Ushuaia – 21 dicembre
Ushuaia, Terra del Fuoco, “fin del mundo”. Più in giù di questa città della Patagonia argentina, la più meridionale del mondo, c’è il mitico Capo Horn, poi il passaggio di Drake e finalmente l’Antartide.
Comincia qui il viaggio della vita, quello che da anni avevo in mente di fare ma che ho sempre rimandato. Destinazione Antartide. L’anagrafe ha imposto una decisione: ora o mai più. L’eccitazione è a livelli altissimi, così come altissime sono la curiosità e l’aspettativa che mi porto dentro, il tutto corredato da un po’ di inquietudine per tutto quello che potrà succedere. Come preparazione al viaggio ho letto libri, visto documentari, rispolverato vecchi CD, ma quando sei qui chissà perché ti prende un senso di incertezza di fronte ai misteri, alle condizioni estreme, ai rischi del viaggio che stai per affrontare.
Come da suggerimenti della compagnia organizzatrice, arrivo a Ushuaia un giorno e mezzo prima della partenza della crociera, per tamponare eventuali problemi (ritardi, scioperi aerei, smarrimento del bagaglio). Fortunatamente è filato tutto liscio.
Siamo vicini a Natale, ma di segnali natalizi a Ushuaia proprio non se ne vedono, salvo qualche raro albero con luminarie e palloncini nelle vetrine. Poca gente per la strada, chissà dove sono i circa 60.000 fueghini. I giardini della città invece sono pieni di lupini colorati e di grandi papaveri dai colori sgargianti, che risaltano ancora di più perché c’è il sole e non fa affatto freddo. Due ragazzi approfittano del sole per provare passi di tango sul
lungomare. In centro girano i bus azzurri a due piani che offrono il city tour, che viene proposto anche dai veicoli a forma di vagoncino del treno carcerario, con tanto di bigliettai in tuta a strisce gialle e azzurre da galeotto a ricordare che per lungo tempo questa è stata una lontana colonia penale.
Con l’autista che è venuto a prendermi all’aeroporto concordo una visita al Parque Nacional Tierra del Fuego, lungo la Ruta 3 che in sostanza è l’estremo prolungamento della mitica Ruta 40 che attraversa l’Argentina da Nord a Sud. A Bahia Lapataia la strada finisce e un grande cartello attesta inequivocabilmente che “aquì finaliza la carretera màs sureña del mundo”. Nell’ufficio postale del parco, ovviamente “Unidad Postal del Fin del Mundo” è doveroso farsi timbrare il passaporto, da mostrare poi con orgoglio a conoscenti e amici.
Alla sera cena a base di “ceviche de puta madre” (pesce del giorno marinato con lime e peperoncino) al piccolo ristorante Volver sul lungomare, probabilmente il migliore di Ushuaia per il pesce. Ho rinunciato alla centolla, il famoso granchio dalle 8 chele, che è in via di estinzione. Ormai lo pescano sempre più lontano perché lungo le insenature della costa non ce n’è più.
Arriva il 22 dicembre, giorno della partenza che è fissata per le 4 del pomeriggio. E’ una bella giornata, c’è il sole e poco vento. Al mattino, dopo avere depositato i bagagli al collect point di Oceanwide sul lungomare, c’è tempo per fare l’escursione di 4 ore sul Canal Beagle, il lungo braccio di mare che unisce l’Oceano Pacifico e l’Oceano Atlantico separando la Terra del Fuoco dalla terraferma. Se avete tempo, non perdetelo questo tour, che costa poco e vale veramente la pena. Il piccolo cabinato Kams lambisce le isolette e gli scogli sparsi nel canale (Isla de los Pajaros, Isla de los Lobos, Isla
Despard), arrivando quasi a toccarli. Da non più di 3 metri di distanza si vedono otarie, cormorani imperiali e i rock shags, cormorani dagli occhi rossi meno comuni dei precedenti. La colonia più numerosa staziona attorno al grande faro bianco e rosso sull’isola L’éclaireurs. Le coppie appollaiate sulla scogliera sono migliaia e migliaia. Le nere acque del canale devono essere ricchissime di pesce, per nutrire tutti questi uccelli e i pinnipedi che oziano sulle rocce. Facciamo anche un approdo sull’isola Bridges per una passeggiata tra i licheni e gli arbusti e per ammirare il panorama delle coste dal mare, sia sul lato argentino che su quello cileno.
22 dicembre: si parte!
Al molo ecco la Plancius, che riconosco subito per un precedente viaggio alle Svalbard. La rassicurante sagoma blu della nave infonde tranquillità e sicurezza e scaccia via un po’ dell’apprensione che sento dentro.
Stanno caricando viveri e carburante. Ma alle 3 e mezza, al momento di iniziare il check-in, raffiche di blizzard a 90 all’ora scendono giù dalle montagne di Ushuaia, a ricordarci che ci troviamo in zone estreme del mondo dove le condizioni metereologiche possono cambiare drasticamente nel giro di pochi minuti. Per un’ora il molo è flagellato da un vento tipo bora di Trieste, costringendo noi viaggiatori in attesa a ripararci dietro i piloni lungo il molo. Poi, all’improvviso, il vento cala e torna il sole. Niente male come premessa.
Finalmente può iniziare il check-in. A bordo hanno già caricato i bagagli e nella cabina c’è anche il parka giallo antivento che avevo prenotato via internet. Controllo con entusiasmo quella che sarà una nuova casa per i prossimi giorni. Il mio compagno di cabina è Zheng Xia, cinese di Shanghai, giovane studente di economia alla Columbia University di New York. Come tutti i cinesi, si è scelto un nome occidentale e si fa chiamare John.
Alle 5 e mezza siamo convocati al Lounge Bar da Lynn Woodworth, il nostro Expedition Leader. Si è presentata, ci ha accolto a bordo, poi ci ha mostrato un importante video con le informazioni di sicurezza su cosa fare in caso di emergenza in mare. Ci fanno sentire il segnale di allarme, sette brevi suoni seguiti da uno più lungo e intenso, poi ci mostrano le pilotine di salvataggio, scialuppe arancione da 60 posti su cui ovviamente ci si augura di non dovere salire mai. Safety briefing e safety drill, gli incontri obbligatori sulla sicurezza, devono essere tenuti prima che raggiungiamo il mare aperto. Poi cocktail di benvenuto con il capitano Artur Iakovlev, marinaio russo esperto di navigazione nell’Artide e nell’Antartide, presentazione dello staff e cena.
A causa della tempesta di vento la partenza è rinviata alle 9, quando finalmente la capitaneria di porto di Ushuaia concede l’autorizzazione a salpare. Bisognerebbe anche andare a dormire, ma la curiosità pervade tutti i passeggeri, così approfittando del fatto che c’è luce fin dopo le 10, siamo tutti fuori sul ponte ad ammirare i panorami del lungo canale che unisce due oceani, gli uccelli che cominciano a svolazzare attorno alla nave, le foche sugli isolotti. Passiamo davanti a Puerto Williams, l’ultimo centro abitato sul canale, che si trova sull’isola di Navarino in territorio cileno, poi è ora di andare a dormire. Domani ci sveglieremo in mare aperto, mentre la Plancius dirige verso il mare aperto.
Nella lista dei presenti scopro che ci sono altri italiani: Emanuela e Gino, coniugi di Altivole (TV), Daniele avvocato di Casalpusterlengo e la famiglia Kompatscher di Bolzano. Durante il viaggio faremo conoscenza con Rogerio e Vera, carioca di Rio de Janeiro, e con le señoras Margarita e Carmen, spagnole dei paesi baschi, con cui costituiremo il gruppo dei “latinos” in mezzo a viaggiatori di altre 16 nazionalità (in maggioranza tedeschi, olandesi, inglesi e cinesi).
Il viaggio per raggiungere l’Antartide toccherà anche gli arcipelaghi che sorgono tra Atlantico e Pacifico nello stretto di Drake: Falkland, Georgia del Sud, Orcadi Meridionali, Shetland Meridionali. Questa parte del viaggio la descrivo in un altro diario e per questo qui c’è un “salto” di una decina di giorni.
La convergenza antartica
Nel giorno di Santo Stefano, mentre un arcobaleno perpendicolare all’orizzonte sale dalle acque verso il cielo, fenomeno che non avevo mai visto prima, attraversiamo la convergenza antartica. E’ la linea immaginaria dove le acque fredde dell’Antartide incontrano quelle appena più calde dell’oceano, portando verso nord plancton e krill. A occhio nudo non si percepiscono differenze. Gli strumenti invece rilevano il calo di temperatura del mare (3-4 gradi in meno) e l’attività degli uccelli in superficie si fa più frenetica.
Mare di Weddell e Antartide
La navigazione dall’arcipelago delle Orcadi Meridionali alla penisola antartica, attraverso il mare di Weddell è lunga e emozionante. La Plancius slalomeggia tra infiniti iceberg tabulari. Megattere e altre specie di balene, probabilmente fin whales, evoluiscono vicino alla nave e in lontananza. I blocchi di ghiaccio galleggianti sono affollati da pinguini (gentoo e Adelia) che si lasciano trasportare dolcemente dalla corrente tuffandosi ogni tanto alla ricerca del krill. Altri invece con grandi balzi fuori dall’acqua stanno tornando verso la colonia dove probabilmente li aspettano la compagna e i pulcini affamati, ai quali rigurgiteranno una parte del cibo ingerito. La luce del mattino colora di rosa il cielo e fa splendere i panorami che scorrono davanti agli occhi, accentuando il contrasto tra il candore del ghiaccio e l’acqua turchese. Semplicemente stupendo.
L’accesso all’Antartide è soggetto a molte misure di tutela per la salvaguardia dell’ecosistema. Dobbiamo fare il “Biosecurity Vacuuming”, cioè la pulizia e l’aspirazione degli indumenti e dell’equipaggiamento che si intendono portare durante gli sbarchi, con l’obiettivo di prevenire l’introduzione anche involontaria di larve, batteri e ogni genere di specie potenzialmente invasiva.
Nel pomeriggio entriamo nel Bransfield Strait passando accanto all’isola D’Urville, propaggine della penisola antartica, con mare praticamente piatto.
Alla sera il cielo è quasi sereno: si profilano un tramonto e un’alba eccezionali.
Paulet Island
4 gennaio. La giornata inizia prestissimo per i più mattinieri. Una splendida alba alle 2.52 del mattino trafigge la nebbia e le nuvole. Levataccia, ma ne valeva davvero la pena. E’ una di quelle albe da cartolina che tingono di rosa il cielo e le vette delle montagne, quelle che prima di partire pensi “non le vedrò mai dal vivo, le mettono sui dépliant solo per invogliarti al viaggio”. Invece siamo qui ad assistere allo spettacolo del sole che sorge dalle acque e si fa strada tra gli iceberg, mentre la luce passa da rosa a arancione a giallo intenso. Mentre il sole spunta da dietro le montagne innevate, due ragazzi si baciano sul pulpito di prua della nave. Applausi scroscianti della ventina di nottambuli che hanno rinunciato al sonno per vedere la spettacolare alba antartica.
Primo sbarco antartico sulla piccola Paulet Island, che geograficamente fa parte della Terra di Graham. Su questa isola trovarono rifugio, a distanza di pochi anni, sia i naufraghi della spedizione Nordenskjöld-Larsen, sia l’equipaggio di Ernest Shackleton dopo il collassamento dell’Endurance con cui speravano di raggiungere la costa antartica.
Sulla spiaggia una foltissima colonia di pinguini di Adelia ci accoglie tra frastuoni e schiamazzi. Saranno almeno 100.000 coppie. Al rumore si accompagna un olezzo maleodorante dovuto all’accumulo di deiezioni dei pinguini sparse dappertutto (depositi che sono rosa perché i pinguini si nutrono di krill).
La puzza purtroppo si attacca agli indumenti e ce la porteremo addosso anche in cabina, dove solo con l’aiuto degli addetti alle pulizie e alla lavanderia della Plancius riusciremo a eliminarla.
Assistiamo a scenette comiche di gruppetti di pinguini che si spostano dietro a un leader occasionale incerti sul da farsi: mi butto io, no ti butti tu, no proviamo da un altro scoglio… fino a quando uno rompe gli indugi e si tuffa tra i ghiacci, e allora alé, tutti dentro dietro il precursore.
Sopra la colonia volteggiano varie specie di uccelli che l’esperto Fritz Hertel ci presenterà sulla nave. Ci sono white petrels (ossifraghe bianche), snowy sheatbills (chioni bianchi), Wilson storm petrels (uccelli delle tempeste), cormorani imperiali, fulmari del sud. Una enorme procellaria gigante, la più grande che abbiamo visto finora, sorvola più volte la battigia e la scogliera dove ci sono i nidi, alla ricerca di uova, placente o pulcini di pinguino abbandonati dai genitori e quindi facili da predare.
Al ritorno con lo zodiac facciamo una breve ma entusiasmante crociera tra gli iceberg e la banchisa dove altri pinguini e le foche di Weddell si godono il bel tempo saltando dentro e fuori dall’acqua blu brillante. Alcuni si tuffano alla ricerca del krill, mentre altri che hanno finito di rimpinzarsi guizzano fuori dall’acqua come spinti da una molla e tornano sul ghiaccio. Riesco a scattare una foto proprio a un pinguino che schizza fuori dall’acqua turchese e si proietta su un iceberg alto un metro e mezzo. E’ un momento difficilissimo da cogliere, perché l’attimo in cui il pinguino emerge dall’acqua è assolutamente imprevedibile. Questa foto un po’ fortunata vince il foto-contest della Plancius. Premio… un certificato di adozione di un pinguino del Falkland Conservation Institute.
Nel pomeriggio era previsto lo sbarco sulla terraferma antartica a Brown Bluff, ma un repentino passaggio dal sole del mattino a nuvole e pioggia rovina il programma. Alla sera cadono anche fiocchi di neve.
Sbarco sul continente Antartico: Portal Point
5 gennaio. Dopo una notte di navigazione verso sud nel nevischio e nella nebbia, ci risvegliamo a Charlotte Bay, una baia della terra di Graham nella penisola antartica dove confluiscono ben 5 ghiacciai: Nobile, Bozhinov, Krebs, Wellman e Renard. I paesaggi dell’Antartide hanno una grandiosità e una luminosità che incantano, anche quando il cielo è nuvoloso come oggi.
Lo sbarco sul sesto continente avviene a Portal Point, una baia penguin-free scelta apposta per permettere a una quindicina di temerari (o pazzi scatenati?) di fare il bagno (“polar plunge”) nelle
gelide acque antartiche, per di più alle 8 e mezza di mattina. Temperatura esterna 4 °C, temperatura dell’acqua 1.8 °C. Per fortuna l’organizzazione ha portato un saccone di salviette, per asciugare immediatamente i bagnanti, consentendogli di rivestirsi in fretta e ritornare a bordo della nave a scaldarsi senza rischiare la polmonite.
La baia è molto bella, con iceberg fluttuanti in due insenature e cuffie di neve sulle montagne che fanno da contorno. Per ammirare il panorama saliamo su una collinetta, tra tragicomici affondamenti nella neve fresca caduta nella notte
Come gruppo italiano festeggiamo l’approdo sulla terraferma antartica con una bella foto ricordo con tanto di tricolore spiegato, tra gli sguardi perplessi dei compagni di viaggio.
Portal Point è il punto più a sud del nostro viaggio: 64° 30’ di latitudine sud.
Cierva Cove
Nel pomeriggio, mentre il sole che è uscito dalle nuvole rende ancora più belli i maestosi paesaggi di queste terre, facciamo una zodiac cruise nell’insenatura di Cierva Cove, nella Hughes Bay.
La crociera sullo zodiac è piena di sorprese e di emozioni. Si comincia con due avvistamenti di foche leopardo appollaiate su lastroni di ghiaccio. Preghiere da parte di tutti: apri la bocca per favore… La speranza è quella di vedere gli aguzzi denti triangolari di queste foche carnivore, che si nutrono di pinguini e piccole foche, ma le nostre sonnecchiano pacifiche e gli unici movimenti che fanno sono un leggero sollevamento della testa e delle pinne. Una addirittura muove appena la testa quando due pinguini gentoo le saltano davanti a pochi metri di distanza, sprezzanti del pericolo. Indolente!
A seguire, ci avviciniamo alla base argentina Primavera che sta sulla scogliera nord, osservando l’andirivieni di pinguini gentoo e chinstrap (finalmente vediamo un bel gruppo anche di questi). Ormai siamo esperti e riusciamo a riconoscere il tipo di pinguino anche da lontano…
Mentre siamo lì a fotografare i pinguini notiamo un forte movimento ondoso a un centinaio di metri di distanza. Uno sbuffo violento di acqua nebulizzata toglie ogni dubbio: è una balena che si aggira tra gli iceberg. Inseguimento immediato del cetaceo, che per un po’ gioca a nascondino con noi, poi finalmente si lascia raggiungere. E’ una bellissima minke whale di 10-12 metri, la specie più piccola tra tutte le balene, che si mette in posa esibendo la testa fuori dall’acqua. Almeno un paio di volte si diverte a passare sotto lo zodiac, provocando il panico nel gruppo, perché è chiaro che con una codata ci farebbe ribaltare tutti in acqua. Ma la nostra simpatica minke ha altro per la testa. Probabilmente è indaffarata a cercare del krill e si allontana scomparendo dietro un grande iceberg azzurro.
Proprio gli iceberg azzurri sono quelli che adesso ci appaiono in tutta la loro bellezza. Ne circumnavighiamo uno in cui l’acqua ha scavato archi e cunicoli, cercando un’inquadratura che consenta di vedere la Plancius attraverso l’arco più grande. Attorno ci sono anche alcune foche crabeater, che vorrebbe dire “mangiatrici di granchi”, anche se in realtà i granchi non fanno affatto parte della loro dieta. Il nome va riferito ai crostacei di cui si nutrono, soprattutto gamberetti.
Una zodiac cruise meravigliosa, che desideravamo non finisse mai. Tutti riluttanti a tornare alla nave, dove però ci accolgono con un bel bicchiere di cioccolata calda rinforzata con rhum. Tra straordinari paesaggi dell’Antartide che si susseguono uno dopo l’altro, la nave a poco a poco si allontana puntando verso nord. Nella notte lasceremo il continente antartico. E’ previsto l’attraversamento dello stretto di Bransfield per raggiungere le Shetland meridionali e da lì il continente.
Ritorno a Ushuaia
Come tutte le cose belle, anche questo viaggio ai confini del mondo sta per finire. Inizia il temutissimo attraversamento del Drake Passage. Tutti vanno a prendere la xamamina, il travelgum e i cerotti che rilasciano scopolamina.
Ma il barometro che c’è nella sala di lettura segna 1002 mbar: una pressione così alta raramente si registra da queste parti. I due giorni e mezzo di viaggio per arrivare a Ushuaia filano via lisci come l’olio. Una bella fortuna, perché i membri dello staff ci raccontano che durante la traversata precedente c’erano onde di 9 metri che spazzavano il ponte, e stavano male quasi tutti. Adesso invece persino gli albatros, che ci eravamo abituati a vedere attorno alla Plancius nei giorni di navigazione, sono riluttanti a seguirci, perché a causa della mancanza di vento dovrebbero spendere troppe energie per volare attorno alla nave.
Arriviamo a Ushuaia nelle prime ore della notte del 9 gennaio. Per l’ultima volta sentiamo l’annuncio bon appetit my favourite friends che ci invita alla colazione. Fuori è già pronto il pullman per il transfer all’aeroporto.
Si torna a casa con gli occhi pieni di immagini, la mente piena di ricordi, la sensazione di avere vissuto un sogno ad occhi aperti. Racconteremo ad amici, parenti e nipotini l’esistenza di un mondo lontano e incontaminato dove la natura è padrona assoluta, descriveremo come è la luce quando non è attenuata dall’inquinamento luminoso, parleremo di animali abituati a vivere in condizioni estreme, racconteremo i momenti drammatici che per esigenze di sopravvivenza vanno in scena ogni giorno. Tanti filmini e tante foto per mostrare la bellezza di questo mondo quando l’uomo lo rispetta, lo osserva e lo studia ma non interviene per cambiarne le caratteristiche e sfruttarne le risorse. Sapere che ci sono posti così ci aiuta a vivere.
Riepilogo
Miglia nautiche navigate: 3566 (6604 kilometri)
Temperatura: generalmente sopra 0 °C. Minima -2 °C un paio di notti, massime attorno a 8 °C.
Volo A/R Milano-Buenos Aires: 1060 €, con Ethiopian Airllnes
Volo A/R Buenos Aires-Ushuaia: 280 €, con LATAM
Transfer aeroporto Ezeiza-Aeroparque: 11 €, con bus di Tienda Leon
Pernottamento a Ushuaia: Apartamientos La Vela, 65 €/notte
Ristoranti a Ushuaia: Volver per il pesce, Casimiro per la carne e in particolare per il cordero magallanico.
Costo del viaggio: tantissimo, troppo
Animali visti: di tutto
Balene: una cinquantina (megattere, fin whales, sei whales, minke whales)
Pinguini: mezzo milione o forse più (200.000 solo a Paulet Island), di 7 specie diverse: magellanici, gentoo, rockhopper, king, macaroni, di Adelia, chinstrap. Visto anche un giovane pinguino imperatore su un lastrone di ghiaccio.
Altri uccelli: anatre delle Falkland, cauquenes, albatros, procellarie, sterne, fulmari, gabbiani, ossifraghe, beccacce di mare, chioni, skua, cormorani, caracara, prioni, oystercatchers, wilson storm petrels.
Elefanti di mare: qualche centinaio.
Foche: migliaia. In prevalenza fur seals (otarie orsine), 3 foche leopardo, una decina di foche di Weddell, una decina di crabeater seals.
Ringraziamenti
Grazie ai compagni di viaggio, allo staff di Oceanwide e a chi ha letto il diario e ha avuto la costanza di arrivare fino a qui.
Luigi
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