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Channel: Diari di viaggio – Il Giramondo
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Yucatan parte 1: on the road sulle tracce dei Maya

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E’ un freddo pomeriggio di fine ottobre quando, parlando con mia mamma, decidiamo di festeggiare la sua imminente pensione con un viaggio. Lei è una grande appassionata della civiltà maya (ma solo tramite libri e mostre) e la scelta della meta cade inevitabilmente sul Messico: Chichen Itza è un sogno che va realizzato al più presto! Considerando che al viaggio si uniranno mio papà, mio marito e nostra figlia Alice (2 anni), decidiamo di abbozzare un’idea di viaggio che possa soddisfare le esigenze di tutti, finendo per scegliere qualche giorno di on the road e altrettanti di relax in Riviera Maya, così da poter visitare più siti archeologici possibili e con i nostri tempi (chi viaggia con i bimbi piccoli sa quanto i tempi si dilatino). I timori sulla fattibilità di girare la penisola dello Yucatan in self drive si dissolvono parlando con chi ha già vissuto la stessa esperienza: gli stati dello Yucatan e del Quintana Roo sono molto turistici, sicuri e facili da girare autonomamente. American Airlines ci viene incontro con ottime tariffe da Malpensa a Cancún via Stati Uniti: da prendere al volo!

25 febbraio

Sono le 7 di mattina quando arriviamo all’aeroporto di Malpensa sotto i primi fiocchi di neve. E’ il primo intercontinentale di Alice e ho molti timori ma anche una busy bag di libretti, sticker, giochi e il tablet con cartoni animati. Intanto la nevicata si fa più intensa e noi rimaniamo un’ora in pista per le operazioni di de-icing. Il volo procede tranquillo, la bimba rimane incredibilmente ferma al suo posto o tra le braccia dei nonni. Dopo uno scalo a Miami, alle 22 locali arriviamo finalmente a Cancún. All’uscita dell’aeroporto troviamo l’ufficio cambi e il banco dei noleggi auto, tra cui Thrifty con cui avevamo prenotato un minivan per stare comodi nonostante il seggiolino (fornito da loro) e con un grande bagagliaio per il passeggino e le valige (che vogliamo tenere nascoste alla vista altrui). Una navetta ci porta alla loro sede dove ci assegnano un ottimo Dodge Gran Caravan 7 posti cambio automatico di colore bianco. La prima destinazione è il vicino Comfort Inn Cancún Airport, dove crolliamo stanchissimi nelle nostre camere.

26 febbraio

E’ ora di cominciare questo on the road! Ci immettiamo nell’autopista Cancún-Valladolid; il pedaggio (cuota) è alto (305 M$) e pagabile solo in pesos, ma preferiamo la sicurezza e la velocità dell’autostrada alla strada libera ma a bassa velocità, con più traffico e probabilmente più controlli della “famigerata” polizia messicana. Le carreggiate sono separate dalla vegetazione, la strada è larga e in ottime condizioni, non si incontrano molti veicoli, guidare qui è proprio semplice. Solo il panorama si rivelerà monotono: la stessa identica vegetazione a destra e a sinistra in tutto lo stato dello Yucatan. Arrivati a Valladolid prendiamo la carretera in direzione Rio Lagartos e ci accorgiamo che i nostri cellulari sono andati indietro di un’ora: abbiamo cambiato fuso orario e non ce l’aspettavamo. Meglio così, arriveremo “prima” alla nostra meta!

La prima sosta è il pueblo maya di Ek Balam, un piccolo villaggio dove Alice viene subito attorniata dai bambini  e io, da buona logorroica amante dello spagnolo, inizio a chiacchierare con le mamme che mi mostrano le loro meravigliose amache dai mille colori.

Dopo questa piacevole chiacchierata, nonché prima esperienza di Alice con bambini di altra etnia, ci dirigiamo al vicino omonimo sito archeologico. Ek Balam (“giaguaro nero”) non rientra nei circuiti del turismo di massa: è stata scoperta solo negli anni ’90 ed è ancora immersa nella giungla. Considerando che era un importante centro politico si prevede ancora molto da scoprire. All’ingresso veniamo assaliti dalle guide che propongono i loro servizi anche in italiano, ma per questo primo e piccolo sito decidiamo di andare alla scoperta in autonomia. Alice è già in prima fila e ci precede a gran passo: capisco subito che il passeggino non servirà a niente. Entriamo nella città superando la ormai bassa cinta muraria, passeggiamo tra palazzi e templi, fino ad arrivare alla prima piramide dove è permesso salire. Pensavo di restare alla base con mia figlia ma lei, testarda, decide di volerla scalare. Saliamo piano piano, mano nella mano, e finalmente arriviamo in cima sotto gli occhi increduli degli altri visitatori. Ma il pezzo forte di Ek Balam è l’Acropolis, una piramide molto più alta e questa volta la bimba rimarrà giù: gli scalini sono molto ripidi e anche agli adulti la salita può provocare vertigini.

L’Acropoli conserva la tomba di un re maya: la porta sono le fauci spalancate di un giaguaro.

La visita del sito è finita e così ritorniamo al parcheggio. Lasciamo una mancia al ragazzo che si era presentato come “custode” e ritornando in direzione Valladolid andiamo alla ricerca di un posto dove pranzare. La scelta cade su un ristorantino con veranda nel piccolo paesino di Temozón. I proprietari ci accolgono con le sfiziosità della casa: tortillas, nachos e la gustosa salsa yucateca con pomodori e lime (che poi troveremo ovunque) sono il nostro primo approccio al cibo messicano. I miei timori di cibi ultrapiccanti e immangiabili svaniscono: non tutte le salse sono piccanti e il pollo maya preso per me e Alice è veramente delizioso.

La prossima tappa è la meravigliosa Hacienda Chichen Resort, un hotel attiguo al sito di Chichen Itza. Il proprietario ci accoglie con un buonissimo cocktail a base di chaya (una pianta locale) e tramite lui prenotiamo una guida per la mattina seguente. Rimaniamo a bocca aperta dalla bellezza di questa struttura, in stile coloniale con una maniacale attenzione ai dettagli, dove tutti i dipendenti sono di etnia maya. Le camere sono dislocate in cottage immersi nella vegetazione, tra pappagalli, iguane e coloratissimi fiori.

Passiamo il pomeriggio in piscina, e vedere mia figlia tuffarsi tutta contenta con i suoi braccioli nuovi mi ripaga dalla decisione di aver tagliato la zona a nord di Ek Balam a favore di una giornata per lei meno stancante e più piacevole. La sera decidiamo per comodità di mangiare al ristorante dell’hacienda. I prezzi sono alti ma la qualità è eccelsa: solo materie prime biologiche a km 0 e ricette di tradizione maya. Io provo una sopa de lima (zuppa di lime), accompagnata ovviamente da nachos, tortillas e altre sfiziosità.

27 febbraio

Dopo un’ottima colazione à la carte ci incontriamo con Diego, la nostra guida in italiano per Chichen Itza. Ci consegna i biglietti (M$ 254) e un pass per poter usufruire dell’accesso privato al sito. Ci incamminiamo mentre Diego ci racconta alcune curiosità dell’hacienda e in un paio di minuti di sentiero nella giungla arriviamo al cancello del confine. Non siamo ancora entrati a Chichen Itza che già ci imbattiamo nelle prime rovine, visibili quindi solo ai clienti dell’hotel. Entriamo nel sito accanto alla Casa de las Monjas (cioè delle monache, nome ovviamente dato dagli europei), quindi saltando tutte le lunghe code all’ingresso ufficiale. La guida spiega la storia della città mentre Alice salta a destra e sinistra da un’iguana all’altra (ce ne sono tantissime), e capisco che seguire sia la guida che lei sarà molto difficile…

L’emozione ci pervade: non è da tutti i giorni essere in una delle 7 meraviglie del mondo moderno! Il sito è molto esteso, circa 3 km², con molte cose da vedere; ci soffermiamo soprattutto sul Caracol, l’osservatorio astronomico, e il grande campo di pelota, un gioco a metà tra calcio e basket molto importante per i maya tanto che alcune volte le partite terminavano con sacrifici umani (non è ancora chiarito se riguardassero i vincitori o i perdenti). Sulle mura laterali troviamo infatti crude scene di decapitazioni. L’edificio più famoso è però El Castillo, o Piramide di Kukulkan. Kukulkan era il serpente piumato adorato dai maya, un animale a metà tra uccello e serpente.

L’emozione di essere lì davanti è indescrivibile: abbiamo il sentore di trovarci in un posto magico avvolti da una speciale aura. Queste sensazioni vengono confermate quando Diego ci spiega che durante l’equinozio Kukulkan scende sulla terra: un gioco di ombre sulla piramide che richiama ogni anno migliaia di visitatori. Le conoscenze dei maya erano veramente immense, non riusciamo a concepire come senza cavalli e senza particolari attrezzi abbiano potuto costruire questo gioiello dell’architettura. Un altro dettaglio che ci lascia a bocca aperta è che se in un punto specifico davanti al lato principale si battono le mani si sente il rumore di un uccello! E’ la cosiddetta “voce della piramide”, un verso simile a quello del gabbiano che si presuppone fosse inteso come il verso del serpente piumato, probabilmente un sistema dei sacerdoti per dimostrare al popolo che avevano il potere di chiamare un dio.

Vicino alla piramide si trova il Tempio dei Guerrieri, con in cima un chac-mool. Sugli edifici di Chichen Itza non si può salire da una decina di anni, da quando un incidente mortale ne ha sentenziato la pericolosità. La guida ci saluta, sono passate ormai 2 ore ma per noi il tempo è veramente volato. Ci dedichiamo a un po’ di shopping nelle numerosissime bancarelle che forse tolgono un po’ di magia ma che sono un prezioso sostentamento per queste popolazioni (per lavorare dentro Chichen Itza bisogna essere di discendenza maya). Dopo una pausa rinfrescante al bar (sì, c’è anche quello all’interno del sito) ritorniamo sul sentiero della nostra hacienda. Purtroppo è già tempo di check out. E di pranzo. Ci fermiamo in uno dei ristoranti nei dintorni, il Pueblo Maya, un grande locale a buffet a prezzo fisso dove la bimba non paga (perché non sanno quanto mangia…): buon rapporto prezzo/qualità e cibo sia messicano che internazionale dagli antipasti ai dolci con musica dal vivo.

Ci rimettiamo in macchina alla volta di Merida, la capitale dello Yucatan, imboccando quasi subito l’autostrada (M$ 101). Provenendo dalla tranquillità dell’autopista quasi deserta, l’ingresso in città è scioccante. Il traffico è degno di una metropoli in ora di punta e la rete viaria è un labirinto: le strade sono disposte come un reticolato, quasi tutte a senso unico, denominate con numeri (pari le vie verticali e dispari le vie orizzontali). Senza il navigatore (app off line Maps.me sul cellulare) ci saremmo sicuramente persi e non avremmo mai trovato l’hotel. L’Hotel del Peregrino è un anonimo edificio nel centro della città ma dentro è un piccolo gioiellino in puro stile messicano con le camere affacciate su un piccolo patio. Ci prendiamo un po’ di tempo per rinfrescarci e riposarci e poi usciamo alla scoperta della città. I must see sono concentrati sulla Calle 60 e sulla piazza a metà di essa, tra cui la  Casa di Montejo (conquistador spagnolo che fondò la città) e la cattedrale di San Ildefonso.

Passeggiando in questo dedalo di viuzze notiamo la bizzarra convivenza di vecchie automobili arrugginite con nuovissime automobili dotate delle ultime tecnologie. Veniamo fermati da parecchie persone che ci propongono i loro ristoranti e negozi. Accettando un consiglio entriamo in un negozio di artesaneria dove compriamo un tappetino. Per cena decidiamo di fermarci Alla Parrilla, un locale sulla 60 molto colorato e… molto messicano!

28 febbraio

La colazione che ci aspetta nel patio dell’hotel ci lascia a bocca aperta: caffè messicano (in tazza grande come quello americano ma molto più forte), pane e marmellata di guava, una ciotola di frutta tropicale e infine…

Con tale rifornimento di energie partiamo alla volta di Uxmal, un sito maya poco frequentato dai turisti perché molto lontano dalla Riviera Maya. Dopo un paio d’ore di strada lasciamo il monotono paesaggio che ci ha accompagnato in questi giorni per avvicinarci alla zona collinare di Puuc. Dopo una duplice fila per i biglietti (nazionale e statale per totali M$ 234), attraversiamo una piazzetta con bar, ristoranti e negozi, ed entriamo finalmente nel sito archeologico. Esiste anche un percorso per carrozzelle e passeggini (però non attraversa tutto il sito) ma considerando che Alice non ha alcuna intenzione di stare seduta optiamo per il percorso libero sul prato, lasciando il passeggino di tanto in tanto sotto un albero per non portarcelo dietro nei tratti più complicati.

All’ingresso del sito si staglia maestosa la Piramide del Adivino dall’insolita forma rotondeggiante; la oltrepassiamo ed entriamo nel Quadrángulo de las Monjas dove per la gioia di Alice incontriamo le prime iguane di Uxmal. Arriviamo quindi al campo di pelota, più piccolo di quello di Chichen Itza, che attraversiamo fino ad arrivare nei pressi del Palazzo del Governatore. Saliamo una scalinata e arriviamo nel cortile: la bimba rimane qui con il nonno mentre noi facciamo un salto sulla terrazza del palazzo…

La vista da qui è incredibile, ma decidiamo di osare di più e scalare la vicina Gran Piramide fino alla cima. Rimaniamo senza fiato a contemplare la bellezza di questo sito…

Ritorniamo verso l’ingresso e decidiamo di fermarci per pranzo al ristorante nella piazzetta della biglietteria: ordiniamo dei panini, anch’essi accompagnati da antipasti messicani.

Il ritorno a Merida è molto tranquillo, la bambina dorme beata e noi ormai siamo preparati ad affrontare il traffico all’ingresso della città. Rientrati in hotel ci concediamo un’oretta di riposo e poi usciamo per una passeggiata fino alla Plaza Grande. Decidiamo di entrare nella cattedrale e nella casa di Montejo, che ieri avevamo visto solo dall’esterno. L’ingresso è gratuito per entrambi gli edifici. La chiesa internamente è abbastanza spoglia, modesta, con solo un grande crocifisso sull’altare e alcune cappelle laterali: in una di queste un prete sta celebrando la messa a un gruppetto di fedeli rinfrescati da alcuni ventilatori. La vicina casa di Montejo si presenta sulla Plaza Grande con la sua facciata originale in stile spagnolo/coloniale e solo per caso scopriamo che si possono visitare anche gli interni: seguiti da una guardia (attenta che non toccassimo niente) attraversiamo i vari locali del piano terra con bellissimi e lussuosi arredi del 16° secolo disposti attorno alla corte interna.

Per cena scegliamo un ristorantino yucateco affacciato sulla piazza, La Casa de Mi Tia. Per accedere al locale bisogna salire al piano di sopra, senza ascensore quindi un po’ scomodo col passeggino. Ci sistemano ad un tavolo vicino al balcone con vista sulla piazza nei pressi di un angolo giochi. Non nascondo lo stupore di trovare un ristorante baby friendly nello Yucatan: la casetta attrezzata con scivolo e il grande sacco di mattoncini fanno la gioia di Alice che quasi dimentica il cibo a favore dei giochi.

1 marzo

Anche oggi siamo i primi a fare colazione, ci accomodiamo nel solito tavolo accanto ai fornelli curiosi di sapere cosa ci stanno preparando le due cuoche, due gentilissime signore che ci hanno preso in simpatia (girare il mondo con una bimba piccola ha questa conseguenza) e con cui parliamo dei diversi modi di intendere la colazione in Italia e in Messico. Sono molto stupite nel sapere che noi non siamo proprio avvezzi a cominciare la giornata con fagioli e patate…

E’ già ora di lasciare quest’hotel e queste colazioni, purtroppo… Ora ci aspetta il trasferimento più lungo: 220 km in direzione Riviera Maya fino al sito di Cobà. Ritornando verso est, questa volta avremo il fuso orario sfavorevole in quanto il sito si trova nello stato del Quintana Roo. Arriviamo a Cobà che sono già le 12.30 (non avevamo considerato il traffico a Merida) e quindi decidiamo di fare prima un pranzo leggero e veloce in uno dei ristorantini affacciati sul parcheggio; peccato che il servizio non sia proprio veloce (e considerando le pietanze locali forse neanche leggero) e quindi entriamo nel sito all’una e mezza passata. Il sole a picco è cocente ma le peculiarità di Cobà vengono a nostro favore: le rovine si trovano totalmente immerse nella giungla, sotto gli alberi dove il sole filtra con difficoltà.

Sembra di essere in un film di Indiana Jones e la possibilità di salire ovunque ci fa sentire dei veri esploratori. Le prime rovine si incontrano dopo un centinaio di metri, e già ci imbattiamo in una piramide e in un campo di pelota. Sul sentiero principale troviamo una casetta dove noleggiare biciclette e risciò: il sito è grandissimo (80 km2) e quindi è consigliato un mezzo di trasporto (col senno di poi direi che è proprio indispensabile). Non esistono seggiolini per bambini quindi optiamo per due risciò. Il ragazzo alla guida rimane in silenzio mentre velocissimo sorpassa pedoni e biciclette con incredibile facilità (non la stessa cosa per il secondo conducente, un po’ carente di fiato). Arriviamo alla prima tappa: un piccolo campo di pelota con al centro una pietra a forma di teschio e una stele protetta da una palapa con preziose incisioni. Dopo un paio di altre tappe “minori” arriviamo al gran finale, il pezzo forte di Cobà: la Grande Piramide, alta ben 42 m, il secondo edificio maya più alto dello Yucatan.

I gradini sono molto consumati e stretti, la bimba pertanto rimane giù e noi saliamo a turno. La scalata è più ostica di quanto immaginassimo e infatti è presente una corda a cui aggrapparsi. Ma noi novelli Indiana Jones non ci facciamo abbattere dalle prime difficoltà e finalmente conquistiamo la cima: attorno a noi c’è solo la giungla, non si vedono altre rovine, solo la scalinata sotto i nostri piedi e le persone piccole piccole giù in fondo.

Ritorniamo ai due risciò che con nostro dispiacere si avviano già verso l’uscita.

Risaliamo in macchina per l’ultima tappa del nostro viaggio: la Riviera Maya. Passiamo accanto al sito maya di Tulum, ma ormai è già tardo pomeriggio e decidiamo di rimandarne la visita nei prossimi giorni. Proseguendo in direzione nord lungo il mare (che però non vediamo mai perché oltre la fitta vegetazione), arriviamo finalmente al resort che ci ospiterà per i prossimi 5 giorni, il Viva Wyndham Maya a Playa del Carmen. Ci troviamo subito in mezzo ad animatori, musica e persone in pareo. Al polso ci allacciano prontamente i braccialetti all inclusive, ma a me, che negli occhi ho ancora le meraviglie di questi primi giorni di vero Messico, sembrano a tutti gli effetti delle manette…

(a breve la seconda parte)


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