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Channel: Diari di viaggio – Il Giramondo
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In Slovenia tra draghi e castelli

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In inverno siamo soliti concederci una piccola fuga dalla quotidianità cercando un’atmosfera tipica del periodo: freddo, mercatini di Natale, luci, vin brulè. Essendoci mossi all’ultimo, abbiamo optato per una meta raggiungibile in macchina e tra le varie destinazioni possibili ne abbiamo scelta una di cui avevamo sentito parlare molto bene ma per noi totalmente nuova (e low cost!): la Slovenia. Ecco il diario di questo nuovo viaggio della mia famiglia: io, mio marito e la nostra bimba di un anno appena compiuto.

GIOVEDÌ 8 DICEMBRE

Partiamo da Trento la mattina presto e in tre ore arriviamo al confine di Gorizia dove ci fermiamo per acquistare la vignetta, un contrassegno da applicare sul parabrezza necessario per circolare sulle autostrade slovene (15 € con validità una settimana). Entriamo così in Slovenia e, attraversando verdi paesaggi e poi boschi, arriviamo in un’oretta alla capitale, Lubiana. Il navigatore ci porta direttamente all’albergo, l’Hotel Center Ljubljana, al limite della zona pedonale. Purtroppo non ha il parcheggio ma ripieghiamo su un garage sotterraneo che si trova proprio dietro l’angolo (29 € per due giorni). Sbrigate le formalità del check-in, usciamo alla scoperta della città. Veniamo accolti da un freddo che entra nelle vene, un freddo umido a cui noi trentini non siamo abituati, molto pungente; per fortuna siamo bene attrezzati con calzamaglie tecniche per noi e sacco termico nel passeggino per la bimba. In un paio di minuti arriviamo alla zona pedonale, la posizione dell’hotel è veramente ottima. In piazza Presernov i mercatini di Natale ci accolgono all’ombra di un grande albero addobbato. Qui le casette vendono solo prodotti gastronomici e noi, essendo ormai ora di pranzo, non potevamo chiedere di meglio. Assaggiamo le famose salsicce locali: veramente buone, anche la bimba (che ormai mangia come noi) apprezza! La piazza è piena di gente che mangia, beve, ride e parla… parla soprattutto in italiano! Ci rendiamo conto che ci sono tantissimi italiani, e la forte presenza dei nostri connazionali ci accompagnerà per tutto il viaggio. Con la pancia piena ora possiamo andare alla scoperta della città. Dalla piazza Presernov vi è l’elegante accesso al centro storico, il Triplice Ponte sul fiume Ljubljanica, così chiamato perché costituito da un largo ponte centrale e due ponti pedonali laterali decorati con balaustre e lampioni.

centro storico

Il centro storico di Lubiana è piccolino e sormontato da una collinetta con un castello che rende il tutto veramente affascinante. Arriviamo alla lunga piazza di Mesti Trg dove si trovano il Municipio e la fontana dei Tre Fiumi, proseguiamo verso la Cattedrale di San Nicola e arriviamo al mercato centrale di Vodnikov Trg. Si sta alzando la nebbia e il freddo si fa sempre più pungente. Decidiamo quindi di tornare indietro verso i mercatini sul lungofiume per riscaldarci con caldarroste e vin brulè. Arriviamo in Presernov Trg giusti per assistere all’accensione dell’albero di Natale.

accensione albero

Piano piano la nebbia comincia ad attenuarsi e il freddo a farsi meno intenso, così ci concediamo ancora una passeggiata sul Lungofiume, brulicante di turisti armati di macchine fotografiche e giovani seduti nei plateatici dei tantissimi bar riscaldati dai cosiddetti “funghi”. Affamati, decidiamo di cenare in una gostilna (ossia un’osteria tipica) proprio sulla strada di ritorno per il nostro hotel. Si chiama Gostilna Šestica ed è la più antica trattoria di Lubiana. Mangiamo tutti e tre molto bene, i piatti sono abbondanti e con prezzi onesti. Ci avviamo quindi verso il nostro hotel e in poco tempo ci lasciamo cadere tutti nelle braccia di Morfeo: questa giornata è stata bellissima ma molto stancante.

VENERDI’ 9 DICEMBRE

Dopo una bella dormita ci prepariamo ad affrontare una nuova giornata a Lubiana con un’abbondante colazione: l’hotel non ha una zona ristorante ma ha una convenzione con un vicino bar dove a un prezzo fisso agevolato si può scegliere tra 3 menu di cui uno italiano (caffè/cappuccino, yogurt, pane e marmellata, frutta). Oggi è meno umido e meno freddo di ieri e ci incamminiamo verso il Ponte dei Macellai, appesantito da banali lucchetti d’amore, e il vicino Ponte dei Draghi, il ponte più famoso e più fotografato di Lubiana, decorato da quattro draghi alati, agghiaccianti e quasi reali.

ponte dei draghi

Il drago è il simbolo di Lubiana, presente su stemmi e bandiere. Secondo la leggenda, Giasone e gli Argonauti dopo aver trovato il vello d’oro dal Mar Nero risalirono il Ljubljanica e si imbatterono in un drago. Giasone coraggiosamente lo affrontò e lo uccise.

Questa mattina sarà totalmente dedicata alla visita del castello che sovrasta la città. Si può raggiungere a piedi con un sentiero acciottolato oppure con una funicolare che parte dalla piazza Krekov Trg. Avendo noi un passeggino da strada optiamo per la salita senza fatica. Il biglietto di 10 euro comprende anche l’ingresso al castello, alla torre panoramica e a due mostre all’interno. La fila per la funicolare è abbastanza lunga e, a sentire le varie chiacchiere, composta quasi tutta da italiani. Considerati i lunghi tempi di attesa, forse molti non sanno dell’esistenza di un’alternativa per raggiungere il castello…

Finalmente saliamo sulla funicolare e in pochi minuti raggiungiamo il grande cortile interno del castello. Al bookshop prendiamo due audioguide e cominciamo l’esplorazione autonoma. Alcuni locali nei sotterranei non sono accessibili con il passeggino così, visto che la bimba nel frattempo si è addormentata, siamo costretti a fare i turni tra stare con lei e avventurarci nei meandri del castello. Nella cappella di San Giorgio c’è un ulteriore richiamo al drago: in un affresco è ricordato lo scontro tra il santo e il mostro alato che secondo l’audioguida sarebbe avvenuto proprio sulla collina di Lubiana. Per salire sulla torre panoramica decidiamo di svegliare la bimba; lasciamo così il passeggino in fondo alle scale e la portiamo in braccio sulla stretta scalinata in ferro battuto. La vista dall’alto della torre è eccezionale: si può godere di un paesaggio a 360 gradi dell’intera città e delle montagne intorno.

vista dalla torre panoramica del castello

Dopo un aperitivo al mercatino natalizio nel cortile del castello, scendiamo in città con la funicolare ed entriamo nell’osteria accanto alla stazione a valle. Peccato che tantissimi abbiano avuto il nostro stesso pensiero: il locale è piccolo e la fila per sedersi è lunghissima. Abbandoniamo subito l’idea di mangiare qui e ci mettiamo alla ricerca di un’alternativa. Scegliamo la trattoria Gostilna Sokol, molto caratteristica, tutta in legno e con un’offerta di piatti tipici sloveni. Scegliamo per la bimba un primo semplice mentre noi ci buttiamo su uno speziatissimo goulasch servito in una scodella di pane. Con la pancia piena ci rimettiamo alla scoperta di Lubiana. Facciamo nuovamente un salto al Ponte dei Draghi per scattare alcune fotografie con il castello sullo sfondo che la mattina il sole accecante ci aveva negato. Ora il cielo si è annuvolato e questa atmosfera ci regala degli scatti molto suggestivi.

drago e castello

Ritorniamo in piazza Mestni Trg e passeggiamo tra edifici barocchi, bar e ristoranti fino a piazza Stari Trg. Arriviamo al Ponte dei Calzolai quando ci appare un tramonto mozzafiato.

tramonto

Ci incamminiamo all’imbrunire sul Lungofiume ammirando le mille luci delle luminarie natalizie che si specchiano nelle acque della Ljubljanica, solcata dai numerosi battelli turistici.

Ljubljanica by night

Andiamo quindi in hotel per riposare un pochino dopo il tanto camminare e per farci una tisana (in camera è presente un bollitore e una selezione di infusi e cappuccini solubili). A ora di cena ci mettiamo alla ricerca di un ristorantino. Bruttissima sorpresa nello scoprire, di locale in locale, che il venerdì sera è necessaria ovunque la prenotazione! Dopo un’ora di sconfortanti giri a vuoto, cediamo al supermercato vicino al nostro hotel. Prendiamo tramezzini e frutta e torniamo in camera ringraziando di aver portato con noi una piccola piastra elettrica e un passato pronto per la bimba per un’emergenza. Questa è un’emergenza e quindi per oggi decidiamo di non uscire più.

SABATO 10 DICEMBRE

Dopo la sostanziosa colazione al bar ritorniamo in hotel per fare il check out. Con nostra sorpresa la receptionist ci lascia un apprezzatissimo travel kit: una borsa con bottigliette di acqua e coca cola, frutta e un sacchettino di sale sloveno. Ringraziamo il personale che in questi due giorni è stato gentilissimo con noi e andiamo al vicino garage sotterraneo a prendere la macchina. Impostiamo il navigatore su Bled e in una quarantina di minuti arriviamo alla rinomata località lacustre. Decidiamo di non andare subito in hotel ma di raggiungere il famoso castello arroccato su uno sperone di roccia poiché la macchina è necessaria se si vuole evitare il sentiero, non accessibile ai passeggini. Acquistiamo i biglietti (10 € cad.) ed entriamo nella fortezza medievale. Strutturato su due livelli, il castello risale all’XI secolo anche se una parte è visibilmente più recente.

castello di bled

Saliamo sui bastioni e infine ci riposiamo sulla terrazza da dove si può ammirare lo splendido panorama del lago con la minuscola Isola di Bled.

isola di bled

Il ristorante del castello è pieno di comitive di turisti e quindi decidiamo di scendere in paese. Lasciamo la macchina al parcheggio dell’hotel (Hotel Krim), facciamo il check in e ci incamminiamo verso il lago. Attratti dal nome scegliamo di pranzare al ristorante Panorama. L’interno è costituito da lunghe tavolate, non c’è molta gente e quindi ci accomodiamo vicino alla vetrata che offre una meravigliosa vista sul lago e sul castello. Ordiniamo del pesce e come dessert la famosa Kremna Rezina, il dolce tipico di Bled, una sorta di millefoglie. Buona ma che botta di calorie!

Il sole splende ed è una bellissima giornata per fare la passeggiata intorno al lago, fattibile tranquillamente con passeggini in quanto in parte asfaltata e in parte su lieve sterrato.

lago di bled

Quando arriviamo vicini all’Isola di Bled abbiamo modo di vedere meglio la Chiesa dell’Annunciazione che la contraddistingue. Si può raggiungere solo con una barca a remi (sul lago sono vietati i mezzi a motore) ma con la bimba piccola e le giornate tanto corte abbiamo lasciato perdere, rimanendo sulla passeggiata lungolago. Ritorniamo al paese di Bled proprio al tramonto del sole. Ci soffermiamo a curiosare ai mercatini di Natale prima e ai negozietti di souvenir poi. Per cena scegliamo un locale vicino all’hotel, il Grill Restaurant & Terrace; troviamo prezzi più alti rispetto agli altri ristoranti di questo viaggio ma comunque di buona qualità e quindi consigliato. 

DOMENICA 11 DICEMBRE

Dopo la colazione a buffet dell’hotel, facciamo il check out e, dopo un ultimo giretto fotografico per Bled, partiamo in direzione Italia con sosta a Predjama/Postumia (vicino al confine). Arriviamo al famoso castello incastonato a metà di una parete rocciosa accolti dalla nebbia. Visti i tempi ristretti e le code previste sulle strade per il rientro dal ponte dell’Immacolata, decidiamo di non entrare e soffermarci solo all’esterno.

castello di predjama

L’aneddoto più famoso di questo castello è quasi comico: il barone Erasmo si era rifugiato nel maniero sotto assedio degli austriaci, i quali alla fine riuscirono con uno stratagemma a colpirlo a morte con una palla di cannone: mentre era seduto sul gabinetto…

Alla visita al Castello è generalmente abbinata quella delle grotte, ma in inverno bisogna controllare le date di apertura. Noi invece ci godiamo una meritata pausa pranzo nell’eccellente e rinomata trattoria tradizionale slovena di fronte al castello (Gostilna Požar). Straconsigliata!

Usciamo dal locale e ci incamminiamo verso il parcheggio. La nebbia avvolge ancora il paese di Predjama. Rimontiamo in macchina e torniamo a casa, felicissimi del nostro viaggio in questa affascinante terra di draghi e castelli, tanto bella quanto sottovalutata.


Stupenda Berlino con recensione video

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Ciao a tutti ragazzi, a gennaio sono stato con mia sorella a Berlino per trascorrere un fine settimana e voglio condividere con voi la mia esperienza sperando di aiutare qualcuno nella scelta di attrazioni da visitare se come noi avete il tempo contato.

ho messo anche la video recensione in due puntate, non sono un professionista quindi no me ne vogliate se sono un regista scarso :-)

Video: parte 1

Video: parte 2

e ora passiamo alla descrizione del viaggio.
Biglietti aerei acquistati a metà dicembre direttamente dal sito Ryanair al costo di 80 euro a persona, orari perfetti con partenza da Bergamo perchè è possibile partire dopo cena senza prendere permessi aggiuntivi al lavoro e per una fuga nel weekend è davvero notevole fare sabato e domenica pieni dato che anche il volo di ritorno è in tarda serata.
Hotel 4 stelle in super offerta su booking a 60 euro per notte, catena Derag.
Dall’aeroporto schonefield dopo le 23 purtroppo l’unico mezzo per arrivare in centro è il taxi perchè non esistono autobus o treni a quell’ora mentre le metro funzionano ma la prima fermata è a 5 km di distanza, per i 20 minuti di taxi spendiamo 40 euro.
Albergo stupendo, molto confortevole.
Sveglia alle 8 e si inizia il giro.
Le attrazioni sono abbastanza concentrate e in un paio di giorni si può vedere tutto senza fare maratone, il primo giorno abbiamo fatto 11,4 km tutto a piedi mentre il secondo giorni 6 km prendendo anche la metro perchè abbiamo visitato attrazioni un po’ più lontane dal centro come lo stadio e lo zoo, entriamo nello specifico:
primo giorno:
Gendarmermarkt che è una piazza con ai lati due chiese identiche distanziate da circa 100 metri l’una dall’altra, al centro troviamo la konzerthause.
Abbiamo percorso ciò che resta del muro di Berlino fino al raggiungimento del checkpoint Charlie uno dei punti più suggestivi della città anche se a conti fatti c’è ben poco da vedere, è una torretta di guardia dove al tempo della divisione delle due Germania era posto il confine tra le politiche americane e sovietiche.
Topographie des terrors è una sorta di museo dove si trovano una sorta di documenti adiacenti il muro di berlino che ricordano le angherie del periodo nero, siamo stati sfortunati perchè tante sono state rimosse non abbiamo capito se per manutenzione o definitivamente.
La tappa successiva è Postdamer Platz, una piazza non troppo grande e con nulla di attraente, è una sorta di smistamento passeggeri di autobus e metro.
Arriviamo al memoriale degli ebrei assassinati, un enorme spiazzo dove sono posti migliaia di pilastri di cemento grigio veramente squallidi e spogli, personalmente non ci è piaciuta la scelta di questa sorta di opera..
Eccoci alla porta di Brandeburgo che pullula di turisti come nulla in Berlino, adiacente alla porta si trova un parco con il palazzo di Reichstag dove abbiamo trovato una manifestazione pacifica di Siriani con cartelli scritti in tedesco e arabo e purtroppo non abbiamo capito quale fosse la motivazione della protesta, c’era un enorme dispiegamento di forze dell’ordine anche perchè la zona è anche dove risiede il palazzo della cancelleria.
Ora di pranzo ci fermiamo in un McDonald’s e poi ci incamminiamo alla volta dell’isola dei musei, un’isolotto con diverse strutture contenenti arte di ogni genere, i musei sono in ordine da nord: Bode museum, Pergamonmuseum, Museum for Islamische Kunst, Neus Museum e Altes Museum e poco più a sud si trova il duomo di Berlino, veramente molto grande e con un parchetto antistante ben tenuto.
Quasi alla fine della giornata ci troviamo in Alexanderplatz dove si trovano diversi negozi di souvenires, centri commerciali, starbucks e altri servizi di ristoro.
Piazza molto grande e anche qui ci sono diversi poliziotti in assetto antisommossa.
Nel ritorno verso l’hotel troviamo un supermercato e acquistiamo l’occorrente per la cena perchè non avevamo intenzione di uscire di nuovo dopo aver preso freddo tutto il giorno, la temperatura si è aggirata attorno ai 5 gradi.
Secondo giorno:
prendiamo la metro acquistando un biglietto giornaliero che è utilizzabile anche per gli autobus e uno di questi ci porterà in aeroporto perchè l’orario ce lo consente a differenza dell’andata in cui le corse erano terminate.
Andiamo a visitare il castello di Charlottenburg (a ovest linea 7 uscita Richard Wagner Platz), sarebbe stato bello visitarlo a primavera con i giardini in fiore….
Tappa successiva stadio olimpico dove gioca Herta Berlino, ma lo vediamo solo da fuori perchè per entrare a visitarlo costa più di quando c’è la partita e va bene tutto ma farsi rubare i soldi per un giro sugli spalti vuoti non mi sembra logico.
Quindi mangiamo sempre da fast food e andiamo allo zoo dove non entriamo perchè faremmo troppo tardi dato che nel giro di tre ore dobbiamo essere in hotel a recuperare i bagagli e sarebbero stati euro buttati, in più dobbiamo ancora vedere la colonna della vittoria passando per il parco che costeggia lo zoo e qualche animale come il rinoceronte e il dromedario si possono comunque ammirare.
Volo di ritorno tranquillo e in orario.
Ragazzi è stato bello condividere con voi questo itinerario e se volete passare a vedere chi siamo i link li trovate a inizio discussione!
ciao e alla prossima!!

Gita di fine estate Montenegro e Bosnia

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Riprendiamo da dove eravamo rimasti, a Murter in Croazia.

Croazia Gita di fine Estate

Murter – Kotor

Le destinazioni principali di questa seconda parte del viaggio sono le bocche del Cattaro, Il Parco Nazionale Durmitor e il Lago Piva in Montenegro e a seguire Mostar in Bosnia Herzegovina.

Da Tisno ci dirigiamo verso l’entrata dell’autostrada e la seguiamo in direzione Dubrovnik (Ragusa) fino al suo termine, uscita Ploce. Da qui in poi sarà tutta via strada, circa 180 Km per entrare in Montenegro. A Klek (Croazia) necessariamente dobbiamo fare frontiera per oltrepassare quel piccolo tratto di territorio attribuito alla Bosnia, dove a Neum c’è il suo sbocco a mare.

Info

Link Mappa da Murter a Kotor

Controllare se la carta verde assicurativa comprende la Bosnia e Montenegro, non fate come qualche merlo che ne era sprovvisto, altrimenti dovrete accostarvi e farla sul posto, sempre che vi troviate in una frontiera frequentata. Capita che alcune compagnie non inseriscano queste coperture, l’una o l’altra se non dietro richiesta, per via del premio più elevato. Nel nostro caso niente di irrimediabile, perdiamo solo mezz’ora di tempo.

Siamo arrivati a Debelj ingresso del Montenegro e stavolta abbiamo tutti sulla carta verde la casellina MNE spuntata. Deviamo verso Herceg Novi da dove inizieremo il periplo delle bocche del Cattaro, il fiordo più meridionale d’Europa.

Chi volesse arrivare in un modo più diretto a Kotor, in alternativa alla panoramica nel punto più stretto delle bocche, appena sotto Herceg Novi in località Kamenari, c’è un servizio traghetto 24H che in pochi minuti sbarca sull’altra sponda a Lepetane.

Le Bocche del Cattaro

Serpeggiamo lungo il bordo del fiordo più bello del Mediterraneo, costantemente abbiamo da un lato questo enorme lago salato e dall’altro la cornice del Monte Lovcen.

Kotor

Quattro siti Unesco in una superficie tanto ristretta, Kotor città, Le Bocche, Il Massiccio del Durmitor e il Canyon Tara.

Alloggiamo all’ Hotel del Porto ma, soltanto perché è a due passi dal centro storico e sulla via di uscita dalla città. Camminare fra i vicoli della città vecchia è una esperienza affascinante, per certi versi ricorda molto Ragusa in pieno stile veneziano.

Qui una rassegna di info utili

Visitmontenegro

Chi viene qui in vacanza e ha del tempo a disposizione, non dovrebbe mancare la salita al Monte Lovcen attraverso la vecchia strada P1 Serpentine, anche chiamata dei cinquanta tornanti, che poi in realtà sono venticinque. Il nastro di asfalto è molto stretto e gli scambi con i mezzi provenienti in senso opposto non sono facili. Per questo motivo a Kotor ci sono molte agenzie che organizzano questa escursione con driver esperti. Certo varrebe la pena dedicarci una giornata, la vista dall’alto sulla baia dai vari punti di osservazione è impagabile, basti pensare che tutte le immagini che immortalano la città e il fiordo vengono da qui effettuate, non serve un drone, per una bella ripresa è sufficiente una buona macchina fotografica.

Da Sapere

Kotor è sulla rotta delle grandi navi da crociera, un andirivieni che in certi periodi dell’anno provoca nella cittadina un affollamento esagerato. Oggi ci soni solo due casamenti in acqua, non si può dire che si integrino con il paesaggio circostante, ma tant’è che questi palazzi del mare sono motore di turismo, difficile rifiutare loro l’approdo, lo sappiamo bene, Venezia può esserne un valido esempio.

Lovcen

Noi partiamo per un giro diverso, scendiamo verso Budva per poi risalire a Cetinje antica capitale del Montenegro. In teoria potremmo fare il giro inverso e ritornare a Kotor via P1 Serpentine, ma non ne abbiamo il tempo. Una volta arrivati al passo e scattate alcune foto, come da programma svoltiamo per una stradina privata a pagamento che permette di salire ancora più in alto sulle pendici del Lovcen, giusto per godere meglio della visuale. Questa variante fa il giro della montagna per poi alla fine immettersi sulla statale, prossima fermata Podgorica.

Link Mappa Tour Cattaro e Bosnia

Podgorica

Appena un cenno sulla ex Titograd, se l’attrazione prncipale è il Millennium BrIdge la capitale può benissimo essere trascurata. Proseguiamo rapidamente, oltrepassiamo Kolasin e poco dopo entriamo nella vallata delineata dal fiume Tara che fa parte del Parco Nazionale Durmitor.

Tara Rver, Canyon, Bridge

La strada scorre per lunghi tratti quasi parallela al Tara, lungo il suo corso il fiume ha creato una vallata che si trasforma poi nel canyon più profondo d’Europa, secondo soltanto al Grand Canyon in USA. Da lontano possiamo già vedere il famoso ponte dove la sosta a Durdevica è resa obbligatoria, non soltanto per sgranchirsi le gambe. Il ponte di per sè sebbene goda di grande fama rimane solo un ponte, non ci vedo niente di così straordinario, ma sappiamo ormai che qui in Montenegro hanno una certa attrazione verso questo tipo di manufatti. Quello che scorre sotto, cioè il fiume Tara, navigabile per circa cento Km è il vero richiamo turistico. La profondità massima del Canyon si dice sia misurata in 1300 metri, ma non certo qui.

La zona è frequentata perlopiù da turisti sportivi amanti del Rafting o della Zip Line, per questo è possibile alloggiare sul posto in campeggio o in alcune pensioni. Un pieno di adrenalina prima di proseguire verso la base del Durmitor sarebbe raccomandabile, peccato che oggi la ditta fornitrice sia chiusa. Voglio dire che non ci penso nemmeno a buttarmi giù appeso a un cavo.

Zipline

Solo pochi Km ci separano da Zabljak la capitale del turismo montano ai piedi del Durmitor. Poco importa che la città sia bruttarella, quello che adesso serve è un bagno caldo e un letto, finalmente siamo in un albergo senza infamia e senza lode.

Fresco di sera bel tempo si spera, al mattino il cielo è limpido, ciò che necessariamente occorre qui per iniziare una bella giornata.

Trekking, chi ama questo tipo di attività può scegliere per diversi giorni mete sempre diverse, a cominciare dal vicino Lago Nero. L’unica cosa da segnalare è quella che prima di iniziare qualunque escursione è necessario dotarsi di una riserva di carburante, cioè l’acqua, non ci sono punti di ristoro o di rifornimento se non in città.

Fra tutti i percorsi che da Zabljak possiamo intraprendere ne consiglio uno che non richiede sforzi, salire in quota di cento metri, in questo caso motorizzati sull’altopiano seguendo le indicazioni Suvodo-Pluzine.

Zabljak- Pluzine

Per precauzione accendo il riscaldamento ma appena giiunto sull’altopiano spengo tutto, nonostante la quota sia attorno ai 1550 metri fa già caldo e posso immaginare il bollore in estate. La strada si snoda stretta per chilometri in una enerme vallata carsica contornata da alte montagne, un capolavoro della natura per bellezza incontaminata dove domina la vetta più alta del Bobotov Kuk a oltre 2500 mslm.

Continuiamo verso il Lago Piva, lasciato alle nostre spalle l’altopiano la strada è tutto un susseguirsi di strette curve, tornanti insidiosi e tanti tunnel scavati e lasciati a roccia viva. In realtà non direi che è pericolosa è sufficiente tenere un ritmo lento in modo da scambiarsi senza patema d’animo con chi proviene in senso contrario, d’altronde guidare e guardare il panorama sono due cose che non vanno molto d’accordo. Meglio prenderla con calma e fermarsi spesso nei vari punti di osservazione.

Dangerousroads zabljak-suvodo

Il tratto più spettacolare è quello che conduce in discesa al ponte che attraversa il Lago Piva nei pressi di Pluzine. Usciti dall’ultima caverna occorre tenersi a destra verso un capanno che vende bibite e chincaglieria locale, al contrario finirete in una spiaggetta, solo bagni di sole, l’acqua pur di colore invitante è marmata.

Pluzine

Piccola città sulle rive del Lago Piva, pittoresca per la sua locazione con niente di altro da segnalare se non per una sosta di breve durata. Scendiamo verso Niksic, seconda città del Paese per importanza, le strade adesso sono in ottime condizioni e ci apprestiamo a varcare di nuovo la frontiera.

 

Ciao Montenegro, entriamo in Bosnia diretti a Mostar. Le strade in Bosnia non sono certo in buone condizioni e per questo richiedono una guida con maggiore attenzione e una velocità ridotta.

Tutti più o meno conosciamo le vicende che hanno coinvolto questa città, non fosse altro per la distruzione, in questo caso sì del famoso quanto prezioso Stari Most che unisce e divide in due parti la città. Nato per unire e oggi ricostruito divide ancora le due comunità, da un lato i croati bosniaci, dall’altro i bosniaci musulmani e ambedue le popolazioni si guardano tuttora in cagnesco. Insomma l’idea di un ponte associato a un’identità comune qui è del tutto errata, infatti la città è divisa in due per qualsiasi cosa.

Pur se oggi divenuta molto turistica è una bellissima città che vale la pena visitare per uno o più giorni, alloggiamo a La Mansion perché si trova vicino al centro storico e  al Ponte Vecchio.

Shangri La Mansion

Ma cosa vedere a Mostar?

Tantissime cose, a partire dall’altro ponticello storto sulla Neretva il Krivia Cuprija, i ponti dell’Imperatore e quello di Tito, il centro storico, le chiese, le moschee, il bazaar orientale, Via Batojava con la sua lunghissima scalinata e così via andante a piedi per la strada più nota della città, Via Kujundzluk chiamata anche Via degli Orefici, dove oggi ci sono più che altro negozietti di souvenir e trattorie.

Qui informazioni utili

Turizam.mostar

A Mostar il trempo passa in fretta e non sarebbe affatto male trattenersi ancora, ma la prossima corsa è già prenotata, stavolta destinazione Spalato-Ancona. 

Intrapresa ormai la via del ritorno sfliamo via senza sostare a Madjugorje, molti turisti abbinano la visita a Mostar con quella di Madjugorje, essendo le due città sulla stessa rotta a distanza di appena trenta chilometri. A Nova Sela entriamo In Croazia per un rapido collegamento autostradale fino al porto di Spalato.

Considerazioni

Chi pensasse di venire in Montenegro per la classica vacanza marina dovrebbe informarsi bene in anticipo, in modo da avere ben chiaro che cosa lo aspetta. Poche sono le spiagge fruibili e tutte esageratamente frequentate. Icona marinera riconosciuta da sempre è Sveti Stefan, bellina da vedere soprattutto da lontano, pur visitabile è un’isola albergo. Su Budva stendiamo un velo e passiamo oltre verso Ulcinj. Qui al confine con l’Albania ci sono grandi spiagge sabbiose dai toni grigiastri che ne ricordano alcune del Delta del Po o della bassa ferrarese, il mare non ho idea quanto sia pulito, diciamo pure di sì, ma l’acqua è di un colore non certo attraente. Bojana island è il luogo più singolare, si tratta di un triangolo alla foce dell’omonimo fiume che segna il confine albanese.

Con la mia compagna entrammo in questo lido per errore una notte di Giugno di qualche anno addietro, cercavamo un posto per dormire e ignari attraversammo il fiume. Prendemmo possesso di un bungalow senza notare alcunché di strano, al mattino nella zona esterna dedicata alla colazione con sorpresa mista a non so che di altro ci accorgemmo che erano tutti con l’armamentario all’aria. Gentilmente ci intimarono a far parte dell’associazione degli ignudi o togliersi dalle scatole, mi dispiacque solo dover ripartire senza nemmeno prendere un caffellatte, lascio volentieri l’indirizzo.

ada-bojana.island.info/

Diverso è il discorso per chi volesse andare in Montenegro con lo scopo di una vacanza itinerante, soprattutto tenendosi di spalle a distanza di sicurezza il Mare Adriatico.

Info per arrivare in Montenegro

Traghetto Bari-Bar

Traghetto via Croazia Ancona-Spalato

Fast Ferry Pescara-Hvar solo stagione estiva

Snav.it/destinazioni/croazia/pescara-hvar

Questa soluzione permette di sbarcare nell’Isola Croata di Hvar a Stari Grad in meno di cinque ore, quindi esplorarla e successivamente a comodo imbarcarsi per la terraferma. 

Hvarinfo

La traversata Sucuraj-Dvreink dura appena 30 minuti per approdare a circa 90 Km a Sud di Spalato.

facebook farang adventure travel/AleSeMiPare

 

 

Saragozza mordi e fuggi

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Capita a volte che si senta il bisogno di staccare dalla normale quotidianità, anche solo per un paio di giorni, di estraniarsi dalla normale routine e allora, anche all’ultimo momento, si cerca un piccolo e rapido viaggio per evadere. Sarebbe più facile fare un breve viaggio in auto, nella nostra bella Italia abbiamo tanti luoghi fantastici, spesso a poche decine o al massimo centinaia di chilometri da casa, ma prendere un aereo e alzarsi in volo permette un maggiore senso di libertà, un maggiore senso di distacco dalla quotidianità. Non è facile però trovare una città visitabile nel solo week end (non avendo altri giorni a disposizione), con tempi e costi ragionevoli, essendo una breve vacanza non prevista.

Come al solito ci viene incontro Ryanair, che ci permette di trovare una soluzione che sembra perfetta: Saragozza con partenza il venerdì pomeriggio e il ritorno la domenica mattina. Un giorno e qualche ora dovrebbero bastare per vistare la capitale dell’Aragona. Saragozza è infatti la quinta città della Spagna per numero di abitanti con oltre 700.000 persone che ci vivono, ma ha una zona centrale molto concentrata e soprattutto è assolutamente fuori dal circuito turistico internazionale, quindi valutiamo che sia proprio quello che stiamo cercando per la nostra vacanza mordi e fuggi.

La partenza è nel primo pomeriggio di venerdì 1 marzo dall’aeroporto di Bergamo. In un’ora e quaranta minuti arriviamo puntuali all’aeroporto di Saragozza. L’aeroporto è moderno e abbastanza grande, ma incredibilmente quasi deserto, al ritorno in tutta la giornata saranno previsti solo due voli, il nostro e uno per Londra. In pochi minuti siamo fuori dal terminal e possiamo iniziare la nostra vacanza “mordi e fuggi”.

Per arrivare in centro c’è il bus numero 501, molto economico, perché costa solo 1.85 euro, ma molto lento perché fa tutte le fermate, ci vuole quasi un’ora per arrivare in centro e poi ci mettiamo una decina di minuti a piedi per raggiungere l’hotel che abbiamo scelto, l’Ibis Saragozza Centro, hotel con una splendida posizione, appena passato il Ponte di Pietra sul fiume Ebro, quindi a pochi passi dalla Basilica del Pilar. Solita struttura tipica della catena Ibis, con camere molto essenziali, ma funzionali e pulite. Staff molto gentile, disponibile a aiutare nelle richieste. Colazione discreta, non troppo costosa se presa con il pacchetto extra saver. Wi-fi non velocissimo, ma comunque presente sia in camera che in sala colazione. Ottimo rapporto qualità prezzo soprattutto per soggiorni brevi di un paio di giorni.

Ponte di Pietra

Lasciamo molto velocemente il nostro zainetto e andiamo verso il centro anche perché il tempo non è bello, c’è vento e all’arrivo piovigginava, anche se ora ha smesso. Appena fuori dall’hotel restiamo ammirati dalla maestosità e dalla bellezza della Basilica del Pilar, dedicata alla Vergine Maria, protettrice di tutte le popolazioni ispaniche, che domina la città. Attraversiamo lo storico Puerte de Piedra, il Ponte di Pietra sul fiume Ebro e siamo già nella grande Piazza del Pilar, che ospita, oltre alla Basilica, simbolo di Saragozza, il Comune, la storica Borsa del Mercanti e, dal lato opposto rispetto al Pilar, c’è l’altra grande Cattedrale di Saragozza, La Seo del Salvador.

Basilica del Pilar

Entriamo subito nella grande Basilica e restiamo ammirati dal tanti fedeli devoti che pregano in silenzio, nelle varie cappelle laterali della chiesa, tutte splendidamente decorate con affreschi e statue. Nella Cappella principale viene appunto venerata la statua della Nostra Signora del Pilar. Facciamo una breve visita nella chiesa, la cui entrata è gratuita ripromettendoci di tornare il giorno seguente, tanto è vicinissima all’hotel e crocevia di ogni posto in cui vogliamo andare.

Lasciamo la Basilica del Pilar e entriamo nella vicina Lonja, l’antica Borsa dei Mercanti, ora diventato un museo sulla storia del commercio in Spagna. L’ingresso è anche qua gratuito, ma la visita è molto veloce e senza particolare interesse.  Iniziamo quindi a incamminarci nei vari vicoletti del centro storico di Saragozza, in quello che viene chiamato “il Tubo”, un susseguirsi di locali di tapas e piccole botteghe artigianali, che sembrano ancora rimaste agli inizi del secolo scorso.

Non c’è molta gente in giro. Saragozza è una città molto diversa dalle altre città turistiche spagnole, Barcellona su tutte, qua è tutto tarato sulle abitudini degli spagnoli. I ristoranti la sera aprono alle 20.30, raramente prima; nel primo pomeriggio, almeno fino alle 16.00, a volte anche fino alle 17.00 è praticamente tutto chiuso, chiese e musei compresi. I turisti sono veramente pochi, anche se mi pare ci sia lo sforzo per provare a incentivare il turismo, ad esempio con la presenza di tre uffici turistici nel giro di poche centinaia di metri, e, in quello in cui siamo stati, in Piazza del Pilar, abbiamo trovato un ragazzo molto gentile che si è sforzato di parlarci in italiano e ci ha consegnato gratuitamente la piantina della città con un foglio informativo (in italiano) con tutti gli orari e i costi delle attrazioni della città.

Purtroppo inizia a piovere e, anche se abbiamo portato gli ombrellini, il vento fortissimo ne rende quasi impossibile l’utilizzo. Entriamo in un locale per fortuna già aperto anche se per i canoni aragonesi è molto presto per cena e mangiamo qualcosa anche se avevo preparato una lista di locali da scegliere, la pioggia e il vento ci hanno fatto cambiare i piani. Per fortuna siamo vicinissimi alla piazza del Pilar, quindi al Ponte di Pietra e quindi al nostro hotel. Speravamo di poter fare un giro serale tra i vicoletti del “Tubo”, la zona della movida, piena di localini, dove si danno appuntamento tutti gli abitanti di Saragozza, ma proprio è impossibile camminare con questo tempo e allora torniamo verso l’hotel e in poche centinaia di metri che dobbiamo fare ci bagniamo all’inverosimile e abbiamo i vestiti che si possono strizzare. Restiamo in camera con la speranza che il giorno seguente (praticamente l’ultimo della nostra toccata e fuga) il tempo sia migliore e, per fortuna, verremo esauditi.

Noi, come sempre in vacanza, ci svegliamo piuttosto presto la mattina, il primo pensiero è al tempo e, con grande soddisfazione, tirando la tenda della camera, vediamo il cielo azzurro, completamente libero da nuvole, c’è sempre un po’ di vento, ma l’importante è che non piova.

Facciamo una bella e abbondante colazione, caricandoci di energie perché ci aspettano lunghe camminate, visto che abbiamo deciso di non acquistare alcun abbonamento ai mezzi, ma di fare tutte le attrazioni a piedi, anche per la disposizione di queste a meno di due chilometri dalla zona del Pilar.

Usciamo verso le 9 del mattino, l’aria è frizzantina per i canoni spagnoli dei primi di marzo e il vento soffia sempre, ma possiamo finalmente ammirare con il cielo limpido la maestosità della Basilica del Pilar che si specchia nelle acque del fiume Ebro. Le foto sono le classiche da cartolina, splendide e suggestive. Siamo quasi gli unici sul Ponte di Pietra a quell’ora e possiamo sbizzarrirci a fare tutte le foto che vogliamo da tutte le angolazioni possibili e immaginabili.

Basilica del Pilar

Decidiamo di camminare lungo la riva del fiume Ebro, prendendo la via più larga per raggiungere la prima meta della nostra giornata turistica di Saragozza, il Palacio de la Aljareria, un castello fortificato costruito ai tempi dell’occupazione islamica dell’Aragona e ora sede del Parlamento regionale della comunità indipendente di Aragona.

Palacio de la Aljaferia

Siamo in ampio anticipo perché il Palacio de la Aljareria apre solo alle 10.00. Ci giriamo attorno, facciamo qualche foto all’esterno e, all’apertura, siamo i primi a entrare nel grande palazzo. L’esterno sembra un grande castello fortificato, eretto a protezione della città, l’interno è un susseguirsi di sale in stile arabeggiante in cui si ammirano soprattutto i soffitti e gli archi all’ingresso in stile moresco.

La visita, fatta in assoluta tranquillità, visto che, almeno all’apertura, non abbiamo trovato grande folla, dura un’oretta. Torniamo verso il centro, questa volta passando per le vie centrali e non più sul lungo fiume, per visitare alcune chiese e musei che ci eravamo prefissati di vedere.

Palacio de la Aljaferia

La prima tappa è la Chiesa di San Pablo e la visita è assolutamente consigliata a tutti se non altro per ammirare l’altare maggiore con la grande pala in legno intarsiato dorato e policromo, che da solo vale la visita. Notevoli anche le facciate, una in stile moresco, l’altra in stile gotico ed alcune cappelle laterali. Vicino alla chiesa di San Pablo ci imbattiamo un una chiesa-museo il Rosario de Cristal. L’ingresso è solo 2 euro e allora entriamo. Sono una serie di statue della Vergine che si illuminano al passaggio del turista e parte la storia di quel determinato Santo in spagnolo. Alcuni racconti proviamo a seguirli, altri passiamo oltre e in una quindicina di minuti siamo fuori.

San Pablo

Tornando verso il centro arriviamo al Museo dei Foro imperiali, proprio poco prima della Cattedrale de la Seo, nella piazza del Pilar. E’ uno dei quattro musei archeologici della città a cui si può accedere anche con un unico biglietto a 7 euro per quattro musei. Questo mi pare il migliore dei quattro. C’è una bella ricostruzione del foro e diversi pannelli audiovisivi con spiegazioni.

Poco distanti, ci sono gli altri musei abbinati, le Terme di Cesare Augusto, un piccolo sito con i resti delle Terme Romane, il Teatro di Cesare Augusto con i resti originali del teatro romano e l’antico Parco Fluviale con ricostruzioni audiovisive in inglese o spagnolo di quello che era Saragozza ai tempi dei romani.

Teatro di Cesare Augusto

E’ ormai ora di pranzo e, come sempre quando siamo in vacanza in città lo facciamo velocemente con un panino. Dopo le 13.00 Saragozza si svuota e tutti i musei, la maggior parte dei negozi e quasi tutte le chiese (con la sola eccezione della Basilica del Pilar) chiudono, quindi decidiamo di tornare in hotel per riposarci un paio di ore e fare il punto della situazione con le attrazioni che ancora volgiamo vedere.

Tornati verso il centro, con ancora alcune attrazioni da vedere, che però sono ancora chiuse e quindi, ben volentieri, torniamo all’interno della Basilica del Pilar per ammirarla nuovamente in tutto il suo splendore. Andiamo anche nel piccolo museo all’interno della chiesa con i tesori e i paramenti sacri. E’ solo una stanza che si visita in pochi minuti, ma l’ingresso, anche in questo caso, sono solo 2 euro a testa. Ci sediamo per raccoglierci in preghiera come moltissimi fedeli e qualche altro turista e veniamo colpiti da una lunga processione di bambini che sono in attesa di essere portati in braccio da un sacerdote per poter baciare la statua della Vergine del Pilar. Non so se sia una consuetudine di quel giorno o di tutti i giorni ma la coda è veramente lunga. All’interno della Basilica del Pilar si respira aria di profonda religiosità, molto più intensamente che in altre chiese troppo sovraffollate di turisti.

Basilica del Pilar

Vorremmo restare più a lungo ma abbiamo ancora da visitare l’altra grande Cattedrale di Saragozza, El Salvador de La Seo, la Cattedrale del Salvatore, sempre nella piazza del Pilar, ma dalla parte opposta. Qua l’ingresso è a pagamento, ma paghiamo volentieri i 4 euro che ci vengono chiesti, perché vale veramente la pena. L’esterno, non tutto visibile dal centro della Piazza, è una facciata senza troppi fronzoli e un normale campanile come tanti e non rende l’idea di quanto grande sia la Cattedrale all’interno, ma appena dentro si resta incantati dalla bellezza che ogni angolo di questa chiesa offre a fedeli e visitatori.

La Cattedrale è ricchissima di opere d’arte nelle tante cappelle laterali in diversi stili architettonici, il tutto sovrastato da un meraviglioso organo. Compreso nell’ingresso c’è un museo al piano superiore dedicato, in questo periodo, ai tappeti d’epoca, nulla a che vedere con le meraviglie che si possono ammirare all’interno della Cattedrale. Ogni cappella è dedicata ad un Santo e oltre alla statua ci sono dipinti, arazzi e altre forme artistiche dedicate al Santo, spesso con stili diversi. L’interno è sicuramente più interessante anche della Basilica del Pilar, la Cattedrale de la Seo è una delle chiese più belle che abbia mai visto.

La Seo del Salvador

Finita la visita della Cattedrale facciamo un altro giro per i vicoletti del Centro di Saragozza da cui eravamo fuggiti di corsa la sera precedente per la pioggia e acquistiamo qualche souvenir da portare a casa mentre ci dirigiamo verso la chiesa di Santa Engracia, una delle tante chiese patrimonio di questa città. Ormai è buio e la facciata è illuminata da grandi luci che la risaltano anche se è collocata praticamente in mezzo ad alcune case. L’interno non è grande e si visita in pochi minuti. Da vedere la pala d’altare decorata e alcune statue di santi.

E’ ancora presto per cena (almeno per gli orari aragonesi) e quindi abbiamo tempo per girare nelle vie centrali, ogni tanto entrando in qualche negozio che ci sembra caratteristico. Oggi, anche grazie al tempo più clemente della sera precedente e forse al fatto che è sabato, c’è molta più gente in giro, anche se per la stragrande maggioranza sembrano locali e quindi confermiamo di essere in una città lontana dal giro turistico internazionale.

Per cena vogliamo cercare un ristorante tipico spagnolo e decidiamo di andare a La Mar Salada, in Calle cinquo de marzo, una trasversale di Paseo de Indipendencia, una grande arteria che dal centro porta verso le periferie. Siamo a un chilometro o poco più da piazza del Pilar, quindi abbastanza lontano dai ristoranti troppi turistici che ci avevano sconsigliato.

Noi siamo pronti davanti alla porta di ingresso ma fino alle 20.30 è ancora chiuso. Aspettiamo pazientemente che apra e poi entriamo trovando molti tavoli prenotati, ma a quell’ora non hanno problemi a trovare i due posti che avevamo richiesto. Prendiamo un antipasto locale e una paella e siamo soddisfatti sia del pasto che della spesa abbastanza modica.

Torniamo a fare un giro nella città e poi tornando verso l’hotel non possiamo non fermarci a fare una serie di foto alla Basilica del Pilar con le luci della notte che si riflette nel fiume Ebro.

Basilica del Pilar

In hotel non ci resta che preparare i pochi bagagli perché la mattina successiva la partenza è presto per il ritorno verso l’Italia. Visto l’orario del volo, preferiamo non perdere troppo tempo e questa volta chiamare un taxi per andare in aeroporto, percorso che facciamo in poco più di un quarto d’ora nelle strade vuote di una domenica mattina di inizio marzo. L’aeroporto è praticamente deserto, il nostro è l’unico volo della mattinata e ce ne sarà solo un altro in tutta la giornata.

Arriviamo puntuali a Bergamo, è stata proprio una toccata e fuga in una città piacevole, economica, tipicamente spagnola, lontana dal turismo di massa. Adios Zaragoza !!!

Da Tallinn a Rovaniemi in Febbraio

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Da Tallinn a Rovaniemi in Febbraio

Una settimana in Febbraio nel nord Europa curiosi di vedere come si vive l’inverno a certe latitudini e con la speranza di vedere l’aurora boreale una volta giunti in Lapponia.

Si parte domenica mattina molto presto dall’aeroporto di Bologna con un volo KLM direzione Amsterdam da dove prendiamo un altro volo, questa volta Air Baltic, che ci porterà a Tallinn capitale dell’Estonia.

L’aeroporto è piccolo e in poco tempo ritiriamo i bagagli e ci ritroviamo nel piazzale degli arrivi, prendiamo un taxi e in una decina di minuti arriviamo nel centro di questa bella città racchiusa da mura medioevali. La temperatura è di -2° e verso sera scenderà ancora ma basterà vestirsi bene per non soffrire il freddo. Alloggiamo nell’hotel Merchant’s, un bel Hotel nel cuore della capitale a pochi passi dalla piazza del municipio che si sviluppa su tre piani all’interno di un palazzo storico con una bella hall decorata da riproduzioni di famosi quadri fiamminghi, cantine ristrutturate per cene e colazioni e anche una bella area relax con sauna, le camere sono nella norma ma con pavimenti riscaldati che in Estonia in inverno vuol dire tanto.

Sistemiamo i nostri bagagli ed usciamo a visitare questa città con il suo bel borgo medioevale, una città dove tutti parlano inglese, piccola con i suoi 400.000 abitanti e facilmente visitabile a piedi. Il traffico limitato all’interno delle mura consente di passeggiare tra le tipiche vie acciottolate in tutta tranquillità, la piazza del municipio è il cuore del centro storico circondata da palazzi colorati e storici edifici come l’antica farmacia ancora funzionante e visitabile, lungo le vie circostanti si trovano stupendi edifici come il famoso ristorante Olde Hansa e caratteristici vicoli dai colori caldi. Decidiamo di fare un pranzo-cena a metà pomeriggio in un bel ristorante con tradizionale arredamento in legno dove mangiamo una buona zuppa di legumi e salmone alla griglia con birra estone di ottima qualità. Gironzoliamo poi per il centro senza un vero itinerario, scattiamo foto un po ovunque tra vicoletti e piazzette con splendidi negozietti artigianali come il suggestivo vicolo Katariin Kaik. Arrivano folate di vento gelido e allora ci si ricorda che siamo in riva al Baltico, siamo anche stanchi e dopo avere scattato foto della piazza sotto le luci della sera facciamo un pò di spesa per avere con noi un minimo di viveri e torniamo in camera.

Lunedì

La colazione del Merchant’s è ottima si va da un buffet ricco e anche atipico per noi, salmone, sardine e altri sapori molto forti e in aggiunta anche un menù alla carta con vasta scelta. Inizia a nevicare e tutto sommato la cosa non ci dispiace, le strade e i palazzi imbiancati rendono a questa città medioevale un tocco fiabesco. Ci vestiamo per bene e ci incamminiamo lungo la Pikk una delle vie principali fino a raggiungere la porta che si affaccia sul baltico, torniamo verso il centro costeggiando le alte mura intervallate da belle torri con i tetti rossi, sotto la neve la città è ancora più silenziosa anche perché è lunedì mattina e molti negozi e locali sono ancora chiusi, come la casa delle teste nere della quale ammiriamo solo il portone. Camminiamo verso la parte nord del centro, ai piedi della chiesa di San Nicola c’è una bella pista per pattinare sul ghiaccio, siamo tentati ma venendo da un recente infortunio sulla neve rinunciamo e proseguiamo verso la collina di Toompea che regala splendidi panorami sul centro storico, le mura, le torri e i tetti rossi della città. Sulla collina oltre al castello sede del parlamento estone domina la grande cattedrale russo-ortodossa dalle caratteristiche cupole a cipolla, poco amata dagli estoni ma molto frequentata dai tanti russi che ancora si trovano da queste parti, per chi fosse interessato a tal proposito c’è anche un bel museo dedicato alla vita in Estonia durante il dominio sovietico. Gironzoliamo tra le stradine della collina dove abbondano negozi di souvenir e soprattutto gioiellerie dove si vendono oggetti in Ambra, scesi di nuovo in centro entriamo in una antica fabbrica di birra che all’interno ospita un grande ristorante in una atmosfera tipicamente nordica, dai costumi delle cameriere all’arredamento rustico e spartano alle decorazioni sulle pareti ricche di attrezzature medioevali, pranziamo con Salmone alla griglia, verdure bollite e birra della casa. Facciamo una pausa di un paio d’ore in camera anche perché fa freddo, per poi tornare in un ultimo giro di shopping e foto in notturna dalla collina di Toompea alla piazza del municipio.

Martedì

Dopo una ricca colazione salutiamo il Merchant’s e ci incamminiamo verso il terminal A del porto di Tallinn che raggiungiamo dopo una camminata di trenta minuti rallentata dalle strade ghiacciate. Andiamo al banco della compagnia navale Eckero dove ritiriamo due biglietti per Helsinki precedentemente prenotati e saliamo sulla nave Finlandia, una nave bella e grande che copre gli ottanta chilometri che dividono Tallinn da Helsinki in due ore e mezza con tanto di intrattenimento musicale e spettacolo di magia passato su comode poltrone, l’avvicinamento ad Helsinki è reso ancora più affascinante da aluni tratti di mar Baltico ancora ghiacciato. Attraccati al porto di Helsinki raggiungiamo la stazione centrale con il tram numero 9 e depositiamo le nostre valigie nelle cassette di sicurezza per poi fare una visita di questa città moderna e poco caotica, raggiungiamo il vecchio porto attraversando l’esplanade, un bel parco che fa da grande spartitraffico, il tutto è naturalmente innevato o ghiacciato ma la giornata è bella e non si soffre troppo il freddo. Giunti a market square la piazza del vecchio porto siamo colpiti dalla bellezza del mare ghiacciato sul quale si riflette il sole, raggiungiamo poi la vicina piazza del senato dove domina dall’alto di una grande scalinata la bianca cattedrale protestante e ci aggiriamo nel quartiere Katanajokka tra vie innevate e canali ghiacciati. Torniamo in market square ed entriamo nel bel mercato coperto con tanti negozietti di prodotti tipici, dalla carne di renna al salmone, caviale ecc. Mangiamo un indimenticabile zuppa di pesce. Il freddo comincia a farsi sentire e restiamo a lungo nel mercato coperto sfruttando anche il wi-fi gratuito che a Helsinki si trova ovunque. Passiamo così alcune ore nei centri commerciali per poi tornare in stazione dove un caso più unico che raro ha voluto che lo stesso giorno e nelle stesse ore dovesse prendere un treno anche Gianluca the Blogger di Viaggia e scopri, dopo i saluti alle 21,30 saliamo sul treno che ci porterà a Rovaniemi, il treno ha un aspetto moderno ed ecologico e le cuccette sebbene siano in stile capsule giapponesi hanno tutto il comfort che serve.

Mercoledì

La notte in treno trascorre serenamente e al risveglio guardando dai finestrini ammiriamo il paesaggio completamente bianco che stiamo attraversando, chilometri di boschi, laghi ghiacciati e villaggi con case in legno multicolore tutto ricoperto di neve. Il viaggio dura 12 ore e dopo una colazione al vagone ristorante alle 10 e 40 arriviamo a Rovaniemi una delle principali città della Lapponia, una vasta regione che comprende il nord di Norvegia, Svezia, Finlandia e una piccola parte di Russia. Il termometro segna -14° e si cammina su uno spesso strato di neve ghiacciata, in venti minuti raggiungiamo a piedi il centro città e il City Hotel dove alloggeremo la notte, nonostante l’orario riusciamo a fare check in e a sistemare i bagagli in camera. La nostra meta è il villaggio di Babbo Natale che dista dalla città un decina di chilometri e raggiungibile con l’autobus un paio di volte l’ora ma noi non vogliamo perdere tempo e con un taxi in pochi minuti siamo all’interno del Santa Claus village dove trascorreremo il resto della giornata.

Prima tappa il centro postale dove tutti sono intenti a scrivere cartoline da inviare in tutto il mondo, ci sono tanti negozietti con souvenir Lapponi, si attraversa il punto che indica il circolo polare artico e naturalmente c’è un enorme albero di natale e un grandissimo pupazzo di neve. Dopo avere messo il timbro Lappone sul passaporto e aver fatto una discreta fila riusciamo ad incontrare Babbo Natale che in un ottimo italiano ci da appuntamento per la notte del 24 dicembre mentre gli elfi ci scattano una foto. Pranziamo in un buon ristorante a buffet per poi incamminarci nei boschi circostanti, volendo si possono fare alcune attività come gite con motoslitta o slitte trainate da cani o renne ma sembrano più trappole per turisti che vere escursioni. Il villaggio chiude alle 17 e dopo le ultime foto prendiamo il bus numero 8 che ci riporta in centro città, piccola tappa in hotel per poi visitare Rovaniemi di sera, moderna, ricca di luci colorate e piena di turisti, siamo a fine Febbraio ma l’atmosfera è quella natalizia, purtroppo la serata nuvolosa ci toglie le speranze di poter assistere ad un Aurora boreale.

Giovedì

Una giornata a Rovaniemi. Scendiamo nel ristorante dell’hotel per un ottima colazione a buffet per poi tornare in camera un paio di ore prima di trascorrere l’intera giornata a -12° 15°, nevica e nevicherà per tutto il giorno. Facciamo check out e lasciamo i bagagli in hotel per poi incamminarci tra le strade innevate, ci dirigiamo verso la parte est dove visitiamo la chiesa principale e alcune strutture pubbliche come comune, teatro e biblioteca opere del famoso architetto Alvar Aalto ma noi apprezziamo di più alcune sculture di ghiaccio fatte da bambini delle scuole elementari. Torniamo verso il centro facendo una sosta allo stadio che in questo periodo dell’anno viene usato dai bambini come campo scuola per lo sci di fondo, sosta riscaldamento in uno dei due centri commerciali e camminata nella via principale dove oltre a diversi negozietti c’è anche un mercatino di oggetti tradizionali, c’è anche una mensa per poveri con tavoloni e panche, il profumo è inviante e ci vengono offerti due piatti di zuppa con carne e verdure, non volendo essere pagati non ci resta che fare un offerta all’associazione che gestisce la mensa. Ci dirigiamo poi verso l’Artikum, il museo dell’artico dove visitiamo usi e costumi della civiltà Lappone e interessanti saloni dedicati alla natura di queste latitudini. Pausa caffè con fetta di torta e poi si esce per una lunga passeggiata attraverso i sentieri che costeggiano il fiume che in realtà riconosciamo solo per i ponti che lo sovrastano dato che attorno a noi tutto è bianco, nevica forte e anche il cielo è dello stesso colore del terreno innevato, se non fosse per la città alle nostre spalle sarebbe difficile potersi orientarsi. Continuiamo la nostra camminata artica tra i silenzi della natura rotti soltanto dai nostri passi e da qualche motoslitta che passa sul fiume ghiacciato, è un atmosfera veramente nuova per noi, nevica da tutto il giorno ma le basse temperature fanno si che non ci bagniamo più di tanto. Tornati in città entriamo da Hesburger una catena fast food finlandese, ormai si è fatto buio, recuperiamo i bagagli e con un taxi andiamo in stazione per prendere il treno che ci riporterà ad Helsinki

Venerdì

Anche nel viaggio di ritorno tutto va per il meglio e alle 9 del mattino ci ritroviamo ad Helsinki 900 km più a sud della sera precedente, come ultima notte in Finlandia grazie anche ad una occasione abbiamo prenotato una camera al Radisson un lusso che devo ammettere ci piacerà molto, siamo anche fortunati perché la camera è subito disponibile così che ci sistemiamo con calma prima di uscire diretti alla piazza del mercato dove prendiamo un traghetto che ci porterà sull’isola di Somellina. Il mare è meno ghiacciato rispetto a quello visto due giorni prima e dopo una navigazione di 15 minuti arriviamo su quest’isola che in passato è stata una fortezza svedese a difesa delle incursioni russe che a loro volta hanno influenzato lo stile dell’isola con le loro costruzioni. La giornata in partenza è bella e regala bei panorami con isolotti circondati dal ghiaccio, sbarchiamo e subito entriamo in un bel localino che ricorda una dacia russa, gustiamo un ottima zuppa di formaggio e renna. Usciamo e il tempo peggiora in fretta, ci incamminiamo lungo la strada principale molto ghiacciata, tanto che preferiamo mettere i ramponcini alle scarpe, verso i bastioni che danno sul mare che a sua volta è completamente gelato regalandoci così uno scenario unico. Comincia a nevicare sempre più forte fino a quasi impedire la vista davanti al nostro cammino, torniamo al molo e col traghetto siamo di nuovo a market place per poi fiondarci nel mercato coperto e gustarci un altra ottima zuppa di pesce. Usciamo e andiamo nella vicina piazza del senato dove c’è l’imponente cattedrale luterana che visitiamo all’interno lasciandoci alquanto delusi, trascorriamo poi il pomeriggio girovagando alla scoperta di nuove zone e pause dal gelo nei centri commerciali per poi tornare nel nostro lussuoso hotel dove ci facciamo una meritata sauna.

Sabato

Dormiamo benissimo in un letto da ricordare, scendiamo per la colazione e ci troviamo di fronte ad un buffet da fare invidia alla dispensa di master chef, lasciamo i bagagli nella hall ed usciamo per un ultimo giro di Helsinki, ci dirigiamo a nord della stazione e raggiungiamo un bel parco completamente innevato dove la gente corre su sentieri ghiacciati senza alcun problema, al centro del parco c’è un lago ghiacciato che noi attraversiamo solo dopo avere visto farlo ad altri, ultimo giro tra le vie moderne e ricche della capitale poi ritirati i bagagli con il treno dalla stazione centrale in mezz’ora raggiungiamo l’aeroporto, check in automatico e volo KLM Helsinki Bologna con scalo ad Amsterdam.

Micronesia per caso Koror Island

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Sono a Bangkok sotto un cielo coperto con a tratti scariche di pioggerella causata dall’alto tasso di umidità, niente di strano per questo periodo, approfitto del meteo capriccioso per regolare dei conti in sospeso. 

Non ho una meta preorganizzata da raggiungere ma devo guardare altrove, se non altro per trovare un clima più piacevole e sul momento non mi viene in mente che Samui. Memore dell’ultima volta che ci sono stato non parto certo con entusiasmo, ma si sa che le cose cambiano e di positivo ho quantomeno da affrontare solo un  breve volo.

Ho preso alloggio in un buon ritiro a Chaweng, località che a mio modo di vedere è il ” bordello” di Samui, naturalmente pieno di italiani in cerca di fortuna. Chaweng non è poi così malaccio è sufficiente distogliere lo sguardo dal mare e immaginare di trovarsi altrove.

Angthong N.P. con speedboat collettiva.

Oh perdindirindina! Non ero ancora passato da queste parti e vi assicuro che è una delle poche cose che vale il tempo perso a Samui. Naturalmente considerato il periodo di punta, Marine Park o no, c’è un traffico che pare di essere in Versilia.

Wua Talap – Mae Ko – Samsao – Wua Kantang

Wua Talap è anche sede dell’ente parco dove in fronte c’è una bella spiaggia e se non fosse per il continuo andirvieni di barche si potrebbe fare un bel bagno, il must resta comunque quello di scarpinare sino al viewpoint da dove si gode di una vista su tutte le altre isole.

Nell’isola di Mae Ko troviamo il lago marino Thae Lai un’altro luogo dei più immortalati.

Per questo scopo è necessario percorrere una lunga scalinata e arrivare a un punto panoramicoHo già visto qualche cosa di simile sull’altra sponda, cioè nel Mare delle Andamane, con la sola differenza che l’Isola della Camera (Ko Hong) è visitabile con una long tail, dal mio punto di “piede” un bel vantaggio.

 

Samsao è una piccola isola proprio sulla rotta di Mae Ko e per questo molto presa d’assalto, belle spiagge e snorkling discreto. 

Wua Kantang è un’altro approdo rituale dove sgranchirsi le gambe.

Conclusione

Dal punto di vista naturalistico affollamento a parte, il contesto è di prim’ordine ma il mare pur con tutti gli abbellimenti possibili resta quello del Golfo di Thailandia. Infine per quanto riguarda Chaweng in sé stessa e la sua litoranea rimango tuttora perplesso. Come previsto a distanza di qualche anno le cose sono assai cambiate ma, non certo in meglio, oggi fra Chaweng e l’antagonista Lamai non ci sono più differenze sostanziali e l’una o l’altra può funzionare da base tanto più che le due località sono facilmente raggiungibili con una vespina. Il giudizio per essere benevolo rimane quello del 2011.

Errare è umano ma perseverare è diabolico, fortuna vuole per l’Arcipelago che sono soltanto opinabili pressoché ininfluenti opinioni.

Ho ancora qualche settimana a disposizione e non posso certo adagiarmi qui ad ammuffire in questo bozzone salato e a giorni alterni puzzolente, mi ritiro al pensatoio per deliberare una nuova spero più attraente destinazione.

La decisione è partorita, Koror o Palau, two è sempre meglio che one. Non sarebbe proprio il periodo climatico adatto ma le previsioni meteo in tutte le salse possibili che ho attentamente visionato non mi dicono così male. Prendo il solito volo di BKK Airways e sono di nuovo alla base, cioè Bangkok. Da qui quasi tutto è possibile, ho prenotato una tratta su Koror con scalo a Manila. 

                                                            

Pillole di Micronesia

Koror o Palau che dir si voglia è una delle Seven Underwater Wonders of the World.

Ospita un numero di siti di immersione talmente numerosi quanto leggendari come ad esempio il Blue Corner, il Jellyfish Lake, Blue Holes tanto da trovarsi in cima ai “top sites” dei subacquei di tutto il mondo. Aggiungiamo a questi una quantità dissennata di relitti della Seconda Guerra Mondiale da rendere questa meta una destinazione completa.

Base dunque a Koror per esplorare la parte Sud dell’isola, questa è l’unica cosa certa. Ci sono tantissimi siti di immersione e molti altri invece più adatti allo snorkling, considerato lo scenario che mi si apre davanti sarebbe stato opportuno fare delle scelte meditate, ma non ne ho avuto il tempo cosicché andrò in perlustrazione un po’ a caso per intuito, badando soprattutto ai miei limiti riguardo la profondità.

Già in fase di atterraggio riesco a vedere la “fungaia” Che spettacolo! quasi non ci credo, eppure è tutto lì sotto. Preso alloggio nella zona marina della città della quale mi disinteresso non  resta che scegliere un appoggio fra uno dei tanti centri di immersione, Sam’s Tours è uno dei più quotati. Fra i numerosi pacchetti che vengono offerti scelgo di dedicarmi al del Dive tour giornaliero tutto compreso, cosicché avrò modo di saltare qualche giorno se il meteo non sarà ottimale.

Da sapere

Oltre alla spesa giornaliera a seconda del tipo di pacchetto che verrà scelto è obbligatorio pagare una tassa/permesso di mmersione di cento USD  valido dieci giorni. Include Jellifish Lake ma non Peleliu, per quest’ultima occorre sborsare altri trenta dollari. 

Sono qui per immersioni di medio livello, ma naturalmente chi non ama questa pratica potrà sempre scegliere di effettuare escursioni che prevedono snorkling e/o kayak. Prendere base a Koror comporta uscire tutti i giorni con una speed boat per mete diverse in direzione sud, dove ci sono le maggiori attrazioni, questa è la soluzione che ho scelto. 

In alternativa chi desiderasse restare per così dire un po’ più isolato potrebbe valutare Carp Island dove si trova un solo resort. Carp Island è a poca distanza da Ngemelis Island, praticamente a dama. Altre possibilità di alloggio si trovano a Peleliu che è l’isola più grande e più a Sud di Koror, molto famosa per le battaglie svoltesi nel periodo di guerra fra americani e giapponesi, in particolare è nota per una spiaggia chiamata Bloody Beach. Nell’isola sono ancora molte le installazioni militari e altrettanti sono i relitti ben visibili. Bisogna comunque considerare che partendo da Koror tutti i siti da visitare richiedono un tempo variabile di navigazione da 40/70 minuti, naturalmente mi riferisco al primo approdo più vicino o più lontano, poi il tour continua fino al pomeriggio con rientro verso le 16/17.

Rock Islands o Southern Lagoon

Iniziamo dal luogo a ragione più osannato, si tratta di 445 isole disabitate a Sud di Koror poste sotto il cappello del Patrimonio Unesco e che vengono rappresentate nel’insieme con il nome di Rock Islands oppure spesso semplicemente come Southern Lagoon.

Non ci sono foto che rendono giustizia a questo contesto marino se non quelle effettuate per via aerea, chi volesse saperne di più può seguire il link. L’immagine delle Seventy Islands è il biglietto da visita che troviamo ovunque.

UNESCO Rock islands Southern Lagoon

Inizio adagio andante

Milky Way 

Si trova sulla rotta dei siti di immersione ed è un classico abbinato a qualsiasi tour. Sfiliamo veloci fra isolotti verdi a forma di fungo è uno spettacolo mozzafiato fino a giungere a quella che è la laguna vera e propria chiamata Via Lattea e localmente definita una SPA naturale. Bagni di fango con proprietà terapeutiche così almeno si dice. Lo sgretolarsi della roccia nel tempo ha formato sul fondale una poltiglia bianca calcarea, come tutti la raccolgo con l’aiuto di un secchio e mi cospargo il corpo. La pratica dovrebbe avere un effetto ringiovanimento rapido, sarà… Io non vedo nulla di nuovo, senonché quando ti immergi con tutta quella roba che hai addosso l’acqua diventa biancastra, insomma sembra di essere a Saturnia. Invece siamo alla fine del mondo, l’acqua della laguna prende diverse sfumature di colore ogni passare di barca o di immersione a causa il movimento del particolare fondale sabbioso.

Jellyfish Lake

Probabilmente il luogo più popolare per fare snorkling ma niente paura, ci immergiamo fra decine di migliaia di innocue meduse, certo bene saperlo che hanno perso le loro difese. Una concentrazione straordinaria già sotto il metro di profondità, più che si scende e più che ci troviamo di fronte a una massa incredibile di gelatina. Se passate da queste parti non fate come gli orientali che immergono la telecamerina montata su un paletto ma buttatevi senza timore.

Mandarin Fish Lake

Sempre nella zona meridionale a Risong Bay, consiglio di includere nel tour uno stop in questo lago, che a dispetto del nome è più che altro una bellissima laguna dalle acque calme verdi e blu, per questo motivo oltre a poter praticare un facile snorkling è meta ideale per gli appassionati di canoa.

Seventy Islands

Passaggio obbligatorio per queste isole iconiche, scegliete la vostra e buon bagno.

Sorvolo in elicottero

Dopo aver visto dal basso questo ben di Dio non ho potuto fare a meno di informarmi sui costi per averne una visione aerea. Per 1 ora e 30 di volo il  costo è di trecentocinquanta dollari, sarebbe dal mio punto di vista fattibile, tanto più che per rima direi ora o mai più ma siccome il tour non comprende le Seventy Islands non se ne fa di nulla. Opzione due sarebbe quella giusta, sorvolo di quasi tre ore comprensivo di quello che mi gusta. Intanto ho preso il contatto e prima della fine si vedrà.

Oggi il tour prevede qualcosina di interessante a livello di immersione.

German Channel

Un canale artificiale realizzato dai tedeschi durante l’occupazione con lo scopo di facilitare il trasporto di minerali. Il taglio della barriera corallina fra Ngemelis e Carp Island ha permesso di collegare la laguna interna e l’ oceano aperto. Si naviga al centro del reef e il solo fatto di percorrerlo è già di per sé uno spettacolo. Nel canale non è possibile fare alcuna immersione a causa del traffico sostenuto, ma a Sud-ovest verso l’imboccatura sono segnalati da boe gli accessi di discesa consentiti, ogni forma di vita marina può essere qui osservata. Oggi a distanza di un secolo non essendo mai stata fatta alcuna manutenzione il passaggio a causa della bassa profondità è percorso soltanto da barche di relativo pescaggio. Insomma si potrebbe definire una tangenziale per il mare aperto, molto scenografica e che percorreremo tutte le volte quando andremo verso i siti meridionali.

Shark City

La barriera corallina a forma di dita di una mano consiste in più punti indipendenti che si estendono verso la superficie, quindi ci si può immergere anche di solo pochi metri accostandosi a una parete praticando il cosiddetto Reef-Hook. Contrariamente a quanto si possa immaginare il sito non presenta difficoltà, gli squali sono per così dire ammaestrati a scopo turistico, serviti e riveriti dal personale che getta nell’oceano pezzi e ossa di pollo al solo scopo di richiamarli. Una volta fatto questo un casino di pescioni risalgono dal fondo per fare la festa. Gli squali sono di medie e piccole dimensioni e non hammo mai morso nessuno, almeno così si dice. Comunque sia ormai è fatta e mi porto dietro un ricordo indelebile.

Siamo a poca distanza da Ulong Island dove è prevista una sosta per ricaricare le batterie. Bellissima isola tropicale con annessi e connessi, anche questa è un’isola adatta e preferita da chi ama scorrere lungo la costa in kayak fra lagune blu e massicci calcarei.

Ulong Channel

L’ultima meta odierna prevede unna veloce immersione presso Ulong Channel, durante la sosta all’omonima isola ci è stato spiegato quale sia il comportamento da osservare una volta in acqua. La profondità è del tutto relativa si tratta di 3-13 metri, la particolarità è la corrente a tratti condita da una particolare turbolenza che non bisogna assolutamente contrastare, ma al contrario assecondare lasciandosi in un certo senso persi trasportare fuori dal canale dove verremo ripresi dalla barca appoggio. Un giro degno di nota, come essere su la giostra cosiddetta “dei calci in culo” al luna park del mondo sommerso. Una volta compreso che bisogna assecondare la corrente, direi che questo biglietto può essere staccato da chiunque abbia un minimo di esperienza.

Koror City

Il meteo non promette niente di buono, non piove ma causa la nuvolosità intensa e diffusa non mi pare il caso di andare per mare. E’ il momento di fare un giro in città senza meta e per questo scopo affitto uno scooter, la guida è a destra e sorprendentemente il traffico è scarsissimo, probabilmente turisti e paluani saranno tutti per mare. La laguna e la collina retrostante è disseminata di hotel per tutte le esigenze ma non immaginatevi posti esotici in riva al mare, qui a Koror non ci sono spiagge ad eccezione di una artificiale ad uso esclusivo di un mega resort. Non è comunque un fatto così negativo considerato che nessuno viene qui per starsene in hotel o in una se pur bellissima piscina, per la verità i canadesi lo fanno , no comment. La città non offre altro se non qualche cavolata di museo che si può tranquillamente tralasciare di visitare così come quella specie di zoo del coccodrillo che non sa di nulla. Ci sono un casino di bar, ma proprio tanti, ciò fa pensare che quantomeno esiste una vita notturna che mi riservo di esplorare. 

Siamo in Micro-asia una visita al night market sarebbe cosa giusta da fare, ma il nome “International Night Market” non è suono adatto alle mie orecchie. Infatti è confermato, se avete visitato un qualsiasi market in Asia questo potete pure dimenticarlo. Più che altro è un mix di bancarelle e ristoranti che offrono cibo messicano, indiano e quanto di altro non locale condito da danze e balli non so dire quanto folkloristici. A proposito dei ristoranti, è utile sapere che molti locali offrono cibo esclusivamente in salsa americana, quindi regolarsi prima di sedersi a un tavolo o direte addio alla dieta mediterranea o quanto meno a quella asiatica che conoscete. Molti sono i locali stile karaoke e happy hour dove si può gustare una buona birra Red Rooster e mangiare male. Mi sembrerebbe di avere inquadrato la faccenda per benino, smentisco quanto ho detto all’inizio, impressione errata, vita notturna animata uguale a zero. Non resta che rassegnarsi, d’altronde questo è posto da sub, ed è noto che questa fattispecie umana tende ad andare a letto presto, scrivente escluso.  

Oggi non sono in vena di immersioni sarà stata la birra rossa che mi ha dato alla testa e poi ci sono ancora nuvolacce grigiastre messe lì apposta per farmi uggia. Decido così di intrufolarmi in un gruppo di gitanti con gli occhi a mandorla e di spendere la giornata avendo per destinazione principale Long Beach, da non confondere con Long Beach Island che sarebbe un postaccio dalle acque simili a quelle del delta del Po. Detto questo per dovere di informazione, andiamo alla vera Long, che detto fra noi ogni posto esotico possiede, almeno di nome.

Long Beach

Si trova vicino a Carp Island e naturalmente raggiungibile solo via barca.

I numerosi gridolini entusiastici dei mie compagni di viaggio orientali sentenziano:– “Paradise” Una lunga lingua di sabbia candida che cresce e si allunga con la bassa marea. Per godere di questo spettacolo della natura è necessario arrivare qui nel momento giusto, cioè prendere un tour che preveda al massimo due destinazioni di giornata, con pranzo al sacco a Long Beach. Al contrario se passerete da qui frettolosamente fra una destinazione e l’altra sarà probabile che non vedrete un tubo. Panorama fantastico con il tratto di spiaggia che si estende nell’oceano con niente attorno garantito.

Mi ributto dentro in questa intricata ragnatela fatta di isole e isolotti, corriamo veloci in questo labirinto di baie e lagune fino ad arrivare a Blue Corner poco a nord di Ngemelis Island.

Blue Corner

Una delle immersioni top al mondo, almeno così è classificata. Di livello intermedio da 15 a 40 metri di profondità, il pianoro inizia a 15 metri e si affaccia su di una parete verticale di cui non si vede la fine. Già a questa profondità la corrente è vigorosa tanto che è necessario agganciarsi con un rampino. Resto in questa posizione in attesa di visite che non tardano ad arrivare, più che altro grossi tonni e barracuda. La tecnica del reef-hook nonostante sia assai praticata resta per me solo un fatto di necessità-virtù, poiché costringe a restare passivamente immobile come affacciato a una finestra. Bello ma senza tanto Sanuk. (Divertimento) 

Per non farsi mancare nulla adesso ci dirigiamo verso l’altro “buco” adiacente.

Blue Hole

Un approccio molto diverso dal precedente, profondità 5/20 metri, la discesa avviene verticalmente sulla barriera corallina senza fastidiose correnti fino all’l’entrata di una grotta, dopodiché il percorso prosegue come sospesi nel blu fra pareti ricoperte di corallo e spugne dove sguazzano un’infinità di pesci multicolore di barriera, fino a raggiungere l’uscita in mare aperto dove non è raro incontrare le mante.

Wreck Diving

Siamo nell’Oceano Pacifico, come non citare la possibilità di dedicarsi a questa pratica. In queste acque si trovano decine di relitti risalenti alla seconda guerra mondiale, quando Palau era una importante base navale giapponese. Chi è qui e ne vuole approfittare può prendere due piccioni con una fava, tuttavia i siti non sono minimamente paragonabili a quelli troviamo nelle Filippine ad esempio a Bunga Bunga Busuanga, per questo motivo mi disinteresso preferendo visitare il tartarugaio.

Turtle Cove  Ngercheu Island 

Sulla barriera esterna ci si immerge attraverso un buco di circa 5 metri per uscirne dopo venti, oltre alle tartarughe il sito è meta di grandi dentici e cernie. Sebbene il braccio di mare da percorrere sia esiguo è’ necessario essere accompagnati da una guida poiché le false vie senza sfondo sono numerose.

Carp Island

Reef per tutti che parte da 30 centimetri e scende a muro fino a venti.

Il sito è frequentato da una grande varietà di fauna marina, per la sua facile accessibilità è indicato per uno snorkling di grande soddisfazione.Vale la pena ricordare, come ho citato all’inizio di questo report che a Carp Island esiste l’omonimo resort, ma dopo avere visto in lungo e in largo la situazione dell’isola e considerato diversi fattori sfavorevoli, sconsiglierei dal mio punto di vista di soggiornarvi. 

Ngemelis Island

Si trova a ovest di German Channel al centro di tutto questo universo emerso/sommerso e quanto a immersioni o snork contende il primato dei migliori siti a Palau. 

In questo contesto di bellezze straordinarie non sarebbe il caso di stilare classifiche, se dovessi farlo prendendo in esame la singola isola che forma l’arcipelago, senz’altro direi che questa è la preferita. Natura pressoché incontaminata, panorami fantastici, spiagge bellissime, mare cristallino e numerosi top dive sites completano il menù che viene offerto giornalmente. Nonostante sia disabitata ci sono talmente tante cose da fare e vedere che occorrerebbe fermarsi qui per giorni.

Fairyland Ngemelis Coral Garden Il Paese delle Fate

Il reef parte dalla superficie e durante la bassa marea si può vedere la barriera corallina emergere. Non ci sono correnti di sorta che ci disturbano, mentre il giardino si estende per tutta l’isola con una pendenza a scendere gradatamente fino a venti metri. Pesci tropicali di tutte le specie e ottima visibilità per Immersioni e/o snorklng facili. 

Ngemelis Wall

Una parete che si erge fino a sfiorare la superficie. Questo acquario naturale è tappezzato di coralli molli di mille colori e spugne in cui nuotano pesci napoleone, farfalla, pappagallo e ogni altra specie tropicale di barriera. I giorni seguenti prima di intraprendere la via del ritorno mi dedico al relax a Mecherchar Island, che oltre a ospitare il Jellyfish Lake è luogo ideale per il dolce far niente sulle sue splendide spiagge. 

Ho cercato di rappresentare in modo sintetico parte di questo viaggio essendo ben conscio di non poter essere esaustivo né sulla lingua dell’arcipelago che si estende a Sud di Koror né tanto meno su quella a Nord che non avuto modo di visitare. Di fatto in ciascuna delle isole che compongono questo arcipelago ognuno può trovare il suo “paradiso” difficile non perdere la testa per uno di questi angoli nascosti. 

Palau Ultima info

Ma che ve l’ho detto che non siamo in Sardegna?

Ad ogni modo pure qui la religione è prevalentemente cattolica, pertanto non ci sono limitazioni nel bere e nel vestire, insomma briahi e ignudi siete i benvenuti.

Dimenticavo del sorvolo in elicottero, sorvoliamo e torniamo a Bangkok dove è necessaria una sosta a causa delle coincidenze, non mi dispiace affatto.

Saluti

Passo dopo passo per tornare a vivere

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Oggi vi racconto la mia storia.
La questione è stata maturata nel tempo, in diversi anni, dopo un evento che mi ha fatto crollare il mondo addosso.

Mancava poco alla maggiore età e avevo tutto: fidanzatino, amicizie, scuola e una vita che scorreva in preda a ribellioni adolescenziali.
A quell’età avevo tanta energia che non sapevo assolutamente come far fruttare nel modo migliore, limitandomi a rimbalzare qua e là come una biglia lanciata con forza.
Nonostante questo io ero la sedentarietà in persona, il divano era il mio migliore amico.

Una sera ho sentito un fortissimo dolore ad una gamba ma non ho dato troppo peso alla cosa.
Il giorno dopo il dolore è aumentato e la gamba si è molto gonfiata, fino a diventare il doppio dell’altra.
Camminare normalmente era ormai diventata un’impresa titanica.

Sono allora andata al pronto soccorso e dopo le mie 4 ore di attesa sono stata visitata.
Diagnosi: trombosi venosa profonda dovuta ad una mutazione genetica. Ricovero immediato.
Senza troppi peli sulla lingua mi hanno detto che avrebbero fatto il possibile ma le probabilità di sopravvivere erano molto basse avevo già un embolo nel polmone.

E’ stato un bel trauma.
Nonostante dicessero che mi sarebbe mancato il respiro, io sono stata bene.
Sono uscita come uno straccio dall’ospedale e ci ho messo parecchi mesi a tornare a camminare come prima.
Ogni movimento mi causava forti fitte di dolore e non riuscivo a fare due passi di seguito senza sentire la necessità di riposarmi a terra, ovunque mi trovassi.

I medici concordavano sul fatto che avrei dipeso a vita da determinate medicine, avrei avuto una gamba più grossa dell’altra, viola, non avrei più potuto prendere aerei, stare troppo tempo in piedi o camminare a lungo. (…)

La cosa divertente è che io oggi non dipendo più da quei medicinali, ho un lavoro che mi porta a stare in piedi tutto il giorno, prendo aerei e vado anche in alta quota in montagna, con le mie belle gambe rosa.

La soddisfazione più grande c’è stata quest’anno, quando con la mia gambetta monca e il mio polmone ferito ho percorso 800 km fino a Santiago de Compostela, per poi tornare comodamente a casa in aereo 🙂
L’ho fatto da sola, sola con le mie forze e vi assicuro che la gamba è sempre rosa!

Sentivo il bisogno di raccontare la mia esperienza una volta per tutte.

Penso siano importanti sul web questo tipo di testimonianze.
Ero restia a parlare ancora di questo tema perché c’è fin troppo in rete e tante persone ne hanno fatto un business, ma ho capito che serve un po’ di chiarezza e che ogni condivisione può arricchire l’esperienza di qualcun altro.

Sono ormai passate alcune settimane dal mio viaggio verso Santiago de Compostela ed oggi non vi parlerò degli aspetti tecnici di questa esperienza (ne ho ampiamente parlato sul mio blog e sul canale youtube MY LIFE IN TREK), vorrei cercare di scrivere nero su bianco ciò che per me ha significato.

Inizio con il dire che i miei piedi hanno attraversato due fasi. Per un buon terzo di cammino sono stati abbastanza sofferenti, poco collaboranti e bramosi di riposo.
Nel resto del cammino hanno gradualmente preso forza e coraggio, finché non mi hanno dato quella fantastica sensazione di non toccare più terra.

Avete mai provato quella sensazione di volare, invece che camminare, mentre cercavate di raggiungere un luogo o una persona?
Io l’ho provata mentre arrivavo alla meta invece di sentirmi esausta.

E’ stato strano, ma molto bello.

Una volta a casa ho visto il viaggio da una prospettiva diversa. Non ero più la ragazza spaurita ed emozionata che chiedeva informazioni prima di partire.
I ruoli si sono capovolti e ora ho tanta forza, sicurezza e determinazione in più.
Sarà stato l’avventurarsi per un viaggio totalmente sola, con uno zaino come casa e unico riferimento; oppure sarà stato capire che la vita non finisce quando ti dicono “tu questo non lo puoi fare”, ma questo cammino ha sicuramente qualcosa di magico che lascia il segno. E non mi sono più fermata.

La cosa più importante che mi ha regalato il Cammino è però stata l’amicizia di tante persone stupende, angeli protettori che non smetterò di avere nella mia vita.
A loro devo molto, come quando mi hanno aiutato a portare lo zaino siccome mi è comparsa una maledetta tendinite!
La cosa più stupefacente di tutte è che ad un certo punto è stato naturale svegliarsi all’alba, infilare le scarpe e macinare 40 km sotto il sole.
E’ stato naturale anche quando ballavo e cantavo, è stato naturale correre con i cagnolini randagi, è stato naturale passare dall’inglese, allo spagnolo, all’italiano in un’unica conversazione.
Quasi un gioco.

E che trauma tornare alla vita di prima, senza più quella sensazione di libertà che solo il Cammino sa dare.
Sento il bisogno di lasciare tante cose di questa vecchia e stantia vita.
Ho bisogno di esplorare nuovi cieli.
Non c’è giorno che io non mi chieda cosa mi riserverà il futuro, sento di essere vicina ad una svolta.

Quanta sicurezza mi ha dato. Quanta positività.

Che dire. ..

A chi parte da Saint Jean Pied de Port vorrei consigliare di tenere lo zaino leggero. Non sono le cose materiali che contano. Senti quell’entusiasmo misto a paura che parte da dentro?
È l’unica cosa fondamentale.
Impara a conoscere il tuo corpo piano piano e non lamentarti dei dolori. .. tanto per qualche strano motivo ogni mattina ti alzi e inizi a camminare.
Quando arrivi alle Mesetas hai due scelte, ascoltare chi ti vuole far paura e saltarle oppure ascoltare te stesso e affrontarle, io consiglio la seconda opzione aggiungendo un po’ di solitudine per riflettere.
E chi ha detto che non bisogna mai voltarsi indietro?
Io facendolo ho visto paesaggi bellissimi e albe da togliere il respiro, però la mia ombra era sempre proiettata in avanti. L’importante è proseguire, mai fermarsi e mai tornare indietro.
Vai avanti.
Quando arrivi al km 100 e ti sale ansia perché i turisti non capiscono cosa stai facendo e tutto è di nuovo commerciale, non ti curar di loro ma guarda e passa.
Guarda!
Bisogna sempre osservare. .. ma poi passa.
Tanto avrai vicino i migliori compagni di viaggio e di vita con cui arrivare alla meta.
Non ti dirò cosa significa arrivare a Santiago, vieni a vedere cosa ti sei perso fin ora.
Non è una vacanza, questo ti cambia la vita in meglio.
Fallo ora. A volte i dopo diventano mai.
Arrivata a Finisterre, la fine della terra, la parola FINE mi angosciava. Ma poi ho visto davanti a me quell’enorme mare di possibilità e ho capito che il cammino te lo porti dentro, a casa, dove ti aspettano tante persone importanti.
Io ora ho un bagaglio fisicamente più leggero ma molto più pesante e ricco di vita rispetto a qualche mese fa.
Sono pronta. Sono forte.
Un grande abbraccio a chi mi è stato vicino, è grazie a voi che ho potuto godermi l’alba al km 0.
BUEN CAMINO NELLA VITA  ATUTTI I LETTORI.

La Macarena

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Siviglia:  Semana Santa  Aprile 2017

 

Volo Vueling non proprio economico che atterra a Siviglia il pomeriggio di giovedì Santo.  E’ la seconda volta che vengo per la settimana Santa per seguire le processioni. La volta precedente, 4 anni fa, avevo seguito numerose processioni, ma quella che mi ha fatto appassionare è stata la Macarena. Non ero riuscito a vedere il suo rientro in chiesa al termine della processione, anticipato per via della pioggia, per cui questa volta non voglio mancare.

Arrivo in centro con comodo bus (4euro) e vado alla cattedrale dove tra non molto cominciano a sfilare le processioni pomeridiane del Jueves Santo come Los Negritos, La Exaltacion, Las Cigarettas, Oracion en el Huerto, la Quinta Angustia, El Valle e Pasion.

Per vedere il passaggio delle processioni ci sono dei posti consigliati strategici che vanno studiati in anticipo e dopo il passaggio nel punto dove si sta, ci si può spostare per rivederne uno nuovo in un altro punto per poi tornare nel punto iniziale e così via. Bisogna stare attenti allo sbarramento che si possono incontrare percorrendo le varie stradine.

E’ sera, le processioni pomeridiane sono finite e sono in attesa di quelle più rinomate che partono dalle loro parrocchie da mezzanotte: la Madrugata. Tutte le processioni del Cristo sono seguite dalla rispettiva Vergine accompagnate dai nazareni, sempre numerosissimi, e dalla banda.

E’ mezzanotte ed inizia il passaggio de El Silencio a seguire il Gran Poder, La Macarena, El Calvario, Esperanza De Triana, Los Gitanos.  Queste processioni sono tutte bellissime, ma il mio interesse è tutto per la Macarena il cui passaggio in Calle Aleman è previsto per le 4 del mattino. Il tempo passa in fretta, io sto in piedi dal pomeriggio e non ho un albergo in quanto prevedo di stare sempre in giro tutta la notte.

Ci siamo! Sento gli squilli della banda, vedo i costumi dei soldati romani che si avvicinano, è proprio lei La Macarena. E’ inutile il paragone con le processioni delle altre parrocchie perché quando passa la Macarena porta entusiasmo sottolineato dai numerosi applausi e boati.

La Macarena rappresenta il Cristo che porta la croce insieme ad altri personaggi come Ponzio Pilato, i Farisei, Barabba, Maria di Magdala e i soldati romani. Il tutto è accompagnato da un corteo di persone che vestono i costumi dei soldati romani e la grandiosa banda sempre con gli stessi costumi.

Da Calle Aleman (dove ero stato la volta scorsa) posso vedere il passaggio della processione in due punti senza spostarmi di tanto, soprattutto posso seguire come curvano a 90° per immettersi su un’altra strada a ritmo di musica, ed è tutto uno spettacolo.

Premetto che le statue sono trasportate da portatori professionisti che presentano una fisicità tipica ovvero sono bassi e robusti e si danno il cambio ogni tot di strada fatta. Le bande musicali sono composte da numerosi componenti preceduti da nazareni. Ogni processione rappresenta un contesto della passione di Gesù cd è diversa per ogni parrocchia.

La Macarena ormai è passata e dopo averla rimirata in più punti finisco di vedere le altre ed ecco che sono le 8 del mattino. Questa volta non voglio arrivare in ritardo per cui mi dirigo pian piano verso la chiesa della  Macarena per assistere al grande spettacolo del rientro in chiesa della statua. Faccio qualche chilometro con la preoccupazione di non fare in tempo ed ad un certo punto sento la musica della banda che accompagna la processione e tiro un sospiro di sollievo.

Cerco di aggirare la processione percorrendo strade parallele per arrivare alla parrocchia in tempo; non è stato molto facile per via degli sbarramenti e di tutta la folla per strada, ma ecco che arrivo in tempo. Ormai sono le 13 del pomeriggio e sotto il sol cocente assisto a quello spettacolo che non avevo fatto in tempo a vedere 3 anni prima.

Il rientro è costellato di una serie di manovre che accompagnano la statua sino al rientro in chiesa ovviamente tutto mosso rigorosamente a ritmo di musica scandito dalla banda. E’incredibile vedere la statua avanzare, girare, danzare in perfetta sintonia col ritmo di musica. Prima del rientro, da un balcone vi sono un uomo ed una donna che innalzano dei canti struggenti con melodie tipiche andaluse. Processione durata 14 ore.

Finito lo spettacolo ritorno in centro per prepararmi al rientro in Italia con imprevisto da me ipotizzato circa l’impossibilità di prendere il bus per l’aeroporto che potrebbe cambiare percorso per via degli sbarramenti. Alla fermata mi ritrovo insieme ad altri italiani con cui decidiamo di prendere un taxi, ma poi prendendo delle info riusciamo a fermare lo shuttle da un’altra fermata ed arrivare con largo anticipo all’aeroporto che mi appare molto medievale.

Ho vissuto molte emozioni nel seguire le processioni che rappresentano un mix tra sacro e profano. Sono stato sempre in piedi senza dormire per quasi 3 notti tutto ripagato dall’emozioni vissute.

Tornerò ancora.

 


Islanda: 14 giorni lungo la Hringvegur

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  • Giorno 1: 07 luglio 2016 (Reykjavik)
  • Giorno 2: 08 luglio 2016 (Penisola di  Snaefellsnes )
  • Giorno 3: 09 luglio 2016 (penisola di Latrbjarg)
  • Giorno 4: 10 luglio 2016 (fiordi occidentali e cascata Dynjandi)
  • Giorno 5: 11 luglio 2016 (fiordi occidentali)
  • Giorno 6: 12 luglio 2016 (Penisola di Vatnsnes)
  • Giorno 7: 13 luglio 2016 (Husavik, Asbyrgi, Dettifoss)
  • Giorno 8: 14 luglio 2016 (Godafoss, lago Myvatn,Dimmuborgir,Hverir)
  • Giorno 9: 15 luglio 2016 (Krafla)
  • Giorno 10: 16 luglio 2016 (Lagarfljot, Jukulsarlon )
  • Giorno 11: 17 luglio 2016 (Hof, Skaftafell, Svartifoss, Kirkjugolf, Fjardrargljufur)
  • Giorno 12: 18 luglio 2016 (Solheimajokul, Dyrholaey, Reynisfjara, Skogafoss, Seljalandfoss)
  • Giorno 13: 19 luglio 2016 (Geysir, Gullfoss, Thingvellir)
  • Giorno 14: 20 luglio 2016 (Raufarholshellir, Seltun, Krysuvikurbjarg,Blaa Lonid )

 

Per le vacanze estive la scelta di quest’anno è ricaduta sull’Islanda, complice anche una buona offerta sui voli e la situazione internazionale che ha reso sconsigliabili molte altre mete.

Così a febbraio dopo aver prenotato il volo e il noleggio dell’automobile cominciamo subito a prenotare gli alberghi utilizzando la piattaforma booking; la scelta si è rivelata vincente dato che  complice il turismo sempre più in crescita e le poche strutture settimana dopo settimana i prezzi salivano e la disponibilità si riduceva.

Dopo aver consultato numerosi diari di viaggio e le immancabili guide cartacee (in particolare Lonely Planet e Touring) definiamo l’itinerario che prevede il giro dell’isola in senso orario con partenza e arrivo da Reykjavik percorrendo la strada principale (Hringvegur) con una deviazione di un paio di giorni verso i fiordi occidentali per un totale di 15 giorni. Come negli altri nostri viaggi abbiamo privilegiato gli aspetti naturalistici e abbiamo cercato di sfruttare il più possibile il tempo a disposizione cercando di toccare quasi tutte le mete che ci eravamo prefissati anche se questo ci ha costretto a volte a tornare sui nostri passi a causa dell’indisponibilità di strutture.

Dopo aver preparato le valigie  con abbigliamento invernale, qualche scorta di cibo e tanta curiosità siamo pronti a partire; ecco quindi il nostro viaggio.

 

Michele, Laura e Nicola (9 anni)

 

 

Giorno 1: 07 luglio 2016 (Reykjavik – 54Km)

Volo IcelandAir delle 07.25 da Monaco di Baviera con arrivo all’aeroporto internazionale di Keflavik alle 09.30.

Ad accoglierci una splendida giornata di sole con una temperatura inaspettata che arriva addirittura a 18 gradi!

Sbrighiamo le pratiche per il noleggio auto e ritiriamo la nostra Hyndai i30 (noleggio da Budget tramite Auto Europe Reservation); la scelta è caduta su una “normal car” poiché l’itinerario che abbiamo scelto non prevede di percorrere piste riservate ai mezzi 4×4 (ovvero tutte le strade che iniziano con F).

Ci fermiamo al primo supermercato della catena di discount Bonus (http://www.bonus.is/) poco fuori dall’aeroporto per fare un po’ di scorta. I prezzi sono più cari rispetto all’Italia, ma niente di trascendentale. Una cosa curiosa: presso questa catena i prodotti da frigo sono conservati in stanze refrigerate per cui se si vuole evitare un bel raffreddore è meglio avere le idee ben chiare su cosa acquistare prima di entrarci!

Percorriamo i 40km che ci separano da Reykjavik e alle 14 parcheggiamo la macchina proprio a fianco della Loki 101 Guesthouse ( http://www.loki101.is/ struttura con bagno e cucina in comune) che abbiamo scelto per la notte (tra l’altro la via della guesthouse è l’unica con parcheggio gratuito che abbiamo trovato in prossimità del centro). Percorriamo pochi metri e ci troviamo di fronte alla chiesa di Hallgrimskirkja e alla statua del vichingo  Leifur Eiriksson (il primo europeo a sbarcare in America). La chiesa dell’architetto Samuelsson è imponente e le sue linee moderne ricordano le colonne di basalto che avremo più volte modo di osservare nel proseguo del nostro viaggio.

Vista l’ora ci dirigiamo verso il centro cercando qualcosa da mangiare; passeggiamo lungo le rive del lago Tjornin (che in islandese significa stagno) e ci fermiamo nel primo locale (una pizzeria). Proseguiamo la visita della città attraversando Piazza Austurvollur (con al centro la statua di Jon Sigurdsson che condusse lotta per l’indipendenza) su cui si affaccia la sede del parlamento islandese (Althingi) e percorrendo le vie del centro. Da piazza Ingolfstorg ancora addobbata per gli europei di calcio che hanno visto la nazionale islandese tra le protagoniste ci dirigiamo al porto vecchio.

Visitiamo la vicina sala da concerto Harpa costruita nel 2011. Le facciate in vetro la fanno apparire come un’astronave attraccata al porto e la visita interna permette di apprezzare i giochi di luce e i mosaici creati dalle vetrate esagonali che come per la chiesa di Hallgrimskirkja ricordano le colonne di basalto.

Percorriamo il lungomare fino alla scultura Solfar di Jon Gunnar Arnason che ricorda una nave vichinga e poi ritorniamo alla guesthouse per prepararci la cena.

Siamo piuttosto stanchi per la levataccia, ma proviamo ad aspettare il tramonto con l’idea di scattare qualche bella fotografia….tutto inutile, alle 23.40 il sole è ancora sopra l’orizzonte; rinunciamo e andiamo a dormire.

 

Giorno 2: 08 luglio 2016 (Penisola di  Snaefellsnes )

Alle 08.30 lasciamo la guesthouse e dopo aver prelevato un po’ di contanti (operazione che si rivelerà del tutto inutile visto che in Islanda si può pagare tutto con carta di credito, parcheggi compresi) imbocchiamo la statale n 1 Hringvegur che con i suoi 1330 km compie un anello intorno a tutta l’isola.

Percorriamo la baia di Reykjavik accompagnati da una bella giornata con delle curiose nubi lenticolari e ci dirigiamo a nord. Attraversiamo il Hvalfjordur attraverso il tunnel sottomarino (pedaggio 1000 ISK) e ci dirigiamo verso Borgarnes dove ci fermiamo per acquistare i panini per pranzo (supermarket Netto).

Alle 11 arriviamo alla nostra prima tappa, Gerduberg: una lunga serie di colonne di basalto alte una decina di metri che emergono dal terreno. Le colonne sono già visibili dalla strada 54 da dove una breve deviazione segnalata conduce in un paio di chilometri al sito. Ci fermiamo una mezz’oretta passeggiando ai piedi delle colonne poi ripartiamo.

Dopo mezz’ora un’altra breve deviazione ci porta alla spiaggia di Ytri-Tunga dove vive una colonia di foche. Ne scorgiamo subito alcune in mare e percorrendo il molo roccioso naturale ne troviamo 5 (tra cui un cucciolo) adagiate sugli scogli e sui tappeti di alghe. Le foche si lasciano avvicinare fino a pochi metri e così trascorriamo un’oretta ad osservare e fotografare questi simpatici mammiferi.

Dopo un’altra mezz’ora (e sono già le 13.30) un’altra deviazione di qualche centinaio di metri dalla strada 574 ci conduce al parcheggio da cui parte il sentiero (circa 500m) che porta alla fenditura di Raudfeldsgja. Si tratta di uno stretto canyon scavato da un piccolo fiumiciattolo; il breve sentiero conduce alla stretta apertura di un paio di metri che è parzialmente percorribile se si è disposti a bagnarsi le scarpe nel torrentello. In questo luogo è ambientata una parte della saga norrena del XIII secolo di Bárðr Spirito di Snæfell; in particolare il protagonista getta il nipote in questo canyon per vendicarsi dei torti subiti dalla propria figlia.

Dopo la breve passeggiata mangiamo i nostri panini e proseguiamo in direzione di Arnarstapi che raggiungiamo in pochi minuti.

Un bel sentiero panoramico di 2,5 km lungo la costa collega Arnarstapi al paesino di Hellnar (8 abitanti); in un’ora di passeggiata ammiriamo splendidi scorci sulla costa frastagliata con colonie di uccelli, colonne di basalto e campi di lava ricoperti di muschio. Alle nostre spalle incombe il vulcano Snaefell con la sua vetta innevata. Proprio questo vulcano era la porta d’accesso al centro della Terra per i protagonisti del romanzo di Verne “Viaggio al Centro della Terra”.

Riprendiamo la 574 in direzione ovest e entriamo nel Parco nazionale dello Snaefellsjokull (www.Snaefellsjokull.is).

Ci fermiamo qualche minuto al punto panoramico con vista sui pinnacoli rocciosi di Londrangar poi proseguiamo per la spiaggia nera di Djupalonssandur che raggiungiamo alle 16.30. Dal parcheggio nei pressi dei bagni un sentiero in discesa conduce a una spiaggia di sassi neri nella quale si trovano le famose pietre del sollevamento, ognuna col proprio nome: Amlodi (incapace) 23 kg, Halfdraettingur (gracile sogliaminima ) 54 kg, halfsterkur (mediamente forzuto) 100 kg e Fullsterker (molto forzuto) 154 Kg. Secondo la tradizione solo chi riusciva a sollevare la pietra da 54Kg poteva imbarcarsi come marinaio.

La spiaggia è contornata da formazioni di lava che secondo la tradizione rappresentano una chiesa degli elfi e una femmina di Troll (kerling) ed è disseminata di frammenti di metallo provenienti dal naufragio del motopeschereccio Eding avvenuto nel 1948.

Trascorriamo un’ora a passeggiare tra i ciottoli neri poi riprendiamo la strada e ci dirigiamo al cono di scorie Saxholl dove una scalinata in ferro di 300m consente di raggiungere la cima del cratere ed ammirare i campi di lava circostanti.

Il nostro programma prevede ora la visita della Penisola di Ondverdarnes che raggiungiamo deviando sulla strada sterrata 579. In breve arriviamo alla spiaggia di Skardsvik con la sua sabbia dorata e lungo la quale nell’estate del 1962 è stata rinvenuta una tomba vichinga contenente lo scheletro intatto e un corredo funebre composto tra l’altro da una spada e la punta di una lancia.

Dalla spiaggia lo sterrato diventa più dissestato e in una ventina di minuti ci permette di raggiungere le scogliere di Svortuloft e il bel faro arancione.

Le scogliere qui sono spettacolari con faraglioni, archi di roccia e colonie di uccelli marini che riusciamo ad identificare grazie alla bacheca posta sul faro che oltre a descrivere l’avifauna racconta la storia del faro e dei cacciatori di uova che si calavano con semplici corde giù dalle scogliere per razziare i nidi.

Il tempo vola e sono già le 19.30; risaliamo in macchina e in mezz’ora raggiungiamo Olafsvik (un migliaio di abitanti) e la nostra guesthouse (Við Hafið, bella struttura con bagno e cucina in comune).

Poiché l’indomani mattina abbiamo appuntamento con il traghetto che ci porterà verso i fiordi occidentali e visto che abbiamo ancora un po’ di forze residue decidiamo di anticipare una tappa e dopo cena ci dirigiamo verso il monte Kirkjufell (463m) e la cascata kirkjufellsfoss.

Dopo venti minuti arriviamo sul posto ed inizia a piovere, ma non possiamo rinunciare; parcheggiamo la macchina nel piazzale prima del ponte e aspettiamo.

Dopo pochi minuti come spesso avviene in Islanda smette di piovere. Lo scenario è da cartolina con la piccola cascata immersa nel verde e sullo sfondo l’originale forma della montagna. La luce non è delle migliori e ricomincia a piovere, ma approfittiamo lo stesso del lungo tramonto islandese per scattare qualche fotografia prima di rientrare alla guesthouse a mezzanotte non dopo aver fatto il pieno di benzina.

 

 

Giorno 3: 09 luglio 2016 (penisola di Latrbjarg)

Sveglia alle 08, colazione e partenza per Stykkisholmur (pop. 1091 abitanti) dove alle 09 dobbiamo prendere il traghetto  Baldur fino a Brjanslaekur. Il cielo è coperto e la temperatura è di 9 gradi. Ritirati i biglietti che avevamo acquistato online (www.seatours.is) ci concediamo qualche minuto prima dell’imbarco per salire al faro Sugandisey posto sulla collina che sovrasta il porto.

Imbarcata l’automobile alle 09 precise il traghetto inizia l’attraversata. Il capitano ci informa che ci sarà vento forte e abbiamo presto modo di verificarlo visto che le onde iniziano ad infrangersi violentemente sul ponte.

Dopo una breve sosta all’isola di Flatey per le operazioni di imbarco/sbarco e due ore e mezza di navigazione sbarchiamo a Brjanslaekur dove non c’è nulla se non il porto. Recuperata la macchina partiamo subito verso la penisola di Latrbjarg seguendo la strada 62 e prendendo poi lo sterrato 612. La strada è molto bella e costeggia il Patreksfjörður. Purtroppo il tempo non migliora, anzi, le raffiche di vento diventano sempre più forti. Alle 14 ci fermiamo a mangiare alla spiaggia di Breidavik ma il vento non ci permette di godere appieno del panorama costringendoci a ripararci dietro un muro per poter consumare il pranzo al sacco.

Alle 14.30 arriviamo alla fine della 612 presso il parcheggio delle famose scogliere di Latrbjarg il punto più occidentale dell’Islanda. Appena parcheggiamo sentiamo il vento scuotere l’automobile!!! Visto che la temperatura è di 7 gradi indossiamo tutto quello che abbiamo a disposizione (maglioni, guanti, sciarpa, berretti, pantaloni antivento, giacca a vento) e come piccoli omini Michelin percorriamo il sentiero lungo la scogliera.

Le scogliere sono alte fino a 400m e davvero impressionanti e dovrebbero essere un paradiso per gli uccelli marini, ma il forte vento non permette agli uccelli di sollevarsi in volo e così rimangono rintanati nei loro nidi. Il vento ci fa letteralmente volare via e se per noi adulti non è un grosso problema (al più affatica la marcia e ci sposta di un metro a destra e a sinistra) per nostro figlio di 9 anni le cose sono un po’ più complicate e siamo costretti a tenerlo stretto per mano e a farlo sdraiare a terra nelle soste. Non va dimenticato che il sentiero corre proprio sul bordo della scogliera (senza protezioni) …quindi un metro più a destra o più a sinistra fa la differenza!!! Percorriamo comunque un bel tratto di scogliera e ogni tanto ci sdraiamo a terra e strisciamo fino al bordo riuscendo così a scorgere alcuni uccelli nei pressi dei loro nidi (gabbiani, gazze marine e soprattutto i bellissimi pulcinella di mare che erano uno dei motivi per cui siamo venuti su questa scogliera).

Dopo poco più di un’ora torniamo alla macchina infreddoliti e un po’ provati dal vento e malediciamo il meteo che ci ha impedito di godere appieno della scogliera e di scattare quelle fantastiche foto che avevamo visto in internet.

Ripercorriamo a ritroso la 612 sempre accompagnati dalle nuvole e dal vento finchè alle 17 arriviamo in prossimità del bivio con la 614 che porta alla spiaggia di Raudasandur; il navigatore ci indica una mezz’oretta per raggiungere la spiaggia quindi ci proviamo. Dopo alcuni chilometri la strada comincia a scendere con stretti tornanti finché si apre davanti a noi la splendida vista della lunga spiaggia rosa di Raudasandur. Parcheggiamo nei pressi di una chiesetta nera; si tratta della Saurbæjarkirkja, l’unica edificio presente in questo luogo. La chiesa è stata costruita nel 1963 nel villaggio di Reykhólar e poi è stata smontata e rimontata pezzo per pezzo in questo luogo al posto della chiesa originale che è stata spazzata via dal vento  nel  1966. Trovata una via di accesso alla spiaggia ci ritroviamo completamente soli in mezzo a chilometri di sabbia e ci godiamo così una breve passeggiata condizionati dalle pozze di marea di impediscono di muoverci liberamente.

Alle 19.30 raggiungiamo l’ostello di Bildudalur (un piccolo paesino di 170 abitanti). L’ostello (http://www.bildudalurhostel.com/) si trova all’interno di un ex supermercato del porto con un arredamento moderno, un’ampia cucina molto attrezzata, numerosi tavoli per mangiare, un’ampia sala con biblioteca e TV. Le camere sono ampie e sono a disposizione numerose docce e bagni. Una delle migliori strutture visitate.

 

Giorno 4: 10 luglio 2016 (fiordi occidentali e cascata Dynjandi)

Partiamo alle ore 9 e percorriamo la strada 619, uno sterrato con molte buche che in 26 Km conduce da Biduladur alla punta dell’Arnarfjordur. Il fiordo non è molto diverso da quelli che abbiamo già visto con begli scorci, spiagge di sabbia e numerosi uccelli. Alla fine della strada incontriamo la casa di Samuel Jonsson un artista locale che ha realizzato nel prato una serie di sculture in cemento. Abbiamo osservato le sculture dalla strada e poiché non erano di nostro gradimento siamo risaliti in auto per tornare a Biduladur. Sinceramente questa deviazione non ha aggiunto molto al nostro viaggio complici forse anche le nuvole che coprivano la vista delle montagne sull’altro lato del fiordo.

Dopo aver fatto il pieno di benzina prendiamo la 63 fino alle piscine geotermali di Reykjarfjardarlaug che raggiungiamo verso le 11.30. Si tratta di una vasca all’aperto in mezzo al nulla posta proprio a fianco della strada. Al momento della nostra visita la vasca era vuota, ma abbiamo usato gli spogliatoi per cambiarci ed accedere alla piscina naturale posta qualche decina di metri a monte proprio in corrispondenza della sorgente geotermale. Qui l’acqua è molto calda (45 gradi) e nonostante la temperatura esterna (9°) abbiamo impiegato un po’ di tempo prima di riuscire ad immergerci. Superato lo sbalzo termico ci siamo goduti la vista delle montagne e del fiordo circondati da un prato fiorito e dalle sterne artiche che sorvolavano la nostra testa a bassa quota per portare il cibo ai piccoli pulcini che si trovavano attorno alla pozza.

Dopo più di un’ora riemergiamo e per la prima volta apprezziamo la fresca brezza islandese che in pochi secondi ci asciuga.

Riprendiamo la 63 che tra scorci su bellissimi fiordi e passi ci porta su spianate rocciose coperte da macchie di neve, piccoli torrenti e cascate e ci conduce alla nostra prossima tappa, la cascata Dynjandi (che significa cascata tonante). Secondo me questa strada è quella che ci ha offerto i migliori panorami islandesi complice anche il bel tempo che oggi ci accompagna (insieme all’immancabile vento).

Raggiungiamo il parcheggio alle 13.30 e consumiamo il nostro pranzo al sacco sui tavolini posti alla base del sentiero che sale fino alla cascata.

Seguiamo il sentiero che passando a fianco di piccole cascate ci conduce fino alla base della cascata principale da dove oltre alla cascata è possibile ammirare la baia di Dynjandivogur in cui la cascata si getta. Lungo il sentiero è possibile ammirare la flora che cresce in questo ambiente umido (abbiamo visto anche delle piante carnivore del genere pinguicula) e scovare tra le rocce alcuni blocchi di basalto ricchi di cavità cristallizzate ( abbiamo trovato qualche bel campione di cabasite).

Alle 16 partiamo in direzione Isafjordur e ci fermiamo per una breve sosta al Jon Sigurdsson Museum di Hrafnseyri, un piccolo museo (che non abbiamo visitato) che sorge in prossimità della casa natale del leader del movimento d’indipendenza islandese accanto al quale si trova una chiesetta e tre graziose casette di torba molto fotogeniche.

Riprendiamo la strada sterrata 60 che non smette di regalarci bellissimi panorami sui fiordi occidentali e dopo aver attraversato il tunnel di 9 km  Isafjordur – Flateyri arriviamo a Isafjordur (2500 abitanti) la “capitale dei fiordi”. Facciamo la spesa al supermercato Bonus pochi minuti prima della chiusura e ci dirigiamo in centro con l’intenzione di visitare l’ Isafjordur Maritime Museum che però è già chiuso; non siamo ancora abituati alle ore di luce dell’Islanda, ma l’orologio non sbaglia: sono già le 19! Vista l’ora decidiamo di mangiarci un hamburger e patatine all’Hamraborg dove tra turisti e locali assistiamo al primo tempo della finale del campionato europeo di calcio.

Stanchi risaliamo in macchina per percorrere i pochi chilometri che ci separano da Bolungarvik (993 abitanti) dove, nei pressi del porto, si trova la nostra guesthouse Einarshusid, una casa padronale del 1902 con un piccolo ristorante al piano terra e 4 accoglienti stanze al piano superiore arredate in stile inizi Novecento (2 bagni in comune, senza cucina).

 

Giorno 5: 11 luglio 2016 (fiordi occidentali)

La giornata di oggi prevede parecchi chilometri di panorami tra i fiordi, ma al nostro risveglio troviamo cielo grigio, pioggia e una temperatura di 9 gradi.

Visto il meteo che rovinerà in parte i panorami decidiamo di integrare la giornata con la visita a un museo. Siamo in dubbio tra il museo marittimo di Isafjordur, il centro di ricerca sulla volpe artica e il museo all’aperto della pesca di Osvor (http://www.osvor.is/); lasciamo la scelta a nostro figlio Nicola che opta per quest’ultimo così alle 09 lasciamo la guesthouse e ci dirigiamo al museo posto proprio al termine del tunnel che da Isafjordur conduce a Bolungarvik. Facciamo i biglietti (950 ISK gli adulti, bambini gratuiti) e attendiamo che il curatore del museo e nostra guida finisca di indossare la sua “divisa” costituita dall’abbigliamento utilizzato dai pescatori del XIX secolo ovvero giacca, pantaloni e copriscarpe di pelle d’agnello e guanti con doppio pollice che possono essere indossati in entrambi i versi. Visitiamo la ricostruzione delle case con tetto in torba  in cui risiedevano i pescatori contenenti gli arredi e gli strumenti originali, una vecchia barca per la pesca e un essicatoio per i pesci, sempre accompagnati dall’inquietante ma simpatica presenza della nostra guida pescatore che con poche parole in un misto inglese/islandese ci racconta la vita dei pescatori nel Novecento e la funzione degli strumenti di lavoro. Dopo qualche minuto si unisce a noi una comitiva di austriaci con una guida che traduce i monosillabi del nostro pescatore in lunghi discorsi in tedesco.

Finita la visita scattiamo qualche foto al vicino faro di Bolungarvik circondato da piante di  lupini.

I lupini (Lupinus nootkatensis)  sono una leguminosa originaria del Nord America con fiori viola onnipresenti in Islanda lungo i bordi delle strade e nei prati. La pianta è stata introdotta nell’isola nel XX sec. per combattere l’erosione grazie alla sua funzione di fertilizzazione del terreno che consente l’attecchimento di nuove specie vegetali alle brulle colline islandesi.

Ripercorriamo il tunnel e ci fermiamo nuovamente a Isafjordur per fare benzina e per vedere il monumento ai marinai e l’arco in osso di balena nel piccolo parco cittadino.

Alle 11.30 prendiamo la 61 e iniziamo a percorrere i numerosi fiordi che contraddistinguono questa costa.

Giunti all’imbocco del Skotufjordur  ( 65°59’42.47″N  22°49’8.31″O  qualche centinaio di metri a nord del Litbaer Cafe), la nostra attenzione viene attratta da una piccola colonia di foche con una decina di individui sdraiati sugli scogli proprio a fianco della strada. Lasciamo la macchina a bordo strada e saltelliamo tra gli scogli e le alghe per avvicinarci il più possibile alle foche; trascorriamo mezz’ora scattando foto e ammirando i simpatici animali che riposano sugli scogli e nuotano nelle fredde acque. Ripartendo scopriamo che un centinaio di metri più a sud c’è un’area di sosta fornita di binocoli per poter ammirare le foche (i binocoli sono all’interno di una scatola di plastica su un tavolo di legno).

Ci fermiamo per consumare il pranzo al sacco sempre accompagnati dalle nuvole e ci concediamo poi una piccola deviazione fino a Drangsnes dove proprio a fianco della strada sono presenti delle piccole vasche geotermali. Nicola insiste per fermarsi a fare il bagno, ma il freddo e soprattutto il forte vento ci dissuadono, così ripartiamo in direzione Hvammstangi (560 abitanti) dove pernotteremo all’Hvammstangi Cottages (Hvammstangichalets.webs.com) che raggiungiamo alle 19. Come suggerisce il nome si tratta di una struttura formata da 9 piccoli cottages con bagno privato e angolo cucina. Dopo cena mentre pianifichiamo la giornata successiva a mezzanotte ci sorprende uno splendido tramonto che infiamma il cielo.

 

Giorno 6: 12 luglio 2016 (Penisola di Vatnsnes)

Il programma di oggi prevede la visita della penisola di Vatnsnes alla ricerca delle colonie di foche che sappiamo essere presenti lungo le coste della penisola. Una bella abitudine degli islandesi è quella di porre degli ottimi cartelli informativi nei pressi delle aree di sosta che illustrano i punti di interesse della zona; prendiamo quindi nota di alcune mete che non sono segnalate sulle nostre guide e iniziamo ad esplorare la penisola percorrendo la strada 711.

Dopo pochi chilometri troviamo l’indicazione per Anastadastapi. Un breve sentiero ci permette di scendere la scogliera fino a questo scoglio coperto in parte da vegetazione che si staglia pochi metri dalla costa. Il contrasto di colori del blu del mare, il nero dello scoglio e il verde delle piante che lo ricoprono è spettacolare.

Proseguiamo qualche altro chilometro e troviamo la colonia di foche di Svalbard. Anche qui un breve sentiero costeggia la costa e ci permette di avvistare una decina di foche che nonostante la fredda giornata riposano sdraiate sugli scogli.

La seconda colonia che incontriamo a Illugastadhir ci da maggiori soddisfazioni, infatti un sentiero conduce a una postazione di osservazione che si affaccia su un piccolo canale da dove sullo scoglio di fronte possiamo ammirare, seppur in lontananza più di 50 foche.

Superata la punta della penisola troviamo il parcheggio dal quale si diramano due sentieri: il primo a sisnistra conduce al Faraglione di Hvitserkur e il secondo a destra porta alla colonia di foche di Osar. Prendiamo il primo sentiero che conduce ad una terrazza panoramica proprio sopra il faraglione. Hvitserkur in islandese significa camicia bianca per la quantità di guano che gli uccelli marini depositano sullo scoglio, ma la tradizione gli restituisce dignità immaginandolo come un troll sorpreso dal sorgere del sole mentre cercava di distruggere il monastero di  Thingeyrar.

Consiglio di percorrere il ripido sentiero che dal punto panoramico conduce al mare da dove potrete ammirare da vicino i 15 metri dello scoglio e da dove potrete raggiungere la colonia di foche di Osar percorrendo la lunga spiaggia nera senza dover risalire al parcheggio. Questa colonia ci ha permesso di concludere in bellezza la nostra “caccia” alle foche dato che siamo riusciti a vedere sulla riva di fronte a noi più di 180 foche!!! L’incontro non è stato ravvicinato come sulla spiaggia di Ytri-Tunga, ma il gran numero di esemplari vale sicuramente la visita.

Dopo aver mangiato proseguiamo verso Glaumbaer, ma visto che abbiamo un po’ di tempo ci concediamo una deviazione sulla strada 717 fino al vicino Borgarvirki castle: un anfiteatro naturale formato da colonne di basalto poste in cima a una collina usato secoli fa come fortezza difensiva grazie alla costruzione di mura. Una scalinata consente di raggiungere la cima da cui si gode un bel panorama.

Riprendiamo la strada sterrata e non appena ritorniamo sulla 1 deviamo subito sulla 715 per raggiungere le cascate di Kolugljufur, belle cascate che scorrono in un piccolo canyon percorribile con un breve sentiero.

Riprendiamo la strada principale e con una breve deviazione raggiungiamo la fattoria di torba del XVIII secolo di  Glaumbaer. Scendiamo dall’auto per pochi minuti accompagnati da una fitta pioggia e passeggiando attorno alle case di torba, ma decidiamo di non entrare e di dirigerci subito verso la nostra guesthouses a Akureyri; attraversiamo la bella valle dell’Oxnadalur con il caratteristico profilo della guglia di Hraundrangi (1075m) e qui scopriamo che gli abitanti dell’area hanno combattuto una battaglia a suon di firme per evitare che il paesaggio fosse deturpato dall’installazione di alti piloni dei un elettrodotto. Alle 18,30 giungiamo al Lonsa Guesthouse (http://lonsa.is/) che ci ospiterà per 2 notti: una bella struttura con un ottimo rapporto prezzo/qualità con camere ampie e una grande cucina comune ben attrezzata. Prepariamo la cena e andiamo a fare un giro in centro ad Akureyri (pop 17.930) dove su una collina accanto al centro sorge la chiesa Akureyrarkirkja costruita nel 1940 su disegno dell’architetto Gudjon Samuelsson (lo stesso della chiesa di  Reykjavik della quale richiama le linee con le strutture colonnari a richiamare le colonne di basalto). Passeggiamo lunga la via principale Hafnarstraeti sulla quale si affacciano negozi, locali e una bella libreria.

Ci colpiscono i semafori  di Akereyri poichè il cerchio rosso è sostituito da un bel cuore; scopriamo che ciò è dovuto all’iniziativa “Smile with your heart” volta a infondere pensieri positivi negli islandesi dopo la grave crisi economica che ha colpito il paese.

 

Giorno 7: 13 luglio 2016 (Husavik, Asbyrgi, Dettifoss )

Partiamo alle 08 da Akureyri diretti a Husavik (pop 2200) dove alle 10 abbiamo appuntamento per un’escursione in barca a caccia di balene. Mezz’ora prima dell’imbarco, presso l’ufficio della NorthSailing presso il porto confermiamo i biglietti che avevamo prenotato online http://www.northsailing.is/

Puntuale la barca lascia il porto e inizia la navigazione nella baia. Ci vengono subito fornite delle tute imbottite per ripararci dal freddo vento; noi eravamo già dotati di pantaloni antivento guanti berretti e giacche a vento, ma accettiamo volentieri l’ulteriore indumento che ci rende un po’ goffi nei movimenti e ci uniformizza agli altri passeggeri (circa una quarantina di persone).

Mentre prendiamo posto sulla torretta della barca per godere di una più ampia visuale l’equipaggio ci illustra le specie di cetacei che popolano la zona, le manovre di avvicinamento e le modalità per segnalare eventuali avvistamenti. La baia di Husavik (Skjalfandi) è la capitale islandese del whalwatching grazie a due fiumi che vi sfociano apportando sostanze nutritive che danno luogo a fioriture di plancton attirando cetacei quali megattere, balenottere e capodogli.

Nelle 3 ore di navigazione abbiamo avvistato alcuni delfini (Lagenorhynchus albirostris), una balenottera minore (Balænoptera acuto-rostrata), alcune megattere  (Megaptera novaeangliae) e pulcinella di mare a caccia di pesci vicino alla barca. La barca segue una procedura di avvicinamento alla balena che ci consente di avvicinarci fino a qualche decina di metri.

Rientrati in porto alle 13.00 lasciamo subito Husavik poiché la giornata di oggi è  ricca di cose da vedere. Ci fermiamo per mangiare in una piazzola di sosta a nord del paese con una bella vista sulla baia e poi proseguiamo verso il parco nazionale di Jokulsargljufur

Il programma prevedeva la visita dell’area di Hljóðaklettar con le sue formazioni basaltiche e i crateri rossi, ma giunti all’incrocio con la 862 scopriamo che l’accesso è consentito solo ai mezzi 4×4 (sulle nostre guide invece era indicata accessibile seppur con terreno dissestato). Proseguiamo quindi fino al visitor center dell Ásbyrgi National Park e decidiamo di percorrere il sentiero A1 (1km) che conduce al laghetto Botnstjörn e a una piattaforma rocciosa che consente di avere una vista d’insieme sul canyon. Il canyon di Ásbyrgi ha una larghezza di 1 chilometro con pareti alte 100m e la forma di ferro di cavallo al centro del quale si erge una formazione rocciosa chiamata Eyjan, l’Isola. Secondo la leggenda il canyon è stato originato dall’impronta di uno degli otto zoccoli di Sleipnir, il cavallo di Odino. In questo caso però la realtà supera quasi la fantasia: il canyon infatti è stato scavato da un enorme jokulhlaup (un’inondazione conseguente a un’eruzione subglaciale) originatosi a seguito dell’eruzione del Grimsvotn 150 km più a sud. A differenza del resto del territorio Islandese dove è praticamente impossibile trovare alberi, all’interno del canyon è presente un fitto bosco di betulle nel quale secondo la leggenda trova riparo il popolo nascosto (in islandese Asbyrgi significa “rifugio degli dei”).

Proseguiamo percorrendo la strada 864 che percorre il lato orientale del Jökulsárgljúfur. Sulla guida la strada era descritta come molto dissestata, ma in realtà abbiamo trovato un fondo molto liscio che ci ha permesso di percorrerla molto velocemente. Poco dopo aver imboccato la strada ci fermiamo a un punto panoramico che ci permette di osservare il fiume Jökulsá á Fjöllum  che oggi scorre un paio di chilometri più ad est rispetto al canyon di Asbyrgi. Proseguiamo fino alla cascata di Hafragilsfoss (Cascata del Canyon della Capra) la più settentrionale delle cascate del Jökulsá á Fjöllum. La deviazione verso la cascata porta in un paesaggio alieno con lo strerrato che attraversa un’area resa completamente rossa dalle scorie vulcaniche (gli ultimi metri prima del parcheggio sono un po’ impegnativi a causa di un dosso pieno di buche, ma nulla che non si possa superare con un po’ di attenzione). Questa cascasta merita una sosta non tanto per la sua maestosità (27 m di altezza e 91 m di larghezza) ma per il contesto nella quale è inserita: la possiamo ammirare dall’ alto percorrendo un sentierino sui bordi del canyon.

Dopo pochi chilometri una nube d’acqua che si solleva dal terreno ci annuncia che stiamo per raggiungere la ben più nota cascata di Dettifoss (cascata dell’Acqua che Rovina) che con i suoi  44 m di larghezza i 100 m di larghezza e la portata media  di 200metri cubi al secondo è la più potente cascata europea. Il sentiero permette di giungere sul bordo della cascata e di ammirarne la potenza.

Proseguendo per un chilometro (una mezz’ora) lungo il sentiero che costeggia il fiume tra le rocce si giunge alla più meridionale delle cascate: Sellfoss. Anche questa cascata merita la camminata per raggiungerla: questa volta non per la sua maestosità visto che è alta poco più di 10 metri ma per il colpo d’occhio dato da un lungo fronte da cui scendono numerosissime cascate che si fondo l’una con l’altra in un unico muro d’acqua.

Alle 19 ritorniamo alla nostra macchina e stanchi percorriamo le due ore di strada che ci riportano alla guesthouse da cui siamo partiti stamattina costeggiando la riva settentrionale del lago Myvatn a cui sarà dedicata la giornata di domani.

 

Giorno 8: 14 luglio 2016 (Godafoss, lago Myvatn,Dimmuborgir,Hverir)

Alle 09 usciamo e finalmente splende il sole! Ripercorriamo a ritroso parte della strada fatta ieri e ci dirigiamo alla cascata Godafoss o cascata degli dei così chiamata perché secondo la tradizione l’oratore delle leggi dopo aver optato durante l’assemblea generale  dell’ Alþingi per l’adozione del cristianesimo nel suo ritorno a casa gettò nella cascata i simulacri delle divinità pagane.

Sono presenti due sentieri che consentono di visitare entrambi i lati della cascata alta 12 metri e larga 30m. Anche questa cascata è piuttosto scenografica con il suo anfiteatro e la bella giornata aiuta ad esaltare il blu delle sue acque.

Dopo un’ora (11.00) ripartiamo e in mezz’ora raggiungiamo le sponde meridionali del lago Myvatn e in particolare l’area dei Pseudocrateri di Skutustadir

Scendiamo dalla macchina e scopriamo subito l’origine del nome del lago (Lago Myvatn = lago dei moscerini): nuvole di moscerini ci circondano entrandoci nel naso e nelle orecchie; alcuni turisti indossano delle retine sul viso per proteggersi, ma fortunatamente questi moscerini non pungono per cui a bocca chiusa imbocchiamo il sentiero più breve che ci permette di visitare in 30 minuti i pseudocrateri che si affacciano sulla riva del lago (a destra un sentiero più lungo consente di avvicinarsi alle zone di nidificazione della numerosa avifauna presente).

I pseudocrateri sembrano dei piccoli vulcani , ma in realtà sono stati originati dalle esplosioni sotterranee causate dall’incontro della lava incandescente con l’acqua presente nel terreno.

Ci spostiamo per pranzo nell’area del campo di lava di Dimmuborgir dove incontriamo un gruppo di nostri amici che stanno visitando l’Islanda in questi giorni con un itinerario in senso antiorario (al contrario del nostro). Dopo aver pranzato presso alcuni tavolini nell’area di sosta percorriamo insieme il sentiero Kirkjan (anello di 2,3 km) che si inoltra tra i pilastri di lava fino a giungere a una bella grotta chiama la chiesa (Kirkjan). Le formazioni di lava di  Dimmuborgir si sono formate circa 200 anni fa quando una vasta eruzione del del Threngslaborgir e del Ludentarborgir ha formato in questo luogo un vasto lago di lava. La superficie del lago si raffreddò formando una cupola e in seguito la lava fluì via lasciando i pilastri che ancora oggi possiamo osservare.

Dopo esserci scambiati impressioni e suggerimenti sui luoghi visitati alle 16 salutiamo i nostri amici e ci dirigiamo a nord fermandoci nei pressi dell’area geotermale di Bjarnarflag dove un piccolo lago artificiale di color turchese chiamato laguna blu è ciò che resta di un impianto  di trasformazione delle diatomee (un’alga di cui è ricco il lago Myvatn) per la produzione di diatomite (componente essenziale della dinamite). La fabbrica chiusa nel 2004 sfruttava l’energia geotermica per essiccare i fanghi contenenti le diatomee. Accanto alla riva del lago è presente una sorgente di acqua calda, soffioni di vapore e una piccola centrale geotermica.

Superato il passo di Námaskard (m 410) arriviamo alle 17 all’area di Hverir dove un breve percorso ci conduce in un paesaggio lunare tra pozze di fango ribollente, solfatare, soffioni di vapore, il tutto accompagnato da un forte odore di zolfo che pervade la zona. Approfittiamo della bella giornata (e non ne incontreremo molte) per salire sul piccolo monte Namafjall (374m) che sovrasta Hverir. Il sentiero si inerpica sul versante tra lava e solfatare e risulta essere molto scivoloso, ma arrivati in cima si apre uno stupendo panorama sull’area di Hverir da un lato e il lago Myvatn dall’altro. Chiudiamo l’anello accompagnati da un forte vento che sferza le pendici del Namafjall e dopo le ultime fotografie verso le 19 facciamo ritorno ad Akureyri

Per questa notte abbiamo deciso di cambiare albergo e spostarci in centro. Abbiamo scelto una struttura di livello più alto (e di conseguenza più costosa): Hrafninn Guesthouse. La posizione è ottima sulla via principale, ma la sistemazione ci ha subito deluso. Nonostante il bagno privato (un lusso che fino ad ora non ci eravamo ancora concessi) la camera risulta piccola e la cucina in comune assomiglia più ad un angolo per preparare un the, priva addirittura di tavolo e sedie. Col senno di poi era meglio rimanere nella sistemazione delle nostri scorse.

 

Giorno 9: 15 luglio 2016 (Krafla)

Questa mattina torniamo alla normalità, nel senso che il cielo è nuovamente nuvoloso e la temperatura si aggira attorno ai 9 gradi.

Il programma di oggi prevede la visita dell’area vulcanica del Krafla, ma prima vogliamo visitare un paio di punti lungo il lago Myvatn che non siamo riusciti a vedere ieri: prima tappa il cratere Hverfjall nei pressi della sponda orientale del lago.

Il cratere si è formato circa 2700 anni fa, ha un’altezza di 463m e un diametro di un chilometro ed è composto di tefrite. Un ripido sentiero parte dal parcheggio posto al termine dello sterrato 8816 e consente di raggiungere il bordo del cratere e di percorrerne tutto il bordo.

Il vento è talmente forte che fatichiamo a salire sul cratere e quando arriviamo in cima la situazione sembra quasi peggiorare, infatti facciamo fatica a mantenere la posizione eretta. Percorriamo comunque un tratto lungo il bordo del cratere per ammirarlo da diverse prospettive prima di ridiscendere.

Ritornati sulla strada principale dopo pochi minuti troviamo la deviazione (sterrato 860) che ci porta a Grjotagja una grotta lavica al cui interno si trova un piccolo lago. In passato la grotta veniva usata per la balneazione, ma a seguito dell’eruzione dal 1975 al 1984 del vicino Krafla la temperatura dell’acqua è salita sopra i 50 gradi rendendo impossibile farci il bagno. La grotta presenta due comodi ingressi e qui sono state girate alcune scene della serie TV “Il trono di spade” (nell’episodio 5 della stagione 3 proprio qui scoppia la passione tra John Snow e Ygritte)

Dopo il parcheggio di Grjotagja la strada è nuovamente asfaltata e si ricongiunge alla strada principale nei pressi dell’area geotermale di Bjarnarflag che abbiamo visitato ieri. Proseguiamo in direzione Est sulla 1 e poco dopo l’area di Hverir sulla sinistra troviamo la deviazione per Krafla.

Qualche centinaio di metri dopo l’incrocio sulla destra si può notare una curiosa doccia nel nulla dalla quale esce acqua calda.

Dopo pochi chilometri una colonna di vapore ci annuncia la centrale geotermica di Krafla (http://www.landsvirkjun.com/Company/PowerStations/KraflaPowerStation). Ci fermiamo al visitor center (ingresso gratuito) dove alcuni pannelli, modellini e un filmato ci informano sull’impiego dell’energia geotermica per la produzione di elettricità e acqua calda per riscaldamento e sulla storia della centrale, costruita proprio durante l’ultima eruzione del Krafla. Superati i tubi di alimentazione della centrale che formano una U rovesciata proprio sopra la strada ci dirigiamo al Cratere Viti. Dal parcheggio un sentiero ci conduce in pochi minuti sul bordo del cratere superando una variopinta fumarola. Il vento è molto forte e rende difficile il cammino, ma non ci impedisce di ammirare il bel lago azzurro all’interno del cratere del diametro di circa 300m.

Inizia a piovere e Laura e Nicola decidono di tornare alla macchina mentre io completo di corsa il perimetro del cratere passando per un bel prato  di cotone artico (Eriophorum angustifolium); la vista migliore è comunque quella che si gode dal punto in cui il sentiero raggiunge la sommità.

Visto il tempo mangiamo all’interno dell’automobile in attesa dell’evoluzione meteorologica. Nella piena tradizione islandese dopo un quarto d’ora smette di piovere, così,  nonostante il forte vento che continua a sferzare tutta l’area,  ci spostiamo di poche centinaia di metri e decidiamo di percorrere il sentiero di Leirhnjukur. Dal parcheggio il sentiero si inoltra in un’area formata da cuscinetti di lava e poi attraverso una passerella in legno sale tra le colate laviche affiancato da fumarole fino un piccolo laghetto di acqua fumante. Di qui è possibile proseguire nell’anello che riporta al parcheggio o prendere una deviazione che allunga un po’ la strada ma che consente di attraversare altre belle colate con bocche fumanti fino a giungere al piccolo cratere Hófur. Tutta l’area è molto attiva dato che a 3 km di profondità si trova una camera magmatica che ha dato luogo a diverse eruzioni: nel 1724 quella che ha dato origine al cratere Viti chiamata fuochi del Myvatn, nel 1729 quando una colata fuoriuscì dal monte Leirhnjukur  e giunse fino al lago Myvatned fino alla più recente ricordata con il nome di fuochi del Krafla che proseguì ininterrottamente per 9 anni dal 1975 al 1984.. Percorrendo il sentiero è facile distinguere le diverse colate che si sono susseguite nel tempo con quelle più scure che risalgono all’ultima eruzione.

Il paesaggio è davvero lunare e proprio qui l’equipaggio dell’Apollo 11 si è addestrato per le passeggiate lunari.

Il percorso ad anello (compreso di deviazione al cratere Hófur) dura circa 2 ore ma ne vale sicuramente la pena. Nonostante il forte vento rimarrà uno dei più bei ricordi dell’Islanda.

Ripresa la macchina ci dirigiamo a Egilstadir a circa 160 km dove passeremo la notte. Questa strada attraversa zone completamente disabitate e ci godiamo il panorama con tranquillità visto che per la prima volta arriveremo al nostro alloggio a un’ora decente. In realtà a poco più di un’ora da Egilstadir troviamo una roulotte rovesciata a causa del forte vento che occupa completamente la sede stradale. Studiamo per un po’ la possibilità di scendere dal piano stradale che in questo posto era rialzato per risalire dopo la roulotte, ma desistiamo così come altri mezzi giunti sul posto. Aspettiamo quindi l’arrivo dei soccorsi per più di un’ora perdendo così il nostro anticipo sulla tabella di marcia.

Arriviamo infine al Lyngás Guesthouse di Egilstadire, un’ottima struttura arredata in stile moderno con camere molto ampie (5 letti) grade cucina in comune, ampia sala da pranzo, con bagni in comune molto puliti. Probabilmente la miglior struttura incontrata. Prepariamo la cena e poi tutti a dormire dopo un’altra lunga ma bella giornata.

 

Giorno 10: 16 luglio 2016 (Lagarfljot, Jukulsarlon )

La giornata purtroppo è piovosa, abbandoniamo così l’idea di visitare il villaggio di Seyðisfjörðuro lungo i fiordi orientali e optiamo per una breve escursione lungo le rive del lago più lungo d’Islanda (25 km) il Lagarfljot nelle cui acque lattiginose di origine glaciale si dice viva un mostro marino. Incuriositi da un depliant sul mostro trovato presso la guesthouse decidiamo di recarci in uno dei posti in cui è stata avvistata la creatura chiamata Lagarfljótsormur (il serpente del Lagarfljot).

Si tratta di un lungo serpente acquatico della lunghezza di più di 10 m le cui prime ipotetiche osservazioni risalgono al 1345. Secondo la leggenda una madre donò un anello d’oro alla figlia dicendole di riporlo sotto un piccolo drago-serpente affinché crescesse. La figlia ripose l’anello e il piccolo serpente in uno scrigno e il serpente cominciò a crescere sempre più fino a rompere lo scrigno stesso. La ragazza spaventata gettò lo scrigno con il suo contenuto all’interno del lago e il mostro continuò a crescere sempre più.

Numerose testimonianze e osservazioni si sono ripetute nei secoli e recentemente (febbraio 2012) il mostro è stato catturato in un video che ha destato scalpore poichè è stato definito autentico da una commissione governativa islandese (una trovata pubblicitaria? beh non dimentichiamo che in Islanda anche il popolo dei folletti è tutelato…)

Lungo le rive del lago alcune tabelle informative sono poste nei punti di avvistamento del mostro; proseguiamo fino al punto osservativo nei pressi di Hafursa, ma forse per il brutto tempo il mostro non si fa vedere, così, dopo aver scattato qualche foto alle rive del lago, riprendiamo la strada principale.

Per risparmiare qualche chilometro prendiamo lo sterrato 939 che, oltrepassato il passo Oxi, ci offre una bella vista sul Berufjordur e su alcune cascate, oltre a ricoprire completamente di fango la nostra automobile!!!

Poco prima di Hofn seguendo alcune indicazioni trovate in rete proviamo a dirigerci a Stokksnes da dove è possibile effettuare  belle fotografie della baia..

Imboccata la deviazione dalla ring road arriviamo ad un sbarra nei pressi del Viking Cafè dove è richiesto un pedaggio di 800 ISK a testa per poter proseguire lungo il ponte che conduce all’ex base  radar. Visto  il costo  e il meteo  che non è dei migliori abbandoniamo l’idea anche perchè la giornata è ancora lunga.

Riprendiamo la 1 fino a Hofn che raggiungiamo verso le 14 e dove ci fermiamo per appoggiare le valigie presso la guesthouse che ci ospiterà per la notte (Hafnarnes http://www.hafnarnes.is/). Il posto come nella gran parte delle sistemazioni che abbiamo trovato è pulito e ben attrezzato con cucina e zona pranzo. Al nostro arrivo era in corso un ricevimento di nozze così, dopo aver salutato gli sposi, siamo subito ripartiti in direzione sud.

Appena lasciato Hofn si notano subito le grandi lingue glaciali che staccandosi dall’enorme ghiacciaio del Vatnajökull scendono fin quasi alla costa.

Alle 16  raggiungiamo la laguna Jukulsarlon una delle mete più visitate d’Islanda.

Ci dirigiamo subito presso la biglietteria della Glacier Lagoon  http://icelagoon.is/ con i biglietti che avevamo prenotato in anticipo sul sito. L’escursione prevede l’esplorazione della laguna di un’ora con un mezzo anfibio. Veniamo “imbarcati” immediatamente sul mezzo (una grande barca con le ruote) che dopo poche centinaia di metri entra in acqua. Lo spettacolo è mozzafiato: blocchi di ghiaccio di tutte le dimensioni e di un blu intenso galleggiano intorno a noi e sullo sfondo la lingua frastagliata del ghiacciaio che alimenta la laguna.

Durante l’escursione la guida ci spiega che la laguna di 25 kmq e profonda 260 metri si è formata 80 anni fa e che il ghiacciaio Breidamerkurjokull arretra di ben 500 m all’anno. I colori degli iceberg possono variare dal bianco latte quando sono costituiti da ghiaccio che è stato esposto all’aria e alla radiazione solare, al nero quando sono ricoperti dalla cenere vulcanica delle frequenti eruzioni, al blu, il colore del ghiaccio compatto non esposto all’aria. Mentre transitiamo a un paio di metri da un grosso iceberg siamo fortunati ed assistiamo al suo flip-over (capovolgimento) che ci permette di osservare il ghiaccio trasparente che fino a pochi istanti prima era conservato sott’acqua. Prima della conclusione abbiamo anche modo di assaggiare un po’ di ghiaccio che in base ai calcoli si è formato a seguito di nevicate che risalgono a 1000 anni fa…beh non temiamo di assumere sostanze inquinanti ingerendo quest’acqua!!

A fine escursione trascorriamo ancora un po’ di tempo sulle rive della laguna e lungo il fiume più corto d’Islanda (poche decine di metri) che permette ai blocchi di ghiaccio di fluire lentamente verso il mare.

Il posto è veramente spettacolare e non sorprende che abbia fatto da scenario per molti film tra cui  “007 – Bersaglio mobile”,  “007 La morte può attendere”,  “Batman Begins” e “Lara Croft: Tomb Raider”.

Risaliti in macchina superiamo il ponte e dopo circa dieci chilometri deviamo a destra per ammirare un’altra laguna ghiacciata, la laguna Fjallsarion. Rispetto alla precedente questa laguna è più piccola, ma altrettanto bella sia per la vicinanza del ghiacciaio che per l’assenza di turisti; siamo infatti da soli a contatto con la natura e solo dopo qualche minuto incontriamo una coppia di sposi che sta effettuando un servizio fotografico….immaginiamo un bel raffreddore per la sposa costretta a rimanere in posa in un abito non proprio tecnico…

Torniamo sui nostri passi, ma prima di rientrare alla guesthouse non possiamo non fermarci alla spiaggia della Jukulsarlon dove i blocchi di ghiaccio della laguna dopo aver raggiunto il mare ed essere stati triturati e levigati vengono depositati sulla sabbia nera come moderne sculture.

Rientriamo a Hofn alle 20.30, cena e subito a dormire.

 

Giorno 11: 17 luglio 2016 (Hof, Skaftafell, Svartifoss, Kirkjugolf, Fjardrargljufur)

Il programma di oggi è piuttosto fitto e il tempo anche oggi non è dei migliori, ma non ci scoraggiamo.

Partiamo da Hofn alle 09.30 e ripercorriamo la strada fatta ieri e  nonostante le tante cose da vedere nella giornata non possiamo fare a meno di fermarci nuovamente alla laguna Jukulsarlon per ammirare nuovamente lo spettacolo degli iceberg e perché eravamo curiosi di vedere se i blocchi di ghiaccio che avevamo battezzato in base alla loro forma (il cane, l’oca, ecc.) si fossero mossi rispetto alla sera precedente….e….sorpresa, la laguna è completamente diversa: rispetto a ieri è piena di ghiaccio tanto che i mezzi anfibi non riescono a spingersi laddove eravamo ieri. Probabilmente ieri abbiamo visto la laguna “al disgelo” al termine della giornata mentre oggi dopo la fredda notte la vediamo intrappolata dai ghiacci. Scorgiamo anche nuovi blocchi di ghiaccio staccatisi dal ghiacciaio. Consigliamo vivamente di vedere questo sito in ore diverse della giornata.

Ci fermeremo per delle ore, ma il tempo stringe e la strada è lunga.

In poco meno di mezz’ora arriviamo a Hof dove è possibile ammirare la piccola e caratteristica chiesetta Hofskirkja  costruita nel 1884 sulla base di un edificio del XIV sec con il tetto completamente ricoperto di torba ed erba.

A mezzogiorno arriviamo al Visitor Center del Skaftafell National Park  che fa parte del Vatnajökull National Park (http://www.vatnajokulsthjodgardur.is/) che copre il 14% del territorio islandese  e complice la giornata festiva fatichiamo a trovare un parcheggio; scopriamo sulla mappa l’esistenza di un altro piccolo parcheggio proprio in corrispondenza della partenza del sentiero che intendiamo percorrere. Sfidiamo la sorte e siamo fortunati, infatti il parcheggio ha qualche posto disponibile. Pranziamo e prendiamo il facile ma ripido sentiero che in poco più di mezz’ora ci conduce alla cascata di Svartifoss (cascata nera).

Svartifoss è una cascata simbolo dell’Islanda, non tanto per la sua altezza ma perchè è incastonata in un anfiteatro di nere colonne di basalto che la rendono unica.

Proseguendo lungo il sentiero per altri 20 minuti si giunge al punto panoramico di Sjónarsker da cui si apre un’ampia vista sul Skeiðarársandur.

Il sandur è una pianura sabbiosa di origine glaciale originata dalle acque di scioglimento dei ghiacciai che prende il nome proprio dal Skeidararsandur che con i suoi 1000Kmq e la sua lunghezza di 40Km è il più grande sandur al mondo. L’eruzione del 1996 del Grimsvotn , un vulcano che si trova sotto la calotta glaciale (lo stesso che ha generato il canyon di Asbyrgi) ha generato un grande lago che è straripato riversando in poche ore 3000 miliardi di litri d’acqua e fango e iceberg grandi come edifici di tre piani distruggendo tutto quello che ha trovato sul suo percorso (lungo la ring road è ancora possibile osservare il metallo contorto dei ponti investiti dall’acqua). La zona è soggetta ad eventi di questo tipo e nuove eruzioni si sono verificate nel  1998 nel 2004 e nel 2011. Non è un caso che l’area si chiami Oraefi, letteralmente “terre desolate”.

Purtroppo il tempo non è dei migliori per cui riusciamo a malapena a scorgere il mare alla fine della vasta pianura alluvionale, ma nonostante questo si percepisce la vastità dell’area e la forza dell’acqua nel modellare il paesaggio.

Alle 14 siamo di nuovo alla macchina e ripresa la Ring road torniamo sui nostri passi per circa un chilometro e prendiamo la deviazione che in un paio di  km ci conduce al fronte del ghiacciaio Svinafellsjokull . Dal parcheggio un sentiero lambisce una piccola laguna color caffelatte e la lingua del ghiacciaio. Questo sito è stato utilizzato come scenario nel film Interstellar.

Alle 15 siamo di nuovo sulla strada principale e dopo aver attraversato la pianura dello Skeidararsandur giungiamo dopo circa ¾ d’ora nei pressi dell’abitato di Kirkjubaejarklaustur dove prendendo la 203 arriviamo a  Kirkjugolf (letteralmente Pavimento della Chiesa) che prende il suo nome da una serie di colonne di basalto la cui sommità emerge in mezzo ad un prato dando l’impressione di trovarsi sul pavimento di una chiesa. La regolarità del basalto sembra quasi artificiale e non sorprende che in passato questo lastricato sia stato scambiato per l’opera dell’uomo.

Proseguendo per altri 20 minuti sulla 1 imbocchiamo la F206 in direzione del vulcano Laki che in un paio di chilometri ci porta all’imbocco del canyon Fjardrargljufur. La strada è indicata come F (ovvero percorribile solo da mezzi 4×4), ma in realtà la pista inizia solo dopo il parcheggio del canyon che è raggiungibile con qualunque mezzo.

Lasciata la macchina al parcheggio (presso il quale è presente anche un bagno pubblico) prendiamo il sentiero a destra che risale lungo un prato il fianco del canyon e lo costeggia fino a giungere a una cascata posta alla testata del canyon stesso. Il sentiero non è faticoso e offre splendidi scorci (attenzione nella parte finale dove non essendoci protezioni può risultare pericoloso). Il canyon lungo 2 km e fondo 100 m è stato scavato 2 milioni di anni fa dal fiume Fjardra.

Rientrando al parcheggio appena superato il ponte un piccolo sentiero ci permette di percorrere il fianco sinistro e di scendere lungo il fiume.

Dopo un’ora e mezza di escursione lasciamo il canyon; sono ormai le 18 e ci restano ancora due ore di strada per cui ripartiamo ammirando i pseudocrateri verdi (Landbrotsholar) che circondano l’area e che si sono formati durante l’eruzione del vulcano Laki nel 1783 (https://it.wikipedia.org/wiki/Laki) a seguito del contatto della lava con l’acqua contenuta nel terreno.

Alle otto arriviamo a alla South Iceland Guesthouse (http://southicelandguesthouse.is/) e chiudiamo la nostra lunga giornata che ci ha portato a percorrere 340 Km sulle strate islandesi. Dopo cena Laura e Nicola mi preparano una mini torta di compleanno (fetta biscottata con marmellata :-) )

 

Giorno 12: 18 luglio 2016 (Solheimajokul, Dyrholaey, Reynisfjara, Skogafoss, Seljalandfoss)

Finalmente ci svegliamo con il sole!

Ci dirigiamo verso Est e dopo una decina di chilometri ci appare ben visibile dalla strada principale la maestosa cascata Skogafoss. Ci fermiamo per scattare qualche foto, ma la cascata è ancora in ombra quindi decidiamo di proseguire e di ritornare più tardi con condizioni di luce migliori.

Riprendiamo quindi la 1 fino al bivio con la 221 che in circa 4 km ci porta alla lingua del Sólheimajökull che scende dalla calotta glaciale del Mýrdalsjökull sotto la quale riposa il vulcano Katla, osservato speciale dopo l’eruzione nel 2010 del vicino Eyjafjallajökull. Dal parcheggio in cui si trovano i punti di partenza per le escursioni attrezzate un facile sentiero conduce al ghiacciaio. Rispetto ai ghiacciai visti in precedenza qui è possibile camminare direttamente sul ghiaccio ed osservarne da vicino la morfologia (crepacci, morene, inghiottitoi). Attenzione, camminare sul ghiacciaio senza l’adeguata attrezzatura può essere molto pericoloso.

Poiché siamo sprovvisti di ramponi dopo una breve visita (circa un’ora) ci dirigiamo verso il promontorio di Dyrhólaey.

Purtroppo durante il tragitto il meteo cambia e ritornano le nuvole e il vento forte che ci ha accompagnato per gran parte del nostro viaggio.

Prendiamo la 218 e ci dirigiamo a destra per visitare la parte occidentale del promontorio dove si trova il faro da cui è possibile ammirare la lunga spiaggia nera che si estende fino a Selfoss, il maestoso arco di roccia e la vetta innevata dell’Eyjafjallajökull il vulcano dal nome impronunciabile la cui eruzione nel 2010 ha causato un blocco del traffico aereo europeo a causa della nube di cenere.

Il vento è molto forte e freddo e sul promontorio non c’è traccia di uccelli marini per cui prendiamo il bivio a sinistra e ci dirigiamo nella parte orientale del promontorio che offre un altrettanto bel panorama sulla spiaggia di Reynisfjara. Questo luogo è sede di una colonia di pulcinella di mare che possiamo ammirare in lontananza mentre si fanno cullare dalle onde. Alcuni esemplari cercano di raggiungere i nidi sulla scogliera, ma il forte vento rende loro impossibile l’atterraggio e quindi con una stretta virata e con nostra grande delusione riprendono la via del mare.

Infreddoliti ci arrendiamo e ci dirigiamo a Vik dove ci riscaldiamo facendo la spesa e cercando (inutilmente) qualche souvenir da riportare a casa. Dopo pranzo ci dirigiamo alla spiaggia di  Reynisfjara seguendo la 215. Il vento forte e le nubi rendono questo luogo ancora più impressionante con il fragore delle onde dell’oceano che si infrangono sui i faraglioni di Reynisdrangar (che secondo la leggenda rappresentano due giganti e una nave pietrificati)  e sui ciottoli neri che formano la spiaggia. Alle nostre spalle il promontorio è costituito da numerose colonne basaltiche che formano una grande grotta chiamata Hálsanefshellir. Alcune belle immagini della spiaggia e di altre località islandesi sono visibili nel videoclip Holocene del gruppo indie fole dei  Bon Iver (https://www.youtube.com/watch?v=TWcyIpul8OE)

Dopo un’oretta in cui Nicola si è divertito a scappare dalle onde e noi a raccogliere sassi un piccolo raggio di sole fora le nubi….un’ultima opportunità per poter osservare da vicino gli elusivi pulcinella di mare….ci proviamo, prendiamo l’automobile e torniamo sul lato orientale di Dyrhólaey.

I nostri sforzi vengono premiati e proprio mentre scendiamo dalla macchina alcuni pulcinella sorvolano le nostre teste e si posano accanto ai nidi a pochi metri da noi…scatti a raffica per immortalare questo momento tanto atteso.

Soddisfatti e riscaldati dal sole riprendiamo  la 1 in direzione ovest per tornare alla cascata Skogafoss che raggiungiamo verso le 17. I raggi sole ora colpiscono la cascata e possiamo così ammirare i numerosi arcobaleni per cui è famosa. Skogafoss è alta 60 m e larga 25 e si getta da quella che un tempo era una scogliera. A destra della cascata un sentiero con 700 gradini permette di risalire tutta la cascata per ammirarla da ogni prospettiva.

Riprendiamo il nostro tour delle cascate concedendoci una breve sosta alle pendici dell’l’Eyjafjallajökull dove presso il Visitor Center  (http://icelanderupts.is/) sono esposte alcune immagini dell’eruzione del 2010.

Raggiungiamo la nostra ultima meta, la cascata Seljalandfoss alle 18, l’ora ideale visto che la stessa si getta per 60 m dalle Highlands (antica costa) verso le Lowlands proprio in direzione ovest. Anche in questo caso i raggi solari ci regalano numerosi arcobaleni.

A rendere ancora più spettacolare la cascato è un sentiero che permette di arrivare dietro il potente getto (doccia assicurata!)

Seguendo il sentiero verso nord per poche centinaia di metri si giunge alla cascata  Gljufurarbui; per poterla raggiungere è necessario infilarsi in uno stretto canyon all’interno del quale troviamo il salto d’acqua. Lo stretto e buio canyon e la luce proveniente dall’alto rendono la cascata molto suggestiva, ma difficile da fotografare a causa dello spazio ristretto (servirebbe un grandangolo spinto), della poca luce e dei numerosi schizzi d’acqua!

Anche per oggi abbiamo concluso il programma di visita; alle 20 arriviamo a Hjardarbol Guesthouse (http://hjardarbol.is/) una sistemazione economica anche se un po’ spartana costituita da alcune casette dotate di bagni e cucina in comune dove trascorreremo due notti. Presso la struttura sono presenti due vasche all’aperto di acqua termale delle quali approfittiamo subito per concederci un po’ di relax prima di cena.

 

Giorno 13: 19 luglio 2016 (Geysir, Gullfoss, Thingvellir)

Il programma di oggi prevede il classico giro turistico denominato Golden Ring.

In un’ora raggiungiamo la prima tappa: l’area geotermale di Geysir nella valle dell’Haukadalur.

Capiamo subito di essere arrivati per il gran numero di autovetture e pullman che affollano il parcheggio e per il grande centro pieno di ristoranti e negozi (situazione molto diversa rispetta al nord dell’isola dove ci potevamo fermare in mezzo alla strada per scattare una foto senza timore che arrivasse qualcuno).

L’area contiene numerose manifestazioni geotermali tra cui i famosi Geysir e Strokkur.

Geysir che deriva dall’islandese “adh geysa” che significa zampillare è ritenuto il più antico geyser conosciuto, tanto da aver  dato il nome a tutti gli altri geyser- Fino al 1916 eruttava regolarmente fino ad un’altezza di 80m ma da allora le eruzioni si sono fermate diventando molto rare. L’attività dei geyser è stettamente collegata i terremoti che possono attivarne di nuovi o rendere inattivi quelli esistenti.

Stokkur è un geyser attivo che erutta ogni 10 minuti fino ad un’altezza di 20-30 metri.

Tutto attorno sono presenti solfatare, soffioni e pozze di acqua ribollente. Trascorriamo circa un paio d’ore nell’area osservando l’eruzione dello Stokkur da varie angolazioni e immortalandolo in foto e video.

In dieci minuti raggiungiamo la seconda tappa dell’anello d’oro: la cascata Gullfoss.

Anche in questo caso ad accoglierci un ampio e affolato parcheggio e negozi di souvenir da dove parte un largo sentiero pavimentato che conduce alla cascata. Gulfoss è composta da due salti, il primo di 11 e il secondo di 21 metri e larga una ventina di metri, ma la sua caratteristica è data dalla “geometria” della cascata: i due salti sono infatti posti a 45 gradi tra loro e immediatamente dopo il secondo salto il fiume piega lateralmente a 90 gradi a sinistra seguendo una linea di faglia all’interno di un profondo canyon. Dopo aver dedicato circa un’ora alla visita ripartiamo.

Alle 14.30 molto affamati ci fermiamo sulle rive del lago Laugarvatn per mangiare e….inizia a piovere. Dobbiamo consumare il pranzo in macchina, ma attraverso i vetri appannati notiamo del fumo salire dalle acque del lago così scopriamo che proprio sulla riva di fronte a noi sgorga una sorgente di acqua calda sfruttata da una piccola centrale geotermica. In questo punto l’acqua è particolarmente calda al limkte dell’ebollizione.

Verso le 16 raggiungiamo l’ultima tappa del Golden Circle: il Thingvellir National Park.

Il parco , patrimonio dell’umanità UNESCO presenta elementi di grande interesse geologico, storico e naturalistico.

Lasciata l’automobile nell’ultima area di sosta gratuita P2 percorriamo il sentiero che conduce al visitor center e che corre proprio al centro della prima meraviglia del parco, la faglia di Almannagjá.

Il fondale dell’oceano Atlantico è attraversato dalla dorsale medio atlantica, una catena montuosa formata dalla fuoriuscita di lava che uscendo dalla crosta terrestra separa le placche continentali di Europa e America allontanandole.

La dorsale emerge in superficie formando l’Islanda e Thingvellir si trova proprio nel punto di congiunzione delle placche europea e quella americana dandoci così la possibilità di osservare il fenomeno senza doverci immergere in fondo all’oceano.

L’allontanamento delle due zolle è ben visibile a Thingvellir sotto forma di numerose faglie tra cui la più impressionante è la faglia di Almannagjá lunga circa 5 km. Qui abbiamo la possibilità di camminare tra le due zolle e vedere gli effetti dell’allontanamento.

Attorno possiamo vedere altre faglie, alcune delle quali riempite d’acqua limpidissima da sorgenti sotterranee Peningagjá (faglia delle monete per le numerose monete presenti sul fondo)  ,Flosagjae e Silfra quest’ultima famosa per le immersioni dato che la limpidezza dell’acqua consente un’eccezionale visibilità fino a 80 metri!

Thingvellir ha affascinato l’uomo fin dall’antichità, proprio a ridosso della faglia di Almannagjá aveva sede l’ Althing il primo parlamento islandese.Qui fra il 930 e il 1798 i rappresentanti delle comunità islandesi (i godhar)tenevano una grande assemblea democratica della durata di due settimana durante le quali venivano concordate le leggi, si risolvevano le dispute e si dava lettura della legge islandese alla popolazione. Il luogo sembra essere stato individuato con precisione nei pressi di una grande roccia (chiamata Logberg o roccia della legge) dove gli archeologi hanno trovato tracce degli accampamenti in legno che costituivano gli alloggi nel periodo dell’assemblea. Nei pressi di una grande roccia  In una di queste assemblee è stato votato il cristianesimo come unica religione.

Lungo il percorso e presso il centro visitatori depliant, poster e filmati descrivono la storia e la geologia del luogo nonché la fauna che abita il lago. Dopo aver scattato la foto di rito tra Europa e America proseguiamo lungo il sentiero visitando la chiesetta Þingvallakirkja del 1859 e le vicine faglia Peningagjá e  Flosagja e infine rientrando verso il parcheggio facciamo una deviazione verso la cascata Oxararfoss alta circa 20 metri e formata dal salto che il fiume Oxar devo compiere per passare dalla rialzata placca americana a quella europea.

Prima di rientrare alla nostra guesthouse per un altro bagno rilassante accosto a bordo strada per osservare i sommozzatori che si immergono nella limpidissima Silfra…. ma attenzione, come nelle alte aree turistiche nel sud dell’isola non appena fermerete la macchina al di fuori da un parcheggio si materializzerà un guardiaparco che vi inviterà a spostarvi immediatamente!!! (ci era già successo nei pressi del visitor center del Skaftafell National Park quando abbiamo fermato la macchina per riepire la borraccia ad una fontanella!).

 

Giorno 14: 20 luglio 2016 (Raufarholshellir, Seltun, Krysuvikurbjarg, Blaa Lonid)

Come tutti i bei viaggi anche questo è giunto al termine, ma visto che il nostro aeree partirà a mezzanotte decidiamo di goderci fino in fondo la nostra vacanza.

Per dimenticare i luoghi affollati di ieri optiamo per una meta laternativa, la grotta di Raufarholshellir.

La grotta lunga 1360 m (la quarta grotta per lunghezza dell’Islanda) si è formata per il  fluire della lava più di 4000 anni fa. L’ingresso si trova a poche decine di metri dalla strada n.39 nei pressi di un piccolo parcheggio. A differenza delle alter grotte di lava del paese l’accesso alla Raufarholshellir è libero e la visita può essere effettuata anche senza guida.

Prendiamo la pila ed varchiamo l’ampio ingresso. muovendoci tra i grossi massi che ricoprono il terreno percorriamo un centinaio di metri della grotta che è molto amplia (alta circa una decina di metri). Alcuni grandi buchi nel soffitto consentono alla luce di entrare illuminando la cavità permettendoci così di osservare facilmente i colori (soprattutto il rosso) delle pareti, i cumuli di neve ancora conservati all’interno della grotta e i massi apparentemente pericolanti del soffitto.

Superato l’ultimo foro la grotta si fa completamente buia e prosegue in discesa. Poichè non siamo attrezzati ed essendo il terreno scivoloso a causa del ghiaccio decidiamo di risalire in superficie

Seguiamo la costa lungo la 427 per deviare poi a nord sulla 42 fino al campo geotermale di Seltun – Krýsuvík nei pressi del lago Kleifarvatn che raggiungiamo verso le 11.

Un bel sentiero circolare su passerelle di legno ci permette in ¾ d’ora di visitare l’area che è ricca di fumarole variopinte e  pozze di fango gorgolianti.

Nonostante la vicinanza alla capitale il sito è piuttosto tranquillo assicurandoci una visita in  tranquillità.

Sul lato opposto della strada rispetto al parcheggio si trova un’enorme pozza di fango ribollente accanto alla quale alcuni cavalli islandesi si godono la verde erba.

Dato che l’odore di zolfo non stuzzica l’appetito ci spostiamo sulle scogliere di Krysuvikurbjarg che raggiungiamo seguendo per 20 minuti uno sterrato pieno di buche dalla 427. Arriviamo con l’automobile proprio sul bordo dell’imponente scogliera e la grande colonia di uccelli  marini (stimata in 77.000 unità) si fa subito sentire, sia per il chiasso che per l’odore…va beh era destino che il pranzo di oggi non fosse profumato…

Dopo pranzo facciamo quattro passi lungo la vertiginosa scolgiera che si estende per 4 km, ma le nere nubi all’orizzonte ci suggeriscono di rientrare al più presto sulla strada asfaltata.

Chiudiamo la nostra vacanza con un po’ di relax: abbiamo acquistato in rete i biglietti una delle  più famose SPA al mondo, inclusa nelle 25 meraviglie del mondo dalla rivista National Geographic, la Blue Lagoon (Blaa Lonid) http://www.bluelagoon.com.

Per poter accedere alla laguna è necessario prenotare in anticipo il biglietto indicando anche l’ora di arrivo.

La laguna si trova in mezzo a un campo di lava a 40 km da Reykjavík. Si tratta di una laguna artificiale all’interno della quale fluisce l’acqua utilizzata dall’adiacente centrale geotermica di Svartsengi. L’acqua ricca di minerali viene estratta dal sottosuolo (2000m di profondità) ad alta temperatura e dopo aver alimentato le turbine della centrale viene rilasciata a temperatura controllata (38 gradi centigradi) nella laguna.

La laguna si estende per 8700 metri quadrati ed ha un’altezza variabile da 80 cm a 1,2 m per un totale di 9 milioni di litri d’acqua (70% acqua mare, 30% acqua dolce)

I minerali presenti (soprattutto silice) conferiscono all’acqua  oltre al tipico colore azzurro anche delle proprietà benefiche per la pelle.

Oltre alla laguna all’interno dell’area sono presenti saune, bagni di vapore, cascate d’acqua, zona massaggi, area relax, bar e ristoranti.

Abbiamo trascorso ben 5 ore nella blue laggon nuotando rilassandoci e ricoprendoci la faccia di fango. All’uscita la pelle era molto liscia e i capelli stopposi nonostante l’abbondante utilizzo di balsamo che viene fornito all’interno della SPA.

Il tempo di un panino in un fast food di Keflavik e dopo aver riconsegnato la nostra auto prendiamo il volo che ci riporta a Monaco.

 

 

Consigli finali

Abbigliamento: necessariamente a cipolla, senza dimenticare abbigliamento antivento (sempre presente sull’isola) berretti e guanti.

Cibo: ci siamo affidati alle catene di supermarket Bonus e Netto che hanno ampia scelta e buoni prezzi. Attenzione agli orari di apertura diversi da città a città; solitamente aprono a metà mattina e chiudono nel primo pomeriggio.

Automobile: se intendete percorrere l’anello attorno all’isola con brevi deviazione una normal car è più che sufficiente.

Alloggio: tutte le guesthouse che abbiamo visitato erano pulite e quasi tutte con cucina ben attrezzata. Unico consiglio è quello di prenotare per tempo  (6 mesi prima se intendete partire in periodo di alta stagione come luglio).

Mappe: https://en.ja.is/kort/  e http://vegasja.vegagerdin.is/eng/

 

Fly & drive nel paradiso del Botswana

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Da una decina di anni progettavamo un viaggio in Botswana, una terra sconosciuta difficile da affrontare se non si ha il portafoglio gonfio. Poche le informazioni in rete e soprattutto sui canali “occidentali”. Molte le offerte delle agenzie con prezzi a partire da sei zeri al giorno.

Il primo progetto prevedeva la Namibia per toccare la terra dei San per un paio di giorni. Ma le strade impervie dei Parchi, accessibili solo ai 4×4, ci ha dirottato verso un anello di quattromila chilometri all’interno del deserto del Kalahari.

Abbiamo scoperto da soli quanto sia facile viaggiare in Botswana e Namibia (un precedente viaggio), due nazioni molto ospitali dove non “è pericoloso” viaggiare anche da soli e per entrambi i sessi. Ci sono più attrezzature di quanto si trova in rete, anche molto economiche, si può sempre pagare con Carta di Credito e tutti ti danno una mano per risolvere i problemi. Ma attenzione, i chilometri sono tanti e una buona scorta di acqua da bere e il serbatoio sempre pieno sono indispensabili.

Il Botswana è una nazione di 600 mila chilometri quadrati (circa un quadrato con i lati di mille chilometri, per estensione due volte l’Italia), a cavallo del Tropico del Capricorno, su un altopiano di circa 1000 metri, pur non avendo il mare vicino, il suo clima è temperato con temperature che non salgono oltre 30° di giorno e possono scendere sotto i 10° di notte, ma con tasso di umidità molto basso e ritenuto desertico per le scarse piogge. L’attrattiva è il Delta dell’Ovavango, il fiume si disperde nel deserto dopo 1600 chilometri di cammino attraversando Angola e Caprivi (Namibia). Molti sono i Parchi, enormi e impenetrabili, come il Chobe, il Moremi e il Kalahari suddivisi dal Lonely Planet in 25 aree distinte.

Come detto abbiamo cambiato più volte il programma di viaggio negli ultimi sei mesi prima della partenza. Abbiamo scelto il mese di maggio, bassa stagione ma fuori dalla stagione delle piogge. Prima di tutto abbiamo cercato tre giorni nel Moremi e trovato un Lodge economico (si fa per dire dato che ci è costato un quarto dell’intero viaggio) e un campo tendato. Quindi il volo per Johannesburg, una 4×4 (indispensabile per accedere ai Parchi) e poi pianificato il percorso da fare. Alternative poche dato che c’è solo un anello con il suo diametro a tracciare la via asfaltata all’interno della Nazione. Ci interessava visitare il Popolo Boscimane che vive nel suo stato “primitivo” solo in alcune aree remote del Kalahari. Quindi abbiamo deciso di fare tappa a Ghanzi e a Tsumkwe in Namibia, per tornare in Sud Africa attraverso la “strada dei diamanti”.

Ma le forti piogge di marzo e aprile, che anche gli anziani non ricordano così abbondati, hanno inondato strade e strutture e l’ok ci è stato dato solo a poche ore dalla partenza, mettendo a rischio tutta la vacanza. Alla fine ce la siamo cavata con una spesa di 2000 euro a persona divise circa un quarto per l’Auto, un quarto per due giorni di Safari al Moremi, un quarto per il volo e un quarto per dormire e mangiare.

 

1° giorno – 11 maggio 2017

L’Egypthair (760+60 euro volo e assicurazione per due persone) ci anticipa il volo alle 14, si parte da casa alle 10 per raggiungere il parcheggio di Fiumicino (Alta Quota 2 a 30.60) quindi l’imbarco e lo scalo a Il Cairo dalle 17.30 alle 23.10 per atterrare alle 7.10. Sei ore di stop nella capitale che ci potevano permettere di visitare le piramidi, ma a cui abbiamo rinunciato per i problemi interni di attentati.

 

2° giorno – 12 maggio 2017

All’aeroporto ci vengono a prendere quelli della Britz (pick up 4×4 attrezzato per il campeggio circa 600 euro) per portarci al deposito dove possiamo ritirare la nostra Nissan NP300. Guida a destra e subito sull’N1 per poi imboccare la N4 a Pretoria che porta direttamente alla frontiera. Stop a Zeerust per il pranzo (9 euro in due) per arrivare al confine di Skilpadshek alle 17, veloci le pratiche d’ingresso (pagata la tassa per l’auto di 13.67 euro) e prima di notte ci fermiamo al Warm Hands Hotel di Kanye (55 euro la doppia). La stanchezza è tanta, a letto senza cena.

 

3° giorno – 13 maggio 2017

Alle prime luci del sole ci rimettiamo in viaggio, prima sosta a Kang per il pieno e subito diretti per Ghanzi nella lunga striscia di asfalto che taglia in due il deserto del Kalahari. Il panorama è monotono e la boscaglia non ci permette di ammirare il panorama e gli animali. Se da noi i campanili segnalano la presenza di un paesino, ci accorgiamo che qui sono le altissime antenne della telefonia mobile a segnalare gli abitati. Sono state installate al centro dei villaggi per collegare al mondo questi insediamenti di uomini fino a qualche anno fa completamente isolati dal resto del Mondo.

Il Lodge Trailblazers (79 euro) è sulla strada prima di arrivare in città immerso nella natura, ci fanno scegliere la “casetta” dove alloggiare, è ampia e confortevole con il bagno interno. Durante il percorso buchiamo, chiamiamo il Lodge dove partono subito per venirci ad aiutare, ci cambiano la gomma in pochi minuti.

Organizzano per noi un escursione con i Boscimani di Xede (centro Kalahari) quando il sole inizia a calare. Nel campeggio ha fatto sosta un pullman di turisti, molto giovani, provenienti da tutte le parti del mondo. Molti di loro sono con noi nella boscaglia sulle tracce dei San. La spedizione è composta da otto individui: l’anziano, l’anziana, due giovani poco più che adolescenti, due mamme con i rispettivi figli in grembo (in realtà legati da pelli dietro la schiena). Solo le pelli a coprire le parti intime, scalzi in mezzo alla Savana. Ogni tanto uno di loro si ferma per spiegarci i “trucchi” per la sopravvivenza, dalla loro bocca esce uno strano scocco della lingua nel parlare, tipico di questa etnia. Dalle erbe curative, tra cui il chinino contro la malaria che ci fanno masticare, a quelle depurative. Abbozzano con la lancia anche la caccia. Negli spostamenti una sosta inaspettata. Uno scorpione è lì a terra sul loro percorso. Loro non curanti lo evitano. La guida-traduttore invece si ferma. Lo istiga con il bastone in modo da fargli alzare il pungiglione rigonfio di veleno, mentre con le tenaglie cerca di colpire. Si mettono a terra e i giovani con dei legnetti cercano di accendere il fuoco. Le prime scintille cadono sulla paglia che inizia a fumare, si soffia fino a che prende fuoco. L’anziana tira fuori una specie di pipa e l’accende facendosi un paio di tirate. Nel frattempo le giovani sono andate nella foresta e ritornano con della legna sul capo, servirà per accendere il fuoco la sera nel loro villaggio “momentaneo” a pochi chilometri dal Lodge. Per cenare ci spostiamo nella vicina Ghanzi dove al Kalahari Arms Hotel si può mangiare ordinando alla carta (14 euro compresa la birra Windhoek, la nostra preferita). Il supermercato Spar sta chiudendo, ma sono gentili e ci fanno entrare. Compriamo qualche cosa per il viaggio e ci facciamo un’idea sulle cose che si possono acquistare e i loro prezzi, ci sembra che ci sia tutto il necessario e se non si scelgono marche occidentali, a prezzi molto economici. Torniamo che è notte fonda, solo la luna piena rischiara l’orizzonte.

 

4° giorno – 14 maggio 2017

Inizia il giorno sulla carta più duro: 530 chilometri di cui 190 di strada bianca da 4×4, il navigatore ci dà oltre 10 ore di percorrenza. Apriamo la cartina per valutare il percorso e ci accorgiamo che manca l’ultimo tratto di confine. Arriva il panico, altri percorsi non ce ne sono almeno percorribili in una giornata. Ci mettiamo in marcia con l’ansia. Incrociamo una pattuglia di polizia e chiediamo… ci confermano che non c’è confine. Eppure su Google Earth lo abbiamo visto, l’abbiamo sorvolato per intuire le difficoltà del percorso, ci ricordavamo anche gli orari (7-17). Possibile che abbiamo fatto un errore così grossolano? A Sehthiwa, ultima stagione di servizio lungo il percorso, ci fermiamo per fare rifornimento e anche loro ci confermano che non c’è il confine. Ma ormai non abbiamo altre possibilità che tentare la sorte e continuiamo il viaggio. A Nokaneng l’incrocio fatidico ci fermiamo in un market e ci rassicurano che il confine c’è ed è aperto. I 150 chilometri che ci portano in Namibia sono polverosi ma confortevoli, solo un tratto in salita è eroso dalle piogge e bisogna fare zig zag tra le ampie voragini che si sono create, ma nessun problema per la 4×4. Dopo Qangwa la strada si divide, c’è un solo cartello a destra si va al camp. Convinti che sia un campeggio proseguiamo sulla strada più ampia, ma subito ci accorgiamo che quello potrebbe essere l’incrocio tra il confine e il bivio per le grotte di Drotsky’s. Infatti pochi chilometri e dopo una curva la rete del confine. Una casetta su un lato con una tenda militare accanto, quattro reti (da letto) per fare da porta, questo il varco tra i due Stati. Prima di noi un furgoncino in direzione opposta, nel cassone sono sedute tre anziane vestite con gli abiti da festa del popolo Herero con gli inconfondibili copricapi e dai colori sgargianti. Prima di noi erano passate solo tre auto. Nella terra di mezzo un omino ci fa scendere, ci disinfetta con noi l’auto alle ruote con una pompa che da noi serve per dare l’acquaramata. Il posto di confine namibiano è più strutturato, c’è anche l’ufficio di polizia, con qualche caseggiato, altre donne Herero sono in fila davanti a noi. La strada è più ampia e ben curata. I 50 km che ci separano da Tsumkwe si percorrono in una mezzoretta. Il Tucsin Lodge (224 euro due notti più i pasti) non è segnalato, al paesino chiediamo indicazioni, lo raggiungiamo all’ora di pranzo. Ci danno una casetta a ridosso di uno stagno che con le piogge abbondanti è diventato un vero e proprio laghetto. Uno spuntino veloce e una doccia ci ricaricano le pile. Nel pomeriggio andiamo in cerca del benzinaio, sulla strada incrociamo una famigliola di San, nonna, mamma e una sfilza di bambini. Chiediamo di visitare il loro villaggio, ci dicono di si, ma la strada ci accorgiamo che è lunga e noi non abbiamo posto in auto per accompagnarli. Una pattuglia di polizia ci segue e ci chiede di cosa abbiamo bisogno. Proviamo a spiegare, ma alla fine loro capiscono che noi vogliamo andare a visitare un villaggio boscimane. Ci scortano per una ventina di chilometri fino al bivio per il villaggio. Il sole sta calando e decidiamo di ritornare l’indomani. Torniamo indietro che è ormai notte (il sole tramonta alle 5.30 e alle 6 è già buio). Facciamo il pieno prima di rincasare. La cena è pronta, non c’è WiFi, ma ci fanno collegare tramite lan alla rete. Scarichiamo la posta tra cui il pass per il Moremi (che stampiamo). Possiamo scegliere tra tre diversi arrosti: Agnello, Maiale o Kudu. Ci facciamo portare mezza porzione di Maiale e mezza di Kudu… il Kudu a sorpresa (lo avevamo mangiato in Namibia ma in maniera totalmente diversa) è ottimo. La luna piena si rispecchia nel laghetto proprio di fronte a noi, proviamo ad immortalarla… ma le foto non vengono bene come la realtà. Nel cielo ci sono miglia di stelle, si scorge anche la via lattea.

 

5° giorno – 15 maggio 2017

Ci svegliamo che è ancora notte, in Namibia sono un’ora indietro rispetto al Botswana (stesso orario dell’Italia). Dobbiamo aspettare per fare colazione, ci rimettiamo in cammino alla ricerca della stradina indicata dalla Polizia, ma prima ci fermiamo da un gommista per riparare la gomma che abbiamo bucato. Mentre l’omino lavora, approfittiamo per parlare con i passanti dei villaggi. Ci dicono che ce ne sono molti sulla strada (leggiamo sulla guida 36) ma tutti ci indicano il Museo da visitare. Noi non vogliamo vedere delle ricostruzioni, come quella di Ghanzi per esempio già vista anche in Namibia qualche anno fa, ma dei veri e propri villaggi dove vivono ancora i discendenti del popolo che 60 mila anni fa ha introdotto la prima società moderna come avevamo già fatto in Tanzania andando a visitare gli Hadzabe del lago Eyasi. Conoscere come oggi vive, se pur ripudiato e emarginato da tutti… in via di estinzione, costretto a lasciare le proprie tradizioni di cacciatori-raccoglitori e soprattutto la foresta, per essere inglobato nella società. Il governo namibiano, sul progetto del regista statunitense Johan Marshall, nel 1980 ha concesso questa area, la Naye-Naye, dove possono vive seguendo la propria cultura e i propri costumi. I villaggi sono dell’etnia Ju ‘Hoansi e possono ancora praticare la caccia tradizionale vietata in Botswana.

Lasciamo la strada principale per inserirci dell’aspra boscaglia della Baobab Trail, un anello interrotto dalle inondazioni primaverili. Dopo una decina di chilometri si scorgono le capanne e su uno spiazzo spicca un antenna satellitare, un pick up parcheggiato vicino alla capanna. Ci viene incontro un ragazzo che si mette a disposizione per fare da interprete, pur essendo di un’altra etnia e di un altro villaggio. La prima visita è al Capo, che ancora dorme, all’aperto sotto delle coperte colorate circondate da una retina per tenere distanti le zanzare. Spunta solo il suo esile braccio, poi la testa canuta, mentre intorno già è iniziata la giornata con i riti quotidiani. I bambini curiosi accorrono, si vogliono fare notare se pur nella loro timidezza. Poi piano piano si sciolgono ai giochi di sempre. Ci spostiamo vicino ad una capanna dove ci sono delle donne intente nei lavori di prima giornata, mentre un ragazzo confeziona automobiline con il fil di ferro, ce ne fa subito vedere una come la nostra. Le giovani madri allattano i bambini, hanno tutte un fazzoletto in testa e delle coperte sulle spalle. Non si vive più con le pelle di animali che coprono le parti intime, ma con tessuti e roba rimediata ai supermercati. Ci spostiamo con al seguito i bambini che sono sempre in numero maggiore. In uno spazio ce ne sono quattro che stanno facendo colazione, dalle scodelle prendono del riso con le mani bene attenti che i cani non si avvicinano, per “gli amici dell’uomo” solo quello che cade a terra.

Ancora un altro villaggio con un altro Capo, a terra un piccolo pannello fotovoltaico che serve a ricaricare i telefonini. Tutti hanno un piccolo terreno, dove coltivano tabacco, mais, patate dolci e altri generi alimentari. La Guida ci spiega che sono molto solidali tra di loro, tra i villaggi si aiutano scambiando le merci. Più distanti i recinti dove ancora sono racchiusi gli animali. Il primo è quello delle capre, è una bambina ad aprilo per lasciarle libere di pascolare. Un agnellino appena nato si trova spaesato e cerca la mamma, ma fa fatica a rimanere in piedi e a seguire il gruppo. Ci dicono di andare al recinto delle mucche che è diviso i due per separare le bestie da latte. Una mucca ha appena partorito, ha ancora la placenta che gli penzola, mentre il vitellino è tutto bagnato e cerca la prima poppata della sua vita. Ancora gli odori sono a sorprenderci, in mezzo a tutto quel letame sono completamente assenti. I bambini a piedi nudi entrano nello stazzo in mezzo agli animali, mentre gli uomini sorvegliano. Poi aprono la staccionata e li lasciano andare tra la boscaglia. Bisogna fare attenzione ai Mamba, i serpenti fatali che mietono vittime in questa zona. Non ne hanno paura anche se ci raccontano che un bambino recentemente è morto a causa del suo morso velenoso. Ci dicono come affrontarlo se lo avvistiamo, a noi solo l’idea ci mette l’ansia.

La vita del villaggio è in pieno fermento, dietro una capanna, all’ombra una donna picchietta dei sassolini in modo da renderli rotondi, mentre un anziano li buca al centro, saranno le perline delle collane che vendono ai turisti (due le acquistiamo anche noi). Non ci sentiamo di disturbare, Perché vediamo che tutti continuano la vita di sempre, le anziane non voglio farsi fotografare mentre i bambini sono i primi a mettersi in posa. Qualcuno vuole rivedersi dal monitor della telecamera, ride e poi fa un segno di vergogna. Le giovani donne ci tengono a venire bene e rigonfiano il petto.

Popoli ospitali e tranquilli per cui le ore volano e non c’è voglia di lasciarli.

Ma arriva un’altra auto, forse altri turisti, quindi decidiamo di salutare.

Sono dei missionari sudafricani di Port Elizabeth venuti a portare la Parola di Dio a questo popolo… Testimoni di Geova. Chiediamo se ci sono altri villaggi in zona, ci dicono che ce ne è uno a pochi chilometri. Lo raggiungiamo, è quello segnato su tutte le carte, ci dicono subito di non fotografare e di non filmare. Una donna ci viene incontro per stabilire la tariffa, non ci mettiamo d’accordo sia per l’esosa richiesta ma soprattutto Perché la precedente visita ci aveva maggiormente soddisfatto da tutti i punti di vista… umano e logistico. La strada d’uscita è interrotta, dobbiamo tornare indietro e ci fermiamo ancora a salutare i bambini che stanno giocando, le bambine con le corde, i bambini con l’altalena che sono i rami di un albero dal legno elastico. Come accendiamo l’auto ci vengono incontro per salutarci, i loro visi sorridenti ci accompagneranno durante la giornata.

Un grosso Baobab è imponente davanti a noi, ci fermiamo nella radura per fotografarlo.

Torniamo al Lodge per mangiare qualcosa e farci una bella doccia rinfrescante, le temperature sono salite anche se non si suda. Nel pomeriggio siamo di nuovo alla ricerca di villaggi, ma tutti ci dicono di andare al Museo. E’ a una ventina di chilometri dal paese, in una strada interrotta per le piogge, la deviazione è uno zig zag tra le case. Sta per calare il sole quando arriviamo. Si scorge il villaggio, un ragazzo ci dice di proseguire e di fermarsi nella zona parcheggio. Spunta dalla foresta tutto affaticato e ci chiede cosa vogliamo vedere. Il programma è vasto ma occorre più del tempo che abbiamo prima che cali la notte. In un ora si più assistere alle danze tradizionali. Corre al villaggio per organizzare il “teatrino”, mentre un altro ragazzo ci ha raggiunto per intrattenerci. Dopo una decina di minuti arrivano le donne, con gli abiti tradizionali, cioè una pelle davanti e una sulle spalle da lasciare scoperto il seno. Dietro di loro i bambini completamente nudi, a terra la sabbia del Kalahari che se alzata diventa polvere. Canti e danze per oltre un’ora davanti al fuoco, con le temperature che incominciano ad abbassarsi, come del resto il sole. Sorrisi e gesti rituali si susseguono, ma i più felici sono i bambini che cercano di imitare i grandi. Lasciamo il villaggio che il sole è già tramontato e raggiungiamo il Lodge quando è già notte. A cena chiediamo il Kudu, ma è terminato, optiamo per il Maiale.

 

6° giorno – 16 maggio 2017

Alle prime ore del giorno siamo pronti per trasferirci a Maun ma ci accorgiamo che un pneumatico è a terra. Chiediamo aiuto al personale del Lodge, che con non poche difficoltà riesce ad alzare il Pick up sulla sabbia. Chiediamo l’ora di apertura del valico, ma le risposte sono vaghe. Ampia colazione e in marcia, il gommista è ancora chiuso. Arriviamo al confine che sono appena passate le 7. Il doganiere ci riconosce e ci fa riempire in fretta le scartoffie, così come nel comando di polizia. Disinfettazione tra le due “reti” e le formalità in Botswana, pochi minuti, solo il tempo di trascrivere i dati dell’auto e timbrare il passaporto. I 190 chilometri di strada bianca sembrano più corti, a metà percorso una tartaruga ci taglia la strada. Scendiamo per fotografarla e per aiutarla ad arrivare dall’altra sponda. Ci immettiamo sulla strada asfaltata facendo chicane tra le profonde buche. Arriviamo a Maun quando il sole picchia di più e subito alla ricerca di un gommista. Ne troviamo uno sulla strada, non ha neppure l’energia elettrica, il compressore è azionato dalla batteria dell’auto. Ma il lavoro è meticoloso e certosino, senza tralasciare nessun dettaglio. Ci regala una parte del cric che mancava tra l’attrezzatura dell’auto, ma il foro è più piccolo del ferro e bisogna adattarlo. Ci indica un fabbro, con lentezza africana si appresa con un trapano ad allargarlo e a mostrare la sua abilità. Ci sono delle cose urgenti da fare in città. La prima è pagare l’ingresso al Moremi (25.83 compresa l’auto, ma attenzione Perché per entrare occorre avere una prenotazione di soggiorno), fare la spesa Perché dove andremo non c’è nulla, pieno e cartina (5.40) per non partire al buio, infine trovare l’hotel. Ci incuriosisce l’idea di fare un volo in elicottero sul Delta, cerchiamo un’agenzia, ma non ci soddisfa il prezzo di 600 dollari divisibili per tre se si trovano altri compagni di viaggio. All’Agenzia del turismo chiediamo l’indirizzo dell’Hotel, loro chiamano e gli rispondono che ci verranno a prendere. Il Qhwigaba Guest House (60.14 euro) è a circa 7 Km dal centro sulla strada per Nata, una villetta con un patio dove affacciano le porte delle camere. Una rinfrescata e torniamo a Maun dove facciamo spesa al Supermarket. Enorme con una ventina di casse, sui bachi c’è tutto con uno italiano. Ceniamo al Pizza Debonairs (11.45) e poi torniamo in Hotel.

 

7° giorno – 17 maggio 2017

E’ ancora notte quando ci mettiamo in cammino per il South Gate del Moreni National Park. A Sankuyo termina la strada asfaltata, poi il bivio ben segnalato per l’entrata. Il personale ci dice che di notte ci sono stati dei leoni nei paraggi e ci indica sulla cartina la zona dove potrebbero stare. Con molto dispiacere ci segna sulla mappa tutte le strade chiuse e le deviazioni da fare, alla fine la carta sembra un cimitero pieno di croci. Decidiamo subito di fare una deviazione per cercare i leoni. Animali pochi, molto pochi. Solo le manguste sono abbondanti, attraversano in fretta la strada ben attente a non finire sotto le ruote. Nella prima pozza non c’è nessun avvistamento. A poco distanza dalla immissione sulla strada principale, dietro ad un cespuglio, due leoni. Proviamo a scorgerli dall’altra parte, e notiamo che nel cespuglio accanto ce e sono molti. Sono solo i giovanissimi ad agitarsi, giocano con le code dei grandi. Una famigliola di 6 adulti, 6 femminine e 4 piccoli. Stiamo fermi ad aspettare un’oretta, poi decidiamo di proseguire. Ma dopo pochi chilometri ce ne pentiamo amaramente, Perché altri animali non si scorgono. Un elefante ci taglia la strada, prima di arrivare al primo ponte. Il secondo è poco distante, attendiamo il terzo dove è posizionato il nostro campeggio, scorgiamo le case del gate, ma niente ponte. All’ingresso del Third Bridge Camp Site (156 euro la notte in Lodge) ci attendono due ranger, vogliono vedere i nostri documenti e la prenotazione, chiediamo se si può fare un giro in barca, sono molto vaghi, bisognerà chiederlo ai “pescatori” che ora sono fuori. Ci dicono che il nostro Lodge si chiama Lion e che la chiave è appesa alla porta. La casetta, una tenda militare montata su una struttura a palafitta con le porte di legno, è l’ultima di una serie di cinque, davanti il barbecue e lo spiazzo di cemento armato dove accedere il fuoco. Dentro oltre ai due letti ci sono due tavolini, un uscio sul fondo che porta al water, ancora un’apertura questa volta a strappo, che ti fa uscire dove c’è il lavandino e la doccia. La tentazione è troppa, una doccia in mezzo alla Savana e non rinunciamo. Sentiamo il rumore della barca e torniamo al Gate per chiedere qualche informazione. Ci sono altre due auto ferme ad attendere, due coppie inglesi di Oxford e Cambridge. Ci danno appuntamento alle 15.30 per due ore in Mokoro (40 euro) sul delta del fiume. C’è il tempo per farci un giretto. Costeggiamo l’immenso campeggio, e una vasca d’acqua interrompe il cammino. Prima del Terzo ponte è tutto allagato. C’è un campeggiante ad appendere la biancheria davanti ai servizi che sono di fronte al ponte. Ci rassicura che si può passare, lui l’ha fatto più volte con un’auto come la nostra. Mettiamo la seconda, un filo di gas, e il pick up affonda fino al cofano, per poi risalire piano piano, prima di prendere i legni del ponte. Il cuore si è fermato per qualche secondo. Il tragitto da fare è breve, Perché il quarto ponte è proprio chiuso e si deve tornare indietro. Ripercorriamo il Terzo ponte con più disinvoltura, ma la paura è tanta quando l’acqua arriva ai finestrini, è solo un attimo per poi riprendere il terreno asciutto. Torniamo alla casetta con gl’inglesi che ci confermano che ci verranno a prendere per il giro in Mokoro. Si va a piedi fino al fiume dove è allestito un piccolo pontile, si sale sulla barchetta d’alluminio e con il rombo dei motori si percorrono le mille anse del fiume. Sono i fiori del loto ad incantarci, poi i papiri, due giraffe sulla riva. Si scorge anche qualche piccolo coccodrillo prima di arrivare ad un laghetto. Quindi il ritorno con il sole che tramonta e l’inevitabile foto con l’astro che cala tra la vegetazione. Ancora non è buio quando torniamo e troviamo dei ragazzi che giocano a pallavolo tra le casette del Gate. Attrezziamo il tavolino da campeggio in dotazione dell’auto, bevande fresche, qualche cosa comprata al supermercato e la cena è fatta. Rientriamo prima di notte sotto la tenda, c’è un pannello fotovoltaico che alimenta una batteria per dare l’energia elettrica anche di notte. Qualche lettura e si va a nanna.

 

8° giorno – 18 maggio 2017

Colazione al volo e subito in marcia prima dell’alba. Appena il chiarore per scorgere la strada e si è sulla strada di ritorno al South Gate. Prima una piccola deviazione. Su una radura a due passi da un laghetto un gruppo numeroso di Babbuini sugli alberi. Si riscaldano ai primi raggi del sole, i più piccoli fanno evoluzioni tra i rami. Un terzetto di Struzzi, poi dei Facoceri, quindi in una pozza un Ippopotamo. Poi un Elefante, quindi un gruppetto di Antilopi, Kudu e Zebre. Piccola tappa al Gate per prendere la strada interna al Parco che ci porta a Khwai. La boscaglia è alta e non ci permette di vedere. Arriviamo al North Gate alle 13, attraversiamo il lungo ponte, per giungere al Villaggio, il Khwai Guest House (930 euro, due notti tutto compreso anche quattro safari). Ci accolgono con il sorriso, ci offrono un caffé e ci mostrano l’alloggio. Nel frattempo ci preparano il pranzo, pasta con le zucchine e le carote, il sapore non è un gran che, ma non è cattiva. Il primo safari è alle 15.30 con noi ci saranno una coppia di giovani statunitensi e due ragazzi tedeschi.

Il ranger lascia subito la strada principale per inoltrasi nella Savana, prima tappa in uno stagno dove sono numerosi i Marabù, su un ramo secco anche un’aquila. Un maschio d’Elefante ci fa capire che non vuole essere infastidito e non lo facciamo innervosire. La ricerca dei predatori si fa insistente, ma nessuno li ha scovati. Quasi al tramonto sulla strada ci sono due leonesse. Sono sdraiate a terra quasi per dire “qui non si passa”. La più vicina a noi si sveglia, alza il capo e come un gattone inizia a leccarsi per lavarsi la faccia. Poi si alza e s’incammina verso al boscaglia, subito seguita dalla compagna, mentre da dietro un albero spunta un Leone. I tre fanno in fretta a svanire tra l’alta vegetazione. Possiamo ritenerci fortunati, anche se c’è la consapevolezza, e forse un po’ di delusione, sui pochi animali presenti. Al tramonto la sosta in una radura dove facciamo l’aperitivo e il rientro al Lodge con i fari accessi dell’auto. C’è solo il tempo per una doccia… la cena è pronta. Poi tutti davanti al fuoco ad ammirare le stelle.

 

9° giorno – 19 maggio 2017

Alle 6 ci vengono a svegliare, ampia colazione e alle 7 siamo di nuovo in cerca di orme. Durante la notte si sono sentiti i ruggiti dei Leoni, le loro tracce sono sulla strada che porta al Villaggio. Proviamo a seguirle. Troviamo due maschi in una radura, sdraiati a riposare. Ci concedono una mezzoretta di scatti e filmati, poi si alzano e si disperdono nella boscaglia. Arriviamo in una zona con molti alberi. All’orizzonte su uno di loro si muove una testolina. Il ranger fa una corsa per avvicinarsi. E’ un Leopardo che infastidito, prima si volta e poi scende. A noi rimangono una diecina di foto e qualche minuto di filmato, un bel colpo… Ci fermiamo a prendere un caffé di fronte ad un laghetto dove sono immersi diversi Ippopotami. Sono a distanza di sicurezza, sono pericolosi e percepiscono ogni suono. A turno escono con le narici fuori dell’acqua per respirare. Uno di loro si avvicina alla riva e attendiamo che esca per mirare l’immensa stazza. Torniamo al Lodge, c’è il tempo per visitare il paesino di Khwai e parlare con gli indigeni. Sono cordiali e ci fanno visitare le loro capanne. Sono due ragazzi giovani i più intraprendenti, ci presentato i loro famigliari e ci fanno vedere come fanno la birra. Un’anziana intreccia i giunchi forse per preparare qualcosa da vendere ai turisti. Si mischiano le capanne di fango, dove spiccano le lattine incastrate alle pareti, a quelle di cemento, tutte colorate con colori pastello. C’è anche un negozietto dove entriamo per fotografare i prodotti. Ci sono i generi alimentari di prima necessità, qualche biscotto e molto scatolame. Un bambino con il fischietto ci accompagna, è scalzo sulla sabbia, le ciabatte le tiene in tasca. Vicino c’è anche la scuola. Il villaggio ci dicono che conta una ottantina di persone, molte di origine San. Pranzo, siesta e di nuovo Safari. Attraversiamo quasi tutta l’area per arrivare al nord e costeggiare il fiume Khwai, qui ci sono due Elefanti sulle rive. Poco distanti dei campeggi, accanto alle tende “pascola” un Elefante. Prendiamo la strada principale per tornare, ormai è notte e inizia a far freddo. Ci tagliano la strada due Iene maculate, solo con i fari le scorgiamo. Infreddoliti arriviamo alla Guest House e ci mettiamo davanti al fuoco acceso in attesa della cena. è arrivata una coppia di Inglesi e una ragazza Irlandese che vive a Londra e che è in Botswana per valutare, per una agenzia di viaggi, i costi delle varie sistemazioni (pensiamo che faccia il lavoro più bello del Mondo).

 

10° giorno – 20 maggio 2017

Sei del mattina sveglia, colazione e in Jeep per il Safari del primo mattino. Pochi animali: Babbuini, un Elefante, qualche Antilope e Zebra e svariati uccelli. Si torna al Lodge un po’ delusi, ci aspettavamo di vedere molto di più. Chiediamo la strada da fare per tornare verso Maun, ci dicono 3-4 ore, decidiamo di ripercorrere la zona dei campeggi per avvistare da soli qualche animale. Ma siamo poco fortunati. Arriviamo a Maun nel pomeriggio, solo il tempo per un boccone da Wimpy (15 euro), il pieno e di nuovo in macchina in direzione Makgadikagadi Pans. Arriviamo a Xhumaga che è già notte, per fortuna il Tiaan’s Camp (134 euro compreso colazione e cena) è ben segnalato. La proprietaria ci consegna l’alloggio. Ci servono la cena e ci spiegano le priorità del Parco. La mattina si potrebbe entrare e costeggiare il fiume per cercare di avvistare qualche animale, in un percorso di una ventina di chilometri. Ma per raggiungere il Parco bisogna traghettare il fiume Boteti con una chiatta.

 

11° giorno – 21 maggio 2017

Sveglia prima dell’alba, alle 6.30 si è già sulla riva del Boteti ad aspettare l’omino della chiatta. Alle 7.30 non si vede ancora l’ombra. Il programma prevede di attraversare il confine, 650 km da percorrere che al Lodge ci dicono circa dieci ore. Non possiamo aspettare troppo, optiamo per una sosta lungo la strada. Il panorama attraverso i Pan cambia e la vegetazione lascia lo spazio al deserto. Ci fermiamo in un villaggio per immortalare il panorama e una diecina di ragazzini ci vengono incontro. Poi ancora sulla strada a ridosso del Lago Xau del Mapipi Pan due ragazzini ci raggiungono in groppa ad un asino. Si mettono in posa per noi. Costeggiamo le imponenti miniere di Mine dove è vietato fermarsi. Arriviamo a Serowe a mezzogiorno e decidiamo di visitare il Rhino Santuary (25 euro l’entrata compresa l’auto e la cartina). Puntiamo le pozze d’acqua dove a quell’ora del giorno possiamo avvistare gli animali. Siamo fortunati Perché scorgiamo quattro Rinoceronti bianchi che stanno dirigendosi proprio verso l’acqua. Li attendiamo lungo la riva per fotografarli da vicino e siamo fermi ad ammirarli fino a che vadano via. Due ore di avvistamento ben spesi, ma ora c’è bisogna di correre per non viaggiare di notte in Sud Africa. Attraversiamo Palapye non prima di aver fatto il pieno (il gasolio in Botswana costa 68 centesimo contro i 95 del Sud Africa e della Namibia). Le procedure al trafficato confine di Martin’s Drift-Groblersburg sono veloci, ma i chilometri ancora da percorrere sono di più di quelli segnalati dalla cartina e le strade ora sono maggiormente trafficate. Viaggiare di notte in Sud Africa è più pericoloso che nei due Stati già visitati e un problema meccanico potrebbe esserci fatale. Raggiungiamo Lephalale che è già notte, cerchiamo il nostro alloggio nel sobborgo di Onverwacht, un paesino nato all’interno di un campo da golf. Ad una grossa stazione di servizio chiediamo lumi, ci dicono che siamo vicini, due tre svolte e troviamo l’Hotel. Ed invece siamo costretti a chiedere ad un altra stazione. Ancora una volta ci perdiamo. Poi troviamo un cartello con le indicazioni e raggiungiamo la Bosveld Guest House (48.23 euro). Ampie misure di sicurezza in una villa tra una buca e l’altra del Mogol Golf Club. La stanza è ampia e confortevole, con due bagni. Usciamo per cenare in una zona ristoranti che avevamo scorto a Lephalale e optiamo per il Cappuccino’s (20.75 euro).

 

12° giorno – 22 maggio 2017

L’intenzione era quella di dormire qualche ora in più, ed invece alle 5.30 siamo già svegli. Alle 6.30 abbiamo già fatto colazione e quindi ci mettiamo alla ricerca di qualche Parco nelle vicinanze. La scelta va al Marakele National Park, ma non sappiamo dove sia l’entrata. Nessun cartello al confine, quindi chiediamo ad un ranger dove si entra. Ci indica una strada terrosa che percorriamo per una quarantina di chilometri per poi incrociare un’altra ranger. Che ci dice di tornare indietro per un’altra ventina di chilometri. Poi un altro che ci dice ancora una ventina di chilometri. Raggiungiamo l’entrata del Parco (24.50 compresa l’auto), mai segnalata, alle 10. Abbiamo il tempo per un giro veloce. Animali pochissimi, se ne scorgevano di più sulla strada, ma nel compenso lo scenario è incantevole con le alte montagne da cornice. La strada inizia a stringersi e a salire proprio sulla più alta. Arriviamo in cima ai 2088 metri, con un panorama mozzafiato, peccato che a quest’ora del giorno la visibilità diminuisce. La corsa verso l’uscita Perché abbiamo l’obbligo di consegnare l’auto entro le 16. Chiamiamo per avvisare di qualche minuto di ritardo, questo ci tranquillizza e ci permette di affrontare la N4 e poi la N1, super affollata anche se a cinque corsie, rispettando i limiti.

Riconsegniamo la Nissan con 3889 chilometri in più, abbiamo consumato 459.37 litri (una media di 8.47 Km/l) e una spesa di 343.33 euro, in totale l’auto ci è costata poco più di mille euro (un quarto del budget totale). Sbrogliate le formalità di riconsegna dell’auto ci accompagnano all’aeroporto internazionale di Jo’sburg dove ancora non è aperto il check-in. Un pezzo di pizza (5.54) per ricaricare le energie, le file scorrevoli ai controlli di sicurezza e l’entrata all’aeroporto, cena fugace (19.22) e l’imbarco con altri controlli di sicurezza.

 

13° giorno – 23 maggio 2017

Il volo verso a Il Cairo è semivuoto, ci sdraiamo su una fila di quattro posti che ci permette di fare una lunga dormita fino alla sveglia della mattina. Colazione e atterraggio alla capitale egiziana. Tre ore di stop seduti ai tavolini deserti del bar e di nuovo ai controlli per l’imbarco per Roma. Alle 13 l’atterraggio… siamo tornati e il pensiero va alla prossima partenza. Sicuramente in Africa ma dove?

Garden Route e Kruger viaggio nel sud dell’Africa

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Dopo tanto girovagare per il mondo, decidiamo di viaggiare in Africa. Ci attira la Garden Route, la strada che costeggia l’estremità del Continente Nero, da Città del Capo a Port Elizabeth. Il percorso è lungo e il mezzo più efficace per farlo è l’automobile. Ma c’è il problema del ritorno, dato che sono 750 chilometri e non c’è il tempo per tornare. Ma il “fly and drive” ci invoglia a trovare una soluzione, optiamo per lasciare l’auto all’aeroporto di Port Elizabeth pagando una penale. Questo ci permetterà di tornare a Johannesburg in volo per poi avere il tempo per un safari “vero” nel Kruger.

Andare nel capo dell’altro emisfero significa programmare il viaggio in inverno per andare incontro alla bella stagione. In quei luoghi la bella stagione (l’inverno e non come comunemente si dice la loro estate) è molto calda con temperature che possono arrivare ai 40 gradi, all’interno il caldo è ancora più percepibile perché non mitigato dalla ventilazione degli Oceani (al plurare perché il Sudafrica ad ovest è toccato da quello Atlantico, mentre a sud e a ovest da quello Indiano). Un viaggio che non si può fare in estate perché le temperature se non bassissime, non superano i 20 gradi. Discorso diverso se si va al nord, molto più vicini alla zona tropicale, per intenderci il Tropico del Capricorno è il confine nord con Botswana e Monzambico e taglia la testa del Kruger. In questo caso andare d’estate significa avere temperature più miti con massime che non superano i 28° anche se le minime possono scendere di notte vicine allo zero.

Prenotiamo via Rete tutti gli Hotel programmando le varie tappe per andare al sicuro. Troviamo nello Gomo Gomo Game Reserve la migliore offerta per fare tre giorni di Safari nel Kruger. Poi prenotiamo le auto, a Città del Capo per la Garden Route e a Johannesburg per la tre giorni di Safari al Kruger.

 

Mercoledì 31 gennaio 2006

Troviamo un volo British con scalo a Londra (700 euro) che viaggia tutta la notte per arrivare a Jo’sburg la mattina seguente. Partenza alle 19.35 per l’Inghilterra e quindi l’imbarco per Johannesburg. Ma pochi giorni prima della partenza ci cambiano itinerario. La British è in sciopero e ci fa volare Air France facendo scalo a Parigi Orly per poi partire per il Sud Africa.

 

Giovedì 1° febbraio 2006 – 1° giorno

Arrivati alle 12.10 nella metropoli sudafricana prendiamo un volo Kulula (80 euro) per raggiungere Cape Town, per quindi prendere dal noleggio African Car Hire l’auto (una Golf vecchio modello a 115 euro a persona). Sbrogliate le formabilità di check out e il ritiro dell’auto, ci mettiamo in marcia verso il nostro Hotel che si trova in centro. La prima difficoltà è la giuda destra, che ci mette subito in apprensione specialmente nelle svolte. Ci ricordavamo il vecchio trucchetto di immettersi nella corsia dell’orologio, cioè quella che viene indicata dal braccio sinistro, dove appunto si tiene l’orologio. Raggiungiamo il Protea Breakwater Lodge (43 euro a notte), adiacente all’Università e proprio sopra al Waterfornt. Questo ci permetterà di raggiungere in serata il Porto a piedi, uno dei luoghi più attrezzati della città, con diversi locali, per rilassarsi e ristorarsi. Dopo alcuni malintesi sulla nostra prenotazione ci  assegnano un appartamentino, doppia stanza, salottino e cucinino dove resteremo tre notti. Cerchiamo di recuperare qualche ora di sonno, poi una doccia e scendiamo al Porto. Con grande stupore noto che tutto è cambiato in dieci anni, quando lo visitai per lavoro la prima volta ed era in ricostruzione. Il Sudafrica aveva fatto un cambiamento enorme, da allinearsi agli standard occidentali. Ci mettiamo alla ricerca di un ristorante per cenare, ci fermiamo a st Elmo’s (6 euro).

Una passeggiata digestiva, la ricerca di qualche depliant per fare qualche escursione e di corsa a nanna.

 

Venerdì 2 febbraio 2006 – 2° giorno

Dopo un’abbondante colazione ci mettiamo in cammino verso sud. Costeggiamo il lungo mare con il punto panoramico, per poi riprendere la parte degli scogli fino ad arrivare alla leggendaria Camps Bay, la spiaggia bianca dei sogni, nelle mille facce di Città del Capo. A Dominare il tutto la Table Mountain che spezza il promontorio i centinaia di baie tanto da farla sembrare Rio de Janeiro. Riprendiamo ancora verso sud all’interno della costa fino a scorgere un’altra baia quella di Hout Bay Harbour dove ci fermiamo all’Haot Bar per fare colazione dato che sono le 8.45. Ci fermiamo perché sappiamo che ci attende la prima grande sorpresa del regno animale. Un traghetto (4 euro) ci porta in pochi minuti a Duiker Island, uno scoglio abitato da una colonia di foche. Immortaliamo i pinnipedi in tutte le posizioni, la barca si avvicina a loro sempre di più attenda ai mammiferi che sono in acqua. Il loro sguardo è dall’incredulo all’incuriosito, mentre l’odore degli escrementi scaldati dal sole è sempre più intenso. Si torna a terra, ma nel tragitto si gode lo spettacolo della Baia, che ha come sfondo le alte montagne sedimentarie della Foresta Tokai. Costeggiamo la foresta, dall’altra parte della baia dove possiamo scorgere dall’alto l’Isola delle Foche. Ma prima bisogna fare il biglietto d’ingresso (12 centesimi), si entra dentro alla Penisola del Capo per poi accedere nel Parco Chapmans Plaza (1.25 euro). A questo punto la penisola si restringe e si può scorgere l’atro lato dell’Oceano. La strada attraversa l’abitato di Simon’s Town  noto per la spiaggia di Boulders (3 euro). Parcheggiamo la vettura per ammirare la seconda sorpresa animale: i Pinguini del Capo. Una colonia ha nidificato sulla spiaggia, si possono quasi toccare (si fa per dire, perché prima di tutto un animale selvatico non si deve abituare alla presenza dell’uomo, secondo perché danno delle dolorose beccate a chi ci prova. Con grande stupore notiamo che le loro dimensioni sono piccolissime, i Pinguini del capo sono di circa 70 centimetri di altezza e il loro peso non supera i 3 chili. Sulla sabbia si possono scorgere i nudi dove covano le uova. All’interno della struttura un piccolo museo con la storia e le abitudini dell’uccello. Ci rimettiamo in marcia verso Capo Buona Speranza, un Babuino ci taglia la strada, altri sono sul ciglio. Entriamo nel Parco (6 euro) fino a raggiunge l’estremità del Capo. Una scalinata ci porta in alto sopra la scogliera. Si può ammirare a 360 gradi quello che si pensava fosse lo spartiacque dei due oceani: da una parte l’Atlantico, dall’altra l’Indiano. Un totem riporta la direzione delle località più importanti nel Mondo con la relativa distanza: Rio de Janeiro 6.055, Polo Sud 6.248, Pechino 12.933, Amsterdam 9.685, Londra 9.623, Sydney 11.642, Gerusalemme 7.468, Nuova Delhi 9.296. Siamo veramente fuori dal Mondo. Ci fermiamo al Ristorante Two Oceans (10 euro) per pranzare. Ci rimettiamo sulla via di ritorno ma decidiamo di aggirare la Montagna della Tavola in senso opposto costeggiando le baie paradiso dei surfisti. Attraversiamo la laguna che prende il nome dai Pellicani che vi stazionano per poi dirigerci verso Stellenbosch. Questa è la zona delle Cantine storiche dove da secoli si fa il vino di cui il Sudafrica è famoso. Ci immettiamo nella Wine Route e ci fermiamo per una prima degustazione al KWV Wine Emporium e poi andiamo a visitare una della Cantine più antiche la Remhoogte. Ma l’ora si è fatta tarda e decidiamo di tornare prima che cali il sole in Città.

Un po’ di riposo e scendiamo a Waterfront per la cena al City Grill (10 euro). Discoteche e pub non ci allettano, preferiamo farci una passeggiata alla ricerca di qualche cosa da fare l’indomani.

 

Sabato 3 febbraio – 3° giornata

Ci svegliamo con calma e andiamo a fare colazione al Waterfront Bar (3.60 euro). Decidiamo di visitare la Cape Town e saliamo sul City Sightseeing Bus (11 euro) che ci scorrazzerà tutta la mattinata dove visitiamo la Fortezza e alcuni Musei. Ritorniamo in Hotel per riprendere la macchina e riportarci nella zona dei vini per visitare qualche altra antica Cantina. Ci fermiamo a quella di Leborie, dove facciamo una breve visita ai vigneti e poi una degustazione nel loro ristorante (10.50 euro). Torniamo a Città del Capo in tempo per ammirare il quartiere con le case colorate nei cui androni ci sono alcuni murales. Poi saliamo sulla cabinovia che ci porta in cima alla Montagna (13 euro). Lo spettacolo è mozzafiato, con la costa che apre scenari sempre diversi. In ogni parte ti giri c’è una baia e sullo sfondo Robben Island nel cui carcere fu rinchiuso Nemson Mandela, oggi ospita un Museo. Dei percorsi permetto di fare delle camminati sulla Tavola, ognuno dei quali permette di aprire nuovi scenari. Scendiamo quasi all’ora del tramonto, nelle ore più belle che offre alla vista il sole. Dove i colori si tingono di rosso e la Città sembra viva. Torniamo al nostro appartamentino per riposare, quindi a Waterfront per la cena da st Elmo’s (4 euro) . Una foca è su una banchina indisturbata.

 

Domenica 4 febbraio – 4° giornata

Dopo la sveglia e la colazione fatta di fretta, lasciamo Città del Capo per dirigerci verso Est. Da “bravi” viaggiatori, subito il pieno e il rifornimento d’acqua, l’abc di chi va in Africa. Arriviamo a Mossel Bay e prendiamo subito la camera al Protea Hotel (43 euro). Pranziamo al Cafe Gannet (7 euro) e raggiungiamo il porto per imbarcarci per la Seal Island (4.50 euro). Ad attenderci una colonia di foche a due passi dalla baia. Il rumore si mescola agli odori, sullo scoglio le foche sono ammassate con i loro movimenti goffi. Mentre quelle che sono in acqua si muovono con disinvoltura. L’ora è calda e anche noi fotografati sulla barca sembriamo dei grossi Trichechi. Mentre sullo sfondo si scorgono dei Delfini. Alla sera ci rifocilliamo al Ristorante Delfino’s (7 euro) posto sulla spiaggia all’interno del Point Village, un’area attrezzata piena di negozi e locali per turisti e non. Ma non è il periodo del pienone che è terminato con le vacanze di Natale e fine dell’anno. Si respira una calma surreale, anche perché c’è poco turismo straniero, nell’altro emisfero è inverno. Facciamo una puntata al Pinnacle Point Casinò, dove “sbanchiamo” si fa per dire, la roulette prendendo un numero secco.

 

Lunedì 5 febbraio – 5° giornata

In tarda mattinata decidiamo, prima di lasciare la località, di tornare indietro per fare un Safari al Garden Route Game Lodge (33 euro). Antilopi e Zebre si mescolano insieme, poi è la volta degli Gnu, quindi una Giraffa che bruca a terra, poi ci guarda e alza il suo lungo collo leopardato. In cima ad una collinetta un Elefante, mentre le antilopi-capre si possono quasi toccare. In una pozza due Rinoceronti Bianchi, uno è più grosso, potrebbero essere maschio e femmina. All’ombra della vegetazione due Ghepardi, tra noi e loro solo la rete di recinzione. Percepiscono la nostra presenza e come dei gattoni, ci mostrano i denti soffiando. Ci mettiamo in cammino, ci attende il Wilderness National Park con i suoi numerosi laghi. Uno di questi, il Groenvlei Lake che fa da confine alla Riserva Naturale Goukamma. Brevi soste per ammirare il panorama e assaporare la natura circostante. Poi arriviamo nell’interland di Knysna, che si trova all’estuario del Knysna River, estuario che si allarga lasciando lo spazio a numerose isolette tra cui la Thesens e la Leisure. Ma noi tiriamo dritto per raggiungere la vicina Plettenberg Bay dove ci attende il Protea Keurbooms River dove abbiamo prenotato due notti (70 euro complessive). Una struttura un po’ fuori dal mondo, ma un vero e proprio paradiso tra l’Oceano, che si raggiunge a piedi attraversando le dune e il fiume da cui prende il nome. Dei veri e propri appartamenti completi di ogni comodità, dove gli “altri” turisti ne approfittavano per fare il barbecue e stare comodamente in giardino a godersi la bella stagione. Noi, non essendo attrezzati per questo, abbiamo raggiunto  Knysna e cenato nel lussuoso ristorante Harry’s B’s (8,20 euro) per poi tornare a tarda notte nel nostro alloggio.

 

Martedì 6 febbraio – 6° giorno

L’accogliente hall del Lodge ci ha ospitati per la prima colazione. Subito in macchina per ammirare le bellezze della regione. Ad una quindicina di chilometri abbiamo raggiunto il “Monkeyland” e il “Birds of Eden” (17,50 euro entrambi. Scimmie di vario genere all’interno della riserva protetta scorazzavano in libertà tra una cima e l’altra della ricca vegetazione. Tra cui Cleopatra il Lemure bianco e nero, poi Gibboni, Cercopitechi, la Scimmia cappuccina, la Scimmia scoiattolo e i Lemuri del Madagascar. Caratteristico anche il ponte in corde sospeso che collega due collinette. Vari tipi di clima, invece, nel paradiso degli uccelli. Volatili dalle livree più varie e colorate nella foresta pluviale dove su tutti spiccano i Pappagalli. Anche qui un ponte in corde sospeso permette di entrare nel clima secco, Poi le voliere ricche di esemplari e gli stagni con Cigni, Gru e Anatre. A farci da Cicerone un Pappagallo Bianco che, prima è salito sulle nostre gambe a bar, e poi si è messo a smontare la nostra macchina fotografica forse infastidito da qualche strano riflesso. Come in ogni posto la pulizia e i servizi ad un livello altissimo. Anche nel parcheggio continuavamo ad incontrare animali, l’ultimo un Pavone dalle inconfondibili piume che razzolava indisturbato tra una macchina e l’altra. Riprendiamo la N2 per uscire dopo pochissimi chilometri sulla R102. La strada che porta alla Nature’s Valley. Già dall’alto si può scorgere il Soutrivier che scava un profondo canyon verso la valle. La sua foce si fa sempre più larga tanto da formare un lago a ridosso dell’Oceano. Lo spettacolo da basso è ancora più impetuoso e si porta a metterci in costume per correre sul bagnasciuga, prima del Lago e poi del Mare. Sulla spiaggia delle rocce magmatiche, di colore nero. Un paesaggio lunare senza alcuna traccia umana. L’acqua cristallina ci fa scorgere i pesci, non riusciamo a reggere la voglia di bagnarci… facciamo un tuffo nell’Oceano Indiano. Costeggiamo il mare alla ricerca di qualche altro angolo di paradiso, fino a scorgere una villetta (si fa per dire). Poi un’altra, e un’altra ancora immerse nella natura. Cosa molto rara in Africa la zona è diventata residenza estiva dei nababbi sudafricani. Ci fermiamo nell’umile Natural Valley Restaurant per pranzare (6 euro). Ci godiamo il panorama dall’alto, da un’altra prospettiva dove il fiume si inserisce nell’Oceano. Torniamo indietro verso Plettenberg Bay per poi leggere sulle guide di Noetzie, dove il Noetzierivier scende dalle alte montagne per formare una gola che si inserisce nell’Oceano creando una larga baia di sabbia bianca. Qui ci sono alcune ville  tra cui il Castello. Ma con stupore notiamo che non c’è una strada per arrivarci. Lasciamo l’auto in un parcheggio sterrato in alto e iniziamo la calata verso il mare. Lo scenario che si pone ai nostri occhi è da “pelle d’oca”. Le ville sono immerse nella natura quasi a “non voler disturbare”. All’interno della gola, una villetta di legno residenza estiva di qualche “solitario”. Risalendo apprezziamo ancora di più il canyon scavato dal fiume, ma il sole sta per calare ed è meglio rientrare. Facciamo in tempo per ammirare il tramonto sull’Oceano vicino al nostro Lodge. Una doccia e torniamo a Knysna per cenare al Dry Cock Resaurant (7 euro) e poi farci una birra ghiacciata all’Oldes Restaurant (2 euro) sull’isoletta artificiale costruita nel Porto. Torniamo in Hotel a notte inoltrata, sapendo che in Africa viaggiare di notte non è consigliabile, i 40 chilometri che ci distanziano li facciamo con molta apprensione, non incrociamo nessuno, un guasto alla macchina ci potrebbe essere fatale. Ma l’affidabile Golf non ci fa brutti scherzi e raggiungiamo il Lodge. Anche il personale addetto alla sorveglianza rimane stupito alla vista dei fari, esita più del solito prima di aprirci il cancello, vuole essere certo di quello che sta per fare. Poi alla fine ci lascia andare, ma continua a seguire i nostri spostamenti con la coda dell’occhio.

 

Mercoledì 7 febbraio – 7° giorno

Lasciamo il Lodge dopo aver fatto un’abbondante prima colazione per continuare il nostro cammino verso est. Attraversiamo nuovamente la Nature’s Valley rimanendo sulla N2, un lunghissimo viadotto vi fa entrare sulla Riserva naturale “Formosa Provincial” del Tsisikamma. Al termine del Bloukrans Bridge un cartello desta la nostra attenzione: “Face Adrenalin”. Voltiamo per approfondire e sapere cosa fosse di preciso. È ancora mattina presto e ci sono poche automobili nel parcheggio. Un chiosco vende gelati e qualche cosa da sgranocchiare. Nulla di che… stiamo andando via quando il personale ci avvicina. Ci dicono che aprirà tra poco. Noi ci chiediamo cosa! La curiosità aumenta e li seguiamo. Dietro a della vegetazione si intravede una struttura. Accanto una vista panoramica sul ponte e sotto la sua enorme gola. C’è del movimento sotto al ponte, notiamo una struttura posticcia, mentre ad un bordo della montagna è appeso un lungo tirante che porta dall’altra parte. Sono un “Fly to sky” e un “Bungy Jumping”. A fare il volo dell’angelo non c’è nessuno, mentre a buttarsi da quasi 500 metri di altezza s’incomincia ad intravedere la fila. Arrivano da tutte le parti per assaporare l’adrenalina, dato che è il lancio più alto del mondo. Noi facciamo fatica a fare le foto, per la paura di cadere dal parapetto in cemento. Loro attraversano metà del ponte, già questa è un’impresa, si legano la corda alle cinture di sicurezza, e via nel vuoto. Riusciamo a fotografare e a filmare i primi, una coppia di sposini. Poi decliniamo gli inviti e ci rimettiamo in viaggio. Senza che ce ne accorgessimo sono passate due ore, ci chiediamo se le abbiamo buttate o se anche questa esperienza fa parte della conoscenza.

Ci fermiamo poco dopo all’interno del Parco dello Tsisikamma (4.50 euro), dove è possibile fare dei percorsi immersi nella natura. Optiamo per uno più corto che porta sullo Stormsriver Mounth con il suo ponte sospeso di 77 metri. Il passaggio in mezzo al bosco è straordinario, c’è molta gente che viene a altra che va. Si arriva fino al fiume che divide in due la montagna creando un canyon. Un ponte sospeso permette di attraversare la gola fino agli scogli dall’altro capo. Attraversiamo il ponte “ballerino” e lo sguardo va sul fondale, in mezzo all’acqua limpidissima si notano degli Squali e una Manta. Alcuni turisti sono pronti per buttarsi in acqua, li fermiamo in tempo. Sugli scogli facciamo fatica a stare in piedi, l’umidità li ha resi viscidi ed è facile fare degli scivoloni. Rimaniamo incantati davanti allo spettacolo della natura. Ci rimettiamo in rotta verso est, ci fermiamo a Jeffreys Bay e pranziamo a “El Savore” (8 euro). Arriviamo all’Addo Elephant National Park nel pomeriggio, non c’è il tempo di fare un Safari. Prendiamo possesso della nostra camera in un B&B (30 euro) nelle vicinanze del parco. La visita al Parco è solo per avere informazioni per la mattina seguente. Fa molto caldo e la giornata è stata molto faticosa, salto la cena e “ricarico le batterie”.

 

Giovedì 8 febbraio – 8° giorno

La lunga “dormita” ci ha rimesso in piena forma e dopo una veloce colazione siamo all’ingresso dell’Addo (9 euro) alle 7, orario di apertura del Parco. Sono gli Struzzi a darci il benvenuto sotto il cinguettio degli uccellini. In mezzo alla sterpaglia dei Facoceri, due di loro si guardano negli occhi in modo minaccioso, forse per qualche diverbio sul territorio. Una Tartaruga a bordo strada ci lascia passare, mentre gli Struzzi sono sempre più numerosi. Dietro la vegetazione un gruppo di Elefanti. Sono solo l’aperitivo di quanto vedremo nel laghetto al centro del Parco. Una marea immensa di Elefanti, famigliole intere dai più piccoli ai più grandi. Contarli è quasi impossibile, perché continuano ad arrivare ad abbeverarsi e bagnarsi alle prime luci del sole. Mentre l’ampio parcheggio con vista laghetto, s’inizia a riempire di voyeur. I mammiferi, mischiati ai Facoceri, approfittano per spruzzarsi il fango sul corpo per isolardo e stemperare la calura. Alcuni di loro sono completamente immersi nella pozza. Altri sono già in movimento per incamminarsi in cerca della vegetazione più alta. Decidiamo di continuare il percorso e ci imbattiamo in cinque Elefanti che stanno percorrendo la strada in senso opposto. Uno di loro, forse il maschio, è gigantesco, con loro anche un piccolo. Non sappiamo casa fare. Blocchiamo l’auto e aspettiamo inermi il loro passaggio. Ci quasi sfiorano incuranti della nostra presenza. E pure la nostra auto rosso fuoco l’avranno vista. Torniamo al Gate dopo tre ore e mezzo di percorsi all’interno del Parco, ma la temperatura si è alzata e gli animali sono tutti nascosti all’ombra. Approfittiamo della struttura, che come le altre in Sudafrica è curata in tutti i dettagli, per una breve sosta. Un Babbuino ci spia dall’alto di un albero. Ci mettiamo in cammino verso Port Elizabeth non prima di essere ripassati al nostro B&B per una doccia veloce e aver preso le valigie. Saluti cordiali con i proprietari che ci hanno ospitato e via verso il mare. Già dopo una trentina di chilometri s’inizia a scorgere la periferia della Città che fa un milione di abitanti. Il traffico è intenso ma non caotico. Le arterie che conducono al Centro sono di nuova generazione e molte volte contrastano con alcuni “decadenti” quartieri, specialmente quelli industriali dediti al trasporto marino delle merci. Arriviamo nella piazza principale “Vuyisile Mini Square di fronte alla Cattedrale per “respirare” l’aria della città e chiedere indicazioni sul nostro alloggio. Ce lo indicano sopra ad una collinetta dall’altra parte del “Donkin Reserve” il Parco cittadino. Noi scorgiamo solamente un elegante palazzo edoardiano dell’inizio del ‘900, pensando che l’Hotel fosse nei paraggi. Con nostro stupore invece costatiamo che il Protea Hotel Edward & Conference Centre (35 euro) è proprio il Palazzo indicato che domina, dall’alto della collina, sia il Parco che il Centro con una vista incantevole della Baia Mandela. La nostra camera non è ancora stata restaurata, si stanno ultimando i lavori dell’intera struttura, con un sapore di retrò. È su due piani, in alto l’ingresso, lo spogliatoio e il bagno, in basso (quattro scalini) la camera con un’ampia balconata dove si può ammirare il panorama. Scendiamo nella hall per cercare dove pranzare, e nella Galleria all’interno della struttura che ospita anche una libreria e negozi di arte, e dietro ad una vetrata il ristorante dell’Hotel dove abbiamo pranzato (5.50 euro). Dopo un breve giro nel parco abbiamo ripreso la nostra auto alla ricerca di luoghi caratteristi. Abbiamo attraversato il moderno quartiere di Summerstrand con le lussuose ville sulla collina che dominano la Baia, e notato sul lungomare “Marine Dr” numerose strutture turistiche. Proseguendo verso Capo Recife, il campo da Golf, uno degli sport dove i locali primeggiano nel mondo. Continuando verso il Capo si notano i primi Chalet immersi nelle dune all’interno della vegetazione. La strada porta fino al Faro che ospita un ristorante bar con vista sugli scogli. Ci sono molti turisti ad ammirare l’Oceano. Si può salire sugli scogli per farsi “vaporizzare” dalle onde del mare. Una può grossa ci  bagna completamente compresa la nostra attrezzatura fotografica. Più in là tra gli scogli si è formata una vasca dove con l’acqua scaldata dal sole. Sono molti i piedi immersi a sguazzare nella pozza, specialmente i bambini. Sugli scogli una nutrita schiera di Iraci del Capo (o delle Rocce), che in un primo impatto sembrano dei grossi topi. Nelle vicinanza c’è l’aeroporto, ne approfittiamo per chiedere alcune informazioni dato che abbiamo il volo la mattina presto. Ci rassicurano sulla consegna dell’auto e sulle procedure d’imbarco. Torniamo nel nostro Hotel in tempo per goderci il tramonto sulla Baia Mandela. In serata torniamo lungomare “Marine Dr” che si è popolato di persone in cerca di ristoro dopo la lunga giornata lavorativa o turistica. Ceniamo al “34 South” (8 euro) un locale moderno molto frequentato dai giovani. Andiamo a letto presto, l’indomani ci attende una giornata molto dura.

 

Venerdì 9 febbraio – 9° giorno

Sveglia all’alba, e alle 6 siamo già in aeroporto per consegnare l’auto e imbarcarci sul volo Kulula in direzione Jo’sburg (70 euro). Il viaggio è molto breve, non c’è il tempo neppure per un pisolino, già alle 8.45 siamo all’African Car Hire a ritirare la nostra vettura. Ci consegnano un’altra Golf modello vecchio (46 euro a persona) corredata delle cartine per raggiungere il grande parco del nord. Per prima cosa bisogna fare attenzione ad uscire da Johannesburg, la città è una delle più pericolose del mondo in tema di criminalità, sbagliare strada potrebbe essere fatale. Alcune Township sono a ridosso delle grandi arterie e entrarvi potrebbe significare non uscirne senza qualche brutta avventura. Usciamo dal Tambi International Airport in direzione sud e dopo pochi chilometri imbocchiamo la N12 in direzione Emalahleni dove si inserirà sulla N4 la strada che porta a Nelspruit, la città d’ingresso del Kruger, per poi proseguire in Monzambico fino alla capitale Maputo. Noi decidiamo di effettuare un percorso alternativo che da Emalahleni prosegue verso nord sulla N11 per poi immetterci nella R33 nella provincia di Limpopo attraversare i piccoli centri di Steelpoort, Burgersfort e Ohrigstad per poi aggirare il parco nazionale del Motlatse Canyon ed arrivare a Hoedspruoit dove c’è un aeroporto per chi va al Kruger. Sono oltre 500 i chilometri da percorrere e la tabella di marcia ci da 7 ore e mezza. Nel nostro pacchetto al Gomo Gomo è previsto in serata il primo Safari e non vogliamo mancare. Subito fuori dalla città, alla prima stazione di servizio, ci fermiamo per fare il pieno e rifornirci d’acqua (ricordate l’abc?). Proseguiamo sparati verso la grande riserva naturale incuranti dei limiti di velocità. Certo la Golf non permette velocità di crociere di una GT, ma alle 14.00 siamo già si è al Gran Canyon percorrendo i 430 km in poco più di cinque ore. Le strade principali del paese sono in ottimo stato, non ci sono delle vere e proprie autostrade, ma sono abbastanza larghe per permettere il sorpasso in quasi tutte le condizioni. A questo va aggiunto il poco traffico e la correttezza alla guida dei locali, specialmente i camionisti, che si spostano nella larga corsia d’emergenza quando vengono sorpassati. Gli scenari sono incantevoli. Costeggiando la gola dell’Olifants, il fiume che proseguendo taglia in due il Kruger, si sale sui passi montani, in uno di loro, al termine di una breve galleria, un mercatino di prodotti locali in un parcheggio per ammirare il panorama. Ma non abbiamo tempo per fermarci lo facciamo all’incrocio con la R531 la strada del Grande Canyon a pochi chilometri dall’entrata al Parco. Pranziamo al Blyde Canyon (3 euro) fuori orario di apertura, i proprietari fanno uno strappo alla regola aprendo la cucina a pranzo. Ci rimettiamo in marcia e entriamo nel Parco (19 euro) costeggiando l’aeroporto di Hoedspruit. La strada ora è in breccia e dobbiamo limitare le velocità anche perché c’è la possibilità di incrociare dagli animali. Dovremo percorrere oltre 20 chilometri prima di arrivare al punto di appuntamento dove ci verranno a prendere con la Jeep. La lunga striscia bianca è costeggiata dalle reti, ma ci sono i varchi per far passare Antilopi, Facoceri e altri animali di piccola taglia. Arriviamo sotto una grande Quercia dove ad attenderci sono i ranger del Gomo Gomo Game Lodge (due notti, tre giorni di Safari 300 euro a persona). Dopo il cocktail di benvenuto, ci portano nel nostro Lodge dove c’è il minimo indispensabile, il bagno (solo per noi) è fuori in un’altra capannina. Ci danno subito le direttive: non si può uscire da soli specialmente la notte, e i Safari sono alle 5.30 del mattino, alle 10.30 a piedi nella Savana e alle 16 fino al tramonto. Siamo in tempo per il primo nostro impatto con la Savana, quella vera, con la esse maiuscola.

La stanchezza dell’alzataccia mattutina e il lungo viaggio svanisce con l’adrenalina scaturita dall’emozione. Si guada subito il fiume per scorgere gli Ippopotami completamente immersi nell’acqua fangosa. Più avanti in una pozza è immerso un Rinoceronte Bianco. Al nostro passaggio si alza e si infila nell’alta vegetazione. Su una albero secco un Red-billed Hombill. La Jeep si ferma davanti ad un cespuglio, i Rangers ci indicano un arbusto insecchito. Poi vediamo qualche cosa muoversi, sono dei Leoncini, uno si alza sulle zampe d’avanti. Poi un altro sulle quattro zampe. Sono molto magri e i Ranger ci dicono che mamma Leonessa è sicuramente da qualche giorno a caccia. Non tornerà fino a che non troverà una preda da portare ai suoi piccoli. Li contiamo sono ben quattro sicuramente molto affamati. Ci allontaniamo, si scorgono alcuni termitai sontuosi. In alto un uccello ci fa notare che è quasi l’ora del tramonto. Ci taglia la strada un enorme Elefante, sicuramente un maschio solitario. Sono pericolosi, allontanati dalle matriarche perché il loro testosterone è alto, lo lasciamo andare. Su una collinetta è sdraiato un Leopardo. Riposa con la bocca aperta e la lingua penzolante. Poi abbassa la testa e la mette sulle zampe come fanno i gatti. Quindi non curante di noi si sdraia nascondendo la testa tra la vegetazione. Cala il tramonto sulla Savana e ci fermiamo in un punto panoramico per ammirarlo. In questo primo giorno siamo riusciti a “cacciare” (con la macchina fotografica s’intende) quattro “big five”, ci manca solo il Bufalo che del resto per noi del pontino è un animale domestico. Torniamo al Gono Gono con le luci accese, guaiamo di nuovo il fiume e gli Ippopotami sono ancora in acqua. Sulla riva c’è anche un Coccodrillo, ma la notte è calata e facciamo fatica a fotografarlo. Il Ranger si ferma di scatto: è buio pesto, pensiamo subito ad un’avaria alla Jeep.  Invece punta il faro mobile sulla vegetazione, scende di corsa e torna con in mano un Camaleonte, se lo fa camminare sul dorso della mano, lo accarezza e lo coccola prima di riposarlo tra le foglie. Torniamo all’accampamento che sono le 19.30, il Safari è durato più del solito e c’è il tempo solo per una doccia prima della cena. Ci vengono a prendere e ci portano intorno al Boma (dove è acceso il fuoco) e sono già apparecchiati i tavoli degli ospiti. Una Rana sulla cantinetta tra le bottiglie di vino. Una Cavalletta viene a posarsi sul nostro tavolo, tra il “cannucciato” del tetto si nota un grosso nido. Non riusciamo a goderci la cena, oltre che a calare la notte è calata anche la stanchezza… siamo “cotti” e andiamo a dormire.

 

Sabato 10 febbraio – 10° giorno

Alle 5 ci vengono a svegliare, abbiamo poco tempo per prepararci perché dopo poco ci vengono a prende dalla nostra “capanna” per fare il primo Safari della giornata. Alle 5 e mezzo siamo già sulla Jeep. Fa freddino, ma si può sopportare indossando una felpa. È ancora notte fonda, dobbiamo fare in fretta e anticipare i predatori che si muovono solo con le temperature basse. Del resto cosa fareste voi con una pelliccia a dosso in estate?

Passiamo sul fiume e gli Ippopotami sono ancora là nell’acqua. Incrociamo un’altra Jeep del nostro “Camp” con due coppie di anziani inglesi habitué delle avventure in Africa. La giornata non è bella, il sole è coperto dalle nuvole, ma la temperatura sale, ci togliamo la felpa e manteniamo il busso cappello in testa. Già il sole ci ha bruciato il viso, e il burro di cacao non riesce ad ammorbidire le labbra screpolate. Su di un albero la carcassa di un’antilope portata sicuramente su da un Leopardo. Sotto un vecchio Leone che dorme. I Leoni non salgono sugli alberi (ad eccezione di una specie che vive nel Lago Manyara in Tanzania). Sicuramente attirato dal profumo (noi diremo puzza nauseabonda)  attende o il Leopardo o che cada. Gli scatti delle macchine fotografiche lo destano, ma certo non si sposta dalla postazione privilegiata. Ogni tanto fiuta l’aria come a dire: “sei ancora su?”. Proseguiamo alla ricerca di tracce nuovo. I Ranger scrutano il terreno, mentre uno guida, l’altro e su un seggiolino piazzato sul passaruota della Jeep con i piedi poggiati sul paraurti anteriore. Questa volta avvista qualche cosa di grosso che va verso la vegetazione. Nel Kruger come in molte riserve si può abbandonare la strada tracciata solo per i Big Five. Quindi deve prima accertarsi di ciò che ha avvistato. A piedi s’introduce tra i rami, dopo un po’ torna indietro e da l’ok al collega. Lasciamo il sentiero per inoltrarci nella Savana, dietro alle foglie una Leonessa. Si rotola come un gattone, poi ci guarda e si rimette a dormire. Guadiamo un altro fiume e il quinto Big Five è sul bordo immerso nell’acqua. È una mandria di Bufali, quando escono dall’acqua si nota la sua mole. Più in là sull’acqua un Corriere dai tre Collari, mentre un Ovambo Sparrowhawk è in cima ad un albero secco. Si torna alla base alle 9.30 e subito ci aspetta la colazione mattutina. Ci possiamo rilassare sulle sdraio della terrazza che si affaccia su un laghetto. Recuperiamo l’alzataccia con del relax. La connessione internet che ci ha permesso di collegarci e rimanere in contatto con il mondo, va a tratti e solo dalla segreteria. Ma per due giorni ne possiamo fare a meno. Arriva veloce l’ora del secondo Safari, quello a piedi nella Savana. Ci spiegano le piante endemiche, e ci fanno notare alcuni insetti. Una Cavalletta dalla foggia multicolore ci guarda incuriosita. Tra le foglie un tubo lungo nero. Pensiamo a qualche diavoleria per innaffiare. Il Ranger invece tira fuori un Millepiedi enorme, della stessa forma e sembianza di quelli che abbiamo noi nelle nostre case (ovviamente chi vive in campagna) ma dalle dimensioni enormi, Tra due rami un grosso Ragno, ci dice che è velenoso. Nel terreno un grosso foro, il Ranger ci mette dentro un stecco, ma non ne esce niente, ci dice che è la tana di una Vedova Nera… ma per fortuna non c’era (pensiamo noi). Torniamo al Camp e sul laghetto si notano gli Ippopotami. Ci rilassiamo sulle sdraio accanto alla stagionata e ci godiamo il panorama con la natura che in ogni momento ci stupisce. Un falchetto ci viene a trovare forse per avvertirci che il pranzo è pronto. Sulla terrazza accanto al Boma spento, si apparecchiano i tavoli. Apprezziamo la cucina locale e il cuoco ci tiene a spiegarci il menù, è lui stesso a servirci le pietanze. Possiamo tornare nella nostra Capanna per farci un bel pisolino ristoratore. Alle 16 ci bussano alla porta, la Jeep è fuori ad aspettarci. Subito un gruppo di Antilopi ci guardano incuriosite prima di scappare. Più in là un Dik Dik solitario. Nella folta vegetazione un grosso Elefante nero. È visibilmente eccitato. Dietro di lui un altro Elefante. Vengono nella nostra direzione. Sono due maschi isolati dal gruppo, sono pericolosi. Il Ranger li fa avvicinare sempre di più e loro non hanno nessuna idea di cambiare strada. Quando orma sono vicinissimi, non entrano più nel nostro obiettivo della fotocamera (solo per intenderci) fanno capire che non sono di umore buono e uno di loro ci carica. Il Ranger alla guida è svelto nel mettere la marcia e sgommare. Lo spavento c’invade, dopo qualche minuto abbiamo la forza di chiedere ai Rangers se anche loro hanno avuto paura… ci rispondono di si e ci spiegano che se un Elefante maschio carica, non ha difficoltà nel cappottare una Jeep anche se è molto difficile che lo faccia, perché per lui è solo un gesto di “prova di forza”. Da lontano notiamo che uno di loro ha un collare, è il segnale che monitorato dai ricercatori. Alla debita distanza continuiamo a fotografarli, fino a quando, tranquillizzati, si nascondono nella macchia. Intanto due Waterbuck si sfidano a cornate con degli Springbok che fanno da spettatori. Una Cicogna, o meglio un Becco a sella africano si specchia nell’acqua, poi spalanca le ali e prende il volo. Arriviamo ad una spianata di terra dove si notano due corsie (manca l’erba sul terreno). È un piccolo aeroporto nel cuore del Kruger dove si atterra direttamente sul prato. La striscia bianca è visibile anche dal satellite. Incontriamo una casetta nel mezzo della Savana forse servita per qualche avvistamento. Guadiamo il fiume e nel punto in cui si fa più largo si crogiola al sole un grosso Coccodrillo. Sulla riva in alto pascolano le Antilopi. Incomincia a calare il sole e in cima ad un albero secco scrutano il terreno due Avvoltoi. Un gruppo di Kudu ci guarda incuriosito, ma continua a brucare il terreno. In cima ad una collina un gruppo di Giraffe. Sono almeno una decina. Ci guardano impaurite. Le più alte sono avanti quasi a voler fare da scudo ai piccoli. Un atteggiamento molto insolito, di solito non percepiscono la Jeep (con il suo carico) come un predatore. Noi ci avviciniamo, ma loro non scappano, si voltano per stare a distanza. Ma lo sguardo va sulla nostra destra dove c’è un piccolo corso d’acqua. È lì che guardano le Giraffe. Si nota una figura che si sta abbeverando. Non si riesce a decifrare bene, forse un Leone. Invece sono due Leonesse, sono una accanto all’altra e fanno gli stessi gesti ingannandoci. Fino a quando una di loro alza la testa mentre l’altra continua a bere. Forse una di loro è la madre dei quattro Leoncini di questa mattina. Sicuramente sono a caccia. Finiscono di bere e vengono nella nostra direzione. Costeggiano la Jeep e passano avanti quasi a sfiorarla. Ma lì a pochi centimetri c’è il Ranger seduto sul parafango. Con tutto che ci avevano avvertiti che i predatori non percepiscono l’auto, anzi la considerano un blocco unico e per questo non riescono a percepire la presenza umana, il terrore prende il sopravvento. Quando sfiorano la Jeep ci facciamo di marmo e la salivazione si ferma. Ovviamente la nostra vettura è scoperta e un Felino impiegherebbe un millesimo di secondo per avventare le prede al suo interno solo se le percepisse. Ed invece la loro stanca camminata continua indisturbata come se fossimo delle pietre. Dei massi messi lì nella Savana. Si fermano a guardare le Giraffe davanti a noi. Sono magre e denutrite, quindi sicuramente affamate. Ma anche giovani nel pieno delle forze. Ci verrebbe spontaneo dargli da mangiare, anche perché potrebbero far mangiare i loro piccoli. Ma questa è la dura legge della natura e gli animali allo stato selvatico si devono procurare il cibo da soli se vogliono sopravvivere nella giungla. Siamo stupiti dalla bellezza di queste giovani, dal loro sguardo ghiacciante ma allo stesso tempo dagli stessi movimenti di un gatto di casa. Il sole si nasconde dietro alle nuvole prima di andare a dormire. I Ranger hanno una strana fretta, non hanno tempo di seguire le Leonesse, anche perché non vogliono disturbarle nella caccia. Su un albero si scorge un Lilac-breasted Roller. Il sole è ormai calato e noi ci fermiamo sopra il fiume per una breve sosta rigeneratrice. Per terra un Millepiedi è lungo come un mio indice. Ripartiamo appena in tempo per assiste a qualche cosa di sconvolgente. Vi ricordate del vecchio Leone di questa mattina che stava sotto un Acacia in attesa del Leopardo? Beh arriviamo appena in tempo per vedere il balzo felino (in questo caso si proprio dire) del Leone che con gli artigli agguanta la carcassa dell’Antilope e poi ricade a terra di peso. I Ranger con i fari movibili lo inseguono, con la camminata fiera ha in bocca la carcassa e se al porta poco distante per la cena. L’odore è nauseabondo, la carne dell’Antilope è in avanzata decomposizione, ma al Leone poco importa. Torniamo a “casa” soddisfatti della lunga giornata e desiderosi di “sviluppare” le nostre foto. Al Gono Gono hanno già preparato la cena, ma prima ci offrono un aperitivo davanti al Boma. Il pranzo è molto buono e di ottima qualità, le portate sono varie e c’è scelta anche per i palati più delicati. Una birra ghiacciata ci da il “colpo di grazia” e scortati andiamo a dormire.

 

Domenica 11 febbraio – 11° giorno

Alle 5 ci vengono a svegliare per il Safari, sarà l’ultimo perché poi lasceremo il Lodge. Alle 5 e 30 siamo già in marcia. Ormai abbiamo memorizzato i percorsi e trovato qualche punto di riferimento: il fiume che guadiamo, un grosso albero sulla nostra sinistra dove possiamo scorgere l’alba. Una Cicogna è sopra un albero secco. Torniamo dai quattro Leoncini. Sono ancaora lì nello stesso punto dove li avevamo lasciati la mattina seguente, e ancor più affamati. Ci guardano con gli occhi dolci dei gattini, poi si sdraiano uno sull’altro. Uno di loro gioca con una radice, la morde come se fosse una preda, facciamo fatica a staccarci da quegli occhioni pieni dalla voglia di rivedere la madre con del pasto caldo. Forse non saranno sopravvissuti ad un’altra giornata senza cibo, o la madre arriverà per salvarli… ma anche questa è la dura realtà della Savana di cui l’uomo fa bene a non interessarsi e non interagire con essa. Un’altra dura lezione sulla relatività delle cose che l’Africa ti mette spesso in condizione di riflettere e pensare. Riprendiamo il Safari e delle Zebre sono sulla strada, non delle strisce pedonali ma tre magnifici esemplari che pascolano indisturbati. Sulla cima di un albero una coppia di Red-billed hombill, dall’altra parte un Southem Yellow-billed hombill, più in la un Lilac-brasted roller dal piumaggio variopinto con il collo lillà. Ci imbattiamo in una mandria di Bufali. Alcuni sono sdraiati a terra, altri in piedi. Ci guardano mostrando le loro tipiche corna che sul capo formano una specie di parrucca stile settecento (avete presente il Re Sole?). Al paggiado dei Springbok e dei Dik Dik i Ranger non si fermano più. Ci fermiamo ad ammirare un Avvoltoio invece, poi ripassiamo per l’aeroporto, è abbandonato, sotto al piccolo hangar è cresciuta l’erba. Al fresco di un albero sta un Elefante, muove le orecchie, non è un buon segno. Si appoggia sull’albero con la proboscide tanto che lo scuote. Poi alza la coda e fa un bisognino. Quindi ci fa capire con le buone che è meglio tagliare la corda e lasciarla in pace. Vicino ad uno stagno, accanto a dei Termitai ci fermiamo per una breve sosta ristoratrice. Una buona tazza di Caffè e si riparte. Una Giraffa in controluce si mimetizza con un albero. Un Falco scruta l’orizzonte. Torniamo al Lodge, i Safari sono terminati ed è ora di ripartire. Salutiamo i nostri due Ranger ringraziandoli della proficua “caccia” anche loro si meravigliano di essere stati “fortunati” nel farci vedere tutti i Big Five in così poco tempo. Carichiamo le valigie sulla Jeep non prima di aver scattato qualche foto di gruppo. Sulla strada per riprendere la nostra automobile parcheggiata nella Savana le Antilopi sono numerose, si scorgono anche delle Zebre. La nostra Golf carta da zucchero è sempre lì parcheggiata. Passiamo il fiume dove scorgiamo due pescatori. Ci domandiamo se non fosse pericoloso stare lì. Prendiamo la strada asfaltata e un gruppo di Antilopi ci taglia la strada, più avanti una Scimmia. Abbiamo ancora tutta la giornata davanti a noi, dormiremo nella vicina Nelspruit per poi domani in serata imbarcarci per il ritorno. Alla prima stazione di servizio facciamo il pieno di benzina e acqua. Torniamo indietro a Hoedspruit per riprendere la strada dell’andata fino all’incrocio con la R532 che si inerpica su la montagna. Entriamo nella Riserva Naturale del  Motlatse Canyon e subito si notano le Montagne sedimentarie a forma di torrioni, in basso il Canyon. Su un punto paronimico si apre la vallata scavata dal Blyderiver che si allarga creando un lago (Blyderiverspoortdam). Il Canyon è uno dei più profondi e spettacolari del Globo. I colori della vegetazione in contrasto con quelli delle rocce crea dei giochi di colori mozzafiato. Nei punti panoramici si possono seguire le anse del fiume tra le alte cime. Dietro si apre la pianura. Entriamo per visitare le vasche del Potholes Blyde Canyon, ma prima ci fermiamo nel ristorante per pranzare (2.70 euro, 2.40 il biglietto d’entrata). Un percorso ci porta all’interno del sito, caratterizzato dalle rocce sedimentarie. Su di un ponte si possono ammirare le cascatelle e le erosioni dell’acqua nella roccia che ha formato delle vasche. Il fiume Treur confluisce nel Blyde creando forme geometriche e salti d’acqua spettacolari. Più avanti una gola con ponti naturali. Lo scenario è naturale, l’uomo è intervenuto con un impatto poco invasivo. Molto legno per costruire le strutture e poco cemento. La struttura pulitissima e ben organizzata mette a proprio agio i visitatori. Sulle rocce le Lucertole prendono il sole indisturbate. Più avanti un cartello “God’s Window” letteralmente la Finestra di Dio. Incuriositi andiamo a vedere. Una terrazza si affaccia su uno strapiombo di 700 metri, dove si apre la valle. Uno spettacolo incantevole. Nel parcheggio un casotto dove si vende la merce per i turisti, stesi al sole i lenzuoli colorati in balia del vento. Torniamo sulla strada principale e ci rimettiamo in direzione sud. Facciamo una deviazione verso Pilgrims Rest (letteralmente Il Riposo del Pellegrino), un piccolo paese creato dai cercatori d’oro nella metà dell’800. Dal 1970 la miniera è stata chiusa e si è pensato di restaurare il paese e tenerlo come museo vivente. Le strutture sono state riportate indietro di un secolo, anche la stazione di servizio con le sue caratteristiche pompe di benzine. Incontriamo anche due donne Mbobuto dal caratteristico abbigliamento a strisce colorate verticali. Il sole sta per calare e ci apprestiamo a raggiungere Nelspruit. Raggiungiamo il Town Lodge (31 euro) molto comodo per chi viaggia perché è proprio sulla strada principale che spacca in due la città. Poco distante, dall’altra parte dell’arteria, un centro commerciale, notiamo l’Arkansas Spur un ristorante molto colorato di stile moderno dove all’interno si può cenare nella sue sale di stile saloon (7 euro). Non abbiamo tanta voglia di girare in centro, mancano anche le forze. Quando ci si alza presto la mattina, è inevitabile che alla sera si crolla.

 

Lunedì 12 febbraio – 12° giorno

Abbiamo ancora un’intera giornata d’avanti. L’aereo è alle 20.15 e l’aeroporto dista 330 km. Ovviamente non vogliamo arrivare all’ultimo minuto, ma nemmeno passare la giornata nelle sale d’aspetto. Quindi ci mettiamo in marcia in direzione Jo’burg. Sfogliamo la Lonely Planet in cerca di qualche cosa da visitare. A circa metà strada c’è un villaggio tradizionale Mbobuto da poter visitare. La Guida dice a Middelburg. Usciamo dalla N4 in direzione della Città e chiediamo informazioni. Nessuno è a conoscenza di questo villaggio. Ci indicano un ufficio sul turismo, e li sono molto vaghi, ma ci indica la direzoine che è qualche chilometro fuori città. Prendiamo la N11 facendo molta attenzione ai cartelli. Un piccolo cartello marrone indica Botshabelo con sotto i disegni di una animale (quindi un parco), una doppia B (Bed and Breakfast), degli omini a piedi (tracking) e una roulotte (campeggio) ma nulla sul Villaggio. Ci siamo ed andiamo a vedere. Un cancello non ci permette di entrare. Chiediamo maggiori informazioni e ci assicurano della presenza del Villaggio, di un Museo e del popolo. Entriamo (1.60 euro), si passa all’interno di una riserva naturale piena di animali, Orici, Antilopi, Zebre, poi si arriva al parcheggio dove termina la strada. Da una parte una chiesa sul cui tetto ci sono delle Scimmie. Dall’altra un capannone con dentro delle vecchie macchine agricole, non capiamo bene a cosa servivano, sicuramente andavano a vapore. Ben curate le strutture che ospitano gli uffici. Chiediamo di visitare il Villaggio ce lo indicano al di sopra di una collinetta. Attraversiamo un ponticello dove ci sono dei cavalli al pascolo e arriviamo al Ndebele Museum che non è altro che il villaggio di cui sopra. È ricco di colori primari con dei disegni geometrici irregolari. Dietro le capanne che hanno ai muri gli stessi motivi ornamentali, ma il tetto di canne. È completamente disabitato. L’entrata è bassa, bisogna chinarsi per entrare dentro. A questo si somma il caldo, è da poco passato mezzogiorno. Una capanna più larga non ha le decorazioni delle altre, al contrario ha delle ampie finestre. Dall’altra parte un altro villaggio di stile completamente diverso con i tetti a cupola che scendono fino a toccare terra sempre di canne. Una sorta di igloo di canne con una strettissima entrata a cunicolo. Dopo aver scattato varie foto decidiamo di tornare indietro quando sul ponticello incontriamo delle donne con i costumi tradizionali che vanno a “popolare” le casette. Le seguiamo sapendo che le stesse si sono preparate per il nostro arrivo. Infatti si schierano all’interno davanti alle capanne per farsi fotografare. Indossano dei tessuti molto pesanti per la stagione, ma la loro caratteristica è il collare al collo e ai piedi. Il gioco di colori è indescrivibile, così come le collane e i monili che indossano. Torniamo indietro in cerca di qualche altra cosa da visitare. Nel frattempo si è fatta l’ora di pranzo e ci indicano un ristorante all’interno della struttura (3,20 euro). Tra Scimmie, Cavalli e Cavallette multicolori ordiniamo il pranzo. Ci accomodiamo nel giardino adornato di fiori. Sono curati in maniera maniacale. Si può mangiare sul prato sotto un ombrellone. Intanto le Scimmiette giocano con tutto quello che trovano. Percorriamo la via d’uscita attraversando il parco dove pascolano indisturbati Orici, Zebre, Gnu, Waterbuck ad altri tipi di Antilopi. Ci fermiamo per una breve sosta a  Middelburg per poi rimetterci sulla N4 per poi lasciarla dopo pochi chilometri per la N12. Arriviamo in aeroporto alle 17, consegniamo l’auto e svolgiamo le pratiche d’imbarco. La nostra vacanza è terminata ci aspettano nove ore di volo per Londra e altre due e mezzo per Roma dove arriveremo la mattina seguente alle 10.50.

Creta, le meraviglie dell’ovest

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Sottotitolo: tre donne, una settimana, un appartamento, una macchina a noleggio, Chanìa e le meraviglie di un’isola stupenda!

 

Per questo viaggetto di inizio giugno, la scelta era caduta su Creta perché cercavamo una meta dove andare al mare e rilassarci e, al contempo, poter visitare cose interessanti. Naturalmente non siamo rimaste deluse: ci siamo innamorate di Creta praticamente all’istante, un’isola ha saputo lasciarci senza parole dal primo all’ultimo giorno.

 

Viaggio e soggiorno

Abbiamo volato Ryanair da Bergamo su Chanìa (l’isola ha due aeroporti: Chanìa e quello del capoluogo, Heraklion), spendendo circa 270 euro a testa con il pacchetto “all inclusive” (posto, bagaglio, priority). Sul sito Ryanair, contestualmente al volo, ci siamo prenotate anche la macchina, da prendere direttamente in aeroporto e abbiamo speso circa 300 euro per una settimana di noleggio, l’assicurazione supplementare e tre conducenti.

Una delle meraviglie cretesi di questo nostro viaggio è stata sicuramente la casa: avevo prenotato “Friendly House” su booking.com fidandomi delle impeccabili recensioni e perché cercavamo, pur essendo solo in tre, un appartamento con almeno due camere da letto. Abbiamo trovato questa vera perla, con tre camere da letto e due bagni, nuovissima, curatissima, arredata in modo pazzesco, luminosissima, piena di balconi e terrazzi, incluso uno panoramico sul tetto, ed un proprietario cordiale e gentilissimo che ci ha fatto trovare in casa all’arrivo persino dei souvenir in omaggio e il frigo pieno di cose per la colazione: siamo rimaste a bocca aperta, e doppiamente quando nei bagni ci siamo ritrovate bagnischiuma, saponette e creme corpo di qualità, all’olio d’oliva e made in Creta. Per la nostra casa su tre piani, che aveva anche il posto auto coperto, abbiamo speso 900 euro, pulizia finale inclusa. La casa, attigua a quella della sorella del proprietario, si trova in un grazioso e tranquillissimo quartiere residenziale di Chanìa, a circa 4 km dal centro e a due passi da un fornito supermercato.

Nella sezione “viaggio” includo anche una parentesi sulla viabilità cretese, unico neo dell’isola: le strade sono lente, parecchio lente, e non semplicissime. Indispensabili un navigatore (noi abbiamo usato Google Maps dal cellulare), prudenza e pazienza. Nei centri abitati le strade sono un reticolo di sensi unici in cui è facile mancare la via giusta; tra Kissamos ed Heraklion, lungo la costa, corre l’ “autostrada”, che però è ben altra cosa rispetto al nostro concetto della stessa ed è, in realtà, una sorta di strada provinciale che a tratti ha due corsie per senso di marcia (ma solo a tratti); la vera nota dolente arriva quando si deve attraversare la parte interna dell’isola che è aspra e montuosa, e le strade sono strette, si arrampicano attorno ai monti e sono, ovviamente, piene di tornanti e lentissime. Quindi, tanto per capire, i tempi di percorrenza tra Chanìa e Kissamos (meno di 50 km, tutti di “autostrada”) sono di circa 50 minuti, tra Chània e Elafonissi (70 km) ci vuole un’ora e mezza (la parte dell’entroterra è allucinante), per arrivare ad Heraklion e Cnosso (140 km, tutti di “austostrada”) ci vogliono 2 ore.

 

Le spiagge

Siamo rimaste senza parole il primo giorno e non le abbiamo più ritrovate: acque turchesi e trasparenti, spiagge sabbiose stupende, panorami mozzafiato e, che non guasta, servizi in spiaggia a prezzi per noi impensabili. La prima settimana di giugno acqua un po’ freddina ma non improponibile ed impossibile resistere a colori e trasparenze da piscina.

Stavros

E’ stata la nostra spiaggia “di casa”, nonostante fosse a circa 20 km da Chanìa: avevo letto in rete di questa spiaggia sulla punta di una penisola, dove era stata girata la scena finale del sirtaki di “Zorba il Greco”, e ci siamo andate il primo giorno e poi l’ultimo. E’ una spiaggia non molto grande, tranquilla, a mezzaluna, chiusa da uno sperone di roccia che la trasforma quasi in una laguna e la tiene riparata da vento e onde: è bellissima! Per metà è libera e per metà attrezzata, alle spalle ha un paio di bar ristoranti e ci sono tutti i servizi. Un ombrellone e due lettini per tutto il giorno costano 10 euro e le ragazze del bar che ha anche in gestione la spiaggia passano tra gli ombrelloni e portano da bere e da mangiare direttamente lì (l’intero menù del ristorante in pratica si può mangiare sotto l’ombrellone). Nei giorni di licenza viene presa d’assalto dai Marines della vicina base NATO ma, a parte la musica un po’ alta, non creano problemi.

Falasarna

Bella, bella, bella! Ad un’oretta di “autostrada” da Chanìa e riserva naturale (come anche Gramvousa, Balos ed Elafonisi), Falasarna ci ha rubato subito il cuore per il paesaggio e i colori del suo mare. La lunga spiaggia è in realtà suddivisa in varie spiagge più piccole e noi, seguendo un suggerimento della Lonely Planet, siamo andate nella parte più tranquilla, quella in fondo, verso le rovine di Antica Falasarna (che abbiamo purtroppo trovato chiuse): è comunque attrezzata ma non ha moto d’acqua e simili, che ci sono invece nella parte della “big beach”. Ci sono un paio di bar e lettini e ombrelloni si affittano con 7 euro (!).

Gramvousa e Balos

Una gita assolutamente da fare. Balos può essere raggiunta anche in macchina (ma ho letto cose allucinanti sulla strada sterrata per arrivarci) mentre Gramvousa, che è qualcosa di incredibile, si raggiunge solo con la mini-crociera che tocca entrambi questi posti meravigliosi. Noi abbiamo appunto fatto questa crocierina, che parte da Kissamos e costa 28 euro a testa: si va prima a Gramvousa, dove ho visto l’acqua più trasparente della mia vita (per conto mio come trasparenza ha battuto anche le Maldive), si può stare un po’ in spiaggia oppure salire (la salita è impegnativa ma il panorama impagabile) alla fortezza veneziana che domina quest’isoletta che è poco più che uno scoglio.

La crocierina prosegue poi per la celebre laguna di Balos, che è certamente un posto unico al mondo: un paesaggio quasi lunare per il biancore accecante della sabbia e delle lagunette che si formano. Non ci sono attrezzature e servizi e per questo si può sempre risalire sul “traghetto” per andare in bagno (pulitissimi) o bere qualcosa o anche semplicemente stare all’ombra. Non so se è ventosa sempre o se è capitata a noi la giornata così, ma piantare ombrelloni (si noleggiano a bordo) non era possibile e comunque era impossibile anche sedersi con i teli, perché la sabbia è tutta impregnata d’acqua (presumo che di notte la marea salga e poi durante il giorno la sabbia non faccia mai in tempo ad asciugare). Avevo letto grandi cose di Balos ma, se devo essere sincera, a me è piaciuta meno di altri posti che abbiamo visto, tra cui Gramvousa. Detto questo, è sicuramente da vedere se si va a Creta.

Elafonisi

E’ la spiaggia più famosa di Creta ed è considerata la più bella e, quando la si vede, si capisce il perché! Arrivarci, se non si alloggia da quelle parti, non è semplicissimo, perché bisogna attraversare l’interno dell’isola e scavalcare ed aggirare un po’ di monti, ma ne vale assolutamente la pena: quando si arriva quasi non ci si crede. La spiaggia è attrezzata, ci sono un baretto e dei bagni (a pagamento, molto puliti) e nelle zone con lettini e ombrelloni (sparse per la spiaggia, che è ampissima) si spendono 8 euro per tutto il giorno (giuro). L’acqua ha mille sfumature di turchese, la sabbia è bianca ombreggiata di rosa e c’è una parte con delle piccole dune: è veramente un paradiso! E’ piuttosto esposta al vento e quindi si arrostisce al sole se non si sta attenti. A pochi km dalla spiaggia c’è un monastero indicato nelle guide, molto grazioso da visitare e con un bel panorama.

 

Città e rovine

Visto che avevamo scelto Creta per alternare spiagge, mare e relax a visite più o meno archeologiche, ci siamo fatte un migliaio di km in 7 giorni, per raggiungere anche qualche sito interessante e dare una sbirciata a qualche altra località oltre a Chanìa.

Cnosso ed Heraklion

Ovviamente, il sovrano delle rovine cretesi: il palazzo di Minosse. Purtroppo, l’archeologo che lo scoprì ebbe la sventurata idea di ricostruirne alcune parti con il cemento e di ritinteggiare muri, affreschi e colonne, per far vedere come erano in origine, con il risultato di una via di mezzo tra un sito archeologico e Gardaland. Le rovine sono comunque interessanti e lasciano intravedere un palazzo che doveva essere veramente un qualcosa di grandioso. Con il biglietto combinato si visita praticamente gratis il museo archeologico di Heraklion (15 euro solo Cnosso, 16 entrambi), che dista solo 5 km (di trafficata città) ed è veramente stupendo: contiene moltissimi reperti della civiltà minoica e del palazzo, tra cui dei pezzi strabilianti.

Rethymno

Ci siamo fermate sulla via del ritorno da Heraklion e ci è sembrata un po’ una piccola Rimini, nel senso che ha una lunga spiaggia in centro, su cui affacciano locali e alberghi, tutta ricoperta da stabilimenti balneari. La guida la segnalava per un piccolo porto veneziano con il faro, praticamente una riduzione in scala di quello di Chanìa. Si trova lungo la famosa “autostrada” che collega Chanìa ed Heraklion, con la quale si costeggia anche la spiaggia di Georgioupolis, lungo la quale ci sono hotel e villaggi, anche di tour operator italiani, per chi predilige vacanze più “statiche”.

Antica Aptera

Ad una ventina di km da Chanìa c’è questo piccolo ma interessante sito archeologico, di un’antica città prima greca, poi romana, poi bizantina (come tutta Creta in pratica). Il sito è gestito da volontari, è tenuto molto bene e le cose più interessanti e meglio conservate sono un teatro romano e una chiesetta ortodossa, ancora in uso, con un bel cortile. Vicino alle rovine di Aptera c’è un forte bizantino in posizione panoramica da cui fare foto pazzesche della vista sulla baia di Souda: merita assolutamente di passarci, anche se il monumento non è visitabile.

Chanìa

Dulcis in fundo, la nostra adorata e bellissima Chanìa. Ci siamo state tutti i giorni per passeggiata-cena-passeggiata nella città vecchia, con al centro il suo bellissimo porto veneziano, con faro e mura, e la vecchia moschea bizantina. Tenuta benissimo e piena di locali e negozietti, è veramente bella e rilassante. Si tratta di una città di circa 100.000 abitanti che ha anche una parte di centro moderna, con tantissimi negozi anche delle principali catene internazionali, ed un discreto traffico. Ci siamo innamorate subito della città vecchia e della sua atmosfera viva e rilassante allo stesso tempo e abbiamo visitato anche il piccolo ma suggestivo museo archeologico.

 

 

La cucina

Least but not last, la strepitosa cucina greca e cretese. Su consiglio di un amico che è già stato a Chanìa tre volte (e ora lo capisco benissimo!) la prima sera siamo andate a cercare la taverna Ela, tra la moltitudine di ristorantini della città vecchia, e ancora adesso lo ringrazio per il consiglio, infatti poi ci siamo tornate tutte le altre sere a parte la seconda ed era ormai casa nostra! Si tratta di uno dei diversi ristoranti di Chanìa vecchia a non avere il soffitto e il tetto, ma solo le pareti, con tanto di finestre e tutto quanto: spiegarlo non rende l’idea, bisogna vederli! Cucina greca robusta, servizio rustico ma sempre cortese, prezzi bassi e gelatino e raki sempre offerti. Il raki è la grappa tipica di Creta e permette di digerire in scioltezza qualsiasi cosa, incluse le massicce quantità di aglio, cipolla e peperoni insiti nella cucina locale! Da Ela ho adorato in particolare il polpo e la fonduta di feta, che è qualcosa di mistico.

Per i vari pranzi, abbiamo alternato panini preparati a casa ad insalatone (l’insalata greca “vera” è un monumento al gusto e alla freschezza) e macedonie (ovviamente con yogurt e miele) ordinate nei bar sulle spiagge. La qualità è sempre stata alta, tutto freschissimo e a prezzi contenuti.

 

Per concludere

L’isola è grande e le cose da vedere tantissime e sparse su una superficie molto ampia, con anche il problema delle strade assai lente e spesso tortuose, quindi la nostra base a Chanìa, non volendo passare una settimana sempre a guidare per giornate intere, ci ha permesso di vedere solo un piccolo spicchio di Creta. Idealmente bisognerebbe avere più tempo e/o, in ogni caso, prevedere di dormire almeno in un paio di posti diversi, in zone dell’isola distanti tra loro. Ovviamente, ci torneremo!

L’abbiamo trovata pulita, devo dire più del previsto e più di un mucchio di località italiane, e questo in un paese finanziariamente disintegrato. Abbiamo visto anche un’ottima cura delle spiagge, molte delle quali sono riserve naturali. Come sempre, nei principali luoghi turistici è possibile comunicare un minimo anche in italiano, ma non moltissimo: a farla da padrone è l’inglese. Abbiamo trovato prezzi davvero bassi, sia per le spiagge che per mangiare: si può cenare benissimo con una quindicina di euro a testa e le porzioni sono abbondantissime ovunque. Da comprare assolutamente: il miele di timo e i prodotti per il corpo a base di olio d’oliva dell’isola.

Ci rivedremo sicuramente, meravigliosa Creta!

Toledo e Valencia fai da te

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Partiamo da Bergamo per Valencia (sotto una pioggia da diluvio universale) con un volo Ryanair il 6 giugno 2017. Premetto che abbiamo prenotato il solo volo e nient’altro.  L’itinerario di massima è di partire da Valencia per visitare Toledo, poi dirigerci a sud  e, risalendo la strada costiera, ritornare a Valencia per visitarla negli ultimi 2/3 giorni. Arriviamo piuttosto tardi e decidiamo di dormire in un hotel adiacente l’aeroporto (Ibis Hotel) per poi la mattina ritornare in aeroporto per noleggiare una macchina. La mattina quindi troviamo (a  fatica) una utilitaria a prezzo ragionevole per 4 giorni (€ 178,00)  presso la Hertz. Partiamo quindi per Toledo  distante circa 380km.  La superstrada che porta a Toledo (superstrada per Madrid) è liscia come come un biliardo e non è a pagamento se non per brevissimi tratti. Fa molto caldo ma la  provincia di Castilla-La Mancha ha un fascino notevole seppure così arida. La strada è circondata da uliveti e vigneti; speriamo di riuscire a vedere qualche mulino a vento nella terra di El Quijot. Quando  abbiamo quasi perso le speranze ecco che tre mulini si profilano all’orizzonte. Meravigliosi !! Scopriamo poi più avanti che ce ne sono molti altri ma abbiamo fretta di raggiungere Toledo prima di sera anche perché non abbiamo idea di dove dormiremo. Siamo fortunati: entrando in Toledo troviamo di fronte alla stazione un hotel molto carino, il Princesa Galiana (in stile moresco)  che ha anche il parcheggio e dista solo 10 minuti a piedi dal centro storico (raggiungibile molto comodamente con una scala mobile).  Che dire di Toledo: una città meravigliosa ed indimenticabile che ci ha affascinato con la sua atmosfera medievale, le strade con tanti negozi di spade ed armature, la Cattedrale veramente stupefacente, le due sinagoghe (del Transito e S.Maria La Blanca),  il quartiere della Juderia, la Plaza  Zocodover e la fortezza dell’Alcazar con la bella mostra di armi ecc.

Ci siamo fermati due giorni a Toledo ma le abbiamo fatto un torto: meritava le si dedicasse più tempo.

Lasciata Toledo ritorniamo verso sud, in direzione Murcia: prima di raggiungere Valencia volevamo fare un paio di giorni al mare, risalendo la strada costiera che da Alicante porta a Valencia alla ricerca di un posto carino. Sono rimasta allibita dalla cementificazione selvaggia che è stata fatta sulla costa: un vero peccato. Girovaghiamo di qua e di là senza trovare nulla se non una foresta di grattacieli e condominii enormi.  Alla fine a Denia (paese costiero poco prima di Valencia) troviamo  un bungalow presso l’Hotel Rosa, hotel  molto carino tutto decorato con azulejos; colazione inclusa nel prezzo, c’è l’accesso diretto alla spiaggia e si può anche cenare (€ 13,00 a persona escluse bevande). Ci rilassiamo una giornata e poi si riparte per raggiungere Valencia dove riconsegnamo la macchina in aeroporto e con la metropolitana (secondo me un po’ cara € 4,90 a persona dall’aeroporto al centro) raggiungiamo la meta finale del nostro vagabondare. Troviamo in centro un hotel per le ultime tre notti e cominciamo ad esplorare la città (rigorosamente a piedi). Ci è piaciuta tantissimo con la sua mescolanza tra antico e moderno, molto vivace ed animata: molto bella la Plaza dell’Ayuntamiento,  la Cattedrale coni suoi tre portali in stili diversi e con la suggestiva Cappella del Sacro Calice, la Torre di Santa Catalina, il coloratissimo Mercato coperto  con la cupola tutta decorata e dove si può mangiare davvero con pochi soldi (panini a 1 €, bicchieri di frutta a 1,50/2 euro, soprattutto verso l’ora di chiusura). Nelle adiacenze del Mercato coperto molto belli anche la Loja della Seda ed il Museo delle Arti e ceramiche. L’indomani lo dedichiamo alla Città delle Arti e delle Scienze che raggiungiamo (sempre a piedi visto che ci piace vivere la città). Abbiamo deciso di vedere la “Città” solo esternamente per ammirare (anche da incompetenti) l’architettura di Calatrava,  veramente notevole e devo dire molto ben inserita nel contesto. Visto che siamo in zona approfittiamo per raggiungere il porto e la Marina Juan Carlos I° dove sopravvivono i resti delle costruzioni erette in occasione dell’America’s Cup.

L’ultimo giorno, visto che il volo di ritorno parte alle 21,35, ne approfittiamo per gironzolare ancora ammirando ancora una volta questa bellissima città con le sue piazze, le sue numerosissime  chiese e i suoi imponenti palazzi.

Adios Espana, muchos besitos!!!

In giro per l’Europa 4

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Dal 4 al 13 maggio 2017

4 maggio

Volo per Gdansk (Danzica) da Bergamo con arrivo alle 12. All’uscita dall’aeroporto troviamo un tempo invernale con pioggia e vento. Mi avvio verso la fermata del bus 210 che porta alla stazione dei treni (centro) e trovo altri italiani che attendono il bus; facciamo amicizia e tutti insieme prendiamo il bus. Gdansk mi appare subito una città con centro storico molto caratteristico per lo stile dei palazzi, per la presenza delle numerose chiese, il lungo fiume con i locali tipici.

Dopo aver fatto il check-in in albergo raggiungo subito la via centrale (ul. Dugla) attraversando la Porta d’Oro (Zlota Brama), a 2 passi dall’ostello, percorrendola tutta passando per la fontana del Nettuno fino ad arrivare sul lungo fiume dove si può visitare la Gru molto antica che serviva per scaricare le merci che arrivavano. Non è molto gradevole fare le foto tenendo l’ombrello, ma purtroppo mi devo arrendere. Visito la Basilica Mariacka, la chiesa di di San Nicola e Santa Caterina.

Dopo aver fatto numerosi giri torno in ostello per una meritata doccia e un riposo.

5 maggio

Mi alzo presto e prendo il tram per Oliwa dove risiede la famosa cattedrale. Il posto mi piace molto ed è affiancato da un grande parco. La cattedrale è molto bella e presenta 2 alte torri campanarie. L’interno, composto di 3 navate, presenta varie opere rinascimentali. Ovviamente non passa inosservato il grandissimo organo a canne e i famosi concerti che proprio in quel momento proprio uno stava iniziando per un gruppo di tedeschi. Devo dire che sono rimasto meravigliato sia dal concerto stesso, ma anche da tutto ciò che faceva da contorno; ovvero a ritmo di musica tutte le figure che circondavano l’organo si muovevano, come gli angeli che suonavano la tromba, altre figure che muovevano il campanello e via dicendo.

All’uscita dalla cattedrale prendo il bus per Sopot a 15’ da Oliwa. Questo è un centro situato sul mare molto frequentato durante la stagione calda. Visito il centro, qualche chiesa, il lungomare e la famosa Casa Storta (Krzywy Domek).

Al ritorno preferisco fermarmi al centro Solidarnosci, luogo pieno di storia recente di grande significato. E’ il luogo più emozionante che abbia visitato in considerazione di tutti i trascorsi storici, la lotta operaia per i diritti dei lavoratori e per la libertà. Prima dell’entrata si possono ammirare varie targhe commemorative che sono contigue al famoso cancello n°2 che era l’entrata ai cantieri navali che oggi non sono più lì, ma c’è un grande edificio ricoperto di grandi lastre di acciaio color ruggine a rievocare il colore delle navi, sede di un museo/archivio con migliaia di reperti fotografici, filmati, etc relativi al periodo della lotta operaia guidata da Lech Walesa.

Terminata la visita, ritorno in centro per un ultimo giro prima di prendere il treno per Warsawa.

Arrivo in stazione e raggiungo il binario da cui da cui parte il mio treno. Dopo aver atteso un po’ sopraggiunge un treno diretto proprio a Warsavia e prima di salire cerco il vagone giusto. Non trovando il numero assegnatomi, con qualche dubbio, salgo e prima di sedermi chiedo se il treno era quello giusto. Dopo aver sentito il parere di un paio di passeggeri riprendo lo zaino, apro la porta e appena in tempo salto fuori. Il treno giusto era quello che stava per arrivare, sempre sullo stesso binario, ma più veloce del primo. La Polonia è molto organizzata per i trasporti, i mezzi sono sempre in orario, ma se c’è una cosa carente è la mancanza di display sul binario che annuncia l’arrivo del treno per cui ci si può anche sbagliare.

Arrivo in serata a Warsavia Zac. e intorno alla mezzanotte mi imbarco sul bus Ecolines diretto a Vilnius in Lituania. Il viaggio è gradevole ad eccezione della presenza dei russatori; passo del tempo a navigare in internet tramite il display posto sul sedile antistante.

6 maggio

Vilnius si presenta subito come una città accogliente e molto carina. Dalla stazione dei bus con una breve passeggiata, seguendo la mappa stampata su google, mi metto alla ricerca del  primo sito da visitare. L’indirizzo portava un numero civico errato, ma chiedendo ad un passante sono riuscito ad arrivare alla casa in cui abitò il pittore Kazimirowski, autore del 1° dipinto Jesus UfamTobie, insieme a Don Sopocko; abitazione ora ristrutturata e sede di un convento (Rasu4). Suono il campanello e mi viene ad aprire una suora che mi accompagna alla cappella, luogo dove fu dipinto il quadro. Resto lì per qualche minuto, faccio una foto e vado via. Ora resta il problema di trovare dove è custodito il dipinto originale.

Intanto riprendo il cammino e arrivo all’ingresso della città segnata dalla porta dell’Aurora Ostra-Brama costruita nel XVI secolo insieme alle mura della città. Non distante si incontrano le chiese di Santo Spirito e SS.Trinità, in cui, nella prima, assisto ai canti in lingua madre da parte del coro inneggianti la Vergine.

Finisco di percorrere il corso e raggiungo la chiesa dove dovrebbe essere custodito il dipinto originale, ma anche qui mi accorgo di avere notizie non corrette e mi faccio indicare, anzi accompagnare, in un’altra chiesa non distante dove trovo il vero dipinto. L’emozione di stare davanti ad esso si può capire solo se si conosce la storia ed significato del quadro, altrimenti resta solo un dipinto.

Mi avvio verso la chiesa di S.Anna di mattoni rossi in stile gotico (barocco interno ad una sola navata), visito la Cattedrale, salgo sulla collina dove c’è la torre Gediminas e arrivo su quella di fronte dove vi sono le 3 croci e si può vedere un discreto panorama. Da qui vado a piedi fino alla chiesa di S.Pietro e Paolo.

Da questo punto continuando ad andare verso la periferia percorro via Grybo per cercare una delle residenze di Sw.Faustiny in cui abitò in diversi momenti della Sua vita. Pensavo che sarebbe stato difficile trovare questa casa ma con l’aiuto delle persone sono riuscito.

Questa abitazione si trova oggi dentro una struttura scolastica recintata in cui si può accedere tramite un cancello. E’ una delle pochissime strutture  che si sono salvate intatte dalla distruzione comunista facenti parte del loro ordine religioso. Entro dentro e trovo un custode che gentilmente mi da una serie di informazioni e dopo essermi fermato un po’ di tempo lo saluto e vado via. Relativamente a questa visita non aggiunto altri commenti se non si conosce la storia di Sw.F.

Ritorno in centro e mi avvio verso il museo del Genocidio percorrendo un lunghissimo corso allestito con stand gastronomici dove cucinavano per tutti i palati.

Dopo aver camminato molto arrivo al museo e inizio subito la visita. Si possono vedere esposte numerose foto risalenti alla occupazione comunista, ci sono dei monitor che proiettano dei filmati abbastanza cruenti e vi sono tutta una serie di resti appartenenti ai protagonisti di quell’epoca come divise militari, armi e quant’altro. Al piano di sotto ci sono delle stanze che mi hanno fatto ricordare Auschwitz ovvero ci sono quelle delle torture, degli interrogatori e dove venivano giustiziati in vari modi.

E’ doveroso la visita di questo museo per approfondire quella parte di storia recente che fa vergogna.

E’ ormai pomeriggio tardi e il museo sta per chiudere per cui recupero la borsa e ritorno in centro storico per sostare un po’ e riposarmi dalle lunghe camminate della giornata. Intanto si fa sera e dopo aver scrutato i movimenti del sabato sera, mi avvio verso la stazione dei bus per far ritorno a Warsavia.

7 maggio

Arrivo alle 5 in una giornata un po’ uggiosa. Ormai è quasi giorno e mi metto subito in cammino per raggiungere i luoghi che mi ero prefissato di vedere. Giro tutta la mattinata anche sotto la pioggia ripercorrendo il centro storico pieno di chiese e la Via Reale fino a ritornare al Palazzo della Cultura. Con la metro arrivo ai giardini Lazienki, ma a causa del poco tempo e della pioggia non entro, ma torno indietro sempre con la metro per arrivare a Mlociny da cui parte Polskibus per Plock.

Passo un pomeriggio tranquillo in questa cittadina carina, trovo il museo chiuso ma riesco a visitare il centro storico, il convento e la cattedrale. E’ un peccato non poter sfruttare la mezza giornata qui a causa del tempo inclemente che lascia il passo alla pioggia.

8 maggio

Mi alzo alle 5.30 perché è un giorno di grandi spostamenti. Devo raggiungere Leczyca facendo tappa a Kutno. Poi con auto-stop arrivo a Swinice W. dove visito dei punti di mio interesse come il santuario, il cimitero e a piedi per 2km fino a Glogowiec. Il ritorno a Leczyca è sempre in auto-stop e poi bus per Lodz. Appena arrivati mi reco subito al museo Radegast che una volta era adibito allo stoccaggio delle merci da parte dei nazisti e da qui sono stati condotti alla morte migliaia di ebrei nei campi di sterminio come Auschwitz.

Di fronte vi è il cimitero ebraico in cui sono sepolte 160.000 ebrei.

Dopo la visita prendo il bus che mi porta ad Aleksandrow. Visito un paio di siti di mio interesse e ritorno a Lodz accompagnato sempre dalla pioggia.

Lodz a me piace molto; il corso ul.Piotrkowska è molto bello per passeggiare e rimirare i palazzi posti lateralmente alla strada anche se alcuni sono proprio da restaurare.

Arrivo finalmente all’ostello (il migliore che abbia mai frequentato) e non soddisfatto di tutti gli spostamenti del giorno esco fuori  e me ne vado a zonzo in una città che mi da tanta tranquillità.

9 maggio

Di mattino presto col tram arrivo al Park Wenecia, ripercorro la strada al contrario fino alla cattedrale Stanislawa Kostki e dopo una breve visita  mi incammino per arrivare alla stazione centrale Fabryczna non prima di aver visitato la chiesa ortodossa molto bella poco distante dalla stazione. Con molta calma prendo il treno per Czestochowa facendo anche uno scalo che mi permette di arrivare prima.

Non ho tempo devo fare tutto in fretta. La priva visita mi porta nei pressi della stazione dove vi è un luogo chiamato ferrovia Warta da cui furono deportati 40.000 ebrei a morire nel campo di Treblinka. L’edificio della vecchia stazione è stato abbattuto ed ora esiste solo un piccolo muro con targhe commemorative a ricordo dei deportati.

Visito anche la cattedrale che mi si presenta davanti lungo il mio percorso. Mi avvio in fretta verso Jasna Gora dove è posta la Madonna Nera protettrice della Polonia. Questo centro è il più importante della nazione polacca. Non mi restano che pochi secondi che devo subito, di corsa, avviarmi verso la stazione fs Stradom. Durante il percorso chiedo più volte la distanza che mi rimaneva per arrivare, ma dopo aver camminato molto, col panico di perdere il treno, ad un incrocio, assalto una polo facendo capire al ragazzo che guidava che sarei restato appiccicato al cofano se non mi avesse dato un passaggio. Accetta di buon grado e in qualche minuto arrivo tirando un sospiro di sollievo. Il treno è puntuale, salgo e via verso Krakow.

Dopo aver fatto il check-in in ostello comincio le visite programmate i cui spostamenti avvengono sempre coi famigerati tram che coprono tutta la città. Bisogna stare attenti a fare sempre il biglietto in quanto per 3 volte salgono i controllori che pizzicano varie persone senza biglietto..ajajaja Arrivo al Wawel per visitare la cattedrale già visitata altre volte ma sempre bellissima e tra le cose interessanti vi è la reliquia dei Giovanni Paolo II rappresentata dal sangue non liquefatto.

L’ultima visita è per Lagiewniki grande centro religioso e una delle sedi in cui visse e morì Sw Faustiny. Tra le varie cose che si possono vedere vi è il secondo dipinto originale Jesus Ufam Tobie fatto da Adolf Hyla.

Ritorno i centro che è quasi sera e anche col tempo un po’ inclemente mi piace molto arrivare a piedi camminando tra quelle stradine del centro storico così deliziose.

10 maggio

Con Polskibus parto per Wroclaw (Breslavia). Arrivo alla stazione dei bus e prima di avviarmi per il centro faccio un sopralluogo per accertarmi da dove sarebbe partito il bus la sera stessa per Berlin.

A pelle avverto subito che sarebbe stata una città gradevole da visitare. Intanto sono quasi in centro e arrivo al Rynek ovvero al centro storico dove improvvisamente mi trovo di fronte la piazza del mercato con i palazzi colorati tra cui spicca la sagoma gotica del Municipio. L’impatto è notevole quando mi trovo di fronte la chiesa di S.Elisabetta sia per la grandezza che per la bellezza della struttura. Annesso alla chiesa vi è l’alto campanile. Nell’angolo a nord-ovest della piazza vi sono due case medievali unite da una porta che chiamano Hansel e Gretel.

E’ un continuo camminare lungo le strade del centro che mi portano ad incontrare anche parchi fino ad arrivare a Ostrow Tumski (l’isola della Cattedrale) il vero centro storico della città. E’ tutto un belvedere tra strade, ponti e chiese. Tra i ponti ricordiamo Tumski Bridge detto anche ponte dell’amore. Ovviamente nell’isola vi è la cattedrale di S.Giovanni Battista che si presenta imponente con due alti campanili tutto in stile gotico.

Per la città si possono incontrare statue di bronzo dell’artista Jerzi Kalina  dedicate alle persone scomparse durante il regime comunista in cui vigeva la legge marziale. Alcuni busti sono raffigurati come se sprofondassero nel pavimento stradale per ricordare le persone imprigionate.

Intanto tra un giro e l’altro si fa sera e mi riavvio verso la fermata dei bus vicino alla quale c’è la stazione ferroviaria dove trovo riparo in attesa dell’arrivo di Polskibus.

Sotto un freddo pungente attendo fino a mezzanotte quando salgo a bordo in un bus semivuoto diretto a Berlin. Non mi accorgo neanche e siamo già arrivati a Berlin ZOB.

11 maggio

Sono le 5 del mattino e c’è un freddo non da poco. Attendo che faccia giorno e mi metto in cammino verso il centro che dista dal terminal svariati km.

Prevedo di fare varie tappe tra cui la prima è la visita alla chiesa sopravvissuta alla II guerra mondiale semi distrutta Gedachtnis Kirche. A quest’ora è possibile ammirarla solo dall’esterno in quanto è ancora chiusa; faccio delle foto e vado via. Di fronte vi è lo zoo di Berlino

Il cammino è ancora lungo per arrivare a Tiergarten percorrendo Strabe 17 June. La camminata è piacevole e posso anche camminare lungo la strada parallela all’interno del parco in cui incontro numerosi runner. Arrivato alla Colonna della Vittoria costruita per rendere omaggio ai trionfi militari, faccio un po’ di sosta e riprendo il cammino che mi porta sino alla porta di Brandeburgo. In cima alla porta vi è una quadriga che raffigura la Dea della Vittoria trainata a bordo di una carrozza trainata da 4 cavalli.

Avevo prenotato l’entrata al Reichstag alle 8.30 non molto distante dalla Porta di B. per cui mi porto all’entrata e aspetto l’apertura. Questo luogo non è altro che il parlamento tedesco e per visitarla gratuitamente basta registrarsi al sito governativo. Fortunatamente mi lasciano passare anche con lo zaino grande dopo averlo controllato e mi avvio verso la cupola di cristallo. Prendo una guida audio e man mano che si sale in automatico la guida spiega quello che vedi. Io ho fatto il giro 2 volte per risentire tutte le spiegazioni e ammirare le bellezze dall’alto.

Terminata la visita mi reco al Memoriale dell’Olocausto fatto di 2711 blocchi di cemento di varia altezza per commemorare i 6 milioni di vittime ebree del nazismo. E’ un po’ inquietante girare intorno ai blocchi per l’effetto labirinto.

Visito anche il Checkpoint  Charlie che rappresentava il punto di controllo della parte di Berlino (dopo la spartizione degli alleati) controllata dagli Usa.

Passo per la Gendarmenmarkt, una piazza molto bella dove ci sono le chiese gemelle e la statua di Shiller per arrivare a Babel Plaz. Questa fu teatro del rogo da parte dei nazisti che bruciarono i libri ritenuti pericolosi per il sistema. Nella piazza vi è una lastra di vetro sotto la quale si può vedere, meglio di sera, una camera di con scaffali vuoti a ricordare i libri bruciati.

Mi avvio pian pianino verso il centro passando per il Duomo e l’isola dei musei fino ad arrivare alla famosa Alexander Plaz. Mi giro tutto intorno a vedo gente che si muove dappertutto; spicca la torre della televisione e al centro vi sono le stazioni dei treni, bus e metro. Faccio un po’ di fatica ad orientarmi per trovare la direzione per l’ostello Wombat’s City Host. Finalmente dopo aver chiesto info riesco ad arrivare e prendere il posto letto. A parte la presenza delle ragazze americane che sono casinare, sfacciate, rumorose ed entrano nel bagno anche quando stai facendo il bisogno, tutto il resto è positivo per la vicinanza al centro e per la mega colazione inclusa che si può consumare anche fuori all’ultimo piano rimirando il panorama notevole.

Nel pomeriggio mi avvio a piedi fino a East Side Gallery per vedere quello che è rimasto del Muro ormai completamente verniciato con murales. Ritornato in centro visito l’isola dei musei, ma per mancanza di tempo non entro. Termino la giornata allungato sul prato di fronte alla cattedrale gremito di giovani.

12 maggio

Mi alzo presto, faccio una mega colazione e faccio visita al museo del Memoriale dell’Olocausto (gratis) che racconta dei crocevia tra est-ovest, delle vittime, delle separazioni durante la 2° guerra mondiale. Vi sono delle clip da vedere, delle stanze-uffici riprodotte fedelmente dove si producevano i documenti per passare da un lato all’altro del muro. Emozionante è vedere le valigie dei migranti ancora con tutti gli effetti personali.

Mi affretto per tornare in centro, recuperare lo zaino e da Alexander Plaz prendo il treno express per l’aeroporto 3,40euro.

Il volo Rynanair  mi porta a Lisbona con arrivo nel pomeriggio, visita di Fatima per il 100nario della comparsa della Madonna.

13 maggio

Passo il giorno, in attesa del rientro, a zonzo per Lisbona che trovo sempre una città festosa, solare e rilassante. Visito il Miradouso Sao Pedro de Alcantara, a seguire la chiesa di Sao Roque, il Miradouro di S. Catarina e termino la giornata a Praca do Comercio stando seduto fronte “mare” davanti alle 2 colonne per rilassarmi dal viaggio molto faticoso. Per me è un rituale passare qui un po’ di tempo seduto prima di andar via e devo dire che ormai posso contare un numero di presenze considerevole. Prima di andar via assisto all’arrivo di un’onda anomala che quasi travolge i turisti seduti più vicini all’acqua che sono costretti ad indietreggiare ormai bagnati e qualcuno perde anche qualche effetto personale…che ridere!

Dalla stazione metro Terreiro do Paco poco distante da lì prendo la metro e arrivo all’aeroporto; transfer con bus al terminal 2 e rientro a Bologna con ritardo. Condivido il taxi con un ragazzo e arrivo in centro dove, dopo aver fatto un bel giro, dalla stazione dei bus, mi imbarco per tornare a casa con arrivo al mattino dopo.

 

Conclusioni

E’ stato un altro viaggio incredibile in cui ho attraversato mezza europa senza aver bisogno di agenzie o altro, ma solo una programmazione da casa via internet. Il viaggio è stato perfetto, sono riuscito ad incastrare una miriade di trasferimenti a volte complessi come una ragnatela.

Sono tornato in alcuni posti da me già visitati che hanno un significato particolare e personale e ho aggiunto dei nuovi, ovviamente parlo della mia amata Polonia che ogni volta mi stupisce per la disponibilità della gente, per la pulizia delle città, per la bellezza delle stesse, per il perfetto funzionamento dei mezzi pubblici che non fanno neanche un secondo di ritardo, per la semplicità delle persone e per il basso costo della vita (non c’è l’euro!). Non ho avuto nessuna sensazione di pericolo in nessuno dei posti visitati.

Desidero ringraziare tulle quelle persone che ho incontrato durante il mio lungo cammino a cui ho mi sono rivolto per qualsiasi cosa e che non mi hanno mai negato aiuto.

Ho omesso di raccontare una serie di cose come luoghi visitati, motivazione e altro, che non sono indispensabili per chi legge ma sono strettamente personali.

Tornerò ancora.

Tesori nascosti Isole Andamane e Nicobare

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Sono due arcipelaghi situati nel Golfo del Bengala (Oceano Indiano) ed è territorio indiano benché siano più vicini alla costa di Sumatra e del Myanmar e perfino a quella della Thailandia. Oltre 550 isole è il gruppo che forma quello delle Andamane di cui ventisei abitate, mentre 22 sono quelle delle Nicobare. 

Se da subito ho individuato come meta del viaggio l’Arcipelago delle Andamane non altrettanto semplice è stato focalizzare un itinerario che mi permettesse di visitare con una certa linearità alcune delle isole in teoria più belle dal punto di vista naturalistico.

Per questo scopo una volta arrivato a Port Blair mi sposterò via terra verso nord nelle Middle Andaman per poi scendere con calma di nuovo a sud effettuando qualche cosa di simile a un Island Hopping.

Info del  viaggio: Roma – Chennai – Port Blair – Middle Andaman – Rangat – Long Island – Guitar Island – North Passage Island – South Andaman – Havelock Island – Neil Island.

Partenza da Roma con Emirates, meno di dodici ore compreso scalo a Dubai, tutto sommato due voli di medio raggio e arrivo facile alle tre di notte a Chennai. Per ragioni di coincidenza ho prenotato la tratta Chennai – Port Blair con Air India che comporta appena due ore di attesa e altrettante di volo. Port Blair è la capitale delle isole Andamane e Nicobare e quindi base di partenza per tutte le altre destinazioni.

Alle otto del mattino esco vistato dall’aeroporto, sono quindi arrivato quasi a meta, nelle altre Andamane, quelle meno conosciute dal turismo raggiungibili soltanto dall’India.

Adesso l’obbiettivo è Rangat nelle Middle Andaman distante da Port Blair circa 170 Km, per questo fine non ho trovato di meglio che un taxi che per seimila rupie mi porterà a destinazione. 

Port Blair – Rangat 

Puntualmente ad aspettarmi trovo il mio driver con un cartellone in mano con  su scritto  “Alesio Fassi”. Bene, bene, nome storpiato viaggio fortunato.

Accomodarmi sulla Scorpio dotata di AC e dormire, questo è il programma odierno.

Naturalmente c’è anche la possibilità di effettuare il transfer con bus locali o con mini van privati, i biglietti prepagati si possono acquistare nella Hall dell’aeroporto per le varie destinazioni. I mezzi pubblici connettono tramite ATR (Andaman Trunk Road) Port Blair (South Andaman) Rangat (Middle Andaman) fino a Digilpur (North Andaman) con partenza al mattino presto.

Vedi link mappa satellitare

https://drive.google.com/open?id=1G4XLJSlCHQuwMop2zILglnINMWs&usp=sharing

Considerato il tipo di trasferimento non ho modo di pentirmi delle rupie spese, meno di cinque ore e arrivo a Rangat dove ho una stanza prenotata all’Avis Hotel. Speriamo che non  mi chiedano il sangue, sono piuttosto stanco e desideroso di riposo, anche se pensandoci bene da Fiumicino a Rangat avrò fatto si e no qualche centinaio di passi. Albergo di transito niente di particolare, ma comodo per raggiungere le mete dei giorni successivi. 

Da sapere

In questa parte del mondo per non incorrere in spiacevoli inconvenienti è necessario prenotare tutto quello che è possibile anticipatamente a seconda dell’itinerario pianificato, passaggio sui traghetti compresi. A questo proposito segnalo che ci sono un paio di compagnie private che tramite agenzia rilasciano preventivamente i biglietti, mentre per la compagnia di navigazione governativa soltanto quattro giorni prima della prevista partenza. Per ovviare a questo inconveniente e ottenere un passaggio sicuro la soluzione è quella di affidarsi all’albergo, che su commissione provvederà per voi. Di fatto ci sono un mucchio di persone che fanno questo di mestiere, l’alternativa è quella di recarsi di persona alla biglietteria e di seguire una bollente interminabile estenuante fila separata fra uomini e donne. Per questa ultima opzione è consigliabile scegliere la fila meno insidiosa, cioè quella delle donne. La signora o signorina, nel caso di specie, dovrebbe mimetizzarsi indossando un sari e dotarsi di un ventaglio di ordinanza, cercando di intrufolarsi il più avanti possibile assumendo un atteggiamento indiano da gnorri di circostanza.

Traghetti governativi

Experienceandamans.all-ferry.

Oltre al normale visto per l’India all’arrivo a Port Blair viene rilasciato un permesso speciale per visitare le isole valido trenta giorni estendibile a quarantacinque. Nessun permesso per le Nicobare.

Rammento infine che siamo nelle Andamane ma, non turisticamente parlando in quelle della Thailandia. Ci sono comunque molte affinità fra le quali le più importanti sono:

-Clima uguale e conseguentemente periodo migliore da Dicembre ad Aprile.

-Conformazione del territorio pressoché uguale ma per così dire ante urbanizzazione selvaggia.

Fin qui tutto liscio come l’olio, domani inizierò le danze.

Ma non subito subito, prima di intraprendere il mio Island Hopping ho una giornata dedicata a visitare alcune delle bellezze nel raggio di pochi Km da Rangat.

Parco di Dhani Nallah Nature Walk Way

Solo 18 Km da Rangat si trova questo eco parco la cui caratteristica principale è quella di poterlo visitare camminando su passerelle in legno che attraversano una insenatura di mangrovie fino ad arrivare a una lunga spiaggia. Come si intuisce dal nome si tratta di una piacevole scarpinata, non mancano punti di ristoro eco-friendly. Olive Ridley è una parte della spiaggia protetta frequentata da tartarughe marine.

Cutbert Bay – Aamkunj Beach

Sulla via del ritorno verso Rangat dedico una breve e sosta presso la spiaggia di Cutbert Bay nota per la nidificazione delle tartarughe, dopodiché non resta che fare il primo bagno di stagione a Aamkunj beach. Aamkunj è una spiaggia facilmente raggiungibile dalla ATRoad ad appena qualche Km dalla città e per questo frequentata da gente del posto.

Curiosità

Gli indigeni sono abituati a fare il bagno vestiti e se pure ci trovassimo su una spiaggia chilometrica li vedremo concentrati nel raggio più corto possibile. Mi sono domandato quale fosse il motivo, ma non ho una risposta certa. Secondo me gli piacciono le ammucchiate, voglio dire che sono propensi a stare nel casino inteso come affollamento.

Rangat Yerrata Jetty – Long Island

E’ arrivato il momento di recarmi sulla prima delle isole che ho previsto nel giretto andamano. Yerrata è una località a otto Km da Rangat ed è parte del Yerrata Mangrove Park and Creek, però stavolta sono ala ricerca del Jetty da dove partono i traghetti per Long Island. Due sono quelli statali che percorrono giornalmente questa tratta, prenderò quello delle sette del mattino così da avere una giornata di festa intera.

Long Island

Sono arrivato fin qui per dedicarmi alle immersioni, allo snorkeling e per visitare luoghi poco frequentati, quindi ho preso alloggio nell’unico posto possibile, al Blue Planet Resort, più che altro un agglomerato di capanne e Scuba Diving. Selvaggia questa isola, proprio quello che avevo in mente, no internet, no strade no mezzi a motore circolanti.

Blueplanet

Esiste la possibilità di alloggio alternativo presso la Forest Rest Houses gestita dall’Ente Parco, per le prenotazioni quasi impossibili da ottenere rivolgersi alla sede di Rangat.

Divisional Forest Office

Come dicevo all’inizio del post mai avventurarsi senza prenotazione, certo con una tenda e un sacco a pelo sarebbe possibile sistemarsi dappertutto, però sappiate che il campeggio libero è vietato e punito all’indiana.

Non necessariamente bisogna essere dei provetti subacquei per godere della bellezza veramente incontaminata di questa isola, anzi oggi ho un appuntamento con la più bella spiaggia di Long Island.

Info per il viaggiatore

Causa il fuso orario indiano su tutto l’arcipelago fa buio abbastanza presto, diciamo che nel periodo migliore il sole tramonta già dalle cinque del pomeriggio, in compenso alla stessa ora del mattino il sole è già alto. Per questo motivo tutte le attività e pure i servizi iniziano all’alba. Un altro motivo per cui è necessario avviare ogni tipo di escursione molto presto è dovuta alla bassa marea, che pure questa segue gli orari indiani, insomma non sarebbe posto tanto adatto ai dormiglioni.


Lalaji beach

Per raggiungerla è necessario noleggiare una barca al jetty, oppure effettuare un percorso nella jungla e quindi attraversare una foresta di mangrovie, per questo occorre il permesso gratuito del Forest Office. Per quello che ho da fare ci andrò a piedi.

Il trekking dura circa due ore e arrivare alla baia per questa via è già di per sé una bella esperienza. Immaginate poi un lungo tratto di spiaggia bianca orlata da palme di cocco  e mare turchese con qualche persona e senza nessun tipo di servizio. Siamo nel posto perfetto per praticare lo snorkeling e se volete per sentirsi un giorno un po’ come Robinson Crusoe.

Altre spiagge si trovano a pochi minuti del Blue Planet ma oggi ho un impegno diverso, due siti da visitare a Nord dell’ Isola.

Campbell Shoal profondità 15/25 metri

Distante  nove miglia da Long Island  con una incredibile concentrazione di vita marina.

Osmaston Shoal profondità 15/20 metri

Sulla via di ritorno sostiamo in questo sito che si trova ad appena due miglia a Nord dell’isola per poi terminare la giornata sull’ House Reef non distante dal jetty.

Guitar Island

E’ l’ora di suonare la chitarra, dal porticciolo partiamo con altri cinque avventurieri alla volta di questa meta distante appena venti minuti dalla base.

In realtà le chitarre sono due, entrambe disabitate, una più grande e l’altra più piccola sono unite da una striscia di sabbia durante la bassa marea. 

Che fare

Nulla, l’intera spiaggia per non dire le due isole sono nostre. Mi sono fatto prestare un’amaca che ho appeso a due alberi e ho atteso la bassa marea, questo è tutto.

North Passage Island

Nuovo giorno nuova scoperta, partiamo con destinazione Merk Bay, sono le sei del mattino e stiamo solcando un mare cristallino e a tratti blu intenso lasciandoci alle spalle Guitar. Una volta in vista di North Passage osserviamo attorno qua e là  altre isole. Sbarchiamo dopo appena cinquanta minuti di speedboat a Merk Beach che si trova nella parte Nord. Il mare circostante l’isola dicono che è frequentato da branchi di delfini, oggi non è giorno di osservazione fortunato, comunque ci sono altre attività da intraprendere… relax, brevi escursioni verso punti panoramici e lunghe passeggiate interrotte da bagni lungo la Solitary Beach. L’isola è coperta interamente da foresta tropicale ed è disabitata, Merk Beach è una spiaggia della quale non si vede la fine, il mare è a dire poco strepitoso.

Esiste soltanto un capanno in uso a due rangers del Forest Dpt. e naturalmente è vietato sia il campeggio che la sosta notturna. Senza avere l’intenzione di stilare una classifica sulla quale mi sentirei molto imbarazzato, mi limiterò a dire che per diverse ragioni questo è uno dei posti marini più belli in assoluto visitati che mi fa passare sopra ad ogni altro tipo di inconveniente incontrato, nella fattispecie la cucina.

Rientro a Long Island dove bivacco per alcuni altri giorni praticando diverse altre oziose attività in attesa del traghetto che mi porterà quasi direttamente nell’Isola di Havelock.

La compagnia di navigazione governativa arriva e parte quando le pare, non  c’è altro da fare che adeguarsi ai loro ritmi, quanto al tipo di nave… stendiamoci sopra un telo da poppa a prua e non facciamoci caso.

Arrivo a Havelock che è già sera, non  rimane che dirigersi con un trabiccolo all’hotel prenotato.

Havelock Island

Eccoci in un luogo in parte civilizzato a portata di tutti i viaggiatori, volendo può essere raggiunta direttamente da Port Blair con mezzi veloci. Ogni esigenza pur senza troppo esagerare qui può trovare soddisfazione. Come le altre isole di cui vi ho raccontato anche questa è coperta interamente da foresta tropicale. La parte turistica essenzialmente si trova più che altro a Nord – Nord-Est. Per semplificare soltanto più o meno un quarto dell’isola  è accessibile al turismo, immaginate di tirare una riga perpendicolare da Est a Ovest nella parte Nord. Ci sono perfino due tratti di strada che collegano i due lati. Spero con questa disordinata illustrazione di avere reso più o meno l’idea.

Ho preso alloggio nel lato meno turistico nella zona di Radhanagar Beach (spiaggia n°7) una volta nominata da Asia Magazine la più bella dell Asia. Vedrò domani di che cosa effettivamente si tratta.

Radhanagar Beach

Al mattino esco dalla mia Rattan capanna e mi accorgo di essere al centro di una lussureggiante foresta a pochi minuti dalla famosa spiaggia, non resta che andare in esplorazione. Cammino attraverso un sentiero tracciato fra alberi altissimi fino a che come per magia un bagliore accecante mi avverte che sto per arrivare. Bella, lunga e bianca non si può negare, pure in un contesto notevole, ma per i miei parametri non avrà il consenso quale bella dell’Asia, soprattutto per il mare non proprio all’altezza della sua fama.

Elephant Beach

Raggiungibile via mare con una barchetta oppure via scarpa con un trekking nella jungla della durata… c’è un problema sull’indicare la durata, dipende dal tipo di passo, se corto o lungo, se lento o veloce e poi non saprei, stavolta sono andato con un Dinghy a motore in quindici minuti. E’ una spiaggia dove dovrebbero albergare degli elefanti, in realtà non se ne vede nemmeno l’ombra, in compenso questo tratto di costa oltre che essere isolato è adatto per praticare lo snorkeling.

Anche Radhangar è isolata dal resto dell’isola, ma il problema se mai lo fosse può essere risolto noleggiando uno scooter, cosa che farò domani.

La distanza fra i due lati dell’isola è di circa dieci Km e attraversa alcuni villaggi per alla fine sbucare sul mare. Prendo a sinistra verso il faro che troviamo a Nord vicino al porto nella punta estrema. Mi sono ripromesso di esplorare questa parte di costa fino dove finirà la strada e oltre.

Govind, Vijaynagar e Kalapather beach sono spiagge che si susseguono così come gli hotel e ristoranti, almeno fino a Vijaynagar. Le costruzioni comunque non creano impatti negativi visibili poiché tutte situate nell’interno.

Spiaggia corallina bianchissima, mare assai più bello rispetto a Radanghar e tutto sommato pochissima gente, il top si raggiunge a Kalapather dove ci sono solo un paio di alberghi e termina la strada. E’ comunque possibile addentrarsi a piedi nella jungla e sbucare più a sud a piacimento su spiagge deserte. Molte persone, fra cui diversi connazionali, percorrono questo tratto di strada su e giù in bicicletta. Primo impatto con qualche genere di rifiuti, soprattutto plastiche e lattine presumo abbandonate dai turisti.

Da Havelock a Neil Island, ultima tappa non  fosse altro perché two è sempre meglio che one.

Neil Island

Differente dalle altre nella sua conformazione piuttosto piatta, in parte connessa da strade che collegano le varie località e diversi alberghi. Pur essendo piccola è possibile andare in giro noleggiando scooter e biciclette. 

Da vedere

Laxmanpur beach 1 e 2

La prima è a qualche km da molo, la seconda nella parte opposta è chiamata anche Rocky Beach, nei pressi Howrah Bridge è il posto più immortalato.

Neil Kendra è il cuore dell’isola e Bharatpur beach è la spiaggia principale. Nella parte Sud a Staipur c’è una bellissima costa selvaggia ma siamo su mare aperto quindi bagni solo di sole. Le lagune più adatte per lo snorkeling sono quelle di Bharatpur, e Laxmanpur 1 nell’altra dove si trova il ponte naturale ci sono molti scogli coralli a partire dalla riva.

Escursione a Rose Island

Questa piccola Neil è distante solo cinque miglia e può essere visitata con un permesso giornaliero rilasciato dal solito Forest Dpt. Si tratta di zona protetta dove vanno le tartarughe a deporre le uova. Non so dire se ne vale la pena, non ci sono andato.

La fiera è finita, un pensierino a uso dei consumatori

Se siete stati in India oppure se ne avete sentito parlare diciamo pure a proposito del sudiciumaio o sporcizia varia che sia… sorpresa sorpresa, qui ci sono abitudini non troppo indiane. Le isole sono incontaminate e d’altronde non potrebbe essere altrimenti, oppure dove sono abitate c’è poca popolazione tribale. Invece lungo le spiagge dei luoghi più urbanizzati troverete disseminati i cestini dei rifiuti e pulizia giornaliera dell’arenile, in generale qualche vacca, qualche cacca, niente rumori, per chi ne sentisse il bisogno, niente vita notturna.

Sebbene insolito si è rivelato un viaggio molto facile, non ho incontrato particolari problemi logistici, sia per quanto riguarda i voli,quanto per  le coincidenze e i transfer, porto solo il rammarico di non avere iniziato il tour da Digilpur. In fondo le tempistiche non sono diverse rispetto a raggiungere le solite mete più gettonate dell’Asia.

facebook farang adventure travel/AleSeMiPare





 

 


Wild Atlantic Way tutta d’un fiato

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Wild Atlantic Way tutta d’un fiato

Giorni tra fine aprile e primo maggio, con relativi ponti e pause di lavoro. L’istinto del viaggiatore ancora una volta prevale sulle abitudini poltroniere causate dalla quotidiana frequentazione di internet e facebook. E’ l’occasione per un ritorno in Irlanda, a 30 anni di distanza dal primo viaggio nell’isola di San Patrizio. Idea: percorrere la Wild Atlantic Way, la lunga strada costiera che dalla costa sud della contea di Cork arriva fino all’Ulster nel nord.

Scelgo un’auto medio-piccola: anche se sono passati 30 anni dal viaggio precedente, il ricordo di una strisciata contro un muretto a causa delle anguste stradine di campagna irlandesi ancora non mi è uscito dalla mente. Onde evitare guai, aggiungo al noleggio una kasko sul veicolo. Per un viaggio come questo è perfettamente inutile prendere un’auto grande e ancora peggio scegliere un SUV: su molte strade l’ingombro sarebbe solamente un impaccio, oltre che contribuire ad aumentare i rischi di incidente. I pochi tratti di sterrato si fanno senza problemi anche con un’auto normale. E’ utile invece un tom-tom, per facilitare l’individuazione dei percorsi migliori e raggiungere le località di interesse senza sbagliare strada e senza perdite di tempo inutili. Alla fine il costo di assicurazione + navigatore (23 € al giorno) risulta maggiore dello stesso noleggio dell’auto (15 € al giorno), ma si tratta di due cose indispensabili per fare tanti kilometri senza patemi in questo paese.

 

Da Dublino a Bantry

Prima giornata di attraversamento delle regioni centrali, da Dublino a Bantry. Uscendo da Dublino ti aspetti di vedere subito verdi colline e greggi di pecore, come da stereotipo irlandese, invece il colore che colpisce di più è il giallo. Brillano di giallo i campi di colza in fiore, i cespugli di ginestre che spuntano dovunque, i narcisi nei giardini, le primule nei prati. Osservo che la fioriture sono ritardate di circa un mese rispetto a noi: il tepore primaverile qui arriva in ritardo. Persino le magnolie, in Italia sfiorite da un mese, qui a fine aprile biancheggiano in piena fioritura malgrado il vento forte che fa cadere i petali e li porta via.

Tappe a Kilkenny e a Cashel. La cittadina di Kilkenny è dominata dall’imponente castello del 1200 posto all’ingresso del centro abitato. Da qui parte il Medioeval Mile, lungo viale centrale che di medioevale in realtà ha solo un paio di torrioni e qualche porticato, per il resto è tutto un susseguirsi di negozi di souvenir e artigianato locale di dubbia fattura. Ai ricordini fatti con lo stampino possiamo senz’altro rinunciare, ma non certo a una corposa Smithwick’s rossa, la famosa e ottima birra di produzione locale, nel caratteristico Blaa Blaa bar in fondo al miglio storico.

Rock of cashelAltra sosta a Cashel. Su una rocca che domina la pianura di Tipperary, quella famosa che cantavano i soldati durante la prima guerra mondiale, si stagliano i resti di un’antica costruzione del ‘500, prima fortezza e poi abbazia. Possenti mura di pietra hanno protetto dalle intemperie e dal degrado del tempo la torre circolare, la chiesa e una cappella romanica del XII secolo, mentre nel cimitero spiccano le croci celtiche sulle tombe. Il paesaggio dalla rocca è eccezionale, anche se un po’ di nebbiolina offusca l’orizzonte. Un consiglio per le foto alla rocca: prendete la stradina che sale sulla collina che sta di fronte. Dall’alto si riprendono belle immagini della rocca e dell’abbazia, con le colline e gli avvallamenti della contea di Tipperary sullo sfondo.   Bantry - Cartelli che indicano la Wild Atlantic Way

Si prosegue lungo la M8 e la N22, lasciandola all’altezza di Crookstown per continuare lungo le strette strade che attraversano la contea di Cork. Arrivo in serata a Bantry, in tempo per vedere l’opulenta Bantry House che meriterebbe un po’ di manutenzione e qualche cura in più da parte del giardiniere. Compaiono i primi cartelli con le indicazioni della Wild Atlantic Way.

 

Beara Peninsula  

Beara è la più piccola delle 3 propaggini meridionali d’Irlanda che si protendono verso l’Oceano Atlantico. E’ anche la meno frequentata dal turismo. Ho deciso di percorrerla non solo perché è l’inizio della Wild Atlantic Way, ma anche per sfruttarla come training per fare il callo con le strettissime stradine costiere, dove le corsie spesso sono poco più di una pista ciclabile ma ti puoi vedere arrivare dall’altra parte un bus di linea o un trattore. I folli limiti di velocità irlandesi consentono di andare fino a 80 e a volte 100 km/h su dei budelli pieni di curve cieche e angoli a 90 °C, con l’aggravio di rischio che gli spericolati autisti locali sfrecciano sempre alla massima velocità permessa.

La giornata di sole conferma che questa piccola penisola dal punto di vista paesaggistico non ha niente da invidiare alle sorelle più famose (Kerry e Dingle). Da Castletownbere fino a Lauragh sulla costa nord è tutto un susseguirsi di baie profonde e alte scogliere. Vale la pena di fare uno sforzo e arrivare fino in fondo, fino a Lambs Head (la punta degli agnelli). Davanti alla punta c’è l’isola di Dursey, l’unica isola al mondo a cui si accede tramite una funivia (!!). Il tratto in funivia sul mare è suggestivo e incuriosisce. La precedenza di salita però ce l’hanno le pecore, per cui se c’è in attesa un pastore col suo gregge bisogna mettersi il cuore in pace e aspettare il ritorno della funivia dall’isola, oppure rinunciare alla traversata proseguendo il viaggio lungo la costa nord. Niente di male: è un tratto di costa bellissimo. I punti più panoramici sono segnalati con qualche centinaio di metri di anticipo, come lungo tutto il percorso della Wild Atlantic Way. Il percorso è allietato ogni tanto da piccoli villagO'Neill's pub - Allihiesgi semideserti con pub dipinti a colori vivaci. Se siete arrivati fin qui, non perdetevi un fish and chips sui tavolini all’aperto del pub di O’ Neill’s a Allihies, osservando le rare macchine che passano per la strada. Anche se è ancora aprile e qui hanno un’ora in meno rispetto a noi, c’è luce fino alle 9 di sera, sempre che le nuvole non ci mettano lo zampino. La rossa facciata del pub è famosissima e si trova anche sulle copertine di alcune guide di viaggio.

Pernottamento a Kenmare, nel B&B Lissyclearig Thatched cottage alla Kenmare - Quill's Woollen Marketperiferia della città. E’ ancora aperto il Quill’s Woollen Market, store coloratissimo che è impossibile non individuare subito: una grande esposizione di maglioni, scialli, cardigan e sciarpe di lana in gran parte provenienti dalle isole Aran. Non sono proprio a buon mercato (un maglione costa mediamente sui 100-150 €, una sciarpa sui 35-50 €), ma alcuni manufatti artigianali sono davvero belli e soprattutto molto pesanti: basta prenderne in mano qualcuno per accorgersi che qui la lana non la lesinano. I colori sono tenui e delicati: bianco sporco, beige e verde chiaro.

 

Ring of Kerry  

Prima esperienza con il temutissimo “full irish breakfast”. La colazione tipica degli irlandesi comprende tè o caffè, succo d’arancia, toast con burro e marmellata (ce n’è sempre almeno 2-3 tipi), a chi aggradano cereali di ogni tipo e genere, due grandi fette di bacon, due o tre uova fritte o strapazzate (il giorno che ho chiesto un uovo solo quasi quasi la signora si è offesa), una salsiccia abbrustolita e i terribili funghi fritti. Ora, ammesso di riuscire a ingurgitare tutto ciò alle 7 e mezza di mattina, è chiaro che a mezzogiorno di pranzo neanche se ne parla, o al massimo te la cavi con uno spuntino. Ma la colazione “pesante” è utile perché il programma di oggi è impegnativo.

Kenmare è un ottimo punto di partenza per le due grandi attrattive della regione: il Killarney National Park e il Ring of Kerry.

Il Killarney Park è un parco a una trentina di kilometri da Kenmare che offre paesaggi notevoli. Tra laghi e foreste c’è persino una delle poche cascate d’Irlanda, la Torch Falls. Centro d’interesse principale del parco la Muckross House, una splendida residenza vittoriana con un grande giardino che trabocca di colori per la fioritura primaverile, e l’antico Ross Castle affacciato sul Middle Lake. Poco fuori staziona un branco di cervi, saranno almeno una trentina, che non mostrano alcun timore dell’uomo. Altri li ho incontrati lungo la strada, sbucati all’improvviso dalla foresta. Non vale la pena invece di visitare l’abitato di Killarney che è un concentrato di negozi di souvenir per turisti.

Il Ring of Kerry è il tour della penisola di Iveragh, 200 km di puro splendore paesaggistico. La strada si snoda tra spiagge deserte, vista sulle tante isole che attorniano la penisola, muraglioni rocciosi e i tipici appezzamenti di terreno delimitati da muretti di pietra con le pecore o le vacche al pascolo, quelli che vediamo in tutte le foto dei reportage sull’Irlanda. Tolto l’anonimo tratto iniziale da Kenmare a Sneem, per vedere il resto della penisola basta seguire la Wild Atlantic Way, che qui è la N70, oppure meglio ancora lasciarla ogni tanto percorrendo una a caso tra le tante stradine che si dirigono verso l’interno o verso la costa. Attenzione che sono strette e senza vie di fuga, per cui all’incrocio con un veicolo è meglio fermarsi e lasciarlo passare. Del resto, loro non si fermano di sicuro, convinti di potere passare tranquillamente in ogni pertugio, mentre gli specchietti laterali si sfiorano pericolosamente a pochi millimetri di distanza.

Il Ring of Kerry è un grande spettacolo dappertutto. I luoghi di interesse sono tutti segnalati e ci sono piazzole di sosta nei viewpoints più panoramici. Davvero eccezionali alcuni tratti. I 15 km che vanno da Caherdaniel a Waterville corrono su un crinale alto 2-300 metri, da cui si godono vedute sconfinate sul mare punteggiato di isole, sulle spiagge di sabbia bianca, sui prati che declinano dolcemente verso il mare, sulle colline con i muretti di pietra. Un altro tratto meraviglioso è lo Skellig Ring, che raggiunge la punta della penisola a Portmagee. Questo villaggio è un gioiellino di casette multicolori con un porticciolo di vecchi pescherecci carichi di Portmageereti e ceste per i granchi: un’immagine da puzzle. Appena fuori dal borgo c’è il ponte che porta a Valentia Island. L’isola ha almeno due punti spettacolari: Bray Head da cui si vedono per un lungo tratto le scogliere della costa e la Geokaun Mountain (ci si può salire in auto) da cui si gode un magnifico panorama sulla punta della penisola di Iveragh e sulle isole circostanti, fino alla nascosta Foilhommerum Bay.

Consiglio di non tornare sulla terraferma dal ponte di Portmagee, ma di proseguire fino a Knihgt’s Town, la punta di Valentia, prendendo il ferry che fa la spola per ricollegarsi alla N 70.

Cliffs of KerryAppena fuori Portmagee, proseguendo lungo lo Skellig Ring, ci sono le spettacolari Cliffs of Kerry. Ingiustamente sottovalutate, queste alte scogliere hanno poco da invidiare alle più famose Cliffs of Moher. Sarà perché queste del Kerry le ho viste col sole, ma le ricordo come le più belle tra le scogliere della selvaggia costa occidentale. Peccato solo che nel giro di mezz’ora il sole ha lasciato il posto a un acquazzone violento. Nessun punto di riparo e folate di vento forte che ti scaricano addosso secchiate d’acqua lungo il km circa che conduce alla piazzola di ingresso, dove arrivo bagnato fradicio. Lunga operazione di asciugatura e controllo della macchina fotografica che per fortuna non sembra avere subito danni. Il cellofan impermeabile, che ti porti sempre a dietro prevedendo questi eventi, quando serve fatalmente scopri che l’hai lasciato nella borsa degli attrezzi nel bagagliaio.

Adesso via verso la penisola di Dingle.

 

Dingle peninsula   

E’ difficile dire quale delle tre penisole del tratto sudoccidentale della Wild Atlantic Way sia la più bella. Dingle non ha niente da invidiare alle altre due, anzi in certi tratti è la più spettacolare. La penisola è una frastagliata sporgenza che protendendosi nelle acque dell’Atlantico culmina nel punto più occidentale d’Irlanda. Da stropicciarsi gli occhi il tratto ad anello Slea Head Drive che raggiunge la punta estrema della penisola. Guardate attentamente soprattutto in prossimità di Ballyferriter: scoprirete le “Five Sisters”, cinque colline verdeggianti una dietro l’altra in successione, che il vento ha modellato come onde del mare. Spiagge bianchissime e deserte si aprono ogni tantoThe Five Sisters - Ballyferriter alla vista: Inch strand, Wine strand, Cappagh beach. In molte di queste spiagge si può scendere con l’auto. Proprio l’eccesso di confidenza mi ha provocato un guaio che avrebbe potuto incidere in maniera disastrosa sul viaggio. Scendendo verso la spiaggia di Dunquin, che è proprio sulla punta, non avendo individuato la fine dell’asfalto, completamente coperto di sabbia, sono finito con le ruote anteriori nella sabbia umida. Penosi e inutili tentativi di venirne fuori, col solo risultato di peggiorare l’affondamento. Nessuno in giro per un aiuto. Risalgo a piedi verso il villaggio, che sembra disabitato. Per fortuna, un contadino si accorge della mia presenza e mi chiede cosa è successo. Gli spiego l’accaduto: senza battere ciglio il gentilissimo colono prende un cavo da traino e scende con un trailer fino alla spiaggia, tirando fuori l’auto dalla sabbia. Poi ha persino soffiato il motore per eliminare i residui di sabbia che avrebbero potuto provocare dei danni agli organi in movimento. Tutto questo con una gentilezza e una disponibilità estrema, qualità irlandese che avrò modo di apprezzare anche in altre occasioni. Più volte ho cercato di dargli qualcosa per l’intervento così rapido e efficace: niente da fare. Ha accettato del denaro solo quando gli ho detto “take this as a gift for your children”. Poi mi ha confessato che gli insabbiamenti sulle spiagge sono frequenti, e che in estate non passa giorno senza che qualcuno sprofondi senza possibilità di venirne fuori. A quanto pare ho avuto l’onore di inaugurare la stagione dei recuperi delle auto insabbiate.

Il salvataggio dell’auto mi consente di proseguire il programma che ho in mente. Lascio la strada costiera per inerpicarmi lungo la R 560 che attraversa la penisola da Dingle a Cloghane e porta al Connor Pass, il passo più alto d’Irlanda: ben 416 metri…. alto forse è una parola grossa. La strada è stretta e difficile, soprattutto se imboccata da nord. L’incrocio con un camper (a cui teoricamente questo tDingleratto sarebbe proibito) provoca rallentamenti e code di auto alla disperata ricerca di trovare un punto dove si riesce a incrociarsi indenni. Gran traffico di ciclisti lungo le rampe, essendo questa una salita prediletta dagli appassionati, nonché una delle poche salite serie dove possono allenarsi. Per fortuna sul passo il tempo è buono. La vista è magnifica, spazia tra colline battute dal vento e avvallamenti con tanti laghi dall’acqua blu cupo che si aprono tra il Rough Point e il monte Brandon, raggiungendo la costa nord della penisola fino alla baia di Brandon e a Castlegregory.

Musica tradizionale da An Droichead Beag  a DingleTutti i borghi della penisola sono belli, ma Dingle, il centro principale, ha qualcosa in più.  Casette colorate, viuzze a saliscendi lungo basse colline, un gran numero di locali dove davanti a generose pinte di birra dalle 9 di sera si suona musica tradizionale: fisarmonica, tamburello e gli assoli di una bravissima suonatrice d’arpa. Due locali in particolare, a 50 metri uno dall’altro,  meritano una citazione e una visita: il giallo An Droichead Beag (= il piccolo ponte) e l’azzurro O’Sullivan’s Courthouse pub (Fàilte go tigh na cùirte = benvenuti nella casa della corte). Come si intuisce, qui il gaelico la fa da padrone.

Lascio An Daingean, cioè la penisola di Dingle, a malincuore.

Clare e il Burren    

Per raggiungere la contea di Clare prendo il ferry che collega Tarbert a Killymore, evitando così di fare il lungo giro dell’estuario dello Shannon che termina a Limerick, nota tra l’altro per essere la città più brutta d’Irlanda.

Prima tappa a Loop Head, punta occidentale della contea dove si erge il Loop Head Lighthouse, uno dei tanti caratteristici fari sparsi lungo la costa. Il Loop Head Scenic Drive che si fa per arrivarci, passando per Carrigaholt e Kinbaha lungo la stretta e tortuosa R 487, è un altro tratto tra i più spettacolari della Wild Atlantic Way. Tra le numerose grotte scavate dall’erosione del mare, stupisce il Bridges of Ross, che si raggiunge imboccando la strettissima L 2000. Una laguna riparata dal vento creata da due lembi di scogliera uniti da un ponte di roccia naturale.

Cliffs of MoherDalla penisola di Loop proseguendo verso nord si raggiungono le imponenti Cliffs of Moher, primadonna delle scogliere d’Irlanda. Si ergono a picco sull’oceano da un’altezza di 200 metri. Il nome vuol dire “scogliera della rovina”, perché sul promontorio c’era il forte in rovina “Mothar”, demolito durante le guerre napoleoniche per costruire una torretta di segnalazione nella zona di Cape Hag. Altri asseriscono invece che il nome deriva dai rovinosi naufragi di molte imbarcazioni che in passato si sono infrante contro i bastioni di roccia a causa del vento fortissimo e delle onde alte 3-4 metri. Come oggi: vento forte e pioggia sottile rendono difficile la camminata sul ciglio della scogliera, che però val bene un po’ di sforzo e un mezzo infradiciamento. Mi chiedo se qualcuno è mai riuscito a vedere i cliffs col sole, dato che nuvole e pioggia qui sono di casa. Nel pomeriggio il vento si abbassa un po’, così verso le 5 dal porto di Doolin riesce a salpare il battello che porta alla scogliera. Le onde sono ancora alte, la piccola imbarcazione è scossa da rollii e beccheggi e si fa fatica a stare in piedi, ma lo spettacolo eccezionale giustifica qualche disagio. Vista dal basso la scogliera impressiona ancora di più, pare ancora più alta e strapiombante di quello che è. Ci avviciniamo tantissimo a un alto dente roccioso che si è staccato dal massiccio, mentre urie e gazze marine svolazzano attorno nervose come volessero dissuaderci da un ulteriore approccio verso la roccia, che ospita i nidi dove si stanno schiudendo le uova.

Sulla barca, malgrado la totale instabilità, grazie all’aiuto degli inservienti che ci tengono fermi, alla fine si riesce a scattare qualche bella foto anche dal basso. Chiaramente, bisogna scartare tutte quelle dove a causa delle ondate e delle violente oscillazioni invece degli scogli si vedono solo i nasi e i gomiti degli altri passeggeri.

Per quanto imponenti, queste non sono però le più alte scogliere d’Irlanda, primato che spetta alle Slieve League nel Donegal.

Burren Coastal RoadL’entroterra del Clare è occupato in gran parte dal Burren, pietraia calcarea che non entusiasma malgrado i fiorellini multicolori che fanno capolino tra le rocce. Meglio seguire la R 477 Burren Coastal Route, bellissima strada costiera che va da Doolin a Ballyvaughan. Questa strada si snoda tra massicci di pietra color grigio chiaro levigati dal vento e tavolati tra cui pascolano vacche disperatamente alla ricerca di interstizi erbosi. Fatta di sera, con un po’ di bentornato sole che illumina le rocce, è uno spettacolo. Inoltre, a Ballyvaughan ci sono dei ristorantini di pesce mica male praticamente sconosciuti alle guide turistiche: segnatevi Monks at the Pier a Lisanard. Questo percorso costiero è alternativo al classico giro interno del Burren, quello che raggiunge una specie di menhir megalitico raffigurato nelle immagini classiche di questa regione.

Prossima tappa: Galway e il Connemara.

Galway e il Connemara

Arrivo a Galway in serata, dopo essere passato per l’incantevole borgo di Kinvara. Galway, centro universitario vivace con tantissimi locali di frutti di mare (ostriche soprattutto) è un ottima base per le visite nel Connemara a nordovest e nel Burren a sud.

Lough CorribIl Connemara cantato da Fiorella Mannoia è una meraviglia di paesaggi dovunque, sia che si scelga una delle strade interne che vanno verso il Lough Corrib, oppure l’itinerario costiero con le stradine che tra mille curve e ponti di pietra strettissimi si snodano saltando di istmo in istmo, di isola in isola. L’ideale sarebbe fare entrambi i percorsi.

Per chi privilegia l’interno, il Connemara offre altopiani assolati con una miriade di laghetti dall’acqua tinta di rosso-bruno dalle torbiere, tra brughiere solitarie, foreste di abeti e colline erbose ingiallite dal vento. E’ un paesaggio che incanta, secondo molti l’essenza dell’Irlanda.

RoundstoneL’itinerario costiero è una serie infinita di baie e spiagge dove spuntano ogni tanto piccole fattorie che non si capisce mai se stanno su un’isola o sulla terraferma, a causa della marea che ritirandosi o avanzando scopre o copre lunghi tratti di costa, a volte anche per kilometri. La marea che si ritrae è uno spettacolo impressionante: una corrente turbinosa che corre verso il mare lasciandosi alle spalle gialli letti di alghe, pietre coperte di coralli e vegetazione marina e stormi di gabbiani che fanno festa con i molluschi rimasti sul bagnasciuga. Alcuni paesini sono delle vere e proprie perle: Roundstone, per esempio, le cui case colorate sbucano all’improvviso dietro una curva, Ballyconneely, Clifden, Cleggan. Fate una deviazione verso Leitìr Mòir “una comunità di isole”, insieme di piccoli agglomerati di case 100% “gaeltacht”, dispersi tra centinaia di isolotti uniti da stradine minuscole e ponti delimitati da muriccioli di pietra. Se arriva un trattore, o un qualunque veicolo, non rischiate, controllate se ci sono pietre che sporgono dai muretti e fermatevi: in qualche modo si riuscirà a passare, senza strisciare la macchina contro le sporgenze irregolari delle pietre.

Il tratto di costa che va da Roundstone a Ballyconneely è una delizia per gli occhi, come pure il tratto dopo fino a Clifden, che è considerata la capitale del Connemara. Questa è la zona dove i fiumi e i laghi sono più ricchi di salmoni: lo si nota subito per i tanti pescatori che si esercitano lungo le rive. Tutti pescano rigorosamente a mosca, e tutti fanno catch and release se prendono qualcosa.

Abbazia di KylemoreMa la perla della regione si trova a Letterfrack: l’incontro con l’abbazia di Kylemore è stupefacente. Le ali bianche e i torrioni della famosa abbazia si specchiano nelle acque scure del Lough Kylemore creando riflessi di immagini e di luce meravigliosi.

Per finire una chicca che non si può mancare: a Alleyfrack, vicino a Ballyconneely, cercate la Connemara Smokehouse, tipica azienda semifamiliare per l’affumicatura del pesce (ce n’è una analoga anche a Lisdoonvarna nel Burren): vi mostreranno le fasi della lavorazione del salmone, che deve essere rigorosamente “wild salmon” (cioè quello pescato, non d’allevamento), oltre che di tonni, sgombri e altri pesci, fino al confezionamento finale. Eccezionali sono il salmone marinato all’aneto e il tonno affumicato. Vale la pena di fare qualche acquisto, soprattutto se avete in programma il viaggio di ritorno a breve: le buste termiche durano 4 giorni. Altrimenti ve lo spediscono a casa con un corriere aereo, con un sovrapprezzo di 25 €.

Come sempre, anche dal Connemara si viene via a malincuore.

Sligo e il Donegal 

Sosta a Westport, nell’ottimo Mulberry lodge, altro borgo incantevole caratterizzato da una serie di piccoli ponti di pietra addobbati di fiori che si susseguono lungo il fiume Carrowbeg. Da Westport, andando verso nord, si attraversano le contee di Mayo, Sligo e Donegal.

Ingorgo su Achill IslandA una quarantina di km da Westport c’è la splendida Achill Island, che si raggiunge facilmente perché un ponte la unisce alla terraferma. Qui le pecore dal caratteristico muso nero, che ogni pastore macchia con un colore identificativo, escono spesso dai recinti delimitati da muretti a secco. Così, trovarsi davanti un gregge che attraversa la strada è quasi la norma. Bisogna avere pazienza e lasciare che pecore e agnelli zampettino fino al prato più vicino. Andando fino in fondo, fino alla punta di Achill Head, si raggiunge una baia nascosta con grandi manifesti che mostrano l’antica attività di pesca degli squali elefante. Dicono che con un po’ di fortuna questi grandi squali che vagano per il mare con la bocca spalancata inghiottendo plancton si possono vedere dal promontorio in fondo all’isola, magari in compagnia di qualche gruppo di delfini. Se non ci sono, ci si può riempire gli occhi con il panorama dall’altra parte, verso i bianchi villaggi di Keem e Keel sferzati dal vento e verso la bianca scogliera della costa nord dell’isola.

Le frastagliatissime coste di Sligo hanno decine di punti panoramici, tra scogliere che si susseguono a picco sul mare. Le altissime Slieve League sono quelle più note, ma eccone una spettacolare e facile da raggiungere: il promontorio di Mullaghmore. Qui il vento è sempre fortissimo. Le folate fischiano e schiumano tra onde alte 3-4 metri che si infrangono sulle rocce con una violenza e un fragore impressionante, con la caratteristica sagoma del Ben Bulben, montagna cara a Yeats, sullo sfondo. D’estate coraggiosi surfisti si radunano qui per sfidare le onde. Dal porto partono ogni tantoMullaghmore Eithnas by the Sea piccoli battelli che permettono di vedere dal mare la spettacolare costa.  Al ritorno doverosa sosta al ristorante Eithnas by the sea, attorno alla cui porta azzurra è dipinto un grande murale di vita marina che occupa tutta la facciata. La foto a questa facciata blu avrà un ruolo di rilievo nel vostro slideshow da presentare agli amici. L’enorme rombo alla griglia, se avete scelto questo pesce per la cena, è una delizia che non si dimentica.

Poco dopo inizia il Donegal, una delle contee più belle e ingiustamente sottovalutate d’Irlanda, un susseguirsi di colline dolci macchiate di ginestre che terminano in baie profonde e coste frastagliate.

All’estremità nord del Donegal c’è il mitico faro Fanad Lighthouse, forse il più bello tra i tanti fari irlandesi. Il percorso per raggiungerlo è lungo, ma ne vale assolutamente la pena. Le colline verdeggianti del Donegal, mano a mano che ci si avvicina al mare si ricoprono di ginestre e le rive dei laghetti nascosti si circondano di boschi di abeti. Poi il faro compare in fondo a una lunga stradina, su un promontorio che si staglia sugli isolotti circostanti.

Ma il faro non è il punto più a nord dell’Irlanda. Allora, per uno di quegli attacchi di schizofrenia da kilometraggio, quel misto di curiosità e di desiderio di raggiungere i punti estremi che talvolta prendono il viaggiatore on the road, decido di fare una lunga deviazione per raggiungere la punta più settentrionale d’Irlanda: Malin head.  I paesaggi per arrivarci somigliano molto a quelli fatti per raggiungere la punta di Fanad, però la punta rocciosa lascia un po’ a desiderare. Forse, questi 150 in più km tra andata a ritorno si potevano anche risparmiare.

 

La Causeway Coastal Road  

Scendendo da Malin Head a un certo punto si lascia l’Europa. Infatti si entra nell’Ulster, che siccome fa parte del Regno Unito, dopo la brexit non è più Europa. La prima città che si incontra è Derry (per gli irlandesi) o Londonderry (per i sudditi della regina): bella città con un centro storico racchiuso dentro un muraglione fortificato. E’ la città della “bloody Sunday” (la domenica di sangue), quando nella zona del Bogside i paracadutisti britannici uccisero 14 civili che manifestavano per l’indipendenza. Meriterebbe di essere vista con un po’ di calma, ma è tardi e devo raggiungere Portrush dove ho stabilito di fare tappa per la notte.

Il passaggio verso la “non più Europa” non è chiaramente visibile perché la frontiera ovviamente non c’è, ma qualcosa di diverso si nota subito. Le case di Derry hanno tutte i mattoni a vista e la piccola veranda a sbalzo tipica delle villette inglesi, mentre i bar si fa fatica a individuarli perché non hanno scritte e colori vivaci come quelli d’Irlanda. I cartelli stradali riportano i limiti in miglia. Te ne accorgi, perché dopo avere attraversato due o tre paesini a 30 all’ora con quelli dietro che danno segni di impazienza, è giocoforza svegliarsi e realizzare che quel “30” sono in realtà miglia, quindi più o meno 50 all’ora come da noi. Noto anche che sono stranamente scomparse le pecore. Forse qui sono più industrializzati e meno allevatori rispetto agli irlandesi. Gli ovini però ricompariranno più avanti, nelle vallate di Antrim.

Da Portrush andando verso est si snoda la bellissima Causeway Coastal Road, che mostra in sequenza i suoi tanti punti di interesse.

Il primo che si incontra è Dunluce Castle, un antico maniero appollaiato su uno sperone roccioso di fronte all’oceano. Una decina di km più avanti, proseguendo lungo la litoranea, si arriva al famoso colonnato di Giant’s Causeway, uno spettacolare affioramento di colonne e rocce basaltiche di forma rozzamente esagonale piazzato proprio davanti all’oceano. La quantità di colonne emerse che si possono vedere dipende dalla marea, che a volte ne copre un tratto. Frotte di turisti si aggirano tra le colonne in cerca di un buon punto per la foto ricordo, stando bene attenti a non scivolare sul basalto bagnato dalla risacca.  Alcuni punti delle formazioni rocciose hanno nomi curiosi: “gli stivali del gigante”, “il cammello”, “la sedia di desideri”, “l’organo”. Ma l’attrattiva più ricercata di questo bel tratto di litorale atlantico si trova un po’ più avanti: il famoso e strafotografato ponte di corde di Carrick-a-Rede, poco prima di Ballycastle.

C’è brutto tempo quando arrivo al ponticello. Nuvole basse, un po’ di nebbia e un forte vento a 40 nodi (70 all’ora) che spazza la costa e rende faticoso percorrere il sentiero di circa 1 km che dalla biglietteria porta alla garitta di accesso al ponte. Per di più si mette a piovere: il vento violentissimo trasforma le gocce d’acqua in tanti piccoli proiettili che ti punzecchiano la faccia, ma avanti bisogna andare: siamo qui per il ponte, che diamine! Il ponte ovviamente oggi è interdetto al passaggio, e meno male, perché mette paura solo a vederlo dondolare di brutto sotto le folate del vento. Ma la gentile custode di guardia all’accesso rassicura i pochi infreddoliti che come me sono arrivati fin lì: “come tomorrow, weather will be better”. La guardiamo straniti, pensando che l’avrà detto per compassione mia e dei 4 giapponesi arrivati fin qui malgrado le intemperie, mentre il vento ci sbatte in faccia  l’ennesima sferzata di ghiaccioli.

Torno a Portrush facendo il piano per il giorno dopo: Antrim, poi Belfast e avvicinamento a Dublino. Ma al mattino, al risveglio, raggi di sole fanno capolino tra le tende di pizzo della camera, niente vento e temperatura mite. Miracolo del pazzo meteo irlandese! Repentino cambio di programma ed eccoci di nuovo sulla strada per Ballycastle, stavolta in un’atmosfera idilliaca di quiete assoluta. Dove ieri c’erano onde di 4 metri che schiumavano contro la scogliera, oggi c’è calma piatta. Un gruppo di canoisti pagaia al largo e si infila tra le rocce, mentre sopraggiungono persino due acquascooter. Coda di mezz’ora per salire sul ponticello di corde, ma alla fine l’agognata traversata tra la terraferma e l’isoletta di Carrick si può fare in tutta tranquillità. Il ponte è in realtà molto più saldo di quanto si possa immaginare. Sull’isola, raggiunto il promontorio, si aprono magnifici panorami sulla costa a est e a ovest.

Proseguo sulla coastal way in direzione ovest. Poco più avanti c’è Kinbane Head. Non perdetevi questa punta poco conosciuta e pochissimo frequentata: dopo una discesa a precipizio di 100 metri lungo una scalinata a gradoni si raggiungono i resti dell’antico castello di Kinbane e da qui un altro promontorio con viste stupende sulla costa. Per chi non ha avuto il coraggio di passare sul Carrick-a Rede, o non ha potuto causa eccesso di affluenza, la punta di Kinbane è una bellissima e meno rischiosa passeggiata alternativa.

 

Antrim   

Le colline e la costa della regione di Antrim sono solcate da stradine quasi tutte definite come “scenic road”: in effetti i paesaggi che offrono sono notevoli. Qualche tratto da non perdere: da Cushendun a Torr Head verso nord o a Waterfoot verso sud lungo la costa, da Glenarm a Ballymena verso l’interno. Lungo questo tratto c’è il curioso “vanishing lake” (il lago evanescente), che appare e scompare secondo la capacità del terreno di assorbire la portata d’acqua dei suoi tre affluenti.

Ma l’attrattiva principale della regione di Antrim è il vialone alberato Dark Hedges, vicino a Ballymoney. I grandi faggi secolari che delimitano il viale su entrambi i lati protendono e intrecciano i rami come ad abbracciarsi, formando una galleria naturale di giochi d’ombra e di luce che lascia letteralmente sbalorditi. Un angolo d’Irlanda magico, dove chiudendo gli occhi e lasciando correre l’immaginazione ti aspetti che appaia una fata dietro uno dei grandi tronchi. O magari, come narra la leggenda, il fantasma della signora del castello di Gracehill House.

E’ tempo di scendere verso Belfast.

 

Belfast   

La capitale dell’Ulster, ingiustamente sottovalutata, si rivela una città vivace e interessante. La prima cosa da vedere è il Titanic Belfast, una grande rievocazione dedicata alla storia del transatlantico che affondò nell’aprile del 1912 al largo di Terranova. Le scenografie del museo sono di un realismo eccezionale. Seduti sulla poltrona basculante di una monorotaia, si passa attraverso le officine dove i carpentieri forgiavano le parti della nave, compreso un altoforno ricostruito con tanto di colata di acciaio fuso. Si rivivono le fatiche degli operai, il sudore della sala macchine, le speranze dei viaggiatori, la drammatica sicurezza dei comandanti e purtroppo anche i tragici momenti dell’impatto con l’iceberg, dell’affondamento e del salvataggio dei pochi superstiti grazie all’arrivo del Carpathia che raccolse i segnali di SOS.

Lascio la macchina lì al parcheggio del Titanic perché in città c’è la Belfast Marathon, e mi dicono che sarebbe un problema girare con l’auto. Applausi ai valorosi maratoneti che passano lungo il dock. Proseguo a piedi e mi imbatto nel curioso “Big Fish”, un enorme salmone azzurro alto 2 metri e lungo 10 piazzato sul molo lungo il fiume Lagan davanti alla Custom House, ricoperto da centinaia di tessere ceramiche che raccontano la storia della capitale dell’Ulster. Foto ricordo di prammatica davanti al pescione.

Girare a piedi per Belfast è piacevole e per nulla faticoso. Rapido tour per Victoria Square, centro commerciale per maniaci dello shopping, e da qui verso la maestosa City Hall, davanti alla quale c’è un viavai continuo di autobus a due piani che qui sono rosa. Lungo il viale ci sono numerosi taxi neri “black cab” stile anni ’50. Un autista però mi confessa che in realtà sono stati costruiti tra il 1995 e il 2005, con una carrozzeria vintage appositamente studiata.

Uno dei must di Belfast è il tour dei murales che tappezzano i muri della parte occidentale. La tradizione vuole che questo tour si faccia proprio con uno di questi curiosi taxi che ricordano un po’ l’antica Giardinetta della Fiat. Contratto un giro di un’ora e mezza per 35 pounds (munitevi di sterline presso qualche ATM, perché i taxisti dei black cabs non accettano euro). I murales sono a vario tema: quelli politici ricordano le lotte dell’IRA e del Sinn Fèin per l’indipendenza e il distacco dal Regno Unito, dedicando intere facciate alla raffigurazione degli eroi indipendentisti che sono morti per questo ideale. Altri murales raffigurano i paladini della libertà conosciuti in tutto il mondo: Nelson Mandela, Gandhi, Fidel Castro, il leader curdo Abdullah Ocalan.  Altri ancora sono a sfondo ambientalista e naturalista. Qualche graffitaro si è intrufolato riuscendo a mescolare immagini di street art con quelle a sfondo sociale. Alla fine del giro il taxista mi mostra la sede attuale degli indipendentisti, ufficialmente chiusa, ma dice che in realtà qualche scintilla nazionalista ogni tanto scoppia ancora.

In serata, via verso Dublino. Lungo il tragitto, sosta al faro giallo e nero di St John’s e una eccellente cena con “half lobster + halibut” al Magee Seafood Bistro di Carlingford.

Dublino e dintorni

Ho scelto la cittadina costiera di Malahide come punto di sosta per l’area di Dublino. Qui c’è un castello circondato da quasi 300 acri di boschi che si dice sia abitato dai fantasmi. Bellissime le sale in legno a sbalzo e i pannelli in quercia. Vicino c’è Howth, altra cittadina marinara che ospita l’ultimo faro del tour, Baily Lighthouse.

Da Malahide si raggiunge comodamente Dublino con il treno della DART. Fermata Tara Street, da cui si arriva facilmente a piedi in tutti i punti più interessanti della città. Rapida occhiata a Ha’penny bridge, il più famoso dei ponti sul fiume Liffey, poi deviazione verso le stradine interne fino al Temple Bar, il pub rosso con lo stesso nome del quartiere che si vede nelle foto di tutte le guide turistiche. Qui i complessini suonano musica tradizionale a tutte le ore, tra gente che trangugia birra senza curarsi troppo dei musicanti.

La cattedrale di San Patrizio è una meta obbligata, con il bellissimo giardino primaverile pieno di tulipani in fiore. Per la messa (in rito anglicano) meglio la più tranquilla Christchurch Cathedral, dove un eccezionale coro si esibisce in canti sacri prima e durante la funzione.

Coda di un’ora al Trinity College per vedere il Book of Kells e la Old Library. Rispetto a 30 anni fa, adesso all’antico manoscritto istoriato realizzato dai monaci intorno all’800 è dedicata la sala principale dell’esposizione, con pannelli che spiegano i contenuti del libro e le stupende miniature. Da questa sala si accede alla magnifica “long room” della Old Library, dove circa 200.000 vecchi tomi riempiono gli scaffali in legno antico e colpiscono le scritte in latino nell’interstizio tra i due piani. Peccato che non si possa più salire sulla balaustra superiore, da cui si aveva una eccellente visione d’insieme della lunga sala, ma anche dal basso il fascino di questa storica biblioteca rimane intenso e intatto. La biblioteca è stata anche il set cinematografico di alcune scene di Harry Potter:  camminando tra i corridoi si può rivivere l’emozione di essere a Hogwarts.

Due cose ancora prima di lasciare Dublino e l’Irlanda: un bel tè accompagnato da scones con clotted cream e marmellata di fragole, e dulcis in fundo una doverosa toccatina alle tette di Molly Malone in Suffolk Street. Dicono che porti fortuna.

 

Conclusione

km percorsi: 2500

contee attraversate: 15 (Tipperary, Cork, Kerry, Limerick, Clare, Galway, Mayo, Sligo, Leitrim, Donegal, Derry, Antrim, Down, Louth, Dublin)

fari visti: 5 (Baily Lighthouse, Loop Head, Burren Tower, Fanad Head, St John’s Lighthouse)

pecore incontrate: 100.000 o forse più

errori di corsia per la guida a sinistra: due

rischi di incidente: tre o quattro

insabbiamenti: uno

serate di musica irlandese: tre

Un giro bellissimo, di quelli che ti rimangono dentro per un bel po’.

Grazie per essere arrivati fin qui.

Luigi

luigi.balzarini@tin.it

Ritorno a Londra

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Io e Rita volevamo concederci un week end un po’ lungo e abbiamo pensato di ritornare a Londra, ci eravamo già stati nel 2012.

Come sempre abbiamo organizzato tutto sul web con molto anticipo leggendo molti diari di viaggio.
In sintesi:
Partiamo con la Ryanair da Torino a Londra Stansed l’8 maggio con ritorno il 13 Maggio con Easyjet da Luton a Malpensa costo totale 90 euro a/r
Treno Stansted-Londra Liverpool station costo per 2 persone 14 gbp.
Oyster card per circolare su tutti i trasporti di Londra  per 7 giorni gbp 66 (2 persone)
Passaggio bus per il ritorno gbp 4,40 per 2
Treno Londra-Salisbury a/r per 2   gbp 47,20
Salisbury-Stonehenge a/r 30 gbp, ingresso al sito 33 euro
Reem hotel doppia per 5 notti gbp 483
Ristoranti: Strada, in Belvedere road e Brasserie Cote, in Christopher Place, buoni, prezzi onesti, entrambi con sito internet con menù e prezzi.
Maggio 8

Arriviamo puntuali a Stansed, controlli quasi inesistenti, prendiamo il treno in aeroporto, comodo e pulito, in 30 minuti arriviamo alla Liverpool Station, è molto grande, sembra un centro commerciale, carichiamo le Oyster card del 2012 (non scadono mai) al chiosco automatizzato (no servizi front office), comunque ci sono assistenti che girano per la stazione e risolvono eventuali problemi.
Leggero pranzo in stazione al ristorante The merchant and  Bishopsgate dove pranziamo con veggie nachos e chicken burger, non è alta cucina ma tutto sommato ci ha soddisfatto.
Raggiungiamo quindi l’hotel, è in zona tranquilla, nelle vicinanze della Queensway, via molto commerciale, con  tre stazioni della metro e molti bus.
La camera è al quarto piano (ascensore), piuttosto piccola, non ci sono armadi, bagno spazioso, TV senza canali italiani, condizionatore, scalda acqua elettrico, tazzine e bustine di tisane e tè, appoggiamo i trolley su un ripiano, ma lasciamo tutto dentro.
Iniziamo la visita raggiungendo la London Eye, la grande ruota panoramica, situata lungo il Tamigi, la zona dotata di ampi giardini attrezzati (Jubilee Garden), molti i bambini, che giocano nelle aree dedicate, ma ci sono anche chioschi per il ristoro, panchine, molti ragazzi che fanno jogging, dalle sponde del fiume si gode anche un bel panorama su Westminster e il Big Ben, mentre nella Southbank  vi sono molti edifici enormi e, a mio parere, di scarso pregio architettonico, purtroppo Southwork  è un grande cantiere.
Raggiungiamo la Waterloo Station per ritirare dal distributore  i biglietti del treno per Salisbury,  inseriamo la carta di credito utilizzata per la prenotazione, poi digitiamo il codice, tutto ok
Ci ricordiamo che in zona c’è un ristorante della catena Strada, camminando lo troviamo sulla Belvedere road, una strada pedonale lungo il Tamigi, Il locale  gode di una vista invidiabile, anche per le pareti in vetro su tre lati.
All’uscita, vista mozzafiato della London Eye e il Big Ben illuminati, notevole anche il grattacielo Shard di Renzo Piano e la Swiss Re Tower, di Norman Foster, meglio conosciuta come la pigna o il cetriolo per la sua forma, però di notte spicca la parte alta da farla sembrare una palla da Baseball.
Martedì 9
Iniziamo la giornata con una passeggiata per le affollate vie del lusso partendo da Piccadilly, Regent Street e dintorni.  Raggiungiamo Trafalgar Square, con l’altissima colonna con in cima la statua di Nelson e alla base quattro grandi leoni in bronzo, che rievocano le battaglie che aveva vinto, a lato della piazza la National Gallery, ricca di 2400 capolavori della pittura mondiale, l’edificio, in stile neoclassico con ampio colonnato. Poi la chiesa di St. Martin in the field, anche questa in stile neoclassico, con un portico a colonne e una bella guglia, l’interno è barocco, un bar ristorante nella cripta, devo dire che non ci ha entusiasmati.
Entriamo nella Galleria per visitare le sale che c’eravamo annotati, senza fare coda, passiamo per i rapidi controlli,  l’ingresso è gratuito, fatto che consente di ritornare senza svenarci.
La Gallery è una delle più vaste del mondo,  le opere sono esposte (dal medioevo al 1900), in ordine cronologico in grandi sale.
E’ stata la prima al mondo ad aprire le porte a tutti i cittadini, bambini compresi e a permetterne l’ingresso con qualsiasi abbigliamento.
Molti i capolavori di ogni epoca, fra tutti: Leonardo, Caravaggio, Van Eyck, Michelangelo, Van Gogh, Turner. Noi ci siamo soffermati su I coniugi Arnolfini e la Vergine della Rocce, quindi pranzo al bar della galleria.
Usciamo ripromettendoci di tornare per completare il nostro programma di visita .
Nel pomeriggio visita della British Library, la biblioteca nazionale.
L’edificio è in mattoni rossi molto grande, in uno stile moderno disposto su tre lati  intorno ad un ampio cortile  con spazio  attrezzato con panchine e bar, su di un lato il monumento a Newton.
Si entra in un grande salone, circondato da ampie balconate, nei 4 piani delle sale di lettura,  arredate con tavolini tipo bar e sedie
La Library non è solo biblioteca, ma anche un ricco museo che contiene una delle più grandi collezioni al mondo di libri antichi, documenti storici, letterari,  manoscritti, mappe antiche e molto altro, sono esposti in un settore al piano terra  nella Sir John Riblat Gallery, le sale sono piuttosto buie solo le teche di vetro, che contengono le opere, sono illuminate, secondo il progettista l’allestimento doveva evidenziare l’emergere dalle tenebre di queste opere fondamentali del pensiero umano,  è un vero gioiello, abbiamo ammirato tra tutti: papiri greci, una Bibbia del 1455 stampata da Gutenberg , una delle 4 copie rimaste della Magna Charta, il Codex Sinaiticus ,una Bibbia in greco del IV secolo, i 4 Vangeli posseduti da Carlo Magno, un Corano del 704 d.c., libri e manoscritti antichi miniati o decorati, poi spartiti scritti da Hendel, Mozart, e molto altro di ogni parte del mondo,  non pensavano tanta ricchezza, ultima nota: niente foto.
Usciamo per andare a Piccadily  Circus e Soho dove passiamo la serata.
Mercoledì 10
Ci dirigiamo verso la Cattedrale di S. Paul, nei dintorni sappiamo della Chiesa di St. Mary le Bow, una chiesa dell’XI secolo, anche questa distrutta dall’incendio del 1666,  abbiamo visitato chiesa e cripta (adibita a bar), vedendo solo qualche resto di muro in una parete, troppo poco….
Arriviamo quindi alla Cattedrale, circondata da un parco su tre lati, la visitiamo attentamente solo dall’esterno
La costruzione è barocca, in pietra bianca, il portale d’ingresso è caratterizzato da uno stile barocco con colonne neoclassiche con in cima un artistico frontone triangolare con all’interno una scena raffigurante la conversione di San Paolo, su tutto la statua dell’apostolo,  la cupola è un simbolo di Londra, è alta 115 metri, seconda solo a San Pietro.
Il progetto è il capolavoro del Wren , architetto della ricostruzione della città dopo l’incendio del 1666  che distrusse la città.
Nella cripta il ristorante.
Ci avviamo verso la Tate Modern,  una delle più ricche gallerie di arte moderna del mondo.
Percorriamo la strada pedonale e attraversiamo il Tamigi con il Millenium Bridge, molti  i turisti che sostano sulle sponde del ponte, che è anche un belvedere sulla città, con skyline, il Tower Bridge e grattacieli a portata di macchina fotografica.
Sui prati davanti alla galleria, atmosfera festosa moltissime persone sedute sull’erba, entriamo nel vasto ingresso, gratis e senza coda,  iniziamo la visitando l’esposizione  permanente con le sale dedicate all’arte moderna
La galleria possiede circa 60.000 opere che vengono esposte a rotazione, disposte in sale per grandi movimenti artistici, molti i grandi pittori presenti, tra tutti: Matisse, Picasso, Dali, Braque, Van Gogh, Kandisky.
Sono rappresentate tutte le espressioni dell’arte, sia moderna che contemporanea. Ci soffermiamo nelle sale di arte moderna, mentre facciamo un giro rapido in quelle di arte contemporanea.
Pranzo al ristorante panoramico del 4à piano con pareti di vetro, con una vista mozzafiato.
Dopo completiamo la visita dedicandoci alle sale di fotografia, soffermandoci sui punti panoramici.
Decidiamo di andare a South Kensigton per visitare il Natural History Museum e il Victoria & Albert Museum, prendiamo la metro, scendiamo all’omonima fermata,  ai musei si arriva passando per una galleria pedonale.
I musei sono enormi per cui decidiamo di dividerci io vado al Victoria, Rita al museo di storia naturale..
Il V&A  è grande edificio in mattoni rossi con decorazioni, il portale d’ingresso, in pietra bianca, sembra quello di una cattedrale gotica, all’interno il famoso lampadario di vetro soffiato il Rotanda Chandelier.
Il museo è una grande esposizione di arti decorative mondiali, dalla pittura, ai gioielli, alla moda ecc., suddivisi per aree geografiche, e quasi un unicum nel suo genere, mi sono soffermato in particolare sulla scultura e sulla pittura, non mancano opere di grandi pittori quali Botticelli, Rembrandt, Degas, Turner e molti altri, belle anche le vetrate istoriate del medioevo, ricchissima la collezione delle sculture, sono presenti opere del Giambologna, Cellini, Della Robbia, Bernini, per citarne alcuni, da notare che pitture e sculture sono nelle stesse enormi sale, così come le vetrate e gli arazzi, ci sono anche copie simili per dimensioni all’originale di sculture di Michelangelo, però fatte nel 700, naturalmente non mancano opere d’arte di altri continenti, purtroppo le sale sono molte  e sono costretto a fare un giro un po’ rapido.
Giovedì 11: escursione a Stonehenge.
Siamo partiti alle 8.50 dalla Waterloo Station, arrivati a Salisbury, poi bus per Stonehenge, in 20 minuti arriviamo, con i ticket acquistati da Torino siamo entrati direttamente e saliti sulla navetta gratuita che ci porta al sito.
Stonehenge sorge su di un’ampia distesa erbosa,  già da lontano offre una vista suggestiva,  visitatori da tutto il mondo, la costruzione è anteriore a quella delle piramidi, infatti, le prime strutture  risalgono all’8000 a.C.,  ancora oggi non è chiara la finalità della costruzione, alcuni studiosi affermano che era un tempio, altri un cimitero, gli scavi hanno accertato che il monumento che visitiamo è solo una parte di un più ampio sito.
L’itinerario di visita è in un certo senso circolare, da Ovest a Est, ma non è obbligatorio, all’esterno si vedono le pietre grezze più grandi (Sarsen), disposte in verticale a due a due con cima pietre sarsen come architravi, all’interno pietre più piccole disposte in cerchio, il monumento è molto suggestivo, non a caso attira ogni anno milioni di visitatori.
La visita ormai dura da circa 3 ore, siamo un po’ stanchi, con la navetta torniamo al visitors center, mangiamo qualcosa nell’unico bar ristorante, piuttosto brutto e non molto pulito, poi diamo ancora uno sguardo alla ricostruzione delle antiche capanne del neolitico, entriamo in una, dove vediamo i giacigli, il tetto e lo spazio dedicato al fuoco.
Venerdì 12
In mattinata Rita visita ai parchi, d’altra parte l’hotel è in zona Hyde park e Kensington Gardens, è entusiasta particolarmente per la pulizia e l’organizzazione delle aree attrezzate per bambini, poi tennis, equitazione, in estate anche bagni, ma la cosa che la colpita, la vegetazione è lussureggiante, moltissimi alberi anche secolari. Poi non poteva mancare una visita a Harrod, tempio del lusso.
Io ritorno alla National Gallery per  completare la visita, con qualche sosta sui comodi divani.
Ci ritroviamo davanti al centro commerciale Fortnum e Mason  per  acquistare del tè in foglia, Rita mi descrive e mi fa i confronti con Harrod, il magazzino del lusso, ci fermiamo a pranzo, nel bar, il menu e composto soprattutto di dolci, ma troviamo anche l’insalata. L’ambiente è piuttosto elegante, ma la cucina è molto nella media.
Nel pomeriggio ritorno in zona Museo di storia naturale e al Victoria e Albert museum, per me era la prima volta che visitavo il museo di storia, un enorme edificio vittoriano con belle vetrate, naturalmente le sale più affollate erano quelle dedicate ai dinosauri, soprattutto i due scheletri di cui uno all’ingresso accoglie i visitatori, scheletri in parte con ossa originali, le ossa mancanti sono state ricostruite, spettacolare all’ingresso, il globo terrestre con una scala mobile, che consente di entrare nell’interno, le sale sono moltissime dedicate a vulcani, terremoti, minerali, poi filmati e molto altro sulla scienza.
Sabato 13
E’ il giorno della partenza, passeggiata per le vie per acquistare qualche souvenir, poi pranzo, nel pomeriggio iniziamo il percorso di ritorno  a Torino.

ferny forner

 

Con la moltitudine dei turisti di Praga

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Praga ci mancava. Era una delle poche città europee importanti che ancora non avevamo visitato, quindi la tenevo d’occhio da parecchio tempo, in attesa di una buona occasione con tempo a disposizione e poca spesa. L’occasione è finalmente arrivata e, come al solito, senza ragionarci troppo abbiamo prenotato volo e hotel un mesetto prima della partenza prevista per fine giugno 2017.

Si parte dall’aeroporto di Bergamo con volo Ryanair il 25 giugno esattamente e puntualmente a mezzogiorno, in una giornata caldissima in Italia con tempo incerto nelle previsioni a Praga. Ci siamo portati dietro gli ombrellini per una piccola probabilità di pioggia in due dei tre giorni pieni che avevamo a disposizione, ma per fortuna non serviranno praticamente mai.

Il volo è rapidissimo, un’ora e qualche minuto e siamo nella capitale della Repubblica Ceca, città importantissima per tanti eventi storici e ora meta di grande interesse turistico. Pochi giorni prima della partenza ho deciso di acquistare le Praga Card, la tessera che permette di viaggiare in tutti i mezzi pubblici (compresa la funicolare del Petrin) e di avere l’entrata compresa nelle principali attrazioni della città, oltre ad un serie di sconti in altre attrazioni minori. E’ una tessera molto cara, nella versione da tre giorni che abbiamo acquistato noi, costa 68 euro per gli adulti e 50 euro per nostra figlia, inutile dire che va sfruttata al massimo per cercare di vedere quante più attrazioni possibili, e toglie il pensiero degli acquisti delle entrate sul momento, anche se non elimina mai le code, grande problema come vedremo.

Ho acquistato la Praga Card on line dal portale del turismo ceco, qua https://www.praguecard.com il giorno prima della partenza, pagando in euro, per evitare il pagamento di commissioni all’arrivo, scegliendo di ritirarle in aeroporto nel chiosco di informazioni turistiche appena atterrati e così è stato. Mi hanno consegnato le 3 Praga Card in pochi minuti, attivandole direttamente sul momento.

Per arrivare in centro, sfruttiamo subito l’Airport Shuttle compreso nella Praga Card che porta in stazione centrale in una ventina di minuti. Non dobbiamo aspettare quasi nulla per fortuna e prima delle 14 siamo già in centro. L’hotel non dista moltissimo, ma preferiamo non trascinarci i trolley con il rischio di sbagliare magari qualche strada e quindi scendiamo nella metro alla stazione Hlavni nadrazi e con la linea C, in due fermate scendiamo a Pavlova, stazione proprio di fronte all’hotel che abbiamo scelto, l’Hotel Ankora.

Nell’hotel ci siamo trovati molto bene. Siamo nella zona di Nove Mesto, la città nuova, Praga 2 nella toponomastica che assegna un numero crescente man mano che ci si allontana dal centro. Il prezzo è ottimo, tra i migliori di tutta Praga per un tre stelle. Posizione molto buona, a due passi dalla metro C Pavlova e dalla fermata del tram 22 che porta al castello. Con una camminata di una ventina di minuti si arriva in centro a piedi, passando da Piazza Venceslao. Noi facevamo a piedi all’andata (in leggera discesa) e tornavamo coni mezzi al ritorno. Camera spaziosa con frigo e cassaforte, molto ben insonorizzata, la nostra con una splendida vista sul castello. Pulizia ottima sia in camera che negli spazi comuni. Molto cordiale una receptionist che si è anche sforzata di parlarci in italiano al nostro arrivo.

Il tempo di lasciare i pochi bagagli e decidiamo subito di andare verso il centro, per sfruttare al massimo tutto il pomeriggio della nostra prima giornata a Praga. Il tempo è nuvoloso, temperatura ideale poco sopra i venti gradi, soprattutto non piove come qualcuno aveva previsto e quindi usciamo subito per andare verso il centro. In pochi minuti arriviamo nella grande Piazza Venceslao, con tutta la sua storia, ricordata soprattutto per il fatto che in questo luogo, Jan Palach si diede fuoco per protesta contro l’invasione dei carri armati sovietici, dando inizio alla “Primavera di Praga”. Nella piazza un lato intero è occupato dal grande Museo Nazionale, ora chiuso per lavori di restauro e tutto “impacchettato” con una grande impalcatura che ripropone (assieme alla pubblicità della Samsung) il disegno della facciata originale. Dal centro della piazza parte un lungo viale che porta direttamente nella città vecchia, il cuore di Praga.

Piazza Venceslao

Altri dieci minuti di passeggiata e arriviamo nella grande piazza della città vecchia, Stare Mesto, il centro nevralgico della città e il crocevia di tutti i turisti. La piazza ospita il municipio (in ristrutturazione e non visitabile anche questo), con il fantastico orologio astronomico, la Chiesa di Santa Maria di Tyn, la Chiesa di San Nicola e alcuni palazzi decorati divinamente nelle facciate. Per prima cosa cerchiamo un bancomat dove prelevare corone ceche. Ci sono tantissimi cambia valute, però credo che il cambio più economico sia quello fatto al bancomat con il tasso ufficiale e una sola commissione per prelievo. Cerchiamo di cambiare quanto ci servirà per pagare poi tutto in contanti anche se quasi ovunque la carta di credito è accettata, ma pagando in valuta diversa dall’euro, ci verrebbero prese delle commissioni per ogni transazione.

Giriamo nella grande piazza guardando i tanti artisti di strada che fanno qualche spettacolo improvvisato in uno dei tanti angoli della piazza e soprattutto ci rendiamo conto, per la prima volta, di quanto sia affollata di turisti Praga. La piazza è grandissima, ma è impossibile trovare una delle tante panchine libere, anzi in tantissimi sono seduti a terra e anche scattare qualche foto è praticamente impossibile senza fare entrare qualche estraneo nell’inquadratura.

Santa Maria del Tyn

Nella Praga Card è compreso anche un tour di due ore con uno dei tanti bus turistici con l’audioguida in diverse lingue, decidiamo di farlo subito per iniziare a vedere tutte le attrazioni di Praga anche se seduti sul bus. La partenza è proprio dalla piazza della città vecchia, poi procede nelle varie viuzze di Stare Mesto, proseguendo nel quartiere ebraico, per poi dirigersi verso il Castello, passando per il “piccolo quartiere”, Mala Strana. Arrivato nella zona del Castello, il bus ci ha lasciato mezz’ora liberi per poter girare autonomamente sulla collinetta adiacente al castello, senza entrare però perché per anche solo accedere all’area del castello è necessario pagare il biglietto. Si vede comunque la facciata principale del Palazzo Presidenziale e, casualmente, vediamo anche un cambio della guardia. Poi il percorso riprende costeggiando il fiume Moldava e percorrendo più volte alcuni dei tanti ponti che uniscono la città vecchia con la zona che porta al castello. Passiamo anche vicino al famoso Ponte Carlo, completamente pedonale e quindi non percorribile con il bus e poi torniamo alla piazza della città vecchia, da dove eravamo partiti.

Girovaghiamo ancora nella piazza per aspettare lo scoccare dell’ora per vedere il movimento dell’orologio astronomico che esattamente ogni ora, dall’alba al tramonto, fa partire una sorta di carillon con il corteo dei dodici apostoli che si affacciano nelle due finestrelle collocate nella parte superiore dell’orologio. Il movimento, che in realtà dura pochissimo, un minuto scarso, si chiude con il canto del gallo, posto in mezzo alle due finestrelle da cui escono gli apostoli. Inutile dire che ogni ora migliaia di turisti si avvicinano al grande orologio per vedere l’animazione, però si deve guardare in alto, quindi non ci sono problemi anche se ci si ritrova lontano dalle prime file proprio sotto l’orologio.

Orologio Astronomico

Finito lo spettacolo del carillon, decidiamo di fare un giro nelle varie viuzze della città vecchia muovendoci in direzione del Ponte Carlo, che chiude il centro storico. La folla è immensa e anche il solo camminare non è semplicissimo, perché si rischia sempre di scontrarsi con chi sta procedendo in direzione opposta. Dopo una camminata di una decina di minuti arriviamo sul Ponte Carlo, pienissimo di gente, non è facile ammirare le trenta statue disposte su entrambi i lati del ponte, occupato anche da ritrattisti e artisti di strada che vendono i loro prodotti artigianali. Lo percorriamo tutto fermandoci solo sotto la statua di San Giovanni, la più famosa anche per la credenza che porti fortuna toccare la lapide alla base della statua, che ricorda il punto esatto dell’esecuzione del Santo, poi torniamo indietro e ci dirigiamo nuovamente verso la piazza della città vecchia, per poi, questa volta, prendere la metropolitana (prima due fermate di linea B fino a Muzeum e poi una di linea C, fino a Pavlova) e ritornare in hotel.

Dopo aver cenato in una trattoria ceca a due passi dall’hotel, decidiamo di rifare un giretto verso il centro per vedere Praga con le luci della sera e soprattutto per sperare che ci sia meno gente in giro, speranza in realtà andata delusa, perché anche dopo cena il centro di Praga è sempre pienissimo di turisti. Siamo piuttosto stanchi e con il solito ritorno con la metro chiudiamo la prima giornata.

Il secondo giorno, lunedì 26 giugno, come sempre quando siamo in vacanza, ci alziamo piuttosto presto. La colazione è ricca di cibi salati, ma molto povera per i nostri gusti italiani, quindi prendiamo qualcosa e poi integriamo con una brioche appena sfornata nella vicina pasticceria della catena Paul’s (ne troveremo altre, una anche in aeroporto). Il tempo, per fortuna, è molto bello, pochissime nuvole e temperatura poco sopra i venti gradi, ideale per le lunghe camminate che ci aspettano nel corso della giornata.

La meta della mattinata è il complesso del Castello di Praga con diverse attrazioni. Per arrivarci si sono alcune alternative, anche perché le entrate al castello sono tre. Noi scegliamo il modo meno faticoso per arrivare alla collinetta del castello e prendiamo il tram numero 22 che parte a poche decine di metri dal nostro hotel per scendere, dopo una quindicina di minuti alla fermata Prazsky Hrad ed entrare dalla porta nord del castello.

Castello Praga

All’area del castello si può accedere dall’alba, ma poi le varie attrazioni (e la biglietteria) aprono alle 9.00. Per evitare le code previste decidiamo di partire piuttosto presto, poco dopo le 8.00 per essere tra i primi ad entrare, ma nonostante questo già al primo controllo di sicurezza, prima di entrare nell’area del castello c’è una lunga coda che arriva quasi alla fermata del tram. I controlli sono minuziosi, sostanzialmente una perquisizione personale per tutti coloro che entrano nell’area, ben venga per garantire la sicurezza di tutti, ma perdiamo quasi mezz’ora per poi finalmente entrare.

Per vistare le varie attrazioni all’interno dell’area del castello ci sono tre tipologie di biglietto, quella più economica, il percorso B consente la visita di quattro attrazioni (cattedrale di San Vito, Palazzo Reale, Basilica di San Giorgio e Vicolo d’Oro). Il circuito A aggiunge il palazzo Rosenborg, la Torre delle Polveri e i gioielli reali. Infine il circuito C permette la visita di alcune mostre e gallerie presenti nell’area. La nostra Praga Card comprende gratuitamente il percorso B e consente gli sconti per gli altri due percorsi. Noi decidiamo di fare solo (si fa per dire) il percorso più breve, gratuito con la card.

Il problema, a cui dovrebbero cercare di porre rimedio gli enti preposti, è che la Card non consente l’ingresso diretto e nemmeno una corsia preferenziale in biglietteria, ma bisogna fare lo stesso la coda per ottenere il biglietto normale di ingresso (ovviamente a costo zero). La biglietteria, come detto, apre alle nove e noi arriviamo circa quindici minuti prima e ci troviamo davanti una lunghissima coda di persone in attesa dell’apertura. Altri quaranta minuti buoni per avere il nostro biglietto e finalmente possiamo iniziare la visita del Castello di Praga.

San Vito

Decidiamo di partire dalla Cattedrale di San Vito, una delle più belle chiese del mondo. Ci eravamo illusi che potevamo ormai finalmente ammirare le varie attrazioni senza più fare code, invece no, anche qua coda perché fanno entrare in chiesa solo un certo numero di persone alla volta, quelli che la pur grande cattedrale può contenere. Fra l’altro già il giorno precedente, in centro, e ora ancora maggiormente dentro il Castello, iniziamo a notare un gran numero di studenti, della Repubblica Ceca e, forse, di altre nazioni dell’est Europa, in gita scolastica. Evidentemente, fine giugno è ancora periodo di gite per quelle nazioni che prolungano la scuola fino a luglio inoltrato.

Dopo circa un’ora e mezza da quando siamo arrivati finalmente entriamo nella Cattedrale di San Vito. Come si dice in questi casi, l’attesa è stata ben ripagata. La Cattedrale gotica è magnifica, imponente, oltre che simbolo della città e di tutta la cristianità. Qua sono avvenute le incoronazioni di tutti i re e le regine ceche. Splendidi i mosaici, tutta la parte del coro e tante tombe imperiali che sono dislocate in tutta la chiesa. La presenza e il leggero vociare di migliaia di turisti, con tantissimi ragazzini in gita, rendono meno solenne l’ambiente, ma non manca il senso di grande austerità dato anche dalle imponenti altezze della cattedrale.

Usciti dalla Cattedrale continuiamo la visita del Castello con il Palazzo Reale. E’ il grande palazzo in cui hanno vissuto re e principi boemi. Attualmente è la residenza ufficiale del Presidente della Repubblica. Ovviamente è visitabile solo una piccola parte del grande palazzo. La zona più importante è la Sala di Vladislav, luogo deputato a cerimonie solenni e una piccola chiesetta rifinita splendidamente.

Dopo il palazzo reale andiamo verso la piccola Basilica di San Giorgio, molto più raccolta della grande cattedrale di San Vito, è la più antica chiesa di Praga, la prima in cui sono stati incoronati i re boemi, e ospita i resti della prima martire ceca, la duchessa Ludmilla, poi diventata santa.

La visita è molto veloce e, dopo un altro rapido giro nella Torre Daliborka, gratuito per tutti i percorsi, l’antica prigione in cui venivano segregati e torturati i criminali, arriviamo al famoso Vicolo d’Oro, una stradina costituita da tanti bassi edifici variopinti in tinte accese o pastello, che una volta erano le abitazioni delle guardie del castello e poi sono diventati piccole botteghe artigianali o residenza di artisti, tra cui anche Franz Kafka che ha vissuto qua per un anno. Il nome deriva dal fatto, che per un lungo periodo, le casette sono state abitate prevalentemente da orafi e alchimisti che volevano trovare il modo di trasformare in oro le pietre e il ferro, cercando anche di realizzare la pietra filosofale, il famoso elisir che rende immortale.

vicolo d'Oro

La maggior parte delle casette sono visitabili, trasformate ora in piccoli negozietti di artigianato locale o piccole mostre. Anche qua non è facile entrare o scattare fotografie per il gran numero di turisti presenti, ma riusciamo comunque a entrare rapidamente in quasi tutte, anche se l’aspetto più piacevole è vederle da fuori.

Con il vicolo d’Oro si chiude la visita al Castello, durata tre ore abbondanti, ma almeno la metà passata in coda. Usciamo da un’altra porta rispetto a dove eravamo entrati e facciamo la lunga discesa che porta verso la fermata della metropolitana Malonstranska. La prima idea era di tornare in metro, ma ci rendiamo conto che siamo abbastanza vicini al centro e la strada è tutta in leggera discesa, quindi decidiamo di proseguire a piedi verso il quartiere ebraico, situato appena passato il fiume Moldava.

Anche per visitare le attrazioni del quartiere ebraico di Praga (Josefov) c’è un biglietto cumulativo che comprende il Museo ebraico, tre sinagoghe, la Pinkas, la vecchia nuova sinagoga e la sinagoga spagnola e la visita all’antico cimitero ebraico. La visita è piuttosto rapida, il museo è piccolo e anche la sinagoga Pinkas è diventata una sorta di omaggio e ricordo dell’olocausto. La sinagoga nuova è l’unica ancora funzionante, mentre la sinagoga spagnola è la più bella, piena di decorazioni arabeggianti in stile moresco. Il vecchio cimitero, il più antico e capiente di tutta Europa è un susseguirsi di lapidi, oltre 12000, una accatastata sopra l’altra.

Sinagoga Spagnola

Prima di fermarci per mangiare qualcosa rapidamente, come facciamo sempre quando siamo in giro per le città, ripassiamo dalla piazza della città vecchia per vedere, per la seconda volta, il carillon dell’orologio astronomico, che allo scoccare di ogni ora fa la processione dei dodici apostoli, che in realtà sono undici apostolo e San Paolo al posto di Giuda.

Torniamo verso il nostro hotel per magiare in zona qualcosa e riposarci un’oretta per poi ripartire, questa volta in direzione dello Zoo di Praga, uno sei più grandi al mondo. Lo zoo (compreso nella Praga Card) è fuori città, ad una quindicina di chilometri dal centro di Praga, ma arrivarci è molto semplice, si prende la metro C (noi non dobbiamo cambiare da Pavlova), si scende a Nadrazl Holesovice e poi appena fuori c’è il capolinea del bus 112 che porta, all’altro capolinea, direttamente davanti all’ingresso dello zoo. Dal nostro hotel ci abbiamo messo poco più di mezz’ora, senza attese alla coincidenza tra metro e bus.

Lo zoo è veramente immenso e può contenere un numero grandissimo di persone, lo capiamo subito dal contatore delle visite in tempo reale posto subito dopo l’ingresso che si aggiorna con gli ingressi e le uscite ai tornelli che segna in quel momento nel primo pomeriggio ben 7830 presenze, più dell’intero paese in cui abito!!!

Zoo

Decidiamo di seguire un percorso e piano piano cerchiamo di vedere tutto lo zoo, anche se dopo un po’ (complice anche le lunghe camminate del mattino) la stanchezza (e anche il caldo) inizia a farsi sentire e quindi dobbiamo fare diverse pause nelle varie panchine distribuite nei vari sentieri. Lo zoo è molto bello indubbiamente, ci sono tantissimi animali, ben tenuti con tanto spazio a loro disposizione, secondo me è fin troppo grande, nel senso che la visita completa porta via moltissime ore e costringe a diverse soste e poi, a differenza di altri bioparchi, mancano completamente gli spettacoli con protagonisti alcuni animali, almeno noi non ne abbiamo visti. Rimaniamo circa tre ore e poi torniamo in centro con l’idea di provare a rifare il Ponte Carlo sperando che ci sia meno gente del giorno precedente.

Dopo aver preso il bus 112, nella metro non scendiamo alla nostra fermata Pavlova ma continuiamo e cambiamo a Museum per poi scendere in centro a Starometska, la fermata più vicina alla piazza della città vecchia. Facciamo il solito giro nella piazza e poi imbocchiamo una viuzza di Stare Mesto nella direzione del Ponte Carlo. Camminando ci viene fame e siamo tentati dai tanti negozietti che vendono un cialdone caldo con sopra il gelato, una specialità dolce locale che si chiama trdelnik. Ne prendiamo uno gigante a testa (dopo aver fatto la solita coda in attesa) e lo mangiamo seduti nella piazzetta che immette nel Ponte Carlo.

Il Ponte è esattamente come il giorno precedente, murato di gente, lo ripercorriamo facendo lo stesso qualche foto accanto alle statue o con lo sfondo della Moldava, ma decidiamo di riprovare magari di mattina. Torniamo in zona hotel e ceniamo in un’altra trattoria proprio di fronte all’hotel e poi rifacciamo un giretto nelle vie del centro con le luci della sera.

Ponte Carlo

Martedì 27 giugno è già l’ultimo dei giorni pieni che abbiamo a disposizione. Solita colazione, rinforzata dalle brioche di Paul’s e poi il programma della mattinata prevede la salita sulla collinetta del Petrin, per andare sulla torretta, fare il labirinto (tutti compresi nella Praga Card) e godere della vista sulla città. Per arrivare al Petrin, bisogna prendere una funicolare che collega il quartiere Ujezd con la collina. Arriviamo a Ujezd con il tram 22 (lo stesso che poi porta al castello) e pensiamo di prendere la prima funicolare prevista per le ore 9.00. Arriviamo 15 minuti prima, ma troviamo già una lunga coda in attesa e, tutti i vagoni del primo treno si riempiono lasciandoci in attesa del secondo che è previsto alle 9.15. Finalmente saliamo e in poco più di 5 minuti (con una fermata intermedia) siamo al Petrin, comunque in largo anticipo sull’apertura delle due attrazioni prevista alle 10.00. Facciamo un giro nel bel parco e poi torniamo verso la Torre simile, ma molto più bassa, della Torre Eiffel di Parigi, anche perché si sta formando una lunga coda, soprattutto di ragazzini in gita scolastica, che attendono l’apertura.

La salita sulla torre di Petrin si fa tutta a piedi, circa 300 scalini a chiocciola, arrivati in cima, col fiatone, si riesce però a godere di una splendida vista su Praga. La discesa è meno faticosa e appena arrivati a terra ci dirigiamo verso il vicino labirinto degli specchi. Anche qua ingressi contingentati, una ventina di persone alla volta e tanta coda (oltre mezz’ora di attesa per entrare), per poi stare dentro pochi minuti, in quanto è assolutamente semplice trovare l’uscita, in realtà basta seguire il flusso continuo di persone. Prima di uscire una serie di specchi deformanti fanno sorridere alla vista della propria immagine modificata.

Torre Petrin

Anche oggi siamo usciti dall’hotel alle 8.15 per arrivare alle 11.30 avendo fatto solo due attrazioni da pochi minuti l’una, ormai però abbiamo capito che Praga è invasa da turisti e scolaresche in questo periodo e le code sono da mettere sempre in conto.

In fondo alla funicolare, facciamo poche fermate col tram 22 e scendiamo in quella più vicina al Ponte Carlo per provare a percorrerlo di mattina, forse c’è qualche persona in meno dei due pomeriggi precedenti ma sempre tantissima gente, compresi molti giapponesi organizzati in gruppetti con guida. Inizia a piovere ma sono solo poche gocce che non disturbano più di tanto per fortuna.

A piedi torniamo verso la piazza, facendo giusto in tempo a vedere il carillon delle 12.00 e andiamo in una delle più belle chiese di Praga e forse d’Europa, la Chiesa di Santa Maria di Tyn.

E’ davvero incredibile come sia possibile che proprio davanti alla facciata principale di questa splendida chiesa ci sia un ristorante, ed ancora più incredibile il fatto che per entrare in chiesa si debba attraversare lo stesso ristorante, passando accanto ad una agenzia di escursioni e ad un altro negozio e poi finalmente si arrivi alla porta principale della chiesa. Noi abbiamo passato il primo giorno a capire dove fosse l’entrata, visto che ci sembrava impossibile che fosse proprio praticamente dentro il ristorante ma, provando ad entrare abbiamo visto che era proprio così, anche se al lunedì la chiusa poi era chiusa.

Santa Maria Tyn

Finalmente riusciamo ad entrare (attenzioni agli orari, è aperta solo poche ora di mattina e di pomeriggio) e, pur essendo molto piccola e raccolta, nulla a che vedere con la maestosità di San Vito, la chiesa di Santa Maria di Tyn è davvero un gioiellino nel cuore di Praga. Fantastiche le pale d’altare, le decorazioni e le tante tombe di artisti, tra cui quella dell’astronomo Tico Brahe.

Ormai siamo a inizio pomeriggio, rispettiamo la promessa fatta a nostra figlia di mangiare da Mc Donald’s e poi torniamo mezz’oretta in hotel a riposarci un attimo per poi capire cosa si può ancora fare nel resto dell’ultimo pomeriggio a Praga.

Purtroppo cade sempre qualche goccia di pioggia e allora la scelta sulle restanti cose da fare cade prima di tutto su un museo. Il grande Museo Nazionale è chiuso per restauro, ma accanto è stato allestito il Museo Nuovo con alcune opere provenienti dal Nazionale e una serie di sale dedicate alla storia naturale, tanti animali imbalsamati ma poco più.

Mentre siamo dentro piove piuttosto forte, ma per fortuna, all’uscita cadono solo poche gocce e saranno le ultime, giusto il tempo di fare il viale di Piazza Venceslao per dirigersi verso il centro che possiamo finalmente chiudere gli ombrellini e lasciarli riposti nello zainetto per tutto il resto della giornata.

Ultima attrazione che vogliamo visitare è la Porta con la Torre delle Polveri, l’ingresso della città vecchia, attraverso la quale passava il corteo per l’incoronazione dei re boemi. Si sale in cima alla torre anche qua tutto a piedi per 300 scalini a volte anche molto stretti e si arriva ad un punto panoramico meno alto della torre del Petrin, ma più vicino a tutte le altre attrazioni della città.

Le ultime ore di Praga le dedichiamo all’acquisto di qualche souvenir, ad un ultimo dolcetto trdelnik mangiato mentre camminiamo nelle viuzze della città vecchia sempre affollate di una moltitudine immensa di turisti e gite scolastiche.

L’ultima sera riproviamo ad andare sul Ponte Carlo anche per vederlo con le luci, ma, se possibile, è ancora più gremito di gente del mattino e del pomeriggio. Torniamo nella piazza della città vecchia per scattare le ultime foto alla Piazza e alla chiesa di Santa Maria del Tyn e poi torniamo in hotel a preparare i bagagli.

La mattina di mercoledì 28 giugno si parte subito alle 8.00 dall’hotel per prendere il volo alle 10.00. Per non perdere troppo tempo ho prenotato un servizio di taxi privato, questo https://www.prague-airport-transfers.co.uk/ che con 21 euro ci ha portati direttamente in aeroporto in meno di mezz’ora.

Praga è indubbiamente una splendida città, con angoli e scorci molto belli e romantici, peccato davvero per la moltitudine di turisti trovata, forse per il motivo che Londra, Parigi e Berlino incutono più paura del terrorismo, che la rendono certamente meno vivibile e anche meno economica, rispetto a chi l’ha visitata qualche anno fa o in altri periodi dell’anno.

Praga

 

La pace dei sensi ad Alonissos

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Credo di essermi innamorata di Alonissos ancora prima di partire, mentre cercavo informazioni su quest’isola.

VOLO E CATAMARANO

In realtà abbiamo deciso di andare in quest’isola un po’ per caso: i voli Ryanair da Bergamo per Salonicco avevano un costo ragionevole (meno di 110 euro a testa A/R comprensivi di bagaglio da stiva) e, spulciando sul sito dell’Hellenic Seaway, abbiamo visto che c’era un collegamento con le Sporadi proprio dal porto di Salonicco; siamo stati un po’ indecisi tra Skopelos e Alonissos, ma a me la seconda aveva sempre maggiormente incuriosito… e poi parliamo dell’isola che sorge nel primo parco marino greco e più grande parco marino d’Europa, non potevo certo perdermela! Il trasferimento da Salonicco ad Alonissos avviene in catamarano veloce: il viaggio dura 4 ore e prima di Alonissos ferma anche a Skiathos e Skopelos. Il costo, che è di 59 euro a tratta, non è bassissimo, ma vista la distanza è anche comprensibile. Avendo in passato sofferto parecchio per un trasferimento in aliscafo, ero molto preoccupata per questo viaggio e mi sono armata quindi di pastiglie e Travelgum: invece, fortunatamente, non son stata male né all’andata né al ritorno e, tutto sommato, le 4 ore sono state sì lunghe, ma non così pesanti come mi aspettavo (a parte che si gelava, soprattutto all’andata).

L’aereo era stracolmo sia all’andata sia al ritorno, il catamarano invece non era particolarmente pieno; molte persone sono però salite a Skiathos per spostarsi sulle altre isole.

Arrivando in aereo nel tardo pomeriggio e partendo il catamarano alle 10 del mattino abbiamo previsto una notte a Salonicco all’andata; anche al ritorno ne sarebbe stata sufficiente una (arrivo del catamarano alle 18.30 e aereo la mattina alle 10), ma non avendo grande fiducia nei collegamenti navali greci ho preferito tenere un giorno di margine e quindi passare una intera giornata a Salonicco.

ALLOGGI

Per Salonicco ci interessava un hotel che, oltre chiaramente ad essere dignitoso e non eccessivamente costoso, permettesse di raggiungere il porto a piedi. Abbiamo optato tramite Booking per Nea Metropolis, spendendo in tutto per tre notti (una all’andata e due al ritorno) 124 euro per la doppia, con cassetta di sicurezza compresa e wifi. L’hotel, che sorge all’interno di un edificio neoclassico, ha un non so che di anni 70; le camere sono abbastanza piccine e lo stile lascia un po’ il tempo che trova… ma è pulito, il personale gentile e soprattutto le camere hanno l’aria condizionata, che direi fondamentale d’estate a Salonicco. Il porto dista circa 1 km quindi a piedi fattibile (anche se al ritorno, tra il caldo e la strada in salita, un po’ ci è pesato il tragitto); anche Ladadika e le zone centrali della città sono rapidamente raggiungibili. Consigliato per una o due notti nella città.

A Alonissos, invece, sempre tramite Booking abbiamo prenotato da Angelos Apartaments, per l’ottima cifra di 203 euro un monolocale per 7 giorni. Decisamente uno tra i posti migliori dove siamo stati in 13 anni di isole greche: monolocale di discrete dimensioni con balconcino/veranda, pulizie giornaliere, wifi perfettamente funzionante; il proprietario, un ragazzo simpatico e gentile che parla anche un buon italiano, è venuto a prenderci al porto, nonostante la vicinanza. Posizione comoda a Patitiri, la città principale di Alonissos: vicino a porto, bar, negozi e taverne, ma in una stradina tranquilla (non che Alonissos sia un posto particolarmente rumoroso, non siamo certo a Mykonos).

SALONICCO

Prima di raccontarvi di Alonissos, due parole sulla nostra tappa a Salonicco. Avevamo già visitato questa città durante un week-end un anno e mezzo fa e a suo tempo non ci aveva esaltato: l’avevamo trovata sporca e molto trascurata; la nostra opinione non è affatto cambiata, anzi! Probabilmente sarà a causa della crisi greca, ma ovunque, anche in pieno centro, si vedono palazzi diroccati, negozi abbandonati e soprattutto spazzatura, tantissima spazzatura, ma da dover fare lo slalom tra i sacchi neri! Peccato, perché di cose carine da vedere ce ne sono anche; noi avevamo già visitato le attrazioni fondamentali la scorsa volta, quindi ci siamo limitati a passeggiare tra piazza Aristotele, lungomare, arco di Galerio, con un salto alla Rotunda e alla Chiesa di Santa Sofia (che precedentemente avevamo trovato chiuse), più un giro in barca nel golfo (i barconi-bar partono davanti alla Torre Bianca: l’ingresso è gratuito e si paga solo la consumazione). Diciamo che i 36°C non è che ci abbiano proprio fatto godere la giornata, anzi è stato molto provante!

In ogni caso i prezzi per pernottare e mangiare a Salonicco sono davvero buoni, quindi, nonostante tutto, la terrei ancora presente per uno stop di un giorno in partenza o in arrivo da qualche altra direzione.

Due note: il taxi dall’aeroporto ha un costo variabile tra i 16 euro spesi al ritorno e i 25 dell’andata; al nostro arrivo abbiamo trovato la città blindata, con strade chiuse e polizia ovunque, per la presenza dei primi ministri israeliano e cipriota.

SPOSTAMENTI AD ALONISSOS

Abbiamo noleggiato uno scooter per tutta la settimana a soli 60 euro da Road Runner: cifra davvero bassa per un 125 cc, non so se fosse dovuto semplicemente al fatto che era giugno o, anche, al fatto che il noleggiatore era amico del nostro padrone di casa.

Alonissos è un’isola abbastanza piccola, con una strada che unisce le due estremità dell’isola e da cui si diramano strade secondarie per le spiagge, alcune delle quali sterrate. Nonostante le dimensioni dell’isola (la strada più lunga, quella che unisce le due estremità, è di circa 20 km) siamo riusciti a fare 250 km: molto al di sotto dei nostri standard sulle isole greche, ma di tutto rispetto.

Le strade asfaltate sono abbastanza belle, c’è qualche salita ma niente di drammatico (… dopo essere stati a Ikaria lo scorso anno, non ci sembravano neanche salite). Alcuni sterrati, invece, sono abbastanza bruttini e con lo scooter bisogna stare attenti.

A Patitiri, comunque, ci sono diversi noleggiatori sia di auto sia di scooter, nonché di gommoni.

Se non si vuole noleggiare un mezzo si può puntare sugli autobus pubblici o sui tour organizzati in bus, che portano nelle spiagge più famose dell’isola.

I benzinai sono solo in zona Patitiri; la benzina costa parecchio, più di 1.8 euro al litro, mentre ci è parso di vedere prezzi molto più bassi sulla Grecia continentale.

CLIMA E AMBIENTE

Il clima delle Sporadi è leggermente diverso da quello di altre isole greche: qui le precipitazioni in inverno sono più abbondanti (lo scorso inverno ha anche nevicato) e le isole sono rigogliose di vegetazione. La seconda sera del nostro soggiorno ha fatto un rovescio di pioggia e l’indomani ci siamo svegliati trovando il cielo così:

Comunque si è trattato solo di qualche ora, perché già nel pomeriggio è tornato il sereno e il resto della settimana è stato caratterizzato da un clima molto piacevole, con sole caldo, aria fresca e temperature gradevolissime. L’acqua del mare era invece un po’ fredda, ma superato l’impatto iniziale il bagno lo si faceva senza problemi (il mio compagno di viaggio non la pensa così… per lui era proprio gelida!)

Alonissos come già detto rientra, insieme ad altri isolotti per lo più disabitati, nel Parco Nazionale Marino delle Sporadi, quindi rispetto ad altre isole c’è una maggiore attenzione all’ambiente: addirittura si sta cercando di combattere la diffusione dei sacchetti di plastica e in alcuni supermercati si faceva fatica a trovarne. L’animale-simbolo è la foca monaca, che proprio in questi mari, ed in particolare sull’isola di Piperi, viene a riprodursi.

SPIAGGE

Gli amanti della sabbia e degli spiaggioni immensi resteranno forse delusi: ad Alonissos prevalgono le spiagge di ciotoli e soprattutto di piccole dimensioni… Sassi e calette: proprio quello che adoro! Se ci mettiamo la vegetazione che fa da contorno, raggiungiamo proprio il top per me!

Come spesso accade in Grecia, quando c’è meltemi o comunque ventilazione da nord meglio evitare le spiagge sulla costa settentrionale.

Qui un elenco delle spiagge che dove siamo stati o che abbiamo perlomeno visto; ce ne sono altre dove non siamo andati per svariati motivi (in alcuni casi semplicemente perché… non le abbiamo trovate!). In alcune assolutamente snorkeling obbligatorio, visto che rispetto ad altre isole greche qui di pesci se ne vedono parecchi.

Milia

Quasi si nasconde in mezzo alla vegetazione. Posto molto bello dove fare snorkeling, ma attenzione ai ricci sul fondale (ce ne sono tantissimi!). Per chi vuole c’è anche qualche ombrellone.

Hrisi Milia

L’unica vera spiaggia di sabbia, con bar e ombrelloni. Viste le sue caratteristiche è molto gettonata dalle famiglie, un po’ meno da noi.

Kokkinokastro

Colori suggestivi.

Katerina Vala

Vicina a Kokkinokastro, ma dall’altra parte rispetto al promontorio

Tzortzi Gialos

Decisamente una delle mie preferite, non so quante volte ci siamo andati; certo la spiaggia è stretta, c’è poco spazio per posizionarsi, ma nuotare in quel mare è qualcosa di meraviglioso. Inoltre ha la particolarità di essere sassosa, ma appena entrati in acqua si trova invece sabbia e resta poco profonda, quindi adatta per fare snorkeling anche per chi non sa nuotare alla perfezione.

Dall’alto, se possibile, è ancora più bella.

Leftos Gialos

Nonostante rappresenti esattamente le spiagge che di solito evitiamo (beach bar, ombrelloni, affollamento) non posso che dire che mi è piaciuta molto. D’altronde le immagini parlano da sé.

Ombrelloni e lettini sono free, si paga solo la consumazione (in pratica con 6.5 euro ci siamo fatti un the freddo, una tonica, due lettini e un ombrellone).

Agios Petros

Si raggiunge tramite un sentiero che più volte ci ha fatto dire: ma dove stiamo finendo?!

Glyfa

Tranquilla e rilassante…

Agios Dimitrios

Una delle spiagge più famose dell’isola; bella eh, ma devo dire che a me ne sono piaciute di più altre. Ma qui dipende dai gusti, questa sicuramente si avvicina di più al concetto di spiaggia classico.

Yerakas

L’estremità apposta dell’isola: andandoci, per molti chilometri si ha l’impressione di essere finiti in mezzo al nulla, non si incontrano case ma solo, al massimo, qualche pastore col gregge che ti attraversa la strada.

Qui non ci sono bar e taverne ma solo un furgone-kantina gestito da due signori, che affittano anche qualche ombrellone.

Non sarà la spiaggia più bella dell’isola, ma è un posto molto tranquillo e suggestivo. Lungo la strada possibile fare una breve deviazione e andare a vedere un bacino artificiale in costruzione.

Megali Ammos

A dispetto del nome (ammos significa sabbia) è una spiaggia ciotolosa. Si raggiunge tramite uno sterrato e un breve sentiero. Al primo tentativo avevamo anche sbagliato strada, prendendo la direzione verso sinistra ad un bivio. Acqua cristallina e parecchi pesci. Un posto paesaggisticamente molto particolare, a tratti sembrava quasi di essere su un lago incastonato tra le montagne. In spiaggia eravamo in tutto in 5. Gli unici rumori: il canto dei gabbiani e il frinire delle cicale. Uno spettacolo!

Agii Anargiri

A dire il vero noi volevamo andare a Turkuneri, ma probabilmente abbiamo sbagliato qualcosa nei vari sterrati e siamo finiti in questa piccola caletta. Quando siamo arrivati c’erano solo due nudisti, ma siamo ben presto rimasti soli. Anche qui, come a Megali Ammos, sembrava un po’ di stare in un altro mondo. E c’era anche un tavolo per picnic ombreggiato. Un posto che consiglio vivamente, anche se lo sterrato per arrivarci è effettivamente abbastanza brutto da fare in scooter (noi stavamo quasi desistendo, abbiamo proseguito solo perché due ragazzi che abbiamo incrociato ci hanno detto che il pezzo peggiore era ormai passato).

Tsukalia

Una spiaggia abbastanza ampia ma un po’ anonima; quando ci siamo stati poi, probabilmente a causa della mareggiata del giorno precedente, c’era anche qualche rifiuto.

Gialia

Spiaggetta veramente bella raggiungibile da una deviazione della strada che conduce verso la Chora. Caratteristico il mulino a vento a lato della spiaggia. Acque trasparenti e parecchi pesci.

Megalos Mourtias

Spiaggia attrezzata con bar e taverne. Non è tra quelle che ci ha colpito di più, a mio avviso ad Alonissos c’è di meglio.

Vithisma

Spiaggia ufficiale per nudisti, non lontana da Marpunta (dove sorge, invece, il famoso villaggio della Settemari). Nei paraggi parte anche un sentiero che conduce a Megalos Mourtias.

GITE IN BARCA

Trovandomi in un parco marino non volevo farmi mancare almeno una gita in barca; tramite Albedo Travel abbiamo prenotato l’escursione definita proprio “Parco marino”: 45 euro comprensive di pranzo vegetariano e bevande, con partenza alle 10 e ritorno alle 18; la gita prevedeva una prima tappa bagno ad Agios Dimitrios; arrivo all’isolotto di Kyra Panagia e visita al monastero (gli unici abitanti dell’isola sono appunto i monaci) raggiungibile con una breve ma intensa scarpinata in salita sotto il sole; pranzo sulla barca e bagno nella baia di Kyra Panagia e, tornando, un’ultima tappa-bagno all’isola di Peristera.

Sulla barca saremo stati una 40ina, di diverse nazionalità (tra cui un gruppo di svedesi particolarmente molesto… chi l’avrebbe mai detto?!); l’anziano capitano era molto simpatico e ci ha è proprio fatto da guida, raccontandoci parecchi aneddoti. E’stata decisamente una bella giornata.

Mi resta solo il rimpianto di non aver visto la foca monaca: non che ci credessi davvero di avvistarla (non penso che i pochi esemplari che ci sono impazziscano all’idea di farsi vedere da un gruppo di turisti starnazzanti), ma la speranza è sempre l’ultima a morire.

Tra le altre gite in barca proposte segnalo il giro totale dell’isola, che abbiamo scartato per il prezzo a nostro avviso decisamente troppo alto (95 euro!) e l’escursione a Skopelos, a visitare le zone dove è stato girato Mamma Mia!: in questo caso il costo era di 65 euro, ma per sola mezza giornata (ma non ci interessava).

COSA ALTRO FARE O VEDERE

Ad Alonissos a farla da padrone sono mare e natura; non ci sono grandi siti archeologici come a Rodi o cittadine da cartolina come a Santorini. Tuttavia, qualcosa oltre alle calette c’è.

Old Village (Chora)

Il vecchio capoluogo dell’isola, distrutto da un terremoto nel 1965 e ricostruito in tempi recenti. Ora è un susseguirsi di negozietti (molti gestiti da Inglesi o Nordeuropei) e taverne, ma è decisamente un posto carino dove passeggiare.

Patitiri

La cittadina principale dell’isola, che ha preso il posto della Chora come capoluogo dopo il terremoto; non è certo un villaggio da cartolina ma c’è una bellissima atmosfera, il giusto compromesso tra località turistica e paesino del luogo. E poi c’è a disposizione tutto quello che può servire (tra le taverne consigliamo Ostria).

Rousoumi, Votsi, Steni Vala e Kalamakia

I piccoli villaggi lungo la costa, tutti caratterizzati da porticcioli, taverne sul mare e acqua bellissima.

Vista del tramonto dal Sunset

Un locale non lontano dalla Chora da cui godere di un bel tramonto sorseggiando un cocktail. Peccato solo per qualche traliccio e filo di troppo, ma la vista è comunque suggestiva.

Museo del folklore

Non lontanissimo dal porto di Patitiri c’è questo piccolo museo: un piano è dedicato al passato di Alonissos, l’altro alla storia e alla guerra più in generale. Non credo sia molto frequentato come museo e a mio avviso per quello che offre non è neanche così a buon mercato (4 euro) ma una visita si può fare.

MOm

Il simbolo del Parco Marino delle Sporadi è la foca monaca, che sulle isole di questo parco va a riprodursi. A Patitiri c’è il centro dedicato alla foca monaca e al Parco Marino, dove si possono leggere informazioni, comprare souvenir e soprattutto si può guardare un filmato (strappalacrime) sulle foche e sul centro di assistenza per le foche (che sorge a Steni Vala).

Omeopatia

Sull’isola è presente anche l’Accademia dell’Omeopatia; non so dire nulla in proposito perché, pur essendoci passati davanti più volte, non ci siamo mai entrati.

Sentieri

Sono indicati diversi sentieri; se siete appassionati sono in vendita anche cartine dei sentieri. Noi una mattina, approfittando del fatto che il tempo non si presentava proprio “da spiaggia”, abbiamo fatto la camminata da Patitiri alla Città Vecchia, sulla vecchia strada lastricata. Una passeggiata tranquilla che dura meno di un’ora, ma forse col sole e la classica giornata d’estate greca potrebbe essere un po’ più impegnativa.

 

L’isola è il tripudio dei sensi: i colori di mare e vegetazione; il canto di uccelli, grilli e cicale; i profumi intensi della macchia mediterranea. Chi ama la natura non può non innamorarsi di Alonissos.

Tutti i colori di Yellowstone

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Tutti i colori di Yellowstone

Il diario descrive sette giorni intensi di viaggio in due parchi nazionali del nord degli USA da annoverare tra i più belli al mondo: Grand Teton National Park e Yellowstone, tra avvistamenti di fauna selvatica, panorami stupendi, fenomeni naturali impetuosi e i loro sorprendenti colori. La parte finale del diario è dedicata alle strade panoramiche del nordest del Wyoming e del Montana, alcune delle quali sono una vera a propria sfida a cui gli amanti dei viaggi “on the road” non possono rinunciare.

Ho inserito delle interruzioni di pagina ogni tanto per non appesantire troppo i capitoli del diario.

 

Preparazione del viaggio  

Periodo: fine primavera, ultima settimana di maggio e inizio giugno.

Scelta del volo: destinazione Salt Lake City, ben servita da Delta via Parigi o Amsterdam. Possibile anche arrivare in aereo fino a Jackson o West Yellowstone, ma comporta uno scalo in più e orari difficili da combinare.

Auto a noleggio: 218 € per 8 giorni, con Alamo. Una Chevrolet Malibu spaziosa e affidabile.

Pernottamenti: 2 notti a Jackson in prossimità dell’ingresso sud del Grand Teton, 3 a West Yellowstone a un paio di km dall’ingresso ovest e 2 a Cody a 40 miglia dall’ingresso est. Scartata l’idea di dormire nei lodge all’interno del parco, un po’ perché i posti disponibili erano pochissimi, ma soprattutto perché i costi sono altissimi (a meno di 250-300 € per notte non si trova niente).

 

Da Salt Lake City a Jackson   

Arrivo a Salt Lake City alle 2 del pomeriggio. C’è tempo per ritirare la macchina e farsi con calma le 280 miglia (450 km) per raggiungere Jackson, attraversando la parte nord dello Utah per poi entrare nel Wyoming. La Chevrolet Malibu si rivela maneggevole, comoda e spaziosa senza essere eccessivamente grande, cosa che tornerà utile più avanti viste le restrizioni stradali molto probabili nella zona dei parchi. Più difficile abituarsi ai limiti di velocità delle strade americane, a volte esageratamente prudenziali in rapporto alla qualità delle strade, che sono grandi e in ottime condizioni, e al traffico non eccessivo. Guidare negli Stati Uniti non crea assolutamente problemi, anzi la difficoltà reale sta nel rispettare i limiti: 60 o 70 miglia fuori dai centri abitati, da 40 fino a 25 durante gli attraversamenti. E bisogna rispettarli: per esempio, se il limite è 60 miglia e vai a 63 dopo pochi km la polizia ti intercetta col radar e ti ferma per eccesso di velocità.  Il 10% di tolleranza qui non esiste.

Arrivo a Jackson in serata. Il Pony Express Motel è proprio alla periferia sud della città. Fa abbastanza freddo (2 °C), ma a parte la temperatura il tempo è buono e non ci sono avvisaglie di pioggia o di neve.

 

Jackson e Grand Teton National Park    

Jackson è una cittadina un po’ snob ma graziosa, dove un certo non so che di aristocratico si mescola con una piacevole atmosfera da far west. Sulla centrale Broadway Avenue, che è in pratica la US Highway 191, si affacciano bar, ristoranti, motel, negozi di souvenir e di articoli per la pesca a mosca, tutti rigorosamente in legno. Orsi e alci impagliate si sprecano. I negozi di T-shirt espongono magliette con la caricatura di Donald Trump con ciuffo biondo al vento e la scritta “we shall overcomb”, cioè… noi ci strapettineremo, invece di “overcome”, cioè “andremo oltre”. Colazione da DOG Down on Glen, in Glenwood Street, attirato dall’insegna “homemade scones”. Ne prendo due, uno al lampone e uno al mirtillo. Sono eccellenti e soprattutto saranno tre etti l’uno, al punto che verranno buoni anche per la colazione del giorno dopo.

All’uscita da Jackson imbocco la N 89 (continuazione della US 191) che sale verso il massiccio dei Teton. Molte delle attrattive si incontrano lungo la strada ancora prima di entrare nel Grand Teton National Park. Prima deviazione verso Antelope Road e Mormon Row, alla ricerca della case coloniche mormoni viste nelle foto durante la preparazione del viaggio. La Moulton barn, con i Teton incappucciati sullo sfondo, è la prima immagine da immortalare: pare che sia uno dei punti più fotografati d’America. Lo scenario è splendido, grazie anche a una corona di nuvole che staziona a mezza altezza tra la piana fluviale e le vette innevate. E’ tra le foto allegate al diario. La costruzione rimasta in piedi è ciò che rimane della fattoria con fienile costruita dai coloni John e Thomas Alma Moulton tra il 1910 e il 1940. Fotografi di tutto il mondo si fermano davanti al fienile per catturarne l’immagine con i Teton in background.

Da qui, proseguendo lungo la strada, ci sono molti altri viewpoints: Sleeping Indian Overlook, Glacier View turnout, Schwabacher’s Landing dove spesso vengono le alci all’abbeverata, Teton point grandiosa visione d’insieme sulle alte vette del massiccio, Snake River Overlook, Elk Fats turnout.

Dopo una quindicina di miglia, appare il cartello che indica la deviazione verso l’ingresso del parco, gate di Moran. Faccio il biglietto cumulativo Teton + Yellowstone, 50 dollari, validità una settimana. Dall’entrata di Moran si sale verso la zona dei laghi, mentre le 12 vette innevate del Teton Range, che si elevano fino a 4200 metri d’altezza, ti guardano dall’alto della loro imponenza. Grazie alla giornata tersa e limpida sembrano tanto vicine da poterle toccare. Per inciso, Grand Teton significa proprio “grandi tette”: è un toponimo attribuito al massiccio dai coloni francocanadesi che si stabilirono in quest’area delle Rocky Mountains attorno al 1800 per conto della Compagnia del Nord-Ovest.

Dall’entrata di Moran, costeggiando lo Snake River sempre lungo la N 89 che qui si chiama John Rockefeller Parkway, ci sono molti altri bellissimi scorci: Oxbow Bend, una spettacolare ansa lungo lo Snake River che viene solo dopo le barns mormoni come punto più fotografato del parco – il grande lago Jackson Lake e il delizioso Jenny Lake dentro le cui acque si specchiano le vette del Teton Range – la tortuosa strada che sale verso Signal Mountain con un eccezionale punto di osservazione a circa 2300 metri d’altitudine  – Willow Flats overlook, mezzo miglio a sud del Jackson Lake Lodge, con vista sulla prateria di Willow Flats.

All’altezza di Colter Bay c’è un grande assembramento di macchine ferme lungo la strada, ranger in frenetica agitazione, un grande segnale luminoso “Caution wildlife” e una siepe di gente armata di teleobiettivi e binocoli che si spintona lungo la strada per riuscire a trovare la migliore inquadratura: oggetto del desiderio fotografico sono un’orsa con due piccoli che trotterellano lentamente sul limitare del bosco tra gli abeti e le betulle. L’orsa volge ogni tanto lo sguardo verso la platea di gente che la osserva, ma non sembra particolarmente infastidita da tanta attenzione. A un certo punto però, con grande disappunto degli astanti il trio si infila nel bosco e scompare alla vista. Scambi di indirizzi mail tra le amicizie nate per l’occasione: “tu mandami il filmato che io ti giro le mie foto fatte col 600 mm”, etc. etc.

I paesaggi del Teton, che ho avuto la fortuna di vedere col sole, non si dimenticano facilmente. Consiglio assolutamente di dedicare almeno un giorno alla visita di questo parco prima di dirigersi verso Yellowstone.

Ritorno a Jackson in serata. Clint, il gentilissimo titolare del motel, mi consiglia la vicina steakhouse di Gun Barrel per la cena. L’enorme bisonte imbalsamato che sta proprio all’entrata (obiettivamente un po’ kitsch) invoglia a chiedere una bistecca di bisonte per la cena: si rivela ottima e tenera, annaffiata con l’eccellente birra Cold Smoke, una red ale prodotta nel Montana, e con accompagnamento di tre o quattro salse come usano fare gli americani. 

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