopo varie esperienze di viaggio a 6 , non positivissime ,  mi ero ripromessa di non viaggiare mai piu’ in gruppo , al massimo due coppie , infatti ! … abbiamo fatto questo viaggio in 9 persone , io mi sono divertita come non succedeva da anni , grazie anche quest’ anno 2017 cosi’ positivo e sereno , dove finalmente ho ritrovato la mia  pace interiore .

In molti mi chiedono di Sumba, se è adatta a un viaggio fai da te in perfetta autonomia, certamente no, a meno di non avere un tempo infinito e un grande spirito di avventuriero, che quello a noi non manca! SCORDATEVI di girare in autonomia con google maps, noi ci abbiamo provato arrivando nel nulla ! pochissime zone hanno una decente copertura internet, a Sumba ho contato tre cartelli stradali (a essere ottimisti) le strade s’intrecciano si mescolano si perdono nel nulla …

date lavoro a qualcuno del posto, contrattate il prezzo, non aspettatevi una guida esperta e brava che vi racconta tutto come trovereste a Giava o Bali , accontentatevi di farvi scorrazzare sicuri, di farvi dire cosa fare e quali sono le cose proibite entrando in un villaggio. 

Munitevi di pazienza qualsiasi spiaggia scegliate, calcolate almeno un’ora di viaggio, comprate il vostro ” cestino del pranzo ” nell’unica Rumah Makan del paese e andate alla scoperta di questa meraviglia .

Il mare di quest’isola è limpido e la sabbia fine e bianca, ma ricordatevi che a Sumba le spiagge adatte a una vacanza balneare sono poche, che invece siamo nel regno delle possenti onde .

Ho amato i tuoi infiniti spazi vuoti e le tue colline ondulate bruciate dal sole , le tue onde possenti , ho amato soprattutto la tua gente , a volte curiosa e attenta altre  un po’ schiva e titubante , i tuoi bimbi che giocano nello spazio famigliare tra le antiche tombe granitiche 

Ho ammirato  i mille nodi di un tuo ikat , promettendomi di comperarne uno e invece ritornando a casa senza

ho riso forte tappandomi le orecchie durante la sfilata del  tuo pazzo e bislacco carnevale pre ferragostiano , dove la musica era data dai tubi di scarico di auto e moto .

mi sei rimasta nel cuore , incredibile Sumba

 

 

 

 

 

 

 

Patagonia Australe in settembre: è possibile?

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Dal 16.09   al   03.10.2017

Premessa:

Questo diario spero risponda alle molte domande che si pongono tutti quelli che vogliono visitare la Patagonia in settembre e non hanno traccia di notizie nei vari diari pubblicati. La mancanza di notizie è confermato dalla totale assenza di italiani in questo periodo da me rilevato.

16 settembre

Volo AirFrance (mediocre) 470euro che atterra su Santiago dopo aver fatto scalo a Parigi e Lima. La scelta di volare su Santiago è dovuto alla estrema economicità del volo rispetto a Buenos Aires che costava più del doppio.

17 settembre

All’arrivo all’aeroporto di Santiago, nell’area arrival, noto la presenza di una miriade di uomini di colore che stanno lì per ripararsi dal freddo avendo la sensazione di stare nel più brutto aeroporto che abbia mai visto.

Passo la notte lì per attendere il volo su Punta Arenas con la compagnia SkyAirline. Da qui attendo il bus Bus.sur (biglietto acquistato su internet) che mi porta a Puerto Natales nel pomeriggio.

Arrivo in questa città grigia, ventosa, piena di cani randagi e mi metto alla ricerca di un ostello barato nei dintorni del centro. Il destino mi porta al Sant’Agustin gestito da 3 sorelle che mi sembra il migliore dopo aver valutato altri anche più blasonati. Dovuto al periodo di bassa stagione mi danno una singola al prezzo del dormitorio 8000$ (prezzo più basso in assoluto). Recatomi in centro, vado a ritirare i soldi all’ATM e faccio anche un po’ di spesa al supermercato. Comincio ad accorgermi che i prezzi sono molto alti anche maggiori di quelli italiani.

Non c’è tanto da vedere in giro se non il corso principale a degli stand di gastronomia in occasione della festa nazionale.

18 settembre

Di mattino presto mi reco al terminal per prendere il bus che porta a Torres del Paine 15000$ a/r (Bus Gomez o MariaJosè, stessi prezzi stessi orari). Appena ci mettiamo in viaggio l’ansia aumenta per la preoccupazione di trovare cattivo tempo dato il periodo per cui guardo sempre l’orizzonte per cercare di capire come sarà il tempo e con molta sorpresa vedo che più ci avviciniamo al parco e più limpida diventa la giornata….che sospiro di sollievo!

Si arriva a Laguna Amarga dove si scende e si paga l’entrata 11000$ (bassa stagione) e poi si prende un micro per il transfer fino all’Hotel Las Torres (3000$).

Da qui comincia il sentiero per base Torres in una giornata bella e soleggiata. La prima parte è dura perché tutta in salita ma poi si scende fino al Rifugio Cileno. Purtroppo a questo punto mi devo fermare perché per arrivare fino al Mirador base Torres occorrono altre 2 ore per cui non facendo in tempo a riprendere il bus delle 14.30 (unico orario) devo, con molta delusione, tornare indietro.

Lungo la strada del ritorno molti mi chiedono il perché del regreso, ma io a testa bassa vado avanti.

Specifico che l’orario per il ritorno a P.N. è solo alle 14.30 fino al 19 settembre e poi viene attivata la seconda corsa alle 19.45, quindi capite che per 2 giorni ho dovuto rinunciare ad arrivare a base Torres, che tra l’altro era innevato, quindi ancora più bello.

19 settembre

Riprendo di mattina il bus Gomez per il parco, ma questa volta scendo a Pudeto per prendere il catamarano 28000$ a/r. Il mio programma era quello di trovare un posto al rifugio Paine Grande ma non avendo una prenotazione ero un po’ in ansia di non trovarlo. Sul catamarano parlo con uno dello staff che gentilmente contatta il rifugio tramite una trasmittente per sapere se c’era posto e dopo aver ricevuto l’ok mi tranquillizzo, altrimenti sarei tornato indietro. Sbarchiamo e mi trasferisco al rifugio Paine Grande dove prendo posto per dormire 33000$.

Lascio lo zaino e mi metto subito in marcia perché voglio arrivare al mirador Grey prima, e poi fino al glaciar Grey. Anche oggi è una bella giornata e non c’è bisogno di mettere neanche la giacca perché ci si scalda facendo attività fisica. Oggi mi sento libero dagli orari dei bus perché alloggerò al Paine Grande e posso vivere a pieno tutta la giornata.

Il mio entusiasmo aumenta sempre di più a mano a mano che si sale fino ad arrivare al primo mirador da dove si comincia a vede il lago, ma il cammino è solo all’inizio infatti quando arrivo al mirador Grey è tutto uno spettacolo con gli iceberg color turchese che galleggiano sull’acqua e un arcobaleno che fa da sfondo.

Sulla roccia piatta del mirador c’è una famiglia intera che sta mangiando un panino e dopo aver fatto il punto della situazione sulla mappa con loro, riprendo il cammino mentre loro tornano indietro perché hanno il bus: che peccato.

Per arrivare al Glaciar Grey mancano ancora 1,5 ore di cammino, ma non immagino ancora che cosa mi aspetta. Durante l’avvicinamento incontro persone che stanno tornando dal glaciar e che mi incitano ad andare avanti garantendomi che ne sarebbe valsa la pena. Arrivo al rifugio Grey ancora chiuso e dopo 10’ giungo al glaciar Grey che mi si presenta davanti come uno spettacolo unico. Sul fondo compare il ghiacciaio formato da un muro alto di ghiaccio che galleggia sul lago dove vi è la presenza di vari iceberg. Alcuni bambini vanno a staccarne dei pezzi di ghiaccio e me ne offrono da mangiare, accetto con qualche dubbio ma poi tutto ok.

Faccio delle foto, mi riposo un po’ e mi rimetto in marcia per tornare indietro perché siamo nel pomeriggio inoltrato. Prima di andar via mi giro varie volte a voler fissare e scolpire le immagini che ho davanti del glaciar Grey e il suo lago nella mia mente.

Arrivo al refugio Paine Grande verso il pomeriggio tardi col vento che si fa sentire; mi metto comodo sulla poltrona, bevo un thè e chiacchiero col gli altri di varie cose. Passo la notte in camere compartita dentro il sacco a pelo.

20 settembre

Arriva il mattino e non vedo l’ora di ritornare sui sentieri che mi porteranno al mirador Britannico. Dopo colazione mi metto subito in cammino attraversando il primo tratto tutto in piano di 2 ore che porta al Campamento Italiano. Qui trovo dei ragazzi che stanno togliendo la tenda dopo aver passato la notte lì. Da questo punto si può andare verso Los Cuernos a destra o salire a sinistra verso la Val Frances. Io non ho dubbi sulla scelta ma gli altri ragazzi dopo avermi consultato mollano. Il primo tratto è tutto in salita e bisogna rocciare per salire. Di lato c’è una grande montagna piena di neve da cui partono dei gran boati originati dalle numerose valanghe che si staccano. La fortuna ha voluto che nel versante di fronte a me si è originata una slavina che ho potuto guardare indiretta: uno spettacolo della natura!

Continuo a salire fino ad arrivare al mirador Frances dove è doveroso fare una piccola siesta e ammirare quello che ti circonda. Non resto molto qui perché so che quello che viene dopo sarà molto più interessante.

La strada è ancora lunga e in salita, ma ad un certo punto incontro un ragazzo che mi dice che manca solo mezz’ora all’arrivo. Mi rincuoro e via si riparte.

Ad un tratto esco fuori dal bosco e mi trovo davanti un campo di rocce bianche, solo due pezzi di legno delineano l’orientamento da seguire con molte incertezze. Continuo ad andare avanti e dopo l’ultimo pezzo in ripida salita arrivo al mirador Britannico. Qui trovo dei ragazzi svedesi e dopo aver fatto delle foto e ammirato il panorama torniamo indietro a scendere. Oggi non posso fare tardi perché alle 18.30 ho il catamarano che ci condurrà a Pudeto. Il cammino di ritorno passa velocemente perché quasi tutto in discesa e dopo esser arrivato al Campamento Italiano, con 2 ore arrivo al rifugio Paine insieme ad un altro ragazzo cileno con cui condivido l’ultimo pezzo di strada.

Al ritorno al rifugio ho tutto il tempo per un thè e per chiacchierare con tutti gli altri che aspettano l’imbarco. Arrivato il catamarano, saliamo a bordo e dopo 20-30’ siamo a Pudeto accompagnati da un tempo che si è messo sul brutto. Sbarcati troviamo i vari bus che ci aspettano per rientrare a Puerto Natales. Per arrivare all’ostello percorro sempre la stessa strada, ma questa volta faccio un brutto incontro coi soliti cani randagi che mi circondano come se mi volessero attaccare. Ero pronto a difendermi con il sacco a pelo che portavo in una mano, ma dopo un po’ i cani si sono allontanati. Alloggio sempre al Sant Agustin dove ho una stanza tutta per me e mi rendo conto di essere l’unico turista.

21 settembre

Lascio di mattino presto Puerto Natales per trasferirmi a El Calafate in cui arrivo a mezzogiorno. Trovo un alloggio a Las Carretas abbastanza vicino al terminal e proprio all’inizio della via principale per 150AR. Condivido la stanza con un ragazzo argentino che fa lo scalatore e proprio in quel momento mi dice che sta andando al ghiacciaio con l’autostop, non vado con lui perché il mio programma è quello di andare l’indomani. Faccio un giro per El Calafate in un calda giornata; tento di prelevare i soldi al ATM ma sul display leggo che mi saranno addebitati 104AR$ per cui desisto. Allora vado alla Cambio Facile ma anche lì non è molto vantaggioso per via del valore di cambio, ma sono costretto ad accettare. La giornata passa tranquillamente passeggiando per le strade di questa cittadina carina e faccio un allungo fin sulla sponda del lago argentino.

Prima di tornare in ostello faccio la spesa e compro una bottiglia di vino che condividerò più tardi con il mio amico di stanza cenando insieme. Intanto lui lava i piatti e io torno dentro per una doccia calda. Mentre vado a letto lui mi avvisa di aver ricevuto un invito galante da una ragazza e tornerà al mattino presto.

22 settembre

Dal terminal partono vari bus al mattino 9.30 per il Perito Moreno. Io scelgo quello che ha orari intermedi per il ritorno in modo da essere in orario per partire per El Chalten nel pomeriggio.

Arrivati al Parco Glaciar Perito Moreno, sale sul bus un ragazzo che dopo averti chiesto la nazionalità ti dice il ticket da pagare che è 500AR$ per stranieri. Ripartiamo e arriviamo all’entrata da cui si può acquistare il ticket (500AR) per fare il giro in barca che ti porta di fronte al ghiacciaio o seguire la passerella lunghissima in legno da cui si può ammirare il ghiacciaio in molteplici angolazioni (sconsiglio il giro in barca, è solo per turisti….).

La vista è meravigliosa in una bella giornata di sole e ho l’opportunità di ammirare dai vari mirador tutta la maestosità che ho di fronte. Naturalmente tutti aspettano le cadute di pezzi di ghiaccio in acqua che produce uno spettacolo sensazionale. Ho potuto assistere tra le varie cadute a quella di un blocco che si è staccato cadendo non in verticale ma obliquo proprio poco prima di andar via: spettacolo unico.

Ritorno a El Calafate e attendo al terminal l’arrivo del bus Chalten Travel 450AR$ che parte alle 18.00 per El Chalten.

Arrivati intorno alle 21, percorro il corso principale semibuio e dopo qualche tentennamento arrivo al Patagonia Hostel che per 200AR$ mi dà un letto in stanza compartita. Sono molto contento di essere arrivato qui perché mi piace molto l’ambiente e c’è molto spazio. Anche la presenza della cucina mi permette di prepararmi qualcosa da mangiare.

Condivido la stanza con un ragazzo tedesco che avevo incontrato a El Calafate e dopo aver discusso con lui del programma per l’indomani ci mettiamo a dormire.

23 settembre

Mi alzo presto, faccio colazione e parto subito per il primo percorso verso Il Fitz Roy. Sono il primo ad entrare nel parco e subito mi metto a salire arrivando in cima da cui il sentiero continua più o meno piatto. Arrivo con anticipo al Campamanto Poincenot in cui conosco 2 ragazzi che hanno dormito in tenda e mi dicono di essere stati al mirador del lago de Los Tres in giorno prima in una giornata di sole e aver ammirato senza nuvole il Fitz. Per oggi non sono molti ottimisti per il tempo, ma io non mi demoralizzo.

Riprendo il cammino arrivando ad un punto in cui vi è un campo di rocce bianche e il sentiero praticamente sparisce. Dopo aver sbagliato direzione, riprendo la strada giusta e arrivo in un punto in cui un cartello avvisa di non salire perché pericoloso. Giudico questo come una grande ipocrisia, ovvero si segna sulla carta un luogo da vedere per attirare il turista e poi si mette il cartello di non passare tale segnalazione. La presenza di tale cartello mi fa capire che proprio da lì bisogna salire per arrivare all’obbiettivo. La salita è dura ma arrivato sopra posso ammirare in basso il lago de Los Tres e di fronte il monte Poincenot con affianco il Fitz Roy semiavvolto dalle nuvole.

Molto contento di essere arrivato fino a quel punto, purtroppo non oltrepassabile per via della neve, meno contento di non poter vedere il Fitz. Questa montagna vedo che si comporta come una signorina capricciosa che gioca al “vedo non vedo”, ovvero ti illude di denudarsi ma rimane coperta dalle nubi. Il giochino va avanti per molto e allora, scattate le foto, decido di regresare.

Sono solo sul sentiero e penso a tutti gli altri cosa stessero facendo negli ostelli. Mi rimane ancora del tempo prima del buio e allora, al bivio, prendo il sentiero per Laguna madre e Hija che non mi piacciono in modo particolare.  Tornando indietro predo un altro sentiero per Laguna Capri che invece è molto bella. Mi siedo per riposare al bordo del lago e faccio conoscenza con una ragazza americana con cui parlo della possibilità di arrivare al lago Los Tres, ma che sconsiglio perché sola e perché impegnativo. Mentre chiacchiero con lei si apre il cielo sul Fitz Roy e viene fuori tutta la sua nudità potendolo così ammirarlo integralmente senza veli.

Soddisfatto della giornata e del gran giro fatto, torno al Patagonia per cenare e fare la doccia.

24 settembre

Mi alzo sempre presto perché il mio amico tedesco che sta con me parte per Rio Gallegos, mentre io vado al Cerro Torre. Ci salutiamo e via alla ricerca del sentiero. La giornata è diversa da ieri, ho la sensazione che non sarà bellissima. Il cammino è lungo per arrivare al Campamento de Agostini che trovo completamente vuoto, dopo il quale si arriva al Lago Torre. Guardando dritto si dovrebbe vedere il Cerro Torre, ma è completamente coperto di nubi scure.

Dopo aver sostato qualche minuto lì, mi incammino lungo il sentiero di destra tutto roccioso. Non so dove porta, ma sono curioso. Dopo 40’ di cammino arrivo comincio a pestare neve fresca che sta scendendo e il suo livello comincia a salire. Arrivato nei pressi di una grande roccia non riesco più ad andare avanti perché il sentiero è coperto di neve e il livello comincia a salire troppo. Resto lì un po’ di tempo per guardare dall’alto il Lago Torre, fare delle foto e godere di tutto quello che mi circonda.

Con molto stupore vedo che tutti si sono fermati all’inizio del lago e nessuno ha percorso il sentiero fatto da me: non sapranno mai che si sono persi!

Comincio il lento cammino a ritroso sotto i fiocchi di neve che rendono più scenico e natalizio il paesaggio. Dopo 40’ arrivo al campamento De Agostini e poi via verso El Calafate. Non nego che mi giro più volte per vedere se le condizioni climatiche stessero per cambiare, ma niente, anche se qualche bagliore di luce ogni tanto si intravede. I fiocchi sono sempre più fitti e all’arrivo all’ostello arriva una nevicata copiosa che dopo poco svanisce.

Molto soddisfatto di tutta la giornata anche se il Cerro Torre, molto più capriccioso del Fitz, non si è fatto proprio vedere; vuol dire che resterà sempre nella mia immaginazione. Invece grande soddisfazione per essere arrivato quasi al mirador Maestri non raggiungibile per via della neve.

Sono all’ostello con largo anticipo e ho tutto il tempo per prepararmi con calma. Dal terminal, alle 18.00, prendo il bus per El Calafate che arriva alle 21. Naturalmente ritorno al Las Carretas dove sono praticamente solo e posso avere la stanza tutta per me.

25 settembre

La mattina dopo prendo il transfer per l’aeroporto VesPatagonia che effettua il servizio per 100AR. Non avendo potuto prenotare per tempo, mi metto sul bordo della strada di fronte all’ostello e appena passa il bus lo blocco e mi faccio caricare.

Volo per Ushuaia con Aerolines Argentina. Dall’aeroporto condivido il taxi, unico mezzo per raggiungere la città, con un’altra ragazza per 170AR$. Alloggio al Torre al Sur che trovo ottimo come posizione ma piccolino per contenere molta gente. Lascio la borsa e faccio dei giri in centro per conoscere la città. Certo non è che c’è tanto da vedere, ma non è così terribile come da qualche parte letto.

All’ufficio informazioni mi faccio apporre il timbro (che si può scegliere) sul passaporto gratuitamente e prendo delle info per il parco. Dopo aver fatto spesa rientro per cucinare qualcosa.

26 settembre

E’ mattino, apro gli occhi e penso: “oggi compio gli anni”; quegli anni così importanti che segnano….auguri!

Ho scelto Hushuaia per festeggiare perché metaforicamente come per la città è la fine del mondo, per me è la fine di un blocco di anni e l’inizio di un altro.

Da calle Maipù angolo Fadul c’è uno spiazzale da cui partono bus e micro che conducono al parco Tierra del Fuego. Dopo una breve contrattazione strappo il viaggio a/r per 400AR$ (costo normale 500$).

Ci sono varie fermate per il parco ma io ho scelto l’ultima e poi sono andato a ritroso. I sentieri sono molto semplici e poco spettacolari. Da Baia Lapataia, considerato la Costera chiusa, vado a ritroso fino al centro Lakatush, da lì ho seguito il sentiero per Hito XXIV abbastanza lungo, niente di che, che costeggia il lago e arriva al confine col Cile.

Al ritorno il vento si fa sentire e attendo il bus per il ritorno presso il centro Lakatush che parte alle 15 e alle 17.00.

Ritornato a Ushuaia faccio una lunga passeggiata invitato anche dal tempo che si era messo bello. Per cena scelgo un ristorante per degustare carne accompagnata dal vino tinto molto buono, formaggio e come dessert il dulce de leche.

Attraverso il corso, faccio una visita alla chiesa salesiana, faccio spesa per consumare i rimanenti AR$ e torno in ostello.

27 settembre

Alle 4 suona la sveglia perché mi attende il bus Tecniaustral che parte alle 5 e arriva a Rio Grande alle 8. A seguire con bussur alle 10.30 arrivo a Puerto Natales. Naturalmente c’è la frontiera da passare e bisogna evitare di portare al seguito, frutta, carne cruda, formaggio, verdura; i controlli sono abbastanza attenti.

Puerto Natales è una cittadina molto carina anche se non c’è molto da vedere. Tuttavia una passeggiata in centro la merita. Intanto per trovare un ostello non è facile, ma gentilmente sono proprio i titolari di altri alloggi che mi indicano il posto che volevo.

28 settembre

Prima di partire faccio un ultimo giro in centro e tornato per prendere lo zaino mi reco all’aeroporto col taxi 5000$.

Volo per Puerto Montt con arrivo alle 14. Dall’aeroporto c’è un servizio bus che per 2500$ porta al terminal da cui con altro bus ETM con poltrone molto comode, arrivo a Castro. Da questo punto comincia un secondo viaggio fatto non più di parchi ma da città più o meno grandi.

Arrivato al terminal esco fuori trovandomi nel centro nevralgico della città che mi piace subito. Il primo obbiettivo è quello di trovare un alloggio, allora chiedo a qualcuno che mi indica un portone di fronte al terminal. Vado a chiedere e trovo subito ospitalità per 8000$ in stanza singola.

Posato lo zaino esco fuori per vedere la città; mi reco in piazza de Armas dove c’è la chiesa molto bella di S. Francesco, patrimonio dell’umanità, arrivo sul lungomare e faccio conoscenza con alcuni pescatori che stanno pulendo il pescato. Incuriosito da un tipo di cozze molto più grandi delle nostre, mi metto a guardare  e mi fanno salire a bordo per farmi vedere come si trattano offrendomene una da mangiare cruda: l’indomani li rivedrò di nuovo al mercato salutandoci cordialmente.

Intanto si fa sera e mi ritiro nella mia abitazione.

29/30 settembre

Non so se resterò anche oggi a Castro in quanto il tempo è cambiato e comincia ad arrivare la pioggia. Intanto finisco il giro iniziato il giorno prima visitando in più zone Los Palafittos che sono delle costruzioni in legno di vario colore le cui fondamenta sono costituite da pali di legno fissate in acqua ed adibite a vario uso come abitazioni, locali, ostelli, negozi ed abitazioni.

Ritorno in centro e considerato che la pioggia ricomincia, dopo aver rivisitato la chiesa decido di partire per Achao.

E’ molto semplice spostarsi in queste zone tra i vari paesini, perché esiste una fitta rete di micro che partono a tutte le ore raggiungendo i vari posti.

Il primo micro mi porta a Dalchaue da cui con un secondo arrivo a Achao. Anche qui sono accolto da pioggia e vento che non mi permettono di visitare con calma il posto. Il mio obbiettivo è visitare la chiesa di Santa Maria di Loreto molto antica fatta tutta di legno scuro, ma anche se sono dentro l’orario di apertura la trovo chiusa. Vado in comune a chiedere spiegazioni e mi dicono che c’è una signora che la tiene aperta ma probabilmente quel giorno è rimasta a casa, tuttavia mi suggeriscono di andare dal prete che abita di fianco per farmi aprire. Dopo tre tentativi per aprire il cancello dell’abitazione finalmente riesco ad entrare e suonare il campanello. Mi apre il parroco ma alla mia richiesta di aprire la chiesa si sottrae….che delusione.

Intanto provo a trovare un alloggio e dopo aver parlato a lungo con una ragazza che gestisce il posto, decido di tornare ad Dalchaue. La pioggia mi insegue e fatta una foto alla chiesa di Nostra Signora del Dolore sempre di legno di colore chiaro che rispecchia l’architettura della scuola chilota in legno, prendo il bus per Ancud.

Mi sistemo in uno ostello disabitato da turisti e faccio visita alla città percorrendo varie strade del centro fino a sera. Anche qui c’è un’interessante cattedrale in piazza e un museo della storia.

Il giorno dopo ho in programma di visitare la pinguinera di Panihuill, ma per via della incertezza degli orari dei bus durante questa stagione e a causa del maltempo decido di desistere.

Visito il forte San Antonio baluardo della difesa dei chiloti contro gli spagnoli che dovettero, dopo molte battaglie, firmare il trattato di resa e così l’isola di Chiloè fu annessa al Cile.

Tornato in piazza visito gratuitamente il museo della storia che ritengo molto interessante per la presenza di elementi sia storici come resti di mezzi di trasporto, utensili, che naturali e topografici. Non mancano elementi fotografici.

Uscito dal museo decido di trasferirmi a Puerto Varas in bus(ETM) partendo dal terminal municipale. Arrivato, cerco un ostello abbastanza lontano dal centro che trovo chiuso e dopo un tentativo invano da parte dei vicini di contattare il proprietario, torno in centro. Tento in altri due ostelli, ma uno è pieno e nell’altro vi è già una ragazza che non vuole compartire la stanza. Un po’ preoccupato mi rimetto in marcia per arrivare finalmente nell’ultimo che avevo in lista che mi accoglie bene ed è veramente carino con una camera molto spaziosa, una bella cucina, e un living con una stufa a legna. Mi reco al centro di informazione turistica per avere info su cosa si può vedere. Devo dire che Puerto Varas l’ho trovata molto carina, con lungo lago dove si può passeggiare tranquillamente ammirare i due vulcani Osorno e Calbuco se si è fortunati….

E’ possibile fare trekking nel parco vicino alla città.

01 ottobre

Di mattina presto saluto Puerto Varas con un ultimo giro per la città e mi reco al terminal di bussur con destinazione Valdivia. Arrivo verso mezzogiorno al terminal e prima di iniziare il giro acquisto il biglietto per Valparaiso previsto per la notte. Mi devo accontentare di quello che rimane in quanto quasi tutti i posti sono occupati.

Fuori dal terminal trovo subito il micro n°20 per Niebla che passa dopo qualche minuto. Richiedo di fermarmi nel punto dove parte il ferry per l’isola Corral. Salgo sul traghetto e in 30’ arrivo sull’isola che mi appare subito come fosse disabitata. Diciamo che questa è un’isola di pescatori e per la mancanza totale di turisti sembra disabitata. Dopo aver fatto un giro per scattare delle foto attendo il ferry che tarda a venire saltando una corsa. Una volta tornato sulla terra ferma faccio l’autostop per arrivare a Niebla per visitare una struttura storica simile ad un forte usato per la difesa dagli attacchi stranieri. Quando arrivo la struttura sta per chiudere, ma il guardiano mi fa entrare lo stesso in modo da poter scattare qualche foto.

Riprendo il bus 20 per tornare in centro e visitare la città. Molto curioso è una copia del pendolo di Foucault costruito per dimostrare che la terra ruota e che la rotazione completa avviene in 24ore. Da vedere anche un sommergibile in disuso e dei leoni marini che bivaccano su un a struttura di legno sul fiume.

Visito la cattedrale e mi metto in cammino verso il terminal da cui prendo il bus alle 22.30 per Valparaiso.

02 ottobre

Arrivo a Valparaiso a metà mattinata. Nei pressi del terminal c’è un grande mercato di prodotti agricoli e vedo che i prezzi sono ben diversi da quelli della Patagonia ovvero sono molto più bassi. Mi metto in cammino per raggiungere il quartiere chiamato Il Museo a Cielo Aperto, ovvero si tratta di una zona dove artisti disegnarono delle vere opere d’arte sui muri, i cosiddetti murales. La strada è tutta in salita e ad un certo punto si arriva alla casa museo di Pablo Neruda che però quel giorno era chiuso perché lunedì.

La giornata è abbastanza calda e pian piano mi metto in cammino per tornare al terminal non prima di visitare Plaza de Armas un paio di chiese e via verso l’ultima tappa: Santiago.

Prendo il primo bus che mi porta al terminal Alameda da cui con una lunga passeggiata arrivo all’ostello che si trova nei pressi della stazione Los Heroes.

Esco dall’ostello per dirigermi verso il centro. Avevo l’idea che Santiago fosse una città molto brutta e pericolosa. Certo nei pressi della stazione ferroviaria mentre scattavo una foto mi si avvicina una ragazza che mi mette in guardia che mi potrebbero rubare la macchinetta e poco dopo vedo un nuvolo di auto della polizia perché una ragazza è stata picchiata, ma a parte questo credevo che la città non offrisse niente. Tutto sbagliato. Anche alcune recensioni dicevano che fosse brutta, ma vi posso dire che il centro è veramente bello e mi ha proprio stupito.

Partendo da Plaza de Armas si può percorrere una serie di strade pedonabili lungo le quali si incontrano palazzi, chiese che si possono fotografare e visitare. Per non parlare della cattedrale molto bella.

Giro tutto il centro, compro qualche ricordino e rientro in ostello. Trovo l’ambiente abbastanza confortevole con una bella cucina in cui ci si può preparare da mangiare. Trovo anche delle bottiglie di vino che sono in comune e ne approfitto. Dopo una bella doccia vado a dormire, ma fino alle 2 non chiudo occhio per lo schiamazzo che sento nel living.

03 ottobre

Dopo aver fatto una bella colazione mi dirigo presso la stazione Los Heroes da cui parte il bus Centropuerto che per 1800$ porta in aeroporto. Volo Airfrance per il ritorno in patria.

 

Abbigliamento

Per quanto riguarda l’abbigliamento debbo sottolineare l’importanza delle scarpe che devono essere rigorosamente impermeabili (Goretex è meglio) perché vi troverete ad attraversare tratti con presenza di acqua come fiumiciattoli etc, per cui è fondamentale avere sempre il piede asciutto. E’ preferibile avere scarpe alte per tenere in sicurezza la caviglia.

Per il pantalone e la giacca vale lo stesso discorso ovvero sempre impermeabili e traspiranti. I guanti li ho usati forse una volta. Il cappello può essere utile soprattutto se c’è vento.

E’ importante scegliere bene la maglia intima(termica) che non deve contenere fibre come acrilico per evitare odori sgradevoli, meglio se contengono ioni argento perché si può indossare per più giorni senza odori.

Potete portare, in questo periodo, anche magliette a maniche corte da usare quando c’è sole e si sente caldo per la fatica.

 

 

 

Conclusioni

A margine di questo diario potremmo trarre varie conclusioni.

Prima della partenza non avendo trovato traccia di viaggiatori in questo periodo ero terrorizzato dal trovare tempo pessimo, soprattutto avevo paura che i sentieri fossero innevati e invece tutt’altro.

I sentieri percorsi erano in perfetto stato a parte zone dove erano allagate per la presenza di falde che sgorgavano dal terreno. La marcatura dei sentieri era buona, tuttavia molte volte si ha la sensazione di smarrire la retta via ma poi si ritrova quella giusta. Per Torres del Paine si potrebbe fare molto meglio in termini di tenuta e di segnaletica delle piste, soprattutto in certe zone a fronte di un ticket d’ingresso alto. Non vi è la minima presenza di guardiaparchi né tantomeno la possibilità di assistenza in caso di necessità.

Per El Chalten ritengo migliori i tracciati ma anche lì ci sono tratti poco chiari come quello dopo il Poincenot che porta al lago De Los Tres.

Il parco Tierra del Fuego regala molto meno emozioni e la mappa che danno fa un po’ sorridere.

Lungo i sentieri è possibile che non s’incontri nessuno, ma a parte un possibile timore autosuggestivo, non mi pare che ci possano essere pericoli per la propria sicurezza.

In generale posso dire che lo spettacolo che regala la natura percorrendo i sentieri vale il viaggio.

I costi dei transfer (traslado) con bus turistici sono molto alti anche per tratti brevi, così come il costo della vita in Patagonia è alto ed è visibile guardando i prezzi al supermercato che superano i nostri.

Gli alloggi più economici in dormitorio sono di circa 10euro; non ho prenotato nulla da casa ad eccezione per l’ultimo giorno a Santiago. Nel periodo si rischia di trovare ostelli completamente vuoti. I prezzi trovati su internet sono più alti di quelli in loco anche per i bus.

Sia in Cile che in Argentina c’è il grosso problema del randagismo, ovvero vi è la presenza costante di branchi di cani di grossa taglia che girano indisturbati per le strade e fanno un po’ paura. Credo che i due governi debbano trovare una soluzione a questo problema.

Nel periodo, la parte illuminata del giorno è limitata rispetto all’estate; il sole sorge intorno alle 7 e fa buio alle 19.30 per cui non si può stare lungo i sentieri sino a tardi.

Si può viaggiare soli senza problemi, non ho avvertito sensazione di pericolo e non c’è bisogno di agenzie almeno per quello che ho fatto.

Il volo per Santiago costa meno della metà di quello per Buenos Aires per cui bisogna valutare attentamente questo.

Credo di aver fatto 2 viaggi, uno in Patagonia e uno in Cile da Puerto Montt a Santiago. Debbo dire che la seconda parte merita un viaggio a sé, soprattutto quella dell’isola di Chiloè in cui sarebbe perfetto potersi spostare in auto propria.

L’unico mezzo usato per costruire il viaggio è stato il mio computer.

Spero di aver contribuito a dare le informazioni utili al vostro futuro viaggio.

Allora, dopo aver letto il diario sono riuscito a rispondere al quesito iniziale: è possibile viaggiare in Patagonia in settembre? A voi la risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bosnia ed Erzegovina: un’esperienza difficile da imitare

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Nonostante un passato burrascoso, la Bosnia ed Erzegovina è piena di bellezze. Il paese offre ai visitatori un’esperienza difficile da imitare se stai cercando di sfuggire alle masse e scoprire una terra che molti non hanno ancora scoperto ti suggerisco fortemente questo luogo.

La natura incontaminata ed i paesaggi di questo paese hanno qualcosa da offrire a tutti, da chi cerca un’esperienza autentica ai drogati di adrenalina. Sia che tu voglia fare canyoning, trekking, rafting o nuoto.

Non perdere questi 5 posti

1. Cascate di Kravice, per una rilassante giornata di nuoto sotto le migliori opere di Madre Natura, a soli 25 km a sud di Mostar.

2. Il Blagaj Tekke e la Green Cave, per visitare la capitale dell’antico Hum Blagaj e vedere la famosa grotta verde, dove sono stati trovati reperti risalenti al V secolo aC, tutti a breve distanza dall’aeroporto di Mostar. È anche possibile trovare le rovine della città di Stjepan, il castello si trova sulla scogliera inaccessibile sopra il fiume Buna.

3. Stari Most Bridge, per vedere il punto di riferimento più fotografato in tutta la Bosnia ed Erzegovina. Il Ponte Vecchio ricostruito e la Città vecchia di Mostar sono simboli di riconciliazione, cooperazione internazionale e coesistenza di diverse comunità.

4. National Park e Pliva Lakes, per perdersi in paesaggi idilliaci. Assicurati di vedere Štrbački buk – le più grandi cascate in Bosnia ed Erzegovina situate sul fiume Una. Cammina lungo sentieri di legno per vedere le cascate da vari punti di vista.

Quindi, assicuratevi di vedere le Cascate di Pliva situate nella città medievale di Jajce. A monte delle cascate, date un’occhiata anche ai laghi Large e Small Pliva.

5. Sarajevo, per esplorare la capitale culturalmente ricca della Bosnia ed Erzegovina. Assicuratevi di andare sottoterra e vedere il Tunnel di Sarajevo (noto anche come Tunnel of Hope), per saperne di più sul passato del paese. Questo tunnel fu costruito nel 1993 durante l’assedio di Sarajevo al tempo della guerra in Bosnia.

Conoscere la gente del posto: I bosniaci sono incredibilmente orgogliosi del loro paese, accolgono i turisti e condividono felicemente le loro storie.

Ricorda: se ti fermi a Stari Bridge a Mostar abbastanza a lungo, potresti vedere alcuni degli abitanti del luogo (o dei viaggiatori) che saltano nelle profondità del fiume. E’ un rito di passaggio per i ragazzi bosniaci e il loro status di uomini.

La Bosnia ed Erzegovina è piena di cultura, storia e bellezza. Quindi, se vuoi sfuggire alla folla ed avere un’esperienza autentica o cinque, considera questo paese come una valida aggiunta alla tua lista.


Italia – Slovenia – Bosnia – Croazia – on the road

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Tutto inizia già nel mese di Marzo, quando io e la mia famiglia decidiamo di organizzare un viaggio in auto, ormai siamo abituati a questo tipo di viaggi on the road, infatti già nel 2014 e 2015 abbiamo girato la Spagna in auto. Quest’anno ci sposteremo verso Est, la prima cosa che ho prenotato è stato il traghetto di ritorno che ci riporterà in Italia da Dubrovnik, quindi come già detto a Marzo mi sono assicurato i biglietti, e nei mesi successivi ho prenotato personalmente tutti gli hotel che ci ospiteranno lungo il tragitto.

Finalmente si parte, verso le 5.00 am tutti in auto, destinazione Vicenza, questa è solo una tappa per smaltire la stanchezza del viaggio, quasi 800 Km., arriviamo in hotel e facciamo il check-in, poi passiamo l’intero pomeriggio in piscina, la sera decidiamo di cenare presso il Roadhouse (nota catena di fast food) e dopo cena torniamo in hotel.

La mattina seguente, dopo colazione raggiungiamo Venezia, lasciamo la nostra auto presso il Tronchetto Parking e con il trenino sopraelevato People Mover raggiungiamo Piazzale Roma. La città lagunare come noto è unica al mondo, cominciamo la nostra visita attraversando il Ponte della Costituzione, per intenderci il ponte della discordia, troppo moderno a mio avviso e quasi impraticabile. Superata la stazione raggiungiamo il Ponte degli scalzi e lasciamo il Canal Grande per intrufolarci nelle viuzze della città, passiamo dalla Chiesa di  San Giacomo dell’Orio, Santa Maria Mater Domini, attraversiamo il piccolissimo Ponte delle Tette, Il Mercato di Rialto, la Chiesa di San Giacomo di Rialto e il famoso Ponte di Rialto con i suoi piccolissimi negozi posti su entrambi i lati. Proseguiamo e raggiungiamo Piazza San Marco dove grazie alla Venezia Unica (una card turistica) pre-acquistata on-line visitiamo il Museo Correr, La Torre dell’Orologio, il Museo Civico di Venezia, il Museo Archeologico Nazionale, la Biblioteca Marciana e naturalmente la Basilica di San Marco chiesa principale della città. L’attuale edificio è diviso in tre differenti registri, piano inferiore, terrazza e cupole, la Basilica  è lunga 76,5 metri e larga 62,60 in una città come Venezia, che poggia su un terreno sabbioso, si tendeva a realizzare gli edifici in larghezza, più che in altezza, questo per avere una base più ampia e dare alla struttura un peso più equilibrato. La cupola centrale è alta 43 metri. La facciata presenta due ordini, uno al pian terreno che è scandito da cinque grandi portali strombati che conducono all’atrio interno. Il secondo ordine forma una terrazza percorribile e presenta quattro arcate cieche più una centrale in cui si apre una loggia che ospita la quadriga. Dopo la Basilica visitiamo il Palazzo delle Prigioni ed attraversiamo il famoso Ponte dei Sospiri che conduce al Palazzo Ducale,  il ponte infatti fungeva da passaggio per i prigionieri quando dovevano recarsi dalle prigioni agli uffici degli inquisitori di Stato per essere giudicati. Terminate le visite raggiungiamo il Tronchetto Parking, attraversando ancora una volta Canal Grande grazie al Ponte dell’Accademia. Recuperata l’auto raggiungiamo il nostro Hotel in località Quarto D’altino e ceniamo in un ristorante a pochi metri da esso.

Dopo Luglio, “col bene che ti voglio” come cantava Riccardo Del Turco, arriva il tanto atteso Agosto, lasciamo il nostro hotel e anche l’Italia ed entriamo in Slovenia, per farlo bisogna acquistare la famosa vinjeta, ovvero un bollino di colore arancione da applicare sul parabrezza, il costo è veramente ridicolo se lo paragoniamo al costo autostradale Italiano, infatti con soli 15,00 euro si può viaggiare senza limiti in tutta la rete autostradale Slovena per sette giorni consecutivi. La nostra prima tappa in Slovenia sono le Grotte di Postumia (Postojnska jama) ben 21 Km. di gallerie, le più estese dell’intera aria Carsica e le più visitate d’Europa, le caverne sono ricche di stalagmiti e stalattiti, la temperatura interna e quasi costante sugli 8°. Ci infiliamo i giubbini ed entriamo, la prima parte delle grotte sono visitabili salendo a bordo di un trenino elettrico che ci lascia nel cuore delle stesse, poi proseguiamo a piedi, sempre accompagnati da una guida che ci illustra e spiega le meraviglie ineguagliabile a cui assistiamo. Per quanto riguarda la Fauna, l’abitante più famoso delle grotte è il Proteo, questo piccolo anfibio ha molte caratteristiche, infatti è l’unico della sua specie a vivere in totale assenza di luce ed è totalmente depigmentato. Torniamo a bordo del trenino che ci conduce nelle vicinanze dell’uscita. Dopo le Grotte raggiungiamo il Castello di Postumia o Castel Lueghi, nel comune di Bucuie a 9 km. da Postumia, lo raggiungiamo grazie al bus messo a disposizione dal parco compreso nel biglietto combinato Grotte+Castello la costruzione risale al 1.300, all’epoca queste terre appartenevano all’italia. Il Castello era considerato inespugnabile essendo situato al riparo di una grotta carsica su una parete di roccia alta 123 metri ed era il rifugio del cavaliere Erasmo, alcune stanze del castello però erano leggermente più esposte e grazie al tradimento di un servitore le truppe riuscirono a colpire a morte Erasmo ed espugnare il castello. Dopo la visita il Bus ci riporta al parcheggio, recuperiamo l’auto e lasciamo Postumia per raggiungere a 53 km. a nord-est la capitale della Slovenia, Lubiana. Questa città conta 287 mila abitanti ed è la più grande di tutta la Slovenia, considerata il cuore culturale, scientifico, amministrativo e politico dell’intero paese, nasce lungo il fiume  Ljubljanica, molto carino il suo centro storico mantenuto intatto nel tempo. Lasciamo la nostra roba nell’hotel e raggiungiamo il Castello medievale posto in cima alla collina che sovrasta l’intero centro storico, raggiungiamo la sommità grazie ad una piccola funicolare, l’edificio è stato interamente ricostruito negli anni 60, nei basamenti dei muri attuali sono ancora visibili alcune tracce di un castello risalente al XII secolo, l’antico castello che qui sorgeva fu la residenza dei Margravi, poi dei Duchi di Carinzia. Rientriamo un attimo in Hotel, giusto il tempo di rinfrescarci e cambiarci, poi usciamo per cena. La sera Lubiana è veramente fantastica, gli antichi palazzi si illuminano e lungo le sponde del fiume molti artisti di strada danno sfogo alle loro passioni, i tantissimi locali brulicano di gente, bisogna affrettarsi per trovare posto. La prima giornata in Slovenia si conclude nei migliori dei modi assaporando qualche specialità locale.

La mattina seguente raggiungiamo in auto il Museo ferroviario sloveno allestito in una vecchia sede industriale. Qui vistiamo una collezione di vecchie locomotive a vapore, che comprende alcuni esemplari rari. Oltre alle locomotive ammiriamo una vasta collezione di apparecchiature ed attrezzi vari come anche telegrafi, telefoni, telescriventi e stazioni radio. Lasciamo il museo e raggiungiamo lo Zoo di Lubiana, l’area di quasi 20 ettari si trova in un habitat naturale sul versante meridionale della collina di Rožnik. Lo zoo fu fondato nel 1949 e si trovava al centro della città, successivamente spostato nell’attuale sede e stato arricchito di nuove specie nel corso degli anni, attualmente ospita 119 specie di animali. Rientriamo in hotel, lasciamo l’auto e proseguiamo il nostro giro per il centro storico della città. Raggiungiamo la Cattedrale di San Nicola, l’unica della Capitale, la sua costruzione risale tra il 1701 e 1706, l’edificio è in stile barocco, al suo interno ammiriamo molti dipinti realizzati tra il 1703 ed il 1723 dall’artista Giuglio Quaglio. Durante il nostro dolce camminare ammiriamo il Ponte dei Draghi ed il Triplo Ponte, poi raggiungiamo la sponda del fiume e ci concediamo un giro in battello godendoci il tramonto. Anche il nostro secondo giorno a Lubiana si conclude con una cena nei pressi del fiume, poi rientriamo in hotel.

La mattina seguente dopo colazione lasciamo Lubiana e anche la Slovenia proseguendo il nostro viaggio verso Zagabria, un’altra nazione, un’altra capitale, con Zagabria cominciamo la nostra visita della Croazia. Questa città conta 800 mila abitanti, raggiungiamo il nostro hotel a ridosso del centro storico e dopo il check-in cominciamo subito la visita della città, raggiungiamo la cattedrale dedicata all’Assunzione di Maria ed ai due Re Stefano I e Ladislao I, la chiesa rappresenta l’edificio di culto più importante del paese. Costruita originariamente in epoca medievale la cattedrale custodisce un tesoro d’inestimabile valore con oggetti risalenti dall’XI al XIX secolo. In essa riposano le spoglie di numerosi protagonisti della storia croata. La costruzione della cattedrale ebbe inizio nel 1093 e  fu completata solo nel 1217, nel 1880 la cattedrale fu seriamente danneggiata dal terremoto che colpì la città e quindi in parte ricostruita in stile neogotico. A pochi metri dalla cattedrale si trova il caratteristico mercato del Dolac, già da lontano il colpo d’occhio e notevole, centinaia di ombrelloni rigorosamente tutti di color rosso accesso. In questo mercato è possibile trovare tutto ciò che riguarda il cibo, pesce, carne, verdura, cereali ecc.. onestamente il livello di igiene lascia un po’ a desiderare. Lasciamo il mercato e raggiungiamo nell’immediate vicinanze la piazza principale della città, ovvero Piazza Josip Jelačić, dedicata appunto al Conte Josip Jelačić, che divenne noto per una serie di campagne militari contro le forze rivoluzionarie nel 1848 e per aver supportato l’abolizione della servitù della gleba in Croazia, al centro di essa infatti vi è una grande statua che raffigura il Conte a cavallo. Si è fatta ora di pranzo e ci fermiamo in una delle tante pizzerie per una pausa e per stemperare le alte temperature di un’estate veramente torrida. Nel pomeriggio ci concediamo una splendida vista sulla città e saliamo al 16° piano della torre panoramica Zagreb360°  arrivati in cima ammiriamo tutta la città, le sue strade principali e le sue piazze, allungando lo sguardo ad est si vedono le montagne della Moslavina e ad ovest i monti Žumberak. Torniamo a livello strada e ci incamminiamo verso il Museo delle Illusioni in via Ilica 72, il museo si sviluppa su due piani di un antico palazzo, un vero spasso per grandi e piccini. Torniamo sui nostri passi e raggiungiamo la mitica Funicolare, il più antico mezzo di trasporto pubblico di passeggeri a Zagabria, riconosciuta come monumento culturale a tutt’oggi conserva l’aspetto esteriore e la struttura costruttiva originale. Questa piccola funicolare collega la città bassa alla parte alta, in realtà il dislivello è veramente minimo, si potrebbe raggiungere tranquillamente la parte alta della città attraverso le scale poste ai lati della funicolare, ma noi vorremmo dire “l’abbiamo provata” quindi tutti a bordo. Appena scesi dalla funicolare ci si trova difronte alla Lotrščak Tower un’antica torre attualmente adibita come punto panoramico. A pochi metri da essa si trova la chiesa parrocchiale della città vecchia Crkva sv. Mark, chiesa di San Marco riconoscibile anche grazie al particolare tetto ricoperto di tegole che rappresentano lo stemma di Zagabria (castello bianco su sfondo rosso) e il Regno Trino di Croazia, Slavonia e Dalmazia. E’ quasi ora di cena, a Zagabria esiste una vera e propria strada del cibo, Ivana Tkalčića, su questa strada gli unici esercizi presente sono pizzerie, bar e soprattutto ristoranti, ci fermiamo in uno di essi e ceniamo. La mattina successiva visitiamo l’altra parte della città, partendo sempre da piazza Josip Jelačić,  percorriamo per intero il famoso ferro di cavallo, un insieme di giardini che si estende verso sud, taglia verso ovest e risale verso nord, formando un ferro di cavallo squadrato per una lunghezza totale di 2.5 km. In ordine troviamo il Park Zrinjevac, il Park Josipa Jurja Strossmayera, al suo interno si trova l’accademia delle scienze e delle arti che ospita la galleria  Strossmayerova, un’esposizione permanente di opere d’arti appartenute al vescovo Strossmayer da cui prende il nome. A seguire troviamo il Ledeni park ed al suo interno l’Art Pavilon un padiglione adibito a galleria espositiva con un’area di 600 m2, nel corso della sua storia la galleria ha organizzato circa 700 mostre con artisti che vanno dal collettivo Earth Group a George Grosz, Henry Moore, Auguste Rodin, Andy Warhol, Mimmo Rotella, Joan Miró, Auguste Rodin, Alberto Giacometti e molti altri. Il nostro cammino verso sud termina, di fronte al Ledeni park si trova la stazione centrale di Zagabria, viriamo verso est e arriviamo al Giardino Botanico della città. Il giardino fu fondato nel 1889 da Antun Heinz, professore dell’Università di Zagabria e aperto al pubblico nel 1891 e fa parte della Facoltà di Scienze. Ha una superficie di 5 ettari, ed ospita oltre 10.000 specie di piante provenienti da tutto il mondo, tra cui 1.800 specie esotiche. Al suo interno ci sono anche dei grandi stagni per piante acquatiche. Usciamo dal giardino e torniamo verso nord per visitare l’ultimo rettilineo del così detto “ferro di cavallo”, nel primo pezzo dei tre restanti si trova l’Archivio di Stato e la Facoltà di ingegneria chimica e tecnologia, subito dopo si trova l’accademia di arte drammatica ed il Museo Etnografico. Nell’ultima parte si trova il Teatro Nazionale Croato di Zagabria, abbiamo percorso quasi tre km., considerando l’alta temperatura e l’orario, decidiamo di tornare in hotel per rinfrescarci un attimo, poi usciamo per cena tornando sulla già citata food road.

L’indomani lasciamo Zagabria e raggiungiamo i famosi Laghi Plitvika, giungiamo al nostro hotel situato a qualche decina di metri dall’ingresso 2 del parco, lasciamo la nostra roba ed cominciamo la nostra visita. Il parco si trova nel complesso montuoso di Lička Plješivica, in un territorio di fitte foreste, l’intera area occupa una superficie di 33.000 ettari e comprende 16 laghi in successione, collegati fra loro da cascate e suddivisi in Laghi superiori e Laghi inferiori in base alla loro latitudine. All’interno del parco si trovano anche numerose grotte di cui solo una piccola parte è agibile. I boschi del parco sono popolati da 157 specie di uccelli, 50 specie di mammiferi, 321 specie di lepidotteri (76 di farfalle e 245 di falene) e altri animali, fra i quali l’orso bruno, il cinghiale, il lupo, la lince ed il capriolo. Nel  1979 Il Parco nazionale dei laghi di Plitvice venne inserito nella lista dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Per scoprire a fondo questo parco nazionale ci vorrebbe più di un giorno ma comunque considerato che siamo arrivati intorno alle 10.00 ed usciamo alla chiusura ovvero alle 18.30 possiamo ritenerci soddisfatti, rientriamo in hotel e dopo una rinfrescata raggiungiamo una meta inevitabile se si passa da queste zone, ovvero una cena al Licka Kuca un ristorante nazionale unico nel suo genere, che ripropone l’atmosfera tipica delle case della Lika, il “Lička kuća” è stato costruito nel 1972 come un luogo speciale, dove agli ospiti viene offerta una ricca varietà di piatti autoctoni. Proprio al centro del ristorante si trova un camino a focolare aperto, dove l’agnello viene arrostito allo spiedo, e dove altre specialità alimentari provenienti dalla Lika vengono preparate “sotto la campana di ferro”. Il ristorante ospita anche una varietà di oggetti tipici usati in passato dalle famiglie della Lika. Dopo cena rientriamo in hotel.

Il giorno seguente partiamo per Zara, 120 km. più a sud, prima località sul mare del nostro viaggio in Croazia. Zadar come si pronuncia in croato, conta 75 mila abitanti, è la capitale storica della Dalmazia, superata poi da Spalato, questa città ha una ricca storia alle spalle. Nel corso della seconda guerra mondiale fu gravemente colpita dai bombardamenti aerei, in seguito al trattato di pace del 1947 fu ufficialmente annessa alla Jugoslavia. Solo dal 1991 fa parte della Croazia ed è oggi il capoluogo della regione zaratina, sede universitaria ed arcivescovile. Arrivati a zara facciamo il check-in e lasciamo l’auto, ci incamminiamo verso il centro storico della città raccolto nelle mura di cinta, accediamo tramite la Porta di Terraferma eretta nel 1543 in pieno periodo veneziano, infatti si nota al centro il leone di San Marco. Subito sulla destra si trova la Piazza dei 5 pozzi che in tempi antichi fungeva da cisterna per le riserve di acqua potabile. Proseguendo poco più avanti si trova in ordine, il Museo di Storia Naturale, trg Narodni (Piazza dei Signori) dove si trova il Municipio, e poi la famosa chiesa di San Donato, la più visitata e fotografata di Zara.  Fu eretta probabilmente nell’IX secolo sull’area dell’antico foro romano per iniziativa dell’allora vescovo Donato, che la dedicò alla Trinità. Nel 1798 fu sconsacrata ed adibita a magazzino militare fino al 1887 quando divenne sede del museo archeologico cittadino. Liberata dalle costruzioni circostanti in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale viene oggi utilizzata come auditorium per concerti e conferenze. Noi visitiamo la Cattedrale di Sant’Anastasia che si trova di fianco, è il luogo di culto principale della città, ed è considerata la più bella di tutta la Dalmazia. Edificata nel secolo IX, è un pregevole esempio del romanico italiano, di stile pisano-pugliese e in luminosa pietra d’Istria. L’interno della chiesa è particolarmente monumentale, la navata principale ha una larghezza tre volte superiore rispetto a quella delle navate laterali ed è divisa da colonne e pilastri che si susseguono a vicenda. Il presbiterio, al di sotto del quale si trova la cripta risalente al XII secolo, è leggermente innalzato e presenta uno stallo in legno finemente lavorato in stile gotico fiorito. Il ciborio, risalente al 1322, sovrasta l’altare maggiore e la sede arcivescovile in pietra. Si è fatta ora di pranzo, ci fermiamo in un bar e stuzzichiamo qualcosa, preferiamo fare il pasto principale la sera. Continuiamo la nostra visita di Zara ed arriviamo nell’ultima parte del centro storico, qui si trova il famoso Organo Marino, un’opera di ingegneria che consiste in dei gradoni con delle fessure che fungono quasi come da frangiflutti, ogni qual volta l’onda ci sbatte contro l’acqua infilandosi nelle fessure emette un suono che fuoriesce dai foro posti sulla pavimentazione del lungomare. Di fianco all’Organo Marino di trova il Saluto al Sole, un cerchio di pannelli solari posti a pavimento che durante tutto il giorno assorbono la luce solare e la notte si illumina alzando un raggio di luce verso il cielo. Questa zona di Zara è molto affollata, specialmente all’ora del tramonto, visto che ci siamo quasi ci tratteniamo in zona, ci godiamo il tramonto e subito dopo il raggio di sole artificiale. Dopo questi spettacoli, naturali e non, torniamo nelle viuzze per cena. Per raggiungere il nostro alloggio, approfittiamo di un piccolissimo passaggio in barchetta che ci consente di raggiungere l’altra sponda senza dover rifare tutto il giro attraverso la Porta di Terraferma.

L’indomani ci attende un altro spettacolo della natura, Il Parco Nazionale del Krka, 80 Km. più a sud, e soli 15 Km. dalla costa. Per raggiungere il Parco si può optare per il parcheggio presso Lazovac dove un bus dell’ente parco accompagna i visitatori direttamente all’ingresso oppure come abbiamo fatto noi, raggiungere la cittadina di Scardona, lasciare l’auto e con un traghetto raggiungere il parco. Il Parco è stato costituito nel 1985 ed è il settimo Parco Nazionale della Croazia, è famoso per le sue cascate ad altezza variabile che coprono un dislivello totale di 45 metri, una delle più famose, nonché la più grande e la cascata Skradinski buk. Il parco del Krka presenta una ricca fauna e una grande biodiversità: 18 specie di pesci, 222 specie di uccelli, 18 specie differenti di pipistrello, rettili e anfibi per un totale di circa 860 specie. Dopo aver visitato gran parte delle Bellezze naturali di questo meraviglioso parco camminando tra i sentieri, ci muniamo di biglietti e ci rechiamo al molo d’imbarco per raggiungere il lago Visovac  situato tra le cascate Roŝki slap la più a nord di tutto il parco e quelle di Scardona. In mezzo al lago è presente un isolotto, sul quale sorge un convento di frati francescani, una chiesa e un museo. L’escursione prevede la visita dell’isolotto e poi la visita della cascata Roŝki slap dove sostiamo per circa un’ora e ci facciamo il bagno. Dopo esserci asciugati torniamo a bordo del traghetto e ripercorriamo il percorso a ritroso, poi raggiungiamo l’altro traghetto che ci condurrà all’uscita del parco e successivamente raggiungiamo l’auto.

La nostra prossima tappa è Spalato dove arriviamo nel tardo pomeriggio, incontriamo il proprietario del nostro alloggio, un bellissimo appartamento di legno e pietra naturale, lasciamo la nostra roba e dopo una bella rinfrescata raggiungiamo il centro città, dove, dopo una breve passeggiata ci fermiamo per cena. L’indomani dopo colazione cominciamo la nostra visita di Spalato, capoluogo della regione spalatino-dalmata, principale centro della Dalmazia che con i suoi 180.000 abitanti, è la seconda città del Paese dopo la capitale Zagabria. Spalato è anche sede universitaria e arcivescovile. La città fu fondata come colonia siracusana, in seguito divenne città romana, sviluppatasi intorno allo sfarzoso Palazzo dell’imperatore Diocleziano, ed è proprio li che noi andiamo. Palazzo Diocleziano è il sito culturale di maggior interesse, bellezza e fascino, come testimonia la nomina a patrimonio dell’Unesco. Fatto costruire dall’imperatore Diocleziano alle soglie del 300 A.C. come residenza in cui trascorrere gli ultimi anni di vita, è una splendida fortezza edificata con le pietre bianche dell’Isola di Brac. Le sue mura circondano l’odierno centro storico della città ed è possibile accedervi attraverso quattro porte. Noi entriamo dalla porta d’oro dove si trova la gigantesca statua di Gregorio di Nona Vescovo della città, la scultura è stata realizzata nel 1929 da Ivan Meštrović, la tradizione vuole che toccare il suo enorme pollice porti fortuna, e come la nota commedia di Peppino De Filippo “ Non è vero ma ci credo”, noi lo tocchiamo. All’interno del centro storico,  vicoli, edifici, bar e ristoranti rendono l’atmosfera davvero unica. Arriviamo in Piazza Peristil, sulla nostra destra notiamo la piccolissima chiesa di San Rocco, attualmente centro informazioni turistiche, difronte a noi la caratteristica piazza circondata da gradoni sui quali sono posti dei comodi cuscini di colore rosso dove ci soffermiamo a guardare questo fantastico museo a cielo aperto. Oltrepassiamo il colonato alla nostra destra e visitiamo la Cattedrale di San Doimo che  sorge nell’edificio certamente più antico – il mausoleo dell’imperatore romano Diocleziano. Nella metà del VII secolo il mausoleo dell’imperatore, persecutore dei cristiani, divenne cattedrale nella quale i posti d’onore furono riservati per gli altari con le reliquie di San Doimo e Sant’Anastasio, martiri giustiziati nella vicina Salona. L’ottagono esterno del mausoleo era circondato da un portico (periptero) a 24 colonne. Il suo interno è a pianta circolare con quattro nicchie semicircolari e quattro rettangolari. Al centro fu sistemato il sarcofago di Diocleziano che più tardi venne distrutto. Le nicchie sono sovrastate da otto colonne corinzie di granito rosso, su di esse, altre otto colonne più piccole. Il rilievo del fregio che corre tutt’intorno raffigura degli Eroti a caccia, maschere e teste umane. Destano particolare interesse due medaglioni con nastri nei quali gli archeologi e la tradizione spalatina riconoscono ritratti di Diocleziano e sua moglie Prisca. È interessante la costruzione della cupola, realizzata con mattoni posati a ventaglio nella sua parte inferiore e a posa circolare nella parte superiore. La cupola splendeva grazie ad un luccicante mosaico, come quella del Vestibolo. Oggi la cattedrale è soprattutto luogo liturgico la cui continuità millenaria è attestata dalle messe domenicali e dal rinnovato splendore della processione nel giorno del patrono della città, San Doimo, il 7 maggio. Tra i più importanti elementi della cattedrale sono i suoi battenti che nel 1214 intagliò in noce lo spalatino Andrija Buvina rappresentandovi in 14 cassette di ogni battente le scene del Vangelo, dall’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele alla resurrezione di Cristo. A sinistra dell’ingresso si trova un pulpito esagonale del XIII secolo, realizzato in prezioso porfido verde, nel passato completamente dorato. L’altare laterale destro era consacrato a San Doimo, vescovo e martire salonitano. Il suo ciborio fu scolpito nel 1427 da Bonino da Milano in stile tardogotico, e nel 1429 il pittore spalatino Dujam Vušković abbellì l’altare con affreschi dei quattro evangelisti. L’altare laterale sinistro, consacrato al secondo patrono di Spalato, martire salonitano, tintore Anastasio di Aquileia, fu realizzato nel 1448 da Juraj Dalmatinac (Giorgio il Dalmata), il maggior costruttore e scultore del suo tempo. È particolarmente bello il rilievo centrale sul sarcofago con la raffigurazione della Flagellazione di Cristo, dove lo scultore rappresenta Cristo in balia della sofferenza e del dolore. L’altare maggiore fu eretto tra il 1685 ed il 1689. Nella nicchia settentrionale si trova l’altare realizzato dallo scultore veneziano Morlaiter, risalente al 1767, nel quale tre anni dopo vennero trasferite le reliquie di San Doimo dall’altare del Bonino. L’opera più importante nel coro barocco della cattedrale sono gli schienali lignei degli stalli intagliati nella prima metà del XIII secolo, che originariamente erano collocati davanti all’altare maggiore. Il campanile della cattedrale è alto 57 metri ed è la più originale costruzione dalmata medievale, iniziata nel XIII secolo. A cavallo tra il XIX ed il XX secolo il campanile fu completamente restaurato e alquanto modificato. Saliamo per la scalinata che porta in cima al campanile è godiamo il bellissimo panorama di tutta la città. L’estate del 2017 sarà sicuramente ricordata per il suo caldo afoso, decidiamo di tornate in camera per un paio d’ore, per rinfrescarci e riposarci, nel pomeriggio torniamo in centro e ci rechiamo al Museo Archeologico della città, considerato il  più antico della Croazia (1820), nel museo sono esposti oggetti risalenti al periodo romano e cristiano, numerose sculture ispirate dalla mitologia degli Illiri, oltre ad una ricca collezione di monete e gemme medievali. Custodisce inoltre una grande biblioteca con circa 30.000 libri relativi alla storia dell’archeologia della Dalmazia. Dopo il Museo usciamo dal centro storico e ci concediamo una bellissima passeggiata sul lungomare Riva, da poco ristrutturato, ci soffermiamo ad ammirare il tramonto e poi proseguiamo lungo via Marmontova, una bellissima strada che costeggia per intero il lato ovest del centro storico. Terminate le visite ci fermiamo per cena in uno dei tanti ristoranti, l’atmosfera è fantastica e finalmente la sera l’aria diventa piacevole, terminata la cena rientriamo nel nostro appartamento.

Siamo a metà della nostra vacanza, il giorno seguente dobbiamo raggiungere Medjugorje in Bosnia ma prima ci concediamo una visita alla città di  Trogir (Trau), tornando indietro verso Zara di 25 Km. Trogir viene considerata una delle città veneziane più belle e meglio conservate dell’intera Dalmazia. Conta solo 13.000 abitanti e conserva numerose opere d’arte, la città è collegata all’isola di Bua tramite un ponte girevole. Lasciamo l’auto in un parcheggio pubblico e raggiungiamo il cuore del centro storico. Raggiungiamo piazza Radovanov dove si trova la Cattedrale di San Lorenzo, costruita a partire dal 1213 sulle fondamenta della precedente Cattedrale, per la visita si paga l’ingresso di modico prezzo che consente anche la salita sul campanile. Nella stessa piazza si trova anche la Loggia ed la Torre dell’orologio. Dopo la Cattedrale continuiamo a passeggiare attraverso le piccolissime viuzze del centro, ci fermiamo per un aperitivo e poi lasciamo la città per proseguire il nostro viaggio verso Medjugorje che dista 170 km.

Prendiamo l’autostrada A1 e oltrepassiamo il confine tra Croazia e Bosnia con non poche difficoltà, i controlli sono veramente lenti, raggiungiamo comunque  Medjugorje prima di sera, ci sistemiamo nel nostro hotel, una struttura immersa nel verde alle porte della città, la struttura e inserita in un centro sportivo con palestra, campi da calcio, piscine e campi da tennis. In serata raggiungiamo il centro di Medjugorje, ovvero la chiesa di San Giacomo, la prima costruzione risale al 1892, e fu terminata cinque anni dopo, si deteriorò in poco tempo in quanto costruita su terreno instabile. La chiesa attuale venne ultimata e benedetta il 19 gennaio 1969. Con le prime apparizioni e l’arrivo dei numerosi pellegrini si sono rese necessarie molte modifiche e costruzioni nei paraggi della chiesa. Nel piazzale si erge dal 1987 una statua bianca della Regina della Pace, realizzata in marmo di Carrara dall’artista italiano Dino Felici, diventata uno dei simboli del santuario. I pellegrini che desiderano dedicare una parte del loro tempo alla preghiera personale e all’Adorazione al Santissimo possono farlo nella cappella dell’Adorazione, costruita nel 1991, situata nella parte sinistra guardando la chiesa. La cappella è aperta tutto il giorno e il 25 del mese anche tutta la notte ed è possibile fare l’Adorazione notturna silenziosa al Santissimo Sacramento. Ceniamo nei pressi della parrocchia e rientriamo in hotel. La mattina seguente, alle 6.30 in punto ci svegliamo, e dopo una abbondante colazione raggiungiamo in auto la zona più bassa del monte Crnica, che sovrasta la frazione di Bijakovici, dove abitavano i sei veggenti al tempo delle prime apparizioni nel 1981, nella località del Podprdo, che significa appunto “sotto la Collina”. La devozione più comune per i pellegrini che salgono sulla collina, è quella di pregare il Santo Rosario e meditarne i misteri. Per agevolare questa contemplazione, durante gli anni il sentiero del Podbro è stato arricchito di 15 tavole di bronzo raffiguranti i misteri della gioia, del dolore, della gloria. Non mi esprimo in nessun modo sul credere o meno alle apparizioni, ogn’uno è libero di vivere la propria religione come meglio crede. Noi ci attrezziamo di cappellini e go-pro e cominciamo la nostra salita. (indirizzo del video: https://www.youtube.com/watch?v=0X_wXmlalus&index=4&list=PLXUpq7R8QEobqzuVAwpQSP6OnaajXjXLs ) Torniamo in hotel per liberarci dal sudore e dalla polvere sollevata dal terriccio rossastro che caratterizza questa collina. Nel tardo pomeriggio ci rechiamo presso la chiesa di San Giacomo completando così questa giornata dedicata alla Madonna di Medjugorje.

L’indomani raggiungiamo Mostar, 30 km. a Nord-Est.  Il nome Mostar deriva dal suo “ponte vecchio” (lo Stari Most) principale trazione turistica del paese e dalle torri sulle due rive, dette i “custodi del ponte” (mostari), che unitamente all’area circostante è stata riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità nel 2005. La città è costruita lungo il fiume Narenta e con i suoi 115.000 abitanti è la quarta città del paese. Lasciamo l’auto in un parcheggio e cominciamo la nostra visita, purtroppo ciò che notiamo subito sono i segni lasciati dai bombardamenti avvenuti tra il 1992 e 1993 quando la città subì nove mesi di assedio da parte delle truppe serbe e montenegrine, diversi sono i palazzi abbandonati con evidenti segni di mitraglieria, numerosi sono anche i piccoli cimiteri sparsi per la città, praticamente ce né uno per ogni quartiere. Entriamo nello Stari Grad (città vecchia) attraversando proprio il famoso Stari Most (ponte vecchio), esattamente nel centro di esso ci sono dei ragazzi che in cambio di qualche Marco Bosniaco si lanciano nel sottostante fiume. Il Stari Most è un ponte Ottomano costruito nel 1600, venne completamente distrutto in seguito ai bombardamenti la mattina del 09 novembre 1993, fu ricostruito immediatamente dopo la fine delle ostilità e terminato il 22 luglio del 2004. Il ponte è a schiena d’asino, largo 4 metri e lungo 30, domina il fiume da un’altezza di 24 metri. Proseguiamo lungo una viuzza strettissima piena di negozi con ogni tipo di souvenir (compresi proiettili, bombe in disuso e maschere anti gas), ci fermiamo a bere qualcosa in un locale ricavato in una grotta, con tanto di galleria che giunge sino alla strada sovrastante. Qualche metro più avanti sulla sinistra sorge la Moschea Koski Mehmed-Pashafu fatta costruita all’inizio del XVII secolo da Koski Mehmed-Pasha. Dal minareto, a soli cinque metri dal fiume Neretva, si gode di una spettacolare vista panoramica della città. L’atmosfera all’interno del cortile è davvero accogliente e ci offre una piacevole e rilassante pausa in un contesto unico. Torniamo sui nostri passi e lasciamo Mostar, rientrati in Hotel a Medjugorje decidiamo di passare l’intero pomeriggio in piscina. La sera usciamo per cena, una passeggiata per acquistare delle statuetta della Madonna e poi rientriamo in hotel. Si conclude così la nostra permanenza a Medjugorje e in Bosnia.

L’indomani ci armiamo di pazienza per i soliti controlli ed oltrepassiamo il confine con la Croazia. Sono passate due settimane dalla nostra partenza, ci siamo spostati con frequenza e visitato molti posti affascinanti, quest’ultima settimana la trascorreremo in totale relax e divertimento presso un villaggio turistico a Dubrovnik, mare, piscina, e naturalmente non mancherà una visita alla città. Arriviamo presso la struttura e dopo il check-in cominciamo l’esplorazione della stessa, il villaggio si trova a nord- ovest della città sulla penisola di Babin kuk, qui ci sono molte altre strutture ricettive di cui ben quattro dello stesso gruppo alberghiero del nostro e, grazie alla formula da noi scelta possiamo girare liberamente tra i vari villaggi ed usufruire dei servizi messi a disposizione degli ospiti. Trascorriamo l’intera giornata successiva al nostro arrivo, in struttura, passando la mattinata in spiaggia presso il Cobacabana beach ed il pomeriggio in piscina.

Il giorno seguente, 14 agosto, decidiamo di visitare il centro storico di Dubrovnik che dista solo 4 km dal nostro villaggio, raggiungiamo il parcheggio sito difronte l’ingresso di Porta Pile, oltrepassiamo le mura e notiamo sulla nostra destra la grande fontana d’onofrio.  È stata costruita nel 1438 dal costruttore napoletano Onofrio Giordano, noto anche come Onofrio della Cava, con cui la Repubblica aveva stipulato un contratto per la costruzione dell’acquedotto cittadino. Sulla sinistra invece si trova la scalinata che da l’accesso alla parte superiore delle mura, la fila per accedervi è notevole quindi decidiamo di rinunciarvi anche perché il caldo è al limite della sopportazione e sulle mura non c’è ombra. Proseguiamo invece con la visita della chiesa di San Salvatore, vicino al Convento dei Francescani la chiesa venne fatta costruire nel 1520 dal senato della città come ringraziamento per aver risparmiato Ragusa dal terremoto; una scritta sulla facciata della costruzione lo ricorda. La chiesa, risparmiata dal successivo terremoto del 1667 che rase al suolo gran parte della città dalmata, presenta una navata unica con una volta costolata a crociera e delle finestre laterali gotiche a sesto acuto. Proseguiamo lungo lo Stradun, la strada principale che divide in due la città, in fondo allo Stradun si trova la chiesa di San Biagio costruita nel 1715 sulle fondamenta della antica chiesa medioevale romanica, entriamo a visitarla e subito dopo ci fermiamo in un bar per un caffè. L’ultima costruzione religiosa che visiteremo e naturalmente la Cattedrale dell’Assunzione di Maria, il primo edificio fu costruito tra il VII e il VI secolo in stile bizantino. Fra il XII e il XIV secolo fu poi ricostruita in stile romanico. Secondo una leggenda la ricostruzione sarebbe stata possibile grazie ad una donazione di re Riccardo Cuor di Leone, dopo essere stato salvato da un naufragio nella cittadina. L’attuale Cattedrale fu costruita dopo le gravi lesioni riportate con il terremoto del 1667 in stile barocco. Continuiamo la nostra piacevole passeggiata tra le viuzze della città, poi raggiungiamo l’auto e torniamo al villaggio per il pranzo, trascorriamo il resto della giornata partecipando ai giochi che l’animazione organizza. Il giorno di ferragosto non ci muoviamo dal villaggio, passiamo la mattinata presso il Coral beach club, un fantastico stabilimento balneare con tanto di lettini matrimoniali dotati di soffici cuscini, il lido dispone anche di un bar e di un ristorante a la carta. Nel pomeriggio restiamo in piscina dove in occasione del ferragosto i giochi e l’intrattenimento è particolarmente attivo, come anche la serata. Il giorno successivo passiamo la mattinata in spiaggia, mentre nel pomeriggio torniamo a Dubronvik per vedere la città dall’alto, raggiungiamo la funivia Zicara ClabeCar, la prima struttura fu costruita nel 1969 e come l’attuale collega la città vecchia di Dubronvik alla sommità della collina di Srd a 405 metri di altezza, la lunghezza totale e di 778 metri che vengono percorsi in meno di quattro minuti da due cabine che possono contenere fino a 32 passeggeri l’una. Arrivati in cima il panorama è mozzafiato, oltre alla struttura della funivia su questa collina sono presenti un bar, un ristorante, una croce di granito bianco ed un anfiteatro che può ospitare fino a 120 spettatori. In una giornata come questa con l’aria tersa la vista può spaziare fino a 60 km. di distanza sul mar Mediterraneo, mentre la città vecchia di Dubronvik sembra minuscola. Ci tratteniamo ancora un po’ e ci godiamo il tramonto, poi torniamo a valle e ci concediamo una cena ed una passeggiata nelle stradine della città prima di salutarla definitivamente.

Gli ultimi due giorni li passiamo interamente nel villaggio, passando da una struttura all’altra, piscine, spiagge, divertimento e relax, relax si fa per dire, infatti nel pomeriggio del primo giorno vado ad affittare una moto d’acqua per esplorare la costa e l’isolotto Otocic Daksa, mentre la mattina seguente con le mie bambine ci divertiamo con il Park gonfiabile ancorato in mare nei pressi della spiaggia di Copacabana. Come tutte le cose, specialmente quelle belle finiscono, siamo arrivati al nostro ultimo giorno di permanenza in Croazia, questa sera alle 22.00 parte la nostra nave che ci riporterà in Italia. Passiamo la mattinata in piscina, poi una doccia e lasciamo la camera definitivamente, dopo il pranzo facciamo il check-out salutando e ringraziando tutti. Lasciamo la struttura e ci reciamo al porto dove passiamo le nostre ultime ore a Dubrovnik passeggiando nei pressi di esso, verso le 18.00 scopriamo che gran parte del lungomare viene chiuso al traffico ed in un batter d’occhio si materializzano bancarelle e chioschi fast food, la cosa più caratteristica sono dei lunghissimi carrelli in ferro trasformati a modo di fornace dove sopra grazie ad un semplice sistema di catene fatte girare da un motore, ruotano una ventina di agnelli che poi vengono venduti a peso e serviti in piatti che il cliente consuma su dei tavoli in legno sistemati li vicino.

Dopo quest’ultima esperienza è davvero arrivato il momento di raggiungere l’imbarco che purtroppo comincia con molto ritardo, l’attesa ci consente di chiacchierare con dei ragazzi che come noi aspettano in fila e ognuno di noi espone le proprie avventure in terra croata, ripensando alle nostre proviamo una sensazione di nostalgia, è stato tutto veramente molto bello da Venezia alla Slovenia, le grotte, il Castello, la città di Mostar e la fede di Medjugorje in Bosnia, Zara, Spalato, Trogir  e Dubronvik  in Croazia. La mattina del 20 Agosto alle ore 10.00, con due ore di ritardo arriviamo a Bari.

Vorrei chiudere questo diario di viaggio ringraziando tutti coloro che abbiamo incontrato lungo il nostro viaggio, camerieri, albergatori, animatori e gente comune con cui abbiamo condiviso alcuni momenti. GRAZIE A TUTTI VOI.

 

New York… Sotto Natale con Philadelphia e Washington

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SABATO 2 DICEMBRE 2017

Era ormai da tempo che mio cognato, Tony… sempre lui, aveva intenzione di trascinarmi a New York sotto il periodo natalizio: ”Sai cosa deve essere la Grande Mela sotto le feste? Tutta addobbata?” Si dicevo io… ma chissà che freddo…. Alla fine però tornare a New York è sempre affascinante. Piccolo summit in famiglia e con noi si aggregano anche i due “piccoli” di famiglia Simona, mia nipote, ed Andrea, mio figlio. Parla che ti riparla…alla fine si aggregano anche due amici Massimo e Annamaria. Dunque… bisogna organizzare per otto persone. Siamo persone che nei nostri viaggi badano soprattutto alla pulizia ed alla semplicità. Non siamo gente che ama stare ore con le gambe sotto i piedi.

Il periodo deciso è con partenza il 2 e ritorno al 10 dicembre. Ecco quindi che a febbraio/marzo comincia la ricerca di voli. Alla fine, dopo diversi tentativi, opto per il sito dell’Air France. Volo di andata fissato per il 2 dicembre  con partenza da Milano Malpensa alle ore 7,40 arrivo a Parigi CDG alle 9,10 ripartenza per New York JFK alle 10,25 ed arrivo alle ore 13,14. Ritorno, in un primo momento (poi vi spiegherò perché) fissato per il 9 dicembre con partenza dal JFK alle ore 18,00 arrivo a Parigi il giorno dopo alle ore 8, ripartenza alle ore 9 per arrivare a Malpensa alle ore 10,15. Costo totale del volo, compreso di assicurazione Allianz Global che comprende assistenza medica, rinuncia al viaggio, smarrimento bagagli, ecc. 490 euro cadauno. Direi un ottimo prezzo.

Fatto questo si passa alla ricerca dell’hotel. Mi avvalgo di Booking perché la cancellazione gratuita sino all’ultimo momento non è cosa da poco. Prenotiamo 2 camere quadruple ed una camera doppia al Comfort Inn Manhattan Bridge in zona Chinatown. Il prezzo della quadrupla con colazione compresa è stato di 380 euro a testa per 7 notti. Anche qui direi un’ottima scelta.

Definite le cose principali a questo punto ci si mette al lavoro per organizzare e programmare il tutto. Decidiamo così di mettere dentro anche una giornata a Washington ed una a Philadelphia. Washington noi l’avevamo già vista ma non Philadelphia, per gli altri invece tutto sarà una novità.

Tutto procede liscio….sino al giorno prima della partenza. Mi arriva una mail dall’hotel che la mia American Express non è stata accettata… cosa? Chiamo il servizio clienti di Amex e mi dicono che per loro è tutto ok… che è la struttura che sbaglia qualcosa. Chiamo allora il servizio clienti di Booking… solo che a New York è notte fonda… dopo l’ennesimo tentativo ancora andato a vuoto… la gentile signorina mi dice di mettere una carta diversa da Amex… ok provvedo… La signorina mi dice di non preoccuparmi perché l’hotel non può cancellarmi la prenotazione se mancano meno di 24 ore all’arrivo… Non preoccuparmi è una cosa un po’ difficile visto che siamo in 8 e non da solo. Alle ore 19 mi arriva finalmente la conferma da parte dell’hotel che la procedura è andata a buon fine… Evvai finalmente si parte.

Bisogna essere in aeroporto alle ore 4 ed io non ho alcuna intenzione di arrivare in ritardo vista l’esperienza di Londra nel quale abbiamo preso l’aereo al volo. Andiamo a prendere i nostri amici nel paese vicino e ci fiondiamo all’aeroporto. Le macchine le parcheggiamo al PAM PARKING. Ormai è il nostro parcheggio fisso quando viaggiamo. Si trova proprio di fronte al Terminal 2 della Malpensa a circa 1km. Prenotato tramite il sito di MyParking (https://www.myparking.it/ ) la spesa è stata di 37,80 euro per auto con le chiavi della stessa che restano in nostro possesso. Ci siamo sempre trovati molto bene con Pam Parking. Molto professionali. Arriviamo alle 4 in punto al parcheggio. Facciamo il check-in, parcheggiamo le auto dove ci viene detto e con la navetta ci portano direttamente al terminal 2.

Air France apre il check-in online 30 ore prima della partenza. Così la notte prima mi sono alzato alle 4 di notte per fare il check-in, tanto già ero in fibrillazione per la partenza. Con Air France non si possono prenotare i posti prima del check-in se non pagando un supplemento. Ecco quindi che scelgo  quattro posti a destra e quattro a sinistra, tanto per 75 minuti di viaggio… la speranza è quella che qualcuno veda almeno la Tour Eiffel e possa fare qualche foto. Non credo sarà possibile… Guardando qualche giorno prima infatti su flightradar24 (https://www.flightradar24.com/ ) mi sembra che proprio non passeremo vicino a Parigi da poterla vedere. Detto questo, mi stampo la carta d’imbarco, rigorosamente a colori come indicato dalla compagnia francese, e consegniamo i bagagli da mandare in stiva. Andiamo subito ai controlli e poi vediamo di trovare qualcosa per fare colazione. Sono le 5 e solo adesso apre il Obicà Mozzarella Bar – Malpensa. Cappuccino senza infamia, buone le brioches… L’unico bar aperto alle 5 del mattino che ti serve. L’unica cosa: bisogna aspettare un pochino per i panini e, comunque, discretamente caro, visto che una birra piccola costa 6 euro. Vabbè… ci rilassiamo un po’ sulle poltrone in attesa dell’imbarco che avviene con puntualità alle ore 7,10. Saliamo TUTTI regolarmente ed una volta seduti ci dicono che… il volo subirà un ritardo per via del maltempo a Parigi. Accidenti….noi abbiamo solo 75’ minuti per raggiungere poi la coincidenza. Speriamo bene…Comunque partiamo con mezz’ora di ritardo ed atterriamo alle 9,30 con 15’ di ritardo. Il volo atterra al Terminal 2F e noi abbiamo la coincidenza al Terminal 2E – Settore M. Stando a quanto pubblicato sul sito di Air France ci vogliono 30’ minuti a piedi….dopo una bella scarpinata e seguendo le indicazioni, riusciamo ad arrivare allo shuttle che in dieci minuti ci porta al Gate…. Ovviamente l’imbarco è già cominciato…anzi quasi finito. Aspettano solo noi in quanto erano stati avvisati dei ritardi. Alcune domande di rito e poi ci infiliamo ai nostri posti. Il volo della Delta Air Lines e l’aereo presenta due file di posti laterali con due sedili ed una centrale con 4 sedili. Per fortuna qui i posti si possono scegliere con molto tempo di anticipo. Infatti siamo posizionati tutti in sequenza sul lato destro dell’areo. Il viaggio inizia e prosegue con tranquillità.

Il tempo scorre tra film in italiano e giochi oltre a mangiare e bere praticamente quasi in continuazione. “Ottimo il servizio Delta” mi sono detto…. avrò di che ricredermi poi al ritorno. L’arrivo all’aeroporto JFK di New York è previsto alle ore 13,14 locali ed avviene in anticipo di circa 20’. Percorriamo anche qui un bel tragitto ed arriviamo ad espletare le incombenze dell’immigrazione doganale. Tempo di attesa ….1 ora.  Ci mettiamo bene composti in fila ed una volta arrivato il nostro turno il poliziotto addetto non ci fa molte domande, ci prende le impronte digitali, scannerizzazione dell’iride e timbro sul passaporto.. evvai… Uno dopo l’altro fa anche tutti gli altri e così andiamo a vedere se le nostre valigie ci sono tutte… NON CI POSSO CREDERE… ci sono tutte… Avrei scommesso che, visto il poco tempo tra un volo e l’altro, qualcuna sarebbe restata a Parigi ed invece… Bene meglio così. Ritirate le valigie ci spostiamo all’uscita dove dovrebbe attenderci un addetto della Go AirLync NYC; purtroppo non vedo nessuno con un cartello con il mio nome. Il mio inglese non è granché.. Vedo una signora con un giubottino della Go AirLync ma il cartello non riporta il mio nome. Le chiedo, per cortesia, se puoi chiamare la sua sede e chiedere informazioni. La signora, molto gentilmente, fa la telefonata e dopodichè ci accompagna fuori dove attendiamo dieci minuti l’arrivo del pulmino. Il pulmino privato è stato prenotato direttamente sul sito (www.goairlinknyc.com ) per il prezzo di 175,14 $ (altrettanti saranno per il ritorno). Pulmino comodissimo e solo per noi.

Per chi non è mai stato a NY è un continuo “WOW”.

Molto cordiale l’autista che ci fa capire di essere già in clima natalizio visto che sfodera una radio con sole canzoni del periodo delle feste. In circa 45’ minuti arriviamo al nostro hotel. Mancia di rito all’autista e ci infiliamo a fare il check-in.

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Alla reception c’è un cordiale ragazzo che molto gentilmente ci fornisce subito le chiavi delle stanze. Avevo letto in qualche recensione di chiedere camere ai piani alti per godere della vista, detto fatto avevo scritto la richiesta direttamente all’hotel un paio di mesi prima. Ecco quindi che ci vengono date tre camere tutte al 10° piano. Saliamo in ascensore…tempo 30’ minuti e poi ritrovo giù nella hall. Arriviamo in camera, molto bella.

La nostra camera, una quadrupla, è soppappalcata con un letto matrimoniale sotto ed uno al piano di sopra. Dalla grande finestra si ha una stupenda vista sul ponte di Manhattan…una meraviglia. Mio cognato, a cui destino il “piano superiore”, dirà poi che praticamente non ha mai acceso alla sera la televisione per godere della vista meravigliosa stando a letto. Ancora più bella la camera dei ragazzi che si trova all’angolo e quindi doppia vetrata. Come detto….dopo mezz’ora ci si ritrova nella hall: destinazione Dyker Heights, il quartiere a sud di Brooklyn famoso per le case addobbate per Natale in un vero e proprio concorso. La metropolitana per arrivarci è la linea D (arancione), proprio nei pressi del nostro hotel.

Dobbiamo però prima fare le tessere per la metropolitana, le Metrocard. Dopo averci capito qualcosa acquistiamo le 8 metro card. Abbonamento 7 day con viaggi illimitati per 33$ cadauno. Io la consiglio. Non ho idea di quanti viaggi abbiamo fatto ma considerando che il singolo viaggio costa 2,75$… Attenzione, se utilizzate una carta di credito per l’acquisto è possibile al massimo acquistarne 2 per ogni carta di credito. Prendiamo la metropolitana e dopo 8 fermate scendiamo alla 71St. A New York la metropolitana funziona in maniera diversa rispetto qui da noi. Lo stesso percorso è servito da due linee, ad esempio la B e la D, con la sola differenza che una (in questo caso la B) effettua le fermate di tutte le stazioni, mentre l’altra (la D) solo di alcune stazioni risultando così “express” e più veloce. In circa mezz’ora siamo alla nostra fermata. Ora, come avevo letto in alcune recensioni, ci aspettano circa dieci minuti di camminata prima di raggiungere le prime case addobbate. Un consiglio, se volete visitare questo quartiere, e ve lo consiglio perché merita, fatelo, se potete, nel fine settimana questo perché, soprattutto al sabato sera, tutte le case sono illuminate mentre durante la settimana, visti i costi di illuminazione, qualcuna potrebbe….risparmiare. Dunque una volta scesi alla stazione 71st percorrete la 79th Street in direzione ovest. Vi accorgerete subito se state andando nella giusta direzione perché le Avenue devono diminuire e quindi la prima che dovete incontrare è la 16th Avenue. Continuate sulla 79th street fino ad incrociare la 13th Avenue e quindi girate a sinistra fino ad arrivare alla 83rd Street. Siete arrivati! Non fermatevi alla prima impressione dove troverete una casa illuminata e dieci no…andate avanti e troverete uno spettacolo meraviglioso. In questo quartiere fanno una vera e propria gara a chi addobba meglio la propria casa. Insomma una vera meraviglia.

Dopo il nostro giro sentiamo lo stomaco che brontola…forse è ora di mettere qualcosa sotto i denti. La nostra scelta cade su Pizzeria da Tony’s. Una pizzeria siciliana nei pressi della 13th Av. Una pizza discreta senza infamia e lode…purtroppo non servono birra…..peccato. Prezzo 12$ circa. Un consiglio…non fatevi tentare da prendere primi piatti. Una coppia vicino a noi ha preso degli spaghetti alle vongole…..immangiabili tant’era il brodo nel piatto….

E’ ora di tornare…sono diverse ore che siamo in piedi…e cominciamo ad essere stanchi….domani è un altro giorno….Ma la vista della camera ci impedisce di dormire.

 

DOMENICA 3 DICEMBRE 2017 

Oggi giornata dedicata al sud di Manhattan…la Liberty…Ellis, Wall Street…insomma…scarpinare.

La colazione in hotel è veramente scarsa. Devo dire che negli USA non ho mai avuto, negli hotel, delle grandi colazioni. Sia nell’est che all’Ovest. Da questo punto di vista gli americani hanno molto di che imparare da noi. Comunque di positivo è che ho imparato a fare i waffel e così mi sono pure divertito. Alle 8,30 ritrovo nella hall, fuori non fa nemmeno troppo freddo. Ci incamminiamo verso la stazione della metropolitana di Canal St e così vediamo Little Italy o meglio quello che ne rimane perchè ormai i cinesi si stanno prendendo anche questo. Ecco una delle due cose che ho notato rispetto al 2012 è che i cinesi sembrano, ma non solo a Chinatown, abbiano superato gli afro-americani…l’altra è che ormai gli smartphone Android hanno equiparato gli Iphone….

La stazione di Canals t. della linea gialla dista 300 metri dal nostro hotel. 4 fermate e scendiamo a Whitehall S e poi da qui al battery Park.

Questa volta, visto il periodo, non abbiamo praticamente prenotato anticipatamente nessuna visita decidendo così, in base anche al tempo meteo, eventuali modifiche al programma al volo. Devo dire che l’idea è stata ottima. Al botteghino non c’è molta gente ma impeghiamo almeno mezz’ora per colpa di una famiglia russa che ha qualche problema con i citypass. Il costo è di 18,50$ per la Liberty ed Ellis Island. Passiamo i controlli stile „aeroporto“, attendiamo il primo traghetto che arriva in poco meno di dieci minuti e prendiamo subito posto in cima. Il tempo di riempirsi e via….Vedere lo skyline di Manhattan è sempre qualcosa di suggestivo..meraviglioso. Ti riempie il cuore. In pochi minuti siamo al cospetto della signora Liberty. Purtroppo stanno facendo dei lavori e così bisogna ingegnarsi per fare foto decenti. Passiamo un’ora circa a girarci intorno e poi prendiamo il battello per farsi, pochi minuti dopo, ad Ellis Island. L’altro volta non abbiamo potuto fermarci per via dell’uragano che si era scatenato…ora ne approfittiamo. Prendiamo la audioguida in italiano (compresa nel biglietto di ingresso) e ci addentriamo tra le stanze. Sentire cos’era e cosa succedeva…beh..molto toccante. Pensare a quanti nostri connazionali avevavo cercato, e qualcuno trovato, la fortuna arrivando sino a qui….

Lasciamo Ellis per tornare al Battery Park di Manhattan. Prossima tappa Wall Street passando però prima a toccare…le balle del toro. C’è una marea di gente ma aspettiamo pazientemente il nostro turno e facciamo le foto di rito. Proseguiamo poi per Wall Strett e il distretto finanziario. Fotografiamo il bel albero di Natale e poi capiamo che è quasi ora di pranzo e decidiamo quindi di fruire di uno dei tanti McDonald’s della zona. Dopo aver mangiato con comodo il programma prevede di andare a Brooklyn per le foto dello skyline e poi percorrere il ponte di Brooklyn tornando verso Manhattan e godere dello spettacolo del tramonto passeggiando sul ponte. Prendiamo la linea rossa del metro e scendiamo a Borough Hall dopo poche fermate. Facciamo qualche centinaio di metri a piedi e prendiamo così la passerella centrale dedicata ai pedoni e ciclisti che attraversa il ponte. Ci sono due ingressi dedicati ai pedoni dalla parte di Brooklyn. Il primo permette si trova in Tilary Street, all’incrocio con Adams Street il secondo invece si trova nel quartiere di Dumbo, in un sottopassaggio all’incrocio tra Washington Street e Prospect Street, in cui sono presenti le scale che portano al livello della passerella per i pedoni. Da Manhattan invece l’ingresso pedonale è a Centre Street. ATTENZIONE!!! La „strada“ centrale del ponte è divisa in due corsie, una pedonale ed un ciclabile…non mettetevi su quella ciclabile perchè vi vengono addosso senza che ve ne accorgiate…. Come sempre c’è molta gente…è uno dei punti cruciali di New York. Purtroppo però il cielo si è annuvolato e così la nostra idea di fare il ponte avendo di fronte il tramonto…svanisce. Arriviamo quindi sino al primo pilone del ponte poi torniamo indietro ed andiamo al Brooklyn Bridge Park. Ormai il sole è sceso e così possiamo godere del meraviglioso skyline di Manhattan illuminato. Che poesia…una meraviglia. Le foto si susseguono. Passiamo sotto il ponte ed andiamo dall’altra parte al Park Empire Fulton Ferry…da qui si possono fare le foto con il ponte di Brooklyn e lo skyline insieme. Si sono ormai fatte le 18.

Prendiamo la metropolitana e ci dirigiamo verso Time Square. Una volta arrivati sembra di essere in pieno giorno tante sono le luci accese. Una marea di gente che si accalca ed entra ed esce dai locali. Dimenticavo di dirvi che qui negli USA usano mangiare presto, alle 19 i locali sono già tutti pieni quindi o vi muovete prima, o aspettate alle 21… Infatti all’HardRock caffè c’è da attendere un’ora… e stessa cosa a Bubba Gump… Siamo però stanchi e così decidiamo di percorrere la 7th Av sperando di trovare qualcosa. Incappiamo così nel Brad Factory Cafè dove decidiamo di mangiare qualcosa di caldo. Devo dire molto buono quello che abbiamo preso che era della carne in salsa. Spesa 18$ a testa compresa la birra. Il tempo di mangiare con calma e scaldarci un pochino e poi riprendiamo la nostra metropolitana per il ritorno in hotel. Prima di ritirarci decidiamo però di fare un giro per Little Italy a vedere come i nostri connazionali hanno addobbato il quartiere per Natale. Non c’è dubbio…noi riusciamo sempre a distinguerci nel mondo…una gara tra noi ed i cinesi…Nel frattempo ci fermiamo a davanti al ristorante „Da Gennaro“ e vediamo che dentro c’è mio figlio e mia nipote che stavano cenando… Sappiamo poi dopo che praticamente è stato un furto. Il mangiare niente di che…un Montenegro 12$…per un totale di 127$…..accidenti…..Vabbè…andiamo a nanna a vederci la nostra Tv al plasma da 75“….

 

LUNEDI‘ 4 DICEMBRE 2017

Come avevo detto in premessa il programma era strutturato in maniera da poterlo plasmare in funzione della situazione meteo. Ecco quindi che il programma prevedeva Washington Square e poi la salita all’Empire….ma con un cielo praticamente limpido decidiamo di modificare il tutto ed andare a Groud zero. Andiamo a prendere la metropolitana della linea „R“ a Canals St. E scendiamo dopo due fermate a Cortland St…Vediamo la nuova fermata del WTO che è più un centro commerciale. Pochi passi a piedi e ci ritroviamo di fronte al Freedom Tower…Imponente…maestosa…meravigliosa. Quando eravamo stati qui nel 2012 tutta l’area era recintata..la Freedom era ancora in costruzione, ma l’impatto di tristezza e riflessione è lo stesso di allora. Andiamo subito all’entrata della Freedom convinti di fare un sacco di fila ed invece non c’è nessuno. La salita costa 39$ …cara certo ma ne vale assolutamente la pena. La salita in ascensore è poi in classico stile hollywood americano….una salita sino al 102° piano fatta di filmati in 3D …una meraviglia e quando, giunti sulla sommità, si aprono le porte….mamma mia che spettacolo. Abbiamo fatto bene a modificare il programma. C’è una veduta incredibile a 360°. Le foto ovviamente si susseguono su tutti i quattro punti cardinali. Si vede la Liberty, Verrazzano, New Jersey, Manhattan con il Central Park, Brooklyn…che spettacolo. Scendiamo ed anche la discesa in ascensore è allietata da un filmato in 3D.

Una volta fuori andiamo a vedere le due „vasche“ create dove sino al 2002 sorgevano le Torri Gemelle. Il vuoto dove scorre l’acqua sembra il vuoto che ha lasciato in ognuno di noi quella maledetta giornata in cui il mondo è cambiato completamente….in peggio. Era nostra intenzione andare anche al museo 9/11 ma purtroppo c’è una coda kilometrica e così desistiamo. Prendiamo invece la metropolitana ed andiamo a vedere la Cattedrale di Saint John The Devine che si trova a nord/ovest del Central Park. Prendiamo la linea rossa e dopo 19 fermate scendiamo a Cathedral Parway 110 e dopo 5 minuti a piedi siamo alla cattedrale. Se c’è una cosa che odio, questione esclusivamente personale, è pagare per entrare a visitare una chiesa e così visitiamo solo l’esterno. E‘ ormai ora di pranzo e così cerchiamo un posto dove mangiare. La scelta cade così sul NY The Brat Factory sulla Amsterdam Av all’incrocio con la W 106th St. ( http://www.nybratfactory.com/ ) dove mangiamo un hamburger da sogno, patatine e birra per 29$ ma era una delizia.

Dopo aver mangiato la destinazione è Central Park. Un parco enorme…immenso…ma con una marea di cose da vedere. Entriamo dal lato ovest e così la prima cosa che vediamo è il laghetto dedicato a Jacqueline Kennedy. Passeggiamo con tranquillità senza fretta e così andiamo a vedere Strowberry Fild dedicato a John Lennon, la statua di Balto, quella di Alice nel Paese delle Meraviglie, Bethesda Fountain, Bow Brigde, ed il Belvedere Castle. Per percorrere tutto il parco ci vorrebbero giorni. Ormai il sole è calato e comincia a far freddino ma non si può non andare a pattinare sul ghiaccio alla pista del Central Park…è ormai un must. Andiamo convinti e decisi peccato che…..chiuso per una festa privata. Nooooooooooo!!!! Che delusione. Giriamo un pò….andiamo alla Apple dove abbiamo assunto l’impegno di acquisare un Iphone per una persona cara a casa, e percorriamo così un pezzo della 5th Ave a far brillare gli occhi….entriamo anche da Tiffany…..ahahahah il mio portafoglio comincia a scappare…..in maniera autonoma….Un giro al Rockfeller Center…Dopo qualche negozio decidiamo di andare a mangiare dove era la nostra tappa fissa nel 2012: CAFE‘ R sulla 32^ strada vicino alla Penn Station (http://www.thecafer.com/ ). E‘ un self service dove puoi scegliere cosa mangiare tu, sia già pronto che fatto al momento. Noi decidiamo per un bel pezzo di maiale fatto alla griglia con insalata e riso…..buonissimo…prezzo 19$ compresa la birra e la frutta…..e qui finisce la nostra serata…domani mattina sveglia presto…si va a Washington.

 

MARTEDI’ 5 DICEMBRE 2017

Oggi la sveglia suona presto, molto presto… è infatti prevista la visita a Washington DC ed il treno parte dalla Penn Station alle 5,30 con arrivo nella capitale alle 8,50. I biglietti li ho riservati circa una settimana prima sul sito della Amtrak. Non costano poco ma se li confrontiamo con un biglietto di Trenitalia Milano/Roma…capiamo che il prezzo ci sta tutto…186$ biglietto andata e ritorno. Ritrovo con gli altri alle 4,30 nella hall….il tempo di andare a prendere la metropolitana ed alle 5 siamo perfettamente in stazione. Qualcuno ne approfitta per prendere un cappuccino ed un muffin. Qui alla Penn Station non è come da noi che i treni sono sul binario molto tempo prima e tu puoi prendere tranquillamente posto. Qui il binario viene annunciato mediamente 15/20 minuti prima della partenza e solo allora puoi accomodarti e trovare posto. Ci accomodiamo ed il treno in perfetto orario inizia il suo viaggio. Le previsioni del tempo davano per oggi maltempo ed acqua…sia a New York che a Washington….quindi siamo abbastanza preparati al peggio. Man mano che passano però le ore e le città (Princetown, Philadelphia, Baltimora, ecc.) ci accorgiamo invece che il cielo è limpido con un bel sole. Arriviamo alla stazione di Washington in perfetto orario. Molto bella la stazione con una marea di negozi e posti dove mangiare. Decidiamo così di fare una meritata colazione a base di cappuccino e muffin per tutti. Foto al mega albero nella hall ferroviaria e via.

A questo punto la prima tappa prevede la visita al monumento di Iwo Jima, dedicato, in primis ai caduti nella battaglia giapponese della seconda guerra mondiale, ma poi esteso a tutti i caduti delle varie guerre americane. Per arrivarci dalla stazione ferroviaria bisogna prendere la metropolitana. La tessera giornaliera costa 15$ con viaggi illimitati solo sulla metropolitana. La metropolitana la ricordavo bene. Molto bella, nuova l’architettura effettuata ma tanto, tanto buia… e onestamente non capisco perché. E mettetele un po’ di luci… Prendiamo la linea rossa direzione Shady Grove e scendiamo dopo 3 fermate per prendere la linea blu in direzione Franconia e scendere, dopo 4 fermate a Rosslyn. Usciamo che c’è un bel sole anche se il fiume Potomac fa sentire il suo effetto e tira un venticello molto gelido. Una camminata di 20’ circa ed arriviamo al cospetto di Iwo Jima. Purtroppo proprio attorno al monumento stanno facendo dei lavori e così per arrivarci dobbiamo fare un po’ una ricerca all’entrata. Facciamo le foto di rito. Nello scorso viaggio da qui avevamo proseguito sino al cimitero di Arlington…ma era estate….ed eravamo più giovani….questa volta il cimitero viene invece accantonato. Per chi volesse andare può farlo a piedi ma contate almeno altre due ore di camminata all’interno del cimitero. Noi invece ritorniamo alla stazione della metropolitana e riprendiamo il treno in direzione opposta (verso Largo Town Center) per scendere poi dopo una sola fermata a Foggy Bottom. Prendiamo la 23rd St NW percorrendola verso sud e dopo poco più di 1 km arriviamo al Lincoln Memorial da cui si inizia e si ha una meravigliosa vista su tutto il National Mall sino al Capitol US (circa 3 km).

Ci sono un sacco di scolaresche in gita. Facciamo le foto di rito e poi decidiamo di fermarci a mangiare all’aperto (la temperatura lo permetteva). Chi prende l’hamburger e chi invece, come noi, pollo fritto con patatine e acqua…costo 10$. Come l’altra volta vengono subito a farci compagnia gli scoiattoli, che dalle nostre mani prendono le patatine…che meraviglia. Al sole c’è un bel tepore, si sta proprio bene. Dopo esserci rifocillati andiamo a vedere il memorial ai veterani di guerra della Korea. Quante volte visto per televisione? Una marea di volte. A questo punto comincia la camminata verso il Capitol Us….abbiamo la visita fissata per le 14,20 ma so benissimo che non faremo mai in tempo. Vabbè…cominciamo a camminare intanto…e tra una foto e l’altra arriviamo AL Word War memorial, il memoriale di tutte le guerre. Una sorta di grande anfiteatro con i mezzo una vasca piena d’acqua..a est tutte le corone una per ogni stato della zona Atlantica e a ovest quelli della zona pacifica. Vediamo anche il Washington Monument, l’obelisco dedicato a Washington posto proprio in mezzo al National Mail. Purtroppo è ancora in restauro e così non si può salire sulla sua sommità. Percorriamo la 17th in direzione nord per poi girare a destra ed andare a vedere la White House…la Casa Bianca….Questo è il retro della White House, quello dove arriva e parte l’elicottero presidenziale. Forse è anche la parte migliore da vedere. Ovviamente il tutto è presidiato da poliziotti e tiratori scelti oltre ai cani anti-esplosivo. Attenzione a come vi muovete, qui non si scherza. Facciamo le foto di rito. Davanti al parco hanno messo, per la gioia di piccini, un grande albero di Natale con dei trenini in miniatura oltre a un piccolo abete per ogni stato USA. Facciamo anche quattro chiacchere con un cittadino ungherese che parla benissimo la nostra lingua avendo vissuto diversi anni in Toscana.

Proseguiamo la nostra visita, ormai sono le 15, verso il Capitol US. E’ sempre veramente grandioso…imponente. Non c’è che dire.

Dimenticavo, se volete prenotare la visita dovete farlo sul sito ufficiale https://www.visitthecapitol.gov . Le visite sono a giorni ed orari prestabiliti, quindi fatelo con anticipo.

Come cala il sole scende anche la temperatura e visto che il nostro treno per il ritorno parte alle 19,10, cerchiamo un pub dove bere qualcosa di caldo (le signore) e una buona birra (gli ometti…a parte mia nipote ;-)). Ci incamminiamo verso la stazione della metropolitana di Capitol South e così incocciamo in questo pub stile inglese il Bullfeathers (http://bullfeathersdc.net/ ). Entriamo e prendiamo posto…neanche a farlo apposta stanno dando in tv la champions league ..dimenticavo che in Italia sono ormai le 21. Ordiniamo delle cioccolate e birre veramente buone e ci riscaldiamo un po’. Due birre ed una cioccolata 12 $. Prezzo onesto. Al termine delle partite saldiamo il conto ed andiamo a prendere la metropolitana destinazione Metro center e poi da qui linea rossa verso Union Station. L’intenzione è quello di comprare qualcosa da mangiare in stazione per poi fare cena in viaggio. La scelta cade su qualche panino preconfezionato (niente di che!!!). Alle 18,30 danno il binario di partenza del nostro treno e ci mettiamo in coda pazientemente. Alle 19 aprono la scala mobile e scendiamo a prendere posto sul primo vagone libero…..non accorgendoci che è un vagone “SILENT PLEASE!!!” ed infatti veniamo subito ripresi dal controllore appena partiti. Su questi vagoni non si può chiaccherare……figuriamoci..per noi una tortura…Vabbè..facciamo buon viso a cattivo giuoco e cerchiamo di dormire o navigare in internet. Si dimenticavo che sui treni Amtrak c’è la connessione internet. Arriviamo puntuali alla Penn Station di New York alle 20,30 e….diluvia…..Per fortuna le donne, previdenti, avevano portate l’ombrello se no….Cerchiamo di andare subito verso la metropolitana per tornare in hotel…e cos’ alle 21,30 siamo in camera….Una gran bella giornata…stancante …ma unica.

 

MERCOLEDI’  6 DICEMBRE 2017

Oggi ce la prendiamo un pochino comoda. Dopo la giornata di ieri i “ragazzi” sono stanchi e chiedono un po’ di tregua…Gioventù bruciata……mah….Quindi ritrovo per la colazione alle 8,00 e nella hall alle 9,00. Prima tappa di oggi Washington Square. Prendiamo la linea B direzione Updown e scendiamo dopo due fermate a West 4 Washington square. Un pezzetto a piedi e ci ritroviamo in Washington Square. Una bella piazza con l’arco di trionfo in mezzo (stile Milano). Dimenticavo…dopo la pioggia di ieri sera la temperatura a New York si è abbassata parecchio….mamma mia….per me poi che odio il freddo e amo il mare….

Da qui proseguiamo per l’Empire State Building. La nostra intenzione era quello di salire sopra. Poi ci siamo confrontati. Noi l’avevamo fatto l’altra volta e onestamente, se si ha intenzione di fare la Freedom ed il TOP of the Rock, l’Empire si può anche saltare.  Merita però almeno di arrivarci sotto e vederlo oltre a fare un giro nella hall per le consuete foto. Si è fatta ormai quasi ora di pranzo e per l’occasione decidiamo di andare alla Gran Central Terminal, una delle stazioni ferroviarie di New York dove ci sono un’infinità di negozi e locali dove mangiare. La scelta cade sul Tri Tip Grill (http://tritipgrill.com/ ). Un’ottimo hamburger con patatine e birra per 16$…ma che bontà….Dobbiamo attendere un pochino per trovare posto. Muoversi in otto non è proprio così facile. Alla fine una signora molto gentile decide spontaneamente di spostarsi in un altro tavolo per lasciarci spazio. restiamo seduti comodi per un po’ e poi riprendiamo il nostro giro. Ecco quindi che andiamo con comodo verso Radio City Hall per vedere le palle di Natale giganti e al MacGrow Hill Building a vedere le luci di Natale giganti. Alle 15 andiamo al Rockefeller Center con l’intenzione di salire al TOP per le prime ore della sera. C’è una bella fila…ma solo per quelli che hanno la prenotazione. Noi scendiamo direttamente alla biglietteria e acquistiamo i biglietti per la salita per le ore 16,25…Vabbè c’è tempo…andiamo quindi a prendere qualcosa di caldo e la scelta cade su Starbucks proprio sotto il Rockefeller. Devo dire che da Starbucks è l’unico posto dove si riesce a prendere una parvenza di caffè simile al nostro…basta solo dire “solo espresso one”. Restiamo qui un po’ mentre intanto alcuni di noi escono a fare alcune foto. Con noi manca in questa occasione mio figlio Andrea il quale ha pensato bene di andare stasera a vedere una partita dell’NBA al Madison Square Garden tra i New York Knicks ed i Memphis Grizzlies. E’ stata un’esperienza unica mi ha detto…che vale la pena fare se avete tempo. Ma torniamo a noi. Al nostro orario andiamo all’entrata e poi salita in ascensore sino al Top Of the Rock. Che spettacolo….la serata è limpida e si vedono le luci fino a km di distanza. Non si può arrivare quassù e non restare a bocca aperta. Le foto si susseguono in maniera esagerata. Ogni angolo viene fotografato e ri-fotografato.  Alla fine scendiamo e torniamo a mangiare dal nostro Cafè R dove ormai siamo di casa. Poi si torna in hotel…domani altra giornata di camminata….si va a Philadelphia.

 

GIOVEDI’ 7 DICEMBRE 2017

Anche oggi la sveglia suona presto. E’ prevista infatti la “gita” a Philadelphia, la città di Rocky Balboa, lo stallone italiano. Anche per noi questa è la prima volta. Il treno parte dalla Penn Station alle 6,02. Sveglia quindi alla 4,30 per ritrovo nella hall alle 5,20. Arriviamo alla Penn Station alle 5,40 e dopo pochi minuti sul tabellone compare il binario del nostro treno. Alle 7,35 precise arriviamo alla stazione di Philadelphia (30th Street). Abbiamo tutto il tempo di fare colazione. Anche qui la stazione sembra più che altro un grande centro commerciale.

La prima tappa di oggi è l’Indipendence Hall, la casa della dichiarazione d’indipendenza americana. Per muoversi a Philadelphia, ci sono due modi: o in metropolitana o con il  Bus Philly (costo giornaliero 5$), una sorta di bus hop-off che fa le principali attrazioni della città. Noi optiamo per la metropolitana. Due tipologie di biglietto ordinario; 11$ per 9 corse o 15$ corse illimitate. Optiamo per la prima. Molto carina la tessera della metropolitana. Più che altro una deformazione professionale. E’ infatti una carta di debito prepagata MasterCard con tanto di PAN che può essere usata per fare shopping. Interessante come idea. Detto questo prendiamo la metropolitana blu in direzione FrankFord Transportation Center e scendiamo alla fermata 5th/Indipendence Hall Station (5 fermate).

Allora, per visitare l’Indipendence Hall, si può arrivare qui al mattino presto, prima delle 8,30 dove vengono elargiti un numero limitato di biglietti omaggio. Straconvinto di trovare un caos incredibile, ho invece preferito prenotare la visita a pagamento online. La visita si prenota su sito https://www.recreation.gov/tourList.do?contractCode=NRSO&parkId=77815 e costa la “bellezza” di 1,5$ a testa… Con la mail di conferma si va al Indipendence Visitor Center, arrivare circa mezz’ora prima della visita, dove si ritirano i biglietti e da qui si attraversa il parco di fronte al center per andare all’Indipendence Hall. I controlli anche qui sono tipo aeroporto. Veniamo portati in una piccola stanza dove un ranger comincia a spiegare la storia di cosa sia successo. Onestamente è la prima volta che, qui all’est degli USA, si respira storia. Veniamo poi accompagnati nella stanza in cui è stata ufficializzata e firmata l’indipendenza e sopra dove ci sono un altro paio di stanze con tanta storia. La visita in tutto dura poco meno di un’ora.

Al termine andiamo nel palazzo che si trova proprio di fronte al Visitor Center ed entriamo per vedere la Liberty Bell. L’Old City inizia nel punto in cui termina l’Independence National Historical Park che è stato definito “il miglio quadrato più ricco di storia di tutta l’America”. Senza dubbio non si può venire a Philadelphia senza vedere un parco così ricco di luoghi di interesse. Al Liberty Bell Center, si trova la campana di bronzo il cui rintocco accompagnò la prima lettura della Dichiarazione d’Indipendenza. Anche qui controlli stile aeroporto. C’è una bella giornata, anche se un po’ fredda.

La prossima tappa prevede una camminata sino a Penn’s Landing da dove si ha un’ottima vista sul ponte Franklin. E’ circa 1 km di strada tra casette basse. Arriviamo al nostro punto sul fiume Delaware. Una bellissima passeggiata che in estate deve essere un ambito punto di incontro. Il fiume segna il confine tra la Pennsylvania ed il New Jersey. Ci sediamo un pochino a prendere un po’ di sole ed ad ammirare il ponte Franklin. Proseguiamo poi, a piedi verso nord sulla S.Front St. per arrivare a  Elfreth Alley, un altro chilometrino a piedi. Camminando incrociamo il monumento agli Irish. Arriviamo così poi a Elfreth Alley.  Somiglia ad una via inglese del 1800. È una graziosa stradina ciottolata che vanta la fama di essere niente di meno che la più antica strada americana. Avete riconosciuto i posti dove sono ambientate le esilaranti scene di Eddie Murphy in Una poltrona per due? Carina.

Si è ormai fatta ora di pranzo. Per mangiare decidiamo di andare al Reading Terminal Market e così andiamo a prendere la alla 2nd e dopo 4 fermate scendiamo alla 11th. In metropolitana troviamo dei poliziotti con un bel cane lupo e chiediamo se possiamo fare una foto. Loro molto volentieri accettano. Saliamo al Reading. Dentro ci sono una marea di posti dove mangiare ma anche un caos incredibile. Impossibile trovare otto posti a sedere per noi. Quindi usciamo, attraversiamo la strada e ci infiliamo al Burgerfi ( www.burgerfi.com ). Un ottimo hamburger con patatine e birra per 16$. Restiamo qui un pochino a scaldarci e con calma ci alziamo per andare verso il centro di Philadelphia. Qui praticamente tutto scorre attorno a Market Street, la strada che praticamente taglia in due Philadelphia.

Percorriamo qualche centinaia di metri tra negozi e traffico e ci troviamo di fronte alla City Hall, il municipio di Philadelphia. Molto bello ed imponente. Sulla piazzetta ci sono un sacco di bancarelle natalizie. Un po’ di foto di rito e ci dirigiamo verso il One Liberty Top che si trova al 1650 di Market Street. Visita prenotata (www.phillyfromthetop.com ), non c’è orario, ed i biglietti hanno la validità di un anno e costano 14$. Anche questa entrata è un centro commerciale. Saliamo in ascensore e si arriva all’osservatorio da cui si ha una vista a 360° gradi su tutta la città. Facciamo le foto di rito e poi, una volta scesi, andiamo A PIEDI, verso il Philadelphia Museum of Art, alla famosa scalinata resa tale nel primo film di Rocky interpretato da Silvester Stallone. Sono circa due km a piedi… purtroppo non c’è una sola fermata della metropolitana che valga la pena di essere presa per arrivare più vicini. Percorriamo così tutto il Benjamin Franklin Pkw e arriviamo alla famosa statua di Rocky che si trova alla destra della base della scalinata. Da qui, ovviamente, faccio salire tutti in cima alla scalinata. Obbligo, alla faccia di colleghi ed amici scettici, emulare Rocky facendola di corsa…..e lo faccio per ben due volte….ahahahah. Che momento epico di sport. Restiamo qui un po’ di tempo perché anche mio figlio vuol fare la corsa ma con il relativo urlo finale di “Adriana”…stupendo….troppo forte… Alla fine, quando il sole comincia a calare ed invece il freddo a salire, ritorniamo indietro per andare a riscaldarci un pochino da Starbucks e da qui poi tornare alla stazione ferroviaria per riprendere il treno del ritorno alle ore 18,50 con arrivo a New York alle ore 20,12. Da qui terminiamo la nostra giornata, visto che siamo in zona, andando a mangiare al Cafe R. Un’altra stupenda giornata è finita.

 

VENERDI’ 8  DICEMBRE 2017

E’ l’ultima giornata intera a New York. Domani infatti la partenza dall’hotel sarà per le 13,30. Quindi oggi ce la prendiamo con comodo in maniera quasi esagerata. D’altronde abbiamo un solo impegno, a programma: andare nel New Jersey per vedere lo skyline di Manhattan. Facciamo la nostra colazione e alle 9 ci si ritrova nella hall. Prendiamo La linea D della metropolita fino al Bryant Park e poi la linea 7 sino all’Hudson Yards. Qualche centinaio di metri fino al battery park dove si fanno i biglietti. Destinazione. L’idea iniziale era quella di andare ad Hammilton Park ma purtroppo i traghetti per Port Imperial funzionano solo al fine settimana. Cambiamo destinazione ed andiamo allora a Hoboken. Costo del biglietto 18$ andata e ritorno.  Il tragitto dura circa una mezzoretta. Il tempo non è certo dei migliori. Molto nuvolo e vento gelido. D’altronde si sta preparando per domani che ogni meteo da come giornata di neve. Vedremo. Percorriamo un po’ di strada pedonale in direzione sud sino a quando arriviamo ad una piattaforma ancora nell’Hudson dove ci sono dei pescatori. Ci sembra il posto migliore per fare le foto. Bello lo skyline…con qualche raggio di sole che cerca di farsi largo tra le nuvole.

Facciamo le nostre foto e poi ritorniamo in battello da dove siamo partiti. Fuori dal battery park, alla sinistra, a circa 200 metri ci sta la portaerei Intrepid Sea che è possibile visitare in tutta la sua bellezza.

Noi invece torniamo a prendere la metropolitana ed andiamo al battery park da sud di Manhattan per acquistare qualche souvenirs visto nei giorni precedenti e che qui costano meno…le famose calamite. Da qui andiamo a Bryant Park. E’ un parco che si trova vicino al Crysler Building e dove ci sono diverse bancarelle di Natale ed una pista di pattinaggio sul ghiaccio. Facciamo il nostro giro le nostre foto, qualcuno acquista qualcosa e poi, giunta ora di pranzo, decidiamo di andare al Chelsea Market. E’ un altro grande centro commerciale dove si può mangiare tutto quello che si vuole. Al centro vi è anche una pescheria dove vi cuociono al momento aragoste e dove potete mangiare panini con la polpa di granchio o sushi veramente ottimi. Purtroppo non c’è spazio per sedersi. Ecco quindi che Andrea decide comunque di prendere un panino all’aragosta mentre noi optiamo su Filaga (http://www.filaga.com/ ) una pizzeria siciliana dove ti pelano vivo. Un pezzo minuscolo di pizza ed una birra 11$. Questa mi sembra un’esagerazione. Vabbè….dopo esserci rifocillati destinazione ….Macy’s (https://l.macys.com/new-york-ny )…e si…il venerdì pomeriggio era dedicato allo shopping. Ecco quindi che le nostre donne si dileguano in fretta e furia mentre io e Max girovaghiamo a zonzo. Mio cognato, che odia lo shopping, decide invece di andare a fare altre foto a Time Square.

Dopo un paio di ore arrivano con qualche pacchettino ma il pieno lo ha invece fatto Andrea che ha comprato di tutto e di più….e come diceva qualcuno”…e io pago!!!”. Dopo Macy’s è la volta di Pandora sulla 6th..ed alla fine cena ancora al Cafe R visto che siamo in zona. La serata termina con un’ultima occhiata a Time Square.

 

SABATO 9 DICEMBRE 2017

Eccoci qui…siamo giunti alla fine…siamo all’ultima giornata a NY..anzi..mezza giornata.

Meno male che avevano detto che avrebbe nevicato…che ci sarebbe stata una neve incredibile….ed invece cielo limpido e sole…altroché.

La mezza mattinata di oggi, l’appuntamento con lo shuttle per il trasporto all’aeroporto è fissato per le 13 in hotel, è all’insegna del c***** puro….Ecco quindi che la colazione viene fatta con molta calma…Sono infatti quasi le 9 quando…ci giriamo…NEVICAAAAAAAA!? Ma come due minuti prima c’era il sole ed ora nevica? E siccome per terra è anche bello asciutto, la stessa comincia subito ad attaccare. Niente..una sola parola ..CENTRAL PARK. E tutti siamo d’accordo. Il tempo di chiudere le valigie e consegnarle in custodia alla reception dell’hotel e fare il check-out delle camere, che subito siamo in strada. Ora nevica bene. Facciamo una salto in un negozietto a Chinatown per acquistare le ultime cose e poi subito in metropolitana a Central Park. Arriviamo e sembra che tutta la gente si sia data appuntamento qui. Vedere infatti Central Park completamente imbiancato, e vi assicuro che lo era, è uno spettacolo bellissimo. Si accidenti…siamo riusciti anche ad avere questo. Devo dire che come tour operator sono proprio bravo…chi avrebbe potuto riuscire in così tanto? L’idea era quella di far pattinare Simona sul ghiaccio, ma c’è una marea di gente incredibile e così desiste. Il tempo di qualche camminata, qualche foto con la neve e poi si ritorna in hotel. Nel frattempo arriva una mail che lo shuttle arriverà alle 13,30. Vabbè aspettiamo al caldo nella hall. Lo shuttle della Goairlync arriva puntuale alle 13,30. Il tempo di caricare i bagagli e partiamo per l’aeroporto dove arriviamo in circa mezz’ora. Qualche problemino per me e Annamaria al check-in veloce. Nulla di che ma dobbiamo andare al banco dove tutto invece fila liscio. Consegniamo i bagagli da mandare in stiva e, sono ormai le 14,30, cerchiamo un posto per mettere qualcosa sotto i denti. Ecco che la scelta cade sul Palm, bar & Grill (http://www.thepalm.com/JFK ) dove ci mangiamo un bel pastrami con birra e patatine…prezzo???? la bodica cifra di 33$ a cranio…..mica male per un panino…buono quanto vuoi ma…una birra piccola Stella Artois 12… vabbè ormai è andata.

Finito di mangiare facciamo la nostra camminata e ci dirigiamo verso il gate per l’imbarco che avviene alle 17…un’ora prima della partenza fissata per le ore 18.  Volo Delta Air Lines DL0418. Saliamo e prendiamo possesso dei posti assegnati. Io sono proprio sopra la porta della stiva e vedo che caricano le valigie. Alle ore 18 la hostess avvisa tutti che c’è qualche problemino con la chiusura del portellone della stiva….passano le ore tra martellate ecc. ed alla fine lo stesso viene saldato… nel frattempo noi sempre seduti ai nostri posti in aereo con solo una bottiglietta d’acqua. Finito il lavoro, dopo 3 ore circa…si passa allo sghiacciamento delle ali…..altra ora..poi la hostess ci informa che il carburante non basta più e dobbiamo fare ritorno alla piazzola per il rifornimento….altre 2 ore…..insomma all’alba dell’1 di notte dopo 7,15 di ritardo sull’orario previsto…si parte..e si atterra alle 14,15 alla Malpensa con 6,15 di ritardo… dove ci hanno serviti da cani in aereo. Ora mi sono rivolto ad un’associazione di consumatori perché pare che Air France, che ha emesso i biglietti, dice che essendo il volo fatto da Delta, compagnia non europea, la “carta dei diritti dei viaggiatori” non vale…bello schifo….Comunque…a parte il viaggio di ritorno tutto è andato perfettamente…la compagnia è stata stupenda e ci siamo divertiti un sacco….ora un attimo di relax…tanto tra un po’ mio cognato tornerà alla carica con un nuovo viaggio…Cuba o Sanpietroburgo????? vedremo….

 

USA West Coast on the road. Avventure… e disavventure!

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Ci giravamo intorno da un anno ma vuoi per un motivo, vuoi per un altro, rimandavamo sempre. La “brutta bestia” che appena 6 mesi dopo il nostro rientro si sarebbe portata via mia madre purtroppo era un validissimo deterrente. “E se prenotiamo e poi le sue condizioni peggiorano? E se…” Al diavolo. Proprio mia madre dovrebbe insegnarmi che si vive una volta sola. Ad inizio dicembre prenotiamo il volo ed è fatta. Ora o mai più, non senza aver però stipulato un’assicurazione annullamento pronta a coprirci contro tutti gli accidenti possibili e immaginabili.

Essendo la nostra prima volta negli States, abbiamo scelto di iniziare con il classico tour della West Coast, toccando le città principali Los Angeles, Las Vegas e San Francisco e i grandi parchi di California, Arizona, Utah e Nevada. Per mesi abbiamo sfogliato i cataloghi dei tour operator per avere un’idea generale di “cosa” vedere, poi ci siamo affidati alle varie guide cartacee e online, ai forum e ai consigli di qualche amico che aveva già fatto viaggi simili. Alla fine ne è risultato l’itinerario che andremo a raccontarvi, un tour on the road di 3 settimane organizzato in totale autonomia toccando le seguenti tappe:

Los Angeles   – Joshua Tree –   Grand Canyon – Page (Glen Canyon – Horseshoe Bend – Antelope Canyon) – Monument Valley – Moab (Canyonlands – Dead Horse Point – Arches) – Capitol Reef – Grand Staircase-Escalante –   Bryce Canyon – Zion   – Las Vegas –   Death Valley – Bodie   – Mono Lake –   Yosemite – San Francisco – Pacific Coast –   Sequoia & Kings Canyon   – Los Angeles

E così dopo mesi di pianificazioni, ricerche e sogni ad occhi aperti, finalmente ci siamo!

Florida con bambini in agosto: cosa fare nelle ore più calde

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Florida del Sud in agosto, due adulti e una bambina di quattro anni e mezzo. Sole bruciante, caldo umido tropicale notte e giorno, ogni tanto un breve acquazzone a dare un po’ di respiro (ma dopo ritorna tutto come prima). Il mare sicuramente piacerà agli appassionati delle terme: l’acqua è calda, si rincorrono le piccole correnti fredde per darsi un po’ di refrigerio. Insomma: le spiagge sono bianche, larghe e vuote, la natura è prepotente e verdissima, tutto è comodo e anche bello, ma il clima non è sicuramente il migliore. E allora, cosa fare con una bambina nelle ore più terribili? Ecco qui una decina d’idee, di “attractions” (note e meno note) che abbiamo visitato, selezionate dopo un attento studio a casa: e visto che lo studio di solito paga, sono tutte scelte che ci hanno soddisfatto e che ci fa piacere condividere.

Partiamo dalla fine, cioè dalle Florida Keys. La prima esperienza da non perdere è quella con la Glass Bottom Boat della Key Largo Princess (www.keylargoprincess.com), che si prende appunto a Key Largo (la prima località che s’incontra venendo da Nord), nei pressi dell’Holiday Inn. Il tour (30 euro per gli adulti, 14 per i bambini) dura oltre due ore e si fa con un grande yacht a due piani: il superiore è una terrazza-solarium (con un piccolo bar) da cui è possibile vedere la costa e l’oceano, mentre quello inferiore ha il fondo in vetro, con due grandi “buchi” rettangolari, ognuno di circa 15-20 metri quadrati. Gli adulti restano in piedi appoggiati alla balaustra che circonda i “buchi”, mentre i bambini siedono a terra con le gambe penzoloni sul fondo. Arrivati sulla barriera corallina, dopo una quarantina di minuti di navigazione, inizia lo spettacolo del John Pennekamp Coral Reef State Park (l’unico parco sottomarino degli Stati Uniti): decine e decine di pesci coloratissimi, formazioni coralline e piante acquatiche. Una giovane guida (parlante inglese) di volta in volta che i pesci appaiono sul fondo ne spiega la vita e le caratteristiche, indirizzando gli ospiti anche a guardare alcune creature marine che potrebbero sfuggire a occhi poco “allenati”, e fornendo informazioni a gettito continuo. La sosta sul reef dura 30-40 minuti, un tempo abbastanza lungo per sentirsi soddisfatti. A quel punto si rientra, e tutti si dirigono sul ponte per fare le ultime fotografie.

Il secondo appuntamento è a Islamorada, a meno di 30 chilometri da Key Largo (scendendo verso Sud). Lì si trova il Theater of the Sea (www.theaterofthesea.com), un parco di mammiferi marini nato nel 1946, immerso in un bellissimo giardino di vegetazione tropicale (incredibile è la quantità di orchidee), confinante con la laguna e le mangrovie. Al Theater (ingresso da 19 a 28 euro) è possibile assistere a spettacoli con delfini atlantici e leoni marini (nei quali i bambini vengono coinvolti, con loro grande gioia) e a show con pappagalli; fare un giro in una barca senza fondo per veder giocare i delfini; ammirare tartarughe, alligatori e squali tenuti in grandi vasche di acqua salata (pompata direttamente dall’Oceano Atlantico); seguire un tour informativo sulla vita dei tanti animali ospitati nella struttura (di cui una buona parte sono stati salvati e riabilitati). Alla fine degli spettacoli e delle varie attività si va tutti nella piccola spiaggia privata per bagnarsi in mezzo a decine di pesci. La struttura offre anche una varietà di programmi d’interazione con gli animali (come nuotare assieme alle razze o incontrare i delfini) per varie età e prezzi. Al Theater of the Sea, insomma, le ore si trascorrono in grande piacevolezza, e il divertimento è assicurato.

Dopo altri 130 chilometri, infine, si arriva nella deliziosa Key West. Qui il consiglio (e sarà l’unico riguardo le sistemazioni, ma perché la struttura merita davvero di essere pubblicizzata) è il Lighthouse Court Hotel del gruppo Historic Key West Inns (www.historickeywestinns.com). L’albergo è in pieno centro, sulla Whitehead Street (parallela della Duval Street, che è l’arteria principale della cittadina), accanto al fotografatissimo Bahama Village e di fronte alla casa-museo di Ernest Hemingway. L’architettura è quella tipica di Key West, risalente agli inizi del Novecento: una decina di edifici di uno o due piani, con rivestimenti in legno, tetti in latta e grandi portici tutti aperti. Nel vasto cortile (dove si consuma una buona e generosa colazione, sia dolce sia salata, compresa nel prezzo), posto al centro di tutti questi edifici, ci sono la piscina e il bar, ovunque fiori e alberi tropicali che concedono molta ombra. Le stanze sono davvero belle: la nostra (la J3, ancora ce la ricordiamo) era praticamente un appartamento, composto di piano terra e piccola mansarda, con parquet, cucinetta, balconcino, cabina armadio. Begli gli arredi, comodissimi i servizi (con doccia molto spaziosa). Ovviamente ci sono il wi-fi, l’aria condizionata, i ventilatori al soffitto, la grande televisione a schermo piatto, la cassetta di sicurezza, il parcheggio per l’auto (che però si paga a parte). Insomma, c’è tutto quello che serve, compresa la cortesia e la professionalità di un personale abituato a trattare con viaggiatori che vengono da tutto il mondo. Sì, tutto bello, ma quanto costa? Qui sta la vera sorpresa. I prezzi vanno dai 150 ai 210 euro: considerando quanto siano care Key West e la Florida in generale, e quanto siano comunque alti i prezzi di sistemazioni ben peggiori, il rapporto qualità/prezzo del Lighthouse Court Hotel è davvero notevole.

Da vedere assolutamente sono le Everglades. Un immenso e bellissimo territorio di paludi (che in realtà è un fiume che si muove lentissimo da Nord a Sud), pieno di animali, come gli alligatori e centinaia di specie di uccelli, e piante del tutto particolari. Un’occasione da non perdere per visitare questo patrimonio naturale unico al mondo è quella offerta dal Billie Swamp Safari (www.billieswamp.com) nella riserva naturale di Big Cypress, di proprietà dei nativi americani Seminole. Questa popolazione si stabilì in Florida nel Settecento, fu protagonista di tre guerre contro l’esercito degli Stati Uniti nella prima metà dell’Ottocento, e i suoi discendenti ancora oggi rivendicano con orgoglio di non aver mai firmato accordi e di non essersi mai arresi agli americani. Il Billie Swamp è una bella e grande struttura sita a Clewiston che offre tour tra le paludi, accompagnati da una guida, sia in airboat, la tipica imbarcazione con un’enorme elica dietro (il prezzo è 15 euro, la durata è mezzora), sia in “buggy”, un grande veicolo aperto e sospeso su ruote molto alte (dai 10 ai 20 euro secondo l’età, la durata è un’ora). Nel corso della giornata è anche possibile assistere a spettacoli con serpenti e altri animali, tutti condotti da guide Seminole. La struttura contiene anche un piccolo zoo (con istrici, pappagalli, alligatori, facoceri, capibara, tartarughe, lontre e linci), un ristorante (dove si è mangiato benissimo e a prezzi molto contenuti), un sentiero di circa tre chilometri che s’inoltra nelle paludi e un piccolo villaggio con le case tradizionali (dette chickees, ossia delle piattaforme sopraelevate in legno, aperte da ogni lato e coperte da un tetto di paglia). La giornata si può concludere approfondendo un po’ la storia e la cultura dei Seminole andando al Ah-Tah-Thi-Ki Museum (www.ahtahthiki.com), distante appena sei chilometri. All’inizio un breve filmato introduce al mondo dei Seminole, la visita poi continua attraverso le diverse sale, dove figure a grandezza naturale (organizzate in scene) mostrano le pratiche tradizionali dei nativi americani: dai giochi dei bambini alle cerimonie (come quella del “green corn”, cioè del raccolto annuale del mais), dalle danze alla vita quotidiana. Nel museo sono anche presenti oggetti, tessuti e numerosi pannelli informativi, oltre a opere di artisti Seminole contemporanei. Al di fuori, infine, c’è una lunga passeggiata in un bosco di cipressi che conduce al Ceremonial Grounds e al Living Village, dove è possibile vedere “dal vivo” com’era la vita reale dei nativi americani.

Palm Beach offre un paio di attrazioni davvero interessanti. Iniziamo dal South Florida Science Center and Aquarium (www.sfsciencecenter.org), una struttura educativa dove i bambini possono fare numerose attività, partendo dal principio (che è anche il loro slogan) che “the science is exciting”. Il centro (l’ingresso va dai 9 ai 12 euro) ospita, anzitutto, numerose vasche che mostrano diversi habitat ed eco-sistemi: dal reef corallino agli alligatori, dai cavallucci marini al “mondo nascosto” delle Everglades, dalle tartarughe ai pesci atlantici. Ampia è la parte dei giochi (saranno circa un centinaio) a disposizione dei bambini: si va da quelli ispirati ai principi fondamentali della fisica e della chimica (ad esempio, sulla densità dei solidi e dei liquidi, oppure sull’energia elettrica) a quelli di logica e ragionamento (ad esempio, giochi simili al tetris). Ci sono poi alcune macchine davvero curiose: la “frozen shadow”, che permette di fotografare la propria ombra, o la “hurricane force”, dove in una grande capsula di plastica si sperimenta la velocità del vento negli uragani. Molto interessante è anche l’esposizione dedicata allo spazio, dove si possono vedere meteoriti, rocce lunari e numerosi oggetti della spedizione Apollo 14 del 1971. Vi sono poi una sala con giochi più tradizionali (come le costruzioni o i giochi con l’acqua, e c’è anche un salottino per i genitori dove potersi riposare) rivolta ai bambini più piccoli, un teatro-planetario e, nel cortile, un campo di golf a 18 buche in miniatura. La hall centrale, infine, è dedicata alle esposizioni temporanee: nel nostro periodo c’era “Amazing butterflies”, un’interessante mostra interattiva sulla vita delle farfalle. Al South Florida Science Center and Aquarium, insomma, è possibile passare qualche ora divertendosi e imparando (cosa valida anche per noi adulti).

Dopo poco più di venti chilometri da Palm Beach, andando verso l’interno, si arriva in Africa. Il Lion Country Safari (www.lioncountrysafari.com) di Loxahatchee, nato a metà degli anni sessanta e via via ingrandito nel tempo, è una sorta di “succursale” dei grandi parchi ed è un’occasione unica per osservare la fauna selvatica di quel continente. Il Lion Country (entrata dai 20 ai 30 euro), situato in un’area molto grande (oltre 200 ettari), ospita centinaia di animali divisi per habitat geografici, che riprendono i nomi dei parchi africani (come Serengeti o Hwange) o altri ambienti come la pampa e la foresta indiana. Gli animali sono liberi e tenuti in ottime condizioni, quindi si gira chiusi in auto (all’ingresso viene fornito un cd da ascoltare come guida) per un percorso di 6-7 chilometri. Si possono osservare leoni, rinoceronti, scimpanzé, zebre, giraffe, antilopi, struzzi e moltissimi altri; ad alcune specie (come giraffe, pappagalli, oppure agli animali domestici del “petting zoo”) è possibile dare loro da mangiare. Si ha modo, quindi, soprattutto per chi non ha avuto ancora la fortuna di vederli nei loro luoghi d’origine, di ammirare gli animali da molto vicino, e per i bambini (ma anche per gli adulti) questo è sicuramente motivo di grandi emozioni.  La struttura offre parecchie altre cose: minigolf, aree preistoriche (con dinosauri a grandezza naturale), parchi giochi di vario tipo (dalle giostre al “safari splash”, dove ci sono giochi d’acqua per bambini), oppure si possono fare gite in barcone o sul pedalò sul lago Shannalee. Un’esperienza particolare, dunque, che è bene non perdere.

Fort Lauderdale è una cittadina molto piacevole dove hanno sede due strutture che consigliamo caldamente di visitare. La prima è il Museum of Discovery and Science (www.mods.org/home.html), articolata su due piani e piena zeppa di mostre interattive e cose molto interessanti (ingresso dai 10 ai 13 euro). Iniziamo dal piano terra: ci sono un acquario (da rimarcare è sicuramente una parte di barriera corallina attiva in cattività); un habitat per le lontre di fiume nordamericane; una sezione dedicata agli animali preistorici della Florida; un’altra sezione nella quale è ricostruita la storia delle Everglades, provvista anche di un simulatore di corsa in airboat che permette un’esperienza cinematografica davvero singolare (il Museo è anche protagonista di un importante progetto di conservazione di questo patrimonio naturale); una grande sala giochi e la sezione Go Green, dove i bambini imparano (giocando) a riciclare correttamente i rifiuti. La sezione più interessante del piano terra è lo Storm Center, dove si possono fare mille cose: provare il simulatore di uragani, toccare il vortice di un piccolo tornado, costruire una casa robusta, creare nuvole e fulmini. Tante le sorprese anche al primo piano, che è impossibile citarle tutte. Due sono certamente da menzionare: la mostra interattiva “To Fly”, dove ci sono una capsula-teatro in 7D che porta i visitatori in volo nello spazio, un “rover” che permette una passeggiata su Marte e numerosi simulatori di volo su cui è possibile provare l’ebbrezza di pilotare un aereo (come un Airbus o un Cessna); la mostra “Powerful You”, interamente dedicata alla scoperta del corpo umano: attraverso l’utilizzo di giochi e display interattivi, i bambini imparano in modo divertente l’anatomia, le funzioni del cervello e del cuore, la prevenzione delle malattie e le più recenti scoperte tecnologiche per mantenere il corpo in buona salute (impressionanti sono i macchinari che permettono al visitatore di utilizzare la chirurgia robotica, come ad esempio il CyberKnife). C’è molto da fare, insomma, e una mezza giornata passa senza neanche rendersene conto.

La seconda attrazione è il meraviglioso Young At Art Museum (www.youngatartmuseum.org), sito a Davie, a pochi minuti da Fort Lauderdale. La struttura (ingresso da 9 a 12 euro), nata nel 1989 grazie all’intraprendenza delle due fondatrici (Esther e Mindy Shrago), ma rinnovata totalmente nel 2012, è uno dei migliori centri di educazione artistica e culturale per bambini al mondo, come testimoniano i numerosi premi internazionali vinti. La struttura ospita quattro gallerie permanenti (Green Scapes, Culture Scapes, Wonder Scapes e Art Scapes), create in collaborazione con artisti e designer di fama mondiale: nella coloratissima Wonder Scapes, ad esempio, le varie illustrazioni della storia di “Alice nel paese delle meraviglie” del disegnatore DeLoss McGraw prendono forma nella realtà, divenendo spazi e giochi (come la stupenda House & Tea Party o le curiose “sedie vocali”) dove poter rivivere le esperienze della favola. La quantità di cose da fare è enorme: si va dalla riproduzione di una stazione della metropolitana di New York alla struttura-labirinto Wave (raffigurante le onde del mare) percorribile all’interno, alle infinite possibilità di giocare (disegnare il proprio autoritratto, costruire strumenti musicali con materiali riciclati, produrre musica come nel famoso spettacolo Stomp). Il museo, infine, offre gallerie temporanee (durante la nostra visita c’era il Palindrome Park, un’installazione organizzata come un viaggio sensoriale attraverso le forme geometriche, i colori e la natura), numerosi corsi per bambini e ragazzi, una grande biblioteca, uno studio di registrazione e molto altro ancora.

E concludiamo con Miami. In città ovviamente c’è di tutto, quindi consigliamo tre esperienze (tra le tante possibili). Iniziamo dalla gita in barca Bayside Blaster con la Island Queen Cruises (che offre 5-6 tour diversi, tutti sul sito www.islandqueencruises.com). Si prende al Bayside Marketplace (in pieno centro, dove ci sono ristoranti, bar, negozi e spesso musica dal vivo), il biglietto va dai 15 ai 23 euro. Il tour dura un’ora e mezzo, le partenze sono a vari orari. La compagnia di navigazione è molto professionale, la guida del tour è perfettamente bilingue, inglese e spagnolo. La crociera si svolge nella Biscayne Bay e inizia costeggiando Dodge Island, ossia la parte commerciale del porto (si “ammirano” quindi container e gru, che può anche essere interessante vedere da vicino, comunque dura pochi minuti). Ci s’inoltra poi per South Beach e da lì si aprono nuovi scenari: la splendida skyline di Miami, Brickell Key e Fisher Island (sede di condomini super-esclusivi dove si può attraccare soltanto se invitati), la marina di Miami Beach. Ma a suscitare la curiosità di tutti è Millionaire’s Row, la “riva del milionario”, dove si vedono ville hollywodiane e yacht costosissimi che appartengono ai personaggi “rich and famous” dello star system a stelle e strisce: Julio Iglesias e Liz Taylor, Ricky Martin e la “chica dorada” Paulina Rubio, Shaquille O’Neal (ex campione del basket Nba) e Gloria Estefan, e poi ancora rapper, industriali, attrici, fuoriclasse del football americano, cui si aggiungono la casa (piccola, in verità) di Al Capone e la villa in cui fu girato il film Scarface. Il nostro consiglio è di fare la gita al tramonto, la luce è quella migliore per scattare qualche bella fotografia.

Assolutamente da non mancare è quell’angolo di “paradiso terrestre” che prende il nome di Fairchild Tropical Botanic Garden (da rimarcare il sito www.fairchildgarden.org, molto ricco di informazioni). Il giardino è nella bellissima zona di Coral Gables, l’ingresso va dai 10 ai 20 euro. Il Fairchild, aperto al pubblico nel 1938, copre un’area di oltre 30 ettari. Annovera importanti e ampie collezioni di rare piante tropicali, come palme e cycas, oppure alberi magnifici e particolari, come l’albero del sughero, coperto di orchidee (quest’ultime sono ovunque e sono migliaia) e felci, o l’albero del pimento, che odora di cannella, noce moscata e chiodi di garofani mischiati assieme. È davvero difficile descrivere l’armonia dei laghetti e delle cascate, l’estrema cura della natura, i profumi del Fairchild: passeggiando tra i suoi vialetti (ma il giardino si può vedere anche a bordo di un trenino, con un’autista che svolge anche il ruolo di guida), si fa un “pieno” di bellezza che non si può dimenticare. Tra le tante meraviglie va sicuramente menzionata la voliera di farfalle The Wings of the Tropics: un posto incantato dove volano centinaia di farfalle dell’America centrale e meridionale, grandi e colorate (come le famose morphos), creando una sorta di poetico arcobaleno in movimento, immerse per di più in un giardino di orchidee e piante tropicali che si percorre attraverso una passerella. L’ultima annotazione va fatta per la notevole attività di ricerca, laboratorio, educazione e conservazione della biodiversità di cui il Fairchild è protagonista, che ne fanno uno dei più belli, importanti e meritevoli giardini botanici al mondo.

Affacciato sulla pittoresca baia di Biscayne, il parco divertimenti di vita marina Seaquarium (www.miamiseaquarium.com) offre ai visitatori ore di divertimento e di istruzione. Il parco (ingresso dai 30 ai 38 euro) è attivo dal 1955 e annovera anzitutto molti spettacoli, tutti accompagnati da presentazioni didattiche: il più popolare è sicuramente il Flipper Dolphin Show (che si svolge presso la Flipper Lagoon, sede del famoso spettacolo televisivo degli anni sessanta), e poi spettacoli di delfini atlantici, delfini bianchi del Pacifico, orche, leoni marini e foche. Il Seaquarium è molto grande (circa 40 ettari), ha quindi al proprio interno numerose strutture: il Penguin Isle (sede di dieci pinguini africani in via di estinzione), con annessa mostra su questi animali; il Conservation Outpost dedicato alle tartarughe marine; il Manatee Exhibit, dove è possibile ammirare un esemplare di lamantino e conoscere tutto su quest’animale fortemente minacciato; la Discovery Bay, un habitat di mangrovie dove trovano posto tartarughe, alligatori e uccelli selvatici. Vi sono, poi, diversi acquari, dove sono ospitati squali, pesci tropicali e razze (queste ultime sono in una “touch pool”, cioè una vasca in cui è possibile toccarle). Per i bambini, inoltre, vi sono diverse strutture di “gonfiabili” e un bel parco giochi a forma di nave dei pirati (dove si aggirano iguane molto grandi). È possibile, infine, immergersi nelle piscine e “incontrare” gli animali, nuotando e giocando con loro (ovviamente queste esperienze sono pagate a parte).

USA West Coast on the road. Avventure… e disavventure!

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Ci giravamo intorno da un anno ma vuoi per un motivo, vuoi per un altro, rimandavamo sempre. La “brutta bestia” che appena 6 mesi dopo il nostro rientro si sarebbe portata via mia madre purtroppo era un validissimo deterrente. “E se prenotiamo e poi le sue condizioni peggiorano? E se…” Al diavolo. Proprio mia madre dovrebbe insegnarmi che si vive una volta sola. Ad inizio dicembre prenotiamo il volo ed è fatta. Ora o mai più, non senza aver però stipulato un’assicurazione annullamento pronta a coprirci contro tutti gli accidenti possibili e immaginabili.

Essendo la nostra prima volta negli States, abbiamo scelto di iniziare con il classico tour della West Coast, toccando le città principali Los Angeles, Las Vegas e San Francisco e i grandi parchi di California, Arizona, Utah e Nevada. Per mesi abbiamo sfogliato i cataloghi dei tour operator per avere un’idea generale di “cosa” vedere, poi ci siamo affidati alle varie guide cartacee e online, ai forum e ai consigli di qualche amico che aveva già fatto viaggi simili. Alla fine ne è risultato l’itinerario che andremo a raccontarvi, un tour on the road di 3 settimane organizzato in totale autonomia toccando le seguenti tappe:

Los Angeles   – Joshua Tree –   Grand Canyon – Page (Glen Canyon – Horseshoe Bend – Antelope Canyon) – Monument Valley – Moab (Canyonlands – Dead Horse Point – Arches) – Capitol Reef – Grand Staircase-Escalante –   Bryce Canyon – Zion   – Las Vegas –   Death Valley – Bodie   – Mono Lake –   Yosemite – San Francisco – Pacific Coast –   Sequoia & Kings Canyon   – Los Angeles

E così dopo mesi di pianificazioni, ricerche e sogni ad occhi aperti, finalmente ci siamo!

Islanda: anima di ghiaccio e cuore di fuoco

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(by Luca, Sabrina, Federico e Leonardo)

Sabato 12 Agosto:

Dopo una settimana infernale, durante la quale nella nostra città si sono superati i 43 gradi di temperatura, siamo in partenza per questo viaggio, da lungo tempo desiderato, nel quale l’ultimo dei pensieri, crediamo, sarà il caldo. Andremo infatti in Islanda, paese al limite del circolo polare artico, esteso poco più di 100.000 chilometri quadrati (circa un terzo dell’Italia), che con circa 300.000 abitanti risulta, per densità, uno dei meno popolosi d’Europa. Dal suo canto però dovrebbe offrire un altissimo tasso di bellezze naturali, essendo uno dei luoghi con la più marcata attività vulcanica e geotermica al mondo.

Due minuti dopo le due del pomeriggio prendiamo il via da casa e un quarto d’ora più tardi imbocchiamo l’autostrada A14 a Faenza … autostrada che oggi porta un traffico piuttosto intenso, tanto che, con un po’ di apprensione, affrontiamo anche qualche rallentamento.

Dopo circa un’ora arriviamo però, senza problemi, al parcheggio P4 dell’Aeroporto Marconi, dove lasciamo in deposito la nostra auto, quindi con la navetta raggiungiamo la zona delle partenze e dopo una breve coda imbarchiamo i bagagli direttamente per l’aeroporto di Keflavík, in Islanda, mentre noi faremo scalo a Düsseldorf, in Germania.

Oltrepassiamo i controlli di sicurezza e poi ci accomodiamo in attesa dell’imbarco alla porta 11 … così, poco più tardi varchiamo il gate e mettiamo piede sull’aeromobile ad elica Dash8-Q400 della compagnia Air Berlin, che, identificato come volo AB 8687, alle 17:50 stacca da terra virando subito verso nord.

Sorvoliamo la Pianura Padana e salutiamo l’italica canicola avventurandoci su di un mare di nuvole che ricopre l’intero arco alpino … Nuvole che ci accompagnano per l’intero tragitto, tanto che rivediamo terra praticamente solo quando atterriamo, alle 19:34, nell’aeroporto di Düsseldorf.

Appena sbarcati seguiamo un percorso ben segnalato e in breve ci troviamo in attesa del volo successivo alla porta B53.

I tempi si prolungano un po’ più del dovuto, ma alle 22:07 l’Airbus A320 dell’Air Berlin (volo AB 3928) rulla sulla pista teutonica e gira subito la prua verso l’Islanda. Nel mentre è calata la notte, ma prima di tutto sposto le lancette dell’orologio due ore indietro sul fuso di arrivo, poi, man mano che passa il tempo l’oscurità non avanza, anzi, il cielo torna a schiarirsi e già questo è un aspetto incredibile della terra verso la quale siamo diretti.

In questo modo atterriamo, felicemente, nell’aeroporto di Keflavík alle 23:07 locali, quando siamo nuovamente prossimi al tramonto e lì impieghiamo un po’ a ritirare i bagagli, che però, per fortuna, arrivano tutti. Poi usciamo ben coperti, al fresco della breve notte nordica, e ci mettiamo alla ricerca della navetta del B & B Keflairport, che dovrebbe portarci alla Mycar, autonoleggio presso il quale ritirare l’auto prenotata, ma non la troviamo, così decidiamo di prendere un taxi, che di lì a poco ci fa arrivare a destinazione, proprio mentre scocca la mezzanotte ed è …

 

… Domenica 13 Agosto:

Alla Mycar ci consegnano una nuovissima 4×4 Toyota Rav 4 bianca (ha solo 65 chilometri), targata MN R92, e con quella partiamo subito in direzione del paese di Grindavík, distante una ventina di chilometri.

Con l’aiuto del navigatore troviamo così la Anita’s Guest House, dove erano al corrente del nostro arrivo tardivo e ci stavano aspettando, e dove passeremo le prime due notti (scarse) del viaggio … In questo modo, poco dopo l’una, possiamo finalmente concederci qualche ora di sonno.

Il riposo però è breve perché poco dopo le 7:00 suona la sveglia per dare il via, ufficialmente, alla visita dell’Islanda.

Consumiamo la nostra colazione autogestita e successivamente prendiamo a seguire la strada numero 425 che corre in fregio alla costa meridionale della penisola di Reykjanes, per girare a sinistra, dopo una manciata di chilometri, lungo un breve sterrato che ci porta all’area geotermale di Gunnuhver, mentre grazie al cielo splende un bel sole.

L’area di Gunnuhver è una delle più attive del paese e deve il suo nome alla presunta strega Gunna, che nel XVIII secolo fu attirata con un sortilegio nel luogo e fatta precipitare nel fango e nell’acqua bollente. In effetti sembra di arrivare alle porte degl’inferi e lo spettacolo è superlativo lungo il sentiero che porta al principale cratere, con grandi fumarole e il terreno tutto attorno colorato con sfumature di bianco, giallo e rosso.

Alcune passerelle si avventurano nell’area ed offrono scorci davvero eccitanti, su di un cielo più terso che mai … e se il buon giorno si vede dal mattino sono veramente portato a credere che questo viaggio sarà indimenticabile!

Esplorata l’area di Gunnuhver riprendiamo strada, ma subito facciamo un’altra deviazione seguendo la carrareccia che porta al faro di Reykjanesviti, il più antico d’Islanda, risalente al 1878, che domina un bel tratto di costa caratterizzato da intriganti scogliere.

Riguadagnato l’asfalto continuiamo per una manciata di chilometri lungo la strada 425 fino a giungere nel sito di Midlina, laddove una enorme spaccatura del terreno altro non è che il punto di incontro fra le zolle tettoniche europea e nord-americana … il luogo però è tutt’altro che banale, infatti il piccolo canyon è attraversato dal cosiddetto “Ponte fra due continenti” e a pensare quali forze della natura ci siano dietro di esso mette letteralmente i brividi …

Consumata con successo anche questa esperienza puntiamo il navigatore direttamente su Reykjavík, capitale dell’incredibile paese che ci stiamo accingendo ad esplorare, che con i suoi 120.000 abitanti ospita oltre un terzo dell’intera popolazione dello stato.

Ci fermiamo a fare qualche provvidenziale spesa in un discount e intorno a mezzogiorno arriviamo nel parcheggio adiacente il Vecchio Porto di Reykjavík. Così facciamo una breve passeggiata sul molo, fiancheggiato da storici edifici sapientemente restaurati, e poi pranziamo con i nostri panini, mentre il sole continua a splendere fiero sulla nostra testa.

Rifocillati a dovere c’incamminiamo quindi verso l’Harpa: strabiliante e modernissima costruzione rivestita di vetri convessi, inaugurata nel 2011, che si specchia sulle acque del prospiciente porto e contiene la sala concerti della capitale. Da lì ci avventuriamo poi nel piccolo centro storico di Reykjavík, dove si trovano il palazzo dell’Alþingi, ovvero il parlamento islandese, e a breve distanza, sulle rive del lago Tjörnin, il Raðhús, moderno edificio che ospita il municipio.

Passeggiando per le vie centrali, fiancheggiate da qualche caratteristico edificio in legno, torniamo all’auto e con quella ci spostiamo a vedere, a qualche isolato di distanza, anche la Hallgrimskirkja, grande e moderna chiesa, oggi particolarmente appariscente, col suo bianco candido che si staglia sul blu intenso del cielo, costruita negli anni centrali del secolo scorso su progetto dell’architetto Guðjón Samúelsson, che non visse abbastanza a lungo per vederla completata, nel 1983.

Ultimata in questo modo la visita alla capitale, intorno alle 3:00 del pomeriggio, ce ne andiamo verso sud lungo la strada numero 42, che attraversa la penisola di Reykjanes e passa accanto all’interessante lago Kleifarvatn, circondato da severi paesaggi vulcanici. In questo modo arriviamo all’area geotermale di Krýsuvík, nella quale risaltano le sorgenti solforose e gorgoglianti di Seltún, mentre il cielo si va rapidamente annuvolando.

Da un comodo parcheggio partono alcune passerelle in legno che portano a camminare tra fosse fangose e svariate fumarole, questo perché la temperatura nell’immediato sottosuolo arriva a duecento gradi e l’acqua bolle quando emerge dal terreno. Un terreno che grazie alla presenza di svariati minerali assume fantasiosi riflessi iridescenti, dando vita ad un paesaggio dall’aspetto dantesco.

Con ancora l’odore dello zolfo nelle narici ci spostiamo poi di un solo chilometro al laghetto vulcanico di Grænavatn, dalle acque insolitamente verdazzurre, causa la presenza di minerali e alghe termofile.

La strada 42 poco più avanti incrocia la 427, che corre lungo il bordo meridionale della penisola di Reykjanes. Da qui un impervio sterrato porta alla spettacolare tratto di costa di Krýsuvíkurberg, dove imponenti scogliere nere si ergono davanti agli impetuosi flutti dell’Oceano Atlantico.

Scattiamo qualche doverosa foto, purtroppo non coadiuvati dalla presenza del sole, e poi riguadagniamo la strada asfaltata, che percorriamo fino a Grindavík, chiudendo in pratica l’anello di questa prima tappa … ma non la tappa stessa, perché manca ancora, forse, la parte migliore.

Ad una manciata di chilometri da qui si trova infatti la Bláa Lónið, la famosissima Laguna Blu islandese, che è un po’ il simbolo, turisticamente parlando, del paese. È un laghetto, magnificamente incastonato in un nero campo di lava, formato da acqua geotermale, azzurra e lattiginosa, proveniente dalla vicina centrale di Svartsengi, nella quale ci si può bagnare, visti i 38 gradi di temperatura, oziando per tutto il tempo.

Il luogo, naturalmente, è sempre affollato, ma noi abbiamo una prenotazione per le 18:00 e ci presentiamo con un po’ di anticipo, mentre il meteo non ci viene incontro e comincia anche a piovigginare … Non ci curiamo però tanto della cosa e corriamo subito in acqua a goderci un paio d’ore belle e rilassanti.

Il tempo però vola nella Laguna Blu e ben presto dobbiamo fare ritorno all’Anita’s Guest House per concludere la prima magnifica giornata islandese con una spartana cena, consumata nell’accogliente cucina della struttura turistica.

 

Lunedì 14 Agosto:

Partiamo, con tutti i bagagli al seguito, dall’Anita’s Guest House per la prima vera tappa itinerante del viaggio, una tappa anche piuttosto impegnativa.

Prendiamo il via verso l’est della penisola di Reykjanes con qualche sprazzo di cielo sereno sulla testa, ma andiamo incontro a grossi nuvoloni e ben presto comincia a piovere. Arriviamo così sulla Hringvegur, la strada numero 1, che fa tutto il giro dell’isola, e ne percorriamo un breve tratto verso oriente, poi prendiamo la via dell’interno sulla strada numero 35.

Dopo un’altra manciata di chilometri giungiamo infine nel parcheggio prospiciente l’antico cratere vulcanico di Kerið, primo punto di interesse odierno, mentre continua a piovere con una certa insistenza.

Indossiamo così per la prima volta le mantelle antipioggia ed equipaggiati a dovere paghiamo il biglietto d’ingresso (cosa rara in Islanda) e ci avviamo verso la sommità del cratere di Kerið, che, formatosi circa 6.500 anni fa, ha un’ampiezza che varia dai 170 ai 270 metri ed una profondità di 55, con all’interno un azzurro laghetto. Le sue pareti sono poi formate da roccia vulcanica rossastra, tappezzate di verdissima vegetazione … Un bel quadro d’insieme, nonostante la giornata grigia.

Affrontiamo tutto il giro del bordo del cratere, assaporandolo dalle più svariate angolazioni, e poi facciamo ritorno all’auto per riprendere l’itinerario.

Continuiamo sulla strada numero 35 … e dopo 35 chilometri arriviamo alla cascata di Faxafoss, un salto di sette metri, largo ottanta, formato dal fiume Tungufljót … Nulla di speciale, ma gli diamo un’occhiata non essendoci costato strada in più per raggiungerlo. Unica nota positiva la pioggia, che per il momento ha smesso di scendere.

Dopo percorriamo, come scorciatoia, un breve sterrato, che ci fa rientrare sulla strada numero 35 a pochi chilometri dal parcheggio presso la grande e famosa cascata di Gullfoss, prima irrinunciabile sosta lungo il cosiddetto Circolo d’Oro (noto percorso turistico che si dipana nei dintorni della capitale).

Il meteo non è proprio eccezionale, ma comunque possiamo ammirare lo spettacolo delle fragorose acque del fiume Hvitá, che si gettano con un doppio salto di 32 metri in uno stretto canyon formando la cascata di Gullfoss (la cascata d’oro), forse la più famosa d’Islanda.

È davvero impressionante la quantità di vapore acqueo che si sprigiona dalle tumultuose rapide … e pensare che agli inizi del Novecento una società era intenzionata all’acquisto della cascata per costruirvi una diga ed una centrale idroelettrica, ma poi vi rinunciò, grazie anche all’impegno di una coraggiosa contadina locale, che si oppose allo scempio, minacciando persino di gettarsi nelle acque di Gullfoss.

Dopo la passeggiata lungo il sentiero che si dipana, con superbe viste, sul bordo della cascata torniamo all’auto e subito ripatiamo, perché siamo già in ritardo sulla tabella di marcia. In questo modo arriviamo per mezzogiorno nella località di Geysir con l’intenzione di visitare la sua nota area geotermale.

Visto l’orario prima pranziamo e poi ci dedichiamo all’esplorazione della zona, a cominciare da alcune ribollenti pozze di fango per arrivare poi di fronte allo Strokkur, il più attivo dei geyser d’Islanda, attorniato da tanti turisti che ne attendono l’eruzione … e lui non si fa certo desiderare, perché ogni 5/10 minuti spara il suo potente getto d’acqua fino ad un’altezza di trenta metri … stupefacente!

Proprio accanto si trova invece Geysir, il padre di tutti i geyser, dal quale ne deriva anche il nome comune. È rimasto attivo per circa ottocento anni, alzando colonne d’acqua di oltre cento metri, ma dal 1916, purtroppo, si risveglia solo saltuariamente.

Più avanti spiccano invece alcune sorgenti calde, fra le quali quella bellissima di Blesi, formata da due pozze: una di un lattiginoso colore blu e l’altra trasparentissima e dai riflessi cristallini … È da qui, credo, che si assapori il miglior colpo d’occhio dell’area se si ha la pazienza di attendere sullo sfondo delle due pozze un’eruzione dello Strokkur.

Arricchiti anche da questa esperienza torniamo ad aggredire il nastro d’asfalto, ma solo per una mancata di chilometri, fin quando, seguendo una deviazione sulla destra non ci mettiamo alla ricerca del sentiero che porta all’interessante cascata di Bruarfoss … Lo troviamo, ma passa dentro ad una proprietà privata con alcuni cartelli che esortano a percorrerlo, allora desistiamo e riprendiamo il nostro programma verso la prossima meta.

In questa maniera, dopo meno di un’ora, giungiamo nell’aera del Parco Nazionale di Þingvellir, che è il sito storico più importante di tutta l’Islanda, nonché un luogo immerso nella sorprendente natura di questa terra ubicata ai confini del mondo.

Þingvellir si trova fra le zolle tettoniche europea e nord-americana, così tutta la zona è percorsa da profonde spaccature e fenditure del terreno, e proprio dalle suggestive falle piene di limpida acqua di Flosagjá e Nikulásargjá cominciamo la nostra perlustrazione del parco, per passare poi, nelle vicinanze, alla caratteristica Þingvallakirkja, una delle prime chiese islandesi, risalente al XI secolo, anche se l’attuale struttura è di fattura ottocentesca.

In auto ci spostiamo poi in un’altra zona di Þingvellir dove, con una breve passeggiata, andiamo a vedere la bella cascata di Öxarárfoss, formata dalle acque del fiume Öxará, che si gettano dentro la faglia tettonica con un salto di circa venti metri. Ci troviamo infatti già all’interno della grande spaccatura di Almannagjá, che caratterizza gran parte del luogo.

Alla zona più spettacolare della faglia si accedere però da un’ulteriore parte del parco, verso la quale siamo ora diretti. Poco più tardi così, mentre ricomincia a piovere, scendiamo, fra due ali di roccia all’interno dell’Almannagjá e lì camminiamo fino alla storica rupe di Lögberg (la roccia della legge), alla cui base si riuniva, fin dal 930 d.C., l’Alþingi, il primo parlamento democratico del nord Europa. Qui notiamo il punto esatto in cui si teneva annualmente l’assemblea, contrassegnato con la bandiera islandese.

Terminata anche l’impegnativa visita di Þingvellir riprendiamo strada con sollecitudine, visto che ci sono da percorrere ancora 170 chilometri per giungere al termine della tappa.

Arriviamo al mare e alla strada numero 1 praticamente nella periferia settentrionale di Reykjavík e da lì andiamo verso nord lungo la costa. Attraversiamo il profondo Hvalfjörður mediante un tunnel sottomarino (a pagamento) e continuiamo sulla Hringvegur per qualche decina di chilometri, fino a svoltare sulla sinistra lungo la strada numero 54, che va verso la penisola di Snæfellsnes.

Ormai in vista del traguardo facciamo però un’altra piccola deviazione, seguendo il breve sterrato che porta alla base di Gerðuberg Cliffs, una strabiliante sequenza di colonne basaltiche, alte fra i 7 e i 14 metri, formatesi in seguito al brusco raffreddamento in mare di un’antica colata lavica.

Scattate le doverose foto riprendiamo a macinar chilometri e poco prima delle 20:00 arriviamo nella remota località di Staðarstaður alla Traðir Guesthouse, che ci ospiterà per la notte.

Portiamo le valigie in camera, ci informiamo sulla cena e poi, mentre sotto le nuvole, in lontananza, si intravvede la sagoma dello Snæfellsjökull, il ghiacciaio sovrastante il grande vulcano che domina questa regione, scappiamo nuovamente in auto alla vicina spiaggia di Ytri-Tunga, dove pare si possano vedere le foche … e infatti ci sono diversi esemplari, che ci fermiamo per un po’ ad osservare in religioso silenzio.

Conclusa così la giornata con la ciliegina sulla torta torniamo alla guesthouse per consumare la cena (non proprio economica, ma non avevamo alternative), poi ce ne andiamo verso la camera osservando gli splendidi colori del cielo ormai prossimo al tramonto … un cielo che speriamo domani possa essere un po’ più clemente.

 

Martedì 15 Agosto:

Il cielo è grigio anche in questa mattina di un Ferragosto non certo infuocato … ma almeno non piove.

Partiamo un po’ in ritardo, causa la colazione che non poteva essere consumata prima delle 8:00, e andiamo verso ovest lungo la costa meridionale della penisola di Snæfellsnes, attorniati da intriganti panorami, fra i quali spicca la cascata di Bjarnarfoss, un salto di ottanta metri ben visibile dalla carreggiata.

Nei pressi della cascata svoltiamo quindi a sinistra lungo la strada numero 574, che compie il periplo completo della penisola, e dopo pochi chilometri giungiamo al parcheggio dal quale parte la passeggiata che porta a Rauðfeldsgjá, una strettissima gola che scompare fantomaticamente dentro la montagna.

Fra verdissimi e singolari panorami giungiamo fino all’ingresso della forra rocciosa. Ne percorriamo un brevissimo tratto, assaporandone le peculiarità, e poi torniamo sui nostri passi.

Successivamente arriviamo nella località di Anarstapi, dove si trova un piccolo monumento dedicato a Julies Verne, celebre scrittore considerato fra i padri della fantascienza, che proprio da qui fece idealmente partire il suo “Viaggio al centro della terra”. Poi andiamo in auto fino al porticciolo, caratterizzato tutto intorno da belle conformazioni di basalto, e subito dopo, a piedi, lungo le scogliere a sud dell’abitato dove si trova uno scenografico arco di roccia detto Gatklettur. Qui fra l’altro abbiamo anche occasione di osservare l’aggressività delle sterne artiche, che attaccano senza remore chiunque provi ad insediare il loro territorio.

Lasciata Anarstapi ci spostiamo quindi di pochi chilometri verso occidente fino allo spettacolare tratto di costa di Lóndrangar, caratterizzato da alte scogliere popolate da una ricca avifauna e da due enormi pinnacoli rocciosi (alti 61 e 75 metri) che la tradizione popolare identifica come un tempio degl’elfi.

Dedicato il giusto tempo anche a questo luogo seguiamo poi le indicazioni che ci portano al parcheggio nei pressi della spiaggia di Djúpalónssandur, mentre finalmente torna a farci visita il sole, che accende subito tutti i colori della natura.

Qui osserviamo alcune suggestive formazioni rocciose, fra le quali un grande arco, ma soprattutto la desolante distesa di sabbia nera, disseminata ancora dei detriti del motopeschereccio inglese Eding, che vi fece naufragio nel 1948. Dal mare di fronte emergono alcuni faraglioni e all’ingresso della spiaggia si notano ancora oggi le “quattro pietre del sollevamento”, mediante le quali, nei secoli scorsi, veniva provata la forza degli aspiranti marinai: la più piccola si chiama Amloði (incapace) e pesa 23 chili, poi ci sono Hálfdrættingur (debole), che pesa 54 chili, la Hálfsterkur (mediamente forte), che pesa 100 chili, e la più grande Fullsterker (molto forte), con i suoi 154 chili … e per essere considerati abili si doveva sollevare almeno la seconda.

Soddisfatti degli eventi riprendiamo strada e, attraversando vasti scenari vulcanici, giungiamo ai piedi del Saxhöll, un piccolo cono di scorie vulcaniche sul quale si può salire con una breve scarpinata. Da lassù il panorama sulle enormi distese laviche di Neshraun è affascinante, anche se mutilato dall’assenza del grande vulcano Snæfells, che se ne rimane costantemente nascosto sotto le nuvole.

Poco più tardi, deviando sulla strada secondaria numero 579 conquistiamo anche l’estrema punta occidentale della penisola di Snæfellsnes, dove si trova la bella spiaggia dorata di Skarðsvík e più avanti, al termine di un accidentato sterrato, le impressionanti e scure scogliere di Svötuloft, caratterizzate da un enorme arco di roccia e sovrastate da un appariscente faro color arancione, il tutto mentre l’ombra riprende il sopravvento sul sole.

Riguadagnato il principale nastro d’asfalto cominciamo a risalire la penisola sul suo lato settentrionale e quasi alle 14:00 ci fermiamo a pranzare, con i nostri panini, nell’area di sosta prospicente la celebre cascata di Kirkjufellsfoss.

Dopo affrontiamo la breve passeggiata che si dipana attorno alla cascata, per assaporarne tutti i suoi più noti scorci, sullo sfondo del fotogenico e piramidale picco di Kirkjufell, maestosa montagna che si erge a guardia del Grundarfjörður, quindi partiamo per intraprendere il lungo trasferimento di fine giornata.

Per non fare troppo tardi saltiamo la visita al curioso Shark Museum di Bjarnarhöfn, che si trova nei paraggi, perché avendo scelto di non prendere il traghetto che attraversa il vasto Breiðafjörður dovremo percorrere quasi 300 chilometri di strada, in gran parte sterrata, per giungere a destinazione.

In questo modo risparmiamo un bel gruzzoletto, ma soprattutto abbiamo la possibilità di godere di bellissimi scorci panoramici sull’incredibile serie di fiordi che si susseguono lungo la strada numero 60. Scorci impreziositi dalla presenza del sole e del cielo azzurro, un piccolo anticipo, crediamo, dei fiordi occidentali, che esploreremo domani.

Poco prima delle 20:00 giungiamo infine nella minuscola località di Birkimelur, alla Bjarkarholt Guesthouse, dove passeremo la notte.

Pranziamo nella cucina della struttura e poi ci ritiriamo in camera a riposare, mettendo la parola fine ad un’intensa ma bella giornata.

 

Mercoledì 16 Agosto:

Partiamo di buon’ora dalla guesthouse con il cielo, sopra la nostra testa, che presenta ampi e beneauguranti sprazzi di sereno.

Seguiamo la linea costiera verso ovest sulla strada numero 62, fin quando quest’ultima non di avventura su di un piccolo passo montano, che ci porta ad affacciarci dall’alto sul Patreksfjörður, primo fiordo occidentale della serie, letteralmente invaso da un mare di nuvole basse, che creano un effetto straordinario … nuvole che però vanno a dissolversi rapidamente, mentre scendiamo di quota.

Ci avviamo così lungo la sponda meridionale del fiordo sulla strada 612 e dopo pochissimi chilometri incontriamo, arenato sulla battigia, il relitto arrugginito del peschereccio Garðar, natante a vapore costruito oltre cento anni fa e qui abbandonato nel 1991, che, associato alle nuvole in dissolvenza, conferisce al luogo un aspetto spettrale.

Dopo altri quattro chilometri deviamo poi verso l’interno sulla strada sterrata 614, che scavalca le montagne e giunge alla spiaggia di Rauðasandur.

L’arrivo dall’alto sul vastissimo arenile, scendendo ripidi e stretti tornanti, è indimenticabile: l’immensa distesa di sabbia rossa si fonde magistralmente col blu dell’oceano in una sorta di abbraccio fra gli elementi, perché il mare penetra sulla terra formando una laguna e lembi di terra si spingono al largo dando vita a sfumature di colore quasi irreali.

Ammaliati dallo spettacolo scendiamo sulla sinistra dell’insenatura, dove si trova uno spartano campeggio, e lì c’incamminiamo sulla spiaggia per giungere fin sulle rive dell’oceano, nel magico silenzio di questo luogo, violato solo dallo sciabordio delle onde.

Estasiati torniamo indietro per la stessa via e scavalchiamo nuovamente le montagne, poi continuiamo sulla riva del Patreksfjörður verso occidente.

Anche questa strada diventa sterrata e fra grandiosi scenari arriviamo alla bianca spiaggia di Breiðdvík, nella cui solitudine spicca una caratteristica chiesetta, quindi proseguiamo fino al punto più occidentale d’Europa (se si escludono le Isole Azzorre), dove si trovano le strabilianti scogliere di Latrabjarg, le cui altezze variano dai 60 ai 440 metri!

Dal parcheggio nei pressi del faro percorriamo a piedi un buon tratto delle falesie, che hanno una verticalità impressionante e offrono scorci davvero mozzafiato. Gli anfratti e le sporgenze delle scogliere sono poi abitati da tanti volatili, ma non riusciamo purtroppo a scorgere nessun esemplare di pulcinella di mare, simpatico uccello che è un po’ il simbolo delle coste islandesi.

A questo punto della giornata torniamo inevitabilmente sui nostri passi lungo tutto il Patreksfjörður, che subito dopo risaliamo sull’altra sponda fino all’omonimo paese, dove, oltre a far spesa e rifornimento, consumiamo anche il nostro pranzo.

Alla ripresa delle ostilità con i tracciati impervi di queste terre superiamo un valico e ci affacciamo sullo stretto Talknafjörður, poi ne superiamo un altro e planiamo, ormai persi in un labirinto di mari e monti, sul paese di Bíldudalur, da dove prendiamo a seguire l’accidentata strada 619, che corre sulla riva meridionale del vasto Arnarfjörður, a detta della guida, forse, il più bel fiordo della regione.

Fra innumerevoli saliscendi, alte montagne e lussureggianti valli, la strada bianca 619 costeggia per oltre venti chilometri l’Arnarfjörður, offrendo a tratti scorci entusiasmanti, e arriva nella sperduta località di Selárdalur, dove si trovano alcune curiose costruzioni, opera dell’artista locale Samúel Jónsson, che qui trascorse gli ultimi anni della sua vita.

Percorso poi a ritroso anche questo tratto di strada fino a Bíldudalur continuiamo a seguire la via principale, che si fa sterrata e sale vertiginosamente per poi calare, nell’infinito caos di acqua e roccia, e ancora risalire, fra vette nelle quali risalta ancora qualche traccia di neve … Infine scendiamo a picco sul Borgarfjörður, in fondo al quale si trova la meravigliosa cascata di Dynjandi.

Dynjandi in lingua islandese significa tonante, come l’impeto con cui scende l’acqua sul fianco della montagna creando una serie spettacolare di cascate, fra le quali il magnifico salto principale, che si apre a ventaglio con una larghezza che varia dai trenta ai sessanta metri.

A piedi saliamo lungo un ripido sentiero, fino alla base della grande cascata, godendoci appieno il luogo, anche se con il sole un po’ latitante.

Terminata l’esplorazione della cascata di Dynjandi sono le 18:30 e dobbiamo percorrere ancora circa cento chilometri per giungere al termine della tappa, quasi la metà dei quali su sterrato.

Seguiamo la sponda settentrionale del Borgarfjörður e poi affrontiamo un ardito valico che ci porta ad Dýrafjörður, nell’abitato di Þingeyri, dove ritroviamo l’asfalto. Da lì, ancora attraverso le montagne, ci affacciamo sull’Önundarfjörður, poi una lunga galleria ci porta al paese di Ísafjörður, ubicato su di una diramazione dell’Ísafjarðardjúp, il più vasto dei fiordi occidentali.

Da Ísafjörður un’altra manciata di chilometri ci fa arrivare nella località di Súðavík alla Swanfjord Ghuesthouse dove alloggeremo.

In questo modo si conclude un’altra positiva giornata e si conclude con una piccola curiosità. Vista la nostra attuale posizione geografica il buio completo proprio non arriva, infatti il cielo a mezzanotte è ancora chiaro a nord-ovest e questo nonostante sia già agosto inoltrato … incredibile!

 

Giovedì 17 Agosto:

Prende il via oggi la tappa più lunga del viaggio. Ci aspettano infatti oltre seicento chilometri, più che altro di trasferimento, dai fiordi occidentali alla regione centro-settentrionale dell’Islanda.

Prendiamo il via da Súðavíik poco dopo le 8:00 e prima di tutto passiamo dal vicino Centro per la Volpe Artica, istituito per studiare e proteggere quello che è, in pratica, l’unico mammifero terrestre autoctono dell’Islanda. Il centro è ancora chiuso, ma nel recinto adiacente possiamo notare la presenza di almeno due cuccioli.

Subito dopo cominciamo a percorrere la strada numero 6, che segue verso sud-est tutte le infinite ramificazioni dell’Ísafjarðardjúp, purtroppo in assenza di un bel sole, ma almeno non piove.

Ad un certo punto incontriamo un cartello turistico che indica la possibile presenza di foche nel tratto di mare antistante, allora ci fermiamo … e infatti ci sono, anche numerose, seppure piuttosto distanti dalla riva. Scattiamo qualche foto, assaporando la gradita esperienza fuori programma, e poi proseguiamo.

Dopo oltre 150 chilometri dalla partenza usciamo dal grande fiordo, ma per uscire dalla regione e riguadagnare la numero 1 ce ne sono almeno altrettanti.

Poco dopo mezzogiorno eccoci finalmente sulla Hringvegur, però ne percorriamo solo una trentina di chilometri in senso orario, quindi deviamo sulla sinistra verso la penisola di Vatnsnes, famosa per le sue colonie di foche.

Ci fermiamo a pranzare nel paese di Hvammstangi sotto ad un bel sole e poi, a conferma dell’estrema variabilità del meteo in queste terre, partiamo alla scoperta della penisola di nuovo sotto ad un cielo plumbeo.

Seguiamo la strada sterrata 711, che corre lungo la costa, e poco dopo arriviamo ad un punto di osservazione delle foche, ben segnalato. Posteggiamo il nostro mezzo e c’incamminiamo verso la spiaggia, incalzati da un vento gelido che soffia da nord. Giunti però sulla riva restiamo un po’ delusi perché intravvediamo, in lontananza, un solo esemplare.

Torniamo allora sui nostri passi e riprendiamo il giro della penisola fino a giungere nel parcheggio presso il gigantesco faraglione di Hvitserkur. Qui lasciamo l’auto e a piedi scendiamo alla spiaggia per osservare da vicino questa conformazione basaltica, che s’innalza per 15 metri a pochi passi dalla battigia.

Secondo la tradizione locale sarebbe un troll, sorpreso dai raggi del sole e qui pietrificato per l’eternità, ma in realtà assomiglia più ad un enorme drago che si abbevera in mare … Insomma un bel sipario fatto di natura e mitologia, solo che il faraglione tende al nero ed il cielo al grigio, così la scena non risalta come invece meriterebbe.

Nella vicina baia poi si dovrebbero vedere le foche, ma non ce n’è traccia … così lasciamo la famosa penisola delle foche con una sola bestiola all’attivo. E per fortuna abbiamo potuto godere di altre due precedenti esperienze al di fuori di Vatnsnes.

Riguadagnata ancora la numero 1 la percorriamo spediti verso est, poi la abbandoniamo nel villaggio di Varmahlið per andare a nord lungo la 75, mentre torna anche a splendere il sole, che ci permette di fare una buona visita del sito di Glaumbær, dove è stata ben recuperata una tradizionale fattoria di torba, risalente al XVIII secolo.

 

Sempre sul posto si trovano due belle case in legno del secolo successivo e nei pressi della vicina chiesetta un piccolo monumento che ricorda Snorri Þorfinnsson, considerato il primo europeo ad essere nato, nel 1004, nel continente nord-americano, il quale trascorse poi a Glaumbær buona parte della sua vita.

Ormai nel tardo pomeriggio affrontiamo la strada numero 76, che s’inoltra lungo la costa della grande penisola di Tröllaskagi, avvolta nelle nubi. Arriviamo così nel remoto paese di Siglufjörður sotto ad una leggera pioggerellina che non entusiasma affatto.

Scattiamo comunque qualche foto ai vecchi edifici che ospitano il Museo dell’Aringa, perché Siglufjörður fu capitale della pesca di questo pesce nella prima metà del secolo scorso, quando contava oltre diecimila abitanti … poi le aringhe scomparvero dalle acque locali e l’economia del luogo crollò drasticamente.

Un po’ abbattuti per le condizioni meteo, che pare saranno tali anche domani durante la nostra prevista escursione di whale watching, ci avviamo quindi verso il termine della tappa e per mettere il giusto accento sulla situazione, lungo uno dei due tunnel che collegano Sigurfjörður a Ölafsfjörður (dove pernotteremo) ci prendiamo chiaramente anche un velox, i cui frutti vedremo a posteriori.

Arriviamo infine al Gistihus Joa, struttura nella quale questa sera saremo ospiti, e portati i bagagli in camera andiamo a cena in un vicino ristorante, dove mangiamo un’onesta pizza, poi ci ritiriamo in camera, mentre fuori continua inesorabilmente a scendere la pioggia.

 

Venerdì 18 Agosto:

Piove … piove a dirotto a Ölafsfjörður! Ciononostante ci prepariamo per l’escursione di whale watching, prenotata fin da casa, consci del fatto che probabilmente verrà annullata.

Facciamo colazione in fretta, carichiamo le valigie in auto e poco dopo le 8:30 siamo già nel vicino paese di Dalvík, all’Artic Sea Tours. Entriamo in ufficio e chiediamo lumi, per sentirci rispondere, con molta sorpresa, che tutto è confermato e che fra poco ci verranno consegnate le tute termiche con le quali affrontare l’escursione.

Indossato tutto il necessario e attrezzati a dovere, all’ora prestabilita, usciamo sotto la pioggia battente e ci dirigiamo verso il porto di Dalvík, dove è ormeggiata l’imbarcazione che ci accompagnerà nella nostra avventura: un peschereccio adattato all’uso turistico, senza posti al coperto.

Noi però riusciamo a rintanarci a prua in un angolo abbastanza riparato e, un po’ perplessi, in quelle condizioni, prendiamo il largo sull’Eyjafjörður cominciando subito a beccheggiare fra le onde.

Dopo circa mezzora di navigazione arriviamo di fronte all’isolotto di Hrisey, dove il mare è più calmo e smette anche di piovere, allora la barca comincia a procedere lentamente, mentre gli addetti sono alla ricerca di un segnale della presenza delle balene … Il silenzio pervade l’ambiente in trepidante attesa … poi un grido dà il via al primo emozionante avvistamento … lo sbuffo … il dorso … e poi l’inconfondibile coda … bellissimo! … Ancora silenzio. E poi un altro avvistamento … e un altro ancora … e anche un quarto, molto ravvicinato, con il grande cetaceo che emerge a pochi metri dal fianco della barca!

Dopo aver fatto anche una piccola esperienza con la canna da pesca, compresa la cattura di un grosso merluzzo (sfuggito però all’ultimo istante), affrontiamo il viaggio di rientro. La barca torna a beccheggiare e riprende anche a piovere con insistenza, così arriviamo nel porto di Dalvík bagnati e infreddoliti, ma pienamente soddisfatti dell’esperienza vissuta.

Ci rassettiamo un po’ negli ambienti dell’Artic Sea Tours e poi saliamo in auto per riscaldarci e prendere strada in direzione della città di Akureyri, situata in fondo all’Eyjafjörður, dove arriviamo, senza pioggia, ben oltre mezzogiorno.

Facciamo spesa e dopo consumiamo il nostro classico pranzo, mentre qualche timido raggio di sole fa capolino da uno squarcio di cielo azzurro, quindi riprendiamo l’itinerario.

Seguaimo la Hringvegur verso est, valichiamo un passo sperduto fra le nuvole e poi svoltiamo a destra sulla strada 842 che, piuttosto accidentata, si avventura in direzione dell’interno. Nell’ultimo tratto il tracciato prende il nome di F26 (quindi percorribile solo con mezzi 4×4) e arriva nel parcheggio presso la cascata di Aldeyjarfoss.

A piedi andiamo a vedere questa splendida cascata, originata da un salto di venti metri del fiume Skjálfandafljót in un anfiteatro di colonne di basalto. Il corso d’acqua prosegue poi la sua corsa entro una grande e scenografica ansa. Davvero uno spettacolo, peccato solo per il grigiore ed il freddo pungente, che non ci fanno soffermare troppo sul posto.

Tornati per lo stesso percorso sterrato alla strada numero 1 ci rechiamo a far visita anche alla famosa cascata di Goðafoss (la cascata degli dei), formata dallo stesso impronunciabile fiume di Aldeyjarfoss.

Il salto è solo di 12 metri, ma la sua ampiezza lo rende impetuoso e bellissimo, fra l’altro il luogo è anche indissolubilmente legato alla storia d’Islanda perché si narra che intorno all’anno 1000, quando il suo popolo scelse come religione il cristianesimo, l’allora oratore delle leggi dell’Alþingi (tale Þorgeirr) vi gettò i simulacri degli dei nordici, conferendole in pratica il nome.

Vediamo la cascata da entrambi i lati, passeggiando a lungo alla ricerca delle migliori angolazioni, che forse si assaporano maggiormente dalla sponda occidentale, poi ci avviamo verso il termine della tappa.

Percorriamo a ritroso tutto il tratto di numero 1 che ci riporta nella città di Akureyri, secondo agglomerato urbano del paese con i suoi ben 18.000 abitanti, e una volta transitati nel minuscolo centro, dove spiccano alcuni caratteristici edifici, oltre alla Akureyrarkirkja, chiesa opera dello stesso architetto di quella di Reykjavík, ci approssimiamo alla Bekkugata 33 Guesthouse, che ci ospiterà per la notte.

In questa maniera concludiamo una giornata dal meteo infame, ma dall’esito comunque positivo.

 

Sabato 19 Agosto:

Il cielo è ancora grigio, ma le previsioni dicono che migliorerà.

Partiamo di buon ora da Akureyri e andiamo lungo la strada numero 1 verso est. In questo modo passiamo nuovamente di fronte alla cascata di Goðafoss, ma le condizioni meteo sono molto simili a quelle di ieri e proseguiamo.

A metà mattinata arriviamo così in vista del lago Mývatn, quarto in ordine di grandezza dell’Islanda, attorniato però dai più impressionanti fenomeni vulcanici del paese.

Per prima cosa andiamo a fermarci sulle rive meridionali, nella zona chiamata Skútustaðagigar, dove antichi fenomeni di esplosioni gassose, durante l’ennesimo cataclisma manifestatosi nell’area, hanno dato vita ai cosiddetti pseudocrateri, piccoli coni di scorie vulcaniche attualmente ricoperti da un fitto manto erboso.

Affrontiamo una piacevole passeggiata in riva al lago Mývatn, attorniati da queste bizzarrie geologiche e poi proseguiamo lungo la sua costa meridionale. Così facendo giungiamo nel piccolo promontorio di Höfði, dove un’altra breve scarpinata, attraverso una selva boschiva, ci porta a scoprire alcuni curiosi klasar (pilastri di lava), che punteggiano il litorale emergendo dalle acque del lago.

Ancora una manciata di chilometri e conquistiamo anche il parcheggio presso l’immenso campo lavico di Dimmuborgir, mentre il sole si appresta a vincere la sua battaglia con le nuvole.

Le sorprendenti conformazioni di Dimmuborgir (letteralmente fortezza oscura) si sono formate circa duemila anni fa e alcuni sentieri escursionistici permettono di andare alla loro scoperta. Noi seguiamo il percorso intermedio, lungo 2.300 metri, che ci porta a vedere prima il grande arco di Gatklettur, poi quello stupefacente di Kirkjan, dalle incredibili sembianze di un portale d’ingresso di una chiesa gotica.

A Dimmuborgir pranziamo mentre finalmente si apre sulla nostra testa uno splendido cielo azzurro.

Ora le condizioni sono perfette per salire a piedi sul vicino cratere di Hverfell, la cui sagoma quasi perfetta caratterizza fortemente tutta la zona. È un cratere di nera tefrite, formatosi circa 2.700 anni fa durante un’apocalittica eruzione, con un diametro di 1.040 metri ed una profondità di 140.

La scalata costa un po’ di fatica, ma ne vale assolutamente la pena: da lassù il panorama è straordinario, con le viste che spaziano sull’aspro paesaggio circostante e sul cratere stesso, solo il freddo, davvero pungente, toglie un po’ di piacere a questa grandiosa esperienza.

Scesi dall’Hverfell proseguiamo brevemente lungo la strada costiera del Mývatn e poi imbocchiamo sulla destra lo sterrato che ci porta di fronte all’impressionante fenditura di Grjótagiá. Qui la nuda roccia è stata letteralmente spaccata in due dalle forze della natura e si è creata una frattura i cui bordi risalgono verso l’alto a forma di V capovolta. All’interno del crepaccio si sono poi formate alcune suggestive grotte, piene di fumante acqua termale, nelle quali è però vietato bagnarsi. Il luogo, veramente singolare, è stato anche scelto per girarvi alcune scene della serie televisiva “Il Trono di Spade”.

Da Grjótagiá riguadagniamo la strada numero 1, che esce dal lago Mývatn verso est e proprio in corrispondenza dell’incrocio ci imbattiamo nell’aera geotermale di Bjarnarflag, molto attiva e sfruttata fin dagli anni sessanta per produrre energia geotermica. Il risultato di questa attività è uno scintillante laghetto turchese, sulle cui rive sbuffa una grossa fumarola. Non tutto quindi è opera di madre natura, ma comunque lo scenario è davvero intrigante.

Proseguendo sulla Hringvegur per un breve tratto arriviamo quindi alla più nota area geotermale della regione: quella di Hverir.

I colori di questa solfatara sono strabilianti, immersa in un paesaggio aspro e dall’aspetto marziano, con la sua dominante tonalità di ocra, è disseminata di bianche fumarole, pozze di grigio fango bollente, gialle colate sulfuree e mille altre sfumature, il tutto impreziosito dall’azzurro di un cielo disseminato di nuvole che sembrano tanti batuffoli di cotone.

Dopo aver vagato per un po’ nel caleidoscopio di colori di Hverir riprendiamo strada per seguire le indicazioni che portano, in una manciata di chilometri, alla zona vulcanica di Krafla, una delle più attive di tutta l’Islanda, che conta ben 29 eruzioni, le ultime delle quali fra gli anni settanta ed ottanta del secolo scorso.

Prima di tutto incontriamo le enormi tubazioni di una centrale geotermica, dalla quale scaturisce anche un bianco torrente, poi giungiamo in vista del cratere di Viti (che in lingua islandese significa inferno).

Ci affacciamo sull’orlo di questo cupo cono vulcanico dal diametro di circa trecento metri, mentre le nuvole già riprendono il comando dei cieli. Ciò non c’impedisce di esplorare il cratere, che si è formato durante un’eruzione del 1724 e attualmente contiene un azzurro laghetto, responsabile dell’ennesimo, stupefacente scenario di questa terra plasmata dalle primordiali forze della natura.

La zona assai più primordiale di Krafla però si raggiunge con una passeggiata che c’impegna per un paio d’ore e che ci porta al cratere e alla solfatara di Leirhnjúkur.

Il posto è davvero sbalorditivo: qui la crosta terreste pare sia particolarmente sottile e si cammina fra nere colate laviche, mentre qua e là, dagli orifizi del terreno, fuoriescono bianche esalazioni … Se gli inferi esistono non devono essere molto diversi da questo luogo!

 

Con la camminata attraverso le fumanti lande di Leirhnjúkur terminano in pratica le visite odierne, allora torniamo sui nostri passi fino al lago Mývatn e andiamo nel paese di Reykjahlíð all’Hlíd Hostel, dove ci assegnano il cottage che ci ospiterà per due notti.

Sistemate le nostre cose per cena recuperiamo una pizza, che poi consumiamo nella cucina dell’ostello, e subito dopo andiamo a passare la serata ai Mývatn Nature Baths, una piccola laguna blu, ad imitazione di quella più famosa nella quale siamo stati durante il primo giorno in Islanda. A questa però si accede, in costume, dall’esterno e non è proprio una sensazione piacevole, visto che il termometro segna solo 6 gradi … nell’acqua (a 38 gradi) invece si sta divinamente e vi trascorriamo due rilassanti ore, prima di far ritorno al nostro cottage e concludere questa intensa ma indimenticabile giornata.

 

Domenica 20 Agosto:

Oggi è il giorno della prevista escursione all’Askja, desolatissima ed immensa caldera situata nel cuore dell’Islanda e raggiungibile per mezzo di alcune accidentate piste, inclusi guadi piuttosto impegnativi. Per questo abbiamo deciso di non rischiare e ci siamo affidati ad un tour operator locale.

La sveglia è puntata per le 6:30, visto che un’ora più tardi dobbiamo essere nell’area di servizio di Reykjahlíð al punto di ritrovo, e quando ci alziamo il cielo è grigio, perché è piovuto da poco, ma confidiamo in un miglioramento.

All’ora stabilita siamo all’appuntamento con il nostro mini-bus 4×4 dell’agenzia Fjallasýn e saliamo subito a bordo, poi di lì a poco arrivano altri quattro partecipanti (anche loro italiani) e insieme partiamo verso est sulla strada numero 1. Seguiamo il nastro d’asfalto per una trentina di chilometri, quindi svoltiamo a destra sullo sterrato F88 e lì vediamo il cartello: Askja 102 … sarà lunga!

Ci inoltriamo nella vastissima vallata del fiume Jökulsá á Fjöllum, uno dei più lunghi fiumi d’Islanda, e subito cominciamo ad affrontare accidentati campi di lava, poi arriviamo ad un guado e ad un altro ancora e dopo oltre un’ora di generale sconquasso giungiamo nell’oasi di Herðubreiðarlindir, caratterizzata da muschio, bassa vegetazione ed una sorgente. Lì ci fermiamo un po’ osservando anche l’angusto rifugio di un fuorilegge del XVIII secolo e poi ripartiamo.

Poco più tardi il nostro autista fa sosta presso Gljúfrasmiður, uno stretto e basso canyon entro il quale passa il Jökulsá á Fjöllum subito dopo aver affrontato un fragoroso balzo, il tutto, purtroppo, ancora condito dall’odierno grigiore.

Da quell’eccitante e solitario luogo, dopo un altro lungo tratto di pista, quasi a mezzogiorno, arriviamo al rifugio Dreki, nelle immediate vicinanze della gola di Drekagil, ormai alle porte dell’Askja.

Nei locali del rifugio pranziamo con i nostri panini, poi la guida ci accompagna a visitare la gola di Drekagil, che letteralmente significa “canyon del drago”, causa alcune conformazioni che ricordano questo mitologico animale.

La forra rocciosa si estende solo per alcune centinaia di metri e termina con una bella cascata, alla cui base galleggiano tanti sassi di leggerissima pomice.

Rientrati al rifugio torniamo sul nostro mini-bus per affrontare gli ultimi otto chilometri di pista, fino al parcheggio dell’Askja. Così passiamo attraverso l’enorme colata lavica del 1961 (ultima eruzione in ordine di tempo) e arriviamo al capolinea.

Da lì ci sono da percorrere ancora circa due chilometri e mezzo a piedi per giungere al cratere dell’Askja. È però una passeggiata abbastanza agevole, grazie anche alla temperatura, meno rigida del previsto, e alla stagione ormai avanzata, che ci permette di camminare sulla terra e non sulla neve, come spesso accade.

Alla fine sbuchiamo finalmente sull’enorme cratere, formatosi durante l’eruzione del 1875 ed esteso per ben 11 chilometri quadrati, che attualmente è occupato dalle acque color blu zaffiro del lago Öskjuvatn. Subito a fianco si trova invece il più piccolo e spettacolare cratere di Viti (stesso nome di quello di Krafla), dal diametro di circa 150 metri, che contiene lattiginosa acqua termale a 25 gradi, volendo balneabile … il tutto sarebbe davvero una meraviglia, se solo il cielo fosse azzurro e le nuvole non coprissero i bordi della caldera … peccato!

Cerchiamo comunque di goderci il luogo da ogni angolazione e scendiamo anche sulle rive del lago Öskjuvatn, dove scaturisce una sorgente di acqua calda e dove qualche temerario fa pure il bagno, poi c’incamminiamo sulla via del ritorno e la nostra guida ci fa fare una piccola deviazione, per vedere un altro cratere, senza acqua sul fondo, ma con bellissimi colori.

Ora ci sono da percorrere a ritroso i cento chilometri di pista e tutti d’un fiato sono interminabili, così è un sollievo quando, finalmente, riconquistiamo il nastro d’asfalto.

Arriviamo a Reykjahlíð (con il sole!) poco prima delle 19:00 e subito andiamo nella stessa pizzeria di ieri sera (Daddi’s Pizza). Questa volta consumiamo sul posto e prima di far rientro al nostro cottage vaghiamo un po’ per le strade che si addentrano sul lago Mývatn cercando di cogliere qualche immagine del sole ormai prossimo alla linea dell’orizzonte. In questo modo ci avviamo al termine di una bella giornata, che con le giuste condizioni meteo sarebbe potuta essere memorabile.

 

Lunedì 21 Agosto:

Lasciamo il cottage di Reykjahlíð verso nord lungo la strada numero 87 per passare dal paese di Húsavík, considerato la capitale del whale watching islandese. Però noi abbiamo già fatto questa esperienza e ci accontentiamo di vedere il centro abitato, con la caratteristica Húsavíkurkirkja, chiesa in legno risalente all’inizio del Novecento, oltre ad alcune tipiche costruzioni affacciate sul porto. Tralasciamo il museo della balena, facciamo spesa e rifornimento, quindi proseguiamo con sollecitudine lungo la costa, perché ci aspetta un’altra intensa giornata.

Doppiamo il capo della penisola di Tjörnes e ci approssimiamo ad una vasta zona pianeggiante formata dai detriti alluvionali del fiume Jökulsá á Fjöllum, che qui va a sfociare nel Mar Glaciale Artico. È lo stesso fiume che si segue per andare all’Askja e che ci accompagnerà anche per quasi tutte le visite odierne. Ci stiamo infatti inoltrando nel maestoso canyon del Jökulsárgljúfur e nell’ex parco nazionale che portava lo stesso nome, istituito nel 1973 ed inglobato dal 2008 entro i confini del più vasto Parco Nazionale del Vatnajökull.

Prima di tutto andiamo a vedere lo stranissimo canyon di Ásbyrgi, nel quale un tempo passava il fiume, poi spostatosi più a est. Le pareti perfettamente verticali, alte oltre cento metri, che lo contornano hanno una conformazione a ferro di cavallo e al centro si erge una solitaria, imponente roccia, chiamata Eyjan. La leggenda vuole che il luogo sia stato originato da uno zoccolo di Sleipnir, mitico destriero alato di Odino, e che sia diventato il rifugio degli dei pagani, dopo che i loro simulacri erano stati gettati nella cascata di Goðafoss.

Sul fondo del canyon si trova poi un laghetto, circondato da un raro bosco di betulle, che qui può crescere al riparo dei gelidi venti nordici … Il tutto dà vita ad interessanti scorci, che assaporiamo accompagnati dal sole e da una gradevole temperatura.

Usciti dall’Ásbyrgi imbocchiamo la strada sterrata 862, che corre verso sud parallelamente al grande fiume. La percorriamo per una dozzina di chilometri, fino alla deviazione che porta sulle rive del Jökulsá á Fjöllum, nella zona detta Vesturdalur.

Lì si trova un parcheggio da dove partono alcuni sentieri escursionistici e noi prendiamo a seguire subito quello segnalato come V-4, della lunghezza di circa cinque chilometri, che si dipana lungo il fiume verso nord.

Nella prima parte del percorso passeggiamo fra le impressionanti rocce di Hljóðaklettar, generate da una portentosa eruzione e plasmate dalle terrificanti inondazione del Jökulsá á Fjöllum. Qui, nel caos di conformazioni, risaltano alcune contorte strutture formate da colonne basaltiche, oltre all’incredibile Kirkjan, una caverna dal tetto spiovente che ha l’aspetto di una gigantesca chiesa.

Successivamente il sentiero sale agli strabilianti coni di rosse scorie vulcaniche di Rauðhólar, da dove il colpo d’occhio sull’intera zona è superlativo … poi torniamo al parcheggio lungo un cammino più agevole, che passa distante dal fiume, completando una passeggiata a tratti entusiasmante.

Pranziamo in una piccola area attrezzata e subito dopo affrontiamo anche il sentiero V-5, che permette di ammirare stupendi panorami sul canyon dove scorre il Jökulsá á Fjöllum e arriva di fronte a due enormi pilastri rocciosi chiamati Karl og Kerling (uomo e donna), che si ergono in un’ansa del fiume, poi torniamo al punto di partenza.

Lasciamo euforici la zona di Vesturdalur e riprendiamo il viaggio verso sud lungo la strada 862, fino ad arrivare al punto in cui questa diventa asfaltata e dove si trova il vasto parcheggio presso la famosa cascata di Dettifoss.

Una breve scarpinata porta a vedere il più impressionante salto d’acqua d’Europa per portata media (circa 200 metri cubi al secondo). Questo enorme volume di liquido spumeggiante si getta da un’altezza di 44 metri, con un fronte di cento, nel canyon dello Jökulsárgljúfur ed è una vera e propria meraviglia della natura, che cerchiamo di immortalare (per quanto possibile) da ogni angolazione.

Rimaniamo a lungo ad ascoltare il formidabile rombo delle acque e ad osservare le nuvole di vapore, che trafitte dai raggi del sole generano splendidi arcobaleni, poi c’incamminiamo lungo il corso del fiume verso sud e arriviamo anche alla vicina cascata di Selfoss, più piccola per dimensioni del salto (solo una decina di metri), ma comunque spettacolare per la sua conformazione a ferro di cavallo.

Riguadagnata l’auto continuiamo lungo la strada 862 fino ad arrivare all’incrocio con la numero 1. Lì giriamo a sinistra, passiamo davanti alla deviazione per l’Askja, scavalchiamo il Jökulsá á Fjöllum e giriamo di nuovo a sinistra sullo sterrato 864, che fiancheggia la sponda opposta del Jökulsárgljúfur.

Percorriamo questo tracciato per una trentina di chilometri, fino alla deviazione che porta alla cascata si Hafragilsfoss, che si trova a valle di quella di Dettifoss. La osserviamo dall’alto, con lo spettacolo di tutto il canyon ai nostri piedi … un’altra sublime vista di questa indelebile giornata.

Completamente presi dagli eventi non ci eravamo però accorti che si sta facendo tardi. Allora torniamo sui nostri passi sulla 864 e comunque facciamo ancora una piccola deviazione, verso la cascata di Dettifoss su questo lato, ma s’intravvede solo in lontananza e non abbiamo tempo per un’altra passeggiata … niente di male, infondo l’abbiamo già vista molto bene. E da qui partiamo spediti verso il termine della tappa, con ancora più di cento chilometri da percorrere.

Riguadagnata la Hringvegur andiamo per un buon tratto verso est, accompagnati da intriganti panorami, poi deviamo sulla strada numero 85 seguendo le indicazioni per Vopnafjörður e la regione dei fiordi orientali.

Poco prima delle 20:00 arriviamo così nei pressi di questo sperduto paese e prendiamo alloggio all’Ásbrandsstadir Cottage, con di fronte a noi alcune montagne innevate, altro piccolo ma non trascurabile particolare di un viaggio ricco di splendide emozioni.

 

Martedì 22 Agosto:

Ci sveglia la luce del sole che penetra dalle finestre, nella quiete di Vopnafjörður.

Facciamo colazione e poi lasciamo il nostro cottage seguendo la strada che va ad est lungo la costa, una strada che ben presto si fa sterrata.

Dopo alcuni chilometri facciamo la prima sosta della giornata per ammirare la bella cascata di Gljúfursárfoss, che si getta da 45 metri di altezza in una piccola gola situata a brevissima distanza dalle rive dell’oceano. Peccato però che sia completamente nell’ombra e contro sole.

Poco più avanti vediamo poi la curiosa roccia chiamata The Elephant, che si erge appena al largo della costa e che ricorda proprio, nelle sembianze, un enorme pachiderma.

Da lì la strada 917 comincia a salire vertiginosamente e scavalca uno spettacolare passo montano ad oltre 600 metri di altezza, fra grandiosi panorami, per poi scendere a picco in direzione della piana formata dal delta dei fiumi glaciali di Héraðssandur e continuare la sua corsa verso l’interno, fino a incontrare nuovamente la numero 1.

In breve arriviamo così nell’abitato di Egilsstaðdir, dove facciamo spesa, e subito dopo ci avviamo lungo la riva settentrionale del lago Lagarfljót, che si estende per 38 chilometri ed ha la fama di ospitare, come il più noto lago scozzese di Loch Ness, un terribile mostro chiamato Lagarfljótsormur, avvistato fin dal XIV secolo e per l’ultima volta, pare, nel 2012, quando è stato anche filmato!

Percorriamo il lago in tutta la sua lunghezza, senza vedere purtroppo il mostro, e arriviamo al parcheggio da dove parte il sentiero che porta alla cascata di Hengifoss, la terza più alta d’Islanda con i suoi 118 metri.

Ci avviamo, coadiuvati da splendide condizioni meteo, lungo il percorso, che nella sua prima parte è in forte pendenza, almeno fino ad incontrare una prima cascata, quella di Litlanesfoss, uno splendido salto di 35 metri fra imponenti colonne di basalto … Bello! Talmente bello che varrebbe da sola la fatica, ma il nostro obiettivo è Hengifoss, che si vede già in lontananza.

Da lì in avanti le vedute sulla verde vallata, con la cascata che si getta in un anfiteatro di rocce striate di rosso, sempre più vicina, sono meravigliose e ad ogni passo verrebbe voglia di fermarsi per immortalarle.

Arriviamo così fin dove termina il sentiero, che si perde nell’alveo del fiume, e restiamo per un po’ in contemplazione dinnanzi all’ennesimo spettacolo della natura, poi torniamo estasiati sui nostri passi fino al parcheggio, dove consumiamo il solito pranzo al sacco.

Alla ripartenza costeggiamo tutto il Lagarfljót anche nella sua costa meridionale (senza vedere il mostro) e riconquistato il paese di Egilsstaðir imbocchiamo la strada che va verso i fiordi orientali.

Siamo diretti verso il Seyðisfjörður, dove attracca tutte le settimane il traghetto proveniente dalla Danimarca.

Scaliamo un passo montano e osserviamo lo spettacolo del fiordo dall’alto, poi scendiamo a valle, passiamo accanto alla piccola cascata di Gufufoss e arriviamo nel paese di Seyðisfjörður, a detta della guida uno dei più caratteristici di tutta l’Islanda … Infatti nelle strade tutto intorno alla pittoresca Bláa Kirkjan (la chiesa blu) sono disseminate alcune tipiche abitazioni in legno del XIX secolo, che creano quadretti davvero interessanti.

Dopo percorriamo lo sterrato che costeggia la riva meridionale del fiordo, fin quasi dove questo termina, godendo di belle viste, quindi non ci resta che lasciare il Seyðisfjörður lungo lo stesso tragitto fin qui seguito e tornare a Egilsstaðir.

Pochi chilometri prima dell’abitato ci fermiamo però ad un parcheggio dal quale parte il sentiero per la cascata di Fardagafoss … Eravamo molto indecisi sul fatto di fare o meno questa passeggiata della durata di circa un’ora, e alla fine l’abbiamo fatta, ricavandone anche una buona dose di soddisfazione.

Lungo il tragitto prima incontriamo un’altra piccola cascata, poi, fiancheggiando le rapide del fiume Miðhúsaá giungiamo al cospetto di Fadargafoss, che si getta fra spettacolari rocce, ma soprattutto, grazie ad un sentiero piuttosto irto, possiamo raggiungere anche una grotta che si sviluppa sul retro della cascata … davvero una bella esperienza!

Tornati all’auto e subito dopo a Egilsstaðir imbocchiamo la strada numero 92 che va a sud, per poi girare a sinistra lungo il percorso sterrato 953 che porta a Mjóifjörður (fiordo stretto). È una strada piuttosto impervia e spettacolare, che si percorre però senza problemi, così, valicato l’ennesimo passo montano, scendiamo in direzione del solitario fiordo nel quale pernotteremo passando accanto alla curiosa cascata di Klifbrekkufossar, fatta tutta a gradoni, che però è nell’ombra e forse riusciremo a fotografare meglio domani mattina.

Appena giunti sulle rive del fiordo cominciamo a percorrerne la sponda settentrionale e quasi subito incontriamo il relitto di un mezzo da sbarco americano (probabilmente trasformato in peschereccio). Ormai divorato dalla ruggine fa ancora bella mostra di sé sullo sfondo di un magnifico paesaggio, con le montagne, nella parte opposta dell’insenatura, ancora in parte ammantate di neve.

Arriviamo così a Sólbrekka, in uno dei più piccoli villaggi d’Islanda: un pugno di case, fra le quali il nostro cottage, uno dei due della Sólbrekka Holiday Homes, con stupenda vista sul fiordo!

Ne prendiamo possesso, ma non ci fermiamo e proseguiamo ancora sull’unica strada del Mjóifjörður, fin quasi allo sperduto faro di Datalangi e fin quando il tempo, tiranno, non ci consiglia di tornare indietro al cottage.

Più tardi, col sopraggiungere della notte e con il cielo sgombro da nubi, possiamo anche assaporare una leggera aurora boreale, che la App ci dà più chiara e definita poco più a sud, nelle isole Fær Øer … peccato! … Sarebbe stato l’epilogo perfetto di una splendida giornata.

 

Mercoledì 23 Agosto:

Ci svegliamo con molto gaudio nella pace ancestrale di Mjóifjörður, anche se, questa mattina, le nuvole ricoprono le vette delle montagne tutto intorno.

Percorriamo a ritroso tutta la strada 953 e passiamo per l’ennesima volta da Egilsstaðir, dove facciamo sosta per una veloce spesa, poi andiamo spediti verso sud sulla Hringvegur, fino all’incrocio sulla destra per la strada 939 … È un impervio sterrato che ci farà risparmiare circa sessanta chilometri e che ci dovrebbe offrire qualche bello scorcio panoramico … peccato però che sia completamente avvolto dalle nubi e i previsti panorami restino nascosti oltre l’impenetrabile cortina di vapore acqueo.

Scesi sotto la coltre di nuvole ci fermiamo a dare un’occhiata alla cascata di Folaldafoss, un salto di una ventina di metri del fiume Berufjarðara, e più avanti, tornati sulla numero 1, anche la cascata di Sveinsstekksfoss … entrambe carine, ma sicuramente di seconda fascia.

La principale strada d’Islanda corre ora sulle rive dell’oceano e passerebbe in un tratto di costa moto bello (la costa di Lækjavík), con alte montagne di contorno e anche un bel faraglione, ma le nuvole e il grigiore non gli rendono giustizia.

Proseguiamo allora fino alla deviazione per l’intrigante spiaggia di Stokksnes. Anche qui il meteo fa un po’ le bizze e non riusciamo a goderci appieno il luogo, con le sue ardite vette alle spalle di uno spiaggione nero come la pece … peccato! … Così ci consoliamo un po’ vedendo, nella baia, la ricostruzione di un antico villaggio vichingo, che fra l’altro sta andando in malora. Era stato allestito come set cinematografico nel 2010 per un film che, causa problemi finanziari, non è stato mai girato … Pare però che l’idea venga presto ripresa, forse già il prossimo anno.

Tornando a macinar chilometri giungiamo nel paese di Höfn, dove torneremo per la notte. Per ora però ci fermiamo a pranzare in un’area di servizio, facciamo rifornimento e ripartiamo sulla numero 1 verso sud-ovest, mentre alla nostra destra si comincia ad intravvedere, fra le nuvole, l’immenso ghiacciaio del Vatnajökull.

Divoriamo il nastro d’asfalto con le propaggini del ghiacciaio sempre più vicine a noi. Passiamo nei pressi della famosa laguna glaciale di Jökulsárlón, che per il momento ignoriamo, e proseguiamo per altri dieci chilometri fino a giungere ad un’altra laguna glaciale, quella di Fjallsárlón, e lì ci fermiamo.

A piedi andiamo a vedere questo specchio d’acqua giallastra, disseminato di piccoli iceberg provenienti dal fronte del grande ghiacciaio, che s’intravvede sulla sponda opposta alla nostra … Tutto molto bello, ma solo il preludio alle meraviglie della laguna di Jökulsárlón, che ritroviamo più tardi tornando sui nostri passi.

Prima ci fermiamo a vederla dalla sua riva meridionale: qui l’acqua è blu e gli iceberg che vi galleggiano sono molto più grandi. Dopo risaliamo in auto e andiamo nel punto in cui la laguna si collega al mare, tramite la Jökulsá, il fiume più corto d’Islanda, scavalcato dal ponte della Hringvegur. Qui, sulla spiaggia, si trovano una miriade di blocchi di ghiaccio, in magnifico contrasto con la sabbia nera, che danno vita ad uno stranissimo paesaggio, nel quale vaghiamo a lungo, alla ricerca degli scorci più originali. Infine accediamo alla laguna nel suo punto più spettacolare, dove enormi iceberg, a volte di un azzurro incredibile, si ammassano verso l’uscita in mare in uno scenario quasi surreale … e proprio mentre lo rimiriamo, completamente presi dalla cosa, appare anche un branco di foche che dà un piccolo spettacolo, quasi fosse tutto organizzato a priori …Non c’è che dire: Jökulsárlón è stata un’esperienza fantastica, di quelle che non si dimenticano, e se solo ci fosse stato il sole sarebbe stata sublime, ma non disperiamo, perché passeremo da qui anche domani.

Ormai è tardo pomeriggio e ci avviamo verso il termine della tappa, non prima però di esserci concessi qualche altro brivido. Sulla via del ritorno a Höfn infatti imbocchiamo la strada F985, per soli mezzi 4×4, che in 16 impervi chilometri sale fino alle propaggini del Vatnajökull, una delle calotte glaciali più grandi del mondo, con un’estensione di circa 8.100 chilometri quadrati (più o meno come l’Umbria intera) ed uno spessore che raggiunge quasi i mille metri!

Le pendenze di questa strada sono importanti, ma il suo fondo sterrato è in ottime condizioni, così senza particolari patemi raggiungiamo la vetta, che però è avvolta dalle nubi e non si vede proprio niente … che disdetta! Il piccolo Leo gioca per un po’ in una chiazza di neve e poi, proprio mentre stiamo per andar via, le nuvole si diradano temporaneamente lasciandoci intravvedere il ghiacciaio, non una vista eccelsa, ma meglio di niente.

Scendiamo con calma dalle montagne e andiamo verso Höfn, dove arriviamo poco dopo le 20:00. Troviamo la Sauðanes Guesthouse e subito dopo andiamo a cena in una pizzeria del centro, concludendo una giornata bellissima, ma non troppo fortunata … certo, siamo in Islanda e a volte bisogna dir grazie se non piove, ma, come si suol dire, l’appetito vien mangiando … e allora poteva andare anche meglio.

 

Giovedì 24 Agosto:

Il meteo è ancora cupo quando ci svegliamo nella Sauðanes Guesthouse di Höfn. Facciamo spesa e poi partiamo lungo al numero 1 verso sud-ovest, affrontando il tratto già percorso ieri, fino alla laguna di Jökulsárlón.

Mentre siamo per strada e facciamo sosta a fotografare cavalli il cielo però si apre lasciando filtrare qualche raggio di sole e col passare del tempo gli sprazzi di sereno sono sempre più numerosi, così quando siamo alla laguna di Jökulsárlón possiamo fermarci ad immortalarla inondata dalla splendida luce della nostra stella … È davvero uno spettacolo! … In più c’è la bassa marea, che favorisce l’uscita degli iceberg in mare e nella spiaggia nera ci sono tantissimi blocchi di ghiaccio, anche di grandi dimensioni, fra i quali ci soffermiamo a lungo.

In questo modo dedichiamo un’altra ora abbondante alla laguna e ringraziamo la buona sorte che ci ha permesso di vederla in tali condizioni, poi riprendiamo il viaggio per concentrarci sulle visite di giornata.

Cinquanta chilometri dopo Jökulsárlón deviamo sulla destra lungo la strada sterrata che porta nei pressi della laguna glaciale di Svinafelljökull, alla quale si arriva con una breve passeggiata. Ci si avvicina parecchio e al suo cospetto la grande massa di ghiaccio fa davvero impressione, incute quasi timore.

Subito dopo ci spostiamo al vicino e grande parcheggio dal quale parte il sentiero che porta alla celebre cascata di Svartifoss, mentre è uscita fuori una giornata coi fiocchi, caratterizzata da un bellissimo cielo limpido.

Ci sono da percorrere a piedi quasi due chilometri in salita, ma ne vale assolutamente la pena … Prima si incontra un’altra cascata (Hundafoss), poi in lontananza s’intravvede Svartifoss, che a primo acchito può anche deludere perché appare quasi come un insignificante rivolo d’acqua.

Ma non è tanto per la portata o per l’altezza del salto (20 metri) che la cascata va famosa, quanto per la sua straordinaria ambientazione, infatti si getta in un anfiteatro quasi perfetto, interamente formato da nere colonne di basalto in posizione verticale. Così quando giungiamo dinanzi a Svartifoss ne restiamo ammaliati e ci attardiamo ad osservare quell’ineccepibile quadretto fatto di elementi primordiali sapientemente modellati da madre natura!

Tornati dalla passeggiata ci fermiamo a pranzare in alcuni tavoli all’aperto, sovrastati dalla bianca sagoma del Hvannadalshnjúkur, la più alta vetta islandese con i suoi 2.109 metri, oggi visibile grazie alla splendide condizioni atmosferiche, quindi riprendiamo a percorrere la strada numero 1 verso occidente.

Dopo svariati chilometri attraverso il desolante Skeiðarársandur, una vasta regione piatta e desertica formata dai detriti dei fiumi e dalle devastanti alluvioni dovute alle eruzioni dei vulcani posti sotto la calotta glaciale, giungiamo prima in vista e poi alle pendici dell’imponente sperone roccioso di Lómagnúpur, che svetta, con i suoi quasi settecento metri e la sua forma tozza, sull’intero paesaggio circostante.

Scattate le dovute foto proseguiamo e dopo un altro breve tratto di strada passiamo di fronte al Fosshotel Núpar, al quale dovremo tornare per la notte.

Ancora una decina di chilometri e arriviamo al parcheggio presso il sito di Dverghamrar, dove dal terreno emerge una splendida serie di colonne esagonali di basalto, un luogo magico, che la tradizione ritiene essere dimora di elfi e folletti.

Vaghiamo per un po’ fra le conformazioni, che a tratti offrono suggestivi scorci, arricchiti in lontananza dalla bella cascata di Foss á Siðu, che si getta da un alto costone roccioso … Cascata che poi andiamo a vedere da più vicino, per assaporarne l’ambientazione fatta di nere rocce basaltiche e verdissimi prati.

Successivamente continuiamo sulla numero 1 conquistando anche il paese di Kirkjubæjarklaustur, dal nome impronunciabile (per gli amici solo Klaustur) e alla sua periferia ci rechiamo a vedere l’interessante cascata di Stjórnarfoss (purtroppo un po’ carente d’acqua), poi nelle immediate vicinanze le curiose formazioni rocciose di Kirkjugólf. Qui alcune tozze colonne di basalto emergono di pochi centimetri dal suolo e, disposte a nido d’ape, lisciate e cementate dalla vegetazione, in passato hanno anche fatto pensare che fossero l’antica pavimentazione di una chiesa (questo è il significato del nome), anziché un’opera della natura.

Nel centro di Klaustur passiamo a dare un’occhiata pure alla cascata di Systrafoss, deludente perché quasi a secco, e proseguendo lungo uno sterrato che esce ad ovest del villaggio ad assaporare, con una breve passeggiata, gli intriganti panorami di Systrastapi, una verdeggiante ansa del fiume Skaftá, caratterizzata dalla presenza di un enorme monolite che rende il luogo particolarmente scenografico.

Ormai è tardo pomeriggio e nei programmi resta ancora un meta da esplorare, allora percorriamo i pochi chilometri che ci dividono da essa e in breve guadagniamo il parcheggio presso la suggestiva gola di Fjarðrárgljúfur. A piedi seguiamo poi il sentiero che si dipana alla sommità del canyon scavato dal fiume Fjarðrá, a tratti entusiasmante per i suoi vertiginosi scorci, non a caso è stato scelto anche per girarvi alcune scene del video musicale “I’ll show you” di Justin Bieber, rinomata star internazionale. Peccato solo che l’ora un po’ tarda rileghi il tutto già nell’ombra.

Subito dopo, stanchi ma contenti per l’esito della fantastica giornata, facciamo ritorno al Fosshotel Núpar, dove prendiamo possesso della nostra camera, poi, non avendo alternative, ceniamo nel ristorante (piuttosto caro) della struttura, quindi ci dedichiamo al meritato riposo.

 

Venerdì 25 Agosto:

Ci alziamo al Fosshotel Núpar con il cielo grigio ed il viaggio che volge ormai inesorabilmente al termine, ma almeno non piove.

Riprendiamo il nostro itinerario verso ovest percorrendo la stessa strada di ieri fin nei pressi della gola di Fjarðrárgljúfur e da lì imbocchiamo la pista F206, per fare un’esperienza off-road autogestita, non fino ai crateri di Laki (distanti circa 50 chilometri) ma più o meno a metà percorso, dove si trova un’interessante cascata.

Lo sterrato comunque, seppur accidentato, si percorre senza problemi e oltrepassiamo agevolmente anche i due guadi presenti, soprattutto il secondo, del quale avevo qualche timore. Così possiamo assaporare dall’alto la vista sulla bella cascata di Fagrifoss … bella di nome e di fatto, visto che Fagrifoss significa, appunto, bella cascata: uno splendido salto di circa ottanta metri di uno dei mille corsi d’acqua provenienti dal ghiacciaio del Vatnajökull.

Dopo percorriamo a ritroso tutta la F206, compresi i due guadi, e riguadagniamo l’asfalto della Hringvegur, che s’immette subito nella vasta area di origine vulcanica di Eldhraun, enorme campo di lava frutto di una delle più impressionanti eruzioni della storia documentata, risalente al 1783, oggi completamente ricoperto di muschi e licheni. Un paesaggio a tratti surreale, che si estende per ben dieci chilometri.

Oltrepassato Eldhraun arriviamo nella località di Vík, famosa per la sua spiaggia nera e le antistanti falesie.

Superiamo il paese e seguiamo la strada che ci porta alla vasta spiaggia di Reynisfjara, dominata da un poderoso promontorio roccioso interamente composto da colonne di basalto e in cima alla scogliera riusciamo finalmente a vedere anche le simpatiche pulcinella di mare, che però risultano un tantino lontane, ma soprattutto inavvicinabili.

Facciamo una passeggiata lungo la spiaggia fino al suo limite orientale, dove si trovano alcuni faraglioni, che però non risaltano a dovere, essendo loro neri sullo sfondo grigio delle nuvole, mentre verso l’opposto punto cardinale si intravvede il grandioso arco di roccia di Dyrhólaey, dove andremo più tardi.

Lasciamo Reynisfjara e ci fermiamo a pranzare in alcuni tavoli lungo la strada, ma facciamo in fretta perché soffia un gelido vento da est. Così ben presto ci ritroviamo sulla via del promontorio di Dyrhólaey, accompagnati anche da una leggera pioggerellina.

Andiamo prima di tutto nella sua punta più orientale, rivolta verso la spiaggia di Reynisfjara, e lì, con grande gioia, mentre esploriamo le scogliere, ci imbattiamo in una colonia di pulcinelle di mare, che possiamo osservare da distanza molto ravvicinata, saggiandone il comportamento e le particolari caratteristiche estetiche, col dorso nero, il ventre e le guance bianche, ma soprattutto il grande becco, che nella forma ricorda quello del pappagallo, a tinte multicolore che vanno dall’arancione, al blu e al giallo.

Estremamente soddisfatti per l’esperienza vissuta ci spostiamo poi in auto nella parte più occidentale del promontorio, dove le falesie sono altissime e sovrastate da un grande faro, quindi, a piedi, raggiungiamo il punto dal quale si può ammirare l’eccezionale arco che ha reso famoso il luogo.

Riordinate le idee e le emozioni accumulate in questo straordinario tratto di costa ripartiamo, però con una certa sollecitudine, perché ci sono ancora tante cose da vedere in questa intensa giornata.

Dopo una manciata di chilometri tralasciamo così la lunga scarpinata (otto chilometri andata e ritorno) che porta al fotogenico relitto di un aereo DC3, precipitato nel 1973 sulla nera e solitaria spiaggia di Sólheimsandur, e affrontiamo invece la comoda deviazione sulla destra che arriva al ghiacciaio di Sólheimajökull.

Questa lingua glaciale non è paragonabile a quelle viste nei giorni scorsi, ma ci ha particolarmente intrigato, perché è facilmente accessibile e ci ha permesso di fare, in tutta sicurezza, qualche passo al suo interno, assaporando l’emozione di camminare fra i primi crepacci.

Ripresa strada in breve giungiamo nella località di Skógar e qui andiamo a parcheggiare l’auto proprio di fronte allo Skógar Folk Museum, che però non è il nostro obiettivo (fra l’altro le tipiche casupole islandesi lì ricostruite sono chiaramente visibili, anche se solo esternamente, senza dover pagare il biglietto d’ingresso).

A piedi ci avviamo invece verso una valletta situata quasi alle spalle del museo … un luogo sul quale non troviamo indicazioni lungo il percorso e del quale non c’è traccia sulla nostra guida, solo in rete avevo trovato qualche cenno. Così rimaniamo sbalorditi, perché ci ritroviamo in un ambiente idilliaco, con la verde vallata che termina in un anfiteatro roccioso, dove si getta la fragorosa cascata di Kvernufoss, un meraviglioso salto di trenta metri che si può osservare, in maniera molto suggestiva, anche da dietro, cogliendo angolazioni quantomeno originali.

Estremamente compiaciuti torniamo al parcheggio del museo e in auto ci spostiamo di non più di un chilometro alla più celebre cascata di Skógafoss, mentre comincia a piovere, tanto che per andare fino ai suoi piedi dobbiamo indossare le mantelle. In più l’imponente salto, largo 25 metri e alto 62, crea una fitta nube di vapore acqueo e bagna di per sé stesso, quindi, per non uscirne completamente fradici, ne vien fuori quasi una visita lampo.

Riconquistato l’asciutto abitacolo della nostra auto riprendiamo strada perché per oggi non è ancora finita. Da Skógar, sulla numero 1, percorriamo infatti una trentina di chilometri verso occidente (durante i quali per fortuna spiove) e arriviamo proprio di fronte ad un’altra meraviglia d’acqua: la cascata di Seljalandsfoss.

Da un costone roccioso alto sessanta metri scende un potente getto d’acqua, che anche in questo caso si può osservare da dietro. Lo si fa seguendo un sentiero piuttosto accidentato, lungo il quale un po’ ci si bagna, ma ne vale decisamente la pena perché lo spettacolo è unico e in quei momenti ci si sente quasi parte dell’evento naturale!

A poche centinaia di metri di distanza, nello stesso dirupo, si trova poi la cascata di Glijúfurárbui, che ha una particolarità davvero incredibile, perché giunti quasi al suo cospetto si sente, ma non si vede. Infatti si getta all’interno di una strettissima forra rocciosa e per raggiungerla dobbiamo anche camminare in bilico su alcuni sassi che affiorano dal fiume … così dopo questa piccola avventura possiamo finalmente ammirare la fragorosa massa d’acqua che precipita dentro ad una grotta … un contesto a dir poco sbalorditivo!

Usciti un po’ bagnati anche da questa bizzarra situazione, con una breve scalata, osserviamo Glijúfurárbui anche dall’alto e in questo modo completiamo le visite in programma per la giornata, che a tratti sono state entusiasmanti, nonostante il meteo non troppo favorevole.

Saliamo in auto e ci avviamo verso il nostro ultimo pernotto islandese, così intorno alle 20:00 arriviamo nel paese di Hella per prendere alloggio in un cottage del Cafe Árhús Hella.

Ceniamo con una pizza nel ristorante della struttura e poi ci ritiriamo nella nostra casupola di legno a sistemare un po’ le valige, in vista della partenza verso casa di domani sera.

 

Sabato 26 Agosto:

Siamo all’epilogo di questo straordinario viaggio, ma lasceremo l’Islanda solo in serata, così anche per oggi saremo impegnati in una serie di visite ed esperienze … non coadiuvati però dal bel tempo, infatti il cielo risulta completamente coperto e non promette nulla di buono.

Partiamo lungo la numero 1 verso ovest, ma ben presto svoltiamo in direzione dell’interno imboccando la strada 26, che poi percorriamo per circa ottanta chilometri, mentre comincia anche, inesorabilmente, a piovigginare.

Non ci perdiamo d’animo e prendiamo a seguire la pista F208, che dovrebbe portarci alla grande area geotermale di Lanmannalaugar e fin dalle prime curve il panorama si fa decisamente interessante, caratterizzato da lande desolate e picchi di origine vulcanica, un contesto suggestivo, che non osiamo pensare come sarebbe strato con la presenza del sole!

Dopo una ventina di chilometri giriamo a sinistra per una breve deviazione che ci porta fin sulle sponde del Hnausapollur: scenografico lago ubicato all’interno di un antico cratere (chiamato anche Bláhylur per il colore blu turchese delle acque). Le sue scoscese rive, formate da detriti vulcanici ricoperti di verde muschio, creano eccezionali contrasti di colore, che riusciamo ad apprezzare nonostante la pioggia ed il forte vento.

In seguito facciamo un’altra deviazione, questa volta un po’ più lunga ed impegnativa, per raggiungere un altro splendido lago vulcanico: il Ljótipollur, talmente bello, con la sua azzurra acqua e le sponde rosse derivanti dai depositi di minerali ferrosi, che il suo nome (per ironia della sorte) significa invece pozza brutta!

Ci fermiamo giusto il tempo per qualche foto e poi torniamo a percorrere la F208, che poco più avanti costeggia il lago Frostastaðavatn, con begli scorci che spaziano anche sul piccolo cono vulcanico dello Stutur, dove saremmo anche voluti salire a piedi, ma le condizioni meteo ce lo sconsigliano.

Poco più tardi svoltiamo sulla pista F224 che dopo due chilometri arriva al guado di Landmannalaugar, un guado che si può attraversare su di un ponte pedonale, ma che avremmo potuto affrontare anche con la nostra auto se solo ne fosse valsa la pena … Da lì, infatti, saremmo dovuti partire per una passeggiata di due ore alla scoperta dell’area geotermale e dei paesaggi vulcanici multicolore di Brennisteinsalda, ma la pioggia battente oggi è davvero troppo fitta, così abbiamo dovuto abbandonare l’idea.

Mestamente cominciamo quindi a percorrere a ritroso tutta la sterrata fatta sin qua … peccato! … Anche se lo sforzo ci ha offerto comunque grandi emozioni.

Riconquistato l’asfalto della strada 26 ci fermiamo a pranzare, rigorosamente in auto causa il maltempo, poi ripartiamo e proviamo ad affrontare un’altra pista, la F332, che in sei accidentati chilometri porta al parcheggio nei pressi della cascata di Háifoss, la seconda più alta d’Islanda, con i suoi 122 metri.

Ci fermiamo per qualche tempo nel parcheggio in attesa che rallenti la pioggia e dopo un po’ lo fa, così partiamo lungo il breve sentiero che porta a vedere la cascata dall’alto … È un panorama grandioso quello che si dipana ai nostri piedi, con il rumore assordante dell’acqua che cade sul fondo del canyon, acqua che però torna a cadere copiosa anche dal cielo e per far ritorno all’auto ci prendiamo una bella bagnata …

Scendiamo dalla F332 e quando arriviamo all’asfalto smette di piovere, tanto che mi vien quasi voglia di tornare su alla cascata, ma desisto.

Andiamo così poco più avanti lungo la strada 32 fino ad imboccare un’altra pista (la 327), che porta alla vallata di Gjáin, con il sole che addirittura fa capolino fra le nuvole.

Gjáin è una piccola conca paradisiaca, immersa nel verde, con acqua che scende da tutte le parti e lì, finalmente, possiamo fare una gradevole passeggiata, poi riprendiamo l’itinerario … un itinerario che però è ormai all’epilogo, infatti rimane solo un luogo da vedere e dista non più di dieci chilometri.

L’ultima cosa che visitiamo in Islanda è la cascata di Hjálparfoss: niente di entusiasmante dopo tutte quelle viste durante il viaggio, ma comunque carina, con la sua ramificazione in due salti divisi da una conformazione di basalto.

Subito dopo comincia l’ultimo tratto di strada in direzione di Reykjavík prima e dell’aeroporto di Keflavík poi … e lungo il tragitto piove sempre a dirotto, ma ormai conta più poco.

Giunti a destinazione andiamo nel paese di Keflavík a trovare un locale nel quale cenare, quindi ci avviamo verso l’autonoleggio Mycar a consegnare l’auto. Lasciamo così la nostra fedelissima Rav 4, con la quale in Islanda abbiamo percorso la bellezza di 4.648 chilometri e con un taxi ci facciamo accompagnare in aeroporto.

Imbarchiamo tutti i bagagli direttamente per Bologna, oltrepassiamo i controlli di sicurezza e ci mettiamo in attesa di fronte al gate A14 … e lì si conclude la peggior giornata, causa meteo, della vacanza, perché ci imbarcheremo quando sarà già …

 

… Domenica 27 Agosto:

Mettiamo piede sul volo Air Berlin AB 3929 qualche tempo dopo l’orario previsto e con lo stesso ritardo, all’1:07, l’Airbus A320 stacca da terra diretto a Düsseldorf.

Posiziono le lancette dell’orologio avanti di due ore sul fuso tedesco, ma anche italiano, e poi provo a chiudere un poco gli occhi per riposare … ma non troppo, infatti ben presto sento l’aereo che comincia a scendere verso la città germanica, dove atterra alle 6:02 locali.

Adesso ci saranno oltre tre ore prima della prossima tratta che ci riporterà in Italia, così restiamo in attesa per tutto il tempo al gate 42, poi finalmente saliamo sul velivolo Dash8-Q400 dell’Air Berlin che, identificato come volo AB 8682, alle 10:00 in punto prende quota, virando subito verso sud.

Fila via tutto liscio. Scavalchiamo l’arco alpino e poi scendiamo in direzione della Pianura Padana. Così atterriamo nell’aeroporto Marconi di Bologna alle 11:37, mentre fuori ci sono ben oltre trenta gradi … uno sbalzo termico non indifferente considerando che solo ieri eravamo prossimi allo zero!

Recuperiamo le valigie, quindi l’auto al parcheggio P4 e già poco dopo le 12:30 siamo sulla via di casa. Usciamo dall’autostrada alle 13:00 a Faenza ed esattamente sedici minuti più tardi concludiamo felicemente … molto felicemente il viaggio di fronte alla nostra dolce dimora.

È stato un viaggio straordinario, uno dei più belli di sempre, nel quale madre natura l’ha fatta da padrona, manifestandosi in numerosi aspetti: dalle coste selvagge alle incredibili cascate, dall’emozionante incontro con le balene e la ricca avifauna ai fenomeni climatici estremi delle zone polari e l’intensa attività vulcanica, perché questa magica terra si può dire che abbia un’anima di ghiaccio e un cuore di fuoco … una peculiarità più unica che rara, che mai dimenticheremo!

□ Dal 12 al 27 Agosto 2017

□ Da Keflavík a Keflavík km. 4.648

Un’altra Grecia: mare in Calcidica, panorami mozzafiato in Tessaglia e siti archeologici nell’entroterra macedone

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Al terzo tentativo in tre anni ce l’ho fatta: a Bergamo ci attende il volo Ryanair per Salonicco prenotato da tempo, pieno e in ritardo di circa una mezz’ora per un brutto temporale (poi recuperato in volo). Passeremo le due settimane centrali di agosto in giro per la Grecia Settentrionale, nelle regioni della Macedonia e della Tessaglia.

Guide turistiche e siti internet

Per l’organizzazione del viaggio, oltre agli spunti dal ilgiramondo.net, ho utilizzato alcuni siti internet dedicati esclusivamente alla penisola Calcidica (in inglese) e due guide:

  • Lonely Planet “Grecia continentale” ed. 2016: un volume di quasi 400 pagine di cui 2 capitoli per le zone di interesse, che ho preso in formato .pdf e di cui ho stampato le pagine che mi servivano. Le parti dedicate a Salonicco e Meteore sono discrete, per la Calcidica c’è veramente molto poco.
  • Dumont “Penisola Calcidica e Salonicco”: (consigliatami dalla nostra esperta di isole greche sea breeze, grazie!) è del 2004 ma molto ben fatta, con una parte dedicata ai luoghi interessanti di Macedonia e Tessaglia.

Verso la Sithonia

Arrivati al piccolo aeroporto di Salonicco chiamiamo il noleggiatore e in pochi minuti arriva l’agente con l’auto.

Il noleggio è costato più del volo: volendo un’auto per 12 giorni sapevo che il conto sarebbe stato un po’ più del solito, ma non immaginavo così tanto (minimo 600 € senza assicurazioni extra). Ho trovato un noleggiatore locale (Poseidon Rental Cars), con sede in città a Salonicco e qualche buona recensione in siti esteri. Mi sono fidata e devo dire che non è andata così male: per la categoria più piccola ci hanno chiesto 530,00 €, comprensivi di assicurazione per fondo e pneumatici, ritiro in aeroporto e riconsegna all’albergo in centro a Salonicco. L’auto, una Nissan Micra con qualche annetto sulle spalle, era pulita e in discrete condizioni, e la cauzione è stata sbloccata a pochi giorni dal rientro.

Partiamo per la Calcidica, precisamente per il “secondo dito” (la Sithonia), dove alloggeremo 8 notti. Dopo un’ora e mezzo di strade poco trafficate arriviamo a Vourvourou, nel piccolo “resort” con vista sul mare Simon King (prenotato da Expedia ad 83€ a notte senza colazione). Vourvourou in agosto non ha prezzi economici come altre zone della Grecia e già a febbraio-marzo non c’era molta scelta.

Il Simon King ha una piccola piscina con un bel panorama, lettini e teli mare a disposizione, ampio spazio per parcheggiare anche all’ombra, qualche bici (è a circa 800 metri dal paese). Il nostro monolocale (che chiamerò casa da qui in avanti) è ampio, su due livelli, arredato con un gusto moderno, con pulizie giornaliere e cambio asciugamani ogni 2 giorni. Non è adatto agli alti, il soppalco su cui si trova il letto matrimoniale è veramente basso. Il Wi-fi è debole, ma sufficiente per consultare qualche sito. Il bagno, carino, avrebbe il box doccia da cambiare anche se il complesso non dovrebbe avere più di 2-3 anni, e c’è qualche problema con gli scarichi (non ci sono fognature in zona), ma basta non scaricare l’acqua dalla cucina e dal bagno in contemporanea. Oltre a noi c’erano diversi altri italiani che andavano e venivano. Davanti scorre la strada della Sithonia dove le auto sfrecciano a velocità sostenuta e quindi l’esterno non è silenzioso, ma gli appartamenti sono ben isolati e non arrivano rumori da fuori o dai vicini. Alle spalle c’è la bellissima pineta che fa parte dell’area protetta del Monte Itamos. Tutto sommato ci tornerei ancora, anche se non è scattato il colpo di fulmine.

Abbiamo scelto Vourvourou (Vurvurù), anche se non offre molto, per evitare la folla di altre località più organizzate; è l’insieme di pochi alberghi e numerosi complessi di appartamenti, sorto lungo la spiaggia della baia dallo stesso nome, con qualche ristorante e taverna, pochi negozietti/mini market, e tanti noleggi di barche e kayak. È formato da due strade, una che scorre in basso vicino al mare e la statale più in alto (da cui si godono bellissime viste sulla baia con il piccolo arcipelago che la punteggia), che non sembrano aver avuto una pianificazione urbanistica. Vale soprattutto per la via principale, lungo cui sorgono la maggior parte degli edifici: è irregolare e senza marciapiedi… passeggiare la sera è più un rischio per la propria vita che un piacere. Non è il posto da scegliere se si cerca vita mondana o movida notturna, però è perfetto per la vicinanza ad alcune spiagge tra le più belle della zona.

La frequentazione ci è sembrata principalmente greca, rumena e bulgara, ma non mancavano anche italiani, tedeschi e qualche americano.

Una sera a cena ho avvistato un lussuoso yacht nella baia, di fronte all’isola di Diaporos: in seguito ho scoperto che si trattava del Principe di Galles con la consorte!

Un accenno al lato culinario di questa prima parte di vacanza: all’estero cerchiamo di mangiare la cucina locale, ma a Vourvourou era più facile individuare locali in cui servissero pasta e/o pizza che cucina greca! Abbiamo provato uno dei locali “storici”, citato già dalla guida Dumont, Gorgóna I Poulmán e un paio di volte il più rinomato Paris, consigliato sia dalla Lonely Planet che dal resort. Il primo è molto alla buona, con gli ospiti che si siedono a cena ancora con il costume addosso e cibo discreto ma nulla di più. Il secondo è un pelo più ricercato (qui si passa almeno a farsi una doccia prima di sedersi a tavola ma ai piedi rigorosamente le ciabatte da spiaggia!) però l’unica cosa che ci è veramente piaciuta è stato il piatto di antipasti misti… così per il resto della vacanza abbiamo optato per una taverna/fast food in cui la carne alla griglia era molto buona (oltre ai gyros pita, buonissimi gli hamburger), il Garlic, a breve distanza da casa.

Visto che ci fermeremo qui fino alla mattina del 14 agosto e che si sa quale è la routine di una vacanza al mare, questa parte non sarà un diario giornaliero.

Abbiamo rinunciato alle attività al di fuori della Sithonia cui avevo pensato: un tour delle spiagge della Kassandra, il sito archeologico di Olinto (per pigrizia!), l’escursione al Monte Athos da Ormos Panagias in barca (avendo visto quanti pullman ci fossero all’imbarco e per evitare i balli di gruppo previsti nel viaggio di rientro). Ci siamo dedicati esclusivamente alle spiagge ed al relax, restando quasi sempre entro la mezz’ora d’auto.

Spiagge in Sithonia

Le spiagge che abbiamo visitato non sono molte, visto che ci siamo innamorati di Karidi, e le altre in un modo o nell’altro non sono state alla sua altezza

Karidi: la spiaggia usata per buona parte delle cartoline dell’intera Calcidica, a circa 2 km da casa. Ci siamo stati 6 volte, anche per un paio d’ore a inizio o fine giornata. È una spiaggia completamente libera (la prima sera abbiamo comprato un piccolo ombrellone, con base per la sabbia, a circa 10€), con un paio di venditori di bibite, snack e gelati al limitare della pineta. È ampia ma non grandissima, formata da un’insenatura principale con sabbia molto chiara e fine, acqua tranquilla, calda che digrada dolcemente; qui si posiziona la maggior parte dei turisti. L’insenatura è delimitata a nord e a sud da piccoli promontori rocciosi, in cui gli scogli sono stati scolpiti dalla natura in forme molto belle. Oltre si trovano altre due baie: a sud c’è Micro Karidi, meno affollata perchè ospita un noleggio barche ed è circondata da edifici; a nord ci sono scogli con piccole spiaggette, nostro rifugio in un paio di occasioni: l’acqua ha splendidi colori, i bagnanti sono decisamente meno e si fa un buon snorkeling (anche se il migliore forse resta quello sul lato nord della spiaggia principale). La grande pineta alle spalle della spiaggia offre molto spazio all’ombra; qualcuno ci ha letteralmente piantato le tende per lunghi periodi, e non mancavano i camper. Sempre in pineta si parcheggia in totale libertà. In agosto è molto molto frequentata, quasi tutti ci fanno almeno una visita; per la sua conformazione in alcuni giorni può essere piena di posidonia oceanica a riva, per cui l’effetto a prima vista è meno affascinante, meno da cartolina (e un po’ puzzolente ;) ). A noi è successo un paio di volte, ma basta passare nella baia di fianco e non c’è problema (l’acqua è più alta qui e ci sono meno bimbi). Di norma l’acqua è perfettamente limpida, ricca di pesci… che è quello che mi interessa, ed il motivo principale per cui ci siamo tornati così spesso. Certo è che ci vorrebbe un po’ più di attenzione all’ambiente.

Livari: appena a nord di Vourvourou, è piuttosto famosa perchè una sottile striscia di sabbia forma una piccola laguna interna. Bella per qualche foto, ma non ci farei il bagno per il gran numero di barche.

Trani Ammouda: poco più a nord di Ormos Panagias (piccolissimo paesino pittoresco da cui partono le barche per il Monte Athos), a 10 km da casa, è un lunghissimo spiaggione con un mare dai bei colori, dove c’è anche qualche piccolo e silenzioso beach bar, ma è principalmente dedicato alle famiglie che preferiscono la spiaggia libera. È talmente grande che si trova subito parcheggio (anche qui gratis) e spazio per ombrellone e asciugamani di fronte al mare anche alle 14.00. La sabbia è dorata e grossolana. Dopo la prima visita non ci siamo più tornati, è bella ma non il nostro genere.

Lagonisi: una favola trasformata in incubo (almeno per noi). Si trova poco a nord di Vourvourou, molto vicina a Ormos Panagias, ma è completamente diversa da Trani Ammouda: spiaggia di sabbia bianca e molto fine, acqua meravigliosamente azzurra, tranquilla e che digrada lentamente, con qualche roccia sul fondo, protetta da un’isoletta. Un po’ di snorkeling si può fare vicino agli scogli nell’area libera. Il problema è quello che ne stanno facendo dal 2015: la spiaggia libera è ridotta ad uno spazio piccolissimo, sovraffollato e che viene sommerso con l’alta marea; abbiamo scelto la parte attrezzata pensando di andare meglio… si pagano 10€ all’ingresso al parcheggio e si ha diritto (se c’è posto) a ombrellone e 2 lettini, senza ulteriori obblighi di consumazione. Il beach bar ha la solita musica martellante da giovincelli (non mi sembrava adatta alla clientela presente). Dov’è il problema? Ombrelloni e lettini praticamente quasi fino in acqua, e i rifiuti degli ospiti per terra, mescolati alla bellissima sabbia, nell’indifferenza degli ospiti stessi e dei numerosi ragazzi che continuavano a passare a prendere le ordinazioni (con i prezzi più cari che abbia visto in tutta l’area). Dalla sabbia al mare il passo, purtroppo, è breve… La consiglierei solo in bassa – bassissima stagione, ed è un vero peccato!

Orange Beach: altro disastro annunciato; la spiaggia più famigerata della penisola, una meraviglia della natura di cui si può ormai solo intuire la bellezza passata. Siamo arrivati presto, prima delle 9.00; è a mezz’ora di strada da casa, circa 20 km verso sud di strada costiera, tutta curve ma in buone condizioni, dove però è difficile vedere il mare essendo immersa nella pineta protetta che caratterizza questa parte della Sithonia. Se non volete ricordarvi solo gli aspetti negativi, lasciate perdere la parte attrezzata del beach bar e scegliete la caletta rocciosa sulla destra rispetto al parcheggio. Noi purtroppo non lo abbiamo fatto. Il beach bar offre i lettini e l’ombrellone in cambio di una consumazione qualsiasi (2 caffè freddi 8,00€, altrove sono meno cari ma vista la fama della location ci può stare). Anche così presto, molti sono già prenotati, ma possiamo sceglierne una coppia in seconda fila… con la terrificante musica martellante già a buon volume a quest’ora del mattino. Le rocce bianche in contrasto con l’azzurro del mare e il Monte Athos sullo sfondo sono  bellissimi, ma basta avvicinarsi per vedere i resti della baraonda del giorno precedente… resti che purtroppo individuo anche in acqua, dove ho fatto l’unico bagno deludente della settimana. Fuggiti alle 11.00.

Rodia: non ho capito da dove derivi la fama di questa spiaggia (marketing?). Si trova a 12 km da Vourvourou verso sud (ci siamo stati rientrando da Orange Beach) e per raggiungerla bisogna percorrere uno sterrato (apparentemente scavato ad hoc) in discesa e lungo diversi km. Forse proprio per questo non è affollata? Non c’è spiaggia libera e lo sapevamo; la consumazione è obbligatoria per avere lettini ed ombrellone ma non c’è una spesa minima; abbiamo pranzato, a cifra ragionevole, e anche con una certa soddisfazione. Se invece si desidera consumare il proprio pranzo, per l’accesso si devono pagare 20€. L’allestimento è bello, con cuscinoni, poltrone e tavolini anche all’ombra dei grandi alberi. Il problema sono la spiaggia, di sassolini, e il mare, che sarà limpido e pulito ma non ha assolutamente i colori delle altre baie della zona. Mi sembrava di essere al lago, ecco. Non ci tornerei e non la consiglierei a nessuno.

Koviou: questa è stata l’altra nostra spiaggia preferita. È una piccola baia sulla costa opposta della Sithonia, a soli 18 km da casa, tra le spiagge di Agios Ioannis e di Kalogria (entrambe promettenti e più note). La sabbia è mista a sassolini colorati, l’acqua ha colori incantevoli, sui lati si fa un buono snorkeling e io non sarei più uscita dal mare. Non c’è mai molta gente, e lo spazio è equamente diviso tra spiaggia libera e attrezzata (una piccola parte è riservata all’albergo che però si trova alcune centinaia di metri più all’interno, e dove non consiglio di mangiare!). Con 5€ si hanno ombrellone e due lettini per l’intera giornata, e non c’è obbligo di consumazione. Musica soft (quando si sente), diversi italiani (più che altrove). Ci siamo tornati molto volentieri.

Il sabato sono riuscita a convincere il mio compagno ad affrontare qualche chilometro in più per andare fino alle due località più famose della costa orientale della Sithonia (per Toroni e la costa occidentale non c’è stato nulla da fare): Sarti, molto frequentata dagli italiani, e Kalamitsi, famosa per la spiaggia e i campeggi, con una breve deviazione a Sikia. E’ bello vedere il paesaggio che cambia all’improvviso, finisce la foresta di pini e iniziano aree coltivate (molti olivi) nonostante il terreno resti impervio, e ogni tanto un vero paese, o un cavallo solitario in attesa all’ombra.

Kalamitsi: Siamo arrivati di mattina presto e subito ci siamo resi conto che, anche se il paese è carino con tanto di piccolo lungomare, questa località non ci sarebbe piaciuta. Lo spiaggione, di sabbia dorata piuttosto grossolana, non ha nulla di pittoresco; ai tratti di spiaggia libera si alternano diverse aree attrezzate e già a quest’ora c’è molta gente in acqua… troppo “effetto riviera” per i miei gusti. E soprattutto l’acqua è freddissima! L’unica che abbiamo trovato (forse dipende dal fatto che qui non c’è più la protezione del Monte Athos?).

Sarti: dopo essere fuggiti ancora bagnati da Kalamitsi ci siamo fermati a Sarti per il pranzo (discreto e abbondante in un localino della piazza centrale, a 19,90€ in due compreso ouzo e tsipouro). Paesino dove si vedono ancora molte delle casette costruite negli anni venti del novecento per ospitare i profughi greci dell’Asia Minore (così come in molti dei paesi della Calcidica, che prima era quasi disabitata), ha un centro storico molto pittoresco e ordinato, restaurato ad uso e consumo dei turisti; un bel lungomare, e una spiaggia con vista sul Monte Athos lunghissima e con colori da cartolina, con ampi spazi di spiaggia libera semivuoti. Gli italiani che scelgono di venire qui fanno bene ma… che traffico assurdo al di fuori delle vie pedonali! Le vie strette e le auto parcheggiate in ogni angolo libero rendevano impossibile passare in certi incroci (e lo dovevano fare bus di linea e camion…). Invece a inizio paese c’è spazio per parcheggiare vicino alla spiaggia.

Isola di Diaporos (qui una vista dall’alto): last but not least, forse il meglio della vacanza. Una chicca da godersi via mare. Anche qui se potete andarci in bassa stagione (o in yacht con i signori Carlo e Camilla) fate un affare. L’isola di Diaporos (quasi disabitata, ci sono solo alcune ville lontane una dall’altra) è l’isola più grande del piccolissimo arcipelago nella baia di Vourvourou, ed è raggiungibile in barca o in kayak (ci sono anche alcune gite organizzate in partenza da Ormos Panagias). Inizialmente avevamo pensato alla barca (non serve la patente nautica per quelle più piccole) ma andavano prenotate con almeno 5 giorni di anticipo! Ci siamo allora decisi per il kayak e ci siamo rivolti a Sea Kayak (www.seakayakhalkidiki.gr) che, nel pomeriggio dopo il rientro delle escursioni di gruppo, noleggia canoe (con mappa, spiegazioni sull’uso, giubbini di salvataggio e sacca impermeabile) anche ai totali principianti come noi. Si paga al rientro (40€ per 4 ore abbondanti). Con qualche iniziale problema di coordinazione e un po’ di fatica in più dovuta al moto ondoso contrario provocato dalle tante barche a motore (per fortuna piccole), siamo riusciti ad arrivare ai due gioielli non-più-così-nascosti dell’isola: Blue Lagoon e Mirsini (Hawaii) beach. Peccato per l’affollamento, in bassa stagione devono essere spettacolari; alla Blue Lagoon, stretta tra due isole, abbiamo fatto un bel bagno vicino a riva… il fondale è bellissimo, con tanti pesci e  formazioni coralline gialle, l’acqua ricorda la Tabaccara a Lampedusa. Poi ancora qualche pagaiata sulla strada del ritorno per fermarci a riposare all’ombra nella meno affollata Mirsini Beach: una piccola baia dalla sabbia come borotalco, scogli di granito e pini, peccato per un po’ di posidonia. È possibile circumnavigare l’intera isola in poco più di tre ore, ma sarà per la prossima volta, magari partendo la mattina presto e non nella calura delle 3 del pomeriggio!

Chi volesse noleggiare una barca (le più piccole portano 4 persone) ricordi di prenotare in anticipo; la spesa si aggira, in alta stagione, intorno ai 70€ più il carburante per l’intera giornata (i noleggiatori sono molti e le cifre variano leggermente, qualcuno ha il sito, altri il numero di telefono esposto sulla strada).

Nella prossima pagina: la Tomba di Filippo il Macedone, le Meteore, Dion


Florida con bambini in agosto: cosa fare nelle ore più calde

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Florida del Sud in agosto, due adulti e una bambina di quattro anni e mezzo. Sole bruciante, caldo umido tropicale notte e giorno, ogni tanto un breve acquazzone a dare un po’ di respiro (ma dopo ritorna tutto come prima). Il mare sicuramente piacerà agli appassionati delle terme: l’acqua è calda, si rincorrono le piccole correnti fredde per darsi un po’ di refrigerio. Insomma: le spiagge sono bianche, larghe e vuote, la natura è prepotente e verdissima, tutto è comodo e anche bello, ma il clima non è sicuramente il migliore. E allora, cosa fare con una bambina nelle ore più terribili? Ecco qui una decina d’idee, di “attractions” (note e meno note) che abbiamo visitato, selezionate dopo un attento studio a casa: e visto che lo studio di solito paga, sono tutte scelte che ci hanno soddisfatto e che ci fa piacere condividere.

Partiamo dalla fine, cioè dalle Florida Keys. La prima esperienza da non perdere è quella con la Glass Bottom Boat della Key Largo Princess (www.keylargoprincess.com), che si prende appunto a Key Largo (la prima località che s’incontra venendo da Nord), nei pressi dell’Holiday Inn. Il tour (30 euro per gli adulti, 14 per i bambini) dura oltre due ore e si fa con un grande yacht a due piani: il superiore è una terrazza-solarium (con un piccolo bar) da cui è possibile vedere la costa e l’oceano, mentre quello inferiore ha il fondo in vetro, con due grandi “buchi” rettangolari, ognuno di circa 15-20 metri quadrati. Gli adulti restano in piedi appoggiati alla balaustra che circonda i “buchi”, mentre i bambini siedono a terra con le gambe penzoloni sul fondo. Arrivati sulla barriera corallina, dopo una quarantina di minuti di navigazione, inizia lo spettacolo del John Pennekamp Coral Reef State Park (l’unico parco sottomarino degli Stati Uniti): decine e decine di pesci coloratissimi, formazioni coralline e piante acquatiche. Una giovane guida (parlante inglese) di volta in volta che i pesci appaiono sul fondo ne spiega la vita e le caratteristiche, indirizzando gli ospiti anche a guardare alcune creature marine che potrebbero sfuggire a occhi poco “allenati”, e fornendo informazioni a gettito continuo. La sosta sul reef dura 30-40 minuti, un tempo abbastanza lungo per sentirsi soddisfatti. A quel punto si rientra, e tutti si dirigono sul ponte per fare le ultime fotografie.

Il secondo appuntamento è a Islamorada, a meno di 30 chilometri da Key Largo (scendendo verso Sud). Lì si trova il Theater of the Sea (www.theaterofthesea.com), un parco di mammiferi marini nato nel 1946, immerso in un bellissimo giardino di vegetazione tropicale (incredibile è la quantità di orchidee), confinante con la laguna e le mangrovie. Al Theater (ingresso da 19 a 28 euro) è possibile assistere a spettacoli con delfini atlantici e leoni marini (nei quali i bambini vengono coinvolti, con loro grande gioia) e a show con pappagalli; fare un giro in una barca senza fondo per veder giocare i delfini; ammirare tartarughe, alligatori e squali tenuti in grandi vasche di acqua salata (pompata direttamente dall’Oceano Atlantico); seguire un tour informativo sulla vita dei tanti animali ospitati nella struttura (di cui una buona parte sono stati salvati e riabilitati). Alla fine degli spettacoli e delle varie attività si va tutti nella piccola spiaggia privata per bagnarsi in mezzo a decine di pesci. La struttura offre anche una varietà di programmi d’interazione con gli animali (come nuotare assieme alle razze o incontrare i delfini) per varie età e prezzi. Al Theater of the Sea, insomma, le ore si trascorrono in grande piacevolezza, e il divertimento è assicurato.

Dopo altri 130 chilometri, infine, si arriva nella deliziosa Key West. Qui il consiglio (e sarà l’unico riguardo le sistemazioni, ma perché la struttura merita davvero di essere pubblicizzata) è il Lighthouse Court Hotel del gruppo Historic Key West Inns (www.historickeywestinns.com). L’albergo è in pieno centro, sulla Whitehead Street (parallela della Duval Street, che è l’arteria principale della cittadina), accanto al fotografatissimo Bahama Village e di fronte alla casa-museo di Ernest Hemingway. L’architettura è quella tipica di Key West, risalente agli inizi del Novecento: una decina di edifici di uno o due piani, con rivestimenti in legno, tetti in latta e grandi portici tutti aperti. Nel vasto cortile (dove si consuma una buona e generosa colazione, sia dolce sia salata, compresa nel prezzo), posto al centro di tutti questi edifici, ci sono la piscina e il bar, ovunque fiori e alberi tropicali che concedono molta ombra. Le stanze sono davvero belle: la nostra (la J3, ancora ce la ricordiamo) era praticamente un appartamento, composto di piano terra e piccola mansarda, con parquet, cucinetta, balconcino, cabina armadio. Begli gli arredi, comodissimi i servizi (con doccia molto spaziosa). Ovviamente ci sono il wi-fi, l’aria condizionata, i ventilatori al soffitto, la grande televisione a schermo piatto, la cassetta di sicurezza, il parcheggio per l’auto (che però si paga a parte). Insomma, c’è tutto quello che serve, compresa la cortesia e la professionalità di un personale abituato a trattare con viaggiatori che vengono da tutto il mondo. Sì, tutto bello, ma quanto costa? Qui sta la vera sorpresa. I prezzi vanno dai 150 ai 210 euro: considerando quanto siano care Key West e la Florida in generale, e quanto siano comunque alti i prezzi di sistemazioni ben peggiori, il rapporto qualità/prezzo del Lighthouse Court Hotel è davvero notevole.

Da vedere assolutamente sono le Everglades. Un immenso e bellissimo territorio di paludi (che in realtà è un fiume che si muove lentissimo da Nord a Sud), pieno di animali, come gli alligatori e centinaia di specie di uccelli, e piante del tutto particolari. Un’occasione da non perdere per visitare questo patrimonio naturale unico al mondo è quella offerta dal Billie Swamp Safari (www.billieswamp.com) nella riserva naturale di Big Cypress, di proprietà dei nativi americani Seminole. Questa popolazione si stabilì in Florida nel Settecento, fu protagonista di tre guerre contro l’esercito degli Stati Uniti nella prima metà dell’Ottocento, e i suoi discendenti ancora oggi rivendicano con orgoglio di non aver mai firmato accordi e di non essersi mai arresi agli americani. Il Billie Swamp è una bella e grande struttura sita a Clewiston che offre tour tra le paludi, accompagnati da una guida, sia in airboat, la tipica imbarcazione con un’enorme elica dietro (il prezzo è 15 euro, la durata è mezzora), sia in “buggy”, un grande veicolo aperto e sospeso su ruote molto alte (dai 10 ai 20 euro secondo l’età, la durata è un’ora). Nel corso della giornata è anche possibile assistere a spettacoli con serpenti e altri animali, tutti condotti da guide Seminole. La struttura contiene anche un piccolo zoo (con istrici, pappagalli, alligatori, facoceri, capibara, tartarughe, lontre e linci), un ristorante (dove si è mangiato benissimo e a prezzi molto contenuti), un sentiero di circa tre chilometri che s’inoltra nelle paludi e un piccolo villaggio con le case tradizionali (dette chickees, ossia delle piattaforme sopraelevate in legno, aperte da ogni lato e coperte da un tetto di paglia). La giornata si può concludere approfondendo un po’ la storia e la cultura dei Seminole andando al Ah-Tah-Thi-Ki Museum (www.ahtahthiki.com), distante appena sei chilometri. All’inizio un breve filmato introduce al mondo dei Seminole, la visita poi continua attraverso le diverse sale, dove figure a grandezza naturale (organizzate in scene) mostrano le pratiche tradizionali dei nativi americani: dai giochi dei bambini alle cerimonie (come quella del “green corn”, cioè del raccolto annuale del mais), dalle danze alla vita quotidiana. Nel museo sono anche presenti oggetti, tessuti e numerosi pannelli informativi, oltre a opere di artisti Seminole contemporanei. Al di fuori, infine, c’è una lunga passeggiata in un bosco di cipressi che conduce al Ceremonial Grounds e al Living Village, dove è possibile vedere “dal vivo” com’era la vita reale dei nativi americani.

Palm Beach offre un paio di attrazioni davvero interessanti. Iniziamo dal South Florida Science Center and Aquarium (www.sfsciencecenter.org), una struttura educativa dove i bambini possono fare numerose attività, partendo dal principio (che è anche il loro slogan) che “the science is exciting”. Il centro (l’ingresso va dai 9 ai 12 euro) ospita, anzitutto, numerose vasche che mostrano diversi habitat ed eco-sistemi: dal reef corallino agli alligatori, dai cavallucci marini al “mondo nascosto” delle Everglades, dalle tartarughe ai pesci atlantici. Ampia è la parte dei giochi (saranno circa un centinaio) a disposizione dei bambini: si va da quelli ispirati ai principi fondamentali della fisica e della chimica (ad esempio, sulla densità dei solidi e dei liquidi, oppure sull’energia elettrica) a quelli di logica e ragionamento (ad esempio, giochi simili al tetris). Ci sono poi alcune macchine davvero curiose: la “frozen shadow”, che permette di fotografare la propria ombra, o la “hurricane force”, dove in una grande capsula di plastica si sperimenta la velocità del vento negli uragani. Molto interessante è anche l’esposizione dedicata allo spazio, dove si possono vedere meteoriti, rocce lunari e numerosi oggetti della spedizione Apollo 14 del 1971. Vi sono poi una sala con giochi più tradizionali (come le costruzioni o i giochi con l’acqua, e c’è anche un salottino per i genitori dove potersi riposare) rivolta ai bambini più piccoli, un teatro-planetario e, nel cortile, un campo di golf a 18 buche in miniatura. La hall centrale, infine, è dedicata alle esposizioni temporanee: nel nostro periodo c’era “Amazing butterflies”, un’interessante mostra interattiva sulla vita delle farfalle. Al South Florida Science Center and Aquarium, insomma, è possibile passare qualche ora divertendosi e imparando (cosa valida anche per noi adulti).

Dopo poco più di venti chilometri da Palm Beach, andando verso l’interno, si arriva in Africa. Il Lion Country Safari (www.lioncountrysafari.com) di Loxahatchee, nato a metà degli anni sessanta e via via ingrandito nel tempo, è una sorta di “succursale” dei grandi parchi ed è un’occasione unica per osservare la fauna selvatica di quel continente. Il Lion Country (entrata dai 20 ai 30 euro), situato in un’area molto grande (oltre 200 ettari), ospita centinaia di animali divisi per habitat geografici, che riprendono i nomi dei parchi africani (come Serengeti o Hwange) o altri ambienti come la pampa e la foresta indiana. Gli animali sono liberi e tenuti in ottime condizioni, quindi si gira chiusi in auto (all’ingresso viene fornito un cd da ascoltare come guida) per un percorso di 6-7 chilometri. Si possono osservare leoni, rinoceronti, scimpanzé, zebre, giraffe, antilopi, struzzi e moltissimi altri; ad alcune specie (come giraffe, pappagalli, oppure agli animali domestici del “petting zoo”) è possibile dare loro da mangiare. Si ha modo, quindi, soprattutto per chi non ha avuto ancora la fortuna di vederli nei loro luoghi d’origine, di ammirare gli animali da molto vicino, e per i bambini (ma anche per gli adulti) questo è sicuramente motivo di grandi emozioni.  La struttura offre parecchie altre cose: minigolf, aree preistoriche (con dinosauri a grandezza naturale), parchi giochi di vario tipo (dalle giostre al “safari splash”, dove ci sono giochi d’acqua per bambini), oppure si possono fare gite in barcone o sul pedalò sul lago Shannalee. Un’esperienza particolare, dunque, che è bene non perdere.

Fort Lauderdale è una cittadina molto piacevole dove hanno sede due strutture che consigliamo caldamente di visitare. La prima è il Museum of Discovery and Science (www.mods.org/home.html), articolata su due piani e piena zeppa di mostre interattive e cose molto interessanti (ingresso dai 10 ai 13 euro). Iniziamo dal piano terra: ci sono un acquario (da rimarcare è sicuramente una parte di barriera corallina attiva in cattività); un habitat per le lontre di fiume nordamericane; una sezione dedicata agli animali preistorici della Florida; un’altra sezione nella quale è ricostruita la storia delle Everglades, provvista anche di un simulatore di corsa in airboat che permette un’esperienza cinematografica davvero singolare (il Museo è anche protagonista di un importante progetto di conservazione di questo patrimonio naturale); una grande sala giochi e la sezione Go Green, dove i bambini imparano (giocando) a riciclare correttamente i rifiuti. La sezione più interessante del piano terra è lo Storm Center, dove si possono fare mille cose: provare il simulatore di uragani, toccare il vortice di un piccolo tornado, costruire una casa robusta, creare nuvole e fulmini. Tante le sorprese anche al primo piano, che è impossibile citarle tutte. Due sono certamente da menzionare: la mostra interattiva “To Fly”, dove ci sono una capsula-teatro in 7D che porta i visitatori in volo nello spazio, un “rover” che permette una passeggiata su Marte e numerosi simulatori di volo su cui è possibile provare l’ebbrezza di pilotare un aereo (come un Airbus o un Cessna); la mostra “Powerful You”, interamente dedicata alla scoperta del corpo umano: attraverso l’utilizzo di giochi e display interattivi, i bambini imparano in modo divertente l’anatomia, le funzioni del cervello e del cuore, la prevenzione delle malattie e le più recenti scoperte tecnologiche per mantenere il corpo in buona salute (impressionanti sono i macchinari che permettono al visitatore di utilizzare la chirurgia robotica, come ad esempio il CyberKnife). C’è molto da fare, insomma, e una mezza giornata passa senza neanche rendersene conto.

La seconda attrazione è il meraviglioso Young At Art Museum (www.youngatartmuseum.org), sito a Davie, a pochi minuti da Fort Lauderdale. La struttura (ingresso da 9 a 12 euro), nata nel 1989 grazie all’intraprendenza delle due fondatrici (Esther e Mindy Shrago), ma rinnovata totalmente nel 2012, è uno dei migliori centri di educazione artistica e culturale per bambini al mondo, come testimoniano i numerosi premi internazionali vinti. La struttura ospita quattro gallerie permanenti (Green Scapes, Culture Scapes, Wonder Scapes e Art Scapes), create in collaborazione con artisti e designer di fama mondiale: nella coloratissima Wonder Scapes, ad esempio, le varie illustrazioni della storia di “Alice nel paese delle meraviglie” del disegnatore DeLoss McGraw prendono forma nella realtà, divenendo spazi e giochi (come la stupenda House & Tea Party o le curiose “sedie vocali”) dove poter rivivere le esperienze della favola. La quantità di cose da fare è enorme: si va dalla riproduzione di una stazione della metropolitana di New York alla struttura-labirinto Wave (raffigurante le onde del mare) percorribile all’interno, alle infinite possibilità di giocare (disegnare il proprio autoritratto, costruire strumenti musicali con materiali riciclati, produrre musica come nel famoso spettacolo Stomp). Il museo, infine, offre gallerie temporanee (durante la nostra visita c’era il Palindrome Park, un’installazione organizzata come un viaggio sensoriale attraverso le forme geometriche, i colori e la natura), numerosi corsi per bambini e ragazzi, una grande biblioteca, uno studio di registrazione e molto altro ancora.

E concludiamo con Miami. In città ovviamente c’è di tutto, quindi consigliamo tre esperienze (tra le tante possibili). Iniziamo dalla gita in barca Bayside Blaster con la Island Queen Cruises (che offre 5-6 tour diversi, tutti sul sito www.islandqueencruises.com). Si prende al Bayside Marketplace (in pieno centro, dove ci sono ristoranti, bar, negozi e spesso musica dal vivo), il biglietto va dai 15 ai 23 euro. Il tour dura un’ora e mezzo, le partenze sono a vari orari. La compagnia di navigazione è molto professionale, la guida del tour è perfettamente bilingue, inglese e spagnolo. La crociera si svolge nella Biscayne Bay e inizia costeggiando Dodge Island, ossia la parte commerciale del porto (si “ammirano” quindi container e gru, che può anche essere interessante vedere da vicino, comunque dura pochi minuti). Ci s’inoltra poi per South Beach e da lì si aprono nuovi scenari: la splendida skyline di Miami, Brickell Key e Fisher Island (sede di condomini super-esclusivi dove si può attraccare soltanto se invitati), la marina di Miami Beach. Ma a suscitare la curiosità di tutti è Millionaire’s Row, la “riva del milionario”, dove si vedono ville hollywodiane e yacht costosissimi che appartengono ai personaggi “rich and famous” dello star system a stelle e strisce: Julio Iglesias e Liz Taylor, Ricky Martin e la “chica dorada” Paulina Rubio, Shaquille O’Neal (ex campione del basket Nba) e Gloria Estefan, e poi ancora rapper, industriali, attrici, fuoriclasse del football americano, cui si aggiungono la casa (piccola, in verità) di Al Capone e la villa in cui fu girato il film Scarface. Il nostro consiglio è di fare la gita al tramonto, la luce è quella migliore per scattare qualche bella fotografia.

Assolutamente da non mancare è quell’angolo di “paradiso terrestre” che prende il nome di Fairchild Tropical Botanic Garden (da rimarcare il sito www.fairchildgarden.org, molto ricco di informazioni). Il giardino è nella bellissima zona di Coral Gables, l’ingresso va dai 10 ai 20 euro. Il Fairchild, aperto al pubblico nel 1938, copre un’area di oltre 30 ettari. Annovera importanti e ampie collezioni di rare piante tropicali, come palme e cycas, oppure alberi magnifici e particolari, come l’albero del sughero, coperto di orchidee (quest’ultime sono ovunque e sono migliaia) e felci, o l’albero del pimento, che odora di cannella, noce moscata e chiodi di garofani mischiati assieme. È davvero difficile descrivere l’armonia dei laghetti e delle cascate, l’estrema cura della natura, i profumi del Fairchild: passeggiando tra i suoi vialetti (ma il giardino si può vedere anche a bordo di un trenino, con un’autista che svolge anche il ruolo di guida), si fa un “pieno” di bellezza che non si può dimenticare. Tra le tante meraviglie va sicuramente menzionata la voliera di farfalle The Wings of the Tropics: un posto incantato dove volano centinaia di farfalle dell’America centrale e meridionale, grandi e colorate (come le famose morphos), creando una sorta di poetico arcobaleno in movimento, immerse per di più in un giardino di orchidee e piante tropicali che si percorre attraverso una passerella. L’ultima annotazione va fatta per la notevole attività di ricerca, laboratorio, educazione e conservazione della biodiversità di cui il Fairchild è protagonista, che ne fanno uno dei più belli, importanti e meritevoli giardini botanici al mondo.

Affacciato sulla pittoresca baia di Biscayne, il parco divertimenti di vita marina Seaquarium (www.miamiseaquarium.com) offre ai visitatori ore di divertimento e di istruzione. Il parco (ingresso dai 30 ai 38 euro) è attivo dal 1955 e annovera anzitutto molti spettacoli, tutti accompagnati da presentazioni didattiche: il più popolare è sicuramente il Flipper Dolphin Show (che si svolge presso la Flipper Lagoon, sede del famoso spettacolo televisivo degli anni sessanta), e poi spettacoli di delfini atlantici, delfini bianchi del Pacifico, orche, leoni marini e foche. Il Seaquarium è molto grande (circa 40 ettari), ha quindi al proprio interno numerose strutture: il Penguin Isle (sede di dieci pinguini africani in via di estinzione), con annessa mostra su questi animali; il Conservation Outpost dedicato alle tartarughe marine; il Manatee Exhibit, dove è possibile ammirare un esemplare di lamantino e conoscere tutto su quest’animale fortemente minacciato; la Discovery Bay, un habitat di mangrovie dove trovano posto tartarughe, alligatori e uccelli selvatici. Vi sono, poi, diversi acquari, dove sono ospitati squali, pesci tropicali e razze (queste ultime sono in una “touch pool”, cioè una vasca in cui è possibile toccarle). Per i bambini, inoltre, vi sono diverse strutture di “gonfiabili” e un bel parco giochi a forma di nave dei pirati (dove si aggirano iguane molto grandi). È possibile, infine, immergersi nelle piscine e “incontrare” gli animali, nuotando e giocando con loro (ovviamente queste esperienze sono pagate a parte).

Ai Caraibi con la Costa Pacifica: il mare d’inverno!

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Io, alla sesta crociera, la prima con Costa, e le mie compagne di viaggio, una alla terza e una alla prima, per la nostra ormai consueta capatina invernale al caldo abbiamo stavolta scelto la Costa Pacifica ed il suo itinerario “Le perle del Caribe”, 7 giorni con partenza il 6 gennaio 2018.

Tolta dall’itinerario originale la prima tappa, cioè St. Martin distrutta dall’uragano di settembre, dopo essere salpate da Guadalupa e dopo il primo giorno diventato di navigazione, abbiamo toccato La Romana (Rep. Dominicana), Isla Catalina (isola in parte privata di Costa, sempre in Rep. Dominicana), St. Kitts, Antigua, Martinica e di nuovo Guadalupa.

Abituata al fai-da-te, per una volta ho lasciato fare agli altri, cioè a Costa, ed abbiamo prenotato un pacchetto charter + crociera, soluzione quasi obbligata visto che si salpava da Guadalupa e, oggettivamente, molto pratica. Così, voli charter Neos (aereo nuovo di zecca, orari rispettati, voli eccellenti) da Malpensa a Pointe-à-Pitre, trasferimenti in pullman organizzati da Costa e valige mai appresso ma sempre arrivate a destinazione (meno male!): saremo certamente anche state fortunate, ma proprio non posso lamentarmi!

Ho trovato la Costa Pacifica tenuta molto bene (è una signora del 2009, made in Genova, ottimamente mantenuta), curata e pulita. Abbiamo mangiato benissimo al ristorante e bene al self service. Il personale a bordo è, seppur non numeroso come mi era successo in altre crociere, sempre disponibile e cordiale (a parte alcune eccezioni). E’ in effetti vero, come avevo letto in diverse recensioni prima di partire, che molti non conoscono l’italiano, però è altrettanto vero che tra l’equipaggio gli italiani non mancano e nei ruoli più diversi. La Costa Pacifica è la nave della musica e il tema si ritrova ovunque nelle decorazioni degli spazi comuni (molto belli). L’intrattenimento è soft, la musica è ovunque e gli spettacoli serali sono curati e ben fatti.

L’itinerario, pur “monco” di St. Martin, è stupendo!

 

LA ROMANA

Essendo un po’ timorose per quanto riguarda la sicurezza in Repubblica Dominicana, questa è stata l’unica tappa nella quale abbiamo prenotato un’escursione con Costa (prezzi folli, come sempre). Avevamo voglia di spiaggia e mare e così abbiamo fatto la mezza giornata a Bayahibe, dove si hanno a disposizione la spiaggia e i comfort del villaggio (Veraclub la parte italiana) “BeLive Canoa”: 66 euro a testa non sono pochi però il pullman era comodo e fresco, la spiaggia bella, i lettini a disposizione numerosi, il villaggio molto bello e pulito.

 

ISLA CATALINA

E’ un’isoletta lunga e stretta poco al largo della Repubblica Dominicana e una parte di essa, inclusa una bella striscia di spiaggia, è privata di Costa, per cui hanno potuto attrezzare lettini, toilette, pontile e strutture dove poter pranzare. Qui si scende con i tender, perché la nave deve fermarsi al largo. La spiaggia e il mare sono bellissimi e sono perfetti per starsene in tutto relax al sole o all’ombra delle palme. Alle spalle della spiaggia ci sono delle bancarelle dove comprare, volendo, souvenir, parei etc. Come anche a St. Kitts e Antigua, in Rep. Dominicana accettano tutti sia dollari che euro e il cambio per loro è 1 e basta: le cose costano “tot” e sono, per dire, 3 dollari o 3 euro, a scelta. Attenzione solo al fatto che l’euro ha l’inconveniente delle monete da 1 e 2, che non sono accettate perché in banca poi non le cambiano (mentre il dollaro è di carta già da 1).

 

KITTS

Insieme a Nevis, poco distante, quest’isoletta piccolissima forma uno stato. Non è famosa per le spiagge, seppur ce ne siano un paio segnalate in rete e a breve distanza dal terminal crociere, e così ci siamo fatte un giro dell’isola (in senso letterale: abbiamo fatto tutto il giro attorno all’isola, usando l’unica strada che ci gira tutto intorno) su un colorato e rumoroso pullmino aperto (abbiamo speso 25 dollari a testa, per 3 ore di tour). L’isola è vulcanica, verdissima, in alcune zone decisamente povera, coloratissima come lo sono solo i Caraibi e, sempre come ai Caraibi, il meteo è cambiato 4 volte nell’arco del nostro giro.

 

ANTIGUA

Da sola vale la crociera e molto facilmente sarà meta di una futura vacanza “dedicata”! Ci siamo fidate di una corpulenta signora che sulla banchina del terminal crociere ci ha proposto la spiaggia di Valley Church, dicendoci che era un po’ più lontana dal porto rispetto alla più nota Dickenson Bay e quindi meno affollata, in quella giornata in cui c’erano ben 4 navi attraccate (noi, la Carnival Sensation, la Aida Luna e una di Celebrity Cruises). Così, per soli 16 dollari a testa (anche qui la ricchezza per i locali non è molta), un impeccabile autista ci ha portate, con un minivan in perfette condizioni e climatizzato, su questa spiaggia, fissando insieme a noi l’orario in cui sarebbe tornato a riprenderci ed affidandoci, per ogni evenienza o necessità di contattarlo, al “capo” del bar sulla spiaggia. La spiaggia ci ha levato il fiato: bianca, lunga, mare calmo e con mille sfumature di turchese: ci abbiamo lasciato il cuore! Per un ombrellone e tre lettini abbiamo speso 25 dollari, i bagni erano puliti e anche qui abbiamo trovato qualche bancarella per comprare souvenir con il cambio euro/dollaro 1/1.

 

MARTINICA

Noi tre eravamo state in Martinica in vacanza 3 anni fa, 10 stupendi giorni con residence e macchina a noleggio alla scoperta di un’isola meravigliosa. Siamo state felicissime di tornarci, seppur solo di passaggio, e abbiamo deciso di regalarci un po’ di relax in spiaggia tornando a Pointe Marin, la spiaggia dove c’è anche il Club Med. A chi non ci è mai stato stra-consiglio invece di dedicarsi all’orto botanico, che toglie il fiato. La Costa proponeva un transfer per la spiaggia ma ci siamo arrangiate con un altro minivan, condiviso con altri 6 italiani e dopo contrattazione strenua: la Martinica è Francia, c’è l’euro e nessuno si accontenta di qualche dollaro, quindi non siamo riusciti a scendere sotto ai 35 euro a testa, andata e ritorno, con orario di rientro concordato (e rispettato al secondo). Sulla spiaggia, per 10 euro a testa abbiamo affittato i lettini, ma la spiaggia libera volendo non manca. Abbiamo trovato Pointe Marin sempre bellissima ma certamente segnata dall’uragano di settembre: la spiaggia si è notevolmente ridotta in larghezza rispetto a prima (e c’è un relitto spiaggiato dallo stesso uragano e rimasto ancora lì per problemi di assicurazione). Anche qui, come ci aspettavamo per esserci già passate, il meteo caraibico ha sfoggiato tutta la sua variabilità, con tanto sole intervallato da tre acquazzoni di pochi secondi.

 

GUADALUPA

Porto e aeroporto di inizio e fine crociera. Ci siamo impigrite e siamo rimaste a bordo, a goderci sul ponte l’ultimo sole della nostra vacanza invernale (condito, anche qui, da un tot di mini-piogge). Pur avendo dovuto lasciare la cabina al mattino, abbiamo potuto goderci la giornata a bordo come un qualsiasi altro giorno di crociera. Siamo scese a fare due passi tra i negozietti del terminal per gli ultimi souvenir e poi, alle 17.00, avevamo il transfer per l’aeroporto e il ritorno a casa. Quest’isola, “sorella” della nostra amata Martinica e, come questa, suolo francese a tutti gli effetti, rientra già da qualche tempo tra le nostre idee per un viaggio “fly and drive” dedicato, quindi non mancherà l’occasione di visitarla per bene.

 

Rispetto ai miei consueti fai-da-te (fatti anche per crociere ai Caraibi, con partenza da Miami) abbiamo speso un po’ di più, però ci siamo trovate molto bene con la combinazione charter – transfer – crociera, gli orari sono stati giusti, tutto ha funzionato, i bagagli sono sempre arrivati e quindi ci siamo trovate assolutamente contente. A parte qualche sbavatura, che ho segnalato, la Costa si è rivelata una buona compagnia e la Costa Pacifica certamente una bella nave, anche se, nella mia personale classifica, in vetta rimane sempre Carnival. Certamente, per chi ha magari poca dimestichezza con l’inglese e/o preferisce sentirsi sempre in Italia (cibo, gusto, musica, etc), la Costa è un’ottima scelta.

 

Consiglio questo itinerario e la Costa Pacifica a chiunque voglia farsi una bellissima settimana al caldo alla scoperta di una parte dei Caraibi e la consiglio doppiamente a chi preferisca farla senza sentirsi troppo lontano dall’Italia.

 

Ci siamo rilassate, abbronzate, divertite e abbiamo scoperto nuovi e bellissimi posti, spezzando il nostro lungo inverno con una settimana di estate, di sole, di mare e di colori tropicali, cioè tutto quello che chiediamo sempre ai nostri viaggi invernali! Rifarei questa crociera all’istante e non escludo affatto di fare in futuro l’altro itinerario, cioè quello della settimana “alterna” rispetto alla nostra.

Caliente Valencia

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Un city break a gennaio inoltrato? Se potete approfittarne è un buon momento per trovare voli a ottimi prezzi, anche per mete di solito gettonatissime come alcune città della Spagna; l’anno scorso eravamo stati a Barcellona e quest’anno abbiamo ripetuto l’esperienza a Valencia, città di cui mi avevano parlato entusiasti tutti quelli che ci erano già stati.

VOLO

Ryanair vola su Valencia sia da Orio sia da Malpensa. Noi siamo partiti il giovedì sera da Orio per tornare invece il lunedì pomeriggio a Malpensa, spendendo in tutto circa 38 euro (senza però nessun tipo di servizio aggiuntivo: niente priority, niente scelta del posto, niente di niente… ma per 38 euro direi che si può accettare!)

HOTEL

Abbiamo prenotato l’Expo Hotel Valencia, al costo di 181 euro la doppia per 4 notti. Pur non essendo centralissimo, la posizione è molto comoda: di fianco alla fermata della metro Turia (da cui passano due linee), vicino a diverse fermate degli autobus, nei pressi di un centro commerciale con bar e ristoranti; il centro storico è comunque raggiungibile a piedi in 10 minuti. Decisamente un buon rapporto qualità/prezzo.

SPOSTAMENTI

Aeroporto e città sono comodamente collegati da due linee della metropolitana, di cui abbiamo usufruito al ritorno; all’andata, invece, essendo atterrati alle 23 passate, abbiamo optato per un taxi (22 euro la tratta). La città è servita da 9 linee tra metropolitane e tramvie, più parecchi autobus. 9 linee mi sembravano tantissime, in realtà molte in effetti hanno la tratta principale in comune (e quindi viaggiano sullo stesso binario) e poi si biforcano: state quindi attenti a non sbagliare! I tempi di attesa in metro li abbiamo trovati un po’ lunghi, ma erano giornate festive o semifestive, quindi con orario ridotto.

Abbiamo comprato presso l’ufficio turistico la Valencia Turist Card, a 25 euro, che per 72 ore consente viaggi illimitati sui mezzi pubblici, ingresso gratuito ai musei comunali e sconti all’ingresso di altre attrazioni.

CIBO

Valencia è la patria della paella alla Valenciana, con pollo, coniglio e lumache; noi abbiamo optato però per la paella vegetariana, che viene cucinata un po’ ovunque. I piatti di riso abbondano, visto che la coltivazione dello stesso avviene proprio nei pressi della città, ad Albufera. Non mancano poi ovviamente i locali dove consumare le tapas, sempre molto amate dagli Spagnoli.

Ristoranti e locali abbondano nella Città Vecchia, sul lungomare e nel quartiere di Russafa.

QUANDO ANDARE

Valencia è una meta papabile tutto l’anno: gli inverni sono abbastanza miti e d’estate raramente si raggiungono le roventi temperature di altre zone della Spagna come l’Andalusia. Noi solitamente in inverno in Spagna non siamo mai particolarmente fortunati col tempo, stavolta invece abbiamo trovato tre belle giornate di sole… la domenica, anzi, è stata fin troppo calda: si sono superati i 25°C, ma essendo noi usciti la mattina presto, quando faceva ancora fresco, ci siamo ritrovati nel pomeriggio a girare con giacca e maglione in mano, circondati da persone in shorts e canotta. Decisamente troppo caldo, a gennaio, per i miei gusti!

PERCHE’ VALENCIA?

Come appena detto, il clima è tendenzialmente gradevole tutto l’anno. I prezzi sono buoni, come in gran parte della Spagna e la città ben collegata all’aeroporto. E’ inoltre una città vivace e le persone con le quali abbiamo interagito sono sempre state gentili e disponibili (molti parlano anche un po’ di Italiano: sarà forse per il gran numero di connazionali onnipresenti?!). Non ci ha mai dato sensazione di pericolo o poca sicurezza, nonostante girassimo a piedi anche la sera. Le cose da vedere non mancano, essendo una città con una lunga storia, e ce n’è per tutti i gusti. Insomma una città perfetta per 3-4 giorni.

COSA FARE

Avendo tre giornate piene a disposizione, ci siamo organizzati così: primo giorno nella Città Vecchia; secondo giorno alla Città delle Arti e delle Scienze; terzo giorno verso il lungomare. Si tenga presente che la domenica pomeriggio la maggior parte di musei e attrazioni sono chiusi (questo non vale per la Città delle Arti e delle Scienze).

Città Vecchia

All’interno delle antiche mura c’è il centro storico della città.

Torres de Quart

Una delle porte di ingresso della Città Vecchia, quella più vicino al nostro hotel. In determinati orari è possibile anche salire in cima alla torre.

Mercat Central

Il mercato coperto è tipico di tutte le grandi città spagnole; questo, rispetto a quello di Barcellona, mi è sembrato più ordinato e vivibile. Come sempre non ho potuto evitare di prendermi un succo di frutta fresca a 1 euro.

Plaça de l’Ajuntament

Carina la piazza di fronte al Comune; sotto al palazzo comunale si trova anche uno dei centri di informazioni turistiche.

Lonja de la Seda

Uno degli edifici più famosi della Città Vecchia, patrimonio dell’Unesco.

Iglesia di Santa Catalina

Chiesa costruita sui resti di una moschea. La chiesa di per sé è carina ma nulla di particolare, in compenso in orari prestabiliti è possibile, pagando 2 euro e affrontando parecchi gradini, salire lungo la torre per ammirare Valencia dall’alto.

Cattedrale

Un altro dei luoghi-simbolo della Città Vecchia. L’ingresso con la Valencia card prevede una riduzione sul prezzo. Disponibile anche l’audioguida in Italiano, che permette una visita abbastanza dettagliata (pure troppo). Si dice che qui sia conservato l’originale Sacro Graal. Nella zona sotterranea, se aguzzate la vista, scorgerete ossa e qualche teschio.

Almoina

In questo centro archeologico è possibile ripercorrere la storia della città di Valencia, dai tempi dei Romani sino al Medioevo. Interessante. Anche qui non manca qualche scheletro…

Cripta di San Vicente

In questo luogo non ben segnalato dovrebbero trovarsi i resti di San Vicente martire, il patrono di Valencia (tra l’altro il 22 gennaio, giorno in cui noi siamo rientrati, era proprio San Vicente e in città erano previsti diversi festeggiamenti).

Museo della Città

Ci abbiamo fatto un giro giusto perché l’ingresso era gratuito, ma non è nulla di eccezionale.

Jardin del Turia

Il fiume Turia, che attraversava la città, era spesso soggetto a piene disastrose. Il corso del fiume fu deviato e ora nel suo vecchio letto, in città, sorge un lungo parco. Farci una passeggiata è d’obbligo durante un soggiorno a Valencia.

Città delle arti e delle scienze

Nonostante abbia poco più di 20 anni, è diventato uno dei luoghi-simbolo di Valencia. Questo moderno complesso, progettato dall’architetto valenciano Calatrava, sorge nella zona sud-est della città; dal nostro hotel era facilmente raggiungibile con l’autobus 95. Di tutto il complesso noi abbiamo visitato l’Oceanografico, il Museo delle Scienza e l’Hemisferic, spendendo 31 euro (biglietto comprato all’ufficio del turismo insieme alla Valencia Card). Anche se non volete visitare nulla, un giro in esterno è imperdibile.

Oceanografico

Definirlo acquario è riduttivo: oltre alle classiche vasche coi pesci (divisi per aree geografiche) è possibile ammirare uccelli, coccodrilli e altri animali. Noi siamo entrati poco dopo l’apertura ed è stata una buona scelta, perché a quell’ora c’era poca gente, invece verso mezzogiorno si è riempito parecchio. Ci abbiamo impiegato circa 3 ore per la visita completa a eccezione dello spettacolo dei delfini, che c’è solo a determinati orari.  Veramente un bel posto, anche se ovviamente vedere gli animali liberi nel loro habitat naturale è un’altra cosa.

Museo della Scienza

Diverse le tematiche trattate in questo museo con molte attività interattive. Piacerà anche ai bambini.

Hemisferic

Qui è possibile assistere ad una proiezione di un film in 3D con tecnologia IMAX. I film in calendario non sono molti e si tratta perlopiù di documentari o cartoni animati. Noi abbiamo visto un documentario sul mondo degli abissi di Cousteau (non tanto per scelta: a quell’ora era in programma quello). In teoria sarebbe possibile ascoltare selezionando una a lingua a scelta direttamente dagli occhiali 3D, peccato che nei miei occhiali l’Italiano non funzionasse (peggio è andata a Dario: i suoi occhiali emettevano un fischio insopportabile).

Verso il mare e giardino botanico

Con la metropolitana ci siamo spostati verso la costa, scendendo alla fermata Maritim-Serreria. Da qui avremmo potuto proseguire col tram, ma abbiamo preferito fare due passi.

Museo del riso

Un piccolo museo su due piani che spiega la lavorazione di questo cereale e la sua storia; nulla di imperdibile, ma con la Valencia Card l’ingresso è gratuito…

Zona del Porto

Tantissime le barche ormeggiate in questo porto che è stato rimesso a nuovo per l’America’s Cup del 2007 (anche se ci sono alcune zone un po’ abbandonate).

Playa

A nord del porto inizia un lungo susseguirsi di spiagge: Las Arenas e Malvarrosa, con a fianco una bella passeggiata. Vista la giornata quasi estiva c’era ovviamente parecchia gente.

Jardi botanic

Nel tornare verso l’hotel abbiamo fatto una sosta al giardino botanico dell’Università, che era di strada e che, soprattutto, era aperto nonostante fosse domenica pomeriggio. Non immaginatevi fiori e chissà quali piante tropicali, ma è un posto gradevole dove passeggiare e l’ingresso costa solo 2.5 euro. All’interno c’è anche una colonia di gatti.

 

Da segnalare, inoltre, la struttura della stazione del Nord, davvero molto particolare; vicino ad essa, per chi fosse interessato, c’è la Plaza de toros. La zona intorno alle stazioni delle grandi città è solitamente malfamata, qui invece siamo in un bel quartiere.

 

Valencia mi è piaciuta. Ammetto che, forse, mi aspettavo qualcosa di più, ma avevo delle aspettative molto alte. Ribadisco comunque quello che avevo già detto: una città perfetta per un week-end lungo. Non sarà una metropoli come Barcellona, ma sicuramente ha molto da offrire, sia per chi cerca cultura sia per chi vuole divertirsi o rilassarsi.

Gran Canaria a Gennaio: vacanza piacevole, ma….

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2/1

Anche questa volta decidiamo di iniziare il nuovo anno alle Canarie. Dopo Lanzarote e Fuerteventura, che ci sono tanto piaciute, optiamo (anche se non troppo convinti) per Gran Canaria. Il volo migliore per orari e prezzo parte da Bergamo così di nuovo ne approfittiamo, vista la necessità di dormire nei pressi dell’aeroporto, per visitare la zona. Scegliamo il lago d’Iseo e trascorriamo una piacevolissima giornata a Monte Isola.

 

3/1

Verso mezzogiorno arriviamo a Playa del Ingles, che, ad essere sinceri, non ci fa una gran impressione visto che è un susseguirsi di palazzoni poco attraenti e strade incasinate. Cambiamo immediatamente idea quando entriamo nel nostro residence: una piccola oasi di pace immerso nel verde e nel silenzio, formato da pochi semplici bungalows raccolti intorno alla piscina e alle palme.

Così senza farcelo dire due volte e visto che splende un bel sole caldo ci tuffiamo e ci godiamo il clima, dimenticando in un secondo il freddo che abbiamo lasciato poche ore fa. Altro pregio di questo residence è che si trova a pochi passi dalle dune di Maspalomas e dall’inizio del Paseo Costa Canaria, la bella passeggiata che costeggia il mare per chilometri. Così dopo aver mangiato un boccone in spiaggia trascorriamo il resto del pomeriggio passeggiando sulle dune che sono veramente un piccolo gioiello.

 

Decidiamo di raggiungere la vicina località di Meloneras in auto per la cena, ma, vuoi perchè siamo un po’ stanchi (ok anche imbranati ma non lo ammetteremo mai), vuoi perchè col buio non riusciamo a raccapezzarci (e il navigatore in questa zone non ci è di molto aiuto), vuoi perchè è più facile vincere alla lotteria che trovare un parcheggio, alla fine desistiamo e cambiamo meta. Scegliamo un ristorante di tapas a San Fernando, località ancora più brutta, ma almeno il cibo è buono.

4/1

Iniziamo ad esplorare l’isola da Puerto de Mogan e ci arriviamo solo dopo aver sbagliato strada per ben tre volte (ovviamente colpa del navigatore…).

Ohhh finalmente un paesino proprio carino, nonostante anche qui per riuscire a parcheggiare serva veramente tanta fortuna. Passeggiamo tra le casette bianche ornate da un tripudio di fiori colorati e ci sdraiamo nella bella spiaggetta a mezzaluna dove si sta benissimo.

 

 

Avremmo anche potuto trascorrere tranquillamente qui tutta la giornata ma ero curiosa di vedere la spiaggia di Amadores che, da quanto letto, doveva essere ancora più carina. Si, a vederla la spiaggia….! Completamente ricoperta da ombrelloni e tendoni sotto i quali sono ammassati brutti negozi e pessimi ristoranti. Che delusione!

 

Mangiamo velocemente un’insalata e decidiamo che è meglio rientrare. Dal residence ci incamminiamo sulle dune e raggiungiamo Meloneras. E finalmente alla luce del giorno scopriamo questa bella località. All’inizio la laguna protetta e il faro, poi spiaggia e prati e infine una via pedonale costeggiata da bei negozi, ristoranti e hotel bellissimi e, per noi ,assolutamente off limits.

 

 

E’ piacevole stare qui, tanto che ci facciamo rapire da un fantastico tramonto senza renderci conto di come faccia presto ad arrivare il buio.

 

Morale nell’oscurità più totale perdiamo completamente il senso dell’orientamento sulle dune. Dopo un bel po’ di tempo, tanta fatica e un filo di panico che stava per prendere il sopravvento riusciamo a rientrare. A quanto pare abbiamo decisamente un problema con questa località….

Doccia e camminata (un’altra!) verso il centro commerciale Yumbo, uno dei più brutti centri commerciali mai visti, ma dove si concentrano la maggior parte dei ristoranti. Almeno la pizzeria che scegliamo è ottima.

5/1

Partiamo presto in direzione nord. Prima tappa la capitale Las Palmas e il quartiere antico di Vegueta dove trascorriamo il tempo passeggiando nel silenzio di vicoli e piazze. Vale la pena spendere un po di tempo per un’interessante visita alla casa di Colombo.

 

 

 

Tutt’altra atmosfera si respira nella vicina calle Mayor de Triana, la via pedonale dello shopping caratterizzata da palazzi in stile liberty.

C’è un notevole via vai e un grande mercato artigianale. Scopriamo il perchè quando andiamo a ritirare l’auto al parcheggio: un cartello luminoso segnala che oggi, a causa della cavalcata dei Re Magi, il traffico è deviato. Ma come? I Re Magi il 5 Gennaio? Sì, a quanto pare qui l’Epifania arriva prima e noi ne facciamo le spese restando imbottigliati per non si sa quanto in un traffico allucinante.

Quando il cielo vuole riusciamo a metterci in marcia per Puerto de Las Nieves, piccola località balneare carina e fuori mano, porto di imbarco per Tenerife. Raggiungiamo il ristorante che mi ero annotata e all’alba delle 15 ci facciamo una scorpacciata di pesce fresco ad un prezzo irrisorio.

 

Prima di riprendere la via del ritorno facciamo una piccola deviazione lungo la rigogliosa e verdissima valle di Agaete . Questa parte dell’isola ci è decisamente piaciuta.

 

Rientrati a Playa del Ingles ci fermiamo per un po’ di spesa al centro commerciale Cita (altro centro commerciale tristissimo). Stanchi e ancora sazi per il pranzo ci prendiamo una serata di riposo in giardino. Per domani mettono pioggia. Speriamo bene.

6/1

Anche se meglio del previsto stamattina il tempo è molto variabile, quindi nessun programma in particolare, solo lunghe passeggiate stendendoci dove capita in spiaggia quando esce il sole. Non male anche così!

 

Dopo pranzo visto che il tempo migliora ci concediamo un bel bagno (naturalmente in piscina, non siamo ancora pronti per l’Atlantico a Gennaio, forse non lo saremo mai) e poi partiamo verso Aguimes, un antico paesino dell’entroterra riqualificato di recente e che mi incuriosiva. Da incoscienti partiamo con solo pantaloncini e maglietta e una volta arrivati (si trova in montagna) ci rendiamo conto che fa un freddo becco. Scendiamo dall’auto e dopo due passi parte anche un bell’acquazzone. Demoralizzati rinunciamo e torniamo indietro. Ci consoliamo con un’ottima paella a Meloneras, riuscendo anche a trovare il parcheggio in pieno centro. Peccato che sulla via del ritorno il navigatore ci pianta in asso nel bel mezzo di un groviglio di tangenziali e svincoli. Ma che caspita abbiamo con questo posto!!??

7/1

Miracolo, il navigatore è risorto! E meno male perchè oggi abbiamo in programma un altro tour verso i paesini dell’entroterra a nord e decisamente non abbiamo un buon rapporto con le strade di quest’isola.

Iniziamo da Teror. Le strade che collegano questi paesini sono molto piacevoli da percorrere, immerse nel verde e orlate di castagni ed eucalipti. Arriviamo che ha appena smesso di piovere e fa freddissimo, ma forti dell’esperienza di ieri siamo partiti ben equipaggiati. Il paesino è delizioso, non a caso è considerato monumento nazionale, con un’architettura molto particolare ed essendo Domenica c’è anche un bel mercato.

 

Seconda tappa Arucas, terza città più grande dell’isola, dove si coltivano banane e si produce rum, caratterizzata dall’enorme cattedrale in stile gotico che sovrasta le basse case bianche. Anche qui è piacevole passeggiare per il ben conservato centro storico.

 

Infine raggiungiamo Firgas dove è stata utilizzata la pendenza naturale delle vie pedonali del centro per costruire una bella cascata lunga 30 mt. affiancata da sedili decorati in ceramica. Più in alto sulla pavimentazione sono scolpite le sette isole Canarie con le loro caratteristiche.

 

Decidiamo di rientrare facendo tappa di nuovo ad Aguimes, peccato che in autostrada tra una chiacchiera e una risata ci perdiamo l’uscita e quando ce ne accorgiamo è ormai troppo tardi. Non ce l’abbiamo fatta a vedere questo benedetto paese. O forse è stato meglio così visto che dalle dune stasera assistiamo ad uno dei tramonti più belli che abbiamo mai visto.

 

 

8/1

Sprezzanti del pericolo decidiamo di prendere l’auto e tornare a Meloneras. E ce la facciamo. Mattinata perfetta tra shopping e passeggiate in riva al mare. E pomeriggio distesi al sole in piscina. Dopotutto siamo venuti qui per questo.

9/1

Ultimo giorno. Il tempo sembra buono. Andiamo presto ad Arguineguin, un paesino di pescatori dove al martedì si tiene un grande mercato in prossimità del porto. Poi ci spostiamo ad Anfi Beach (vero nome Playa de la Verga) dove una multinazionale ha costruito un enorme (ma veramente enorme) complesso residenziale e per renderlo più appetibile ai compratori ha costruito una spiaggia artificiale portando sabbia dalle Bahamas. I presupposti ci sono tutti per storcere il naso eppure il risultato è piacevole.

 

Ce ne stiamo distesi a goderci il sole fin quando una serie di grosse nuvole ci fa decidere di rientrare. Il resto del pomeriggio lo dedichiamo ad una lunghissima passeggiata sul lungomare e sulle dune di Maspalomas.

 

 

Concludiamo la nostra vacanza in un anonimo bar sotto ad un anonimo palazzone che però ci serve delle tapas da urlo.

Domani ci attende il clima della nostra Val Padana. Sigh.

Considerazioni finali

Eravamo consapevoli del fatto che Gran Canaria ci sarebbe piaciuta meno delle isole visitate in precedenza, ma l’abbiamo ugualmente scelta come meta delle vacanze invernali in virtù del fatto che tra le isole Canarie dovrebbe essere quella che gode del clima migliore, in particolare nella costa sud. In realtà noi abbiamo trovato praticamente lo stesso clima che abbiamo avuto nello stesso periodo a Lanzarote e Fuertevantura, cioè variabile con temperature più che piacevoli quando esce il sole e in zone riparate dal vento e freschino quando si annuvola. Nell’arco di una giornata il tempo può variare molte volte. Le località della costa sud non sono attraenti (fatta eccezione per alcune) in particolare Playa del Ingles è un susseguirsi di strade e condomini senza alcuna attrattiva e la vita serale/notturna si concentra in squallidi centri commerciali.

Più carina invece la parte nord dell’isola che ha conservato un aspetto più caratteristico e che offre alcune interessanti visite, anche se in genere fa più freddo.

I prezzi ci sono sembrati in media più alti rispetto alle altre isole

Con questo non voglio dire che non sia stata una settimana piacevole, siamo comunque stati benissimo, ma non è certo scattato quel colpo di fulmine che ci farà desiderare prima o poi di trascorrere qui un’altra vacanza.

Un altro diario di viaggio a Cuba… che nostalgia!

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Dal 12 al 29 gennaio io, mio marito ed una coppia di amici abbiamo visitato Cuba. In realtà il nostro viaggio è cominciato un paio di settimane prima con un soggiorno nella Repubblica Dominicana.
Abbiamo viaggiato con Meridiana, ma sinceramente non siamo stati molto soddisfatti del trattamento. Il volo è avvenuto con charter privato della Privilege (spagnola), l’aereo era molto trasandato e il servizio ridotto al minimo indispensabile: un pranzo spartano, ogni sedile fornito di monitor rotto e anche i film trasmessi nel monitor grande non erano udibili. Dal primo pomeriggio fino a sera tarda sono state spente le luci e siamo stati invitati a chiudere gli scuri dei nostri oblo. Verso le 23, ora italiana ci è stato servito uno spuntino. Unico momento positivo è stato l’intermezzo a opera del personale che a mezzanotte italiana, essendo Capodanno, ha improvvisato un trenino su musica latinoamericana.
Il volo di trasferimento dalla Repubblica Dominicana a Cuba è stato operato dalla compagnia aerea locale Pawa di cui non possiamo assolutamente lamentarci.
Per il ritorno ci siamo affidati alla Neos. Anche in questo caso avevamo scelto questa compagnia per effettuare un volo diretto, purtroppo un mese prima della partenza ci è stato comunicato un cambio di programma con uno scalo tecnico a L’Avana (si è partiti da Holguin). In realtà questo iniziale disguido si è tradotto in un vantaggio, visto che ci è stata assegnata d’ufficio la prima classe e abbiamo quindi viaggiato in estrema comodità, serviti e riveriti (e credetemi dopo un soggiorno a Cuba, ci si sente veramente privilegiati!).

Seguendo le informazioni e i consigli raccolti nei vari forum, blog e quant’altro abbiamo deciso di prenotare solo la casa di arrivo a L’Avana e di viaggiare decidendo di volta in volta dove e come. Non essendo ragazzi giovani eravamo un po’ preoccupati, invece muoversi a Cuba è estremamente facile e sicuro, ovviamente bisogna fare un po’ attenzione, contrattare e non avere paura di chiedere. Se si conosce un po’ di spagnolo si è avvantaggiati, ma molti parlano anche l’inglese e comunque con un po’ di pazienza si riesce a comunicare. I turisti a Cuba sono trattati molto bene e la gente è in gran parte molto affabile. Bisogna aver ben chiaro però che si va in un paese che vive una situazione economica e politica non favorevole, non aspettatevi di ritrovare gli stessi servizi e lo stesso trattamento che potreste trovare in paesi europei. Detto ciò, con un po’ di spirito d’adattamento resta una bella avventura alla portata di tutti. Assolutamente positiva la scelta di dormire nelle Case Particulares: certo il servizio non è a cinque stelle, però è ricco di umanità e vi aiuta a conoscere meglio questo paese.

In questo resoconto non mi sono soffermata in modo particolare sulle cose viste o da vedere perché queste le trovate in qualunque guida turistica. Per il nostro viaggio ho utilizzato la Lonely Planet che è ricca di consigli e suggerimenti di visita anche se spesso tendono a dare una visione “romantica” dei luoghi. Spero che la nostra esperienza, i nostri consigli vi possano servire da spunto per una splendida vacanza.

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